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Nel luglio 1940, a seguito della firma dell’armistizio, la Francia venne occupata dalle truppe tedesche nella sua parte settentrionale e nord orientale mentre l’esercito italiano si installò in una stretta fascia al confine italo-francese. Per portare a compimento il folle piano della "soluzione finale", sin dai primi mesi del 1942 Berlino esercitò pressioni sull’Italia affinché si allineasse alla sua linea di feroce antisemitismo senza però ottenere soddisfazione da parte di Roma, criticando apertamente l’atteggiamento di diplomatici e militari italiani, sia nella corrispondenza diplomatica, sia durante gli incontri ufficiali italo-tedeschi.
Esemplare il caso della richiesta di consegna alle autorità germaniche degli ebrei italiani residenti nella zona di occupazione tedesca. Il Ministero degli Affari Esteri italiano fece opposizione a tale richiesta e dopo serrate trattative decise di rimpatriare tutti gli ebrei italiani residenti nel nord est della Francia (30 marzo 1943). In questo frangente il Console italiano a Parigi, Gustavo Orlandini, si distinse sia per gli sforzi compiuti per ottenere la liberazione dai campi di concentramento di alcuni soggetti, di vera o presunta nazionalità italiana, sia per le attenzioni e l’assistenza prestata in fase di rimpatrio ai nostri connazionali.
Anche nel sud della Francia, sia nella zona occupata dal luglio 1940 sia nei dipartimenti dove l’esercito italiano entrò dopo il novembre 1942, l’atteggiamento dei diplomatici e dei militari inviati da Roma fu di opposizione ai piani di deportazioni di massa, voluti dalla Germania e condivisi dal governo di Vichy. Si ricorda in particolare la figura di Alberto Calisse, Console a Nizza e capo dell’ufficio della Commissione Italiana di Armistizio con la Franca nella stessa città, che si prodigò per salvare ebrei di nazionalità italiana e straniera offrendo rifugio nel campo di Saint Martin Vesubie.
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