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1. La CED e la CPE nella situazione politica internazionale.
Fin dal lancio del Piano Marshall l’Italia si dichiarò favorevole al processo di costruzione europea. Tale presa di posizione rispondeva sia a ragioni ideali, sia a concreti interessi nazionali. La classe politica al Governo si riconosceva nell’ideale dell’unità europea e al contempo riteneva che nel quadro degli organismi che sarebbero nati l’Italia avrebbe potuto recuperare un ruolo internazionale di prestigio, superando il trauma del fascismo, della guerra perduta e del trattato di pace. Poiché inoltre il processo di integrazione era promosso dagli Stati Uniti, un atteggiamento costruttivo da parte italiana avrebbe rafforzato il rapporto fra Roma e Washington. Nel periodo tra il 1947 e il 1949 la costruzione europea trovespressione in forme di cooperazione intergovernativa, quali l’Organizzazione Europea di Cooperazione Economica (OECE), l’alleanza politico-militare del Patto di Bruxelles e il Consiglio d’Europa. Nel maggio del 1950 il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman, su ispirazione di Jean Monnet, lancil’idea di una comunità integrata nei settori delle produzioni carbonifera e siderurgica con carattere sovranazionale. L’Italia aderì immediatamente all’iniziativa. Dal Piano Schuman, considerato il vero inizio del processo di integrazione, sarebbe nata, con il trattato di Parigi del 1951, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), attiva a partire dal 1952. Sul coinvolgimento italiano ebbero un’influenza significativa le motivazioni di carattere economico e sociale: la difesa dell’industria siderurgica nazionale, rappresentata in particolare dalla FINSIDER dell’IRI, la speranza nell’apertura dei mercati del lavoro all’emigrazione italiana, la tendenza a rifiutare la tradizione protezionista a favore dell’inserimento del Paese in una piampia economia di mercato.
Il 1950 rappresentò anche un momento di svolta nella guerra fredda perché lo scoppio della guerra di Corea fece divenire prioritario per gli Stati Uniti e per la Gran Bretagna l’obiettivo del riarmo della Repubblica Federale di Germania e il suo inserimento nel dispositivo difensivo atlantico. Il Governo francese respinse questa prospettiva e ritenne di far fronte a questa situazione attraverso il lancio di un progetto volto alla creazione di un esercito integrato europeo; tale iniziativa, ancora una volta ispirata da Monnet, venne resa pubblica nell’ottobre del 1950 dal Primo Ministro francese, René Pleven, da cui prese il nome, e si sarebbe trasformata rapidamente nella prospettiva della creazione di una Comunità Europea di Difesa (CED), sul modello della costituenda CECA.
La reazione italiana alla “militarizzazione” della guerra fredda si era espressa nel sostegno alla prospettiva di riarmo dell’Occidente attraverso il “Military Assistance Program” (MAP). Quanto al Piano Pleven, l’Italia decise di aderire ai negoziati promossi dalla Francia e avviati nel febbraio del 1951. Palazzo Chigi nutriva scarsa fiducia nel progetto francese e il coinvolgimento nelle trattative fu determinato soprattutto dalla volontà di mantenere buoni rapporti con il Governo francese. Nei primi mesi dei colloqui di Parigi sulla CED la delegazione italiana assunse un atteggiamento passivo nella convinzione che il progetto non avrebbe avuto seguito. Ma nella primavera del 1951 vi fu un radicale ripensamento nelle posizioni dell’amministrazione Truman sulla CED e Washington divenne il più fortesostenitore della CED, che d’altronde si inseriva nel quadro della politica americana per la realizzazione di una piena integrazione europea. Il “Rapport intérimaire” approvato dai “sei” nell’estate del 1951, faceva presagire la possibile creazione della CED.
Questa prospettiva appariva confliggere con gli interessi italiani: la nuova Comunità avrebbe interrotto i positivi rapporti che l’Italia stava costruendo sul piano bilaterale con gli Stati Uniti nella NATO, avrebbe privato il Paese della sua sovranità su una parte consistente del bilancio, favorendo politiche di riarmo a scapito di investimenti in altri settori, e avrebbe, infine, privilegiato il “fronte centrale” dell’Alleanza Atlantica a detrimento dell’area del Mediterraneo. Al contempo perle autorità italiane si rendevano conto che era impossibile opporsi alla creazione della CED pena la messa in discussione del rapporto con gli Stati Uniti e l’immagine dell’Italia come nazione impegnata nel processo di integrazione. Queste contraddizioni vennero risolte da De Gasperi con la proposta di trasformare la CED nella premessa di una nuova fase di integrazione politica con un carattere federale; da ciò ebbe origine l’ipotesi di prevedere nel futuro trattato sulla CED un meccanismo che avrebbe dovuto quasi automaticamente condurre alla nascita di una Comunità Politica Europea (CPE). L’impegno europeo di De Gasperi in senso federalista trovpositiva risposta nei rappresentanti delle altre nazioni coinvolte nelle trattative di Parigi, in particolare in Schuman e nel Cancelliere tedesco Adenauer. Grazie all’iniziativa italiana, il trattato istitutivo della CED, firmato nel maggio del 1952, prevedeva all’art. 38, che, una volta realizzata la CED, sarebbe stato avviato il negoziato per la realizzazione della CPE. Nell’autunno dello stesso anno De Gasperi ottenne dai partner europei che, senza attendere l’entrata in vigore della Comunità, l’Assemblea comune della CECA, opportunamente ampliata – la cosiddetta “Assemblea ad hoc” – avviasse i lavori destinati alla redazione del trattato sulla CPE.
Tra la fine del 1952 e i primi mesi del 1953 il progetto degasperiano venne a scontrarsi con una serie di ostacoli sia di carattere internazionale, sia di natura interna italiana. Dal punto di vista internazionale, nel novembre del 1952 i repubblicani si imponevano alle elezioni presidenziali americane; la nuova amministrazione Eisenhower confermava la realizzazione della CED come obiettivo fondamentale della politica estera americana, ma nei rapporti con gli alleati europei si passava dalla “moral suasion” della precedente amministrazione alla volontà di spingere i propri partner, a volte in maniera assertiva, a concludere rapidamente il processo di ratifica del trattato di Parigi; ma proprio l’approvazione dell’accordo stava incontrando difficoltà all’interno dei Paesi firmatari, anche per la propaganda di movimenti pacifisti, quali i “partigiani della pace”. In Francia la “querelle de la CED” finì con il dividere non solo il mondo politico, ma anche l’opinione pubblica nel suo complesso, creando un clima definito simile al “caso Dreyfus”. Inoltre, a seguito della morte di Stalin, nel marzo del 1953, la nuova leadership sovietica – la “direzione collegiale” – decise di lanciare una “campagna di pace” i cui principali destinatari erano i Paesi europei occidentali e la loro opinione pubblica, facendo intendere che l’abbandono dell’ipotesi di riarmo tedesco, in altri termini della CED, potesse aprire la strada a quella che sarebbe stata definita come “prima distensione”. Soprattutto in Francia questa prospettiva contribuì a indebolire il fronte a sostegno della CED; inoltre, al Quai d’Orsay Schuman fu sostituito da Georges Bidault, ormai scettico sull’integrazione sovranazionale, e, in particolare, sul progetto di CPE, proprio mentre stavano progredendo i lavori dell’Assemblea ad hoc. Anche in Gran Bretagna il Primo Ministro Winston Churchill, tornato alla guida del Governo nel 1951, non nascondeva l’aspirazione a farsi promotore del dialogo con Mosca, ciò che lo avrebbe fatto passare alla storia come “uomo di pace” dopo essere stato il leader del Paese in guerra. Quanto all’Italia, De Gasperi continua puntare sulla CPE, dovendo perfronteggiare la propaganda della sinistra social-comunista, che presentava la CED come la rinascita della “Wehrmacht” e del militarismo tedesco. Le opposizioni, in questo caso le sinistre e le destre unite, potevano sfruttare l’irrisolta questione di Trieste quale esempio di una politica estera debole e rinunciataria, “asservita” agli interessi americani e pronta a “svendere” la sovranità nazionale. Come se gli aspetti internazionali non fossero sufficienti, De Gasperi, di fronte alle crescenti difficoltà di mantenere in vita la formula centrista, puntsu una legge elettorale maggioritaria – ben presto definita “legge truffa” dalle opposizioni – che, nelle speranze dello statista trentino, avrebbe potuto garantire maggioranze parlamentari stabili. In questo clima agitato da forti polemiche e con le elezioni ormai alle porte, De Gasperi ritenne di non poter presentare il trattato CED in Parlamento, dovendo tra l’altro cominciare a subire le prime pressioni della nuova rappresentante degli Stati Uniti a Roma, l’Ambasciatrice Clare Boothe Luce, il cui obiettivo era spingere la classe politica democristiana a un maggior impegno nella lotta contro il PCI.
Le elezioni del giugno 1953 si risolsero in uno scacco per De Gasperi: per un numero relativamente esiguo di voti, non scattò il meccanismo premiale della legge elettorale e nella DC si manifestarono in maniera aperta dissensi verso la leadership degasperiana. Il nuovo Governo formato dall’esponente trentino restò in carica poco più diun mese, quindi fu costretto a dimettersi; venne così nominato Presidente del Consiglio il democristiano Giuseppe Pella, a guida di una compagine monocolore, il cui compito primo sarebbe stato quello di permettere il ritorno a una coalizione centrista. Nella breve fase di permanenza di De Gasperi alla guida del Governo dopo le elezioni, lo statista democristiano tentdi favorire la prosecuzione del processo che avrebbe dovuto condurre a un negoziato vero e proprio sulla CPE in base ai lavori dell’Assemblea ad hoc. Questa aspirazione si scontrò però con la crisi ministeriale e con la freddezza del Governo di Parigi, in particolare del Ministro degli Esteri, Bidault. Il Governo francese d’altronde dubitava ormai della presenza di una maggioranza parlamentare a favore del trattato della CED e aveva avviato una strategia “attendista” nella speranza che l’evoluzione dei rapporti con Mosca rendesse inutile il riarmo tedesco; inoltre esso legava sempre pila ratifica della CED a un crescente sostegno americano alla guerra che la Francia stava conducendo in Indocina contro le forze del Viet Minh, provocando una sempre più forteirritazione da parte di Washington nei confronti di Parigi. L’ambiguo atteggiamento francese era ben compreso dall’Ambasciatore italiano nella capitale transalpina, Quaroni, il quale esprimeva scetticismo sulla sorte sia della CED, sia della CPE.
Quanto alla posizione del Governo Pella, questi, pur non rinnegando l’impegno nei confronti della ratifica della CED e del progetto di CPE, concentrl’attenzione sul problema di Trieste facendo comprendere a Londra e a Washington che l’approvazione del trattato sulla CED era condizionata all’impegno delle due potenze occidentali per la realizzazione di una soluzione della questione triestina in senso favorevole alle tesi italiane. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, in effetti, dichiararono la volontà di restituire in tempi brevi all’Italia il controllo sulla città giuliana, ma a questa presa di posizione non fece seguito alcuna decisione concreta, probabilmente anche a causa della dura reazione di Tito, la quale provocuna rinnovata tensione fra Roma e Belgrado. Questo clima avrebbe favorito agli inizi di novembre manifestazioni irredentiste a Trieste, duramente represse dalla polizia civile dipendente dall’amministrazione militare anglo-americana della città. Nel frattempo la diplomazia italiana aveva cercato di rafforzare i rapporti sia con Parigi, sia con Bonn, nel tentativo di trovare un sostegno al legame posto dal Governo Pella tra la soluzione del problema di Trieste e l’impegno europeo dell’Italia; ciò nonimplicava comunque il venir meno dell’adesione alle scelte della politica estera statunitense, in particolare circa la necessità di contare su un’alleanza atlantica più efficiente. Va comunque ricordato come fra i diplomatici italiani, in particolare a Palazzo Chigi, permanesse la speranza che la CPE andasse in porto, anzi si auspicava lo sviluppo di rapporti di collaborazione con altre istituzioni europee quali l’OECE e il Consiglio d’Europa in una visione di costruzione “politica” dell’Europa.
Agli inizi di dicembre del 1953 il vertice anglo-franco-americano delle Bermude mise in luce le sempre più gravicontraddizioni nei rapporti fra Washington e Parigi; cinonostante l’amministrazione Eisenhower accettla prospettiva di una conferenza dei Ministri degli Esteri delle quattro potenze, inclusa quindi l’URSS, sul futuro della Germania da tenersi a Berlino agli inizi del 1954. Inoltre, la Francia ebbe conferma del sostegno militare americano in Indocina. In questo stesso lasso di tempo in Italia si consumava la crisi del Governo Pella, a cui faceva seguito il tentativo di formare una nuova compagine ad opera di Amintore Fanfani, che stava emergendo come nuovo “uomo forte” della DC, ma questo esperimento era destinato a durare solo qualche settimana. Alfine in febbraio si formava un Gabinetto sotto la guida del democristiano Mario Scelba, già Ministro degli Interni e vicino a De Gasperi; alla guida del Ministero degli Esteri andava un altro esponente democristiano, Attilio Piccioni. In campo internazionale il nuovo Governo parve far pienamente ritorno alla tradizione degasperiana, con un rinnovato impegno nei confronti della costruzione europea, e in particolare della ratifica del trattato della CED; proseguirono tra l’alto i contatti con i partner europei della CECA, in particolare con Bonn, intorno alla definizione dei caratteri della CPE. Alcuni influenti diplomatici, fra cui Quaroni, sottolineavano le difficoltà della situazione interna francese e le scarse probabilità dell’approvazione del trattato di Parigi ad opera dell’Assemblea Nazionale; fra gli ostacoli alla ratifica vi erano proprio gli aspetti sovranazionali della CED e la prospettiva della CPE. Qualche speranza nasceva dalla decisione britannica di procedere a un accordo di collaborazione fra Londra e la CED. Sull’incertezza della posizione italiana influivano, da un lato, la mancanza di una soluzione circa il problema di Trieste e, dall’altro, le pressioni statunitensi, mentre il progetto di CPE subiva una battuta d’arresto.
Nel frattempo, nell’aprile del 1954, si apriva a Ginevra la conferenza internazionale sulla Corea e sull’Indocina, fortemente voluta dalle autorità francesi, che ormai puntavano a una soluzione politica del conflitto del Sud-Est asiatico. Ma la speranza di Parigi di presentarsi al negoziato con alle spalle un’affermazione militare risultò frustrata dalla sconfitta di Dien Bien-Phu, che provocla caduta del Governo Laniel e l’arrivo alla guida dell’esecutivo del radical-socialista Pierre Mendès France, deciso a risolvere rapidamente sia la questione indocinese, sia quella del trattato della CED. Era noto che il nuovo premier francese si era sempre mostrato molto freddo nei riguardi dell’integrazione sovranazionale, quindi sia della CED, sia della CPE. Di fronte a questi sviluppi la posizione dell’Italia restava incerta: il Governo aveva avviato la procedura di ratifica del trattato di Parigi, ma in forme che avrebbero richiesto tempo per la conclusione di tale processo. Da parte dell’Ambasciatore a Washington, Tarchiani, giungevano sollecitazioni affinché in ogni caso il Parlamento approvasse l’accordo al fine di mostrare la fedeltà all’impegno europeo e all’alleato americano, mentre altri diplomatici apparivano più cauti e disposti ad attendere l’evoluzione della posizione francese, e altri ancora continuavano a impegnarsi nell’attuazione della CPE.
Nel frattempo, la crisi indocinese si era risolta con un compromesso che, se avrebbe consentito alla Francia un “disimpegno con onore”, venne rifiutato dalle autorità americane che consideravano ormai Mendès France un pericoloso neutralista. Alla fine di giugno il Ministro degli Esteri belga, Spaak, prendeva l’iniziativa di convocare a Bruxelles una conferenza dei “sei” sul futuro del trattato della CED. Sostenuto da Adenauer e da Washington ed erroneamente convinto dell’esistenza in Francia di una maggioranza parlamentare favorevole alla CED, il leader belga riteneva fosse possibile costringere Mendès France a far ratificare la CED. L’Italia accettil progetto di Spaak, subendo tra l’altro in questo periodo ulteriori pressioni americane affinché il Parlamento ratificasse il trattato; da parte del Governo ci si limita far presente come il processo di approvazione fosse stato avviato. Tra il 19 e il 22 agosto si teneva nella capitale belga il programmato incontro tra i Ministri degli Esteri dei “sei”; Mendès France vi giungeva con un progetto di modifiche al trattato della CED che lo avrebbero privato dei caratteri sovranazionali. Il leader francese fu persottoposto agli attacchi di Spaak e di Adenauer. Il Ministro degli Esteri Piccioni, pur sostenendo il progetto europeo ed esprimendo disaccordo circa le ipotesi francesi, intese assumere un atteggiamento moderato e di parziale comprensione delle difficoltà di Mendès France. Mendès France decise di sottoporre il trattato al vaglio dell’Assemblea Nazionale. Il risultato fu favorevole agli oppositori della CED, che veniva definitivamente bocciata; con essa cadeva anche il progetto di CPE. De Gasperi, strenuo sostenitore della CPE, era scomparso solo pochi giorni prima della decisione dell’Assemblea Nazionale, continuando sino all’ultimo a sperare in un ripensamento da parte francese. Quanto al Governo italiano, esso si mostrò preoccupato della dura e irritata reazione di Washington, in particolare della minaccia di rinunciare all’impegno nei confronti della difesa dell’Europa occidentale. Per le autorità di Roma, a questo punto, ciò che contava era la sopravvivenza dell’Alleanza Atlantica, garanzia non solo della sicurezza europea, ma anche degli equilibri politici interni, nonché la prospettiva dell’impegno anglo-americano verso la soluzione della questione di Trieste. Per il momento l’impegno europeo venne messo da parte; ciò spiega l’accettazione italiana del Piano Eden e degli accordi di Parigi dell’ottobre 1954. Il fattivo coinvolgimento dell’Italia nei riguardi dell’integrazione europea sarebbe stato comunque ripreso nel volgere di meno di un anno con la conferenza di Messina e quel processo negoziale che nel marzo del 1957 avrebbe condotto alla firma dei trattati di Roma con la nascita della CEE e dell’EURATOM.
2. Criteri di edizione Il volume comprende la documentazione sul processo di integrazione europea dall’apertura della II Legislatura della Repubblica italiana, il 25 giugno 1953, al fallimento definitivo del trattato istitutivo della CED, il 30 agosto 1954, con il voto negativo dell’Assemblea Nazionale francese. Il periodo considerato comprende la fase finale dei negoziati e dei lavori per la redazione di uno statuto della CPE, in base all’art. 38 del trattato istitutivo della CED, e per la ratifica di quest’ultimo, e si apre con la crisi del progetto europeo segnata dalla caduta del Governo Mayer in Francia. Dal punto di vista istituzionale, al momento dell’apertura della Legislatura era in carica il VII Governo De Gasperi (26 luglio 1951-16 luglio 1953). A seguito delle elezioni del 7 giugno 1953, con il deludente risultato per la Democrazia Cristiana, che raggiunse il 40,1% dei voti, il 16 luglio Alcide De Gasperi formò il suo VIII Governo, un governo monocolore democristiano, nel quale il Presidente del Consiglio assunse, ad interim, il Ministero degli Affari Esteri, ma che era destinato a rimanere in carica per appena trentadue giorni, fino alle dimissioni rassegnate il 28 luglio con effetto dal 17 agosto. Venne quindi formato da Giuseppe Pella un Governo di “transizione”, in carica dal 17 agosto 1953 al 18 gennaio 1954, anch’esso monocolore democristiano, con l’incarico degli Affari Esteri ad interim allo stesso Presidente del Consiglio. Seguì il brevissimo Governo monocolore democristiano formato da Amintore Fanfani, il primo presieduto dallo statista, in carica fino al 10 febbraio 1954, nel quale il Ministero degli Affari Esteri venne affidato ad Attilio Piccioni. In seguito al fallimento del tentativo di Fanfani, Mario Scelba form il Governo di coalizione fra Democrazia Cristiana, Partito socialdemocratico e Partito liberale, destinato a rimanere in carica fino al 6 luglio 1955, nel quale agli Esteri rimase lo stesso Piccioni fino al 16 settembre 1954. Dunque, se la primissima fase dei negoziati per la CPE fu diretta da De Gasperi, che aveva insistito su tale iniziativa nel suo precedente Governo, la fase decisiva, fino al suo fallimento, fu caratterizzata dalle personalità prima di Pella, quindi di Fanfani e Piccioni e infine di Scelba e Piccioni. In questo quadro, l’elemento di continuità della politica italiana è stato rappresentato dalla presenza, in posizione di rilievo per i negoziati, del Direttore Generale della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale (DGCI), il Ministro plenipotenziario Massimo Magistrati, che rivestiva tale carica dal 1° marzo 1952, e avrebbe continuato a svolgere una funzione direttiva nella politica europeistica dell’Amministrazione, con l’incarico di Direttore Generale della Direzione Generale degli Affari Politici (DGAP), dopo l’unificazione della DGCI con la DGAP, il 4 marzo 1955, quando le competenze dell’Ufficio I passarono all’Ufficio Cooperazione Internazionale della DGAP, fino alla soppressione di tale ufficio e al passaggio delle sue competenze all’Ufficio Cooperazione Europea nel 1956. Oltre a Magistrati, le personalità e i funzionari del Ministero degli Affari Esteri che hanno avuto un ruolo di maggior presenza nello svolgimento dei negoziati sono stati l’On. Lodovico Benvenuti, Sottosegretario agli Affari Esteri nei successivi Governi dal 16 luglio 1953 al 6 luglio 1955, il Consigliere Giorgio Bombassei de Vettor, primo delegato alla conferenza CED e l’On. Ivan Matteo Lombardo, capo della delegazione presso la conferenza CED.
La documentazione è stata scelta sulla base del criterio della ricostruzione delle decisioni sulla politica del Governo italiano in merito alla questione dell’approvazione del trattato istitutivo della CED (27 maggio 1952) e, in particolare in questa fase, a quella dell’applicazione dell’art. 38 del trattato e quindi della formazione della CPE. Si sono quindi privilegiati i testi delle istruzioni ministeriali e i documenti utili a ricostruire la formazione delle decisioni del Ministro, nonché i resoconti degli incontri bilaterali e multilaterali a livello di Ministri degli Affari Esteri. I dispacci dei rappresentanti italiani sono stati inclusi laddove forniscono analisi e informazioni che hanno avuto rilievo per la formazione di tali decisioni e riproducono comunicazioni dei Governi presso cui essi sono accreditati; si è invece tendenzialmente rinunciato a pubblicare documenti utili alla ricostruzione della politica dei Paesi terzi. Si sono pubblicati, altresì, documenti su argomenti collegati a quello del trattato CED e della CPE, quali, in particolare, il problema tedesco e l’atteggiamento degli Stati Uniti sulle questioni relative all’integrazione europea, nonché il problema di Trieste, in quegli anni al centro dell’interesse della politica estera italiana.
In generale, la politica dei Governi italiani che si sono succeduti nel periodo considerato ha proseguito la linea impostata da De Gasperi nella precedente Legislatura con il negoziato e la firma del trattato istitutivo della CED e, soprattutto, con l’introduzione nel trattato dell’art. 38. Una linea, come noto, che puntava, piche alla realizzazione, a partire dalla base costituita dalla CECA, di un’istituzione europea “funzionale” nel campo della difesa, a un’unione politica, mediante l’istituzione della CPE (D. 114). La fase del processo di integrazione europea illustrata dal volume è, dunque, caratterizzata dal tentativo di dare seguito e sostanza alla decisione, promossa dal Governo italiano insieme a quello tedesco occidentale, di costituire la CPE, e dal fallimento del trattato CED alla fine di agosto 1954, che travolge con sé anche il progetto di CPE: quindi, in sostanza, il fallimento del progetto italiano di passare dall’impostazione “funzionalista” a quella dell’unione politica.
2.1. La Comunità Politica Europea e l’Assemblea ad hocNella riunione di Parigi del 27-30 novembre 1951 e nella riunione di Strasburgo dei Ministri degli Esteri dei sei membri della CECA, l’11 dicembre, De Gasperi propose e ottenne di inserire nel progetto di trattato istitutivo della CED l’art. 38, con il quale si prevedeva di affidare all’Assemblea della CECA la preparazione, entro sei mesi, di un progetto di costituzione federale o confederale(1). Con la firma, a Parigi, il 27 maggio 1952, del trattato istitutivo della CED iniziava, dunque non solo l’iter della sua ratifica, ma anche quello delle trattative per la definizione dello statuto della CPE.
1 Verbali della riunione dell’11 dicembre 1951 a Strasburgo della Conferenza per l’esercito europeo dei sei Ministri degli Affari Esteri, in P.L. Ballini e A. Varsori (a cura di), L’Italia e l’Europa, 1947-1979, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, vol. I, pp. 150-159; vedi P.L. Ballini, La mancata ratifica italiana del trattato della Comunità Europea di Difesa: da De Gasperi a Scelba, in Id. (a cura di), La Comunità Europea di Difesa (CED), Soveria Mannelli, Rubettino, 2009, pp. 401-402 e D. Preda, Sulla soglia dell’unione. La vicenda della Comunità Politica Europea (1952-1954), Milano, Jaca Book, 1993.
Il 10 settembre 1952, a Lussemburgo, i sei Ministri degli Affari Esteri partecipanti alla CECA decisero (A) per dare corso a quanto previsto dall’art. 38, per l’elaborazione di un progetto di trattato istitutivo di una Comunità Politica Europea, di designare per cooptazione, fra i delegati dell’Assemblea consultiva che non erano già membri dell’Assemblea comune della CECA, dei membri supplementari nel numero che sarebbe stato necessario per ottenere un numero di effettivi uguale a quello previsto per ciascun Paese all’Assemblea della CED; (B) che l’Assemblea, così composta e completata, si sarebbe riunita in seduta plenaria presso la sede del Consiglio d’Europa, nonché in sedute di commissioni e che avrebbe fatto periodicamente rapporto dell’avanzamento dei propri lavori all’Assemblea Consultiva; (C) che i Ministri degli Affari Esteri, riuniti nel Consiglio della CECA, si sarebbero associati ai lavori dell’Assemblea secondo le condizioni che sarebbero state successivamente fissate; e (D) che entro sei mesi dalla convocazione dell’Assemblea comune della CECA, quindi il 10 marzo 1953, i risultati di tali studi sarebbero stati comunicati all’Assemblea della CED, incaricata dei compiti previsti all’art. 38 del Trattato istitutivo della CED, così come ai Ministri degli Affari Esteri dei sei Paesi(2).
Il 15 settembre 1952 si riunì, sotto la presidenza di Paul-Henri Spaak, l’Assemblea della CECA, integrata come previsto(3), che assunse in quell’occasione la denominazione di Assemblea ad hoc. Quest’ultima tenne nove sedute, il 15 settembre 1952, il 7-10 gennaio 1953, il 6-7 marzo 1953 e il 9-10 marzo 1953 e istituì una Commissione costituzionale di 26 membri, la quale a sua volta formò quattro sottocommissioni(4). Dal 7 al 10 marzo 1953 l’Assemblea ad hoc esamine infine approò vil testo dello statuto della Comunità Europea, come veniva denominata nel testo(5).
2.2. Le riunioni e conferenze dei sei Ministri degli Affari Esteri della CECA e le conferenze dei sostituti in relazione al progetto di trattato istitutivo della Comunità Politica Europea
Nel corso del periodo considerato nel volume si svolsero, a partire dalla riunione di Parigi, le seguenti riunioni o conferenze dei sei Ministri degli Esteri della CECA e dei sostituti per l’elaborazione dello statuto della CPE(6):
2 ASUE, CM1/CPE, 1.1; Session d’Ouverture, Séance du Mercredi 10 Septembre 1952, in «Journal Officiel de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier. Débats de l’Assemblée Commune. Compte rendu in extenso des séances», 2/1, 28 febbraio 1953, pp. 1-6; Règlement Intérieur Provisoire adopté par le Conseil le 10 septembre 1952, in «Journal Officiel de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier», 2/2, 12 febbraio 1953, pp. 8-9.
3 Era formata da 78 delegati dell’Assemblea comune della CECA, da otto membri cooptati (tre per l’Italia, tre per la Francia e due per la Germania) e da tredici osservatori del Consiglio d’Europa.
4 Vedi l’inventario del fondo AH-Assemblée ad hoc, ASUE, Firenze, febbraio 2008.
5 Assemblée ad hoc chargée d’élaborer un projet de traité instituant une Communauté Politique Européenne, Projet de Traité portant Statut de la Communauté Européenne, adopté par l’Assemblée Ad Hoc le 10 Mars 1953, à Strasbourg, Service des Publications de la Communauté Européenne, 1953.
6 Secondo le decisioni della conferenza di Parigi del 12 maggio 1953 la conferenza intergovernativa si sarebbe articolata in “riunioni” dei sei Ministri degli Affari Esteri e in “conferenze” dei supplenti (o dei sostituti). In effetti la riunione dell’Aja venne definita una conferenza e così anche quella di Bruxelles. Nelle riunioni dei sostituti il “supplente” del Ministro degli Affari Esteri italiano fu il Sottosegretario di Stato Benvenuti.
Conferenze e riunioni dei sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea (CECA) e dei sostituti | |||
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Denominazione ufficiale e sede della riunione | Data | Documenti | Appendice II |
Riunione dei sei Ministri della Comunità Europeaa Parigi | 22 giugno 1953 | D. 1 | |
Riunione dei sei Ministri della Comunità Europeaa Baden-Baden | 7-8 agosto 1953 | D. 34 | D. 1 |
Conferenza dei sostituti dei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea a Roma | 22 settembre - 9 ottobre 1953 | DD. 47, 51 | |
Conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea a L’Aja | 26-28 novembre 1953 | D. 64 | D. 2 |
Conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri dei Paesi firmatari del trattato per la CED a Bruxelles | 19-22 agosto(1954) | D. 282 | D. 3 |
Contemporaneamente proseguirono i lavori del Comitato interinale della CED(7), organizzato in dieci Comitati, dipendenti dal Comitato di direzione, di cui si dà anche conto nei documenti.
Il periodo può quindi essere suddiviso, dal punto di vista della politica italiana, in tre fasi:
a) la fase degli ultimi due Governi De Gasperi, dalla riunione dei Ministri degli Affari Esteri dei Sei di Parigi, del 22 giugno, e dall’apertura della II Legislatura alla riunione di Baden-Baden del 7-8 agosto 1953 e alla costituzione del Governo Pella (17 agosto 1953);
b) la fase del Governo monocolore Pella, dalla conferenza dei sostituti dei Ministri degli Affari Esteri dei Sei di Villa Aldobrandini del settembre 1953 alla conferenza dei Ministri degli Affari Esteri dei Sei dell’Aja del novembre 1953, fino alla caduta del Governo (19 gennaio 1954);
c) la fase dei Governi Fanfani-Piccioni e Scelba-Piccioni, dalle riunioni della Commissione per la CPE (a volte definite come Conferenze dei sostituti di Parigi) del febbraio 1954, alla conferenza dei Ministri degli Esteri dei Sei di Bruxelles, dell’agosto 1954, con il fallimento definitivo della CED (30 agosto 1954).
2.2.1. La riunione dei sei Ministri degli Esteri a Parigi del 22 giugno 1953Nel corso della prima fase la politica italiana fu caratterizzata dall’impostazione degasperiana che aveva informato la conduzione dei negoziati per la CED fino al trattato istitutivo nel maggio 1952 e, soprattutto, dalla proposta italiana di trasformare il negoziato per la CED in un negoziato per la formazione di una comunità politica europea, con l’adozione dell’art. 38 del trattato di Parigi. L’art. 38 prevedeva la procedura per la creazione di un’organizzazione permanente «concepita in modo tale da poter costituire uno degli elementi di una successiva struttura federale o confederale,
7 CED - Comitato interinale della Conferenza CED (così abbreviato e tradotto nei documenti) o Comité Intérimaire de la Conférence pour l’organisation de la Communauté Européenne de Défense. Istituito nel giugno 1952 come successore del Comitato di Direzione della Conferenza di Parigi e organizzato in vari comitati: vedi E. Fursdon, The European Defence Community: A History, London, Macmillan, 1980, p. 198. A capo della Delegazione italiana alla Conferenza CED (o del Comitato Interinale della Conferenza CED) fu l’On. Ivan Matteo Lombardo.
basata sul principio della separazione dei poteri e dotata, in particolare, di un sistema di rappresentanza di due camere».
Nella riunione di Parigi dei sei Ministri degli Affari Esteri del 12 maggio 1953 era stato deciso che il 12 giugno si sarebbe aperta a Roma una conferenza intergovernativa per la preparazione del trattato istitutivo della «Comunità Europea», sulla base del progetto elaborato dall’Assemblea ad hoc istituita ai sensi dell’art. 38 del trattato istitutivo della CED e approvato dall’Assemblea il 10 marzo(8). La riunione venne tuttavia rinviata a causa della crisi ministeriale francese e della formazione del nuovo Governo in Italia e De Gasperi propose di tenere la riunione il 22 giugno a Parigi, dove egli si sarebbe recato nel viaggio verso Londra. La proposta venne accettata da Bidault e la riunione si svolse al Quai d’Orsay. La riunione di Parigi avvenne sotto la presidenza di De Gasperi, in quel momento presidente di turno del Consiglio dei sei Ministri degli Affari Esteri della CECA, ed ebbe carattere ristretto, poiché Bidault si preoccupdi evitare che una vera e propria conferenza internazionale avesse ripercussioni negative sulla crisi politica francese, ancora in corso(9).
Il volume si apre con l’analisi di Magistrati, del 25 giugno, della conferenza di Parigi (D. 1, Allegato), e con la lettera del 30 giugno inviata da De Gasperi agli altri cinque Ministri degli Affari Esteri della CECA, in preparazione della successiva riunione di Baden-Baden, con cui doveva inaugurarsi la conferenza a livello dei sei Ministri degli Esteri e alla quale doveva fare seguito la conferenza a livello dei sostituti (D. 3). Alla lettera di De Gasperi risposero Bech l’8 luglio (D. 14), Adenauer il 14 (D. 20), van Zeeland il 22 (D. 24) e Beyen il 25 (D. 26), mentre non giunse una risposta di Bidault.
Nelle intenzioni di De Gasperi la conferenza a livello dei Ministri doveva segnare l’effettivo avvio del processo per la nascita della Comunità Europea, affrontando «i punti basilari del Trattato», e non doveva avere solo una funzione «procedurale»
(D. 3)(10). Per il Presidente del Consiglio italiano la conferenza avrebbe dovuto essere anche l’occasione per una discussione di problemi politici europei, come scriveva De Gasperi il 5 luglio (D. 10). Da parte della Germania e dei Paesi del Benelux si condivideva l’impostazione italiana. Il punto di vista di Adenauer risulta da un memorandum consegnato il 28 luglio da Hallstein, nel quale venivano delineati in quattro punti gli obiettivi delle decisioni da assumere e fissate le linee procedurali per la prosecuzione del negoziato attraverso la conferenza dei sostituti. Secondo l’impostazione tedesca, la Comunità avrebbe dovuto assorbire la CECA e la CED e «sottoporle al proprio controllo politico e democratico». Essa avrebbe inoltre dovuto «realizzare progressivamente un’ampia integrazione economica e in particolare un mercato comune» (punto
8 D. 1. Si veda Projet de traité portant statut de la Communauté européenne, cit.
9 Per i verbali delle riunioni dei sei Ministri degli Esteri per la redazione dello statuto della Comunità politica europea, vedi ASUE, CM1/CPE.
10 La già nota posizione di De Gasperi venne confermata nel discorso di presentazione del Governo alla Camera dei Deputati, il 21 luglio 1953: «Vero è che la Comunità di difesa, cioè l’esercito comune europeo, è un’iniziativa francese, ma il Governo italiano, pur dovendo superare obiezioni di carattere generale e tecnico in confronto a tale proposta, ne condizionl’accettazione all’impegno dei membri di passare dalla Comunità di difesa e da quella dell’acciaio e del carbone alla logicamente necessaria conseguenza di un’autorità politica europea, cioè all’impegno di creare una Comunità politica europea. Lo sforzo di tale evoluzione continua e va continuato: questa è la nostra concezione europeistica, il nostro contributo pacifico e costruttivo al rinnovamento del continente e al consolidamento della pace»: Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, Seduta del 21 luglio 1953, p. 75.
3). Inoltre le istituzioni della Comunità avrebbero dovuto essere configurate secondo i principi della separazione dei poteri, con un sistema bicamerale, con il mantenimento del consiglio dei Ministri e con la creazione di una «camera dei popoli eletta con elezioni europee dirette» (D. 29). Il Governo francese, invece, non intendeva dare un contenuto concreto alla conferenza, come avvertiva sin dal 2 luglio Quaroni, secondo il quale Bidault aveva accettato la riunione «restando inteso che non si sarebbe trattato di una vera conferenza, ma di una conferenza destinata a far finta di fare qualcosa, per evitare che in Germania si dicesse, alla vigilia delle elezioni, che tutta la politica europea è stata messa da parte» (D. 5; vedi anche DD. 19 e 23 e l’appunto per De Gasperi del 28 luglio, D. 28).
Il 24 luglio, inoltre, De Gasperi ricevette da Spaak, quale presidente dell’Assemblea comune della CECA, la comunicazione adottata dalla Commissione costituzionale dell’Assemblea ad hoc nella seduta del 23 giugno, tenutasi a Strasburgo, nella quali si proponeva di mantenere uno stretto contatto fra il Consiglio dei Ministri e la Commissione costituzionale per l’esame del progetto del 10 marzo (D. 15).
2.2.2. La riunione dei sei Ministri della Comunità europea di Baden-Baden, 7-8 agosto 1953La riunione di Baden-Baden, la prima conferenza internazionale del dopoguerra, cui partecipava il Governo di Bonn, a tenersi su suolo tedesco, si svolse anch’essa sotto la presidenza italiana del Ministro del Commercio Estero, Paolo Emilio Taviani, quale delegato del Ministro degli Affari Esteri De Gasperi, essendosi aperta la crisi politica italiana che doveva porre fine all’ultimo Governo De Gasperi (DD. 31, 32, 34 e 35; sulla preparazione, vedi anche l’Appunto di Magistrati del 17 luglio, D. 23)(11).
Poco prima della riunione, il 3 agosto, il Governo olandese aveva presentato ufficiosamente un Projet de dispositions économiques du Traité portant Statut de la Communauté Européenne (D. 33, Allegato I). Il progetto olandese, che riprendeva il precedente progetto Beyen dell’11 dicembre 1952, reiterato il 14 febbraio 1953(12), era basato sul concetto della creazione di un mercato comune, comportante la libera circolazione delle merci e dei servizi, dei capitali e gli scambi internazionali piliberi che possibile con i Paesi terzi. Come si può notare, sia il Governo tedesco con il memorandum del 28 luglio, sia quello olandese con il progetto di disposizioni economiche del 4 agosto, ponevano già sul tavolo gli elementi essenziali della futura CEE; inoltre il memorandum olandese, all’articolo B («Chaque État membre s’engage à suivre une politique intérieure propre à assurer la stabilité monétaire») anticipava anche il tema della comune politica monetaria basata sul principio della stabilità della valuta.
La conferenza si apriva all’indomani della conferenza tripartita di Washington (10-16 luglio 1953) e sull’onda delle sue ripercussioni. La questione che era al centro
11 La delegazione italiana era composta dal Ministro Paolo Emilio Taviani, dai Ministri plenipotenziari Massimo Magistrati e Raimondo Giustiniani, dal Ministro d’Italia a Lussemburgo Francesco Cavalletti, dal Consigliere di Ambasciata Eugenio Prato, dai Primi segretari Eugenio Plaja e Pier Luigi Alverà, e dal Secondo segretario Carlo Perrone-Capano.
12 Vedi memorandum del Governo olandese dell’11 dicembre 1952 e lettera di Beyen del 14 febbraio 1953, in ASMAE, DGAP, Uff. IV, versamento CED, 1950-1954, b. 14, fasc. 47 e in ASUE, CM1/CPE, 31.2; Harryvan, A.G., Van Der Harst, J. (ed.), Documents on European Union, Department of International Relations and Organisations, University of Groningen. Basingstoke, Macmillan, 1997. pp. 71-74.
dell’attenzione era, quindi, il problema della riunificazione della Germania. La riunione dell’8 fu dedicata alla discussione dei problemi politici europei, come era stato auspicato dal Governo italiano, con la creazione di un «direttorio» di politica estera europea, discussione dedicata soprattutto al problema della Germania orientale.
Nel corso della conferenza venne stabilito di convocare la riunione di sostituti e di esperti, prevista già dalla riunione di Parigi del 12 maggio, che si sarebbe tenuta a Roma il 22 settembre, in modo che i risultati di tali lavori potessero essere esaminati in una nuova conferenza dei Sei Ministri, prevista all’Aja per il 20 ottobre(13).
2.2.3. La conferenza dei sostituti dei Ministri degli Affari Esteri della Comunità, a Villa Aldobrandini, Roma, 22 settembre-9 ottobre 1953Con la crisi dell’VIII Governo De Gasperi e la formazione del Governo “amministrativo” formato da Pella, nell’estate del 1953, ebbe inizio una nuova fase. La questione della partecipazione italiana alla CECA e alla CED venne impostata con una chiara indicazione delle condizioni poste per l’adesione italiana al progetto europeo. Nel discorso di presentazione del Governo alla Camera dei deputati, il 19 agosto, Pella dichiar: «Sicurezza e pace! La sicurezza esige fedeltà alle nostre alleanze e leale esecuzione degli impegni con esse ed in esse assunti. La pace si raggiunge appoggiando ogni seria iniziativa che tenda a risolvere con accordi internazionali le questioni pendenti e – per quanto riguarda il nostro continente – si consolida e si garantisce creando, nella comunità europea, una organica solidarietà tra tutti quegli Stati d’Europa che liberamente e democraticamente accettino un comune statuto di pacifica difesa e di collaborazione intima e permanente. L’Italia continuerà in questa politica, adempiendo agli obblighi che da essa derivano e contribuendo a promuovere quelle iniziative che valgano a consolidarne e ad accelerarne l’attuazione in uno spirito di feconda e pacifica solidarietà. Ma a questa ferma determinazione corrisponde una determinazione altrettanto ferma nella difesa degli interessi nazionali, i quali, scaturendo da evidenti ed elementari principi di giustizia, oltre che da riconoscimenti solennemente espressi, non solo non contrastano con gli obiettivi della comune politica di solidarietà, ma ne costituiscono, nella profonda convinzione del Governo e del popolo italiano, un elemento essenziale ed indivisibile. È chiaro inoltre che anche il presente Governo si associa, con fermissima volontà, alle dichiarazioni ultimamente fatte da questo banco: se l’Italia deve essere, come vuol essere, un membro consapevolmente attivo della alleanza atlantica e della comunità europea, essa ha diritto di venire debitamente e previamente consultata in tutte le questioni di comune interesse; diritto a cui essa non intende in nessun modo ed in nessuna occasione di rinunziare»(14).
E, analogamente, nel successivo discorso del 6 ottobre: «Onorevoli colleghi, la Comunità del carbone e dell’acciaio e la Comunità della difesa non rappresentano nell’opinione del Governo italiano un fine a se stesso. Pur riconoscendone la portata nei rispettivi settori – anzi proprio perché ne riconosciamo tutta questa portata
– noi riteniamo, come ebbi già a dire in questa stessa aula, che queste Comunità
13 Vedi Appendice II, D. 1, Procès-verbal de la Réunion des Six Ministres des Affaires Étrangères tenue à Baden-Baden les 7 et 8 ao 1953, Procès-verbal de la séance du 7 ao 1953.
14 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, Seduta pomeridiana del 19 agosto 1953, p. 358.
debbono essere un aspetto, un elemento, un passo verso una pivasta unione politica che crei vincoli sempre più stretti fra i sei Paesi. È per questo fine che esse ci interessano. Per noi, la Comunità di difesa trova una sua particolarissima e definitiva ragion d’essere in una Comunità politica europea di cui la Comunità di difesa è soltanto uno degli aspetti, per quanto uno degli aspetti più importanti e fondamentali. […] Per questa pivasta Comunità politica europea si sta lavorando proprio in questi giorni a Roma, nella conferenza che siede a Villa Aldobrandini. Il Governo italiano ne segue gli sviluppi con ogni attenzione, e con piacere ha visto partecipare alle discussioni i parlamentari delle sei nazioni che rappresentano quell’assemblea a cui si deve il progetto di statuto europeo del quale si è opportunamente, in questa Camera, fatto ripetuto cenno»(15).
La fase che si inaugurò con la formazione del Governo Pella vide l’introduzione nel negoziato per la CED e la CPE di un elemento nuovo: la decisione di porre un collegamento esplicito fra i negoziati europei e la soluzione della questione di Trieste, entrata in quel momento in una fase critica con il discorso di Tito del 6 settembre a Okroglica (San Basso), che proponeva l’internazionalizzazione di Trieste e l’annessione del TLT; la risposta di Pella nel discorso del Campidoglio del 13 settembre, con la proposta di plebiscito; la decisione anglo-americana dell’8 ottobre di porre termine al Governo militare della zona A; il discorso di Tito a Skopje del 12 ottobre e la mobilitazione italiana e jugoslava il 17 ottobre. Il dibattito parlamentare sulla politica estera, che si svolse alla Camera dal 30 settembre al 6 ottobre, fu in gran parte incentrato sul problema di Trieste. Nel suo discorso di replica, il 6 ottobre, Pella dichiar «Oratori hanno accennato ad una interdipendenza tra la ratifica del trattato per la Comunità europea di difesa e il problema della nostra frontiera orientale. Anche a non voler assumere la posizione francamente negativa e pessimistica assunta da alcuni, una constatazione comunque nasce evidente dalle dichiarazioni che abbiamo udito in quest’aula, ed è che la ratifica del trattato sarà grandemente facilitata da una previa soluzione del problema»(16).
La decisione di condizionare la ratifica alla soluzione della questione di Trieste sollevava non pochi problemi, come evidenziato da Quaroni nei suoi rapporti, secondo il quale, una volta che la si era posta in quei termini, sarebbe stato difficile «rimettere la questione nel frigidaire» (D. 54). In effetti, tuttavia, tale condizionamento non venne espresso nelle discussioni sulla CPE durante la conferenza dei sostituti e, dopo la decisione alleata dell’8 ottobre, fu ritenuto «superato dagli avvenimenti» (Zoppi a Quaroni, lettera del 13 ottobre 1953, D. 56).
La conferenza dei sostituti e degli esperti per la redazione dello statuto della CPE si tenne nella sede dell’Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato, nella Villa Aldobrandini (già Vitelli), prospiciente su largo Magnanapoli a Roma. La conferenza si articolin riunioni plenarie e in riunioni del Comitato di direzione. Nel corso della conferenza la delegazione francese si dichiarò contraria al principio della sovranazionalità dell’organo esecutivo della Comunità contenuto nella bozza di costituzione di Comunità Politica (DD. 51 e 55).
15 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, Seduta pomeridiana del 6 ottobre 1953, p. 1505.
16 Ivi, p. 1504.
2.2.4. La conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea a L’Aja, 26-28 novembre 1953La conferenza a livello dei Ministri degli Affari Esteri a L’Aja si svolse, sotto la presidenza del Ministro degli Affari Esteri del Lussemburgo, Bech, nella Ridderzaal del Binnenhof dal 26 al 28 novembre 1953 e di essa venne redatto il verbale ufficiale, che si pubblica in Appendice(17). Il bilancio per l’Italia è contenuto nell’appunto di Magistrati del 30 novembre (D. 64). Anche in questo caso, su richiesta del Governo italiano, si svolse uno scambio di idee sulle questioni politiche che interessavano i sei Paesi, e quindi, per l’Italia sulla questione di Trieste, su cui Pella, nella seduta del 28 novembre, espose la situazione, ponendola in relazione con la valutazione complessiva della politica estera jugoslava, quale finalizzata a rivestire un ruolo di egemonia regionale balcanica e a costituire una “terza forza” fra Occidente e Oriente(18).
L’intervento di Pella dimostrava che, in effetti, la questione di Trieste non si era conclusa con la decisione alleata dell’8 ottobre. Nel consiglio atlantico del 14-16 dicembre Pella espresse nuovamente l’esigenza di una soluzione della questione del confine orientale per consentire al Governo di ottenere l’approvazione del trattato istitutivo della CED, con una dichiarazione molto netta che «la richiesta del Governo al Parlamento di ratificare gli accordi per la CED verrebbe ad urtare in gravi difficoltà fino al momento in cui il problema della nostra frontiera orientale non venisse a trovare una soluzione soddisfacente» (DD. 71, 72 e 73).
2.2.5. La Commissione per la redazione dello statuto della CPE (o Conferenza dei sostituti dei Ministri degli Esteri per la CPE) a Parigi dal 12 dicembre 1953 all’8 marzo 1954
Alla conferenza dell’Aja, nel corso della prima riunione, su proposta di Beyen, venne deciso di incaricare una Commissione, composta degli stessi esperti che avevano fatto parte della conferenza dei supplenti di Roma, di «proseguire lo studio dei punti non ancora risolti». La Commissione si sarebbe riunita a Parigi e avrebbe preparato una prossima conferenza dei sei Ministri che si sarebbe dovuta tenere in primavera, «senza essere circondata da giornalisti, che ogni giorno vogliono vedere una scadenza»(19). La Commissione per la redazione dello statuto della CPE inizii lavori con la seduta plenaria del 12 dicembre 1953(20), a Parigi, e – in sostanza – fu la continuazione della conferenza dei sostituti di Villa Aldobrandini(21). Una nuova riunione plenaria si svolse il 23-24 febbraio 1954(22). I lavori si svolsero in analogia con quelli della conferenza
17 Vedi Appendice II, D. 2, Procès-verbal de la Conférence des Ministres des Affaires Étrangères tenue à La Haye, les 26, 27 et 28 novembre 1953. La delegazione italiana era composta dal Ministro Giuseppe Pella (Presidente), dall’On. Lodovico Benvenuti, Sottosegretario agli Esteri, dai Ministri plenipotenziari Massimo Magistrati e Giulio Del Balzo, dal Consigliere di Ambasciata Eugenio Prato, dal Ministro d’Italia a Lussemburgo, Francesco Cavalletti e dai Primi segretari Pier Luigi Alverà, Eugenio Plaja e Luciano Favretti.
18 Vedi D. 66, Allegato, Exposé de S.E. M. Pella sur la question de Trieste.
19 Vedi Appendice II, D. 2, Premier séance (jeudi 26 novembre 1953).
20 Projet de procès-verbal de la première séance de la Commission tenue, à Paris, le samedi 12 dé-cembre 1953, à 9 heures, in ASUE, CM1/CPE, 18.1.
21 Per tale ragione, nei documenti (DD. 111, 119, 127) la Commissione per la CPE viene a volte definita «Conferenza dei sostituti per la CPE» (o anche «Comitato dei Sostituti»).
22 Procès-verbal des troisième e quatrième séances plénières tenues les 23 et 24 février 1954, in ASUE, CM1/CPE, 19.1. Nell’archivio non risulta un verbale della seconda riunione plenaria.
di Villa Aldobrandini, quindi si articolarono in riunioni plenarie (a cui presero parte anche i rappresentanti dell’Assemblea ad hoc) e in riunioni ristrette del Comitato di direzione, a cui partecipavano i capi delle delegazioni (i sostituti dei Ministri degli Affari Esteri): per l’Italia il Sottosegretario di Stato, On. Lodovico Benvenuti, che presiedette la delegazione nelle riunioni del 22-24 febbraio e dell’8 marzo 1954, mentre la prima riunione del 28-29 gennaio 1954 fu presieduta dall’On. Ivan Matteo Lombardo(23). Nella prima riunione plenaria della Commissione, il 12 dicembre, venne inoltre deciso di organizzare i lavori con l’istituzione di un Comitato Istituzionale, un Comitato Economico e un Comitato per i principi dell’elezione della Camera dei popoli, nonché un Sottocomitato del Comitato Istituzionale per i problemi budgetari. Il Comitato di direzione si sarebbe riunito il 28 gennaio per esaminare i risultati dei comitati tecnici. Il 6 gennaio, in vista delle riunioni del Comitato Istituzionale e del Comitato Economico, che dovevano iniziare il 7(24), vennero fissate le istruzioni – redatte dal Sottosegretario On. Benvenuti – sulla conduzione del negoziato da parte dei delegati italiani (D. 75). L’8 marzo il Comitato di direzione della Commissione approvò il progetto del rapporto elaborato dal Comitato Istituzionale(25), che avrebbe dovuto essere sottoposto alla conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri, prevista per il 30 marzo a Bruxelles (DD. 136 e 161). La conferenza di Bruxelles, tuttavia, venne successivamente rinviata e il Comitato di direzione riprese le proprie riunioni e diede mandato ai Comitati di proseguire i lavori sulla base del rapporto ai Ministri (D. 217). La Commissione di Parigi, quindi, prolungi propri lavori con le riunioni del Comitato di direzione del marzo, aprile e maggio 1954 e il Comitato Istituzionale e il Comitato Economico proseguirono anch’essi i propri lavori, sempre a Parigi, dall’11 maggio (D. 217) fino alla fine di giugno, dopo di che, all’indomani della formazione del nuovo Governo Mendès France, si decise che i lavori si sarebbero aggiornati senza una nuova convocazione del Comitato di direzione (D. 222). Nel suo insieme, dunque, la Conferenza dei sostituti di Parigi (sotto il nome ufficiale di Commissione per la CPE) occupil periodo compreso fra la conferenza dell’Aja e quella di Bruxelles, dal 12 dicembre 1953 alla fine di giugno 1954.
Rivestono un particolare interesse, specie sotto il profilo del successivo “rilancio” dell’aprile 1955, con il progetto di mercato comune, le discussioni in merito alle questioni economiche, che presero avvio dalla presentazione del memorandum olandese, del 3 agosto 1953. Nella conferenza di Baden-Baden i sei Ministri degli Affari Esteri concordarono sulla necessità di creare un mercato comune, recependo la proposta olandese. Nella conferenza dei sostituti di Villa Aldobrandini venne riconosciuto il principio che il mercato comune, fondato sulla libera circolazione delle merci, dei capitali, delle persone e dei servizi, fosse condizione necessaria per lo sviluppo economico. E questi punti essenziali furono quindi approvati dai Mini-
23 La delegazione italiana nel Comitato di direzione della Commissione del 28 gennaio 1954 era composta da Ivan Matteo Lombardo (capo della delegazione italiana nel Comitato interinale della CED), il Ministro d’Italia a Lussemburgo, Cavalletti, i Consiglieri d’Ambasciata Bombassei de Vettor e Prunas, il Segretario di legazione de Rossi e l’Attaché di Ambasciata Pisa. Nelle riunioni del 22-24 febbraio e dell’8 marzo la presidenza venne assunta dall’On. Lodovico Benvenuti. L’8 marzo fu presente anche il Ministro Massimo Magistrati.
24 La riunione del Comitato Istituzionale in effetti si tenne l’8 gennaio 1954.
25 Projet de rapport aux Ministres des Affaires Étrangères, in ASUE, CM1/CPE, 24.1.
stri degli Esteri nella successiva conferenza dell’Aja, nel novembre 1953. Lo studio del problema venne, quindi, affidato alla Commissione per la CPE che fu stabilita a Parigi e, in particolare, al Comitato Economico della Commissione (vedi D. 78). Nelle riunioni del Comitato Economico, il Governo italiano chiese che il problema della libera circolazione delle persone, obiettivo prioritario di tutti i Governi italiani sin dal Piano Marshall, fosse inserito come «fattore fondamentale del mercato comune» e, il 15 febbraio 1954, presentun documento intitolato «Considerazioni sulla liberalizzazione delle persone nell’ambito della comunità politica europea», poi recepito come documento della Commissione, «Comité économique: Note sur la libre circulation des personnes (présentée par la délégation italienne)» (CCP/CE/ Doc. 29), e un breve documento di sintesi, anch’esso recepito come documento della Commissione, «Comité économique: Avant-Projet de Formules de Synthèse» (CCP/ CE/Doc. 33) (D. 183 e Allegati). Le proposte italiane vennero poi sostanzialmente accettate e incluse nel Rapporto finale della Commissione per la CPE dedicato alle questioni economiche(26).
2.2.6. I Governi Fanfani-Piccioni e Scelba-PiccioniCon la caduta del Governo Pella, si chiuse il tentativo di collegare esplicitamente la ratifica della CED alla soluzione del problema di Trieste. La fase che venne avviata, a partire dal 19 gennaio 1954, dal Governo Fanfani-Piccioni e, poi, venne continuata dal Governo Scelba-Piccioni, sarebbe proseguita oltre il fallimento del trattato CED, con le due conferenze di Parigi e di Londra e l’avvio della fase del “rilancio europeo” nell’aprile 1955, fino alla caduta del Governo Scelba.
Fanfani espresse la posizione del nuovo Governo nel discorso alla Camera dei Deputati del 26 gennaio, affermando che «l’unità europea rappresenta un disegno che dovrà sboccare nella Comunità politica» e dichiarando che il Consiglio dei Ministri del 23 gennaio «riapprovando il disegno di ratifica della CED, [aveva] riespresso la sua convinzione che la Comunità difensiva garantisce la pace interna della Comunità e ne favorisce l’esterna sicurezza, preparando quell’intima integrazione che i piauspicano. Presentandosi prossimamente il disegno di legge dinanzi al Parlamento, questo avrà modo di manifestare il voto della suprema rappresentanza politica italiana»(27). La ratifica del trattato CED veniva formalmente svincolata dalla questione giuliana, ma la soluzione di quest’ultima avrebbe continuato a costituire pur sempre un’esigenza prioritaria per il Governo italiano, che si sarebbe trovato in difficoltà a far approvare la ratifica senza aver risolto la questione giuliana. Scelba, nel discorso di presentazione del nuovo Governo alle Camere, il 18 febbraio 1954, annunci che il Consiglio dei Ministri, nella sua prima riunione, aveva «confermato la decisione di chiedere al Parlamento che prossimamente discuta e deliberi la ratifica del trattato per la Comunità europea di difesa». A questo impegno, tuttavia, veniva collegato quello per la soluzio-
26 Si veda la versione italiana in ASUE, CM1/CPE, 24.7, Commissione per la Comunità Politica Europea, Rapporto ai Ministri degli Affari Esteri, Seconda Parte, Questioni Economiche – Segretariato, in particolare il Capitolo 2, Sezione C («Libertà nella circolazione delle persone»), paragrafo 3 («Collocamento dell’eccesso di mano d’opera»).
27 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 26 gennaio 1954, p. 5029; di identico contenuto le dichiarazioni al Senato: Ivi, Senato, legislatura II, Discussioni, seduta del 26 gennaio 1954, p. 2837.
ne della questione del problema di Trieste, dato che il Governo era convinto che «la Comunità dei popoli di cui facciamo parte» poteva tanto pirafforzarsi quanto maggiore si fosse dimostrata «la reciproca solidarietà e comprensione degli interessi vitali di ciascuno dei suoi componenti» e a «questo convincimento» esso avrebbe ispirato la propria azione «per raggiungere finalmente quella soluzione di giustizia del problema del Territorio Libero di Trieste, reclamata dal Paese e verso il quale si rivolge l’animo di tutta la nazione»(28).
Nello stesso senso Scelba si espresse in una lettera del 27 marzo al Segretario di Stato americano, Dulles, in cui affermava che «La maggioranza dell’opinione pubblica italiana è favorevole alla CED ma la forza stessa delle circostanze la porta a considerare il problema della ratifica in rapporto con la situazione oggi esistente alla frontiera orientale», situazione che si sarebbe potuta risolvere solo con l’attuazione della decisione dell’8 ottobre (DD. 160 e 167)(29). Dulles rispose assicurando che il Governo statunitense ben si rendeva conto dell’importanza della questione di Trieste e che stava compiendo ogni sforzo per risolverla, ma al tempo stesso raccomandando al Presidente del Consiglio italiano che «niente distolga dal fare uso della maggioranza, per quanto modesta essa sia, che appoggia il Suo Governo allo scopo di consolidare il posto dell’Italia nella Comunità a Sei» (D. 171)(30). Nel corso del Consiglio Atlantico del 25 aprile non si fece menzione della questione della frontiera orientale (D. 181). Tuttavia, in via di fatto, le due questioni rimasero collegate da un rapporto di condizionamento. Nell’incontro fra Scelba, Piccioni e Dulles di Villa Carminati a Gallarate, del 3 maggio, il Presidente del Consiglio italiano, pur affermando che il Governo manteneva distinte la questione di Trieste da quella della ratifica della CED, tuttavia rilevche le due questioni erano collegate e che «un voto parlamentare sulla CED, prima che sia risolta soddisfacentemente la questione di Trieste, sia quanto mai rischioso». Anzi, l’urgenza – riconosciuta dal Governo italiano – di far entrare in vigore la CED quanto prima faceva divenire urgente anche la soluzione del problema triestino, in ordine al quale il Governo italiano «non potrebbe accettare, come soluzione provvisoria, una soluzione meno favorevole di quella offerta l’8 ottobre al Governo precedente in quanto, in caso diverso, di fronte al Parlamento e all’opinione pubblica, il Governo subirebbe una sconfitta in campo internazionale e, di conseguenza, una grave perdita di prestigio. E senza prestigio non si pugovernare e tanto meno condurre una efficace resistenza al comunismo» (D. 187).
La linea che il Ministero degli Affari Esteri avrebbe seguito in questa nuova fase è quella decisa nel corso di una riunione ministeriale del 25 gennaio 1954, nel corso della quale venne messa a punto la posizione sul progetto di integrazione economica, sulla base di un appunto della Direzione Generale degli Affari Economici (D. 91 e D. 89).
28 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 18 febbraio 1954, p. 5537. Il disegno di legge per la ratifica del trattato, in effetti, venne presentato il 6 aprile: vedi Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 6 aprile 1954, p. 6713; Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, N. 767, Disegno di legge presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (Scelba) e dal Ministro degli Affari Esteri (Piccioni) di concerto con tutti i Ministri: Ratifica ed esecuzione degli Accordi per la Comunità europea di difesa.
29 Sulle difficoltà di questa posizione si veda la L. riservatissima di Magistrati a Quaroni del 29 marzo 1954, D. 163.
30 Si veda, a tale proposito, l’importante messaggio di Eisenhower trasmesso a Scelba dall’Ambasciatrice Clare Boothe Luce il 16 aprile 1954 in D. 176 e nota 3.
2.2.7. La conferenza di Bruxelles per la CED, 19-22 agosto 1954La formazione del nuovo Governo Mendès France, il 21 giugno 1954, al termine della crisi politica apertasi in Francia il 17 giugno, segn l’inizio della fase conclusiva della vicenda del trattato istitutivo della CED e della costituzione della CPE. Proprio in considerazione dell’atteggiamento del nuovo Governo francese e della probabile ricerca, da parte di esso, di una «soluzione di ricambio» rispetto al trattato di Parigi, i tre Governi del Benelux decisero di premere per la convocazione urgente della Conferenza dei Sei, a Bruxelles, fra il 30 giugno e il 3 luglio (DD. 205 e 206), iniziativa a cui Piccioni si dichiarsubito favorevole (D. 207), come anche la Cancelleria federale. Il Governo francese, tuttavia, in occasione dell’incontro fra Mendès France e Spaak del 30 giugno, chiese un rinvio della riunione. Sulla nuova situazione, aperta con la crisi del trattato CED, si vedano le istruzioni inviate a Quaroni il 5 luglio, all’indomani del colloquio Quaroni-Mendès France, in merito al prospettarsi di un «caso italiano», consistente nella possibilità che si indebolisse il processo integrativo politico, obiettivo essenziale in vista del quale il Governo italiano aveva aderito alla CED (D. 230). Ancora di maggiore importanza fu l’avvio a Londra, dal 5 al 12 luglio, a seguito dell’incontro Eden-Eisenhower, dei negoziati anglo-americani sull’applicazione degli accordi di Bonn sulla Germania, che avrebbero consentito alla Repubblica Federale di Germania di recuperare la propria sovranità, accordi conclusi contestualmente al trattato CED e condizionati alla sua ratifica (DD. 231 e 236).
Sin dalla formazione del nuovo Governo si pose la questione della ricerca di una “soluzione di ricambio” per la CED, questione peraltro già da tempo ventilata (vedi D. 243 e D. 244 sul colloquio Benvenuti-Guérin de Beaumont del 28 luglio). Il 13 agosto il Governo Mendès France approvò il testo delle modifiche del trattato istitutivo della CED da esso richieste come condizione per la ratifica del trattato(31), testo che venne comunicato ai sei Governi interessati il 14(32) (DD. 256, 257, 258 e 259).
La conferenza di Bruxelles, prevista già durante la conferenza dell’Aja per il 30 marzo, successivamente rinviata su richiesta francese, si tenne dal 19 al 22 agosto ed ebbe il ruolo decisivo di concludere negativamente il lungo processo seguito alla firma del trattato istitutivo della CED. La prima riunione della conferenza, la mattina del 19, fu breve e ne fu redatto un verbale ufficiale, che si pubblica(33). Il seguito della conferenza avvenne in seduta ristretta, senza redazione di un verbale ufficiale(34). L’intervento di Piccioni, il 19, seguì il contenuto elaborato dalla DGCI sulla base dell’analisi della proposta francese (D. 265)(35). L’impostazione della posizione italiana alla conferenza risulta dall’appunto del Segretario Generale, Zoppi, per il Ministro (D. 250). Le dichiarazioni di Mendès France all’inizio della riunione del 19 agosto, non verbalizzate, sono riportate nel testo trascritto da Magistrati e inviato – per conoscenza riservata – a Quaroni (D. 288). Inoltre si pubblicano i telegrammi con i quali Piccioni riferì a Scelba l’andamento della conferenza, con particolare riguardo per le discussioni concernenti le richieste francesi (DD. 266, 267, 268, 269, 270 e 272).
31 Vedi Appendice II, D. 3 e Projet de protocole sur la CED adopté le 13 ao 1954 par le Gouvernement français en vue de la conférence de Bruxelles, in P. Mendès France, Œuvres complètes, III: Gouverner c’est choisir, 1954-1955, Paris, Gallimard, 1986, pp. 804-813.
32 Vedi D. 256, nota 3.
33 Vedi Appendice II, D. 3. Per la composizione della delegazione italiana vedi D. 282, note 3 e 4.
34 I verbali non ufficiali della conferenza, redatti da Spaak, sono disponibili in ASUE, PHS, 6.308.
35 ASUE, PHS, 6.308, Conférence de Bruxelles. Séance restreinte du 19 ao 1954, pp. 16-17.
3. Uffici del Ministero degli Affari Esteri
Nel periodo trattato nel volume, come si è detto, si alternano tre Ministri degli Affari Esteri: Alcide De Gasperi, per il breve periodo fino al 17 agosto 1953, Giuseppe Pella, fino al 18 gennaio 1954, e Attilio Piccioni, che avrebbe continuato a tenere il dicastero anche nel periodo successivo. A capo del Gabinetto del Ministro, dal 14 agosto 1951, era Giovanni Scola Camerini, sostituito da Eugenio Prato dal 1° aprile 1954. I Sottosegretari furono Francesco Maria Dominedin tutti i cinque Governi che si sono susseguiti; Paolo Emilio Taviani fino al 16 luglio 1953, Lodovico Benvenuti da tale data e Vittorio Badini Confalonieri a partire dal 10 febbraio 1954 con la formazione del Governo Scelba-Piccioni. Fra costoro, come si è accennato, fu Benvenuti ad avere un ruolo di maggiore rilievo nella conduzione delle trattative per la CPE, rappresentando l’Italia nelle conferenze dei sostituti.
Nel periodo qui considerato il Ministero era strutturato, essenzialmente in base all’Ordinamento Sforza, così come modificato con i provvedimenti successivi, con una ripartizione “verticale” per materia anziché geografica. La struttura dell’amministrazione centrale del Ministero era, quindi, articolata in una Segreteria Generale, diretta dall’Ambasciatore Vittorio Zoppi dal 1° giugno 1948 al 6 dicembre 1954, in una Direzione Generale degli Affari Politici (DGAP), in una Direzione Generale degli Affari Economici (DGAE), in una Direzione Generale della Cooperazione Internazionale (DGCI) e in una Direzione Generale dell’Emigrazione (DGE). La DGCI, istituita con ordine di servizio n. 5 del 29 febbraio 1952, diretta da Massimo Magistrati, era organizzata in tre uffici: un Ufficio I per la NATO, la CED e la CPE, diretto da Eugenio Plaja, un Ufficio II per gli Istituti Internazionali per la Cooperazione Economica (l’OECE) e le questioni economiche e un Ufficio III per il Consiglio d’Europa e fu quindi competente per l’integrazione europea. Pertanto Magistrati fu il funzionario che coordinle trattative, delegate dal Ministro da un punto di vista politico, come si è detto, al Sottosegretario Benvenuti. Nel 1955, con ordine di servizio n. 8 del 4 marzo, la DGCI venne unificata con la DGAP e le competenze dell’Ufficio II della DGCI (Istituti Internazionali per la Cooperazione Economica) furono trasferite alla DGAE, mentre quelle dell’Ufficio I, per i rapporti politici multilaterali tra i Paesi aderenti al Patto Atlantico, all’UEO e al Consiglio d’Europa nonché per le Nazioni Unite, furono trasferite a un ufficio di nuova costituzione, l’Ufficio Cooperazione Internazionale, all’interno della DGAP, di cui Magistrati era divenuto Direttore Generale. Tale ufficio venne soppresso con l’ordine di servizio n. 10 del 31 maggio 1956, quando fu sostituito da due distinti uffici: dall’Ufficio Cooperazione Europea, per la trattazione delle questioni relative all’UEO e al Consiglio d’Europa, e dall’Ufficio NATO.
Per i dettagli dell’Amministrazione centrale e delle rappresentanze diplomatiche si rinvia all’Appendice I.
4. Fondi utilizzati
Fonte principale è l’archivio della DGCI, Ufficio I, competente per materia, pervenuto attraverso i versamenti dell’Ufficio I (versamento 1952-1954) e dell’Ufficio IV (versamento CED, 1950-1954) della DGAP. Oggetto di consultazione e ricognizioni sono stati anche gli altri fondi potenzialmente utili che hanno permesso di integrare il materiale rinvenuto nel fondo citato: Raccolta dei telegrammi della Cifra, Gabinetto del Ministro, DGCI-Ufficio II, DGAP e Rappresentanze diplomatiche.
Le ricerche sono state integrate con la documentazione depositata negli Archivi Storici dell’Unione Europea, ASUE, presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze, consultabile digitalmente, con particolare riguardo per la sezione Conseil spécial de ministres CECA - Négociations du statut de la Communauté politique européenne (Consiglio speciale dei Ministri CECA - Negoziazione dello statuto della Comunità Politica Europea) (CM1/CPE).
La presenza dell’archivio dell’ufficio ‘capofila’, DGCI, Ufficio I, ha favorito il reperimento di documentazione particolarmente ricca e significativa, attestata abbondantemente in tutte le sue tipologie (appunti e verbali, rapporti, lettere, telegrammi) e a tutti i livelli di interlocuzione (Ministro degli Esteri, Sottosegretari, Segretario Generale, Ambasciatori e Direttori Generali).
Nell’Appendice II sono stati raccolti i verbali, gli annessi e i comunicati finali delle riunioni dei Sei Ministri degli Affari Esteri tenutesi a Baden-Baden (7-8 agosto 1953), a L’Aja (26-28 novembre 1953) e a Bruxelles (19-22 agosto 1954).
La documentazione relativa alla conferenza di Bruxelles consta in realtà soltanto di un resoconto della seduta plenaria del 19 agosto (compte-rendu, Communauté Européenne de Défense - Conférence de Bruxelles, Première séance, Jeudi, 19 ao 1954, CR/1) e del comunicato finale con i relativi annessi (protocole d’application du Traité instituant la Communauté Européenne de Défense; Project de déclarationproposé au nom de leur Gouvernements par les Ministres des Affaires Étrangères de la République Fédérale d’Allemagne, du Royaume de Belgique, de la République Italienne, du Grand-Duché de Luxembourg et du Royaume des Pays-Bas pour l’interprétation et l’application du traité de Paris instituant la communauté européenne de défense).
A proposito di questa riunione Magistrati osservava:
«[...] Occorre subito far notare – e la cosa ha un indubbio significato – che questa volta non si è trattato di una delle normali riunioni dei sei Ministri degli Esteri dei Paesi della Comunità Europea. L’organizzazione, infatti, della Conferenza non è stata affidata, secondo quanto era sempre avvenuto in passato, al Segretariato Permanente dei Ministri della CECA, ma è stata invece assunta direttamente dal Ministero degli Esteri belga, e lo stesso Ministro degli Esteri Spaak, pur essendo il Presidente di turno del Consiglio CECA, ha chiesto ai suoi colleghi un’investitura di Presidenza ex novo, cosa che è subito, del resto, avvenuta, all’inizio della Conferenza, su proposta del Cancelliere germanico Adenauer [...]. Subito dopo il Presidente Mendès-France ha chiesto che la riunione assumesse senz’altro un carattere del tutto privato e ristretto (carattere che è stato, del resto, severamente mantenuto sino alla fine dei lavori) dovendo egli esporre ai suoi colleghi, innanzi tutto, considerazioni di tono e contenuto del tutto riservati. Le delegazioni hanno così lasciato la sala delle riunioni nella quale sono rimasti soltanto due rappresentanti per Paese (per l’Italia, eccezionalmente, tre, per facilitare la traduzione, in lingua italiana, della documentazione)» (D. 282).
Non sono stati rinvenuti, nei fondi del Ministero né in quelli online della sezione “Istituzioni europee” dell’ASUE, verbali né minute sulle sedute ristrette. Si conservano soltanto delle minute nel fondo Paul-Henri Spaak, PHS, 6.308. Non è stata rinvenuta documentazione che attesti una circolazione di tali minute tra i partecipanti alla con-ferenza. Si può pertanto ipotizzare che, essendo nel frattempo sopraggiunto il voto contrario dell’Assemblea francese, non si sia ritenuto di procedere alla diffusione dei documenti e alla verbalizzazione definitiva.
I fondi consultati sono stati pertanto i seguenti:
A) Uffici centrali:
a. Cifra, Telegrammi segreti e ordinari in partenza e in arrivo
b. Gabinetto del Ministro, versamenti 1944-1958, 1953-1961
c. Direzione Generale Affari Politici, Segreteria, 1951-1958
d. Direzione Generale Affari Politici, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956
e. Direzione Generale Affari Politici, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 19521954
f. Direzione Generale Affari Politici, Uff. I, versamenti: 1951-1957, 19451960, 1947-1962
g. Direzione Generale Affari Politici, Uff. IV, versamento CED, 1950-1954
h. Direzione Generale Cooperazione Internazionale, Uff. II, 1951-1954
B) Rappresentanze diplomatiche:
i. Ambasciata d’Italia a Londra, versamento 1951-1954
j. Ambasciata d’Italia a Parigi, versamento 1951-1960
k. Ambasciata d’Italia a Washington, versamento 1940-1973
l. Rappresentanza italiana presso il Consiglio Atlantico (Ex Delegazione Ced), 1951 - 1954
Firenze, Istituto Universitario Europeo, Archivi Storici dell’Unione Europea (ASUE):
A) Istituzioni europee:
- Conseil spécial de ministres CECA - Négociations du statut de la Communauté politique européenne (CM1/CPE)
B) Archivi di personalità:
-Paul-Henri Spaak, PHS-06 - Troisième mandat en tant que ministre des Affaires étrangères
5. Riconoscimenti La pubblicazione di questo volume è dovuta alla decisione del Ministero degli Affari Esteri di mettere a disposizione degli storici e dei cittadini la documentazione sulla politica internazionale dell’Italia secondo criteri scientifici e oggettivi, senza alcuna finalità politica. Esso è stato realizzato dall’Unità di Analisi, Programmazione, Statistica e Documentazione Storica, diretta dal Ministro Armando Barucco, coadiuvato dal Dott. Lorenzo Vai nel coordinamento del settore storico-diplomatico. Il volume che presentiamo è stato il frutto della collaborazione del personale del Ministero degli Affari Esteri, che ha partecipato a vario titolo e con eccezionale impegno e competenza alle fasi della sua preparazione. Le ricerche della documentazione nei fondi dell’Archivio Storico-Diplomatico
del Ministero sono state compiute dalle archiviste di Stato della Sezione Pubblicazione Documenti Diplomatici, Dott.ssa Rita Luisa De Palma e Dott.ssa Ersilia Fabbricatore, le quali, oltre ad effettuare la ricerca e la selezione, sono responsabili per la preparazione complessiva del volume: collazione dei testi, redazione delle intestazioni e delle note critiche, ricerche storiche e bibliografiche necessarie; a tale lavoro di preparazione ha collaborato anche la Sig.ra Andreina Marcocci. Le dott.sse De Palma e Fabbricatore hanno altresì redatto i regesti dei documenti, la descrizione dei fondi utilizzati e degli uffici del Ministero e hanno dato un contributo essenziale alla redazione dell’introduzione. Hanno infine offerto un prezioso contribuito alle trascrizioni dei documenti in francese dell’Appendice II le signore Isabella Celata, Lucilla Manisco e Alessandra Morelli. Come nei volumi precedentemente pubblicati, la straordinaria competenza, la dedizione e la passione delle archiviste che hanno preparato il volume sono state un elemento indispensabile per poter portare a termine la pubblicazione, specie tenendo conto del difficile periodo in cui tale lavoro si è svolto, fra il marzo e l’agosto 2020.
I curatori inoltre desiderano esprimere il proprio apprezzamento nei confronti dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato per la cura che ha dedicato, come sempre, all’allestimento tipografico del volume. In particolare si ringraziano: il MEF, Direzione dei servizi erogati alle amministrazioni e ai terzi, e l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, nelle persone del Dott. Luca Fornara, del Dott. Francesco Greco, del Sig. Daniele D’Amato e della Sig.ra Ersilia Santi Amantini per l’allestimento e la stampa del volume, con la consueta perfezione tecnica.
I curatori hanno l’esclusiva responsabilità dell’impostazione del volume, della scelta dei documenti pubblicati e dei criteri dell’edizione, nonché della redazione dell’apparato critico e dell’Introduzione. Le ricerche e la scelta del materiale sono state effettuate con criteri esclusivamente scientifici da parte dei curatori e con assoluta indipendenza.
Prof. Francesco Lefebvre D’Ovidio Prof. Antonio Varsori
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI(1)
Telespr. segreto 21/2292(2). Roma, 25 giugno 1953.
Oggetto: Riunione dei Sei Ministri degli Esteri della CED a Parigi 22 giugno 1953.
Come è noto, nella riunione tenuta a Parigi il 12 maggio u.s., i sei Ministri degli Esteri della Comunità Europea decisero che il 12 giugno avrebbe avuto inizio a Roma una Conferenza intergovernativa per la preparazione del progettato Trattato istitutivo di una Comunità Politica Europea, sulla base sovratutto dell’esame del testo elaborato dall’Assemblea ad hoc. Qualche giorno prima dell’inizio della Conferenza il Governo Francese, in vista della crisi governativa, chiedeva un rinvio. Nei giorni successivi, il prolungarsi della crisi suddetta, il prossimo cambiamento ministeriale in Italia, l’incertezza sulla data d’inizio della Conferenza delle Bermude, unendosi ad altri elementi inerenti alla situazione politica generale, rendevano piuttosto complesso il problema della fissazione di una nuova data per l’inizio della Conferenza in questione.
In tali condizioni il Presidente De Gasperi, anche nella sua qualità di Presidente di turno dei sei Ministri, insisteva perché almeno una riunione dei sei Ministri si tenesse senza ulteriore ritardo e proponeva di effettuarla a Parigi ove egli si sarebbe trovato il 22 corrente nel corso del suo viaggio per l’Inghilterra. Una tale riunione appariva necessaria sovratutto di fronte alle opinioni pubbliche nazionali ed internazionali portate naturalmente ad attribuire un particolare significato, nelle presenti condizioni, all’avvenuto rinvio dell’inizio della Conferenza, era inoltre vivamente richiesta dal Cancelliere Adenauer che aveva accettato il predetto rinvio con non poca difficoltà; e presentava in fine, in vista della prossima riunione delle Bermude, interessanti possibilità politiche che conveniva, anche in favore delle posizioni europeistiche, non trascurare.
A seguito di tali insistenze il Ministro Bidault accettava di tenere la predetta riunione il 22 corrente a Parigi; dato peraltro la particolare situazione del Governo francese e sua personale, chiedeva che detta riunione avesse carattere intimo e «informal», senza redazione di processi verbali ufficiali e senza quindi che fosse necessaria la presenza del Segretariato del Consiglio dei Ministri CECA. La riunione si effettuava come previsto; per riservatissima notizia di codesta Rappresentanza si trasmette in allegato un appunto riassuntivo al suo svolgimento. Si unisce anche copia del comunicato stampa emesso al termine della riunione stessa.
Allegato I
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI
Appunto riservatissimo(3). Roma, 24 giugno 1953.
APPUNTO SULLA RIUNIONE DEI SEI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI DELLA COMUNITÀ EUROPEA (PARIGI, QUAI D’ORSAY, 22 GIUGNO 1953)
La genesi di questa riunione è stata tra le picomplesse e difficili. A Parigi, il 12 maggio era stato, come è noto, stabilito che alla data del 12 giugno avesse luogo, a Roma, una «Conferenza» i cui lavori dovevano essere dedicati allo studio delle questioni relative al futuro Statuto per una Comunità Politica Europea. Tale Conferenza avrebbe dovuto dividersi in due momenti: dapprima, a guisa di prologo, una riunione dei sei Ministri degli Esteri, atta a permettere, ad altissimo livello, l’avvicinamento di contrastanti punti di vista, ed in seguito, una vera e propria Conferenza di funzionari, tecnici ed esperti, divisi in delegazioni presiedute, ciascuna, da un «Sostituto» del Ministro degli Esteri.
La crisi politica francese, con il succedersi delle mancate convalide, da parte del Parlamento di Parigi, dei candidati alla Presidenza del Consiglio, spinse il Quai d’Orsay a chiedere un rinvio di due settimane della data di convocazione. In seguito, dopo ripetuti scambi di idee e di informazioni e di una vera e propria trattativa svoltasi per via diplomatica, e tenendosi conto del complesso momento politico in alcuni dei Paesi interessati, venne stabilito un incontro tra i sei Ministri, incontro destinato ad avere, secondo la precisa richiesta francese, un carattere del tutto «informal» e tale da non provocare impegni da parte dei partecipanti.
Il Presidente di turno del Consiglio, On. De Gasperi, ritenne, inoltre, opportuno che nel corso dell’incontro venisse offerta la possibilità ai sei Ministri di esprimere, in via del tutto confidenziale e personale, il proprio punto di vista su questioni di politica internazionale di alto interesse nell’attuale momento nel quale, specialmente a causa del cosiddetto «processo di distensione» tra occidente ed oriente, la fisionomia di talune delle questioni stesse appare gradualmente modificarsi: e ci in modo particolare, alla vigilia dell’incontro tripartito delle Bermude, cui uno soltanto dei sei Paesi della Comunità Europea, ossia la Francia, è destinato a prendere parte.
Questa interessante e felice iniziativa ha effettivamente permesso, come vedremo, di dare, per la prima volta alla riunione dei sei Ministri un carattere effettivo anche se non dichiarato, di vero e proprio «direttorio» per la politica estera in seno ai sei Paesi dell’Europa occidentale continentale. E per la prima volta, in vista d’un importantissimo incontro politico, di natura mondiale, quale potrà essere l’incontro delle Bermude si è potuto dare a Paesi non partecipanti l’occasione di esprimere, preventivamente, il proprio pensiero su qualche questione che direttamente li concerne. Naturalmente la pedana di lancio per un tale giro di orizzonte è stata costituita dallo studio delle eventuali ripercussioni che problemi discussi alle Bermude, a cominciare dalla questione tedesca, potrebbero avere sulla progettata costituzione della Comunità Politica Europea e sulla entrata in funzione e sui limiti di azione della Comunità Europea di Difesa.
I sei Ministri si sono così incontrati al Quai d’Orsay nella mattina del 22 giugno, sotto la presidenza del Presidente di turno del Consiglio dei Ministri della Comunità per il Carbone e l’Acciaio, On. De Gasperi. La riunione è stata di carattere – sempre a seguito di una richiesta personalmente avanzata dal Ministro degli Esteri di Francia, Bidault, giustamente preoccupato delle ripercussioni e delle interpretazioni che, nel delicatissimo momento politico attraversato dalla Francia, una vera e propria Conferenza avrebbe potuto provocare – estremamente ristretto in modo da permettere effettivamente quel desiderato e franco scambio di idee, personale e confidenziale, al quale si è sopra accennato. Così il Presidente On. De Gasperi è stato assistito soltanto dal Direttore Generale per la Cooperazione Internazionale e dal Direttore Generale degli Affari Politici di Palazzo Chigi, il Cancelliere Adenauer dal Segretario di Stato Hallstein e, in un secondo momento, anche dal Direttore Politico Blankenhorn, il Ministro degli Esteri Bidault dal Sottosegretario di Stato Maurice Schumann e dal Segretario Generale del Quai d’Orsay, Parodi, il Ministro degli Esteri van Zeeland dal Rappresentante Permanente Belga presso il NATO e la CED, Ambasciatore De Staercke, il Ministro degli esteri Beyen dal Rappresentante Permanente olandese presso il NATO e presso la CED, Ambasciatore Starkenborg e dal Direttore Generale degli Affari Politici, Eschauzier, il Ministro degli Esteri Bech dal Direttore Politico Reuter. Assente il Segretariato del Consiglio ed esclusa la compilazione di processi verbali.
La prima parte dei lavori avrebbe dovuto essere destinata alla continuazione della discussione, già apertasi a Parigi nella riunione del 12 maggio, tra i sei Ministri, circa taluni problemisorti particolarmente nel corso di un primo studio relativo al progetto di Trattato per uno Statuto Europeo formulato, come è noto, dall’Assemblea ad hoc e presentato dal suo Presidente Spaak, a Strasburgo, il 9 marzo. Ma viceversa i sei Ministri hanno ritenuto opportuno abbordare innanzi tutto alcune questioni di politica generale naturalmente legate con i problemi della Comunità.
Dapprima il Cancelliere Adenauer ha riferito, con una certa ampiezza, circa la situazione creatasi nella Germania Orientale a seguito dell’importante manifestazione di protesta del ceto operaio sviluppatasi a Berlino nella giornata del 17 giugno con immediate ripercussioni in altre grosse città della zona sotto controllo sovietico. Tale manifestazione – ha detto il Cancelliere
– mentre evidentemente era stata in un primo momento tollerata dalle Autorità sovietiche per dimostrare l’incapacità del Governo dalla Repubblica orientale Tedesca, ha poi rotto i freni ed i controlli di modo che quelle stesse autorità hanno dovuto compiere un’azione di durissima repressione e rappresaglia che ha provocato esecuzioni e vittime dovunque. Si è trattato quindi di una manifestazione di altissimo valore politico che dimostra chiaramente lo spirito anticomunista ed antisovietico, che dopo otto anni di un regime di oppressione, appare pervadere tutta la Germania Orientale, Oggi quindi – ha concluso il Cancelliere – ed in un momento non già di «distensione» come si vuol far credere da taluni, ma di rinnovata tensione, sarebbe augurabileche dalle riunioni internazionali, e particolarmente da quella dei sei Ministri e da quella delle Bermude, potessero uscire parole e deliberazioni atte a dare all’intero popolo tedesco delle due zone la sensazione che il mondo occidentale vede l’unificazione della Germania soltanto nel quadro di un sistema libero e democratico. Con ciò si darebbe coraggio ed anima a quanti, in Germania, operano per la formazione di un’unità tedesca destinata a prendere il suo posto nelle file dei Paesi democratici. Il Presidente De Gasperi, nel porre in rilievo come il problema dell’unificazione tedesca tocchi direttamente e profondamente la nascente Comunità Europea e dopo aver indicato come la manovra di distensione russa, per quanto essa contenga di utile e di positivo, sia la conseguenza diretta della politica seguita dai Paesi europei ed atlantici in questi ultimi anni, ha affermato come quel problema dell’unificazione germanica si presenti oggi quale una «ipotesi attuale» e tale da consigliare scambi di idee atti a permettere la precisazione di elementi suscettibili di contribuire alla formulazione di un punto di vista comune tra i sei Paesi della Comunità. Egli ha poi ricordato come il Cancelliere Adenauer avesse avuto già occasione, nelle passate settimane, di fissare cinque punti essenziali nei riguardi del processo di unificazione del suo Paese: 1) libere elezioni in tutto il territorio tedesco; 2) istituzione di un Governo unico; 3) conclusione di un Trattato di Pace liberamente negoziato; 4) regolamento, nel quadro di quel Trattato, delle questioni relative alle frontiere della Germania; 5) possibilità per il futuro Governo tedesco unico di concludere liberamente accordi internazionali secondo i principii e lo spirito delle Nazioni Unite.
Ora – mi ha ricordato 1’On. De Gasperi – questi punti dovrebbero incontrare la generale approvazione anche perché, in realtà, essi non costituiscono affatto un elemento di contrasto con il processo integrativo, nell’Europa Occidentale, della Germania: processo integrativo al quale sono dedicati e dovranno esserlo sempre più gli sforzi dei sei Paesi interessati. Tra questi sforzi in primo luogo, è la messa in moto della Comunità Europea di Difesa. In riassunto una Germania unificata nel quadro e nello spirito di quanto è stato sopra indicato non è affatto incompatibile con una Germania integrata nella Comunità di Difesa e quindi nella Comunità Politica Europea. In tale maniera si concorrerà davvero al mantenimento della pace in Europa e quindi nel mondo. L’integrazione europea costituirà così, essa stessa, una garanzia della pace mentre una Germania neutralizzata e smilitarizzata costituirebbe, per l’ampiezza e la difficoltà dei controlli, un problema di estrema complessità, pericoloso forse per la pace stessa.
In queste condizioni i Governi dei sei Paesi vedrebbero con soddisfazione il Rappresentante della Francia alle Bermude esporre, a loro nome, questi concetti in modo che gli uomini di Stato che vi rappresenteranno l’America ed il Regno Unito potessero avere la diretta sensazione e conoscenza di quanto nell’Europa occidentale si pensi circa il problema dell’unificazione tedesca: si tratterebbe cioè di affidare al rappresentante di Francia alle Bermude – che sarebbe augurabile possa essere personalmente lo stesso Ministro Bidault – un «mandato morale» la cui esplicazione sarebbe di indubbia utilità nel quadro dei rapporti politici internazionali.
Il Ministro Bidault ha, pur riservando in pieno le decisioni e gli intendimenti del Governo francese e pur facendo presente l’impossibilità da parte sua di un impegno formale ed ufficiale, mostrato di non essere alieno dal vedere formulato, anche se non in un documento scritto, questo «mandato». Esso darebbe indubbiamente consistenza ad uno spirito collettivo, nella considerazione dei problemi internazionali, da parte dei Paesi della Comunità la quale deve dimostrarsi viva e vivente anche all’infuori di talune forme di pressione che con una certa eccessiva e controproducente durezza (Bidault ha chiaramente accennato al pericolo costituito da manifestazioni americane del tipo Taft, per cui, ad esempio, gli aiuti militari americani verrebbero sospesi ai Paesi europei interessati qualora in breve tempo non venisse messa in moto la macchina della CED vero e proprio intervento di un elefante tra le porcellane!) l’America va compiendo di tempo in tempo.
Il Ministro van Zeeland ha manifestato l’intenzione e la speranza del Governo belga di vedere continuati gli sforzi perché sia data vita, sia nel quadro atlantico, sia in quello dei sei Paesi, al processo di rafforzamento e stabilità destinato ad evitare eventuali pericoli di aggressione e di turbamento della pace. Per quanto riguarda la ratifica della CED, il Governo belga spera che essa possa essere votata, in uno dei rami del Parlamento prima del periodo delle vacanze estive dichiarazione che ha provocato precisazioni da parte di alcuni degli altri Ministri.
Così il Ministro Bech ha informato i colleghi, per quanto riguarda il Lussemburgo, che una ratifica di quel Parlamento non appare possibile prima del prossimo ottobre ed il ministro Beyen nei riguardi della situazione in Olanda ha dichiarato che la Camera Bassa dell’Aja potrà probabilmente provvedere alla ratifica stessa prima delle vacanze mentre l’altro ramo del Parlamento potrà essere investito della questione prima della fine dell’anno sempre con riguardo, per a quanto verrà fatto, in merito, negli altri Paesi interessati. E il Presidente De Gasperi, nel rievocare come la Commissione della antica Camera dei Deputati di Roma avesse già provveduto, prima del suo scioglimento, all’approvazione del Trattato, ha detto che, evidentemente, la nuova posizione parlamentare non poteva non provocare un certo ritardo. Ma, almeno a quanto è dato comprendere, una parte dell’opposizione al Governo appare favorevole all’idea della formazione della Comunità di Difesa e cipotrà, senza dubbio, al momento opportuno, facilitare i lavori per la ratifica.
Ripresasi la discussione sul problema tedesco, in vista dell’incontro delle Bermude i sei Ministri, anche se con diverse sfumature di espressione e di intendimenti, hanno insistito sulla opportunità che a quell’incontro sia possibile esprimere una parola comune. Da parte tedesca si è così fatta nuovamente menzione di un vero e proprio «mandato», magari a mezzo di un documento interno scritto, da affidare al Rappresentante francese: proposta che ha sollevato riserve da parte di altri Rappresentanti e particolarmente del Ministro Beyen, il quale ha indicato come il Governo dell’Aja non si fosse mai posto, in termini esatti, questo problema e come quindi egli non fosse in condizione di dare un’approvazione ufficiale all’iniziativa. Egli inoltre, nel formulare un paragone di carattere marinaro, ha ricordato come i sei Paesi navighino in convoglio con navi a vela sulla cui navigazione non possono non avere grande importanza e ripercussione i venti e le correnti: occorrerà quindi procedere con la necessaria circospezione e lentezza per non provocare, con iniziative intempestive e troppo drastiche, ritardi o sbandamenti nella navigazione del convoglio stesso.
Il Ministro van Zeeland ha nuovamente ripreso l’argomento della necessità, per l’occidente, di essere «forte ed unito» tanto alla tribuna atlantica quanto alla tribuna europeista. È proprio una tale posizione che dovrebbe essere messa in risalto anche nell’incontro delle Bermude, in modo che, qualora dovessero aprirsi negoziati con l’oriente, gli intendimenti e la volontà dei Paesi occidentali venissero a formare un fronte unico. E cidovrebbe verificarsi anche qualora ci si dovesse avviare verso un disarmo mondiale.
Il Ministro Bidault, nell’accennare anch’egli, all’imminente incontro delle Bermude, ha comunicato ai colleghi come non sia prevista colà l’adozione di un ordine del giorno vero e proprio e come quindi ognuno dei tre partecipanti sia messo in grado di esprimere liberamente il proprio pensiero senza essere vincolato ad argomenti specifici. Tutto fa prevedere che da parte americana verranno ripresi, circa il problema di distensione con la Russia, i concetti già espressi durante la Conferenza NATO dello scorso aprile: accettazione, nel caso, di eventuali aperture di negoziati ma al tempo stesso continuazione dallo sforzo di potenziamento della difesa dei Paesi occidentali.
I sei Ministri sono poi passati, nell’ultima parte della riunione, a trattare della procedura e del seguito da dare ai lavori veri e proprii della prevista Conferenza per lo Statuto della Comunità Politica Europea. E si sono trovati d’accordo nello stabilire, per la data del prossimo incontro, il 7 agosto e per la località la città di Baden Baden. Una data posteriore avrebbe resa difficile la presenza del Cancelliere Adenauer che in quel mese dedicherà interamente la sua attività alle elezioni del Bundestag, previste per il 30 agosto.
In riassunto:
1) La riunione del 22 giugno, per la cui effettuazione il Presidente De Gasperi, nella sua duplice qualità di Presidente di turno del Consiglio CECA e di Rappresentante italiano, ha molto insistito, ha ottimamente servito ad «interrompere la prescrizione» nei lavori per la costituzione della Comunità Europea. Si sarebbe avuto altrimenti, in un momento tanto delicato quale l’attuale, la sensazione, non soltanto nei sei Paesi interessati, ma nel mondo intero, che l’idea costitutiva per l’integrazione europea andava nettamente affievolendosi con conseguenti poche probabilità di ripresa per l’avvenire.
2) L’atteggiamento francese è stato, naturalmente, di estrema riserva in vista della anomala e difficile situazione creatasi nel campo governativo a Parigi. Ma occorre riconoscere che il Ministro Bidault, nel prendere praticamente sulle sue spalle l’intera responsabilità della riunione, ha dato prova di grande spirito di collaborazione e di comprensione. E inoltre, nel dichiararsi propenso, anche se con evidenti cautele e riserve, a vedere affidato più o meno, alla Francia, un certo «mandato morale» dei sei Paesi, in vista dell’incontro delle Bermude, ha mostrato di comprendere tutta l’importanza, per il suo Paese e per la Comunità, di poter esprimere, ad una grande ribalta internazionale, talune idee collettive dell’Europa occidentale.
3) Tutto sommato il concetto, chiaramente esposto dal Presidente De Gasperi e, naturalmente, condiviso dal Cancelliere Adenauer, secondo cui una unificazione della Germania, in termini occidentali e con la formula del riarmo attraverso la Comunità di Difesa, non soltanto non è incompatibile ma anzi favorisce il processo dell’integrazione della Germania stessa in una comunità europea occidentale, non ha sollevato sostanziali contrasti.
Tutti, anzi, hanno mostrato di comprendere come una formulazione diversa del problema tedesco, a cominciare da quella della neutralizzazione e del susseguente controllo sulla Germania, aprirebbe un periodo di ingenti difficoltà.
4) L’adozione, da parte dei sei Ministri, dei cinque «punti», per 1’unificazione stessa, formulati dal Cancelliere Adenauer – come si è sopra accennato – e ricordati dal Presidente De Gasperi, ha incontrato qualche difficoltà, anche perché essa a taluni, e particolarmente al Rappresentante olandese, è apparsa esorbitare i limiti della riunione di Parigi.
5) Dei sei Paesi presenti quelli più«indietro nella mano» in tema di stretta collaborazionetra i sei Paesi sui grandi problemi internazionali, sono apparsi l’Olanda ed il Lussemburgo. Evidentemente sul Governo dei Paesi Bassi grava la difficoltà costituita, sia dall’estrema circospezione, in tema di politica europeista, del suo Presidente del Consiglio, sia il fatto che quel Ministero degli Affari Esteri ha, come è noto, due Capi, di modo che appare sempre difficile per il Ministro Beyen prendere posizioni precise. Persino nella compilazione del breve comunicato per la stampa, emesso alla fine della riunione, da parte olandese molto si è insistito perché non venisse menzionata la parola «Comunità Politica Europea», sostenendosi la tesi che essa ancora non esiste – come del resto ancora non esiste la Comunità di Difesa – e sia quindi intempestivo, e non rispondente alla realtà, pronunciarla.
6) Da parte belga è stata manifestata, per bocca del Ministro van Zeeland, una certa vivacità di «collaborazione» sia atlantica sia europeista e nello stesso tempo si è insistito sulla opportunità di dare sempre maggiore vigore ad un «fronte unico» occidentale. Naturalmente queste affermazioni non hanno del tutto dissipato quella nebulosità, sulle mete finali e sui concetti direttivi in tema di Europa, che hanno sempre più o meno, caratterizzato l’atteggiamento del Governo di Bruxelles.
7) Da parte tedesca è apparsa evidente la gravissima preoccupazione che un «processo distensivo» tra occidente ed oriente possa portare ad una diversa interpretazione del problema germanico con conseguente pratico fallimento della politica di integrazione europea di una Germania unificata promossa e perseguita dal Cancelliere Adenauer. Questi, come abbiamo visto, ha molto insistito perché dalle riunioni di Parigi e delle Bermude uscisse in merito e, naturalmente, in vista delle imminenti elezioni politiche al Bundestag, una parola di sostegno e di rafforzamento della tesi del Governo di Bonn: parola che, anche se a mezza voce, è stata effettivamente pronunciata durante la riunione di Parigi. Per quanto concerne direttamente i lavori dello Statuto della Comunità è stato stabilito che, in attesa del nuovo incontro di Baden Baden, il Segretariato di Lussemburgo possa procedere a far «circolare» tra i Governi interessati quei documenti di studio che essi ritenessero opportuno produrre nel corso delle prossime settimane.
Allegato II
COMUNICATO STAMPA PUBBLICATO AL TERMINE DELLA RIUNIONE TENUTA DAI SEI MINISTRI DEGLI ESTERI A PARIGI IL 22/6/1953.
Les six Ministres des affaires étrangères des États membres de la Communauté du charbon et de l’acier se sont réunis aujourd’hui au Quai d’Orsay sous la présidence de M. De Gasperi, président du conseil et ministre des affaires étrangères d’Italie.
Tenant compte de la nécessité de hâter les travaux relatifs à l’établissement d’une communauté politique européenne, ils ont examiné le calendrier des prochaines réunions et fixé au 7 ao la date à laquelle ils se rencontreront à Baden Baden pour continuer les études concernant la formation de cette communauté.
Prenant en considération l’imminente rencontre des Bermudes, les six ministres ont procédé sur les problèmes de politique internationale à un échange de vues personnel et confidentiel inspiré par une confiance réciproque qui a permis de constater l’esprit de coopération et d’unité européennes caractérisant les rapports des six pays.
1 1 DGCI, Uff. II, 1951-1954, b. 82.
1 2 Il Telespr., con sottoscrizione autografa, era diretto alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e Washington, alle Rappresentanze presso la NATO, l’OECE e la CED a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, alle Legazioni a L’Aja e a Lussemburgo e alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici, della Cooperazione Internazionale, Uffici II e III.
1 3 Sottoscrizione autografa.
[LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE](1)
Appunto(2). [Roma, … giugno 1953](3).
APPUNTO PER IL COLLOQUIO FRA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E L’AMBASCIATORE BRUCE
Alla vigilia dell’incontro delle Bermude desidero rappresentare per Suo tramite al Governo degli Stati Uniti la posizione del Governo italiano nei riguardi della politica di integrazione europea.
Gli sviluppi della manovra politica sovietica non hanno mancato di sollevare o approfondire in alcuni ambienti politici europei qualche perplessità ed esitazione circa l’opportunità di mantenere il ritmo sinora seguito nel processo di integrazione europea.
Per ciò che si riferisce all’Italia, tengo a dichiarare che il Governo italiano rimane convinto che tale politica debba essere fermamente seguita, non solo perché essa offre il mezzo migliore per risolvere il problema tedesco, ma perché è solo per tale via che una Europa rinnovata potrà superare le tradizionali rivalità per risolvere nella pace e nella libertà il problema del benessere e del progresso dei popoli che la compongono e nello stesso tempo equilibrare il peso rappresentato dal blocco sovietico.
La fermezza della politica del Cancelliere Adenauer è una prova che il Governo ed il popolo tedesco condividono questo convincimento.
L’offerta di collaborazione con la CED avanzata nel corso degli ultimi mesi dal Governo britannico testimonia che il Governo di Londra, entro i limiti consentiti dalle necessità della posizione britannica, desidera offrire ogni possibile appoggio alla Comunità dei sei Paesi dell’Europa.
L’atteggiamento del Governo degli Stati Uniti è stato di costante incoraggiamento e di caloroso appoggio: la recentissima proposta circa l’assistenza militare presentata al Comitato Interinale è la più efficace testimonianza del desiderio del Governo americano di dare un concreto fondamento alla collaborazione degli Stati Uniti con la Comunità dei Sei.
Al convegno delle Bermude oltre agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna sarà presente uno dei maggiori rappresentanti della Comunità Europea: la Francia.
L’atteggiamento della Francia potrebbe risentire di alcune particolari interpretazioni della situazione che hanno caratterizzato il pensiero di alcune correnti dell’opinione pubblica e del Parlamento francese negli ultimi mesi e che hanno trovato espressione per bocca di autorevoli personalità politiche.
Tali correnti, come è ben noto a V.E., sono all’origine di un rallentamento che si è avuto occasione di constatare nella politica di integrazione europea, cui il Governo di Parigi si era dedicato con convincimento.
Sembra superfluo illustrare i pericoli delle conseguenze di un tale atteggiamento, ove avesse a confermarsi e precisarsi.
Il Governo italiano ha mostrato in più diuna occasione di essere pronto ad accettare in questa materia anche delle soluzioni che non riteneva completamente favorevoli ai propri interessi. Esso lo ha fatto a ragion veduta e nel convincimento che il fine che dobbiamo raggiungere vale bene i sacrifici che ognuno deve sapersi imporre.
La nuova Europa deve essere costruita con tale spirito.
Il Governo italiano confida che, in occasione dei colloqui delle Bermude, si potrà mettere in luce ancora una volta che si deve proseguire nel cammino intrapreso nell’interesse dell’Europa e del mondo libero.
2 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 71.
2 2 Il documento reca in calce la seguente annotazione, con la sigla di Plaja: «Il colloquio ebbe luogo in presenza di Magistrati, il quale potrà riferire. 30.6.1953» ed a margine: «Scrittone a Bombassei» con la sigla di Magistrati.
2 3 Il termine ante quem della datazione è il 30 giugno 1953, come si evince dall’annotazione in calce (vedi nota 2).
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI, AI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI DELLA COMUNITÀ EUROPEA(1)
L(2). Roma, 30 giugno 1953.
Signor Ministro,
secondo alcune informazioni pervenutemi tramite il nostro Segretariato sembra che qualche divergenza di interpretazione stia facendosi strada circa il carattere che avrà la nostra prossima riunione a Baden Baden. Mi preme quindi, per assicurare la buona riuscita di tale incontro, che questi dubbi siano tempestivamente eliminati e sarei perciò lieto di conoscere al riguardo il punto di vista di ciascuno dei nostri colleghi.
A mio modo di vedere, quando abbiamo discusso a Parigi della prossima riunione, non vi è dubbio che pensavamo ad un incontro dei Ministri degli Esteri destinato – come del resto appare dal comunicato finale – a fare avanzare sostanzialmente i nostri lavori per la costituzione della Comunità Europea. La riunione cioè deve avere carattere sostanziale, e non meramente procedurale.
Noi prevedevamo qualche settimana fa, per la Conferenza che doveva inaugurarsi a Roma il 12 giugno, due stadi: un primo cioè a livello Ministri per discutere i punti basilari del Trattato e per tracciare le linee generali entro le quali avrebbe dovuto muoversi ulteriormente la conferenza; un secondo a livello Sostituti per proseguire i lavori ed elaborare con maggior precisione e dettaglio i punti concordati. Mi sembra che il nostro prossimo incontro di Baden Baden sia stato previsto appunto come il primo di questi due momenti, restando inteso che a termine delle nostre discussioni colà verranno prese le opportune decisioni per i successivi lavori che si rendessero necessari.
Nel ringraziarla fin da ora, Sig. Ministro, della risposta che la E.V. mi farà pervenire al riguardo, La prego di voler gradire le espressioni della mia alta considerazione(3).
[Alcide De Gasperi]
3 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78
3 2 Trasmessa con Telespr. 21/2375 del 1° luglio da Straneo alla Legazione a Lussemburgo, con preghiera di consegnare la comunicazione al Segretariato del Consiglio dei Ministri CECA affinché provvedesse a diramarla ai Ministri degli Esteri della Comunità Europea.
3 3 Per le risposte vedi DD. 14, 20, 24 e 26. Quella di Bidault, alla data del 28 luglio (vedi D. 28) non risultava pervenuta.
IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. 10/416. Parigi, 30 giugno 1953.
Oggetto: Avvenire della CED e problema tedesco nei commenti degli ambienti del Comitato Interinale.
Negli ambienti del Comitato Interinale si parla di pidella connessione fra il problema tedesco, visto nel quadro delle attuali contingenze internazionali, e la sorte del Trattato CED.
È naturale, del resto, che esista un legame stretto fra le due questioni, dato che in origine proprio in funzione della situazione della Germania e dell’inserimento di quel Paese nel sistema difensivo occidentale – direi anzi esclusivamente perci– venne lanciata l’iniziativa di un esercito europeo integrato.
Il viaggio di Blank negli Stati Uniti, ha suscitato qui molti commenti.
In relazione alle discussioni che sulla CED avranno certamente luogo nel corso dell’incontro a tre ed a quelli che saranno per essere i risultati delle elezioni tedesche, si presente [sic] che si avvicina ormai il momento in cui il nodo della CED dovrà essere sciolto in un senso o nell’altro, poiché una qualche decisione dovrà ben essere adottata circa il riarmo della Germania, che viene ormai rinviato fin dall’epoca del Consiglio Atlantico di Bruxelles, vale a dire da circa tre anni.
A questi esperti militari la CED appare tuttora come l’unica soluzione che permetta di ottenere un contributo militare tedesco, sottoponendo al tempo stesso le forze della Germania occidentale ad un controllo internazionale, che sarà tanto più efficiente in quanto sopranazionale e reciproco.
Per contro si osserva che un esercito nazionale tedesco, oltre a rappresentare ciò che gli americani usano chiamare un «rischio calcolato» (un rischio in verità assai difficile da misurare), finirebbe fatalmente per costituire un elemento di turbamento sia dal punto di vista internazionale, sia all’interno stesso della Germania.
Se il Cancelliere Adenauer dichiara di essere disposto ad accettare un riarmo unilaterale soltanto dopo che siano fallite tutte le possibilità di realizzare la CED, lo fa sapendo che, in Germania, Stato Maggiore e Democrazia non riescono alla lunga ad andare d’accordo. Inoltre, la necessità di inserire quell’esercito nazionale nell’alleanza atlantica, provocherebbe indubbie reazioni in seno ad altri Paesi della NATO. Nessuno è oggi in grado di prevedere che cosa succederebbe nei vari Parlamenti quando vi si dovesse discutere l’ammissione della Germania nel Patto. Potrebbe uscirne un fatale e profondo motivo di divisione tra gli stessi Alleati e si rischierebbe di vederne indebolito, anziché rafforzato, lo schieramento atlantico.
Dal punto di vista internazionale poi, la formazione di un esercito nazionale tedesco, che è in sostanza la eventualità che i russi temono sopra ogni altra, potrebbe evidentemente – ben piche non la CED – aggravare tutta la situazione.
Gli stessi militari tedeschi riconoscono che un esercito nazionale germanico potrebbe essere un elemento di pericolosa divisione per il mondo occidentale.
Quanto poi alla eventualità di una neutralizzazione della Germania, si pensa in questi stessi ambienti che essa significherebbe soltanto che i russi sarebbero disposti a sacrificare il loro sistema politico nella Germania orientale per ottenere dei vantaggi militari, la cui importanza non può esseretrascurata. Con l’allontanamento di tutte le truppe di occupazione – fra l’altro – le forze americane, che oggi costituiscono il nucleo più importante della difesa dell’Occidente, finirebbero per trovarsi lontanissime da Berlino, mentre le divisioni corazzate sovietiche potrebbero raggiungere la città in sole 14 ore. Pertanto, si dice qui, la neutralizzazione di una Germania unificata minaccerebbe di costituire di per sé stessa una pura e semplice sconfitta dell’Occidente sul terreno più importante, quello tedesco.
È sulla base di queste considerazioni che al Comitato Interinale si crede ancora che, nonostante tutte le difficoltà attuali, la miglior soluzione per valersi dell’apporto tedesco alla difesa del mondo libero, senza troppo peggiorare la situazione internazionale e senza mettere in pericolo i legami atlantici, sia da ricercarsi nella realizzazione della CED, la quale inoltre appare come la sola soluzione militare che porti in sé anche un importante contenuto politico, vale a dire il raggiungimento di una tappa essenziale sulla via dell’unificazione europea.
Questa impostazione teorica riscuote negli ambienti del Comitato Interinale una approvazione unanime. Divise sono invece le opinioni circa le possibilità pratiche che un tale convincimento si faccia strada nel Parlamento francese in modo da formare intorno all’idea dell’integrazione militare europea quella maggioranza che oggi appare così difficile da raggiungersi per tutte le note opposizioni, i noti stati d’animo e le note tendenze ritardatrici; e sopratutto così direttamente collegata con quella che sarà l’evoluzione della situazione internazionale.
C’è peraltro chi crede sinceramente che l’Assemblea Nazionale, se posta decisamente e chiaramente davanti alle sue tremende responsabilità, e principalmente all’alternativa del riarmo unilaterale tedesco, finirebbe, per quanto a stento e dopo aspra battaglia, per ratificare.
Tutti concordano nell’attribuire la massima importanza alla linea politica che seguiranno gli americani nei prossimi mesi.
E, naturalmente, alla maggiore o minore abilità della diplomazia e della propaganda sovietica, anche in relazione alle elezioni tedesche. Ché, se infatti Adenauer riuscisse battuto dal responso delle urne, sul quale i sovietici avrebbero ogni interesse di influire eventualmente per mezzo di nuove iniziative spettacolari, potrebbe considerarsi definitivamente seppellito il Trattato di Parigi.
La formula della compatibilità fra l’unificazione tedesca e l’integrazione della Germania nell’Europa, lanciata da parte italiana nel corso dell’ultima riunione dei sei ministri a Parigi, ha molto interessato questi ambienti CED. Al riguardo si pensa qui che l’integrazione militare dovrebbe comunque precedere l’unificazione e costituire un fatto acquisito prima che si possa entrare in negoziati con i sovietici. Non si sa infatti immaginare come, da un punto di vista pratico, possa essere realizzata una sincronizzazione dei due obiettivi di cui l’uno dipende in fondo esclusivamente dalla buona volontà degli stessi europei (e dal fiancheggiamento degli americani e degli inglesi) mentre l’altro è legato a quelli che si riveleranno i veri disegni del Cremlino, sui quali è tuttora così arduo esprimere giudizi e far previsioni.
Sempre nel campo degli argomenti che vengono qui citati a sostegno della necessità della CED, ritengo forse non inutile – per debito di informazione – riferire anche un pensiero che si sente spesso affiorare, negli ultimi tempi, nel corso delle conversazioni con questi esperti militari, assai impressionati dai recenti avvenimenti in Corea. Secondo loro quanto sta accadendo colà starebbe a dimostrare che l’atteggiamento degli americani in problemi militari può esserespesso notevolmente influenzato da considerazioni di politica interna. L’armistizio in Corea – si dice – è stato voluto ad ogni costo perché faceva parte del programma elettorale col quale il Generale Eisenhower è giunto alla presidenza. Ma in realtà esso si risolverebbe in un pessimo affare dal punto di vista militare nel senso che, mentre da un lato non migliorerebbe la situazione strategica del settore estremo orientale, pur costringendo gli Stati Uniti a mantenervi lo stesso forze cospicue, dall’altro permetterebbe alla Cina di ottenere un notevole successo con la chiusura temporanea della partita senza vincitori né vinti.
Al riguardo, infatti, è opinione diffusa, sempre fra i militari, che la mancanza di materiali moderni e sopratutto di una adeguata organizzazione logistica non avrebbe consentito alle forze comuniste di resistere a lungo ad una vigorosa offensiva delle Nazioni Unite.
Si fa anche osservare che questa è la prima volta che gli Stati Uniti chiudono un conflitto senza uscirne vincitori e che è pure la prima volta che la Cina è riuscita a tener testa ad una Potenza occidentale, il che avrebbe profonde ripercussioni psicologiche e politiche.
Queste fonti concludono da tutto ciò che gli europei dovrebbero trarne un ammaestramento: quello che sia necessario di porre le premesse per costituire un efficace strumento integrato di difesa, che permetta loro – un giorno – di poter decidere autonomamente di sé stessi nel settore militare, senza dipendere esclusivamente, come attualmente avviene, da una Potenza extra-continentale anche per la sola difesa delle proprie frontiere.
Ragionamenti di questo tipo potrebbero esser visti in certo senso come una rifrazione sul terreno militare di quel terzaforzismo che per talune correnti è, coscientemente o incoscientemente, uno degli elementi del loro europeismo e potrebbero pertanto suscitare il timore di orientamenti più tiepi diverso i vincoli atlantici (per quanto un concetto di terza forza sia logicamente insito nell’idea europea e ne formi anzi uno degli obiettivi ultimi, è evidente che invece, oggi e per molto tempo ancora, l’inserimento dell’Europa nel quadro atlantico è una imprescindibile necessità). Nel caso dei miei interlocutori ritengo che non vi siano peraltro simili arrière pensées. È solo un ragionamento semplice e semplicista di militari che pensano e valutano tutto in termini tecnico-militari. Esso contiene, come elemento positivo, la prova di un processo evolutivo della coscienza europea ed un fondo ottimista di fiducia che gli sforzi che venissero fatti non sarebbero alla lunga vani, fiducia indispensabile perché ne riceva impulso la volontà di costruire qualcosa di concreto.
Queste reazioni locali fanno anche riflettere come sia acuta la sensibilità anche nei riguardi di avvenimenti che si producono in scacchieri lontani e come tutti i settori del duello in atto tra Occidente e Oriente siano, anche psicologicamente, interdipendenti l’uno dall’altro. Il che aggrava ed esaspera le responsabilità di quelli che la storia ha chiamato ad adottare decisioni di grande portata, che si ripercuotono sul destino di tutti.
4 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 71.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. riservata 797. Parigi, 2 luglio 1953.
Caro Magistrati,
non ti nascondo come sia rimasto, io, un po’ sorpreso nel vedere il telegramma che è stato inviato a Calmes. Mi ero infatti illuso che le conversazioni avute qui avessero chiarito, per la parte che ci riguarda, l’equivoco. Tu parli di un equivoco fra i tedeschi ed i francesi: mi pare ce ne sia uno non meno grosso fra i francesi e noi.
Da parte francese, come tu sai, si è accettato la riunione di Baden Baden, restando inteso che non si sarebbe trattato di una vera conferenza, ma di una conferenza destinata a far finta di fare qualche cosa, per evitare che in Germania si dicesse, alla vigilia delle elezioni, che tutta la politica europea è stata messa da parte. E a questo fingere di fare qualche cosa, per aiutare Adenauer a non essere battuto alle elezioni, si può ottenere che Bidault si presti.
Ma, se noi vogliamo che si prendano delle decisioni concrete su questioni concernenti la CED, la CEP ed in generale la integrazione politica europea, altre che quella di fissare un calendario dei lavori ulteriori, allora non possiamo contare sul fatto che Bidault prenda degli impegni. Che ci sia adesso un Governo francese non cambia in niente il fatto che al Parlamento francese oggi non c’è maggioranza né pro né contro l’integrazione europea: non ci lasciamo illudere dal fatto che nell’attuale Gabinetto francese ci siano due ardenti europeisti come Teitgen e Reynaud: ne fanno parte altrettanto ardenti antieuropeisti. E un Gabinetto, il quale puandare avanti a condizione che non abbia la pretesa di decidere qualcosa: se lo vogliamo portare a prendere delle decisioni, non facciamo altro che farlo cadere anzi tempo.
Proprio in questi giorni, Bidault sta facendo tutto il suo possibile per evitare che ci sia alla Commissione degli Esteri un dibattito sul progetto della Commissione ad hoc, dibattito che, se avesse luogo, porterebbe alla decisione, a grande maggioranza, che il progetto dell’Assemblea ad hoc non è accettabile dal Parlamento francese. Spero che ci si riesca, perché altrimenti avremmo la smentita della Conferenza prima della Conferenza.
Tutta la questione europea, in questo momento, sta attraversando la sua fase più negativa possibile: può essereche, circostanze internazionali aiutando, si possa arrivare ad ottenere un miglioramento della situazione: ma si tratta di un processo lento e difficile: interventi dal di fuori non possono che guastare le cose.
Noi bisogna che ci contentiamo che Bidault faccia quello che la sua situazione parlamentare gli permette di fare, e che è molto poco. Se noi vogliamo forzarlo a fare,
o lo obbligheremo a mandare tutto in aria, o nella migliore delle ipotesi ci incammineremo verso lo studio di ancora un protocollo, accordo o trattato che non sarà poi ratificato dal Parlamento francese. E non riesco a vedere l’utilità pratica di questa politica.
Riassumo: apparenze quanto si vuole, ma sostanza niente(2). Cordialmente tuo
P. Quaroni
5 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
5 2 Magistrati rispose con L. 21/2455 del 7 luglio del seguente tenore: «Caro Ambasciatore, grazie per la tua lettera del 2 luglio, con la quale hai opportunamente segnalato l’eventualità della creazione di un equivoco tra noi ed i Francesi in vista di Baden Baden. Non si punegare che una certa confusione di linguaggio (e ne abbiamo quotidianamente la prova nelle segnalazioni che ci vengono dalle capitali degli altri cinque Paesi) esiste ed è difficile “fare il punto”. Quello che noi abbiamo cercato di spiegare, specialmente attraverso la lettera che il Presidente De Gasperi, a mezzo di Calmes, ha fatto ora circolare tra i suoi colleghi, è che a Baden Baden i sei Ministri dovranno pur una buona volta, se non altro, parlare, anche senza alcuna drastica decisione, di qualche questione relativa al futuro Statuto europeo. Non si tratterà, evidentemente, della vera e propria “Conferenza” ma, almeno, di un preludio che sempre per parlare in termini musicali contenga qualche nota e qualche motivo della futura opera. Sono d'accordo con te nel ritenere che, per evidenti motivi politici, occorrerà non insistere su tinte troppo marcate, lasciando, invece, molto campo alle formule esteriori, ma comunque un minimo di sostanza, nelle 24 o 48 ore di Baden Baden, dovrà pur essere toccato. Staremo poi a vedere se sarà possibile dare vita a Baden Baden. Ci auguriamo di sì, anche se da qualche settore comincino già a pervenire interrogativi. Ora poi con l’iniziativa, che ben conosci, qui presa, e che si riferisce alla situazione post-Washington, le cose sono ancora picomplesse. Ho scritto a Bombassei, che potrà informartene, circa talune idee qui espresse, nel corso della sua visita, dall'Ambasciatore Bruce, il quale prevede anche egli qualche grossa iniziativa sovietica, prima delle non lontane elezioni tedesche. Aggiungo che lo stesso Bruce considera il nuovo Gabinetto francese ‒forse per la presenza di Teitgen e di Reynaud ‒come il più europeista di questi ultimi anni: ma ciò non di meno prevede sempre difficoltà. Qui il Presidente De Gasperi è stato con lui, in tema di ratifica della CED, alquanto esplicito, come potrai rilevare, dalle mie a Bombassei» (ibidem).
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI(1)
L. 20/2404. Roma, 3 luglio 1953.
Caro Franz,
grazie per la tua del 25, n. 5227(2).
In realtà a Parigi non venne presa alcuna decisione circa una riunione di esperti economici dei sei Paesi all’Aja. Viceversa da parte belga ed olandese, con approvazione degli altri e quindi dello stesso Presidente De Gasperi, si fece presente la necessità che frattanto, ed in attesa della riunione di Baden Baden si intensificassero, se possibile, gli scambi di documentazione e di idee, particolarmente sul contenuto economico del futuro Statuto.
Sono d’accordo con te che vere e proprie riunioni aventi per scopo unicamente lo studio del settore economico sarebbero alquanto pericolose.
Quanto alla durata dell’incontro di Baden Baden credo che esso dovrebbe esaurirsi in due o tre giorni, a norma, almeno, della pratica delle riunioni precedenti. Ma per ora è ben difficile definire il tutto anche perché qui la crisi governativa minaccia di essere più lungae picomplessa di quanto da taluni previsto.
È giunta una lettera di Spaak controfirmata da von Brentano con la quale l’Assemblea ad Hoc prende chiara posizione a favore del suo pargolo(3).
La faremo circolare a mezzo di Calmes.
Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
6 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
6 2 Ibidem, con cui Cavalletti aveva riferito a Magistrati: «[…] mi è stato detto da Bech che il Presidente De Gasperi avrebbe avuto a Parigi autorizzazione dagli altri cinque di convocare, nel caso che la crisi del Governo francese si risolvesse a tempo, una riunione di esperti economici dei sei Paesi all’Aja per cominciare a studiare, anche prima della Conferenza di Baden Baden, la parte economica della CPE. Se così è, permettimi di osservare – vi possono naturalmente essere elementi e ragioni che qui mi sfuggono – che questa riunione prettamente economica sarebbe un po’ pericolosa. Mi sembra anzitutto che cisignificherebbe dare causa vinta, e senza nessuna contropartita, agli olandesi che, come sai, vogliono stralciare la parte economica, darle un peso primordiale e trattarla con priorità. D’altra parte cominciare con la parte economica, che è di gran lunga la più difficile, – Bech mi ha detto che preferirebbe lasciare completamente da parte tutto il capitolo relativo alla economia del progetto di Trattato – è prendere il toro per le corna e non so se, anche se noi avessimo le intenzioni a cui ho fatto allusione nella mia lettera a Zoppi che ti ho mandato in copia, convenga di rischiare di trovarci subito di fronte a difficoltà insormontabili».
6 3 Vedi D. 15, nota 2.
L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)
L. 3457(2). Londra, 3 luglio 1953.
Caro Zoppi,
come Del Balzo ti avrà riferito, il Ministro Selwyn Lloyd mi aveva pregato di mandargli un promemoria che riassumesse l’esposizione fattagli dal Presidente De Gasperi durante il colloquio avuto in Ambasciata e del quale avrai già letto il resoconto. Poiché però il Presidente preferiva non lasciare un documento scritto, ho incaricato Theodoli di recarsi da Dixon e di leggergli l’appunto che Del Balzo aveva preparato a tale scopo e di cui accludo copia. Dixon, dopo aver preso nota minutamente di tutto, ha dichiarato che in linea di massima egli era d’accordo sui punti da noi prospettati. In particolare, per quanto riguarda il punto 3, poteva assicurarci che il Foreign Office aveva ben presente l’importanza di realizzare in qualche modo prima dell’incontro con i sovietici una linea di condotta comune, fra tutti i Paesi interessati, almeno sui problemi fondamentali, quali Germania e Austria. Per quanto riguarda il punto 4, Dixon ha osservato che lo stesso Churchill si augurava vivamente che la ratifica della CED potesse precedere le conversazioni con Mosca; come del resto aveva dichiarato al Presidente De Gasperi nel recente colloquio(3). A questo proposito Theodoli ha osservato che leggendo il resoconto di tale colloquio non appariva chiaro se Churchill, nell’esaminare l’ipotesi di una Germania unificata ma neutralizzata, pensasse veramente che tale soluzione potesse rappresentare un’alternativa alla CED. Una simile ipotesi infatti, oltre che impossibile e pericolosa, sembrava in contrasto con la posizione iniziale adottata dal Governo britannico allorché, in luogo della CED, si era mostrato favorevole all’inclusione della Germania nel NATO. Dixon ha risposto che dalla lettura del verbale del colloquio egli non aveva tratto l’impressione che Churchill pensasse seriamente alla possibilità che in caso di unificazione della Germania essa potesse essere neutralizzata e disarmata; ma che avesse discusso il problema con De Gasperi anche per udire il punto di vista del suo interlocutore sui pericoli di una ripresa nazista o comunista in una Germania unificata. Comunque Dixon mi ha assicurato che, secondo il Foreign Office, nella deprecata ipotesi che per colpa della Francia la CED non dovesse essere ratificata, l’unica alternativa possibile rimaneva l’inclusione della Germania nel NATO; al che forse anche la Francia stessa finirebbe per non opporsi di fronte al pericolo, da essa ancora pitemuto, di un accordo bilaterale tra Washington e Bonn.
Credimi, con cordiali saluti,
tuo aff.mo
M. Brosio
Allegato
Appunto.
La riunione dei sei Ministri della Comunità Europea ha avuto carattere «informal» per le note esigenze della situazione francese ed italiana.
Gli scambi di vedute, appunto perché avvenivano a titolo personale, ne hanno guadagnato in franchezza.
I risultati che ne sono derivati possono così sintetizzarsi:
1) decisione di tenere il 7 agosto una nuova riunione dei Ministri degli Esteri a Baden-Baden. Con ciò si è riaffermata la continuità degli sforzi per l’integrazione europea e, indicendo per la prima volta una conferenza del genere su territorio tedesco alla vigilia delle elezioni politiche nella Germania Occidentale, si spera di giovare al successo del Cancelliere Adenauer che tutti concordano nel ritenere sommamente auspicabile.
2) Unanimità di consenso sul seguente principio: l’unificazione della Germania deve essere posta con la massima chiarezza come un obiettivo dell’Occidente in quanto essa non contrasta in alcun modo con l’integrazione militare e politica della Germania stessa nella Comunità Europea.
Per quanto non esistano ancora formalmente la CED e la Comunità politica e quindi non sia possibile affidare alla Francia il mandato di rendersi interprete dei principi comuni ai sei Paesi dell’Europa occidentale, è chiaro che il Rappresentante francese alle Bermude terrà conto del punto di vista concordemente espresso a Parigi sul principio su esposto che è considerato di fondamentale importanza.
3) È altresì riconosciuto come di fondamentale importanza che, al momento dell’eventuale – e auspicato – incontro con i rappresentanti sovietici, si sia concretata una linea di condotta comune dell’Occidente sui principali problemi. Pertanto alle conversazioni delle Bermude dovranno seguire scambi di vedute estesi ed approfonditi fra tutti i Paesi interessati. Cipotrà avvenire o attraverso una conferenza ad hoc, o in seno al Consiglio Atlantico o mediante scambi di vedute per singoli settori o gruppi di Paesi integrati dai normali tramiti diplomatici.
Più che il metodo conta in realtà la sostanza: e cioè che si stabilisca prima dell’incontro con i sovietici un piano comune e concordato, almeno su quelli che sono i problemi fondamentali. Ciò che, per l’Europa, significa unità di vedute sul problema tedesco e su quello austriaco.
4) Sarebbe auspicabile che la ratifica della CED precedesse l’incontro Est-Ovest. Sia per creare un fatto compiuto del quale l’URSS sarebbe costretta a tener conto, sia per evitare che – iniziatosi il dialogo con i russi prima di tale ratifica – risultassero indeboliti se non addirittura pregiudicati gli sforzi diretti a convincere le opinioni pubbliche e parlamentari più incerte o recalcitranti.
Per quanto riguarda in particolare il governo italiano esso è d’avviso che un’eventuale garanzia alla Russia contro un attacco tedesco e alla Germania contro un attacco russo, secondo lo spirito di Locarno, dovrebbe essere concepita come una integrazione alle garanzie derivanti dall’entrata in vigore del trattato CED e non come un’alternativa al trattato stesso.
7 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 25, fasc. Parte generale CED.
7 2 Il documento reca i timbri «visto dal Ministro» e quello del Segretario Generale con la sigla Zoppi.
7 3 Un riassunto di tale colloquio, svoltosi il 23 giugno alle 16,15 nella breve visita di De Gasperi a Londra, venne redatto in un appunto interno segreto, nel quale si legge tra l’altro: «Il colloquio è durato circa un’ora ed è stato molto cordiale. Molto tempo tuttavia è stato impiegato in digressioni e considerazioni di politica interna dei vari paesi. Il Presidente De Gasperi ha manifestato la necessità di coordinare nel tempo le conversazioni a Quattro previste come conseguenza del convegno delle Bermude colla ratifica della CED in modo che tale ratifica non ne sia compromessa. A suo parere l’unità europea è la migliore garanzia della pace futura. Churchill ha risposto che egli è favorevole alla ratifica della CED e la appoggerà sempre. Al riguardo ha fatto vedere un messaggio di istruzioni ai delegati britannici a Strasburgo che dovrebbe essere pubblicato domani o nei prossimi giorni. Tuttavia egli ha aggiunto che non si nasconde la possibilità che la CED non sia ratificata per la posizione della Francia o forse anche del Belgio. In sostanza egli ha detto: se è possibile vorrei ritardare la Conferenza a Quattro fin dopo la ratifica della CED, ma se dopo le elezioni tedesche all’inizio dell’autunno, la CED non facesse passi avanti e i francesi continuassero a menare in lungo le cose, allora per forza bisognerebbe pur pensare a procedere oltre. […] Il punto saliente di questa conversazione sta essenzialmente nel fatto che Churchill ha espresso il suo evidente scetticismo sulla entrata in vigore della CED e la sua incertezza circa i provvedimenti da prendere in sostituzione. Egli ha detto chiaramente che non si è ancora deciso fra una Germania integrata nel NATO e una Germania più o meno controllata e neutralizzata, e sembra avere fiducia nei suoi contatti coi sovietici per orientarsi sui loro intendimenti e sulla linea da seguire» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 71).
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI(1)
L. riservatissima 20/2407(2). Roma, 4 luglio 1953.
Caro Giorgio,
non so se l’On. Lombardo sia tuttora costà. In caso affermativo ti prego di metterlo al corrente di questa mia.
Abbiamo avuto, in questi giorni qui, come conosci, l’Ambasciatore Bruce che, per quanto in visita del tutto privata, ha avuto conversazioni con il Presidente De Gasperi, il Ministro Pella ed il Sottosegretario Taviani. Può darsi che egli stesso te ne parli.
Lo scambio di idee maggiormente interessante è stato quello con il Presidente. Questi, infatti, con molta vivacità e precisione, ha posto in rilievo come, voler contemporaneamente la ratifica della CED nel quadro dell’integrazione europea e promuovere contatti e conversazioni in modo alquanto caotico, in tema di distensione, di disarmo, ecc., significhi chiudersi, praticamente, in un vero e proprio «circolo vizioso» dal quale è ben difficile uscirne fuori. Circa le conseguenze nella politica interna, il Governo dell’On. De Gasperi ha già risentito da tutto ciò ben gravi conseguenze elettorali. Guai poi, ai fini sempre della CED e dell’integrazione, se anche il Governo di Adenauer dovesse soccombere sotto la pressione dei vari sforzi cosiddetti distensivi; per un bel pezzo non si parlerebbe pievidentemente, né di CED né di integrazione. ciò nonvuol dire, naturalmente, che in Italia si sia contrari ad un sempre maggiore consolidamento della pace attraverso una mobilitazione degli animi in occidente ed in oriente. Ma il «modus procedendi» va studiato con grande attenzione in modo da non permettere come purtroppo è già avvenuto, dannose speculazioni politiche che in realtà colpiscono gravemente quanto in Europa si cerca, con grandi sforzi, di creare. Gli Americani devono tener molto conto di tutto ciò
Bruce, per conto suo, si è limitato, sopratutto, a fare una disamina dello stato delle ratifiche nei differenti Paesi, ma ha mostrato di comprendere le interessanti argomentazioni del nostro Presidente.
Siamo stati lieti di vedere Eli benissimo e di averla con noi al pranzo che abbiamo offerto ai Bruce(3).
Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
8 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 72.
8 2 Un resoconto analogo del colloquio con Bruce fu trasmesso da Magistrati con Telespr. riservatissimo 21/2458 del 7 luglio alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi, Washington, alla Rappresentanza presso la NATO a Parigi, alle Legazioni a L’Aja e a Lussemburgo, al Consolato a Strasburgo e per conoscenza alla Direzione Generale degli Affari Politici (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 91, fasc. 6).
8 3 Per la risposta vedi D. 13.
L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
R. segreto 9715. Washington, 4 luglio 1953.
Oggetto: Conferenza tripartita di Washington
Riferimento: Telespresso urgente n. 9678/015 del 3 corrente.
Signor Ministro,
a complemento di quanto ho riferito ieri ritengo opportuno sottoporre all’esame di Vostra Eccellenza taluni elementi relativi alla prossima conferenza tripartita di Washington che possono avere riflessi di particolare importanza per la situazione europea.
I tre Ministri si riuniranno dal 10 al 16 luglio corrente e procederanno senza alcuna prefissata procedura ad uno scambio di idee sui principali problemi di attualità. È probabile che Lord Salisbury e Bidault vedranno Eisenhower e che alla fine delle conversazioni i tre Governi rendano nota la loro posizione in qualche documento pubblico. Non ci si attende invece qui che vengano prese concrete e definitive decisioni, a meno che gli sviluppi della situazione internazionale o gli elementi apportati dai due alleati non consiglino altrimenti. Comunque la prossima riunione non potrà essere, nel caso piottimistico, che una tappa dell’attività politica o diplomatica degli Alleati, sicché sarebbe prematuro voler azzardare sin da ora supposizioni circa la loro ulteriore azione. In particolare l’eventualità di un successivo incontro dei tre Capi di Governo non viene qui ammessa né esclusa.
Come ho riferito ieri, l’atteggiamento americano, pur restando ferme le sue principali linee direttive, si trova attualmente in una fase fluida, sia per i contrasti esistenti fra Congresso e Amministrazione sia per le incertezze che si registrano in seno a quest’ultima. D’altra parte le nuove circostanze che si vanno man mano verificando (pressioni anglo-francesi, incidenti di Berlino, evoluzione della situazione interna della Germania Occidentale, difficoltà per la ratifica del Trattato CED) richiedono un continuo esame della situazione europea ed un continuo processo elaborativo nei quali non sempre gli organi americani sanno o possono procedere con la necessaria speditezza.
Naturalmente la principale incognita del problema è costituita dall’attuale situazione al di là della cortina di ferro e dai veri propositi che animano i dirigenti della politica sovietica. Gli incidenti di Berlino e lo stato di inquietudine che essi dimostrano sono oggetto di contrastanti valutazioni, ma nel complesso si tende ad attribuire loro una funzione determinante per l’esame della situazione sovietica. Viceversa il clamore dei primi giorni per una politica di «liberazione» nei confronti dei satelliti si è notevolmente attenuato ed ora si tende ad attribuire alle recenti dichiarazioni di Foster Dulles un carattere prevalentemente propagandistico. Del resto lo stesso Eisenhower nella conferenza stampa tenuta il primo corrente ha affermato che gli Stati Uniti non intendono affatto svolgere un’azione «fisica».
Si riconosce inoltre qui che, mentre la situazione nei paesi satelliti puindurre a nutrire qualche speranza di futuri sviluppi, i problemi dell’Europa Occidentale non mancano di destare serie preoccupazioni per le divergenze sempre risorgenti fra i vari Governi e forse ancor più per lo stato d’animo d’indifferenza (se non di ostilità) che si registra nei confronti della politica d’integrazione e di riarmo sostenuta dagli Americani.
Per quanto in particolare concerne i problemi tedeschi non si riesce tuttora ad armonizzare la soluzione della integrazione con quella dell’unificazione. Il Dipartimento di Stato ritiene che, col mantenere una posizione rigida a favore dell’integrazione e col non prendere alcuna nuova iniziativa per l’unificazione, si rischia di danneggiare non solo la posizione degli Stati Uniti in Germania ma anche quella dello stesso Adenauer. Si riconosce tuttavia che, a voler compiere qualche serio tentativo in questo senso, si incorrerà fatalmente in altri pericoli, poiché sarebbe difficile rimaner fermi all’ultima nota tripartita che, come le precedenti, si basava anzitutto sulla premessa delle elezioni libere nelle due zone della Germania. Si tende pertanto ad aspettare che i flussi possano precisare meglio i loro scopi ed a questo proposito si pensa che qualche nuovo elemento chiarificatore possa venire, alla vigilia o durante la conferenza di Washington, proprio da Mosca. Si seguono intanto col pivivo interesse – anche se con sospetto
– tutti i sintomi suscettibili di fornire qualche indicazione al riguardo, non ultime le consultazioni tra Ambasciatori ed alti funzionari sovietici che hanno attualmente luogo nella capitale russa.
Intanto qui si fa di tutto per favorire la posizione di Adenauer in vista delle prossime elezioni tedesche. La Commissione degli Affari Esteri del Senato ha approvato una azione diretta a riaffermare la solidarietà dell’America con l’aspirazione del popolo tedesco all’unificazione da effettuare «mediante libere elezioni» e da parte dell’Amministrazione si è sottolineata l’importanza della visita della missione militare tedesca che si trova attualmente a Washington. Nelle conversazioni confidenziali però non si nascondono le più vive preoccupazioni per un possibile insuccesso elettorale del Governo Adenauer.
Comunque il Pentagono continua a valutare la Germania occidentale come elemento decisivo nell’equilibrio militare europeo e considera il suo riarmo condizione imprescindibile. Questo appare come un punto veramente solido della posizione americana e destinato a rimanere tale se non v’è un, non ancora visibile, rovesciamento di politica in senso isolazionistico.
Riassumendo, la politica dell’integrazione europea, mentre resta scopo essenziale di Eisenhower, rischia di subire anche qui una battuta d’arresto imposta da circostanze esterne. La fiducia degli Stati Uniti nella solidità del Governo tedesco attuale è assai diminuita e questo obbliga il Dipartimento ad una maggiore prudenza rispetto ai social-democratici e la loro politica estera. Anche la posizione italiana, con le difficoltà parlamentari scaturite dalle elezioni, con la tendenza di Nenni e di altri – accodata all’iniziativa di Churchill – con le possibilità di combinazioni effimere e insoddisfacenti che possono condurre ad una nuova prova elettorale, dà assai da pensare. Solo elemento ancora ben fermo: la fiducia personale in Vostra Eccellenza. In compenso le cosiddette incrinature nella cortina di ferro che, ripeto, non sembrano ancora così gravi da giustificare una politica più attiva, sono ritenute però abbastanza sintomatiche da far prendere in considerazione l’ipotesi che il movente dell’offensiva di pace sovietica non sia soltanto propagandistico.
Da queste considerazioni, accentuate dagli anglo-francesi, anche per le serie difficoltà estere, interne e parlamentari dei due Paesi, pueventualmente derivare una spinta verso un diretto accertamento delle reali intenzioni sovietiche, specie se da Mosca si compie qualche nuovo passo.
Questo tentativo può avere, ripeto, nelle intenzioni americane uno scopo prevalentemente tattico, per poter tornare, in caso di previsto insuccesso, con maggior vigore sull’abituale politica d’integrazione europea e di organizzazione della difesa.
Alla luce di tutti questi elementi mi pare ovvio che da parte nostra si ponga mente a quali potranno essere i riflessi di tale situazione sulla nostra posizione internazionale ed interna. Non ho mancato finora di ripetere qui che noi restiamo fermi – finché non sorga una seria, solida e concordata alternativa – nella nostra politica europeistica e NATO, e non ho nascosto come sia necessario veder chiaro e a fondo, dopo tante negative esperienze, circa la possibilità di intendersi utilmente e durevolmente con i Russi. E neppure ho nascosto le difficoltà, ancora maggiori delle presenti, che l’America potrebbe incontrare nella politica di potenziamento delle difese europee dopo tentativi di «appeasement» che rafforzassero le tendenze neutralistiche e favorissero il gioco dei comunisti nei vari Paesi NATO. Ho anche accennato ai pericolosi riflessi che un’evoluzione sia pure temporanea nei rapporti con la Russia potrebbe esercitare nei settori danubiano o balcanico, ai quali siamo particolarmente sensibili. Ho infine fatto presente ancora una volta la necessità che, qualunque sia lo svolgimento delle conversazioni di Washington, i membri della NATO siano tenuti al corrente e consultati.
Questa Ambasciata non mancherà di seguire gli sviluppi della situazione e di fornire a Vostra Eccellenza ulteriori elementi al riguardo.
Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio più devoto ossequio.
[Alberto Tarchiani]
9 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI(1)
T. s.n.d. 6874/c. Roma, 5 luglio 1953.
È convinzione Governo Italiano che prossimi incontri Washington offrano occasione favorevole anche per un approfondito esame questioni di preminente interesse europeo con particolare riguardo Germania e Austria.
Pur riconoscendo speciali responsabilità tre potenze firmatarie patti contrattuali con la Germania e immediati interessi dei Paesi in questione, è evidente che situazione oggi determinatasi nei rapporti est-ovest ed il componimento di tali rapporti sono in stretta connessione con la consistenza e funzionalità dell’Organizzazione atlantica e con azione per integrazione europea.
Onde promuovere sviluppi atti a consolidare la pace nella sicurezza risulta perciindispensabile che le Potenze più direttamente interessate possano nella loro azione rappresentare la solidarietà delle forze atlantiche ed europeistiche in modo che le soluzioni operino nello spirito di questa solidarietà.
In questo spirito e con queste premesse Governo italiano propone ai tre Governi alleati di promuovere, e di annunziare nel comunicato conclusivo dell’incontro di Washington, convocazione ai fini suddetti di una ampia consultazione collettiva alla quale parteciperebbero Ministri Esteri membri Patto Atlantico e Comunità carbone acciaio. Data conferenza dovrebbe venir fissata anche in relazione con elezioni germaniche.
Prego V.E. comunicare mia proposta, con le considerazioni che l’accompagnano, a codesto Ministro degli Affari Esteri prima dell’incontro di Washington(2).
10 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.
10 2 Per il seguito vedi DD. 11, 12 e 18.
L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
R. segreto 9741. Washington, 6 luglio 1953.
Oggetto: Colloquio con Dulles. Conferenza Tripartita di Washington. Trieste.
Riferimento: Mio telegramma n. 417 in data odierna.
Signor Ministro,
ho intrattenuto oggi il Segretario di Stato sulla proposta formulata da Vostra Eccellenza nel telegramma di ieri n. 6874/c.(2), illustrandogli il nostro vivo interesse e quello della comunità occidentale alle condizioni della soluzione del problema tedesco ed austriaco, e alle ripercussioni, su ciascuno e tutti i membri del Consiglio dei Sei, che potrebbero essere determinate da una prevalenza di tattica americana, o russa, o da un compromesso che sfociasse da una conferenza a quattro, soddisfacente in apparenza e gravemente nocivo in sostanza.
Consegnando a Dulles una nota verbale sull’argomento, ho sottolineato come il Governo Italiano sia preoccupato della possibilità di una clamorosa iniziativa russa che, per certo, avrebbe per iscopo il diroccamento del progetto d’integrazione della Germania nell’Europa Occidentale, della faticosa opera CED, di ogni sistema di resistenza e di difesa dell’Occidente, rispetto alle insidie interne ed esterne dei Sovietici.
Ho aggiunto che la consultazione proposta da Vostra Eccellenza, a salvaguardia di questi fondamentali interessi europei e italiani, era tanto più utile ed opportuna in quanto gli Stati Uniti si sarebbero trovati soli nelle conversazioni a tre, con Francia e Inghilterra già disposte (per ragioni diverse di politica interna ed estera, ma per un’unica tendenza all’ «appeasement») a favorire lo svolgersi della manovra russa. In un ambiente pivasto, come quello NATO, gli Americani avrebbero certo trovato migliori apprezzatori della tesi della prudenza, basata sulle possibilità di coesione e di difesa degli affini, e dell’oculato procedere di fronte ad iniziative sovietiche, che hanno aspetti seducenti, ma che rivelano nel fondo il proposito di conquista a buon mercato, e senza rischiare quasi nulla, del mondo occidentale.
Dulles, letta molto attentamente la nota, ha domandato se una tale proposta fosse a conoscenza dei governi di Londra e di Parigi. Ho risposto di sì, giacché Vostra Eccellenza aveva date pari istruzioni ai due miei colleghi in quelle capitali.
Ha quindi dichiarato che il Governo americano riceveva la comunicazione col pivivo interesse; avrebbe esaminata la proposta di cui riconosceva il fondamento, con la massima attenzione, e mi avrebbe fatto conoscere, non appena possibile il suo parere.
Ha aggiunto che aveva la più grande e sincera ammirazione per gli sforzi che Vostra Eccellenza sta compiendo, sia per mantenere l’Italia su una sana linea mediana di politica interna ed estera, sia per il decisivo contributo alla causa dell’Europa unita e della civiltà occidentale.
Gli ho domandato se i tre avrebbero trattato del problema di Trieste e come.
Ha risposto che non era previsto di entrare in quella specifica questione, e neppure nell’eventuale discussione sul trattato di pace per l’Austria, giacché è sempre stata cura del governo degli Stati Uniti di tener separate le due questioni.
Gli ho detto che in ogni modo il problema di Trieste premeva e non lasciava vie di scampo. Occorreva quindi occuparsene. Le elezioni italiane lo avevano dimostrato e gli avvenimenti prossimi lo dimostreranno ancor più. Ho aggiunto che anche le conversazioni militari in corso o vicine erano una prova di quella necessità.
Dulles mi ha risposto che si rendeva conto di tutto ciò e che dal punto di vista del «timing», gli sembrava che l’epoca migliore per affrontare nuovamente la questione fosse l’autunno prossimo, allorché questa principale crisi centro-europea avrà avuto modo di evolversi chiarendo la situazione generale.
Ho fatto ancora presente, a conclusione del colloquio, che il problema di Trieste e dei nostri rapporti con la Jugoslavia ha riflessi di prim’ordine anche sul problema generale del nostro contributo alla collaborazione europea ed ho rilevato di non dubitare che Vostra Eccellenza non mancherà di cogliere la prossima occasione che si presenti (ad esempio, se matura la consultazione da noi proposta) per trattare direttamente la questione col Segretario di Stato.
Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio più devoto ossequio.
[Alberto Tarchiani]
11 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.
11 2 Vedi D. 10.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
T. s.n.d. 8167-8173/430-431(2). Parigi, 7 luglio 1953 (perv. ore 24)(3).
Ho esposto ed illustrato a Bidault contenuto suo telegramma 6874 e seguenti(4). Circa atteggiamento francese Conferenza Washington mi ha detto:
1) Non intende (ripeto non) fare opposizione a principio Conferenza a quattro tanto più che secondo sue informazioni attualmente anche Dulles non si oppone pia conversazioni con Russia e mantiene invece sua opposizione conversazioni con Cina e questo per atteggiamento Congresso;
2) accetterà principio Locarno dell’Est pur confermandomi che a tutt’oggi idee inglesi non appaiono chiare;
3) non è disposto accettare (ripeto non) principio neutralizzazione Germania sola (sebbene sue idee al riguardo non siano del tutto precise mi sembra aver capito abbia in mente neutralizzazione maggior parte satelliti);
4) insisterà su libertà per Germania concludere accordi con qualsiasi paese;
5) manterrà punto di vista che unificazione Germania non (ripeto non) incompatibile con integrazione Germania ad Europa ma nello stesso tempo, dirà chiaramente ad americani che sperare su possibilità ratifica CED o su altra misura integrazione europea fintanto che dura ipotetica possibilità distensione con Russia è per Governo francese impossibile;
Cercherà, se gli sarà ancora possibile, riprendere sua antica idea far includere nelle questioni da proporre alla Conferenza a quattro anche problema disarmo.
Circa proposta V.E. Bidault mi ha detto comprendere nostre ragioni, condividerle e che farà tutto il possibile perché si promuova consultazione formale prima eventuale Conferenza a quattro per quello che concerne Potenze atlantiche. Prega pernoi a nostra volta comprendere che non è possibile (ripeto non) per Ministro Esteri francese nell’attuale situazione prendere iniziativa per estendere consultazioni, almeno nella stessa forma, anche a Germania. Non può (ripeto non può perprendere impegno per quello che concerne forma e tempo queste consultazioni.
Bidault ritiene che Conferenza Bermude, anche sotto forma attuale proposta tenerla a Londra, potrà difficilmente aver luogo. Si dovrebbe quindi passare da Conferenza a Washington a Conferenza a quattro: nell’intervallo di tempo certamente lungo fra le due tappe dovrebbe secondo lui essere possibile trovare formula consultazione altri Paesi atlantici.
Ha compreso importanza che, quale che sia decisione che venga presa in merito consultazione altre Potenze atlantiche, di essa venga fatta esplicita menzione comunicato Conferenza Washington.
12 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 19 bis, fasc. 3.
12 2 La seconda parte del presente documento (T. 431) fu ritrasmessa da Zoppi con T. segreto 6976/c. del 9 luglio alle Ambasciate a Bonn, Londra e Washington.
12 3 La prima parte del presente documento (T. 430), partita alle ore 21,35 pervenne alle ore 23, mentre la seconda (T. 431), partita alle ore 23,50 pervenne alle ore 24.
12 4 Vedi D. 10.
IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. riservata personale. Parigi, 7 luglio 1953.
Caro Ministro,
ti ringrazio di avermi voluto cortesemente mettere al corrente, con la tua gradita lettera n. 20/2407 del 4 luglio(2), di quanto il Presidente De Gasperi ha detto a Bruce nel corso del recente colloquio romano.
Il Presidente afferma cosa sacrosantamente giusta quando rileva che le sorti della CED – e quindi di tutto il processo di integrazione europea – sono oggi condizionate dagli sviluppi della cosidetta distensione. Io stesso, modestamente, ti scrivevo qualcosa di simile un paio di mesi fa quando mi azzardai a farti un breve quadro di quella che appariva, al mio occhio nuovo di osservatore appena arrivato a Parigi, la situazione francese nei confronti della ratifica del Trattato CED.
L’iniziativa della Comunità difensiva è sorta dalla coscienza di un pericolo grave e imminente, che imponeva di trovare il modo di riarmare la Germania, pur controllando la rimilitarizzazione di un Paese che, munito di un esercito indipendente, fa paura a tutti ed impedendo il risorgere della Wermacht e dello Stato Maggiore teutonico. Ne consegue direttamente che, man mano che il pericolo – o nella realtà o nella credenza o anche solo nella speranza degli europei – si allontana le opposizioni si rafforzano, i dubbi riaffiorano, le tendenze ritardatrici si invigoriscono e le correnti neutraliste si allargano.
Ecco perché – ha ragione il Presidente – lanciare iniziative premature o non sufficientemente meditate in tutte le loro conseguenze, affrontare il problema dei rapporti est-ovest in un modo caotico e senza una visione precisa di dove si vuole e fin dove si è disposti ad arrivare, dar l’impressione di tentennamenti ed incertezze è estremamente pericoloso.
Si rischierebbe infatti di provocare esattamente gli stessi effetti di disgregazione e di arresto – o almeno di rallentamento – degli sforzi di riarmo, che sarebbero fatalmente connessi ad una distensione effettiva, senza alcuna contropartita pratica e reale.
È giusto quindi che gli americani, sulle cui spalle grava tanta responsabilità, siano convenientemente consigliati da chi ha, come il nostro Ministro degli Esteri, l’autorità di far sentire la sua voce e di far riflettere i Grandi. Il momento è grave ed è in giuoco il destino di tutti.
C’è perda domandarsi quali siano le vere possibilità della diplomazia americana. Intendere il pericolo insito nella situazione che si è venuta a creare – e gli Stati Uniti invero hanno mostrato di rendersene conto, tanto che nello schieramento atlantico si sono dimostrati fra i pirestii ad incamminarsi ad occhi bendati sulla strada delle conversazioni con l’Oriente – non significa avere a disposizione i mezzi per controbatterlo.
Mi sembra che agli americani sia sfuggita, in questa fase, l’iniziativa, che invece i sovietici hanno saputo accaparrarsi con la loro nuova politica. Quella politica che – pur essendosi finora esplicata più in parole ed atteggiamenti che in fatti concreti – ha già trovato in Europa terreno così favorevole. (E questa circostanza ha, in fin dei conti, una sua logica in un continente non ancora riconciliato, tuttora sanguinante di ferite recenti e in prima linea in un eventuale futuro conflitto).
La politica di integrazione militare europea era, alla morte di Stalin, ancora nella fase in cui doveva trovare la sua base nella immutabilità dei dogmi del Cremlino quali ci erano divenuti familiari. Il repentino mutamento della linea di condotta dei successori – sia esso tattico o strategico, momentaneo o permanente, superficiale o profondo
– ha quindi colpito proprio nelle sue fondamenta l’edificio progettato ma non ancora costruito, neppure nelle impalcature essenziali.
Diverso sarebbe stato il caso se tutto ciò fosse avvenuto con qualche ritardo e fosse quindi stato, dal punto di vista sovietico, meno tempestivo; se cioè la CED fosse già stata realizzata, almeno giuridicamente. Ciavrebbe spostato tutti i termini del problema. Ma così non è avvenuto per tante ragioni anche troppo note. Si potrebbe qui rilevare, per incidenza, che la CED ha avuto comunque una sua importantissima funzione perché sembrerebbe che proprio davanti a tale eventualità i russi abbiano ritenuto necessario,
o più conveniente, di mutar direzione al fine di sabotare forse, se pensano veramente di spingere a fondo le impostazioni che fanno attualmente intravedere, di pagare un certo prezzo per impedirla. Ma, allo stato dei fatti, non è forse anche lecito chiedersi se fradistensione e CED non vi sia ormai una insanabile antinomia? È difficile vedere come, se i russi mostreranno di voler fare sul serio o riusciranno a persuaderne l’opinione pubblica europea, si possa resistere alla pressione che obbligherà i Governi a ingaggiarsi sulla via dei negoziati; e come, una volta preso l’abbrivio, si possano porre condizioni veramente tali da far raggiungere all’Occidente, per altro cammino, gli stessi risultati che ci si proponeva. Si potranno forse esigere garanzie che – rebus stantibus – offrano una certa tranquillità ma non quelle che ci potrebbero far giungere contemporaneamente alla realizzazione di tutti gli obiettivi. In altre parole non potranno essere poste condizioni che siano palesemente inaccettabili, o che possano essere presentate come tali dalla propaganda sovietica, ad una Russia dal volto pacifico, transigente e bonario.
Il mancato riarmo della Germania sarebbe il dazio che dovrebbe essere pagato in Europa se si vorrà entrare nel villaggio incantato della pace per una generazione. Dazio altissimo, se si pensa ai vantaggi che ne trarrà l’altra parte, e contropartita tutt’altro che sicura: ma come evitarlo di fronte alla spinta di tutti coloro che ne vedono solo gli aspetti contingenti, i lati interessanti, le rispettive politiche interne, la possibilità di uscire purchessia da un incubo spaventoso e paventatissimo?
Non conosco gli argomenti citati nel corso dell’ultima riunione parigina per dimostrare la conciliabilità della CED e della unificazione tedesca. A lume di naso, mi sembra peraltro che questa conciliabilità esista sì, in teoria, ma che appaia perin contrasto con la distensione, dato che i russi non potrebbero mai accettare, una volta creata la Comunità di Difesa, la riunificazione delle due Germanie, che non può esserepacificamente realizzata se non come sinonimo di smilitarizzazione reciprocamente garantita. Ed eccoci al dilemma: o CED o distensione (con tutte le incognite e le conseguenze che essa implica). Sembrerebbe un problema di scelta e di coordinazione di tempi da parte dell’Occidente e lo sarebbe forse se la politica estera potesse esser fatta all’infuori delle opinioni pubbliche e parlamentari. In realtà ho la sensazione che l’alternativa sia nelle mani dei russi e che essi abbiano i mezzi, se lo vogliono veramente e se sapranno giuocare abilmente le loro carte, di imporci l’accantonamento dell’integrazione militare – per non parlare che di questa, senza considerare i riflessi anche in campo atlantico – e di obbligarci a discutere il problema tedesco all’infuori di essa.
Naturalmente un loro errore o una politica che non portasse alle estreme conseguenze il loro odierno atteggiamento potrebbero avere l’effetto diametralmente opposto ed accelerare, attraverso la delusione o la prova palmare della loro malafede, il processo di unificazione continentale. Ma lo commetteranno questo errore? O non saranno stati ammaestrati da quelli di Stalin, che hanno, al postutto, portato al Patto Atlantico e al Trattato di Parigi?
Nelle presenti condizioni, cosa possono fare gli americani? Essere guardinghi, cercare di vedere il pilontano possibile, insistere su ragionevoli impegni di buona volontà, sì; ma sostenere la CED con ogni mezzo e subito, anche contro quella che può esserela forza degli eventi? Già mi sembra di intravedere qui segni di un meno rigido atteggiamento dei rappresentanti statunitensi in questo settore.
Se da queste frettolose considerazioni si volesse trarre una conclusione, mi parrebbe che di tutto ciò si debba tener conto da parte nostra. Nel senso di essere anche pronti, se le circostanze lo esigessero e gli avvenimenti evolvessero in una certa direzione, ad accantonare la CED, senza che civoglia dire che la caduta, forse temporanea, di uno degli obiettivi fondamentali della nostra politica europea ci lasci senza un «ubi consistam» per la nostra azione. Il che, d’altra parte, non significa che non facciamo benissimo ad essere, ed a mostrarci, ancora e finché ciò sia di attualità i pigelosi e vigorosi sostenitori di quella soluzione che non può non essere considerata di gran lunga la migliore se la corsa alla distensione dovesse subire un arresto. Né che dobbiamo astenerci dal nostro ruolo di attivo fiancheggiamento alla politica che gli americani mostrano tuttora di voler seguire in Europa, rivendicando il diritto di consigliare ed eventualmente di ammonire. Quello che voglio dire è soltanto che non dobbiamo lasciarci sorprendere dagli eventi. A questo proposito ho notato con grande interesse gli sforzi costruttivi del Presidente e della nostra diplomazia per inserire 1’Italia nelle discussioni di interesse europeo e per farla essere presente, sia pure col peso che la nostra situazione ci consente, laddove si adotteranno decisioni e si formuleranno orientamenti che non possono non toccarci nella nostra carne viva.
Scusa la lunga chiacchierata e credimi sempre, con devoto affetto,
tuo
Giorgio Bombassei
13 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 72.
13 2 Vedi D. 8.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DEL LUSSEMBURGO, BECH, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
L.(2). Lussemburgo, 8 luglio 1953.
Monsieur le Président,
J’ai l’honneur de vous remercier de votre lettre en date du 30 juin relative à notre prochaine réunion à Baden-Baden(3).
En fixant la date de cette réunion les ministres avaient surtout l’intention, à mon sentiment, de documenter devant l’opinion publique la continuité des travaux relatifs à l’intégration européenne. Pour autant que je me souviens il n’a été à aucun moment question d’une conférence de l’envergure et de la durée de celle qui avait été prévue à Rome, à savoir une réunion des ministres suivie d’une conférence intergouvernementale au niveau des suppléants. En dehors des décisions à prendre sur la convocation ultérieure de la conférence intergouvernementale, les ministres devaient pour autant que possible dégager les principes permettant à cette conférence d’élaborer les questions de détail. Ceci n’impliquerait pas, me semble-t-il, que le travail préliminaire des ministres d être achevé lors de la réunion de Baden-Baden. Ils pourraient donc décider de se réunir à nouveau avant la date de la conférence ou au début de celle-ci.
Je vous prie d’agréer, Monsieur le Président, l’assurance de ma haute considération.
Joseph Bech
14 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
14 2 Trasmessa con L. CM/S (53) 4264, pari data, da Calmes.
14 3 Vedi D. 3.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI, AL PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA COMUNE DELLA CECA, SPAAK(1)
L. 20/2484. Roma, 9 luglio 1953.
Signor Presidente,
ho ricevuto la cortese lettera in data 24 giugno scorso(2) con la quale Ella ed il Presidente della Commissione Costituzionale hanno portato a mia conoscenza una comunicazione della Commissione stessa adottata nella sua seduta di lavoro del 23 giugno. Sono lieto di constatare quanto l’elevato ideale europeistico che ha ispirato l’opera dell’Assemblea da Lei presieduta sia tuttora vivo ed operante tra gli autori del progetto di Trattato che di tale opera costituisce il concreto risultato.
Non ho mancato di rimettere la lettera al Segretariato del Consiglio Speciale dei Ministri affinché provveda a diramarla ai miei cinque colleghi.
La prego gradire, Signor Presidente, assieme al Signor von Brentano, l’espressione della mia alta considerazione(3).
[Alcide De Gasperi]
15 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
15 2 Ibidem, il cui testo era il seguente: «La Commission constitutionnelle de l’Assemblée ad hoc a tenu à Strasbourg, le 23 juin, une séance de travail. M. P.H. Spaak, président de l’Assemblée ad hoc assistait à cette réunion. Après un échange de vues sur l’état actuel des travaux concernant le projet de traité, la Commission constitutionnelle a prié les deux sous-signés de faire la communication suivante aux six Ministres des affaires étrangères réunis dans le Conseil de Ministres:1) La résolution des six ministres des affaires étrangères du 10 septembre 1952 a été considérée, aussi bien par l’Assemblée commune que par l’Assemblé consultative du Conseil de l’Europe, comme un pas décisif dans la voie de l’intégration européenne. Les deux assemblées se sont félicitées de cette démarche. L’Assemblée ad hoc s’est réunie sans tarder, et a constitué une Commission constitutionnel qui s’est aussit mise au travail. L’Assemblée ad hoc et sa commission partageaient l’avis des six ministres des affaires étrangères sur l’importance politique et sur l’urgence de la tâche qui leur était assignée. Cette conviction commune a eu pour conséquence qu’en dépit de toutes les difficultés qui ont surgi, l’Assemblée ad hoc a può terminer ses travaux dans le délai fixé et remettre, le 10 mars 1953, le projet de traité de la Communauté européenne aux six Ministres des affaires étrangères. 2) Ce projet n’est donc pas, ainsi qu’on a può lire çà et là, le résultat du travail d’un groupe d’étude quelconque. Au contraire, il est le résulté du travail d’un parlement européen convoqué à la demande des six ministres des affaires étrangères. Le projet a été élaboré par des parlementaires responsables appartenant aux parlements des six pays participants. Si l’on considérait ce projet uniquement comme un travail préliminaire, certes important et significatif, on ne tiendrait pas suffisamment compte de la genèse de ce texte, ni de la responsabilité politique de ceux qui l’ont établi. Le projet ayant été adopté par l’Assemblée ad hoc à très grande majorité et sans l’opposition d’une seule voix et ayant reçu à l’Assemblée consultative l’appui d’une majorité tout aussi impressionnant, il est amplement justifié que le Conseil de Ministres prenne ce projet comme document de travail. 3) Ni l’Assemblée ad hoc, ni la Commission constitutionnelle ne prétendent que dans sa teneur actuelle le projet revête le caractère d’une œuvre définitive. Il va sans dire – et nul ne songe à le contester – que les gouvernements intéressés auront à examiner le projet, à l’analyser dans un esprit critique et à l’amender dans la mesure nécessaire. Toutefois, ce travail serait considérablement facilité s’il se faisait en contact étroit et permanent avec la Commission constitutionnelle ou avec son groupe de travail. Même un examen soigneux du matériel abondant et de la nombreuse documentation ne peut fournir tous les renseignements sur la genèse du projet. Sans cette coopération avec la Commission constitutionnelle, la conférence des représentants gouvernementaux risque d’avoir à refaire pratiquement tout le travail déjà accompli par la Commission, par l’Assemblée ad hoc et par l’Assemblée consultative du Conseil de l’Europe. C’est pourquoi le groupe de travail de la Commission constitutionnelle propose une fois de plus qu’il soit appelé à participer à ces délibérations selon des modalités qui devront être fixées de plus près. Cette proposition parait d’autant plus justifiée que – comme il a été dit au début – le projet a été établi à la demande expresse des gouvernements des six pays intéressés. 4) Pour des raisons particulières, inhérentes à l’évolution de la politique intérieure de certains pays participants, la conférence gouvernementale, prévue pour le 12 juin a dêtre reportée à une date ultérieure; la réunion de La Haye destinée aux délibérations finales du Conseil de Ministres, ne pourra donc non plus avoir lieu, comme il avait été prévu, dans la première moitié de juillet. La Commission Constitutionnelle est heureuse de constater que malgré cette difficulté, le Conseil de Ministres a décidé, dans sa séance tenue le 22 juin à Paris, de convoquer une conférence gouvernementale à Baden-Baden pour le 7 ao. Elle espère que cette conférence se chargera des tâches qui avaient été prévues pour celle du 12 juin et qu’à la suite de cette réunion le Conseil de Ministres tiendra à bref délai, une séance au cours de laquelle il se prononcera définitivement sur le résultat du travail. 5) La Commission Constitutionnelle estime devoir souligner l’importance extraordinaire que revêt la question de l’intégration européenne. Elle prie vivement le Conseil de Ministres de poursuivre sans autre délai la voie qui a été ouverte par la résolution que, dans une claire vision de l’avenir, les six Ministres des Affaires étrangères ont prise le 10 septembre 1952. En faisant ces suggestions, la Commission Constitutionnelle répond à la résolution adoptée unanimement le 10 mars par l’Assemblée ad hoc et aux termes de laquelle la Commission est chargée de suivre l’activité gouvernementale relative au projet et de faire rapport à l’Assemblée ad hoc, en temps opportun, sur l’état des travaux ». La L. fu poi diramata da Calmes ai cinque Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea con L. CM/S (53) C.I. I del 13 luglio da Lussemburgo (ASUE, CM1/CPE, 34.1).
15 3 Per il seguito vedi DD. 38 e 43.
L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
R. segreto 9782. Washington, 9 luglio 1953.
Oggetto: Conferenza Tripartita di Washington
Riferimento: Mio rapporto 9741 del 6 luglio corrente(2).
Signor Ministro,
il Dipartimento di Stato mi ha ragguagliato circa lo svolgimento della riunione di ieri dei Delegati Permanenti al Consiglio Atlantico, nella quale il nostro Rappresentante ha notificato ai suoi colleghi la nostra iniziativa per una sessione della NATO e della CECA da tenere prima delle elezioni tedesche. Il Delegato americano, mi è stato detto, è rimasto impressionato dalle argomentazioni del delegato britannico circa la «delicatezza» della questione e circa la necessità di seguire un determinato timing e determinate procedure. Il Dipartimento sta esaminando tuttora la nostra proposta e potrà fissare le sue idee al riguardo solo nel corso dell’imminente conferenza.
Ho da parte mia insistito sulle note considerazioni di politica estera e interna che hanno determinato il nostro passo e sulle quali ho pregato il Dipartimento di fermare molto seriamente la sua attenzione nel comune interesse della Unione Europea e degli stessi Stati Uniti che di essa hanno fatto uno dei punti essenziali della loro politica estera.
Vedrdomattina l’Assistant Secretary Merchant allo scopo di illustrargli tutti gli aspetti del problema e spingerlo ad agire avvalendomi anche delle opportune considerazioni svolte da Vostra Eccellenza col telespresso n. 1/1769/c. del 3 luglio corrente.
Circa l’imminente Conferenza Tripartita ed i suoi eventuali sviluppi successivi prevale ora l’impressione che si sia registrato un certo avvicinamento tra il punto di vista britannico e quello americano per quanto concerne sia la valutazione delle intenzioni sovietiche sia il problema tedesco.
Circa le prime si rileva che già il progetto russo del 10 marzo 1952(3) costituiva un «interessante sviluppo» del precedente atteggiamento sovietico e che esso potrebbe eventualmente costituire il punto di partenza di nuove proposte di Mosca (come ho telegrafato, si è smentito qui il dettagliato piano che, secondo l’informazione raccolta dalla nostra Delegazione alla CED, sarebbe stato presentato nel giugno scorso dai Russi). Le nuove agitazioni nei Paesi satelliti hanno poi rafforzato la ipotesi che la Russia si troverebbe, almeno dal punto di vista politico e psicologico in una situazione di «debolezza» nel caso di una riunione quadripartita.
Mentre pertanto da parte americana si sottolinea l’opportunità di non compiere passi affrettati, da parte inglese si ammette che occorre discutere sul timing, lasciando intendere che una volta accertata di comune accordo l’opportunità di un incontro con i Russi gli Inglesi si asterrebbero dall’esercitare pressioni per affrettare l’incontro stesso e tanto meno per determinare concessioni su quegli che gli Americani considerano punti essenziali della loro politica cominciando da quello dell’integrazione europea. In questo senso si è larvatamente espresso lo stesso Salisbury nelle dichiarazioni da lui fatte alla stampa al momento del suo arrivo qui.
Il proposito di procedere per tappe favorirebbe l’idea di tenere una conferenza a tre, la quale avrebbe il compito di decidere al massimo livello gli elementi predisposti a Washington dai tre Ministri degli Esteri. In tale procedura si potrebbe anche meglio inserire la riunione del Consiglio Atlantico da noi suggerita, per quanto mi pare di capire che l’accoglienza preliminarmente fatta alla nostra proposta a Londra e a Parigi non lasci prevedere per ora chiari sviluppi dell’atteggiamento anglo-francese.
Sulla riunione al livello massimo non esiste ancora qui alcun orientamento neppure di principio. Alle ripetute richieste dei giornalisti Eisenhower ha risposto ieri in modo evasivo pur non escludendo tassativamente una decisione positiva.
Per quanto concerne i problemi tedeschi, da parte americana si è molto insistito in questi ultimi giorni sul proposito di spingere avanti il processo dell’integrazione in qualunque evenienza, volendo con cisignificare che un eventuale tentativo con i Russi nel campo dell’unificazione dovrebbe essere fatto in modo da non danneggiare la progettata integrazione. Gli Americani, in altri termini, non accetterebbero affatto eventuali suggerimenti per la neutralizzazione della Germania ma sosterrebbero che il Governo tedesco unificato risultante da elezioni libere in tutta la Germania dovrebbe rimanere arbitro di decidere circa la sua difesa, in conformità a quanto è del resto già previsto da apposita clausola degli Accordi Contrattuali. Tale posizione si fonderebbe poi sul carattere difensivo della Comunità Europea di Difesa.
Da parte britannica non si muove alcun rilievo di massima a tale posizione americana, ma al tempo stesso non si manca di far rilevare indirettamente che esistono difficoltà’ per l’entrata in funzione della CED e non soltanto da parte Sovietica.
Il maggior senso di distensione che si registra alla vigilia dell’apertura della Conferenza Tripartita non implica pertanto un sostanziale progresso nella soluzione dei problemi di fondo, ma implica piuttosto una reciproca volontà di attenuare i contrasti con metodi tattici e procedurali o ricorrendo a generiche impostazioni di massima, da cui ciascuno spera di trarre conseguenze consone ai rispettivi propositi.
Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio più devoto ossequio.
[Alberto Tarchiani]
16 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.
16 2 Vedi D. 11.
16 3 FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 65.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI(1)
T. 227. Roma, 10 luglio 1953.
Oggetto: Riunione tripartita Washington.
Le è stato trasmesso, con telegramma 6976/c.(2) quanto Quaroni ha riferito circa suo colloquio con Bidault.
Due punti mi sembrano acquisiti:
1) Bidault conviene circa necessità consultazione collettiva Paesi atlantici prima eventuale incontro a quattro;
2) egli è d’accordo che, qualora nelle conversazioni a tre si raggiunga (come vivamente auspichiamo) decisione positiva in merito, se ne faccia esplicita menzione nel comunicato finale dell’incontro.
Per quanto riguarda data della consultazione non abbiamo, allo stato attuale, suggerimenti da formulare ma è certo che dovrà tener conto delle elezioni germaniche. Essa potrebbe fare oggetto scambio vedute tra i tre ministri che avanzerebbero al riguardo proposte agli altri Paesi interessati. Comunicato potrebbe quindi mantenersi nel vago su questo punto.
Resta purtroppo seria perplessità Bidault circa partecipazione della Germania alla consultazione collettiva.
Ci rendiamo conto dei motivi che la determinano e non ne sottovalutiamo il peso. Ma è lecito domandarsi se al punto in cui ci troviamo e con i motivi che animano (o dovrebbero animare) sforzi democrazie occidentali per conseguire massima possibile unità di propositi, sia concepibile una consultazione collettiva sul problema tedesco dalla quale Germania di Adenauer fosse esclusa. Non possiamo né intendiamo chiedere a Bidault di prendere iniziativa di estendere consultazione alla repubblica di Bonn. Gli chiediamo solo di non opporsi ad una altrui iniziativa in questo senso e confidiamo che iniziativa possa venire da Dulles.
Prego V. E. di voler trovare il modo di far valere costì considerazioni che precedono(3).
Per il seguito vedi D. 21.
17 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.
17 2 Vedi D. 12, nota 2.
17 3 Con T. segreto urgente 426, pari data, Tarchiani comunicava: «Da fonte strettamente confidenziale ma sicura ho inteso Governo francese, con appoggio Londra, già manifestato qui sua opposizione riunione NATO e CECA. Esso fatto presente essere inopportuno tre paesi occupanti sottopongano loro decisioni contemporaneamente Germania e alleati NATO. Appare molto difficile ad americani superare tale opposizione. Riunione Consiglio Atlantico a livello ministri non è invece esclusa. Ma suddetta fonte ritiene si voglia qui procedere per gradi evitando brusche decisioni, anche in vista fluidità situazione generale. Dirigenti Dipartimento già impegnati in riunioni tripartite. Conto tuttavia avere personalmente in giornata più diretti autorevoli elementi circa atteggiamento Dulles, anche in relazione suo 227 testé pervenutomi» (ibidem).
L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. segreto 3549/1651(2). Londra, 10 luglio 1953.
Oggetto: Conferenza di Washington. Germania e CED.
Riferimento: Mio telegramma n. 199 del 7 luglio u.s.
Come ho comunicato telegraficamente, ho avuto stamane uno scambio di vedute con il Ministro di Stato Selwyn Lloyd, sulle conversazioni di Washington e i loro eventuali sviluppi.
Gli ho anzitutto ripetuto e precisato il punto di vista italiano, riassumendolo in quattro punti:
1) non pregiudicare la CED;
2) compatibilità tra la CED e l’unificazione della Germania;
3) appoggio al Governo Adenauer;
4) assicurare consultazioni con tutti gli alleati del NATO e con la Germania dopo la riunione di Washington.
Ho sottolineato al mio interlocutore che il pericolo di una conferenza a quattro derivava ora soprattutto dalle aspettative che essa aveva creato: il che aveva avuto un effetto paralizzante sulle iniziative occidentali. Bisognava assolutamente evitare che i Sovietici, senza essere disposti ad affrontare alcun problema concreto, consentissero a trattare unicamente per mantenere l’illusoria atmosfera di distensione e per minare la resistenza psicologica della nostra opinione pubblica.
Selwyn Lloyd mi ha assicurato che tale era anche il punto di vista britannico. Churchill, proponendo una conferenza a quattro, intendeva che essa fosse tenuta entro un breve periodo di tempo allo scopo appunto di accertare se le intenzioni distensive sovietiche fossero o meno serie e, in conseguenza, orientare l’opinione pubblica occidentale. L’attuale disagio era determinato non dall’iniziativa britannica ma dal ritardo subito dal progettato incontro con i Sovietici e ciera, a sua volta, dovuto alla forte opposizione americana e alla susseguente infermità di Churchill.
Allo stato attuale delle cose una Conferenza a Quattro non avrebbe potuto ormai aver luogo che in ottobre o novembre e non prima che un serio ultimo sforzo fosse stato fatto per varare la CED. Lloyd non escludeva l’opportunità di una conferenza a tre subito dopo le elezioni tedesche per esaminare la situazione che ne sarebbe derivata. Questa riunione a tre, egli ha detto, non era ancora decisa ma veniva seriamente considerata.
Abbiamo poi considerato l’atteggiamento francese. Selwyn Lloyd mi ha detto che il Governo inglese ne è seriamente preoccupato. Secondo lui, è difficile definire che cosa i francesi vogliano: se siano per o contro la CED, per o contro Adenauer, per o contro una neutralizzazione della Germania, perché profondo è il dissenso e il disorientamento tra Governo, Parlamento, uomini e partiti e all’interno stesso dei partiti politici. Unico sentimento comune, sottostante a tanto dissenso, è, secondo Selwyn Lloyd, una indefinita velleità di tenere la Germania sottomessa ad ogni costo, ma senza poi che gli stessi francesi sappiano esattamente come ciò possaavvenire.
A questo proposito Lloyd si è dichiarato, senza reticenze, contrario a ogni progetto di controllo e di neutralizzazione della Germania. Gli ho richiamato in proposito quanto Churchill aveva detto all’E.V. e le perplessità allora dimostrate dal Primo Ministro, per il caso che la CED fallisse, fra una Germania nel NATO e una Germania neutralizzata.
Lloyd mi ha risposto molto decisamente che, secondo lui, Churchill aveva inteso l’ipotesi della neutralizzazione come una ipotesi estrema e deprecabile. «Da parte mia non nutro dubbi, mi ha aggiunto Lloyd, su quella che dovrebbe essere la gerarchia delle preferenze: anzitutto vorrei la Germania occidentale nella CED, poi la Germania unita nella CED, in terzo luogo la Germania Occidentale nel NATO. Infine e solo nel caso che tutte queste possibilità venissero meno, non mi rifiuterei di considerare anche l’ipotesi di una Germania neutra e controllata, pur di fare qualcosa, ma considerando questa eventualità come un vero disastro».
Secondo Lloyd questo è in sostanza il pensiero britannico. Ne ho avuto poco dopo conferma da Dixon il quale si è espresso più o meno negli stessi termini e anch’egli, riferendosi all’ipotesi di una neutralizzazione tedesca, l’ha definita una soluzione assurda e pericolosissima.
Per quanto riguarda la consultazione dei Paesi del NATO, Lloyd è stato assai cauto. Anzitutto se dovesse esservi, come è probabile, una seconda riunione a tre, una simile consultazione sarebbe preferibile dopo questo convegno. In secondo luogo egli ha detto di consentire senz’altro sul principio della consultazione nel NATO, ma di essere in dubbio sulla opportunità di realizzarla mediante una conferenza «ad hoc» solennemente annunciata; forse sarebbe meglio valersi dei mezzi già esistenti come il Consiglio Atlantico o la CECA o gli ordinari contatti diplomatici. Infine, dovrebbe essere considerata con grande prudenza la partecipazione della Germania, specie in vista delle preoccupazioni francesi. Per i contatti con la Germania, ci si potrebbe piuttosto avvalere degli organi già costituiti come i tre Commissari alleati o simili.
Lloyd ha quindi ripetuto che un serio sforzo per la CED doveva essere compiuto prima della conferenza a quattro ed ha aggiunto parole più impegnative, autorizzando a ripeterle alla E.V. Egli mi ha detto che giungerà presto il momento di mettere la Francia di fronte alle sue responsabilità, intendendo per Francia il Parlamento francese perché in esso stava la chiave delle difficoltà e delle soluzioni.
Il Governo britannico riteneva cioè che, in modo opportuno e tenendo conto delle suscettibilità di oltre Manica, si dovesse prima della Conferenza dei quattro mettere il Parlamento francese di fronte alla vera alternativa: alla scelta fra la Germania nella CED e la Germania nel NATO. Lloyd mi ha dato la netta impressione che questa stia ormai diventando una precisa e maturata linea di condotta britannica.
Quale sia il vero pensiero dietro queste pur esplicite e apparentemente sincere affermazioni, se cioè Londra speri davvero che la CED si realizzi, è difficile dire: ma ritengo che questo Governo, volendo uscire dall’attuale equivoco, sia disposto a dimostrare di fare ogni sforzo per favorire la ratifica. Naturalmente, come Lloyd mi ha detto, cipresuppone che Adenauer vinca le elezioni, il che sarebbe facilitato se altri Parlamenti precedessero a breve scadenza quello francese nella ratifica.
Siamo rimasti d’accordo di vederci subito dopo il ritorno di Salisbury da Washington(3).
18 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 19 bis, fasc. 3.
18 2 Copia del telespresso fu inviata da Brosio, con L. 3581 in pari data, a Quaroni con il seguente commento: «La mia impressione è che il Foreign Office oggi si preoccupi di evitare che la Gran Bretagna venga considerata come responsabile di questa fase di rilassamento nella coesione occidentale. Donde il vigore con il quale si proclama l’appoggio inglese alla CED»(ibidem).
18 3 Vedi D. 25.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. riservato 846/608. Parigi, 10 luglio 1953.
Oggetto: Integrazione europea. Colloquio con Paul Reynaud.
Allo scopo di vedere se qualche cosa possa essere fatto per corrispondere al desiderio di V.E. di far dare un contenuto piconcreto alla progettata riunione di Baden-Baden, ho voluto questa mattina intrattenere Paul Reynaud.
Le idee europeistiche di Paul Reynaud sono ben note: attualmente egli ha una posizione di particolare influenza nel Gabinetto francese, dato che il Presidente del Consiglio è considerato, ed a ragione, come una sua creatura. Il che è anche visibile materialmente; Reynaud si è attualmente installato, unico dei Ministri di Stato, alla Presidenza del Consiglio, nella stanza accanto a quella del Presidente.
Ho esposto a Paul Reynaud le Sue idee e le Sue preoccupazioni con particolare riguardo, sia al pericolo che rappresenta l’indulgere troppo in tentativi di distensione, che possono paralizzare tutto il movimento per l’integrazione europea, sia all’influenza nefasta che questo processo di rallentamento può avere sulla situazione interna tedesca in vista delle prossime elezioni.
Paul Reynaud mi ha detto di condividere intieramente le preoccupazioni di V.E., sia generali, che particolari sul problema tedesco. Ha peraggiunto che la situazione parlamentare francese non permette al Governo di superare certi limiti.
Il Governo francese, dice lui, è ormai legato dall’imprudente dichiarazione di René Mayer (che ha sempre detestato) che legava la ratifica della CED alla liquidazione della questione della Sarre; si poteva non stabilire questo principio, ma ormai è fatto e qualsiasi Governo francese ne è legato. D’altra parte la vigilia elettorale è il momento meno opportuno per un Governo tedesco per discutere della questione della Sarre.
D’altra parte, dice Reynaud – e non posso che condividere il suo pensiero – oggi, è materialmente impossibile far votare la CED dal Parlamento francese, anche se, teoricamente, si potrebbe forse legare la Sarre alla ratifica degli accordi di Bonn, e procedere indipendentemente alla ratifica della CED. Se ne potrà al massimo parlare alla ripresa dei lavori parlamentari, ossia in ottobre, e cioè dopo le elezioni tedesche.
Ma anche a questo riguardo, Reynaud ritiene che sia prima necessario levare l’ipoteca della distensione russa. Egli è d’avviso che, quali che siano le proposte dei russi, un settlement della questione tedesca, sola, non è che una illusione: il pericolo di guerra sta nello squilibrio enorme di forze fra il mondo europeo occidentale ed il mondo russo: la politica collettiva ha fatto dimenticare che non esiste altra maniera di stabilizzare, relativamente almeno, la pace, che l’equilibrio delle forze. Una soluzione del problema tedesco che comporti sì l’evacuazione della Germania da parte delle truppe russe ma anche la partenza delle truppe inglesi ed americane, non farebbe che accentuare tanto l’attuale squilibrio quanto il rischio di guerra. Bisogna porre ai russi la condizione di accettare il principio del disarmo controllato: se essi lo accettano sul serio, cosa di cui egli dubita, si potrà parlare. Se essi lo rifiutano – e l’Occidente dovrebbe portarli abilmente a rifiutarlo – allora la campagna dei neutralisti, o distensionisti, verrebbe in parte stroncata e solo allora potrebbe riprendersi con buone chances di successo la campagna per la ratifica francese della CED. Egli aveva particolarmente insistito, in Consiglio dei Ministri, presso Bidault perché egli sollevasse la questione del disarmo alla Conferenza di Washington.
Circa la questione dell’integrazione politica, su cui ho particolarmente insistito, Reynaud mi ha detto che, nella attuale congiuntura parlamentare, non è possibile al Governo francese di prendere delle decisioni di sostanza. Tutto quello che si potrebbe fare sarebbe cercare di salvare qualche apparenza: egli è disposto a fare il possibile in questo senso: dubita perche delle sole parole, o delle sole apparenze, possano realmente essere di aiuto ad Adenauer nella sua campagna elettorale.
Reynaud è piuttosto pessimista circa le elezioni tedesche e vede molto probabile una vittoria socialista. Questo lo preoccupa, non per le sue ripercussioni immediate, poiché pensa che Ollenhauer, al potere, potrebbe difficilmente prendere una posizione molto differente da quella di Adenauer, ma per considerazioni pilontane. Un Governo socialista in Germania non potrebbe, come in qualsiasi altro Paese, che rovinare la moneta, l’economia e la finanza tedesca. La destra tedesca, che la politica di destra ragionevole seguita da Adenauer, sul terreno economico, è riuscita fino ad ora a tenere in freno, si scatenerebbe e non potrebbe scatenarsi che in senso ultranazionalista e nazista; ricostituendo così un pericolo grave non solo per l’Europa ma per la stessa Germania. Detto questo, in vista delle illogicità della posizione inglese, della inelasticità degli americani e della confusione interna grave della Francia, non vede cosa si possa fare praticamente per evitare questo pericolo.
19 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
IL CANCELLIERE E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, ADENAUER, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
L. 224-20 II/9859/53(2). Bonn, 14 luglio 1953.
Herr Präsident,
Für Schreiben vom 30. Juni 1953(3) über den Charakter unserer für den 7. August vorgesehenen Zusammenkunft in Baden-Baden darf ich meinen Dank aussprechen.
Ich teile Ihre Auffassung, dass diese Zusammenkunft einen konstruktiven Charakter haben muss und sich nicht auf die Erörterung von Verfahrensfragen beschränken darf. Sie muss daher meiner Meinung nach insbesondere die Grundlagen für die Arbeit der Aussenministerstellvertreter schaffen(4).
Was den Beginn dieser Arbeit der Stellvertreter betrifft, würde ich es für zweckmässig halten, wenn sie unmittelbar in Fortsetzung der Ministerkonferenz aufgenommen werden würde, so wie dies auch f die Konferenz in Rom vorgesehen war.
Genehmigen Sie, Herr President, den Ausdruck meiner ausgezeichnetsten Hochachtung.
Adenauer
20 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
20 2 Trasmessa da Guazzugli Marini con L. CM/S (53) 4542 del 21 luglio, unitamente alla seguente traduzione in francese: «Monsieur le Président, il me soit permis de vous remercier de votre lettre du 30 juin 1953 au sujet du caractère de notre réunion à Baden-Baden prévue pour le 7 ao. Je partage votre opinion que cette réunion doit avoir un caractère constructif et ne doit pas se limiter à une discussion de questions de procédure. A mon opinion elle devra en particulier servir de base pour le travail des suppléants des Ministres des Affaires Étrangères. Quant au commencement de ce travail des suppléants je le considérerais utile s’il se faisait immédiatement à la suite de la conférence de Ministres, ainsi que cela était prévu pour la conférence de Rome. Veuillez agréer, Monsieur le Président, l’assurance de ma plus haute considération».
20 3 Vedi D. 3.
20 4 Con L. CM/S (53) del 22 luglio, Guazzugli Marini scriveva a Calmes, nella prima parte della lettera: «La réponse allemande dont je vous ai déjà envoyé une copie, me semble, reflection faite, de nature à ne pas compromettre la convocation de la conférence. En effet les termes employés sont assez modérés. Avant encore que cette réponse arrive, Cavalletti avait suggéré à Rome que les Italiens interviennent pour obtenir de Bonn une attitude prudente. Je crois que cette intervention sera utile» (ASUE, CM1/CPE, 32.8).
L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
T. 447. Washington, 15 luglio 1953.
Oggetto: Conversazioni tripartite di Washington.
Ho visto Dulles in presenza miei colleghi francese e britannico, da lui parimenti convocati affinché insieme mi mettessero al corrente conversazioni tripartite testé concluse. Dulles ha espresso speranza che nette dichiarazioni comunicato finale su unità europea, CECA e CED diano V.E. piena assicurazione che esigenze da lei prospettate sono state tenute presenti. Ha aggiunto che mai Stati Uniti consentiranno che contatti con URSS si risolvano a scapito o anche soltanto in rallentamento processo unificazione europea. Proposta incontro quadripartito era necessario per togliere a URSS iniziativa. Anche riconoscimento tale esigenza gli sembrava conforme a giuste preoccupazioni pivolte espresse da V.E.
Era stata anche esaminata attentamente proposta convocazione NATO e CECA. Era poi stata scartata, nonostante suoi vantaggi, perché non avrebbe praticamente consentito informazione piampia di quella raggiungibile mediante contatti diretti con governi NATO. Germania, per la parte che la concerne, è stata minutamente informata ed è consenziente. Resoconto dettagliato seduta sarà comunicato oggi a Consiglio permanente NATO.
Data conferenza quadripartita sarebbe fine settembre e comunque posteriore elezioni tedesche. Circa sede si era accennato Vienna, ma è stata scartata. Si tratterà probabilmente altra località europea forse svizzera.
21 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.
L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
R. segreto 10145. Washington, 16 luglio 1953.
Oggetto: Conferenza tripartita.
Signor Ministro,
salvo quanto potrà risultare dalle ulteriori informazioni che via via potranno raccogliersi e che saranno soprattutto «di colore», mi sembra che si possa già fare un bilancio abbastanza preciso dell’incontro tripartito di Washington.
È a tutti nota la genesi del convegno. L’idea di un contatto ad alto «livello» fra i governi delle tre principali Potenze occidentali è sorta a seguito dell’iniziativa di Churchill per un incontro quadripartito(2): la riunione a tre doveva costituire il preludio di quella a quattro; e quella a quattro era intesa ad esplorare la via verso una nuova impostazione dei rapporti fra Occidente e Oriente, tale da consentire una «distensione». Di qui le polemiche, la curiosità ansiosa del pubblico e, in generale, i dubbi sull’opportunità di una iniziativa, che, mentre ad alcuni sembrava necessaria a creare un fatto nuovo sul piano inclinato del riarmo e della «guerra fredda», ad altri appariva suscettibile soltanto di disorientare l’opinione pubblica dei Paesi occidentali e di favorire la propaganda comunista.
Annunciato su una nota chiassosa, l’incontro a tre si è effettuato e concluso su una nota assai più moderata. A ciò hanno contribuito, naturalmente, la malattia di Churchill e la conseguente sostituzione dei Capi di Governo coi Ministri degli Esteri. Tuttavia la ragione principale del tono smorzato rispetto alle previsioni sta, a mio avviso, nella realtà stessa della situazione internazionale, che si è imposta non appena i dirigenti della politica estera dei tre Paesi si sono seduti attorno alla tavola della conferenza. E questo «sgonfiamento» costituisce, forse, il risultato migliore dell’incontro perché ha permesso il ristabilimento di una sostanziale unità d’indirizzo fra le tre Potenze occidentali sul fondamentale problema dei rapporti con l’URSS.
Il dubbio se, sì o no, si doveva proporre all’URSS un nuovo dialogo ad alto «livello» sembrava separare profondamente gli Stati Uniti da un lato e la Gran Bretagna e la Francia dall’altro. Gli Americani non si sono scostati affatto dalla loro posizione, secondo la quale un nuovo dialogo non potrebbe condurre a nessun risultato pratico (per «americani», intendo non soltanto Dulles, al tavolo della conferenza, e i funzionari dal Dipartimento di Stato, ma anche il Presidente Eisenhower e gli uomini che gli sono particolarmente vicini e che lo consigliano in problemi di politica estera: ad esempio C.A. Jackson e R. Cutler, «special assistants to the President» incaricati del collegamento rispettivamente con gli uffici della «guerra psicologica» e col «National Security Council»). I Francesi ed i Britannici, sia pure con riserve di vario grado, hanno dovuto ammettere la sostanziale fondatezza della tesi americana, cosicché la discussione ha avuto per oggetto quasi esclusivo la convenienza di proporre un incontro quadripartito, soltanto a scopi «psicologici» e senza speranza di sviluppi concreti. A loro volta gli Americani, nel venire incontro ai loro interlocutori, hanno subordinato la loro adesione ad una cautela sostanziale: la limitazione dell’ordine del giorno dell’eventuale incontro al problema tedesco e al trattato di pace con l’Austria e, per quanto riguarda il problema tedesco, ai due punti indicati nella nota all’URSS(3).
È dubbio che, malgrado queste cautele, gli Americani avrebbero abbandonatola loro opposizione di principio, senza il decisivo intervento della Germania. È questo, un punto di grande importanza, non solo per quanto concerne la conferenza in questione.
Come è noto, Blankenhorn è stato a Washington durante l’incontro. Egli era latore di precise istruzioni ed anche di una lettera di Adenauer(4). Per suo tramite, Adenauer ha manifestato il fermo convincimento che l’URSS stesse per fare un qualche «gesto»
spettacolare di propaganda, atto a mitigare le ripercussioni della rivolta nella Germania orientale e a danneggiare la posizione del partito di governo della Germania occidentale; ed ha dichiarato essere indispensabile prevenire la mossa sovietica con la proposta di un incontro, da annunciarsi subito, ma da effettuarsi dopo le elezioni tedesche, per evitare che queste siano influenzate dal corso, probabilmente ondeggiante, delle conversazioni.
Giusto o errato che fosse il punto di vista di Adenauer, certo è che ha prevalso; e i tedeschi sono assai soddisfatti di ciò come pure dello strettissimo e continuo contatto che sono riusciti a mantenere coi tre ministri degli Esteri nel corso della conferenza. Essi vedono in questo un segno del vivo interessamento americano pei loro problemi e in particolare per quello delle imminenti elezioni.
I francesi, a quanto mi si dice, non hanno ostacolato né l’assegnazione di un peso notevole al punto di vista tedesco né il contatto col rappresentante di Adenauer; hanno, anzi, cercato di non turbare l’atmosfera con la discussione di altri problemi concernenti la Germania. (Non hanno, ad esempio, parlato affatto di Saar).
Risolta in questo modo la questione dell’incontro quadripartito è stato naturale che si insistesse sulla necessità di non rallentare gli sforzi per l’integrazione europea, e soprattutto per la ratifica dell’accordo CED, ma, in proposito, i francesi non sono stati in grado di fare nulla di più che le solite dichiarazioni di buona volontà.
Sul resto (Estremo Oriente ecc.) il comunicato espone esaurientemente il contenuto dei colloqui(5).
Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio più devoto ossequio.
[Alberto Tarchiani]
22 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.
22 2 Fu proposta da Churchill nel discorso alla Camera dei Comuni dell’11 maggio 1953. Si veda ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1953, pp. 12-13.
22 3 La nota degli alleati fu redatta ed approvata nel corso della Conferenza: FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 257.
22 4 Fu commentata nel corso della seconda giornata (11 luglio) della Conferenza Tripartita: FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 2, D. 300.
22 5 Tarchiani lo aveva riassunto nel T. 445 del [15] luglio: «Comunicato congiunto diramato conclusione Conferenza Tripartita sottolinea seguenti punti principali: 1) riconferma politica atlantica ed europeista cui devonsi migliorate prospettive pace; 2) necessità rafforzare unità europea ambito comunità atlantica e costituire CED; 3) considerazione speciale urgenza problema unità germanica. Tre governi, dopo consultazione Governo tedesco, deciso proporre riunione principio autunno Ministri Esteri quattro grandi discutere direttamente procedura soddisfacente soluzione problema tedesco: in particolare organizzazione libere elezioni e costituzione libero governo per intero paese. Tale riunione dovrà anche esaminare conclusione trattato austriaco; 4) tre ministri incaricheranno rispettivi rappresentanti permanenti NATO informare altri paesi membri risultati conversazioni attuali; 5) circa Estremo Oriente impegno in caso rinnovarsi aggressione comunista dopo conclusione tregua Corea, intervenire ristabilimento situazione» (ibidem). Per il testo integrale del comunicato vedi FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 2, D. 316.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
Appunto riservato 20/2566(2). Roma, 17 luglio 1953.
Oggetto: Riunione di Baden Baden.
A tre settimane di distanza dal previsto inizio (7 agosto 1953) della riunione dei Ministri degli Esteri dei sei Paesi della Comunità Europea, decisa nel corso della riunione del 22 giugno a Parigi, può dirsi che – almeno fino a questo momento e contrariamente a quanto avvenuto altra volta – non si scorgono i segni precursori di un rinvio.
Può anzi affermarsi che il Comunicato finale della Conferenza tripartita di Washington(3)ha finito per ribadire, in modo inequivoco, i concetti che sono alla base dello sviluppo della cosiddetta politica «europeista» dell’Europa occidentale. Esso infatti così si esprime: «Convinti che nessuno sforzo debba essere risparmiato per rafforzare la unità europea nel quadro della Comunità Atlantica, i Ministri hanno constatato che la Comunità Carbone e Acciaio, nata dall’iniziativa francese, è ora allo studio delle realizzazioni pratiche. Il trattato relativo alla Comunità di Difesa costituisce una tappa necessaria nella stessa direzione, mentre proseguono, tra i sei Governi, i lavori relativi alla creazione di una Comunità politica Europea». E subito dopo: «In conseguenza i tre Ministri si sono trovati d’accordo nel considerare che la Comunità Europea rafforzerà la Comunità Atlantica e sarà, a sua volta, rafforzata dalla associazione con questa e che gli sforzi costruttivi in vista dell’edificazione di una Comunità Europea apportano un importante contributo alla pace mondiale poiché essa risponde ai bisogni durevoli dei suoi membri per quanto concerne la loro sicurezza e la loro prosperità».
In tali condizioni sembrerebbe effettivamente difficile e strano un rinvio della riunione di Baden Baden i cui scopi, come è noto, appaiono costituiti, da una parte, dalla necessità di non creare pericolose soluzioni di continuità nel processo evolutivo destinato a favorire l’integrazione europea e, dall’altra, dall’opportunità, ovunque riconosciuta, di dare al Cancelliere tedesco Adenauer un segno europeo di solidarietà alla vigilia delle elezioni al Bundestag, fissate per i primi giorni di settembre.
Ciò detto, occorre, per subito aggiungere che, nei riguardi del contenuto effettivo della prevista riunione, non si constatano, fino ad oggi, importanti novità di preparazione e di atteggiamento.
Le posizioni dei singoli Governi sono più o meno quelle già note. Da parte francese – anche se a mezza voce dopo il comunicato di Washington – si fa comprendere che il Governo di Parigi non desidera grosse novità e sarebbe lieto se alla riunione di Baden Baden venisse dato soltanto il carattere, a simiglianza di quanto avvenne a Parigi il 22 giugno, di uno scambio di idee tra i sei Ministri su problemi di carattere generale con lievi accenni al progetto di statuto per la Comunità europea.
Da parte tedesca, anche se con minore insistenza, si fa comprendere come Baden Baden dovrebbe costituire quel vero e proprio «preludio» alla Conferenza di lavori sullo Statuto europeo che avrebbe già dovuto tenersi a Roma il 12 giugno u.s.
I Paesi del Benelux, con qualche accenno – specie da parte olandese – a problemi inerenti allo Statuto, quale, ad es., il «contenuto economico» di esso, non hanno dato segni di grande attività.
In realtà, ed in riassunto, il Segretariato permanente del Consiglio dei sei Ministri non è stato messo in condizioni, fino ad oggi, di fare circolare alcun documento preparatorio.
Viceversa, in queste settimane, abbiamo avuto una importante presa di posizione
– a mezzo di una lettera diretta al Presidente di turno, On. De Gasperi, dal Presidente dell’Assemblea ad hoc, Spaak, e dal Presidente della Commissione Costituzionale della stessa Assemblea, von Brentano(4)– da parte della Assemblea ad hoc. Questa, infatti, nel mettere in rilievo l’importanza del progetto di Statuto, da essa compilato, chiede di poter partecipare, con modalità da determinarsi al più presto, ai lavori della prossima Conferenza intergovernativa. Tale lettera è stata già trasmessa integralmente al Segretariato permanente di Lussemburgo perché venisse portata a conoscenza degli altri cinque Ministri degli Esteri, anche perché essi siano messi in condizione di far conoscere su di essa il loro parere, in vista di una risposta.
In considerazione di quanto sopra, non appare né semplice né facile la formulazione dell’ordine del giorno per la riunione di Baden Baden: ordine del giorno che, comunque, dovrà essere fra non molto comunicato ai Ministri interessati.
In linea di massima, sembrerebbe opportuno che esso non contenesse eccessive specificazioni, proprio per evitare preventivi irrigidimenti da parte francese e da parte del Benelux, ma, d’altra parte, si ripete, sarebbe senz’altro controproducente non indicare assolutamente alcun argomento che si colleghi con lo studio del futuro Statuto europeo.
Forse l’ordine del giorno potrebbe, ad esempio, essere così formulato:
1) Approvazione dell’ordine del giorno.
2) Modalità per l’ammissione degli «osservatori».
3) Discussione generale in merito alle attribuzioni ed alle istituzioni della futura Comunità.
4) Scambio di idee su questioni di politica generale interessanti i sei Paesi.
5) Programma ulteriore dei lavori.
Circa la questione degli «osservatori» occorre ricordare come la presenza del Segretario Generale del Consiglio d’Europa sia già stata in precedenza stabilita. Naturalmente occorre considerare se la riunione di Baden Baden possa o non essere effettivamente considerata come la vera e propria «Conferenza» per lo Statuto Europeo. Quanto agli altri osservatori si penserebbe di attirare l’attenzione del Consiglio dei Ministri sulla necessità della presenza di rappresentanti del Governo americano, del Governo britannico, della CECA ed, eventualmente, della Comunità interinale della CED.
Quanto alla partecipazione, ai futuri lavori, dei rappresentanti dell’Assemblea ad hoc, a norma della richiesta avanzata dal Presidente Spaak, non è difficile immaginare che essa sia destinata ad incontrare non lievi difficoltà, specialmente da parte dei Paesi del Benelux. Una inclusione di tale questione nell’ordine del giorno potrebbe, forse, utilmente permettere una battuta d’aspetto, senza troppo pericolo e facendone assumere la responsabilità a tutti e sei.
Quanto al numero 3 del progettato ordine del giorno (Discussione generale in merito alle attribuzioni ad alle istituzioni della futura Comunità) si potrebbe utilmente, da parte della Presidenza della riunione, indicare qualche esemplificazione in merito, se si vuole, alle attribuzioni economiche della Comunità ed ai suoi organi, pur tenendo presente, si ripete, che argomenti troppo precisi o delicati potrebbero provocare preventivi irrigidimenti.
L’utile esempio, infine, costituito dalla recente riunione del 22 giugno a Parigi, fa pensare che non debba escludersi dalla riunione di Baden Baden – all’indomani dell’incontro tripartito di Washington ed alla vigilia di importantissimi avvenimenti internazionali, quali l’elezioni tedesche, il progettato incontro a quattro e la futura Conferenza Atlantica, che potrebbe essere anticipata sulla sua prevista data di ottobre
– un nuovo scambio di idee tra i sei Ministri su questioni politiche di comune interesse. In altre parole, quel carattere di «direttorio» della politica estera dei sei Paesi che trovuna sua prima affermazione a Parigi, dovrebbe essere, a Baden Baden, mantenuto.
Circa la parte pratica dell’organizzazione della riunione, è necessario aggiungere come contatti siano già stati presi con il Governo tedesco, tanto a mezzo del nostro Ufficio del Cerimoniale, interessato in merito dall’Ufficio del Cerimoniale della Repubblica Federale di Bonn, quanto con una visita già fatta a Baden Baden dal Segretario Permanente del Consiglio dei Ministri, signor Calmes, al quale occorrerà, tra breve, inviare l’elenco definitivo dei membri della nostra Delegazione. Questa – non è difficile prevedere – dovrebbe essere formata di non più disette od otto persone, anche perché tutto fa ritenere che la riunione di Baden Baden, pur destinata ad avere maggiore contenuto di quella di Parigi, non sarebbe ancora la vera e propria Conferenza per lo Statuto europeo. Sarà, anzi, proprio compito dei sei Ministri fissare a Baden Baden, come si è sopra accennato, le modalità, la data ed il luogo della futura Conferenza dei Sostituti.
23 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
23 2 L’appunto, diretto per conoscenza a Benvenuti, Zoppi, Del Balzo e Corrias, reca la seguente annotazione manoscritta con la sigla di Zoppi: «Per parte mia non sono tanto favorevole ai troppi osservatori proposti, facciamo le nostre cose fra di noi». Sottoscrizione autografa di Magistrati.
23 3 Vedi D. 22, nota 3.
23 4 Vedi D. 15, nota 2.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI E DEL COMMERCIO ESTERO DEL BELGIO, VAN ZEELAND, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
L(2). Bruxelles, 22 luglio 1953.
Monsieur le Ministre,
J’ai l’honneur d’accuser la réception de la lettre que Votre Excellence m’a adressée, en date du 30 juin(3), au sujet de notre prochaine rencontre à Baden-Baden.
Il me semble qu’aucune divergence d’interprétation n’est possible quant au caractère de cette réunion et que nous nous étions mis d’accord sur ce point, à Paris, le 22 juin dernier. Le but de la Conférence du 7 ao est de nous permettre une discussion générale, au terme de laquelle il nous sera possible de prendre des dispositions quant à la manière dont nous paraîtront devoir se dérouler les travaux ultérieurs et, en particulier, ceux des experts économiques(4).
Je pense que cette manière de voir concorde parfaitement avec celle dont Votre Excellence me fait part dans sa lettre du 30 juin.
Je saisis cette occasion, Monsieur le Ministre, de renouveler à Votre Excellence les assurances de ma haute considération.
Paul van Zeeland
24 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
24 2 Trasmessa con L. CM/S (53) 4612 del 23 luglio da Guazzugli Marini.
24 3 Vedi D. 3.
24 4 Con L. CM/S (53) del 22 luglio, Guazzugli Marini scriveva a Calmes, nella seconda parte della lettera: «[…] Nous avons reçu aujourd’hui une communication téléphonique de Jacques Gérard, du Ministère des Affaires Étrangères belge qui nous annonce l’arrivée imminente de la réponse de van Zeeland. Cette réponse dit monsieur Gérard sera semblable à la réponse de monsieur Bidault. Puisque jusqu’à présent nous n’avons pas reçu de réponse française, il faut en conclure qu’il y a eu en effet des consultations entre Français et Belges et qu’à Bruxelles on connait déjà le point de vue de Monsieur Bidault. Je vous joins aussi les réflections auxquelles m’ont amené les résultats de la Conférence de Washington et les commentaires qui les ont suivis. Je m’excuse de la forme hâtive de cette note qu’aurait può être plus courte et plus claire, mais j’espère qu’elle sera quand même utile pour attirer votre attention sur certains aspects du problème européen, tel qu’il se présente maintenant. La conclusion que nous pouvons tirer de ces réflections en ce qui concerne l’attitude du Secrétariat est que la situation politique est assez embrouillée pour nous suggérer d’être extrêmement prudents. S’il y a un moment dans lequel nous n’avons qu’à faire la boîte aux lettres c’est justement celui-ci. [...]» (ASUE, CM1/CPE, 32.8).
L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. segreto 3857/1788. Londra, 24 luglio 1953.
Oggetto: Conferenza di Washington. Germania e CED.
Riferimento: Mio telespresso n. 3549/1651 del 10 luglio u.s.(2).
V.E. ricorderà che nel colloquio di due settimane fa con Selwyn Lloyd si era convenuto che ci saremmo incontrati dopo il ritorno di Salisbury da Washington per uno scambio di idee sui risultati della Conferenza a tre.
Ho visto oggi il Segretario di Stato e mi sono intrattenuto a lungo con lui.
Lloyd ha iniziato il discorso scusandosi di aver commesso un errore di previsione allorché mi diede a comprendere che, dopo le elezioni tedesche, vi sarebbe stato un secondo incontro a tre, a livello dei Primi Ministri. I fatti sono andati diversamente, egli ha detto, ma ciè dovuto al verificarsi di situazioni nuove e imprevedibili.
Gli ho risposto che comprendevo benissimo e che, del resto, ritenevo positivi, in linea generale, i risultati raggiunti a Washington, sopratutto nel senso che essi avevano portato a ridurre l’obiettivo delle conversazioni con i sovietici ai due problemi fondamentali della Germania e dell’Austria. Avevo invece qualche dubbio, dal punto di vista tattico, sulla opportunità di fissare preventivamente l’agenda delle discussioni sulla Germania partendo dalle posizioni fin qui sostenute dagli Alleati. È vero che, a rigore, i sovietici aderiranno o no alla proposta di conversazioni dirette secondo le loro convenienze e indipendentemente da ogni formulazione di proposte, ma si sarebbe sembrato preferibile non dare loro un buon pretesto per il caso che volessero rifiutare un incontro a quattro.
Lloyd mi ha risposto senza esitare che questo è anche il punto di vista britannico: «This was rather our feeling here», egli ha detto.
La conversazione è quindi caduta sui tre punti che a noi più direttamente interessano. Sull’ultimo – Trieste – riferisco con rapporto a parte.
1) Consultazione dei paesi della NATO e specialmente della CED prima di una eventuale conferenza coi sovietici.
Gli ho ribadito quanto avevo detto al riguardo a Strang; noi eravamo stati informati delle decisioni dei colloqui di Washington attraverso Tarchiani e in sede NATO, ma non eravamo stati consultati. Per tenere i Paesi interessati – e noi lo eravamo in particolar modo – dei propositi e delle eventuali decisioni anglo-franco-americane, vi erano tre possibilità: l’informazione diretta, la consultazione e la partecipazione deliberativa. La prima era troppo poco, e la terza poteva forse apparire eccessiva agli alleati: ma la previa consultazione era doverosa e ben possibile, specialmente tenuto conto delle inevitabili ripercussioni che qualsiasi conversazione sulla Germania era destinata ad avere su di un problema come quello della CED così vitale per l’Occidente.
Gli ho quindi detto che era ancora possibile ed utile consultare i Paesi del NATO, e specialmente quelli della CED; cipoteva avvenire dopo una risposta positiva o negativa dei sovietici e, in ogni caso, dopo le elezioni tedesche. A quel momento vi sarebbe stata una situazione nuova da valutare e noi avevamo una parola importante da dire al riguardo. Se non si voleva indire una conferenza solenne si utilizzassero ancora i canali del NATO o di altre esistenti organizzazioni, ma in forma di vera e concreta consultazione e non soltanto a titolo di pura informazione come si era verificato dopo la Conferenza di Washington.
Selwyn Lloyd ha preso nota, ha mostrato di assentire e ha promesso di tener conto dei nostri desiderata.
2) Conversazioni sulla Germania nelle sue ripercussioni sulla CED. Ho detto a Selwyn Lloyd che mi rendevo conto delle difficoltà sul piano pratico di portare avanti parallelamente la ratifica della CED con le discussioni sulla unità della Germania; sopratutto tenuto conto dell’atteggiamento della Francia la quale non sembra voler compiere uno sforzo per la ratifica prima che sia stato discusso con i sovietici il problema tedesco.
Mi domandavo quindi cosa avverrebbe se Mosca non rispondesse o rispondesse negativamente al proposto incontro a quattro o mettesse condizioni inaccettabili. Questa ultima ipotesi poteva apparire particolarmente attuale dopo il recentissimo articolo della «Pravda». D’altra parte un editoriale del «Daily Telegraph» di stamane sembrava richiedere che una conferenza a quattro ad altissimo livello – secondo cioè l’idea di Churchill(3)– avesse luogo anche nel caso di mancate trattative per la Germania. Che cosa poteva significare questo? Si pensava davvero alla possibilità di una simile conferenza se quella al livello dei Ministri degli Esteri non aveva luogo o falliva?
E con chi, dato che nessuno poteva dire oggi quale fosse il vero reggitore dell’Unione sovietica? In tal caso vi era il rischio che fosse rimandata «sine die» ogni possibilità di indurre il Parlamento francese ad assumere le sue responsabilità sulla ratifica della CED. Avrei inteso volentieri l’impressione di Selwyn Lloyd: voleva la Gran Bretagna fare un nuovo sforzo, come egli mi aveva detto nel precedente colloquio, per forzare il Parlamento francese a una decisione? E come? Certe notizie giornalistiche a me pervenute sembravano indicare che l’alternativa della Germania nel NATO poteva essere bloccata dal veto francese, e non avere perciefficacia sulla decisione del Parlamento; quindi si pensava a un accordo bipartito o tripartito per il riarmo della Germania. Vi era qualche cosa di vero in queste notizie?
Selwyn Lloyd, dopo aver riflettuto, mi ha risposto molto chiaramente. Credo di poterle dire l’opinione non solo mia, ma anche del Primo Ministro. In caso di risposta negativa o di mancata risposta dei sovietici non è previsto che venga avanzata una proposta di conversazioni ad alto livello. Si compirebbe invece uno sforzo per varare la CED. Quanto al modo di realizzare tale fine, ritengo – ha detto Lloyd – che Gran Bretagna e Stati Uniti si accorderebbero direttamente con la Germania per un piano tripartito di riarmo, superando così una eventuale resistenza francese alla ammissione della Germania nel NATO.
La risposta di Lloyd è stata, ripeto, meditata e precisa.
Egli mi ha poi aggiunto che recentemente Massigli gli aveva fatto cenno alla possibilità di una CED ridotta, nel caso che il progetto attuale non potesse essere ratificato e cioè, di una Comunità Europea, nel settore della difesa, limitata alle industrie degli armamenti. Lloyd mi manifestava il suo scetticismo su tale piano che gli sembrava avere come unico effetto quello di perdere altro tempo in rinnovate trattative.
Gli ho aggiunto che per conto mio consideravo questa formula come una pura manifestazione di «escapism» da parte francese.
25 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 16, fasc. 78.
25 2 Vedi D. 18.
25 3 Vedi D. 22, nota 2.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI OLANDESE, BEYEN, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
L. 86075(2). L’Aja, 25 luglio 1953.
Monsieur le Président,
J’ai l’honneur d’accuser la réception de votre lettre en date du 30 juin(3), au sujet de notre prochaine réunion à Baden-Baden.
J’ai retenu de nos délibérations lors de la réunion à Paris, le 22 juin dernier, que le but de la conférence prévue pour le 7 Ao est de continuer nos échanges de vues au sujet des principes généraux du Projet de Traité portant Statut de la Communauté européenne. D’autre part il me semble qu’il conviendra de nous concerter quant à la poursuite des travaux. Cette manière de voir s’accorde entièrement, me semble-t-il, avec l’interprétation que vous m’avez communiquée dans votre lettre du 30 juin.
Je vous prie d’agréer, Monsieur le Président, les assurances de ma très haute considération.
Johan Willem Beyen
26 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950 - 1954, b. 21, fasc. 78.
26 2 Trasmessa con L. CM/S (53) 4828 del 30 luglio da Guazzugli Marini.
26 3 Vedi D. 3.
IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. riservata 20/106. Parigi, 25 luglio 1953.
Caro Ministro,
con la Tua gradita lettera 20/2633 del 21 corrente(2)mi hai chiesto cosa avviene dei lavori del Comitato Interinale CED.
In realtà essi hanno proceduto finora assai attivamente e i dieci Comitati principali dipendenti dal Comitato di Direzione – articolati a loro volta in circa sessanta fra sottocomitati, sezioni e gruppi di lavoro – si sono dati piuttosto da fare, sia pure con diverso grado di energia e di speditezza a seconda delle materie trattate e della personalità dei diversi Presidenti e Delegati.
Naturalmente non sempre i risultati pratici sono stati sostanzialmente corrispondenti alla mole del lavoro per i motivi generici che conosci e cui Ti accennerò nuovamente più sotto.
Adesso il Comitato Interinale è entrato in un periodo se non proprio di completa vacanza (ché si è deciso di non interromperne del tutto l’attività ma solo di allentarne il ritmo per il lasso di tempo 15 luglio – 31 agosto) almeno di dormiveglia e di funzionamento a scartamento ridotto. Eccezione fatta per i lavori relativi all’accordo USA -CED, all’esame annuale CED (di nuovo conio) ed alla convenzione per l’associazione politica con la Gran Bretagna, che sono poi le tre maggiori questioni di portata internazionale attualmente in cantiere. Sull’attività specifica di molti settori, come potranno dirti i Tuoi collaboratori costà, ho riferito costantemente – o direttamente o per mezzo di relazioni di esperti – tanto in merito alle singole questioni quanto circa l’inquadramento dei lavori su un piano pigenerale (Comitato Aiuti Esterni, Comitato Speciale per l’Esercizio CED, Comitato Armamento, Comitato Finanziario, Comitato per la Sicurezza). Mi riservo di farlo fra breve anche per i Comitati dello Statuto e giuridico nonché, per quel poco che ci sarà da dire al riguardo, per quello delle Informazioni. I nostri militari, dal canto loro, stanno preparando una relazione completa sui lavori cui essi partecipano in sede di Comitato Militare (e relative numerosissime diramazioni), che pure inviera giorni. Circa il Comitato ad Hoc per l’Organizzazione del Commissariato è invece prematuro fare un quadro esauriente di quanto vi sta avvenendo, dato che si è ancora nella fase di raccolta degli elementi forniti dai vari Comitati interessati.
Sull’insieme dei lavori Ti ho già detto a voce le mie prime impressioni. Esse si sono, con l’esperienza di questi mesi, confermate. In alcuni settori si sta svolgendo opera indispensabile e che potrà comunque riuscire utile in avvenire, mentre invece in altri siamo giunti, o si sta per giungere, al punto di saturazione e procedendo ulteriormente, sempre sulla base di ipotesi successive non avallate da decisioni del Commissariato, si corre il rischio di creare fantasmi e di compiere sforzi ed elucubrazioni destinati a cadere nel vuoto. E, siccome si lavora su un piano teorico senza il controllo di quella che sarà per essere la realtà obiettiva, i problemi tendono a moltiplicarsi ed a sminuzzarsi sempre di più.
A tutto l’insieme dell’attività del Comitato Interinale si applica la considerazione che il metodo di lavoro è macchinoso, farraginoso e lento perché tutte le questioni che il Commissariato dovrebbe affrontare, esaminare e risolvere con sua decisione unitaria vengono adesso sviscerate dai delegati di Sei Paesi (ognuno dei quali Paesi ha i suoi particolari interessi da difendere) nell’intento anche di raggiungere, attraverso questa fase preparatoria, quei risultati che non era stato possibile ottenere al momento della redazione del Trattato, frutto di laboriosi negoziati e risultato di tutta una serie di compromessi, di reciproche concessioni e di complicati equilibri. Ognuno sfrutta al massimo la facoltà di vetare, di riservare, di riesaminare, di rinviare: manca insomma quella autorità sopranazionale che, sola, potrà dare un impulsoveramente spedito alla formazione della Comunità. È certo che, con l’attuale sistema, si fa in sei mesi quello che il Commissariato potrebbe realizzare in due, per non dire addirittura in uno solo. Si risente insomma del fatto che il Comitato Interinale, costituito per un breve periodo intermediario, ha dovuto invece aver vita assai più lungadel previsto.
In più finché non sarà chiara l’organizzazione del futuro Commissariato, come uomini e come impostazione generale, ogni Comitato tecnico, anche nel suo complesso internazionale, cerca di tirar l’acqua al suo mulino a scapito degli altri. E anche qui si nasconde un certo elemento di pericolo nel senso che i Delegati nazionali in seno a un Comitato tecnico (per esempio, quello militare) possono esser portati a sostenere punti di vista, basati su considerazioni esclusivamente tecniche o funzionali e su solidarietà e visioni professionali, che possono poi venire a contrastare con quelli che saranno gli interessi esclusivamente nazionali. Lo spirito del Trattato dovrebbe infatti portare ad una vera collegialità del Commissariato, che è stato concepito come un tutto unico, e quindi alla maggiore possibile suddivisione dei compiti e delle responsabilità fra le diverse branche di esso per assicurare ad ogni Paese la sua equa parte di influenza; si rivela invece la tendenza, ben comprensibile del resto, di ogni Comitato tecnico a gonfiare il pipossibile le funzioni di questo o di quel Commissario, prima di sapere in quale settore i singoli Paesi siano destinati ad avere maggior peso. Si verificano quindi all’interno delle stesse Delegazioni nazionali vivaci contrasti.
Nella nostra, per fortuna, pur rimanendo aperti certi punti di ineluttabile frizione che dipendono anche dalle istruzioni che ognuno riceve dalle proprie Amministrazioni romane, regna buon accordo e spirito di collaborazione personale. C’è quindi sempre il modo di confrontare i divergenti punti di vista per coordinarli ed armonizzarli. A questo compito dedico – va da sé – una cura ed una attenzione tutte particolari.
Su ogni cosa plana poi l’incertezza delle sorti della CED e ciò non è troppo incoraggiante quando si cerca di valutare il lavoro che si sta svolgendo qui su un piano pigenerale. Nel campo dell’attività quotidiana questo ha peraltro una rilevanza minore di quanto potrebbe immaginarsi da lontano poiché tutti sono molto presi dai problemi che trattano, il che li porta a dimenticare che non si sa ancora se le loro costruzioni siano destinate a poggiare su pietra salda o su sabbie mobili.
C’è evidentemente una forza intrinseca di movimento nelle macchine fatte di uomini e gli ingranaggi sembrano capaci di girare da soli all’infinito.
Ma mi sembra comunque chiaro che, se la situazione del Trattato dovesse rimanere fluida ancora per lunghi mesi, bisognerebbe pensare, ad un certo momento, a tagliare, smobilitare e ridurre. Grosso modo, penso che quest’operazione chirurgica possa coincidere con la fine dell’anno – o, al massimo, con la primavera ventura – quando cioè molti degli studi intrapresi e delle pianificazioni in corso saranno giunti ad uno stadio di completa maturazione. E cianche se, da un punto di vista politico, si dovesse ritenere opportuno di mantenere in vita il Comitato Interinale per non dare la sensazione, con la chiusura dei suoi battenti, che anche le ultime speranze sono cadute.
È difficile oggi far previsioni di quale sarà per divenire la situazione internazionale (sempre che il Trattato non sia, allora, ancora in vigore) e quindi fissare in anticipo una precisa linea di condotta su cosa converrà di decidere. In ogni modo, fra l’altro, la nostra posizione di gonfalonieri dell’integrazione europea – e quindi della CED in quanto essa ne è un’indispensabile pilastro – ci impegnerà ad agire con discrezione ed a seguire piuttosto iniziative di altri. So, per esempio, che i belgi, in sede politica, stanno già mordendo un po’ il freno.
Intanto per i mesi di settembre e ottobre il programma già predisposto è pieno e vasto.
Da parte mia cerco di seguire il pipossibile il lavoro dei nostri (il che peraltro non è sempre agevole, anche per questione di tempo, poiché si tratta di parecchie decine di persone) e di interessarmi non solo – il che è facile e piacevole – delle grosse questioni, veramente sostanziose e gonfie di implicazioni di ogni genere, ma anche – il che è talvolta pistancante – del colore delle carte di identità delle suocere dei militari CED e delle approfondite discussioni sulla opportunità di applicare o meno gli spacchi alle giacche dell’uniforme di uscita degli ufficiali delle aliquote delle marine nazionali che diverranno europee.
Con affettuosi e devoti saluti credimi,
tuo
Giorgio Bombassei
27 1 DGAP Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 72.
27 2 Con la quale (ivi, b. 21, fasc. 78), Magistrati aveva inviato a Bombassei gli appunti riservati 20/2566 del 17 luglio (per il quale vedi D. 23) ed il 20/2610 del 20 luglio (ibidem), non pubblicato, concernenti la riunione di Baden-Baden.
LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
Appunto riservato 21/2695(2). Roma, 28 luglio 1953.
Oggetto: CPE. Riunione dei sei Ministri degli Esteri a Baden Baden (7 agosto).
Si fa seguito all’appunto 20/2610 del 20 corrente(3).
La posizione dei Governi interessati, nei riguardi dalla riunione di Baden Baden prevista per il 7 agosto p.v., risulta alla data di oggi la seguente:
Germania – nella risposta(4)inviata alla lettera che V. E. indirizza fine giugno agli altri cinque Ministri degli Esteri allo scopo di definire il carattere della prossima riunione, il Cancelliere Adenauer confermava che egli si attende – come noi – che la riunione stessa abbia carattere costruttivo; essa non dovrà occuparsi cioè solo di procedura ma dovrà trattare questioni sostanziali relative alla costituenda CPE sì da fornire le basi al futuro lavoro dei Sostituti.
Il Cancelliere aggiungeva di ritenere opportuno che tale lavoro dei Sostituti venisse iniziato subito dopo la riunione dei Ministri, come a suo tempo previsto per la Conferenza di Roma. In realtà quest’ultima richiesta andava oltre le decisioni prese nello scorso giugno a Parigi, e, di fronte sovratutto all’atteggiamento negativo francese, non si vedeva come potesse essere varata. Si è provveduto a far presenti a Bonn, tramite la nostra Ambasciata queste considerazioni: e ieri detta Ambasciata ci ha informato che il governo Federale concorda, e non insiste nella sua idea di far seguire immediatamente alla riunione dei Ministri il lavoro dei Sostituti.
Il Cancelliere Adenauer annette grande importanza a che la riunione venga tenuta alla data prevista. Lo si sapeva fin da quando essa fu decisa; comunque Blankenhorn ha ancora il 23 corrente pregato espressamente la nostra Ambasciata in Bonn di farlo nuovamente presente al Governo Italiano. Blankenhorn si è dichiarato estremamente preoccupato, riflettendo analoghe preoccupazioni del Cancelliere Adenauer, dell’impressione negativa che specie in America potrebbe produrre anche un semplice rinvio. evidentemente peraltro le principali preoccupazioni di Adenauer riguardano le sfavorevoli reazioni sul piano interno, in relazione alle imminenti elezioni.
Francia – Non è pervenuta a tutt’oggi una risposta di Bidault alla succitata lettera di V.E. La posizione francese è peraltro nota ed è stata confermata ancora il 22 corrente da Parodi all’Ambasciatore Quaroni in questi termini: Bidault ed il Governo Francese sono disposti a fare qualche cosa di apparente per aiutare Adenauer, essendo anche interesse francese che egli riesca vincitore alle prossime elezioni; ma essi non possono prendere nessun impegno e nessuna decisione che siano di sostanza nel corso della riunione di Baden Baden (in tal senso Bidault ha anche dato precise assicurazioni alla Commissione degli Esteri della Camera francese) e se la riunione apparisse mettersi su tale impegnativa linea, Bidault all’ultimo momento non parteciperebbe personalmente e farebbe rappresentare la Francia da Parodi.
Belgio – Nella risposta inviata alla suindicata lettera di V.E., il Ministro Van Zeeland(5)scrive che scopo della riunione del 7 agosto deve essere di consentire ai sei Ministri una discussione generale, al termine della quale sarà possibile prendere decisioni circa il modo in cui si riterrà che debbano svolgersi i futuri lavori, e, in particolare, quelli degli esperti economici. L’interpretazione belga, pur con una qualche latitudine di formulazione, si avvicina piuttosto a quella francese, ma non esclude che la discussione abbordi anche questioni di merito relative alla costituenda CPE.
Olanda – La risposta del Ministro Beyen(6)è analoga a quella belga: ritiene che lo scopo della riunione è di continuare gli scambi di vista riguardo ai principi generali del Trattato istitutivo dalla Comunità Europea, e di fissare l’ulteriore seguito dei lavori.
Questo Ministro d’Olanda ha fatto presente ancora ieri che, a modo di vedere del governo olandese, sarebbe in questo momento particolarmente grave se la riunione venisse rinviata, considerato sovratutto che il rinvio dovrebbe essere di qualche settimana, nella migliore delle ipotesi.
Lussemburgo – Come già indicato nel precedente appunto, il Ministro Bech(7)pensa che nella riunione di Baden Baden, il cui scopo principale resta quello di documentare dinnanzi alle pubbliche opinioni la continuità dei lavori relativi alla integrazione europea, possano cominciarsi ad abbordare questioni di merito relative alla CPE, onde cercare di «dégager les principes» da applicare nella futura Conferenza a livello Sostituti; ma non è necessario che tale lavoro preliminare dei Ministri venga senz’altro completato nella riunione di Baden Baden.
28 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 16, pos. 11/5.2.
28 2 Trasmesso con Telespr. riservato urgente 21/2696 in pari data da Straneo alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e Washington, alle Rappresentanze presso la NATO e presso la CED a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, alle Legazioni a L’Aja e a Lussemburgo e alla Direzione Generale degli Affari Politici.
28 3 Vedi D. 27, nota 2.
28 4 Vedi D. 20.
28 5 Vedi D. 24.
28 6 Vedi D. 26.
28 7 Vedi D. 14.
IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI DELLA REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA, HALLSTEIN, ALL’INCARICATO D’AFFARI A BONN, PINNA CABONI(1)
L(2). Bonn, 28 luglio 1953.
Sehr geehrter Herr Geschäftsträger,
Der Herr Bundeskanzler wde es im Interesse der Fderung des europäischen Gedankens f dringend wschenswert halten, wenn die Baden-Badener Konferenz zu gewissen konkreten Ergebnissen fren knte. Das Ergebnis unserer Überlegungen hinsichtlich solcher Beschlse finden Sie in dem anliegenden kurzen Memorandum zusammengefasst.
Ich wäre Ihnen sehr dankbar, wenn Sie Herrn Ministerpräsidenten de Gasperi
vom Inhalt dieses Memorandums unterrichten wollten. Mit dern Ausdruck meiner ausgezeichneten Hochachtung Ihr sehr ergebener
[Walter Hallstein]
Allegato
Memorandum(3).
I) Erneute Feststellung, dass die sechs Staaten grundsätzlich einig hinsichtlich der Notwendigkeit der Schaffung einer Europäischen Politischen Gemeinschaft sind. Das Schlusskommuniqué sollte enthalten, dass die Aussenminister der sechs Staaten mit den im Kommuniqué der Washingtoner Aussenministerkonferenz vom 15. Juli 1953 niedergelegten Auffassung ereinstimmen, dass die Bildung einer stabilen und sicheren europäischen Gemeinschaft einen wesentlichen Beitrag f den Weltfrieden darstellt und dass diese Gemeinschaft ohne Rksicht auf gegenwärtige internationale Spannungen eine Notwendigkeit an sich darstellt. Im Schlusskommuniqué sollte weiter zum Ausdruck kommen, dass die sechs Staaten erneut mit Nachdruck ihren Entschluss bekräftigen, die Arbeiten zur Bildung der Politischen Gemeinschaft unverzlich und mit aller Kraft zu Ende zu fren.
II) Die Konferenz der sechs Aussenminister in Baden-Baden sollte Einigkeit in folgenden wichtigen Einzelfragen feststellen und damit im Grunde den Inhalt des Artikels 38 EVG, die Luxemburger Beschlse und die Ergebnisse der freren Konferenzen der Aussenminister der sechs Staaten erneut bestätigen:
1) Eine Politische Gemeinschaft soll gebildet werden, die supranationale Funktionen aust, jedoch die souveräne Rechtsperslichkeit der Staaten unangetastet lässt.
2) Diese Gemeinschaft soll allen europäischen Staaten, die sich zur Achtung der Menschenrechte verpflichten, offenstehen. Auch Staaten, die nicht Mitglieder sind, knen zur Gemeinschaft in ein Verhältnis der Assoziation treten. Die Gemeinschaft unterhält mit dem Europarat so zahlreiche und so enge Bindungen wie mlich.
3) Die Gemeinschaft soll die Montan-Gemeinschaft und die Verteidigungsgemeinschaft in sich aufnehmen und ihrer politisch-demokratischen Kontrolle unterstellen.
Sie hat ferner schrittweise eine umfassende wirtschaftliche Integration und insbesondere einen einheitlichen Markt zu schaffen. Hierbei ist die Notwendigkeit zu berksichtigen, das wirtschaftliche Gleichgewicht aufrechtzuerhalten und tiefgreifende Stungen auf wirtschaftlichem oder sozialem Gebiet zu verhen. Zu diesem Zweck knen Sicherheitsvorschriften sowie Ausgleichsmassnahmen vorgesehen werden.
4) Die institutionen der Gemeinschaft sind nach folgenden Grundsätzen zu gestalten: Gewaltentrennung; Zweikammersystem unter grundsätzlicher Aufrechterhaltung des Ministerrats; in diesem System Einrichtung einer Vkerkammer, die aus direkten europäischen Wahlen
hervorgeht; unabhängiger Gerichtshof der Gemeinschaft.
III) Weiteres Verfahren.
1) Die Konferenz sollte zu dem Beschluss fren, dass die Aussenminister selbst alle grundsätzlichen Entscheidungen zu treffen haben. Zur Vorbereitung der Sitzungen der Aussenminister und ihrer Entscheidungen treten nach Bedarf die Stellvertreter der Minister und Sachverständige zusammen.
2) Es wäre zweckmässig, wenn die Konferenz zunächst folgende Punkte den Ministerstellvertretern und Sachverständigen zur Untersuchung ertragen wde mit dem Auftrag, zu dem naher festzusetzenden Termin einer erneuten Aussenministerkonferenz Vorschläge zu unterbreiten er die mit der Dauer des Vertrages zusanmenhängenden Fragen;
die mit dem Zweikammersystem und dem Ministerrat zusammenhängenden Fragen; die mit der wirtschaftlichen Integration zusammenhängenden Fragen.
29 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
29 2 Trasmessa con Telespr. riservato 13982/1686 del 31 luglio da Pinna Caboni al Ministero degli Esteri (ibidem). Con T. 9094/119 del 28 luglio, egli aveva riassunto il contenuto del memorandum, comunicando al Ministero: «Promemoria preannunciatomi ieri da Blankenhorn è stato stamane inviato a François Poncet. Nel farmene pervenire copia con preghiera di informare V.E. del suo contenuto, Hallstein ha tenuto ripetere che nell’interesse dell’idea europea Adenauer considera sommamente desiderabile che Conferenza Baden registri qualche risultato concreto. Promemoria rispecchia pensiero tedesco su lavori Comunità politica nella forma approvata ieri sera da Cancelliere Federale» (ibidem).
29 3 Dal Governo tedesco era stata consegnata all’Ambasciatore François-Poncet ed anche all’Ambasciata italiana in Bonn per conoscenza il 27 luglio una traduzione in italiano del testo del memorandum, del seguente tenore: «a) Rinnovata la constatazione che i Sei Paesi sono fondamentalmente concordi sulla necessità della creazione di una Comunità politica europea, il comunicato finale dovrebbe dichiarare che i Ministri esteri dei Sei Paesi concordano con la concezione espressa nel comunicato della Conferenza dei Ministri Esteri a Washington del 15 luglio corrente anno, nel senso che la formazione di una Comunità europea stabile e sicura rappresenta un essenziale contributo alla pace mondiale e che questa Comunità rappresenta di per sé stessa una esigenza che prescinde dall’attuale tensione internazionale. Nel comunicato finale dovrebbe inoltre venire espresso che i Sei Stati riaffermano nuovamente con fermezza la loro determinazione di portare a termine senza indugi e con ogni energia i lavori per la formazione della Comunità Politica. b) La Conferenza Ministri Esteri Baden Baden dovrebbe constatare il comune accordo sulle seguenti importanti questioni particolari e con ciconfermare di nuovo sostanzialmente il contenuto dell’articolo 3 della CED, la risoluzione di Lussemburgo e i risultati delle precedenti Conferenze dei Ministri Esteri dei Sei Paesi:1) Deve essere formata una Comunità Politica che eserciti funzioni sopranazionali ma lasci intatta la personalità sovrana degli Stati; 2) Questa Comunità deve essere aperta a tutti gli Stati europei che si impegnano al rispetto dei diritti dell’uomo. Anche Stati che non sono membri possono entrare nella Comunità in un rapporto di associazione. La Comunità…intrattiene col Consiglio Europa legami per quanto possibile numerosi e diretti; 3) La Comunità deve assorbire in sé la Comunità Carbone Acciaio e la Comunità di Difesa e sottoporle al proprio controllo politico democratico. Essa inoltre deve realizzare progressivamente un’ampia integrazione economica e in particolare un mercato comune. A questo proposito è da tener presente la necessità di salvaguardare l’equilibrio economico e di evitare profondi turbamenti nel settore economico e sociale. A questo scopo possono essere previste disposizioni di salvaguardia e perequazione. 4) Le istituzioni della Comunità dovrebbero essere configurate secondo i principii seguenti: – Separazione dei poteri. – Sistema bicamerale e mantenimento in linea di massima del Consiglio Ministri – Creazione in questo sistema di una camera dei popoli eletta con elezioni europee dirette. – Corte di Giustizia indipendente. c) – Procedura ulteriore: 1) La Conferenza dovrebbe giungere alla conclusione che i Ministri degli Esteri devono prendere essi stessi tutte le decisioni fondamentali. Sostituti dei Ministri e gli esperti si riuniscono a seconda delle necessità per la preparazione delle sedute dei Ministri Esteri e delle loro decisioni; 2) Sarebbe utile se la Conferenza trasmettesse anzitutto i seguenti problemi all’esame dei sostituti e degli esperti, con l’incarico di sottoporre proposte a una nuova Conferenza dei ministri Esteri; da fissare a data ravvicinata; – questioni inerenti alla durata del Trattato; – questioni inerenti al sistema bicamerale e al Consiglio dei Ministri – questioni inerenti all’integrazione economica» (ibidem).
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
Appunto urgente 21/2693(2). Roma, 29 luglio 1953.
Oggetto: CPE. Riunione dei sei Ministri degli Esteri a Baden Baden (7 agosto).
Si fa seguito all’appunto 20/2610 del 20 corrente(3).
Per quanto riguarda i riflessi, nei riguardi della riunione di Baden Baden, della nuova posizione determinatasi per il Governo Italiano, si fanno presenti le seguenti considerazioni riferentisi naturalmente ad aspetti puramente internazionali della situazione:
1) – Il Cancelliere Adenauer annette grandissima importanza a che la riunione venga tenuta come previsto. Uno dei principali motivi del resto per il quale essa venne decisa è stato appunto quello di favorire il Cancelliere sul piano interno in relazione alle imminenti elezioni. Ancora il 23 corrente Blankenhorn ha pregato espressamente la nostra Ambasciata in Bonn di ripetere al Governo Italiano quanto il Cancelliere tenga alla riunione. Blankenhorn si è dichiarato estremamente preoccupato, riflettendo analoghe preoccupazioni di Adenauer, anche della impressione negativa che specie in America potrebbe produrre un semplice rinvio
2) – Non bisogna nasconderci che, in realtà, un rinvio a lunga scadenza produrrebbe effettivamente una impressione negativa sia negli Stati Uniti sia nelle opinioni pubbliche dei Paesi interessati.
3) – Questo Ministro d’Olanda, Boon, ha ancora ieri fatto presente che, a modo di vedere del Governo Olandese, sarebbe in questo momento particolarmente grave se la riunione venisse rinviata; sì che esso si augurava che la riunione stessa potesse aver luogo anche nella deprecabile ipotesi che il Governo Italiano non ottenesse la fiducia del Parlamento. È stata al riguardo ricordata la posizione di Bidault al Convegno di Parigi.
4) – Analoghe considerazioni ci sono state fatte da questa Ambasciata del Belgio.
5) – Per quanto riguarda la data di un eventuale rinvio occorre ricordare (a parte il fatto che alcuni Ministri – e questo risulta in maniera specifica per Beyen – hanno predisposto le loro vacanze a partire dalla seconda decade di agosto) che il Cancelliere Adenauer, nella riunione di Parigi, sottolineche avrebbe trovato particolare difficoltà a dedicarsi ad una riunione del genere nelle ultime settimane che precedono le elezioni tedesche, fissate per i primi di settembre.
Sembra comunque inevitabile che, se V.E. non pupartecipare alla riunione, il 7 agosto, venga richiesto subito un rinvio, come fece per analogo motivo il Ministro Bidault nei riguardi della Conferenza di Roma. Occorrerebbe che il rinvio fosse richiesto per il pibreve termine possibile (Bidault chiese 15 giorni), lasciando se mai ad altri la responsabilità di non potersi accordare sulla nuova data e quindi prolungarla ancora:
V.E. vorrà cortesemente indicare quale termine di rinvio ritiene opportuno proporre.
30 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
30 2 Diretto per conoscenza a Benvenuti, Del Balzo e Corrias.
30 3 Vedi D. 27, nota 2.
L’INCARICATO D’AFFARI A BONN, PINNA CABONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
T. segreto urgente 9249/123(1). Bad Godesberg, 31 luglio 1953, ore 14,25 (perv. ore 18,30).
Blankenhorn mi ha convocato stamane per pregarmi, per espresso incarico del Cancelliere, di far nuovamente presente vivissimo desiderio e fiducia Adenauer che riunione Baden Baden possa essere presieduta da V.E. il sette agosto. Mi ha inoltre detto che qualora presenza V.E. non fosse assicurata, dovrebbero ritenersi problematiche anche venuta di Bidault e partecipazione dello stesso Cancelliere. In questa ipotesi, egli ha aggiunto, riunione acquisterebbe tutt’altro carattere, e Governo federale terrebbe molto a che cipotesse essere evitato(2).
31 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
31 2 Pinna Caboni aveva riferito anche telefonicamente riguardo all’incontro con Blankenhorn, secondo quanto comunicato da Plaja a Zoppi con appunto urgente, pari data, aggiungendo: «Blankenhorn ha tenuto a ripetere quale importanza abbia la riunione di Baden Baden da ogni punto di vista per la Germania e per il Cancelliere Adenauer: si tratta infatti della prima conferenza internazionale a così alto livello che viene tenuta dopo la guerra. Dato sovratutto l’oggetto della conferenza, Blankenhorn pensa che la presenza di S.E. De Gasperi è indispensabile poiché la sua personalità costituisce elemento fondamentale per la riuscita della riunione stessa, anche nel caso – anzi forse proprio nel caso – che ancora manchi a quel momento al Governo italiano l’investitura parlamentare» (ibidem).
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
T. segreto urgentissimo 9384/507-508-509. Parigi, 4 agosto 1953, ore 13,29 (perv. ore 14,15).
Mi è stato detto da Bidault che il Governo francese non ha deciso ancora se a Baden Baden andrà lui o un altro delegato. Egli mi ha assicurato che questa decisione è del tutto indipendente da chi rappresenterà l’Italia. Insistentemente mi ha chiesto che, anche qualora
V.E. non intervenisse personalmente, il delegato italiano non ceda ad altri la presidenza. L’eventuale proposta di tenere sotto la presidenza di Adenauer la Conferenza, che già suscita tante contestazioni in Francia, provocherebbe qui una tale reazione da obbligare il rappresentante francese ad andarsene. Egli mi ha spiegato che la insistenza con cui si è detto che le decisioni della conferenza di Washington corrispondevano ai desiderata dei tedeschi e la lettera di Eisenhower ad Adenauer(2), ha finito per creare qui l’impressione che il rappresentante francese ha dovuto piegarsi non alle esigenze americane ma alle esigenze tedesche e che è stata la Germania assente a dominare di fatto la Conferenza. Come era da attendersi, la reazione è stata qui forte ed il Governo francese non può non tenerne conto. La delicatezza della situazione è creata appunto dal fatto che l’occidente è obbligato a fare la campagna elettorale per Adenauer e che tutto quello che si dice o si fa per la Germania ha effetto negativo su larghissimi settori dell’opinione pubblica francese. Si osserva da parte del Governo francese che la Conferenza si tiene in un momento in cui il Governo tedesco è alla vigilia delle elezioni, il cui risultato pumetterlo anche in grandi difficoltà a continuare la politica finora seguita; il Governo francese è estremamente instabile e solo garantito da sorprese dalla momentanea vacanza parlamentare; il Governo italiano è ancora in formazione. In queste condizioni data la delicatezza della situazione delle tre principali Potenze interessate, è evidente per tutti che la Conferenza si tiene principalmente se non esclusivamente per fare propaganda elettorale per Adenauer. Si ritiene da Francia che questo possa essere pericoloso per stessa causa europea. Se in favore Adenauer, perché fa politica europea, si getta tutto il peso dell’occidente si portano naturalmente i suoi avversari a accentuare il loro atteggiamento antieuropeo. Difficoltà ripescare politica europea, per quello che concerne Germania, in caso insuccesso Adenaeur anche relativo, saranno tanto maggiori quanto più in favore di Adenauer stesso si sarà scoperto l’Occidente.
Da complesso informazioni in suo possesso, ritiene anche che Adenauer si sbagli ritenendo che gli giovino di pinella campagna elettorale tutti questi interventi stranieri in suo favore. Nel suo stesso partito egli ha già molte opposizioni per suo carattere estremamente autoritario. Per lui non è (ripeto non) vantaggio, dal punto di vista elettorale, apparire come «uomo dello straniero» nell’atmosfera di rinascente sentimento nazionale che caratterizza l’attuale situazione tedesca. Non bisogna dimenticare che sono ex nemici della Germania la grande maggioranza delle Potenze che oggi aiutano Adenauer. Ci sono oltre a questo difficoltà francesi. Francia nelle attuali condizioni, come mi aveva detto varie volte, non poteva andare oltre conferenza sostanzialmente formale che prescrizione, decisioni e termini Commissione ad hoc. E cioè generica riaffermazione principio di cui tutti siamo d’accordo sostanzialmente: fissazione calendario per lavori esperti e delegati, fissato in maniera da poter cominciare lavori dopo elezioni tedesche in atmosfera maggiormente chiarificata, almeno su questo punto. Si aveva invece timore da parte francese di andare a Baden per trovarvi una specie di ponte unico degli altri cinque, cui scopo principale era quello di mostrare una Francia isolata ed unico ostacolo ad unificazione europea. Lui personalmente ed il Governo francese, erano molto riluttanti a prestarsi alla ripetizione in altro ambiente del giuoco fatto a Washington dagli inglesi. Per quello che concerne Italia ha molto recisamente smentito. Bidault ha continuato dicendomi avere spiegato molto onestamente a tutti le gravi difficoltà di fronte a cui il Governo francese si trova, che del resto non dovrebbero essere mistero per nessuno, se gli altri non vogliono tenerne conto non è colpa sua. Egli confida ancora che possano essere superate le difficoltà ma non è (ripeto non) con pressioni esterne che il Governo francese si aiuta. Mi ha detto, per quello che concerne i progetti olandesi ed in parte anche belgi nel settore economico, che si tratta di pazzie nella situazione attuale francese ed altri Paesi, quindi è solo disposto a rimettere allo studio di Commissione esperti la questione. Quanto mi ha detto Bidault circa esitazione e dissensi in seno al Governo francese a quanto mi consta, corrispondono a realtà. Sono realmente esitanti fra il desiderio reale di aiutare Adenauer che, con tutti suoi difetti, riconosce esser minor male il dubbio circa l’efficacia di quello che si sta facendo e più che reali difficoltà interne. Spero che all’ultimo momento prevalga il principio di breve partecipazione di Bidault, ma non ne sono sicuro.
32 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
32 2 Del 23 luglio: FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 207.
IL CAPO DELL’UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, PLAJA, AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE, LEGAZIONI E DIREZIONI GENERALI(1)
Telespr. 21/2753(2). Roma, 4 agosto 1953.
Oggetto: Comunità Politica Europea. Questione integrazione economica. Progetto olandese.
Riferimento: telespresso 21/2202 del 16.6.1953.
A seguito del telespresso in riferimento, si trasmette in allegato, per opportuna documentazione, copia di un progetto, non ufficiale, di redazione degli articoli sulle attribuzioni economiche della CPE, consegnatoci ieri in via ufficiosa dal Ministro dei Paesi Bassi in Roma.
Allegato I
PROGETTO OLANDESE, NON UFFICIALE, DI REDAZIONE DEGLI ARTICOLI SULLE ATTRIBUZIONI ECONOMICHE DELLA CPE, RIMESSO DAL MINISTRO DEI PAESI BASSI IN ROMA IL 3.8.53
Projet de dispositions économiques du Traité portant Statut de la Communauté Européenne.
ARTICLE A.
1) La Communauté a pour mission d’assurer le relèvement du niveau de vie dans les États membres; notamment en créant des conditions favorables à une augmentation de la productivité, à une extension de la production et à un développement de l’emploi.
2) À cet effet, la Communauté stimule l’établissement progressif d’un marché commun, comportant la libre circulation des marchandises, des services, des capitaux, échanges internationaux aussi libres que possible avec les pays tiers.
3) La Communauté s’efforce de faire dresser par les États membres une politique commune dans la mesure nécessaire pour atteindre les buts visés au paragraphe premier.
4) Les attributions dont dispose la Communauté et les engagements pris par les États membres, pour l’accomplissement des missions visées ci-dessus, sont fixés par le présent chapitre.
ARTICLE B
Chaque État membre s’engage à suivre une politique intérieure propre à assurer la stabilité monétaire.
ARTICLE C
1) En vue de contribuer à la réalisation des objectifs visés à l’article A, les États membres instituent entre eux, dans un délai de dix ans, une Union douanière, comportant pour les échanges commerciaux à l’intérieur de la Communauté l’abolition des droits de douane et des restrictions quantitatives ainsi que dans les relations commerciales avec les pays tiers un système commun de droits de douane et de restrictions quantitatives.
Pour ce qui concerne les échanges commerciaux à l’intérieur de la Communauté les États membres s’abstiennent d’augmenter les droits de douane existant au moment de l’entrée en vigueur du présent Traité, ou d’introduire de nouveaux droits de douane, ils renoncent également à établir des restrictions quantitatives autres que celles existant pour les quantités et les produits déterminés au moment de l’entrée en vigueur du présent Traité.
2) L’établissement de l’Union douanière est effectué dans les conditions prévues au Proto-cole No…, faisant partie intégrante du présent Traité.
ARTICLE D
La Communauté est habilitée à proposer les mesures, visant à l’harmonisation de la politique économique, sociale, financière, fiscale et monétaire des États membres, qu’elle estime nécessaires pour l’établissement et le maintien du marché commun, tout en tenant compte de l’exigence d’échanges internationaux aussi libres et étendus que possible avec les pays tiers.
ARTICLE E
1) Lorsqu’il existe un danger immédiat de nature à provoquer un déséquilibre sérieux de balance de payement en comparaison avec ses réserves de devises un État membre peut saisir la Communauté d’une demande motivée en vue d’obtenir l’autorisation de prendre ou de maintenir des mesures relatives aux restrictions quantitatives en dérogation des dispositions découlant de l’article C.
2) S’il y a lieu pour la Communauté, après consultation du Fonds Monétaire International, de reconnaître l’existence d’une telle situation, elle autorise l’État membre demandeur à prendre pour une période déterminée les mesures dérogatoires nécessaires.
3) La Communauté peut donner une autorisation provisoire, valable jusqu’au moment de la décision finale, résultant de l’examen prévu au paragraphe précédent; cette autorisation ne préjuge nullement sur la décision finale.
4) Le Conseil exécutif européen ainsi que tout État membre intéressé peut former un recours contre les mesures prises par l’État membre demandeur en vertu de l’autorisation prévue au paragraphe 2 ci-dessus, s’il estime que lesdites mesures ne sont pas justifiées par les objectifs pour lesquels l’autorisation a été délivrée ou ne tiennent pas suffisamment compte des intérêts de la Communauté et des autres États membres.
5) L’État membre demandeur peut former un recours contre la décision finale de la Communauté, comportant refus de l’autorisation.
ARTICLE F
1) Lorsqu’un État membre estime qui, dans un cas déterminé, l’application de l’Article C est de nature à provoquer des troubles fondamentaux dans un secteur de son économie, il peut proposer à la Communauté un plan détaillé de mesures concrètes, destinées à faire face à la situation. Ce plan peut prévoir une aide à fournir par le Fonds Européen, visé à l’Article G, ainsi qu’une autorisation de la Communauté de prendre des mesures en dérogation des dispositions du Protocole pour une période déterminée.
2) La Communauté, en consultation avec les États membres, examine l’efficacité du plan dans la lumière des principes énoncés aux articles A et B, et décide, s’il y a lieu,
a) de donner une autorisation telle que prévue au paragraphe précédent,
b) de fournir une aide conformément aux dispositions de l’article G. La Communauté peut subordonner l’autorisation ou l’octroi d’une aide à la réalisation, par l’État membre demandeur, des mesures, qu’elle estime les plus appropriées pour faire face à la situation.
3) L’État membre demandeur peut formuler un recours contre la décision de la Communauté comportant refus de l’autorisation ou de l’octroi d’une aide ainsi que contre les conditions auxquelles l’autorisation ou l’octroi est soumis.
ARTICLE G
1) Il est institué un Fonds Européen, destiné à apporter, en cas de besoin une aide sous forme de garantie, d’emprunt ou de contribution, en vue de faciliter la réalisation du marché commun, visé à l’Article A et de l’Union douanière, prévue à l’Article C.
2) Le budget annuel du Fonds est établi suivant la procédure prévue pour la fixation du budget général de la Communauté.
3) Le Conseil Économique et Social de la Communauté peut être consulté sur la gestion du Fonds Européen.
4) Les dispositions des paragraphes précédents sont élaborées dans le Protocole No…, faisant partie intégrante du présent Traité.
ARTICLE H
1) Les dispositions de l’Article 55 s’appliquent aux propositions à faire en vertu des Articles A et D ci-dessus.
2) Les décisions, prévues aux Article E et F, sont prises par le Conseil Exécutif Européen sur avis conforme du Conseil des Ministres nationaux.
ARTICLE I
1) Le Gouvernement de chaque État membre présent chaque année au mois de janvier un rapport au Conseil Exécutif Européen, concernant les mesures prises en application des Articles B, C et D ci-dessus.
Le Conseil Exécutif Européen établit, sur la base de ces informations, un rapport annuel général sur la réalisation des objectifs de la Communauté visés au présent Chapitre, et le soumet avec ses conclusions au Parlement pour la première session ordinaire.
ARTICLE J
1) La Cour est compétente pour se prononcer sur les recours formés en vertu des Articles E, paragraphe 5, et F, paragraphe 3, pour autant que ces recours sont basés sur les motifs d’annulation, visés à l’Article 43. Toutefois, s’il est fait grief à la Communauté d’avoir violé le Traité ou une règle de droit relative à son application par une appréciation fausse de la situation économique telle que prévue aux Articles précités, l’examen de la Cour ne peut porter sur cette appréciation, sauf pour autant qu’il est prétendu que la violation est patente ou la décision entachée de détournement de pouvoir.
2) La Cour est compétente pour se prononcer sur les recours en annulation, formés par le Conseil Exécutif Européen ou un État membre contre les mesures prises en vertu de l’autorisation, visées à l’Article E, paragraphes 2 et 3, pour les motifs mentionnés au paragraphe 4 dudit article.
Toutefois, s’il est fait grief à l’État membre en cause de ne pas avoir suffisamment tenu compte des intérêts de la Communauté ou des autres États membres, l’examen de la Cour ne peut porter sur l’appréciation de ces intérêts sauf pour autant qu’il est prétendu que l’État membre a méconnu d’une manière patente lesdits intérêts ou que la mesure en litige n’est pas justifiée par les motifs pour lesquels l’autorisation a été délivrée.
3) Dans tous les cas autres que ceux visés aux deux paragraphes précédents, le recours est porté devant une Commission Consultative, composée du Président de la Cour, qui assure la présidence de la Commission, et de quatre experts, nommés par la Cour, sur requête de l’une des parties.
La Communauté, représentée à cet effet par le Conseil Exécutif Européen, est partie de droit aux litiges, dans lesquels un État membre invoque la méconnaissance des intérêts de la Communauté ou des États membres en vertu de l’Article E, paragraphe 4.
La Commission délibère à la majorité simple de ses membres.
L’avis peut comporter des propositions, tendant à concilier les prétentions opposées. L’avis est transmis au Conseil Exécutif Européen qui décide; la décision du Conseil est obligatoire pour les parties au litige. L’avis de la Commission est publié par les soins du Conseil.
La décision du Conseil ne peut s’écarter de l’avis de la Commission que sur avis conforme du Conseil des Ministres nationaux.
4) Les dispositions du paragraphe précédent concernant la composition et la procédure de la Commission Consultative sont élaborées dans le Protocole No…, annexé au présent Traité.
Allegato II
Esquisse du protocole visé à l’article C
Les buts à atteindre dans un délai de dix ans sont les suivants:
abolition totale des droits de douane et des restrictions quantitatives aux échanges entre les pays de la Communauté, ainsi que l’établissement d’un tarif commun des droits de douane et d’un régime commun de restrictions quantitatives à l’égard des pays tiers, pour autant que de telles restrictions s’avéreraient nécessaires.
Les problèmes essentiels que suscite la réalisation de ces objectifs sont énumérés ci-dessous.
1) Droits d’entrée
a) dans les échanges entre les pays de la Communauté
L’abolition des tarifs devra être générale et devra s’effectuer selon des méthodes progressives et automatiques. Elle devra être générale afin d’éviter les immobilisations résultant d’une application par secteur; elle devra être progressive pour permettre aux pays de s’adapter aux nouvelles situations; enfin elle devra être automatique pour assurer un progrès continu de l’abolition dans le délai convenu.
Tous les droits d’entrée devront être abolis dans un délai total de dix ans. Chaque année les droits sont abaissés de 10 pour cent par poste tarifaire. Un tel régime automatique pourra provoquer des déséquilibres temporaires; d’autre part tous les autres systèmes présentent des inconvénients tels, que la solution proposée semble préférable.
Afin d’éviter une disparité excessive entre les sacrifices à supporter par les pays membres pendant la période envisagée, il est proposé de fixer un certain pourcentage au-dessous duquel il n’existe pas d’obligations d’abaisser les droits d’entrée jusqu’au moment oles tarifs de tous les états membres ont atteint le dit pourcentage. Ce moment venu, l’abolition des droits d’entrée, par poste tarifaire, devra s’effectuer en quelques étapes selon une méthode commune. Les postes tarifaires soumis à un droit d’entrée égal ou inférieur au dit pourcentage, pourront donc selon cette procédure être maintenus pendant quelques années sur le niveau existant. Le pourcentage mentionné sera différent pour les matières premières, pour les demi-produits et pour les produits finis.
Le système développé ci-dessus diffère, en ce qui concerne son objectif, des autres projets en matière tarifaire proposés dans le passé sur le plan international. En effet, ceux-ci visaient en général ou bien la suppression de la disparité des droits de douane, ou bien uniquement l’abolissement du niveau général des tarifs. Par contre le système ici proposé vise l’abolition totale des tarifs dans l’intérieur de la Communauté.
b) dans les échanges avec les pays tiers
Un régime tarifaire commun envers les pays tiers, basé sur une nomenclature uniforme, devra être élaboré à bref délai, tant en vue de renforcer et d’éclaircir la position envers l’extérieur qu’en vue d’éviter dans la mesure possible une confusion des idées à l’intérieur de la Communauté. Cependant, il ne faudra pas attendre la réalisation du régime tarifaire commun envers les pays tiers avant d’entamer la suppression progressive des tarifs existants dans les échanges entre les pays de la Communauté. Après que quelques abaissements périodiques des tarifs seront réalisés, il sera nécessaire de se former une idée claire du tarif commun à appliquer par la Communauté envers des pays tiers; en effet, si l’importation notamment des matières premières et des demi-produits s’effectue par l’intermédiaire d’un État membre dans le territoire des autres États membres, cela peut avoir pour effet l’abaissement du prix de revient et, par conséquent, l’amélioration en général du pouvoir concurrentiel; il n’en reste pas moins que pour certains cas des difficultés peuvent en résulter.
La position économique des six pays de l’Europe occidentale dans le trafic commercial mondial nécessite le plus grand pouvoir concurrentiel possible de la Communauté. L’isolation économique de la Communauté par le moyen d’un tarif élevé à la frontière extérieure est donc incompatible avec le but et susceptible de menacer l’existence même de la Communauté.
Un tarif généralement peu élevé à la frontière extérieure a pour effet d’assurer l’entrée à bas prix de matières premières et auxiliaires; d’autre part, vu la protection assez faible qui en résulte, un tel tarif stimule à porter l’efficience au niveau le plus élevé possible. Une pareille efficience est à son tour favorable à la position de la Communauté sur les marchés d’exportation ainsi qu’aux acheteurs sur le marché intérieur.
Pour l’élaboration du tarif commun, il faudra donc retenir comme norme les droits les plus bas existants dans la Communauté.
Restrictions quantitatives.
a) dans les échanges internes de la Communauté
L’abolition des restrictions quantitatives doit porter tant sur les importations que sur les exportations.
Pour les importations on peut prendre comme point de départ le niveau de libération que les pays ont atteint dans le cadre de l’OECE. Vu le pourcentage atteint par la plupart des six pays, c. à d. 90% ou plus, il ne s’agit en général, que de restes d’un control quantitatif, dont la liquidation, dans un délai de quelques années, ne doit pas être estimée impossible. Il est vrai que les secteurs qui n’ont pas encore été libérés comportent souvent les positions les plus difficiles.
Le but de l’abolition des restrictions quantitatives à l’exportation est principalement d’assurer, aux pays partenaires, sur un pied d’égalité, l’accès aux ressources et aux produits de l’ensemble de la Communauté.
b) dans les échanges avec les pays tiers
Au fur et à mesure de l’abolition des restrictions quantitatives dans les échanges commerciaux internes de la Communauté, il sera nécessaire de poursuivre une politique commune ence qui concerne les restrictions quantitatives que les pays auraient à maintenir envers les pays tiers, et cela tant à l’importation qu’àl’exportation.
33 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. CPE
33 2 Diretto alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e Washington, alle Rappresentanze presso la NATO, la CED e l’OECE a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, alle Legazioni a L’Aja e a Lussemburgo e alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici, della Cooperazione Internazionale, Ufficio III.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)
Appunto segreto(2). Roma, 10 agosto 1953.
APPUNTO SULLA RIUNIONE DEI SEI MINISTRI DELLA COMUNITA’ EUROPEA
(Baden Baden, 7-8 agosto 1953)
Allorché, nella loro riunione di Parigi del 22 giugno, i sei Ministri della Comunità Europea decisero di dare vita, prima delle elezioni politiche tedesche, ad un loro nuovo incontro e fissarono quale data il 7 agosto e quale località Baden Baden, non mancarono accenni, di stampa e di Cancelleria, di scetticismo circa la possibilità che la nuova riunione – in considerazione anche dell’evoluzione politica internazionale – potesse effettivamente avere luogo.
Viceversa l’incontro, dopo brevi momenti di incertezza dell’ultima ora, causati in parte dalla crisi politica italiana, circa un qualche rinvio della data fissata, ha avuto luogo e, tutto sommato, ha costituito – contrariamente a previsioni avanzate fino all’ultimo momento – un certo successo ed una pagina indubbiamente costruttiva nel complesso e difficile cammino verso l’integrazione europea.
Così a Baden Baden, esattamente alla data del 7 agosto 1953, si sono riuniti, sotto la Presidenza di turno del Rappresentante italiano, On. Taviani, Ministro del Commercio Estero ed appositamente delegato dal Presidente On. De Gasperi: per la Repubblica Federale Tedesca, il Cancelliere Adenauer accompagnato dal Segretario di Stato Hallstein e dai Direttori Generali Blankenhorn e von Maltzan; per la Francia, il Ministro degli Affari Esteri Bidault, accompagnato dal Segretario Generale del Quai d’Orsay, Parodi e dal Direttore Politico di Europa Seydoux; per il Belgio, il Ministro degli Affari Esteri van Zeeland, accompagnato dai Ministri Plenipotenziari de Staercke e Walravens; per i Paesi Bassi, il Ministro degli Affari Esteri Beyen, accompagnato dall’Ambasciatore van Starkenborgh e dai Direttori Generali Fock e Eschauzier; per il Lussemburgo, il Ministro degli Affari Esteri Bech, accompagnato dal Ministro Majerus. Con il Ministro Taviani erano, per l’Italia, il Direttore Generale per la Cooperazione Internazionale di Palazzo Chigi, Magistrati, ed i Direttori Generali Aggiunti per gli Affari Politici e per gli Affari Economici, Giustiniani e Prato.
Questa volta era presente anche il Segretariato del Consiglio dei Ministri della Comunità, sotto la guida del Segretario Calmes.
La circostanza, di indubbio significato, per cui per la prima volta nel dopoguerra una Conferenza Internazionale di notevole importanza veniva tenuta su suolo tedesco, ha contribuito indubbiamente a dare all’incontro un carattere alquanto particolare ed il Governo della Repubblica Federale di Bonn non ha mancato di dare ad esso una cornice ed una atmosfera di molto rilievo.
L’ordine del giorno, predisposto a cura della Delegazione Italiana, nella sua qualità di organizzatrice di turno della Conferenza e che non aveva, in precedenza, sollevato obiezioni, comportava quale argomento iniziale una continuazione dell’esame, da parte dei singoli Ministri, di questioni di sostanza relative al Trattato per la costituenda Comunità Politica Europea: argomento, questo, che nella riunione di Parigi del 22 giugno, aveva trovato ben poca rispondenza tanto nella discussione, quanto nel suo comunicato finale(3).
Anche questa volta, all’inizio dell’incontro, si sono verificati silenzi ed interrogativi quasi che nessun Ministro volesse direttamente abbordare, sotto un profilo tecnico oltre che politico, i primi problemi – dei quali alcuni indubbiamente scottanti – relativi al futuro Statuto Europeo.
Ed allora è stato il Delegato Italiano, On. Taviani, a prendere per primo una certa posizione e ad indicare alcune idee del Governo Italiano, tanto in merito alle istituzioni della futura Comunità, quanto nei riguardi delle sue attribuzioni. Così egli, circa il Parlamento e nel rilevare come possa oramai considerarsi acquisito il fatto che esso verrà ad essere bicamerale, ha ripetuto il concetto della assoluta opportunità che uno dei suoi rami e cioè la Camera dei Popoli, sia eletta a suffragio universale e diretto.
Quanto al sistema di elezione (proporzionale o uninominale) ciascun Paese sarà libero di adottare le modalità che potranno apparirgli maggiormente adatte. Circa la composizione del Parlamento stesso, da parte italiana, si considera accettabile che nel Senato la rappresentanza dei singoli Paesi possa essere paritaria con l’adozione invece per la Camera dei Popoli – quale naturale conseguenza – del principio della ripartizione dei seggi in proporzione diretta al numero degli elettori di ciascuno Stato, salvo qualche necessario correttivo, alla base od all’apice per i Paesi di piccolissima o grande popolazione.
Circa l’Esecutivo della Comunità, l’On Taviani, nel ricordare come questa debba comunque mantenere il carattere di una organizzazione politica, ha affermato che i settori ed i poteri da attribuirsi all’Esecutivo stesso, anche se, specie in un primo tempo, limitati e ristretti, non possano non essere chiaramente stabiliti in modo che esso sia messo in posizione di agire con piena responsabilità. Quanto al Consiglio dei Ministri Nazionali, il suo controllo dovrà esercitarsi, eventualmente all’unanimità ma soltanto su di un certo numero di decisioni chiave espressamente determinate in modo che esse siano in armonia con le esigenze degli Stati Membri. In altre parole sarà opportuno che quel controllo non sia tale da imporsi all’intero funzionamento della Comunità.
Circa infine le attribuzioni della Comunità stessa, l’On. Taviani, pur ripetendo come da parte italiana si sia dato l’assenso, fin dal primo momento, alla proposta olandese perché il settore economico abbia, con l’eventuale futura creazione di un mercato comune, particolare rilievo ed importanza, non ha mancato di porre in risalto come, da parte italiana, si ritenga necessario conservare, al futuro Statuto, un equilibrio generale senza quindi creare, in tema di attribuzioni, eccessivi approfondimenti e specializzazioni di questo o di quel settore: si rischierebbe altrimenti di lasciare nell’ombra altri aspetti essenziali della futura integrazione.
Queste dichiarazioni italiane hanno dato «il via» ad esposizioni ed affermazioni, più o meno limitate, da parte degli altri Rappresentanti, e tali da confermare nel complesso le tendenze, già note, esistenti nei diversi Paesi. Così da parte olandese e belga si è ritornati sulle attribuzioni economiche, anche se in forma meno drastica di quanto si era verificato in riunioni precedenti, mentre da parte francese è apparsa evidente la tendenza a limitare per quanto possibile l’estensione delle attribuzioni stesse ed a marciare con i piedi di piombo su qualsiasi altro terreno che non fosse quello già oggi precisato e costituito dalla CECA e dalla CED.
Di notevole rilievo – anche perché fuori dell’ordinario – è stato l’intervento del Ministro degli Esteri del Lussemburgo il quale, riferendosi a contatti da lui recentemente avuti con membri del suo Parlamento, si è dichiarato sempre più favorevole ad una estensione di controllo sull’attività della futura Comunità da parte del Consiglio dei Ministri Nazionali e ha posto in rilievo i pericoli che verrebbero costituiti dalla creazione di una «superburocrazia» destinata a rendersi indipendente ed arbitra delle future decisioni: chiaro, anche se indiretto, accenno a talune difficoltà che l’attività dell’Alta Autorità della CECA deve già creare attualmente in seno al Lussemburgo. Quanto alle future attribuzioni della Comunità stessa, il Ministro Bech ha, in materia economica, elevato fin da ora un grido d’allarme circa la sorte che sarebbe riservata all’agricoltura del suo Paese, qualora, almeno in un primo periodo, non venissero messe in azione opportune clausole di salvaguardia e ha inoltre fatto presente le difficoltà che sorgerebbero nel suo Paese qualora dovesse venire senz’altro accettato il principio della libertà dei movimenti di mano d’opera.
Tutto sommato, per dalla discussione è emerso chiaramente – e contrariamente, si ripete, alle previsioni da taluni avanzate prima della Conferenza – un notevole spirito di collaborazione inteso a facilitare gli sviluppi dei futuri lavori: e così, da parte di tutti e nell’abbordare senz’altro il «Calendario» delle prossime riunioni si è stabilito finalmente di dare vita a quella riunione di Sostituti e di Esperti, già prevista fin dall’incontro di Parigi del 12 maggio e che non ha trovato fino ad oggi il modo di realizzarsi. Essa avrà luogo a Roma il 22 settembre in modo che le sue prime conclusioni e l’esito dei suoi primi lavori potranno essere presentati ad una nuova riunione dei sei Ministri prevista all’Aja per il 20 ottobre.
Molto facilmente sono state sorpassate anche le questioni relative tanto alla presenza, ai futuri lavori, di «Osservatori», quanto alla richiesta, avanzata dal Presidente Spaak e da von Brentano, a nome dell’Assemblea ad hoc, ed intesa ad ottenere la collaborazione dell’Assemblea stessa, e particolarmente della sua Commissione Costituzionale, alla futura attività della Conferenza dei sei Ministri(4). Per la prima delle due questioni si è stabilito di riprenderla in esame al momento ritenuto opportuno e che i contatti verranno presi, tra i sei Paesi, circa tale argomento, per via diplomatica, mentre per la seconda è stato deciso che, nel futuro incontro dei Sostituti e degli Esperti, questi, qualora cidovesse rendersi necessario, verrebbero autorizzati a chiedere l’intervento informativo di membri dell’Assemblea ad hoc che abbiano particolarmente concorso alla formazione del noto Progetto di Statuto per la Comunità Europea.
Si è esaurita così la prima parte della riunione. E ad essa ha fatto subito seguito – allo scopo di guadagnare tempo – una convocazione di un comitato di redazione per il comunicato conclusivo della Conferenza. E qui si sono rivelati quei contrasti che, al tavolo dei sei Ministri, erano stati previsti ma non si erano verificati. Così da parte tedesca (ed il Governo di Bonn aveva già, come è noto, fatto circolare in precedenza un suo progetto di comunicato) si è insistito con ogni mezzo perché questa volta venissero presentati alle opinioni pubbliche, attraverso il comunicato stesso, maggiori precisazioni e maggiori risultati circa il lavoro «costituzionale» inteso a favorire il processo integrativo europeo. E da parte francese invece quell’atteggiamento di guardinga riserva e di assoluta staticità, al quale si è fatto già accenno, si è solidificato nel comportamento e nelle affermazioni dei Rappresentanti del Quai d’Orsay. Piuttosto avanti invece questa volta sono apparsi i Rappresentanti del Benelux e specialmente quelli del Belgio che opportunamente hanno appoggiato l’azione italiana intesa ad ottenere il massimo possibile di contenuto nel comunicato, pur senza addivenire a posizioni atte a creare una pericolosa rottura tra francesi e tedeschi.
Ben sette ore di discussioni notturne (la seduta di questo Comitato di redazione è terminata alle cinque del mattino mentre il sole già illuminava in pieno la Foresta Nera!) hanno finalmente portato ad un accordo con un certo cedimento dell’intransigenza francese con la compilazione di una bozza di Comunicato, che in seguito approvato, con alcune modificazioni dei Ministri, (il testo finale è qui integralmente unito(5)) contiene indubbiamente – e per la prima volta – argomenti ed indicazioni di notevole rilievo circa i principi che dovranno condurre alla costituzione della Comunità Politica Europea. Forse l’imminente visita di Bidault a Bonn, il cui annunzio è stato appunto dato a Baden- Baden, ed una certa disillusione del dirigente del Quai d’Orsay in merito alla risposta sovietica alla Nota alleata per l’incontro Quadripartito, hanno finito per influenzare l’atteggiamento finale dei Rappresentanti di Parigi.
La seduta del giorno 8 è stata invece interamente dedicata al previsto scambio di idee sulle questioni di politica internazionale interessanti i sei Paesi. E qui si è rivelato sempre più utile quell’accordo di fatto in precedenza verificatosi, per cui è stato [sic] oramai definitivamente ammessa l’inclusione, negli ordini del giorno delle Conferenze dei sei Ministri, di questi «scambi di idee»: si è così a poco a poco e molto utilmente creato un certo «direttorio» di politica estera tra i sei Paesi e si è così dato in pratica e fin da oggi attuazione ad una delle «attribuzioni», previste per la futura Comunità, in tema di connessione nel campo della attività internazionale dei Paesi stessi.
Anche questa volta il primo ad entrare in argomento è stato il Cancelliere Adenauer il quale, nel nuovamente rievocare i fatti di Berlino del 17 giugno e le loro conseguenze, ha messo in rilievo come – dalle notizie venute recentemente in suo possesso
– possano confermarsi un orientamento antisovietico di tutta la Germania orientale ed una tendenza della sua giovente delle sue classi lavoratrici verso i principi della libertà occidentale. A Berlino, durante quei fatti, le proprietà private sono state scrupolosamente rispettate dai dimostranti i quali hanno manifestato la loro avversione soltanto nei riguardi delle istituzioni filo-comuniste e delle loro sedi.
La recentissima Nota sovietica di risposta agli alleati(6)– ha aggiunto il Cancelliere
– deve essere praticamente considerata un rifiuto in merito alle libere elezioni generali in Germania e l’accenno, in essa contenuto, alla Cina comunista, sta a dimostrare come a Mosca un contrasto di direttive di tendenze oggi esista e sia destinato probabilmente a consolidarsi. Si cercherebbe altrimenti colà di facilitare la distensione, semplificando le questioni e non accumulando invece nuovi elementi di difficile composizione.
Ma occorre anche non dimenticare come oggi la Russia consideri la sua politica soltanto in funzione ed in contrasto con gli Stati Uniti. Tutti gli altri elementi sono per essa quantità trascurabili. Ed in questo conflitto il Cremlino conosce perfettamente come l’Unione Sovietica, anche se in progresso in tema di energia atomica, non potrà mai possedere le riserve e le capacità produttive degli Stati Uniti nei settori del ferro, dell’acciaio e del carbone. Soltanto una caduta, nelle mani sovietiche, delle attrezzature produttive esistenti nella Germania occidentale, nella Francia settentrionale ed in Belgio potrebbe ristabilire l’equilibrio in tale decisivo settore e capovolgerebbe probabilmente l’attuale situazione. Ecco quindi – ha concluso il Cancelliere – come sia sempre pievidente e necessaria l’integrazione difensiva occidentale europea. Oggi i sei Paesi – ed occorre non dimenticarlo – sono sempre sotto la diretta minaccia di ben 170 Divisioni sovietiche alle quali si uniscono 70-80 Divisioni dei Satelliti. La distensione in Europa e nel mondo potrà avvenire soltanto il giorno in cui l’Unione Sovietica sarà definitivamente convinta dell’impossibilità di ottenere il sopravvento sulle forze del mondo che proteggono la civiltà occidentale. Da cila necessità assoluta di vedere affrettato il processo integrativo ed unificatore europeo.
Il Ministro Bidault si è dichiarato sostanzialmente d’accordo con il Cancelliere Adenauer circa la valutazione effettiva della Nota sovietica. Questa non costituisce, formalmente, un vero rifiuto a trattare (ed anzi una buona parte della stampa europea ha finito per proclamarne un aspetto positivo) ma in realtà quella pretesa accettazione modifica tutti i termini della proposta alleata confondendone sostanzialmente tutti gli elementi favorevoli. Col passare sotto silenzio le proposte elezioni libere in Germania e la creazione di un futuro Governo libero tedesco e con lo smisuratamente allargare la cornice ed i termini del problema della distensione, i Russi apportano, in pratica, un elemento nettamente controproducente ai fini della conversazione. Non si può quindi nascondere l’impressione che l’Unione Sovietica abbia oggi ben poche intenzioni di venire davvero ad un tavolo di pratiche ed efficaci trattative.
Tutto ciò– ha continuato, in termini particolarmente brillanti, il Ministro Bidault – non può non porre sempre pialla ribalta il pericolo di uno sbandamento delle opinioni pubbliche occidentali in quanto che esiste indubbiamente in non pochi Paesi una pregiudiziale tendenza ad accettare per buono, ai fini della distensione, qualsiasi atteggiamento sovietico, mentre è viceversa chiaro che tutta la politica del Cremlino è portata alla creazione di un’Europa divisa ed incerta. Quel lavoro quindi, fatto presente dal Cancelliere Adenauer ed inteso a facilitare l’affermazione della politica di unificazione europea, deve essere non abbandonato ed anzi intensificato. Occorrerà però tenere il massimo conto delle opinioni pubbliche sulle quali e con le quali occorre costruire il nuovo edificio dell’Europa.
Il Ministro van Zeeland, a sua volta, ha ricordato le conseguenze della morte del Dittatore sovietico in tema di manovre distensive del Governo di Mosca. Evidentemente si è entrati ora in un periodo di possibili ed auspicabili negoziati ma questi, ai fini dei Paesi occidentali, saranno indubbiamente resi più facili da una vera ed effettiva unione dei Paesi europei, tanto nel quadro atlantico quanto in quello della costituenda Comunità. Comprensione, quindi, ma coordinazione e fermezza senza «complessi di inferiorità» e senza sbandamenti nelle pubbliche opinioni. A questo scopo la riunione di Baden Baden ed il Comunicato ad essa relativo potranno costituire un elemento positivo di indubbio valore.
Il Ministro Taviani, nel riassumere l’interessante scambio di idee, e nel porre anch’egli in rilievo il significato, negli attuali momenti e sul piano della collaborazione europea, della riunione di Baden Baden, ha, con una nota opportuna di realismo, sottolineato le dichiarazioni del Ministro Bidault in tema di «disorientamento» delle pubbliche opinioni. Ed ha espresso il pensiero che l’importantissimo problema della coordinazione in tale settore dovrà essere posto, ormai, ed al più presto possibile, allo studio delle prossime Conferenze dei Rappresentanti dei sei Paesi.
La Conferenza – che è stata opportunamente completata da due cordiali riunioni conviviali offerte l’una, nella sua qualità di Presidente, dal Ministro Taviani e l’altra dal Cancelliere Adenauer, – si è conclusa con l’approvazione del Comunicato e con alcune dichiarazioni dei Ministri dinanzi ai numerosissimi giornalisti stranieri e tedeschi convenuti a Baden Baden. A questa Conferenza Stampa il Ministro Taviani, nell’illustrare il comunicato, ha affermato che la solidarietà europea occidentale, dopo la nota sovietica è oggi effettivamente un fatto concreto, di cui l’importanza ed il grande significato devono essere compresi ed acquisiti, in tutto il loro crescente valore, dalle opinioni pubbliche dei sei Paesi.
In riassunto:
1) la Conferenza di Baden Baden ha indubbiamente costituito – contrariamente, si ripete ancora una volta, a molte previsioni un «passo in avanti», in tema di integrazione europea. Per la prima volta nel Comunicato finale si è parlato di «funzioni sopranazionali» da esercitarsi da parte della futura Comunità e si è affermato che, nelle istituzioni della Comunità stessa, dovrà esistere un efficace controllo politico e democratico degli organi «esecutivi».
2) Ciò detto è evidente che gli ostacoli sono ben lungi dall’essere sorpassati. Se esiste una maggiore coscienza collettiva circa l’importanza ed il valore, anche ai fini politici contingenti, del processo integrativo europeo, sussistono tuttora le riserve ed i dubbi di taluni circa l’opportunità di inoltrarsi senz’altro su nuovi terreni, oltre quelli costituiti dalla CECA e dalla CED. E qui, come si è visto, gli atteggiamenti maggiormente discordanti tra loro sono quelli del Governo di Bonn e del Governo di Parigi.
3) La Delegazione francese, rappresentante, in linea di massima, le idee degli Uffici del Quai d’Orsay, è appunto apparsa estremamente guardinga e quasi ancora sulle posizioni dell’anno scorso allorché la Francia dichiarava di volersi attenere strettamente ai Trattati esistenti, in tema di integrazione europea, senza procedere sulla strada di nuove estensioni di accordi. In posizione piavanzata è apparso invece il Ministro Bidault, specialmente in tema di valorizzazione dei valori europei nell’attuale momento politico internazionale.
4) I Tedeschi si sono mostrati attivi e vivaci. Consapevole dell’importanza di vedere il suolo tedesco prescelto, per la prima volta, ed evidentemente anche ai fini di un sostegno elettorale, per una vera e propria Conferenza internazionale nella quale la Germania si è seduta in condizioni di assoluta parità, il Cancelliere Adenauer è apparso fiducioso ed ottimista su di un suo successo nelle prossime elezioni.
5) L’Italia ha fatto benissimo a conservare – anche nella sua situazione di crisi di Governo e nella forzata assenza del Presidente De Gasperi – la Presidenza della riunione grazie alla quale ha potuto svolgere una funzione coordinatrice e direttrice di indubbia importanza e di notevole significato. Occorre peraggiungere che è proprio sull’Italia che oggi appaiono mano a mano appuntarsi il maggiore interesse e la maggiore curiosità quasi che i progressi verso l’integrazione europea siano legati in buona parte alle capacità ed alle possibilità parlamentari dei futuri Governi Italiani. Non per nulla è stato pivolte da tutti messo in rilievo il valore e l’importanza dell’apporto sempre dato al problema dal Presidente De Gasperi verso la cui opera sono andati i sentimenti di riconoscimento e di apprezzamento dei Rappresentanti dei sei Paesi.
6) Il Belgio, nelle parole del Presidente van Zeeland, si è mostrato animato da spirito di collaborazione europea ed in certi momenti è sembrato anzi un elemento di propulsione sul cammino ingaggiato, mentre il Rappresentante olandese non ha svolto azione di particolare vivacità. Riservato e perplesso, nonché geloso degli interessi del suo Paese nel processo integrativo europeo, è apparso questa volta, in termini maggiormente precisi, il Rappresentante del Lussemburgo.
7) Si è evitato, questa volta, di fare il solito «giro di ispezione» circa la situazione esistente, nei confronti dei diversi Parlamenti, in tema di ratifica del Trattato CED e si è preferito invece porre, più o meno direttamente, in rilievo l’importanza del rafforzamento della difesa integrata europea anche ai fini delle future conversazioni con l’Unione Sovietica.
8) La Conferenza è stata improntata, dal punto di vista dei rapporti personali tra i Ministri e tra le Delegazioni a particolare cordialità: segno questo che in fondo, ed anche attraverso le mille sostanziali difficoltà, riunioni di tale natura, che portano a frequenti ed ormai regolari scambi di idee e di impressioni, costituiscono in Europa un elemento positivo che non va perduto di vista.
34 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78
34 2 Il documento reca il seguente timbro: «Visto dal Segretario Generale» e la sigla Zoppi.
34 3 Vedi D. 1.
34 4 Vedi D. 15, nota 2, in particolare il punto 3 della lettera del 24 giugno di Spaak e Von Brentano.
34 5 Vedi Appendice documentaria.
34 6 Del 4 agosto (FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 259), rispondeva ad una nota degli Alleati del 15 luglio (Vedi D. 22, nota 2).
IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)
L. 5852(2). Lussemburgo, 11 agosto 1953.
Caro Zoppi,
come di consueto per debito d’ufficio mi permetto di inviarti alcune mie impressioni sulla Conferenza di Baden Baden.
La Conferenza è stata, mi sembra, come varie delle precedenti un successo piuttosto formale che sostanziale; si è ottenuto quel che si desiderava e cioè una riconferma ai fini elettorali tedeschi di alcune decisioni e alcuni principi già accettati, ma sul terreno concreto non si è fatto nessun passo avanti.
La negativa posizione francese è riapparsa nettissima, sopratutto nel corso dei lavori del Comitato di redazione (i Ministri si sono tenuti sulle generali). Tale posizione è identica a quella che trovai nell’ottobre scorso, allorché partecipai a Bonn al Comitato che redasse il noto questionario per i lavori dell’Assemblea ad hoc e che allora si riuscì a smuovere. Essa si è ora ripresentata fermissima.
Tale posizione è la seguente: i francesi sono disposti ad accettare una sola cosa: una Assemblea europea elettiva e nulla di più Essi cioè non vogliono nessuna comunità sopranazionale, nessuna estensione delle competenze delle comunità esistenti, nessun eventuale sviluppo automatico della comunità, nessun esecutivo politico e probabilmente nemmeno la fusione degli esecutivi della CECA e della CED.
I delegati francesi nel comitato di redazione hanno resistito dalle 10 di sera alle cinque del mattino per consentire che nel comunicato finale della conferenza venissero menzionati, sia pure in maniera indiretta e vaghissima, i termini di «sopranazionale» e «esecutivo».
Le intenzioni francesi sono apparse particolarmente chiare, quando si è discusso della bicameralità della Comunità. I francesi si sono opposti, osservando, fra la meraviglia generale che i Ministri non avevano mai parlato di bicameralità. È stato loro obbiettato che l’art. 38 e la risoluzione di Lussemburgo parlano appunto di sistema bicamerale. Sì, è stato risposto dai francesi, ma in una «fase ulteriore», facendo così capire che la comunità politica non deve, a loro avviso, costituire quella fase ulteriore preconizzata dall’art. 38.
I delegati francesi nel comitato di redazione appartenevano al Quai d’Orsay, rappresentavano cioè l’indirizzo pizelantemente antieuropeista; Bidault si è mostrato alquanto – ma solo alquanto – meno negativo e ha finito, ad esempio, per ammettere, sotto le insistenze di van Zeeland, che il comunicato contenesse un accenno alla istituzione di un sistema bicamerale.
Un punto concretamente positivo della Conferenza è stata la discussione di politica generale, interessante non solo per le dichiarazioni di Bidault sulla nota russa(3), ma anche perché, dopo il precedente della Conferenza di Parigi del 22 giugno(4), permette di istaurare la consuetudine di un simile scambio di idee (ricorderai che nel Consiglio d’Europa non ci si è mai riusciti), che, in questo momento in cui i 3 grandi sembrano voler ignorare gli altri, potrà servire a dare una consistenza politica e una voce alla comunità dei sei. E nulla impedisce che se Adenauer parla di unificazione tedesca, noi non possiamo a un certo momento portare sul tappeto la questione di Trieste. Con Giustiniani avevamo preparato un progetto di intervento per Taviani (necessità di consultazione della comunità e salvaguardia degli interessi di ciascuno ivi compreso Trieste), ma Taviani non ha creduto di intervenire nella discussione politica data la nostra situazione governativa.
Infine un altro punto, sia pure minore, che mi pare buono, è di aver riportato in Italia la conferenza dei sostituti (questa volta sotto presidenza lussemburghese), dopo che van Zeeland aveva già proposto l’Aja. È stata una cortesia di Bidault, che la nostra delegazione aveva opportunamente messo sulla strada.
Credimi devotamente
F. Cavalletti
35 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
35 2 Cavalletti trasmise copia della lettera a Quaroni con L. 5855, pari data, in cui riferiva riguardo alla Conferenza di Baden-Baden: «Bidault è stato effettivamente un po’ meno ostico del consueto; ci hanno perpensato i suoi funzionari. Quella del comitato di redazione è stata una battaglia epica, fra Hallstein e Blankenhorn da una parte, sospinti dallo spettro delle elezioni, e Parodi e Seydoux, atterriti da anche una parvenza di progresso europeista. Battaglia terminata alle luci dell’alba, per logoramento delle due parti. Bidault è stato con noi particolarmente cortese, sia con la proposta della conferenza a Roma, sia partecipando alla colazione offerta da Taviani. (Parodi e Seydoux non sono intervenuti: gli ho detto: vous craignez que nous vous empoisonnons, après que vous nous avez tellement empoisonné la nuit dernière!). Cosa strana Bidault, che giungeva in seduta con una enorme automobile delle forze di occupazione con bandierone militare, è stato costantemente applaudito dalla folla. Forse erano i resti del Propaganda Ministerium che funzionavano ancora! Tuttavia non si può dire che l’atmosfera fra francesi e tedeschi fosse idilliaca. Quello che i francesi dicevano dei tedeschi in separata sede e i tedeschi dei francesi era da far rizzare i capelli. Le dichiarazioni Bidault sulla risposta russa sono state molto interessanti e importanti. Ne riceverà certamente il testo. È stata una netta e perentoria affermazione che la Russia non vuole l’accordo, uno sconfessare solennemente la politica del ponte. Ha fatto perla riserva della opinione pubblica» (Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 17, pos. 11/5.2).
35 3 Vedi D. 34, nota 5.
35 4 Vedi D. 1.
IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI POLITICI, GIUSTINIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)
Appunto segreto(2). [Roma], 13 agosto 1953.
NOTA SOVIETICA, RIUNIONE DI BADEN BADEN E DISCORSO DI MALENKOV
Come risulta dalla relazione sulla recente riunione a Baden Baden dei sei Ministri della Comunità europea – vedi anche i sunti allegati dei discorsi tenuti nell’occasione
– i Ministri Adenauer, Bidault e van Zeeland si sono trovati d’accordo nel giudicare negativa la risposta sovietica(3). Sostanzialmente negativa. Vi sono tuttavia, nei giudizi pronunziati dai tre Ministri, differenze di apprezzamenti e di prospettive. Adenauer ha posto per suo conto – e si puintendere – in fortissimo rilievo il carattere, per così dire, di esplosione spontanea e irrefrenabile dei moti di Berlino e della Germania orientale. Nel che si puconvenire con più o meno di convinzione. Ha poi rappresentato lo stato d’«estrema miseria» non solo della Germania orientale ma anche, e in forme più gravi, quello della stessa URSS. Il che puparere dubbio, almeno per quanto riguarda l’URSS, se si tiene presente quanto le nostre Rappresentanze, in particolare Mosca, hanno riferito in proposito. Tutto ciò rappresenta d’altronde, nell’argomentazione di Adenauer, una premessa: lo stato di debolezza dell’URSS. La conclusione del suo ragionamento – nella quale gli altri due Ministri si sono dichiarati consenzienti – sta nell’affermazione che soltanto l’unione e l’integrazione europea possono far vincere all’Occidente la posta della guerra fredda: il potenziale di ferro, carbone e acciaio dell’Occidente. L’integrazione, da attuarsi il pirapidamente possibile, è pertanto la premessa necessaria di un utile negoziato con l’Oriente.
Stato di debolezza interna dell’URSS e unione dell’Occidente appaiono essere i motivi che hanno determinato una pivigorosa reazione di Malenkov nel suo recente discorso al Soviet supremo. È tornato infatti sull’argomento dei moti di Berlino per stigmatizzare i «provocatori», ha fatto la rivelazione della bomba all’idrogeno e, nel suo giro d’orizzonte di politica estera, ha moltiplicato le occasioni di dissenso e di confusione nel mondo occidentale: proprio come Bidault aveva preannunziato nella sua analisi della Nota sovietica. Ha poi preso netta posizione contro l’integrazione tedesca. Il contrasto Adenauer - Malenkov non potrebbe esser piforte.
Sostanzialmente d’accordo con Adenauer, Bidault ha tuttavia messo in rilievo le difficoltà derivanti da quella che ha definito la «deriva delle opinioni pubbliche». Il che ha fornito a van Zeeland lo spunto per fare delle proposte positive. Continuare cioè a esplorare le possibilità del dialogo con Mosca, in considerazione del fatto, da tutti riconosciuto che la porta ai negoziati non è stata tuttavia chiusa, in stretta unione con le opinioni pubbliche cui si tratta di dimostrare l’eccellenza del nostro metodo.
Qual è ora la posizione che, data la situazione del nostro Paese, ci conviene di prendere in tema di dialogo tra Occidente e Oriente, in seguito alla Nota sovietica e al discorso di Malenkov?
Non si ha la pretesa di rispondere esaurientemente a questo interrogativo. Si cercherà soltanto di svolgere qualche considerazione, che potrà preparare una decisione che, in ultima analisi, spetterà al Ministro responsabile.
1) Come è stato messo in rilievo da Bidault, il tentativo di saggiare le reali intenzioni sovietiche limitando il negoziato ai soli problemi della Germania e dell’Austria, è fallito. I Sovieti non si sono prestati al gioco.
2) Ma, almeno parzialmente, è fallito anche il tentativo di addossare, nei confronti dell’opinione pubblica, la responsabilità di un rifiuto alla parte sovietica. Poiché un rifiuto non c’è stato: né formalmente, né, all’atto pratico, nel modo in cui l’opinione pubblica ha accolto la risposta sovietica. Così Bidault faceva presente che la stampa francese ha in genere presentata la risposta come un’accettazione o, se mai, come un non rifiuto.
3) Il quesito che si pone ora ai Tre è quello della replica: modo e tempo della replica.
4) Si potrebbe pensare – come, secondo quanto ha detto, sembra pensare van Zeeland – a dare una risposta sostanzialmente affermativa approfittando del fatto, riconosciuto come tale dai tre Ministri che manifestarono le loro opinioni a Baden Baden
– che i Sovieti non appaiono desiderosi di iniziare il negoziato.
5) È vero che, così facendo, si accetterebbe di scendere sul terreno scelto dall’avversario: un terreno infido di cui questi si varrebbe, come già si vale, per seminare la discordia nel campo occidentale. Ed è anche vero che, per lo meno in alcuni paesi dell’Occidente, maggiormente lavorati dall’interno, la lunga fase di negoziati che da tale accettazione deriverebbe sarebbe particolarmente pericolosa e piena di incognite inquietanti.
6) Tuttavia, dato che le considerazioni di cui al punto precedente non fossero giudicate tali da sconsigliare una operazione troppo rischiosa, varrebbe forse la pena di correre il rischio calcolato cui, nel suo agnosticismo nei confronti della politica sovietica, faceva allusione van Zeeland: dato che gli scopi, strategici o tattici non importa, della politica sovietica sono imperscrutabili, è il caso di esplorare se in fondo alle manovre sovietiche non ci sia una reale volontà di distensione. Con fermezza e senza complessi di inferiorità.
7) Ammessa tale ipotesi sarà da tener presente che un eventuale insuccesso porrà l’Occidente in una situazione di maggiore asprezza nei confronti di Mosca. Esaurita infatti anche questa prova di buona volontà e compiuto l’ultimo tentativo per dimostrare ai popoli che tutte le vie sono state tentate – come sembra sia l’idea di Churchill
– che altro resterà se non, quanto meno, una tensione accresciuta?
8) Non sembra il caso di esaminare ora il contenuto eventuale di una replica dell’Occidente sostanzialmente negativa: che potrà essere diversamente graduata a seconda delle circostanze. Col che si viene a considerare l’altro aspetto del quesito proposto: il tempo della replica.
9) Una replica pronta se non immediata, avrebbe il vantaggio di fornire tempestivamente una guida all’opinione pubblica bisognosa sempre d’orientamento. Anche perché intanto l’azione sovietica si sviluppa, come appare chiaramente dal discorso di Malenkov. Basterà in proposito segnalare gli allettamenti rivolti alla Francia e all’Italia ricordando alla prima la persistenza del trattato di alleanza (contro la Germania) e alla seconda le favorevoli prospettive che si presenterebbero all’economia italiana, con conseguente riassorbimento della disoccupazione, da un intercambio accresciuto: con la sola condizione dell’osservanza (in apparenza innocente) degli impegni presi.
10) Tuttavia apparirebbe necessario, per una replica, conoscere il risultato delle elezioni tedesche: l’avvenimento è troppo importante e le sue conseguenze appaiono di portata troppo ampia perché non convenga attendere.
S’intende che le considerazioni di cui sopra, d’altronde esse stesse discutibili, non hanno la pretesa di esaurire l’argomento. Esse vorrebbero piuttosto fornire lo spunto per uno scambio di idee interno – cui potrebbero essere invitate a partecipare le nostre Rappresentanze interessate – al fine di cercare di definire una nostra linea di azione. È vero che non siamo tenuti a prendere posizione, che la Nota sovietica è diretta ai Tre e non a noi, ed è anche vero che, almeno finora, non ci è stata chiesta la nostra opinione. È perevidente che per poterla dare occorre prima averla e che quando si avesse, richiesti o non richiesti, avremmo sempre il modo di farla valere.
36 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
36 2 Il documento reca le seguenti annotazioni manoscritte: «per il Segretario generale» e «al ministro Magistrati», con le sigle di Magistrati e Straneo.
36 3 Vedi D. 34 e nota 6.
36 4 In calce è riportato il seguente stralcio del discorso di Malenkov: «La questione tedesca deve e può essererisolta. A tale scopo è necessario considerare gli interessi del rafforzamento della sicurezza di tutti gli Stati d’Europa, e prima di tutto la sicurezza dei vicini occidentali ed orientali della Germania, come pure gli interessi nazionali del popolo tedesco. Per questo motivo è necessario abbandonare la politica che tende ad attirare la Germania in un blocco militare aggressivo, la politica della rinascita di una Germania militarista ed aggressiva. (…) Una Germania militarista, sia nella sua veste attuale che sotto la maschera della “comunità europea di difesa”, è una mortale nemica della Francia e degli altri Paesi vicini».
L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)
R. segreto. Bad Godesberg, 14 agosto 1953.
Oggetto: Situazione politica nella Repubblica Federale tedesca.
Signor Ministro,
credo utile al mio ritorno a Bonn dopo un breve periodo di assenza e appena reduce da Baden-Baden riassumere gli elementi principali che dominano la situazione interna tedesca in questo momento e che possono riassumersi in questo modo: relazioni franco-tedesche; preparazione della nota di risposta all’Unione sovietica e campagna elettorale.
Sul primo di questi punti occorre anzitutto notare che si è verificato in questi ultimi giorni un notevole miglioramento nei rapporti franco-tedeschi, grazie prima all’atmosfera creatasi durante la Conferenza di Baden-Baden e poi alla visita immediatamente seguitane del Ministro Bidault a Bonn. Avevo a suo tempo riferito le preoccupazioni tedesche per un presunto atteggiamento di ostilità da parte dei francesi a Baden-Baden, preoccupazioni che non si erano attenuate dopo la notizia della inclusione nella Delegazione francese di Parodi e di Seydoux. Tanto maggiore quindi è stata la soddisfazione dei tedeschi, e forse non priva di una certa sorpresa, per la costruttiva partecipazione di Bidault ai lavori della Conferenza e per le esplicite dichiarazioni da lui fatte in favore del proseguimento dei lavori per la Comunità europea.
Ma l’elemento che ha veramente consolidato questo miglioramento nei rapporti tra i due Governi è costituito dal viaggio di Bidault a Bonn. Il Ministro degli Esteri francese e il Cancelliere federale si sono intrattenuti a quattr’occhi in un colloquio che ha durato [sic] circa un’ora. L’incontro, secondo notizie confidenziali ma sicure avute, è stato cordiale e si è iniziato col riconoscimento reciproco che lo stato delle relazioni fra i due rispettivi Paesi si era in questi ultimi tempi notevolmente peggiorato. È stato da ambedue riconosciuto che al centro di tutti i problemi internazionali e particolarmente europei, compreso il movimento per la Comunità europea, stava il ristabilimento di buone relazioni tra la Francia e la Germania. Che era quindi necessario affrontare una buona volta decisamente e in modo positivo tutte le questioni che si opponevano allo stabilimento di normali relazioni fra i due Paesi. Lo studio approfondito di tali questioni è stato tuttavia logicamente rinviato ad un momento successivo alle elezioni tedesche. Adenauer che si è dimostrato sicuro della propria vittoria, e su questo riferisco appresso, ha dichiarato a Bidault e questi ne ha convenuto, che solo dopo le elezioni con un Governo libero da preoccupazioni contingenti sarà possibile affrontare con maggiore probabilità di successo questioni non facili come quella della Saar, come quella dei contingenti militari tedeschi anche in caso di riunificazione, e tutte le altre connesse ad una normalizzazione dei rapporti franco-tedeschi.
Ho cercato di sondare il pensiero di questo Governo sui motivi che avrebbero determinato questo migliorato atteggiamento francese. Essi sarebbero soprattutto due; il primo è rappresentato da una disillusione francese per la proposta sovietica che – e se ne è avuta l’impressione anche a Baden-Baden – è considerata sostanzialmente negativa. Per conto loro i tedeschi condividono l’opinione francese secondo la quale dovrebbesi ritenere che in questo momento i sovietici non avrebbero alcuna voglia di impegnarsi, forse per motivi interni, in una conferenza di vasta portata. Secondo elemento è stato portato qui da Bidault, il quale ha riferito ad Adenauer sui risultati di una riunione dei principali Ambasciatori francesi all’estero da lui convocati recentemente. L’argomento discusso, ha detto Bidault, era il seguente: doveva o no la Francia proseguire nella politica di integrazione europea. Il giudizio di tutti i Capi Missione, compreso quello di François-Poncet, è stato decisamente affermativo: non solo, ma l’Ambasciatore francese a Mosca Joss ha dichiarato che il processo di unificazione europea era il solo elemento che veramente impressionasse Mosca e che potesse spingerla a trattative concrete. Come conclusione di questa Sua esposizione Bidault ha dichiarato ad Adenauer che contava con prospettive favorevoli di riprendere il problema delle ratifiche al rientro delle Camere.
Non posso chiudere questo breve paragrafo, che in un modo o nell’altro è connesso anche alla Conferenza di Baden-Baden, senza riferire l’esplicito compiacimento che il Cancelliere Adenauer mi ha fatto giungere attraverso Blankenhorn per il modo con cui l’On. Taviani ha presieduto ai lavori della Conferenza, compiacimento espressomi anche, nel campo francese, personalmente da François-Poncet.
Sul secondo dei punti sopra enunciati, mi e stato detto da Blankenhorn che la nota tripartita di risposta all’Unione Sovietica è attualmente in redazione a Parigi(2). I tedeschi non hanno ancora conoscenza del progetto ma si ritiene che ciò avverrà nei prossimi giorni. Mi risulta tuttavia che essi erano già in contatto con gli americani. Dalle notizie finora pervenute a Bonn si sarebbe orientati verso una risposta conciliante per i sovietici con riserva perdi riaffermare la preminenza dei problemi tedeschi. Per quanto riguarda l’atteggiamento del Cancelliere Federale egli sembra, e farà certo valere la sua opinione in sede consultiva, orientato verso una riconferma delle risoluzioni di Washington, con una apertura tuttavia verso l’Unione sovietica attraverso l’ammissione di un possibile ampliamento della Conferenza ad altri problemi. Non credo che nessuno abbia per ora molta fretta di rispondere a Mosca. È possibile che il testo concordato venga inviato colà un po’ prima, ma non troppo, delle elezioni tedesche, in altri termini verso i primi di settembre. Sulla campagna elettorale riferisco con rapporto a parte e mi limito qui a segnalare come la sua base si sposti sempre maggiormente al campo della politica estera. (Sui tentativi social-democratici di questi ultimi giorni di accentuare maggiormente i motivi di politica interna riferisco con lo stesso rapporto sopra citato). Adenauer continua a mostrarsi del tutto sicuro del risultato delle elezioni e, a giudicare dallo stato delle cose ad oggi, dovrei condividere il suo ottimismo. Mancano però più ditre settimane alla votazione e l’elettorato puancora essere influenzato da nuove mosse sovietiche e da elementi ancora imprevisti. Potrebbe anche in Germania verificarsi il caso che il segreto delle elezioni risieda nella più o meno consistente affermazione dei piccoli partiti di centro. Ad ogni modo, a parte la sicurezza di Adenauer, l’opinione generale oggi, inclusa quella degli ambienti alleati, è per un chiaro successo del CDU (non a spese del SPD che potrebbe anche lievemente migliorare le sue attuali posizioni) e per una vittoria di misura della coalizione governativa. Riserva va fatta a questo riguardo per le possibilità di una crisi pre o post - elettorale del partito liberale e per l’atteggiamento ancora indeciso del partito dei profughi, elementi negativi questi che potrebbero tuttavia trovare forse compenso da un qualche incremento del Deutsche Partei.
Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.
[Franco Babuscio Rizzo]
37 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. Conferenza CPE a Baden-Baden.
37 2 La nota di risposta fu poi trasmessa da Parigi il 1° settembre: FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 268.
IL SEGRETARIO DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELLA CECA, CALMES, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
L. CM/S (53)5306. Lussemburgo, 20 agosto 1953.
Monsieur le Ministre,
Me référant à la lettre adressée le 24 juin 1953 par MM. Spaak, Président de l’Assemblée Commune et von Brentano, Président de la Commission Constitutionnelle, à M. De Gasperi, Président du Conseil Spécial de Ministres, et à la réponse de M. De Gasperi en date du 9 juillet 1953(2), je suggère que Votre Excellence informe MM. Spaak et von Brentano de la décision que les Ministres ont prise lors de la Conférence qui s’est tenue à Baden-Baden, les 7 et 8 ao 1953, concernant les contacts à maintenir avec les auteurs du projet de Traité portant Statut de la Communauté Européenne.
Je joins à la présente le texte d’un projet de réponse, et Vous saurais gré de bien vouloir me communiquer copie de la réponse qu’il Vous aura plu de donner à MM. Spaak et von Brentano(3).
Je Vous prie de croire, Monsieur le Ministre, à l’assurance de mes sentiments respectueusement dévoués.
Calmes
Allegato
PROJET
Monsieur le Président, Comme suite à la lettre qui vous a été adressée, le 9 juillet dernier(2), par mon prédécesseur,
M. De Gasperi, en réponse à la communication que vous-même et M. von Brentano aviez faite en date du 24 juin 1953, j’ai l’honneur de vous faire savoir que les Six Ministres des Affaires Etrangères des États membres de la CECA ont décidé, au cours de la réunion qu’ils ont tenue à Baden-Baden, les 7 et 8 ao 1953, de charger leurs suppléants de poursuivre, avec l’aide d’experts, les travaux relatifs à la création d’une Communauté Politique Européenne.
Les Six Ministres ont convenu de confier à leurs suppléants le soin de prendre contact, au stade de leurs travaux qui leur paraîtra le plus utile, avec les auteurs du projet de Traité, en vue d’avoir avec ceux-ci les consultations qui pourraient s’avérer nécessaires dans l’intérêt de ces travaux.
Je vous prie d’agréer, Monsieur le Président, les assurances de ma haute considération(4).
[Giuseppe Pella]
38 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
38 2 Vedi D. 15.
38 3 Il testo del progetto di risposta fu inviato da Calmes a Bech, Van Zeeland, Bidault, Beyen con L. CM/S (53) 5362-5365 del 24 agosto (ASUE, CM1/CPE, 32.8), con il seguente invito: « M. le Président Pella me prie de porter cette lettre à votre connaissance en vue d’obtenir votre accord, ou éventuellement vos observations sur le texte proposé».
38 4 Per il seguito vedi D. 43.
L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. 4247/1704. Bruxelles, 1° settembre 1953.
Oggetto: CPE. Conferenza dei Sostituti.
In vista della prossima Conferenza dei sostituti e di esperti per l’elaborazione dello statuto della CPE, che dovrà aver luogo a Roma il 22 p.v., il Governo belga sta procedendo alla composizione della sua Delegazione, che risulterà costituita, oltre che da alcuni funzionari del Ministero degli Esteri (fra cui i ministri De Staerke e Walravens), anche da rappresentanti dei Ministeri della Difesa, degli Affari Economici, delle Finanze, dell’Agricoltura e del Lavoro, nonché, probabilmente, da un funzionario del Ministero dell’Interno incaricato di partecipare all’esame del sistema elettorale da applicare al costituendo Parlamento europeo.
Quanto all’atteggiamento che assumerà la Delegazione nel corso della Conferenza, esso sarà ovviamente ispirato, dato anche il carattere essenzialmente tecnico della riunione, alle direttive già esposte dal Ministro Van Zeeland nei precedenti convegni della CPE. Allo scopo di concretare tali direttive hanno avuto luogo in questi giorni contatti fra i membri della Commissione interministeriale creata nel maggio scorso (telespresso n. 3249/1202 del 22 giugno u.s.) e in particolare una riunione del suo Gruppo di lavoro per lo studio dei problemi di integrazione economica.
Per quanto rimangano pertanto, nel complesso, invariate le posizioni che il Governo belga continuerà a sostenere nell’elaborazione dello Statuto della Comunità politica europea, si è potuto tuttavia rilevare, da contatti a livello funzionari, come su taluni aspetti del progetto, su cui venivano finora fatte le piampie riserve, esso appaia più disposto a transigere, mentre su altri sembra deciso a mantenere il suo punto di vista.
In linea generale, la Delegazione belga sosterrà di non ritenersi in alcun modo vincolata dal progetto dell’Assemblea ad hoc, considerata da questo Governo come un semplice documento di lavoro alla stregua del rapporto della «Commission d’études européennes» belga, rapporto che esso si riserva infatti di presentare egualmente alla Conferenza.
Per quanto riguarda il contenuto pispecificatamente politico del Trattato, i belgi tenderanno a conservare il massimo delle prerogative della sovranità dei singoli Stati e a salvaguardare il principio della parità giuridica fra i membri della comunità. Nell’ambito di tale direttiva, mentre continueranno a sostenere l’opportunità di conferire le attribuzioni piampie al Consiglio dei ministri nazionali e di stabilire un efficace sistema di controllo parlamentare, essi sono decisi a richiedere il mantenimento del sistema bicamerale – previsto dallo statuto elaborato dall’Assemblea ad hoc, ma nei cui riguardi i francesi sembrano aver mostrato a Baden Baden alcune resistenze – e la composizione paritetica del Senato. Su quest’ultimo punto, è stato esplicitamente affermato, essi saranno intransigenti. Viceversa meno intransigenti saranno, su un piano di reciproche concessioni (secondo quanto è stato accennato in via confidenziale da un funzionario di questo Ministero degli Esteri) circa il diritto di recessione dalla Comunità, su cui essi hanno finora particolarmente insistito.
Circa l’aspetto economico del Trattato, i belgi concordano con gli olandesi sulla necessità di dare un contenuto piconcreto al progetto dell’Assemblea ad hoc. Tuttavia essi ritengono che tale contenuto non possa limitarsi, come propongono gli olandesi(2), alla costituzione di una comunità tariffaria o doganale, ma debba comprendere il coordinamento anche della politica commerciale, finanziaria, sociale e monetaria dei singoli Stati, in maniera da porre le condizioni necessarie per la creazione di un mercato unico. Secondo il punto di vista dei belgi – cui l’esperienza del Benelux ha dimostrato gli inconvenienti di una unione limitata al campo doganale, lasciando sussistere le diversità fra i sistemi produttivi di due paesi – una integrazione economica non può essererealmente utile e vantaggiosa per tutti se non è completa, o per lo meno non tenda ad esserlo nella misura piampia. L’ideale da conseguire – secondo le idee espresse dallo stesso Ministro Van Zeeland – sarebbe la creazione di un mercato unico in cui fosse assicurata la libera circolazione di tutti i fattori della produzione, beni, capitale e lavoro. Naturalmente a ciò nonsi potrà giungere che per gradi. Ma si ritiene qui che l’evoluzione debba effettuarsi sviluppando contemporaneamente e parallelamente l’azione di coordinamento in tutti i campi della vita economica dei vari paesi, secondo un «itinerario» stabilito di comune accordo, che impegni tutti i contraenti a percorrere le varie tappe del processo di unificazione entro un dato termine e a determinate condizioni. Naturalmente, tali impegni non dovrebbero figurare in modo esplicito nel Trattato, che per la sua stessa natura statutaria deve contenere soltanto i principi direttivi della nuova Comunità politica, ma dovrebbero fare oggetto di un protocollo annesso, in cui siano stabilite le modalità di attuazione del programma da eseguire per raggiungere l’obiettivo prefisso. Inoltre, l’attuazione per gradi del processo di unificazione dovrebbe avvenire nell’ambito di adeguate misure di salvaguardia, atte a tutelare le singole economie dalle perturbazioni che esse potrebbero risentire nel periodo transitorio, e con l’ausilio del fondo comune di riadattamento previsto dall’Art. 85 del progetto dell’Assemblea ad hoc.
Circa il possibile esito della Conferenza, malgrado le difficoltà che qui si prevedono al raggiungimento di un accordo su taluni aspetti del Trattato, si ritiene in questi ambienti, dove tuttora prevale la tendenza a marciare verso l’integrazione, che il passaggio della discussione della CPE a una fase tecnica costituisca un sostanziale progresso, permettendo di concretare le idee finora elaborate in un progetto definito, che potrà costituire a sua volta una base di discussione nella successiva Conferenza dei Ministri degli Esteri.
39 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. CPE.
39 2 Vedi D. 33.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)
Appunto segreto 20/2966(2). Roma, 3 settembre 1953.
Oggetto: Conversazione tra il Presidente Pella ed il Generale Gruenther.
Il nuovo Comandante in Capo delle Forze Europee NATO, Generale Gruenther, giunto a Roma in visita di «presentazione» e per avere un primo contatto ufficiale con
le nostre Autorità, ha avuto al Viminale, nel pomeriggio del 3 settembre 1953 – presenti il Direttore Generale della Cooperazione Internazionale di Palazzo Chigi, Ministro Magistrati, ed il Generale Bertoni, Capo dell’Ufficio Collegamento con il Comando Supremo Atlantico – una conversazione con il Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, On. Pella.
Il Generale Gruenther, dopo aver espresso la sua soddisfazione nel riprendere le relazioni personali con il Presidente Pella, da lui da tempo conosciuto, ha, in linea generale, riassunto l’azione organizzativa compiuta dallo SHAPE nel corso di questi ultimi tre anni. Si puoggi dire, in una parola, che le Forze Europee Atlantiche sono oramai in condizione di impedire qualsiasi attacco che venisse portato dalle forze sovietiche stazionanti, attualmente, in forma stabile, nei Paesi dell’Europa Orientale. Naturalmente, qualora queste forze sovietiche dovessero essere rinforzate da unità terrestri ed aeree stazionanti in territorio russo, la situazione cambierebbe e, quindi, appare necessario rinforzare sempre più il dispositivo protettivo atlantico. I prossimi due anni, quindi, comporteranno un nuovo e forse più delicato lavoro in quanto l’attuale fase di cosiddetta «distensione» internazionale, nonché le difficoltà finanziarie esistenti in taluni Paesi appaiono dover costituire indubbi ostacoli per il completamento dei programmi formulati.
L’azione sua personale – ha continuato il Generale – in questi ultimi tempi è stata quella di sostenere, dinanzi alle Commissioni del Congresso americano, la vigorosa opera del Presidente Eisenhower, intesa a «varare» gli stanziamenti necessari per il sostegno delle Forze Atlantiche. Ora è bene ricordare come, tra i principali interrogativi e dubbi manifestati dai membri del Congresso, sia sempre in prima linea la questione della formazione della Comunità Europea di Difesa e degli ostacoli frapposti in taluni Paesi, e principalmente in Francia, alla sua entrata in vigore. Se nel maggio prossimo, al momento cioè delle nuove decisioni del Congresso, la CED, o qualche cosa di simile, non dovesse realizzarsi, le difficoltà parlamentari americane per la approvazione dei nuovi stanziamenti sarebbero senza dubbio grandissime. A tale proposito sarebbe opportuno conoscere cosa si pensi di fare, in tale campo, in Italia.
Il Presidente Pella, dopo aver accennato alla linea politica italiana, sostanzialmente favorevole, tanto all’Alleanza Atlantica, quanto alla CED, ha messo in rilievo come, per l’Italia, esistano, per taluni «acuti» problemi che andrebbero – sempre nel quadro di questa alleanza – risolti oramai in maniera consona agli effettivi interessi italiani.
Si è così venuti a parlare specificamente del problema di Trieste che, a giudizio anche del Generale Gruenther, non può non essere considerato quale la «prima», delle questioni italiane. La sua mancata soluzione comporta, evidentemente, conseguenze non piccole, proprio nel quadro degli apprestamenti difensivi NATO, in quanto ché il grave ed esistente «vuoto di Lubiana» sarebbe facilmente colmabile se potesse ottenersi una collaborazione tra le Forze italiane e quelle jugoslave. Ma oggi ciò non è possibile e, quindi, è veramente nel desiderio di tutti di vedere presto risolto con soddisfazione italiana, l’importante problema il quale – come ha ricordato il Presidente Pella – rappresenta, per l’Italia, una somma di immensi sacrifici sostenuti durante la grande guerra 1915-18. Una soluzione del problema di Trieste, consona agli interessi italiani, risponde, del resto, ad innegabili situazioni storiche, economiche ed etniche.
Sempre sul tema dei rapporti tra la Jugoslavia ed il NATO, il Presidente Pella ha chiesto al Generale Gruenther qualche informazione circa l’andamento delle conversazioni militari tra Alleati e Jugoslavi a Washington. Ed il Generale ha detto risultargli che, in esse, la Jugoslavia si stava mostrando «un poco più conciliante». Da parte americana, inoltre, a Washington era stata fatta presente agli Jugoslavi la necessità di una soluzione della questione triestina quale elemento necessario e pregiudiziale nel quadro di possibili collaborazioni tra Belgrado ed il NATO.
In tema di preparazione atlantica, il Presidente Pella ha comunicato al Generale Gruenther che da parte italiana si sta provvedendo, secondo il solito, alla compilazione del Rapporto Annuale, destinato ad essere esaminato nel corso della «Revisione» NATO 1953. L’Italia, per molti motivi che sono del resto comuni ad altri Paesi – deve inscrivere le somme per spese straordinarie militari, calcolate in un’ulteriore «tranche» di 250 miliardi di lire, in un triennio anziché in un biennio. Questo avviene anche perché, come è noto, l’Italia non ha piusufruito, in questo ultimo periodo, di alcun nuovo aiuto economico americano. Inutile aggiungere – ha concluso il Presidente Pella – che qualora tali aiuti dovessero essere ripresi, il loro controvalore in lire verrebbe impiegato dal Governo Italiano in nuovi stanziamenti straordinarii per la difesa. Di tutto ciò il Generale Gruenther ha preso buona nota, ripetendo di essere convinto che la collaborazione italiana al NATO sarà, come per il passato, piena ed efficace(3).
40 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 19, fasc. P.A., Parte generale 3.
40 2 L’appunto è autografo. Magistrati lo trasmise a Quaroni con L. segreta 20/2979 del 6 settembre aggiungendo: «[…] il Generale Gruenther, al momento della sua partenza da Roma, ebbe a fare alla stampa, in accordo con noi, alcune dichiarazioni che sono risultate molto utili nell’attuale momento, avendo egli chiaramente affermato essere l’Italia una “chiave di volta” della posizione difensiva Atlantica».
40 3 Gruenther riferì ad Eisenhower circa questa prima visita ufficiale a Roma con L. del 5 settembre (FRUS, 1952-1954, Eastern Europe; Soviet Union; Eastern Mediterranean, vol. VIII, D. 98), trasmettendo al Presidente anche un messaggio privato da parte di Pella.
L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
R. 15298/1990. Bad Godesberg, 10 settembre 1953.
Oggetto: Perplessità tedesche sugli orientamenti della politica estera italiana.
Signor Ministro,
avevo già avuto occasione di riferire sulle perplessità con cui la Germania aveva seguito l’evoluzione politica in Italia successiva alle elezioni di giugno. Una prima eco ne era stata data dalla stampa; ma né Adenauer né questi circoli politici ne erano andati esenti. La ragione fondamentale ne andava con tutta probabilità ricercata nella sensazione che la situazione creatasi in Italia imponesse una revisione se non della sostanza almeno dei tempi dell’attuazione del nostro programma di politica estera; ma già da tempo e precisamente dal momento in cui non presentammo la CED alla ratifica parlamentare nella passata legislatura, si era diffusa l’impressione che il fervore con cui fino allora ci si [sic] eravamo battuti per un rapido processo di integrazione europea fosse un po’ calato di tono. Qualche ricorrente anche se isolata voce di stampa su un preteso allineamento della nostra politica sulla politica francese in tema di ratifica lo indicava. I chiarimenti che non avevo mancato di fornire all’Auswärtiges Amt sui motivi (legge elettorale e ostruzionismo) che ci avevano impedito di portare in Parlamento il trattato CED avevano potuto tranquillizzare, ma forse non del tutto convincere. Ciò spiega come molti possano aver visto nelle elezioni italiane il momento critico per la maturazione di un nuovo indirizzo che da tempo si andava lentamente preparando.
Il fatto che questo stato d’animo si sia espresso solo in forme assai prudenti e velate, era dovuto da un lato alla fedeltà ed ai sentimenti di amicizia che Adenauer nutre per il nostro Paese, e dall’altro alla convinzione che nonostante qualche possibile aggiornamento tattico i nostri obiettivi di fondo non potevano nel nostro stesso interesse cambiare; ma esso esiste.
Ne ho avuto ancora recentemente una conferma, quando illustrando all’Auswärtiges Amt il discorso parlamentare di V.E. sulla politica estera italiana(2)e sottolineando l’esplicito richiamo in esso contenuto agli obiettivi dell’integrazione europea, ho potuto notare un vero e proprio senso di sollievo nei miei interlocutori. Un’altra conferma è stata la premura con cui Adenauer ha, all’indomani del suo trionfo elettorale, citato a due riprese nella stessa giornata, prima in una conferenza stampa e poi in un pubblico discorso, il telegramma di felicitazioni di V.E. che sottolineava il proposito italiano di continuare nella politica di integrazione europea.
L’esito delle elezioni tedesche, si pensa a Bonn, ha ora aperto la crisi finale e risolutiva della politica di integrazione europea in cui ciascuno dovrà chiaramente assumere le proprie responsabilità e in cui si dovrà decidere se il riacquisto da parte della Germania di una piena parità giuridica e militare, che sanzioni il suo rientro in Europa e il suo prestigio morale uscito fortificato dalle elezioni, dovrà avvenire nel quadro di un’associazione degli stati europei oppure in altra forma. Se finora cioè le esitazioni dell’Occidente potevano trovare qualche giustificazione nella esistenza nella stessa Germania di correnti contrarie alla CED, la cui forza doveva essere messa al vaglio, esse diventerebbero ora inammissibili dopo che tali correnti sono state nettamente sconfitte, eliminando ogni residuo ostacolo giuridico e politico alla ratifica tedesca; l’Occidente, si ritiene, dovrebbe oramai definitivamente convincersi della bontà di una politica che ha trovato fra i tedeschi una così piena adesione. Tutto ciò vale in primo luogo per la Francia, ma subito dopo anche per noi. Adenauer nel suo discorso di lunedì ha chiaramente detto che l’esito delle elezioni tedesche non mancherà di influenzare l’Italia e la Francia; e questo riavvicinamento del nostro atteggiamento in tema di ratifica a quello francese che fino a qualche tempo addietro non sarebbe stato concepibile in Germania è da solo assai eloquente; e ancora piesplicito è stato uno degli uomini politici più in vista nella Germania occidentale, Kaisen, socialdemocratico ma di notorie simpatie governative, che ha confermato che tocca ora alla Francia e all’Italia dare una risposta alla questione della riunificazione europea. E non si dimentichi che per moltissimi tedeschi che hanno votato per Adenauer, Europa vuol dire anche una migliore prospettiva di riunificazione nazionale; il concetto di Adenauer, che la formazione di un’Europa unita è la condizione e la premessa della riunificazione tedesca, avallato come è stato dagli americani, a torto o a ragione ha fatto breccia. Riprendere vigorosamente quel processo di integrazione europea che da qualche tempo segna il passo è quindi oltre a tutto qui in Germania anche un atto di buona volontà nei confronti della riunificazione tedesca. E questa buona volontà è qui il metro di cui ci si serve per giudicare della sincerità delle intenzioni dell’Occidente nei confronti della Germania e costituirà il migliore cemento della integrazione della Germania a tale Occidente.
Non sono in grado di giudicare se l’attuale situazione politica interna italiana consenta un’immediata ratifica della CED o si intenda prima superare attraverso nuove elezioni l’attuale periodo di transizione. Internazionalmente non credo che una nostra pronta ratifica potrebbe compromettere nulla. Anche per l’ipotesi Parigi non dovesse mai ratificare, una sollecita ratifica italiana non credo ci alienerebbe la Francia, ma ci gioverebbe assai certamente in Germania e negli Stati Uniti. E l’ipotesi che Parigi non ratifichi sembra ora assai meno probabile che per il passato: l’Alto Commissario francese François-Poncet mi diceva recentemente la sua impressione che le elezioni tedesche non potranno fare a meno di spingere Bidault alla ratifica della CED, nella convinzione che altrimenti il riarmo tedesco avverrebbe sotto altra forma. Una pronta ratifica da parte italiana potrebbe poi scongiurare la possibilità, assai remota, è vero, ma non per questo completamente da scartarsi nel calcolo degli imponderabili, che l’Italia, per una ragione o per un’altra sia pure solo di carattere tecnico, finisca per ratificare per ultima e, dato l’abbinamento tra CED e accordi di Parigi, diventi la sola causa di un ritardo nella entrata in vigore del nuovo statuto internazionale della Germania.
Ad ogni modo ciò che mi premeva di sottolineare è che, se nonostante le aspettative qui create dall’esito delle elezioni, la battuta d’arresto alla nostra ratifica dovesse protrarsi di molto, quel capitale di credito e larga simpatia che la nostra attiva politica di avanguardia per una riunificazione europea ci aveva fruttato qui in Germania potrebbe essere seriamente compromesso. E, in vista della posizione che la Germania assumerà nell’Europa di domani e per le prevenzioni ed i sospetti che si potrebbero allora risvegliare sulla coerenza in genere della nostra politica estera, non mi sembra questa una eventualità che possa essere affrontata a cuore leggero.
Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.
[Franco Babuscio Rizzo]
41 1 DGAP, Uff. IV, Versamento Ced, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.
41 2 Per le dichiarazioni programmatiche di Pella sulla politica estera si vedano Atti Parlamentari, Senato, legislatura II, Discussioni, seduta del 19 agosto 1953, p. 358 e Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 24 agosto 1953, p. 640.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
R. segreto riservato 1114. Parigi, 11 settembre 1953.
Oggetto: Comunità di difesa.
Signor Ministro,
in un momento in cui, a causa delle ferie, la maggior parte dei parlamentari sono assenti, non è possibile dare, sulle sorti delle comunità di difesa, dopo le elezioni tedesche, che delle prime impressioni che mi riservo di completare, e correggere, non appena questo mi sarà possibile.
Indiscutibilmente tutta la manovra neutralista e anti-europeista, la manovra Mendès-France, in una parola, era centrata su di un successo, anche relativo, dei socialisti alle elezioni tedesche.
La manovra, come ho cercato di spiegare in dettaglio in un mio precedente rapporto, era infatti complessa: evoluzione in senso centro-sinistro sociale all’interno, distensione colla Russia, a spese di una Germania più o meno neutralizzata, e quindi niente più Europa e poco più Patto atlantico. Ai fini di questa manovra le elezioni italiane erano state proprio quello che ci voleva: progresso delle sinistre, indebolimento, sia pure relativo, delle personalità e dei partiti che erano stati antesignani del movimento europeo: e si era detto: «Vedete, l’Europa va a sinistra, lo schieramento attuale francese è già sorpassato, bisogna orientarsi a sinistra e all’interno e all’estero». Se la stessa cosa fosse accaduta in Germania, l’affare era fatto. Il successo di Adenauer ha rimesso tutto in discussione.
Bidault è attualmente assente, in cura a Vichy: mi è stato riferito per da fonte sicura, che egli ha già dichiarato che si prepara a sottoporre alle Camere il Trattato CED in dicembre od in gennaio. Quanto egli sia effettivamente deciso a farlo, non lo saprei dire: da qui alla fine dell’anno ci sono vari mesi: siccome per appena avutesi le notizie sulle elezioni tedesche, Schuman ha subito rialzato il capo, e si è cominciato a parlare dell’opportunità che torni al Quai d’Orsay, così questa sua presa di posizione potrebbe essere anche una parata. Laniel, nel suo ultimo discorso, è stato molto nuancé: ha parlato della necessità di un’intesa colla Germania nel quadro europeo, della necessità della partecipazione coll’Inghilterra... e dell’accordo con l’URSS.
Come ho già spiegato altra volta, per quello che concerne tutta la politica estera francese, atlantica e soprattutto europea, esiste in Parlamento un gruppo decisamente pro, ed un gruppo decisamente contro; quest’ultimo, molto meglio organizzato ed attivo. Ma sono tutti e due dei gruppi ristretti. In mezzo, e sono quelli che decidono, una massa di deputati, che, in buona fede, cercano di raccapezzarsi, per sapere dove è la verità, dove è l’interesse della Francia. Questi esitanti, in tutti i partiti (perché tutti i partiti sono ben lontani dall’essere unanimi sulla questione), dopo la morte di Stalin erano stati in gran parte guadagnati, o per lo meno scossi, dalle teorie distensioniste. Adesso è probabile che essi siano di nuovo influenzati in senso contrario, anche se, in fondo, piuttosto a malincuore.
Nel complesso, già l’ultima nota sovietica(2)aveva un po’ deluso: non quelli che vogliono credere, ad ogni costo, alle buone intenzioni sovietiche: parlo sempre della brava gente, in buona fede. Adesso, naturalmente, mi sembra, queste illusioni sono ancora diminuite. Si dice qui, da molte parti: se le elezioni in Germania Occidentale hanno dato risultati, delle elezioni libere in Germania Orientale daranno dei risultati anche peggiori per i russi: evidentemente, in queste condizioni, è ben difficile che i russi consentano all’unificazione – anche sotto qualche forma di neutralizzazione – della Germania.
A quanto mi è dato giudicare, l’atteggiamento degli antieuropeisti mi sembra orientarsi a guadagnare tempo. E per guadagnar tempo, è stato immediatamente ricordato che tutti i governi francesi si sono impegnati a far precedere la ratifica da un accordo per la Sarre: ed è questo un punto su cui tutti, in Francia, sono d’accordo. Il disaccordo comincia sulla maniera con cui risolvere la questione della Sarre perché qui, nazionalisti e neutralisti convergono nel diffidare della soluzione dell’europeizzazione. Grandval, Ambasciatore di Francia in Sarre, magna pars di tutta l’attuale politica sarrese, e ardente antieuropeo – come per caso anche lui è ebreo – ha già annunciato che, in caso che questa soluzione dovesse prevalere, darebbe con fracasso le dimissioni. Tutti questi ambienti sperano che Adenauer, forte della sua vittoria, dell’appoggio dell’America e della posizione di primo ordine che gli dà la sua brillante vittoria all’interno, sia adesso meno ragionevole di quanto lo era quando ne trattava con Schuman. Gli europeisti invece sperano che adesso Adenaeur sia in grado di far accettare ai suoi all’interno delle soluzioni ardite – leggi una europeizzazione – che permettano di conservare qualche legame economico con la Francia.
Ma con tutte queste riserve e queste fluttuazioni, mi pare di poter dire che, di massima, le personalità politiche più responsabili sono decise o rassegnate ad affrontare verso la fine dell’anno, e cioè dopo le elezioni alla Presidenza della Repubblica, il dibattito sulla CED.
Resta un’incognita, e seria: la risposta russa alla nota occidentale: se la Russia accetta la riunione a quattro, sia pure con tutte le riserve della terra, la CED rientrerà in sordina, perché le speranze di distensione riprenderanno il sopravvento. Ripeto, a questo riguardo, che qui tutti, neutralisti o no, sono convinti che un accordo con la Russia sulla Germania, e quindi per l’Europa, è incompatibile con l’integrazione della Germania, unificata o non unificata, all’Europa occidentale: e debbo aggiungere che non si può nemmeno logicamente dar loro torto.
Personalmente dubito molto — per non dire di più— che la Russia abbia veramente l’intenzione di arrivare, in Europa ad una distensione: dubito ancora di più che la Russia abbia, od abbia mai avuto l’intenzione di abbandonare la Germania Orientale. Ma è evidente che se si ritiene che esista un interesse per la Russia ad arrivare ad un accordo sulle questioni europee, questo interesse non può essereche quello di evitare la congiunzione fra l’esercito tedesco e la produzione americana. Può essere che la Russia si convinca che non può far niente per evitare che la Germania Occidentale si integri alla comunità europea ed atlantica e si rassegni, di fatto, allo statu quo: ma che essa voglia regalare al mondo occidentale per niente anche la Germania Orientale, questo non è proprio nelle abitudini russe. Di regali gratuiti, in genere, nel mondo, non ci siamo che noi a farne. Tuttavia, una conferenza a quattro farebbe rinverdire, qui, molte speranze e la CED dovrebbe rassegnarsi ad attendere il suo fallimento.
Riassumendo, se le elezioni tedesche fossero andate male per Adenauer, la CED sarebbe stata morta e sepolta: la vittoria di Adenauer le ha ridato una nuova speranza: la situazione perè ancora troppo fluida perché si possa parlare di certezza, di vittoria dell’idea europea, ecc.
Restano ancora due grosse incognite: i negoziati per la Sarre e gli eventuali negoziati a Quattro: o, se si vuole essere piesatti, le ripercussioni che sulla fluida e nevrastenica opinione parlamentare francese questi due fattori possono avere.
Resta adesso a vedere quale dovrebbe essere in queste circostanze il nostro atteggiamento.
Noi abbiamo apertamente sollevato, in questo momento la questione di Trieste ed è evidente che, adesso, «il paletnon pupiessere rimesso nell’armadio». Questa situazione richiede che qualsiasi mossa della nostra politica estera sia subordinata ad essa.
In materia di integrazione europea, noi abbiamo, da un paio di anni a questa parte, tenuto a fare i primi della classe. Questo puaverci giovato in altri campi: non mi sembra perche abbia molto influito sull’atteggiamento americano per la questione di Trieste.
Se noi ritorniamo di nuovo alle nostre posizioni di punta in materia di integrazione europea, questo ci porta, fatalmente, a metterci, di nuovo ed ancora di più in linea con la Germania: questo significa anche metterci contro la Francia.
Credo di non aver mai fatto illusioni a V.E. su quello che effettivamente la Francia poteva fare per noi nella questione di Trieste. Né voglio dire che possiamo dichiararci intieramente soddisfatti della posizione presa dalla Francia nello stadio attuale: possiamo solo dire che il Governo francese è stato il meno insensibile alle nostre esigenze.
Ora, qui in Francia, i più indifferenti alla questione triestina, per noi, sono appunto gli europeisti: ed è logico, in un certo senso che sia così: la gente che ha superato la concezione nazionale è anche la meno suscettibile di capire, in altri, delle reazioni nazionali. Quando si parla con Bidault della questione di Trieste, qualche reazione in nostro favore la si ha: quando se ne parla con Schuman, ne abbiamo sopratutto il consiglio evangelico di sacrificare certi interessi limitati ad un ideale pivasto.
La sola posizione conseguente e logica che noi possiamo prendere, adesso, in materia di CED è che noi siamo, come prima, favorevoli all’idea europea ed alle sue realizzazioni, ma che prima, sia i nostri compagni europei, sia quelli che, dal di fuori, la appoggiano o la spingono, ci debbono dar prova di una piena, comprensiva solidarietà nella questione che pici sta a cuore, la questione di Trieste.
Ossia una posizione assai simile a quella assunta dalla Francia per la questione della Sarre.
A questo punto ritengo mio dovere di aggiungere una considerazione non piacevole, ma realistica. Gli americani vogliono la CED, ma la vogliono sopratutto per potere dar mano al riarmo della Germania: ora se alla CED mancano la Francia
o la Germania, la CED non esiste più Ma, purtroppo, lo stesso non si può dire dell’Italia: non che sia indifferente che noi ci siamo o no, ma si pufare benissimo la CED senza di noi, lasciando ad un tempo ulteriore una nostra eventuale adesione.
Perché la nostra minaccia abbia tutto il suo peso, e possa veramente, più che indurre, obbligare a prendere seriamente in esame il nostro caso, bisogna che la Francia si solidarizzi con noi: che la Francia arrivi a dire che, se non c’entriamo noi, anche lei non entrerà nella CED.
Ancora agli inizi dell’anno scorso, questo sarebbe andato da sé: adesso le cose sono differenti. Il nostro zelo europeistico ci ha messo contro in Francia tutti quelli, e sono molti, che non lo condividono: il riavvicinamento italo-tedesco, dovuto al comune zelo europeo, ha fatto il resto.
Se Adenauer pue vuole assumere l’atteggiamento rovesciato, ossia dichiarare lui che se non c’entra l’Italia, la Germania non entra nella CED, allora possiamo scegliere tra Francia e Germania: si tratterebbe in questo caso solo di vedere chi dei due è più influente a Washington ed a Londra, perché non bisogna che dimentichiamo il peso considerevole che ha Londra in tutta la questione di Trieste: è questa una scelta nella quale non mi sento di pronunciarmi.
Se vogliamo invece tentare il giuoco con la Francia, abbiamo già il precedente del Patto Atlantico che sta a dimostrarci quali risultati esso pudare. Si tratta di vedere se ci possiamo riuscire. Non è facile: non credo, francamente, sia possibile arrivare realmente fino alle ultime conseguenze: ma ottenere all’inizio una dichiarazione francese di solidarietà, in modo da impressionare gli americani, questo lo si potrebbe almeno tentare. Dopo tutto abbiamo comunque qualche mese di tempo davanti a noi e in qualche mese di tempo si potrebbe anche cercare di ristabilire la situazione.
Quello che mi sembra impossibile – V.E. mi correggerà se sbaglio – dal punto di vista interno italiano, è ritornare sic et simpliciter a fare la pattuglia di punta della CED senza condizioni, sperando solo in buone disposizioni americane generiche come conseguenza della nostra politica europea: oggi, mi pare, come che vadano a finire le cose, tanto il merito del successo della CED andrebbe ad Adenauer, per il fatto che è stato capace di vincere le sue elezioni, molto più che a noi.
Mi sembra quindi che siamo obbligati a dire che, se non proprio la soluzione, almeno una manifestazione di solidarietà inequivoca con noi per la questione di Trieste, è condizione «sine qua non» perché il Governo italiano presenti alla Camera la ratifica del Trattato CED e perché la Camera italiana lo possa ratificare.
Ma, ripeto, e pregherei V.E. di voler dare tutta la sua considerazione a questo mio timore, anche queste nostre riserve potrebbero non essere del tutto sufficienti, ai fini di politica italiana che noi perseguiamo: potrebbero cioè indispettire solo gli americani, senza obbligarli a venire incontro alle nostre condizioni. Perché possiamo essere sicuri del risultato, bisogna che qualcuno si solidarizzi con noi: e questo qualcuno non può essereche la Francia o la Germania. Ottenere che si solidarizzino tutti e due, facendo diventare la questione di Trieste una questione europea, francamente, mi sembra un po’ difficile.
Se V.E. è d’accordo con me su questa mia interpretazione della situazione e qualora venisse nella conclusione che ci conviene di tentare di solidarizzare la Francia alle nostre tesi, mi riserverei di esporle, nelle sue linee generali, un piano di azione. Perché evidentemente, se qualche cosa posso fare qui, bisogna anche che V.E. faccia, per conto suo, un certo numero di cose.
La prego di credere, signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.
[Pietro Quaroni]
42 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19 bis, fasc. 2 CED.
42 2 Del 15 agosto: vedi FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 264.
IL SEGRETARIO DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELLA CECA, CALMES, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
L. CM/S (53)5656. Lussemburgo, 11 settembre 1953.
Monsieur le Président,
Comme suite à ma lettre du 8 septembre 1953(2) j’ai l’honneur de vous transmettre, ci-joint, le texte de la lettre que vient de m’adresser M. le Chancelier Adenauer et concernant le projet de réponse(3)que vous envisagez de donner à la Communication adressée le 24 juin par MM. Spaak et von Brentano au Président en exercice du Conseil de Ministres(4).
D’autre part, les Ministres des Affaires Étrangères de France et de Luxembourg m’ont fait savoir qu’ils approuvaient votre projet de réponse.
La présidence du Conseil de Ministres étant assurée depuis le 7 septembre par leMinistre des Affaires Étrangères du Luxembourg, j’ai communiqué les divers éléments du dossier à M. Bech(5).
Je vous prie de croire, Monsieur le Président, à l’expression de ma très haute considération.
Christian Calmes
Allegato
IL CANCELLIERE E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, ADENAUER, AL SEGRETARIO DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELLA CECA, CALMES
L. CM/S (53)215. Bonn, 1° settembre 1953.
Monsieur,
Je vous remercie d’avoir bien voulu me transmettre le projet de réponse que Monsieur le Président Pella envisage de donner à la communication que Messieurs Spaak et von Brentano avaient adressée, le 24 juin, au Président en exercice du Conseil de Ministres.
Je me rallie entièrement aux idées contenues dans le projet; toutefois, je souhaiterais que la décision prise sur ce point (page 15 du procès-verbal) au cours de la conférence de Baden-Baden, apparaisse plus clairement. Il semble que la rédaction suivante, que je vous prie de transmettre à titre de suggestion et qui reprend dans une large mesure les termes du projet du Président Pella, tiendrait compte de cette remarque:
«Comme suite à ma lettre du 9 juillet 1953, j’ai l’honneur de vous informer qu’au cours de la récente réunion de Baden-Baden, les six Ministres de la Communauté Européenne n’ont pas manqué d’apporter leur attention à la communication que vous-même et le Président de la Commission Constitutionnelle m’aviez adressée le 24 juin 1953.
En conséquence ils ont convenu de suggérer à leurs suppléants de prendre contact pendant la Conférence, au moment opportun, avec les membres de la Commission Constitutionnelle.
Cette décision est conforme à la communication que Monsieur le Président Bidault vous a adressée en date du 14 mai 1953, et dans laquelle il était dit que les gouvernements étaient d’accord pour recourir à la haute compétence des principaux auteurs du Projet de Traité.
Il est en effet, de notre intérêt commun, pour aboutir à la réalisation de la grande tache que nous nous sommes assignée de mettre à profit leur expérience, leur talent, ainsi que l’idéal élevé qui les anime».
Veuillez agréer etc.
[Konrad Adenauer]
43 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.
43 2 L. CM/S (53) 5568 dell’8 settembre da Lussemburgo (ASUE, CM1/CPE, 32.8), con la quale Calmes aveva informato Pella di aver inviato ai cinque Ministri degli Esteri della Comunità Europea il progetto di risposta alla L. del 24 giugno, e di aver ricevuto l’approvazione dello stesso da parte dei ministri degli Affari Esteri dei Paesi Bassi il 2 settembre, del Belgio l’8 settembre.
43 3 Vedi D. 38.
43 4 Vedi D. 15, nota 2.
43 5 Bech, in qualità di presidente in esercizio del Consiglio dei Ministri della CECA, rispose a Spaak, con L. CM/S (53) CIR 10 del 19 settembre da Lussemburgo (ritrasmessa da Calmes a Pella con L. CM/S (53) 3827 pari data) nei seguenti termini:« Monsieur le Président, comme suite à la lettre qui vous a été adressée le 9 juillet 1953, j’ai l’honneur de vous informer qu’au cours de la réunion qu’ils ont tenue à Baden-Baden les 7 et 8 ao derniers, les six Ministres de la Communauté Européenne n’ont pas manqué d’examiner la communication que vous-même et Monsieur le Président de la Commission Constitutionnelle de l’Assemblée ad “hoc” avez bien voulu adresser au Président du Conseil de Ministres de la Communauté le 24 juin 1953. Ils ont convenu de suggérer à leurs suppléants de prendre contact, au moment opportun, pendant la Conférence qui doit s’ouvrir à Rome le 22 septembre, avec les membres de la Commission Constitutionnelle. Cette décision a été prise en conformité de la lettre par laquelle Monsieur le Président Bidault vous avait fait connaître, le 24 mai 1953, que les six Gouvernements étaient d’accord pour recourir à la haute compétence des principaux auteurs du Projet de Traité. Il est, en effet, de notre intérêt commun, pour aboutir à la réalisation de la grande tache que nous nous sommes assignée, de mettre à profit leur expérience, leur talent, ainsi que l’idéal élevé qui les anime. […]» (ASUE, CM1/CPE, 32.8).
L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
R. 15904/2081. Bad Godesberg, 18 settembre 1953.
Oggetto: Reazioni tedesche alla connessione tra la ratifica CED e Trieste. Pericoli di un parallelismo tra Trieste e Saar.
Signor Ministro,
avevo con il mio rapporto in data 10 corrente(2)riferito sulle aspettative che qui, specie dopo l’esito delle elezioni del 6 settembre si riponevano in una sollecita ratifica italiana della CED e sulla particolare sensibilità con cui l’opinione pubblica tedesca reagiva ad ogni notizia al riguardo proveniente dall’Italia. Vi è da chiedersi ora se, dopo il discorso di Vostra Eccellenza di domenica scorsa(3), con cui sono stati chiariti i legami di connessione esistenti fra la nostra politica europeistica e atlantica ed il soddisfacimento dei nostri legittimi interessi nazionali per Trieste, possiamo contare che il Governo e l’opinione pubblica tedesca mostrino la necessaria comprensione per quell’eventuale battuta d’arresto della nostra politica di integrazione europea che, nella peggiore delle ipotesi, la carenza di un fattivo concorso alleato per la soluzione della questione triestina dovesse rendere necessaria.
Vi sono due elementi che possono giocare negativamente nei nostri confronti. Il primo concerne strettamente l’interesse tedesco ad affrettare i tempi della ratifica e quindi del risollevamento della Germania; l’altro concerne un preteso parallelismo fra il problema della Saar e quello di Trieste.
Per quanto concerne il primo punto è vero che Adenauer si è sempre reso conto dell’interesse collettivo, e quindi anche tedesco, a che il problema di Trieste sia risolto in un senso per noi soddisfacente, ed ha capito l’intempestività di certe iniziative alleate che potevano portare, come pare sia stato il caso, ad un irrigidimento dell’atteggiamento di Tito; il passo da lui compiuto personalmente e di propria iniziativa presso Eisenhower tramite Conant in occasione della visita della Missione militare jugoslava in America – e su cui ebbi a riferire con tel. 138(4) – lo prova. Ma il Governo tedesco ha un interesse così preminente ad una ratifica della CED che non può non rammaricarsi di tutto ciò che puconfigurarsi come una pietra d’inciampo sulla strada dell’integrazione europea.
Per quanto riguarda il secondo di tali elementi, occorre ricordare che la Germania si è sempre dimostrata insofferente alle pregiudiziali poste a Parigi per la ratifica della CED e che ha accettato una politica di contrattazione sulla Saar solo come uno scotto che bisognava pagare per liquidare il passivo della guerra. Tutta la politica tedesca è stata ispirata all’intento di far sì che la questione saarese venisse accantonata, attraverso una formula che permettesse di riprenderla in un momento successivo. Se dovesse mettere profonde radici tale idea di un parallelismo fra la questione della Saar e la questione di Trieste, c’è fatalmente da attendersi che non sarebbe salutato [sic] con entusiasmo una pregiudiziale che sorga ora improvvisamente da un’altra parte proprio nel momento in cui tutto lo sforzo della politica diplomatica tedesca si concentra su un tentativo di sfruttare la congiuntura favorevole prodotta dalle ultime elezioni tedesche e di superare le resistenze francesi. Questo parallelismo che i tedeschi hanno l’aria di vedere, se fino ad ora ci aveva assicurato, pur nel quadro della neutralità politica osservata dalla Germania sulla questione triestina, una certa maggiore dose di simpatia morale per la nostra tesi, più in futuro quindi giocare contro di noi. Mi permetto attirare particolarmente l’attenzione di
V.E. su questo punto poiché non si tratta di un pregiudizio limitato alla sola Germania: il recente editoriale de «Le Monde»circa l’opportunità che tanto la questione triestina, che quella saarese siano risolte su un piano europeo lo indica.
Mi riservo naturalmente di svolgere un’opportuna azione per chiarire che un parallelismo del genere non esiste. Per quanto concerne il Governo tedesco in particolare, non mancherdi fare presente in questi ambienti governativi che, mentre per la questione saarese il tempo lavora per la Germania (o almeno così qui si ritiene), il contrario è vero per quanto concerne il rapporto tra l’Italia e Trieste. Quanto poi all’opinione pubblica e agli ambienti politici cercherdi far capire come, nel mentre la Francia e la Germania faranno parte di una futura Europa integrata e quindi la ratifica della CED e la Comunità politica europea contengono già in sé le premesse di una soluzione futura della questione saarese, ciò nonvale per i rapporti italo-jugoslavi per Trieste.
Non so quanta presa potranno avere tutte queste argomentazioni nel caso che fossimo effettivamente costretti a rallentare il processo delle ratifiche. Occorre però non nascondersi che non mancheranno qui reazioni negative nei nostri confronti.
Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.
[Franco Babuscio Rizzo]
44 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946 - 1956, b. 25, fasc. P.G. CED.
44 2 Vedi D. 41.
44 3 Del 13 settembre in Campidoglio con cui Pella, rispondendo ad un discorso di Tito del 6 settembre a Okroglica (San Basso), richiedente l’internalizzazione di Trieste, l’annessione alla Jugoslavia del retroterra triestino e il ritiro delle truppe italiane ai confini, proponeva un plebiscito nelle due zone del TLT, , le cui modalità sarebbero state stabilite d’intesa tra i rappresentanti dei tre Governi alleati, gli italiani e gli jugoslavi, lasciando intendere che l’Italia avrebbe subordinato la partecipazione alla CED alla soluzione del problema triestino. Testo del discorso ne «La Nuova Stampa» del 14-15 settembre 1953, n. 218, pp. 1, 7. Si veda anche ISPI, Annuario di politica Internazionale, 1953, pp. 70-72.
44 4 T. s.n.d. 138 del 2 settembre, con cui Babuscio Rizzo riferiva: «[…] Mi ha detto Blankenhorn che gli ultimi avvenimenti sono stati seguiti dal Governo Federale con particolare interesse, e, piena comprensione del nostro punto di vista. Anzi, mi ha aggiunto che Adenauer si è preoccupato, anche per il passato, per i suoi riflessi non solo italiani ma europei, dell’aggravamento del dissidio italo-jugoslavo ed in occasione della visita della missione militare jugoslava negli Stati Uniti aveva, anzi, di sua iniziativa pregato Conant di porre a parte Eisenhower di queste sue preoccupazioni e della opportunità, a suo giudizio, di evitare pubblicità su tale visita, conservando un atteggiamento il più discreto possibile […]» (DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946 -1956, b. 25, fasc. P.G. CED).
L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. 15902(2). Bad Godesberg, 18 settembre 1953.
Carissimo Massimo,
ti ringrazio vivamente della tua lettera del 10 corrente e ho già informato Bossi Pucci che la nostra lettera cumulativa sul regalo Campello ti era giunta in ritardo.
Con l’occasione rispondo anche alla parte della tua lettera concernente sia la prossima conferenza di Roma alla quale, secondo quanto ho notato ieri l’altro in Hallstein, i tedeschi si preparano con rinnovato fervore, sia Trieste.
Sulla speranza che da parte nostra, pur con le note riserve, si prosegua nell’opera iniziata, credo sia sufficiente ricordare, come tu stesso hai fatto, la soddisfazione con la quale il Cancelliere federale ha voluto rilevare il telegramma del Presidente Pella non in una ma in due riprese nella stessa giornata.
Sul presente stato d’animo perdei tedeschi verso di noi, anzi sulle perplessità sorte in essi, spero tu abbia già letto il mio rapporto n. 15298/1990 del 10 c.m.(3). Desidero pure richiamare la tua attenzione e ti sarei grato se ne vorrai fare parola anche a Zoppi e a Giulio, sul telespresso urgente che parte con questo corriere, con il quale segnalo la decisione con cui Adenauer si prepara ad affrontare tutte le divergenze franco-tedesche in vista di spianare la via a Parigi alla ratifica della CED. Ho anche segnalato la sensazione generale, di cui ho avuto conferma anche attraverso una recente conversazione avuta con il Sottosegretario americano all’Aria [sic] Douglas, che ci si stia avviando al punto di crisi a Washington per la politica americana verso l’Europa. Da più parti mi è stato indicato come tempo limite il rientro del congresso a gennaio; in altri termini – cosa che appare importante per noi – dietro Adenauer, in questa sua premura verso le ratifiche, vi è l’America e personalmente Eisenhower. Non ho mai perduto di vista, nel segnalare il mio pensiero ancora una volta sulla necessità di una pronta ratifica della CED in Italia, l’esistenza dell’angoscioso problema di Trieste. Spero molto invece che proprio tali esigenze politiche, anche personali, di Eisenhower, di non vedere crollare all’ultimo momento tutta la costruzione europea su cui ha puntato (e Bérard mi ha detto che nell’opinione dei francesi crollerebbe in tal caso anche la Comunità Carbone-Acciaio) costringeranno ora il Governo americano ad agire per venire incontro all’Italia sul problema di Trieste. Da mezze parole udite qui nel campo alleato (non americano) la tendenza sarebbe quella di tenere il problema «in ghiaccio» corrispondente in questo caso alla parola «naftalina» da te adoperata.
L’atteggiamento di Tito che ha oramai dichiarato di considerare un atto di aggressione la cessione all’Italia della Zona A può qualcuno mi ha pure detto e te ne riferisco, risolversi in un elemento favorevole alla ricerca di una soluzione. Pil’opposizione di Tito diventa aspra verso la cessione all’Italia della Zona A, e piquesto sentimento si impadronisce dell’opinione pubblica italiana, pipotrebbe essere accolta con sollievo in Italia una soluzione parziale del problema triestino in nostro favore, a condizione ben inteso che sia psicologicamente e opportunamente preceduta da una campagna di stampa che illustri la minaccia pesante sulla Zona A. Gli alleati potrebbero perfino, sul rifiuto di Tito ad una conferenza a cinque sul plebiscito, arrivare ad una conferenza a quattro solo con l’Italia, intesa ad esaminare i limiti di applicazione pratica, che sono ovvi, dell’accordo tripartito. Inutile dire come cipotrebbe assumere il carattere di un grosso successo italiano.
Non sono queste certo cose nuove per voi, ma ho ugualmente voluto riferirtene sommariamente, per il caso che possa esservi utile conoscere tutte le idee circolanti fuori su di noi.
Voglio aggiungerti anche un altro dettaglio della mia conversazione con Douglas che è in procinto di rientrare a Washington. Gli ho detto che, oltre ai ben noti motivi, vi è per noi a rendere piacuto il problema di Trieste, anche la sfiducia dell’Italia nella fedeltà di Tito all’Occidente. Tanto da potersi forse ritenere che se il problema della Zona B fosse un problema italo-tedesco, francese, svizzero o altro, che vi fosse in altri termini la sicurezza che i territori contestati rimangano in Occidente, la tensione in Italia sarebbe certamente meno grave. Il timore di vedere passare alcuni territori italiani al di là della cortina di ferro, renderebbe il problema piangoscioso per il Governo e per il popolo italiano e questo ragionamento mi è parso impressionarlo profondamente.
Per quanto concerne Adenauer, questi si è sempre reso conto dell’interesse collettivo, e quindi anche tedesco, a vedere risolto il problema di Trieste, e prova ne sia il passo da lui personalmente compiuto, e di sua iniziativa, presso gli americani al momento dell’invito della Missione militare jugoslava negli Stati Uniti. Ciononostante è bene non nascondersi che un nostro ritardo alla ratifica della CED, sia pure per motivi così legittimi come quello di Trieste, se non fosse che per le dannose ripercussioni che avrebbe sulla Germania, accentuerebbe lo stato d’animo già da me descritto nel rapporto della scorsa settimana. Purtroppo Adenauer è ora assente da Bonn per due settimane, e Hallstein è in partenza per Roma. Parlerdi Trieste, senza chiedere nulla per a Blankenhorn il quale, trovandosi in contatto quotidiano con Adenauer, reagirà probabilmente verso gli americani nel senso da me desiderato.
Mi riservo di riferire ancora a Roma su tutto questo e intanto abbiti con mille scuse per la chiacchierata i più cari saluti.
Tuo aff.
Franco
45 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.
45 2 Il documento reca il timbro del Segretario generale e la sigla di Zoppi.
45 3 Vedi D. 41.
DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)(Roma, Villa Aldobrandini, 22 settembre 1953)(2)
Messieurs les Délégués,
Je suis heureux de vous souhaiter, au nom du Gouvernement italien, la bienvenue à Rome et de vous exprimer, en ma qualité de Ministre des Affaires Étrangères d’Italie, ma profonde satisfaction de voir s’ouvrir dans notre Capitale les travaux d’une Conférence qui revêt une aussi haute signification.
Suivant le chemin qui vous a été tracé par les six Ministres des Affaires Étrangères, au cours de leurs nombreuses réunions, vous allez entamer un travail d’importance capitale pour les buts que nous poursuivons. Et votre responsabilité est aussi grande que cette importance. Permettez-moi, Messieurs, de souhaiter que l’esprit qui a marqué les réunions des Ministres – depuis celle du Luxembourg, en septembre de l’année dernière, qui ouvrit le chemin vers la constitution de la Communauté Politique Européenne, jusqu’à celle qui a eu lieu récemment à Baden Baden(3)– de souhaiter disje, que cet esprit de collaboration inspirée par l’idéal européen et de compréhension mutuelle, conduise votre travail à des résultats positifs.
Un témoignage efficace de cet esprit a été donné par les Parlementaires de nos six Pays, qui, en élaborant, suivant la tâche qui leur avait été confiée par les Ministres, leur projet de Traité, ont apporté une contribution si importante aux buts que nous poursuivons.
C’est maintenant aux représentants des Gouvernements, à leur œuvre éclairée d’hommes politiques et d’experts, d’atteindre rapidement une nouvelle étape dans la voie de l’unité européenne.
Je sais, Messieurs, combien votre tâche se présente délicate et difficile. L’action politique de ceux à qui incombe la responsabilité du gouvernement doit être méditée avec une attention et une prudence toutes spéciales; d’autant plus lorsque leurs décisions ont trait à des éléments et à des questions d’importance vitale. Cela est particulièrement vrai en ce qui concerne le domaine dont vous vous occupez. A chaque pays – et naturellement aussi à l’Italie – se posent des problèmes particuliers; chaque Pays compte des situations politiques, des états de l’opinion publique différents. Et chaque Gouvernement doit, évidemment, s’en faire l’interprète. Mais la force de l’idée d’union européenne s’affirme chaque jour davantage; et tous ceux qui ont à cœur la destinée de notre continent et de notre civilisation considèrent chaque jour davantage cette idée comme le seul moyen susceptible de permettre à notre continent, à notre civilisation, d’apporter une contribution nouvelle et de plus en plus décisive à la paix et à la prospérité mondiales.
Pour ce qui est de l’Italie, nous poursuivons notre tâche dans la conviction d’avoir donné un apport d’importance fondamentale dans ce domaine. L’action européenne de mon illustre prédécesseur, M. De Gasperi, a eu un retentissement tellement vaste et a abouti à des résultats tellement satisfaisants, que je n’hésiterai pas à la définir comme un élément déterminant de l’essor pris par l’idée européenne et des progrès qu’elle a accomplis, ces dernières années. Et je suis heureux que cette réunion et ces travaux en soient un nouveau témoignage.
Mon Gouvernement se propose de poursuivre cette œuvre, avec une foi dans la cause européenne que les événements récents ont renouvelée et dans la ferme conviction de servir – au nom des idéaux communs – la cause de la paix et de la liberté, ainsi que l’aspiration de nos peuples vers une vie meilleure. Ces fermes sentiments qui nous animent aujourd’hui comme par le passé, nous font espérer que l’œuvre que vous allez entreprendre – couronnement logique et nécessaire de celle qui a déjà été accomplie dans les domaines du charbon et de l’acier, et de la défense – trouvera son chemin entièrement libéré des problèmes dont la nature délicate pourrait retarder la réalisation de buts si ardemment souhaités et si pressants.
Je suis s que ce chemin sera parcouru sans retard et sans entraves et que les six Gouvernements et les six Pays que vous représentez seront bient à même de donner au monde l’exemple d’une Communauté dans laquelle les intérêts légitimes et les buts particuliers de chaque pays, se coordonnant, trouveront leur entière satisfaction.
C’est animé par ces sentiments et par cette confiance que le Gouvernement italien vous accueille à Rome et vous souhaite un travail fécond et éclairé.
46 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. CPE Consiglio d’Europa.
46 2 Il documento reca il visto del Segretario generale e la sigla Zoppi. Il testo del discorso per l’inaugurazione della Conferenza dei Sostituti dei Ministri degli Esteri della Comunità Europea, fu trasmesso da Cancellario d’Alena con Telespr. 8/6132 del 25 settembre a tutte le rappresentanze diplomatiche e consolari e per conoscenza alle Direzioni generali della Cooperazione Internazionale e degli Affari Politici.
46 3 Vedi D. 34.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
R. segreto riservato 1163. Parigi, 22 settembre 1953.
Signor Ministro,
credo che sia venuto il momento di cercare di fare il punto sullo stato attuale della questione di Trieste, prima di decidere quale possa essere la nostra azione ulteriore.
La prima constatazione spiacevole, che bisogna fare, è che noi in questo affare siamo terribilmente isolati. Non possiamo effettivamente contare sull’appoggio di nessuno: l’atteggiamento francese, in particolare, è di comprensione infastidita. Le simpatie sono piuttosto dalla parte di Tito.
Analizzare il perché sarebbe lungo: limitiamoci a constatare un fatto, che sarebbe purtroppo difficile negare.
Dato questo, non è su simpatie attive per la nostra causa che possiamo contare, ma solo sulle nostre possibilità di pressione. Quali sono?
Qualche forma di broncio atlantico.
Mi permetto di dire senz’altro che questo può esseremolto pericoloso anche dal punto di vista interno. Per un complesso di ragioni noi siamo arrivati a dire che, sul piano interno e sociale, si potrebbero trovare delle possibilità di accordo con i socialisti di Nenni, e perfino quasi con i comunisti e che è solo la politica estera che ci divide. Se allora, sia pure per ragioni di tattica, ci troviamo a mollare sulla politica atlantica, cosa ne diventa della situazione politica all’interno?
Questo non avrebbe molta importanza se potessimo supporre che, al primo nostro accenno di broncio, gli americani mollerebbero. Ma esempi anche recenti di altri paesi ci hanno insegnato che le reazioni americane sono lentissime. Saremmo quindi portati, visto che una cosa tira l’altra, ad una serie di atti successivi che potrebbero costituire un rovesciamento completo della nostra politica e che non sarebbe poi facile di rirovesciare, il giorno in cui gli americani si fossero decisi a cambiare la loro politica.
Non è poi affatto detto, inoltre, che una simile evoluzione della nostra politica non sarebbe interpretata dagli americani, e non solo dagli americani, come, diciamo pure la parola, un ricatto di politica estera. Benevoli come lo si è generalmente nei nostri riguardi, essa sarebbe interpretata all’estero – e probabilmente anche all’interno – come uno slittamento della nostra politica verso un fronte popolare, conseguenza del risultato delle nostre elezioni; ed è molto probabile che, invece di cercare di riguadagnarci, ci si dichiarerebbe puramente e semplicemente perduti: non è affatto detto, quindi, che il risultato di questa politica, invece di essere il passaggio a noi della Zona B, non potrebbe essere il passaggio di Trieste e della Zona A a Tito.
Una simile politica potrebbe essere tentata, senza gli inconvenienti di cui sopra, e con qualche speranza di successo, solo se essa fosse accompagnata sul campo interno da una posizione, non solo dura, ma aggressiva e repressiva contro i comunisti. Si sente il Governo italiano di farla?
Nel deprecato ventennio ci è accaduto più diuna volta di imbarcarci in una politica di reazioni che ci sembrava a prima vista attraente ed utile e che poi ci ha, per la logica interna delle cose, trascinati a situazioni catastrofiche. Vediamo di non dimenticare la lezione.
Molto meno pericolosa ed impegnativa, sia all’interno che all’estero, è evidentemente una presa di posizione che dica: l’Italia non ratificherà la CED fino a che non sarà stata risolta la questione di Trieste.
Come ho già detto a V.E.(2), mi sembra del resto che, al momento, non abbiamo altra scelta. Non vedo come, dal punto di vista interno, noi potremmo giustificare un ritorno alla vecchia posizione europeista, senza condizioni: si tratta solo di misura. Cipuò esserenoioso, ma non vedo come possiamo intieramente evitarlo.
Il mio dubbio è un altro. Basta questo? Non ne sono del tutto sicuro. Ammettiamo, per ipotesi, che la CED sia ratificata dai Parlamenti francese e tedesco, e che le questioni fra i due paesi siano risolte – non è molto probabile, ma non si puescluderlo a priori. Siamo proprio sicuri che tutti si fermerebbero aspettando noi? Per essere veramente sicuri che il bluff riesca, bisognerebbe che la Francia o la Germania si solidarizzassero a fondo con noi. È del resto un argomento che ho già sottoposto a V.E.
Aggiungo poi: perché questo nostro ricatto riesca, bisogna che la CED realmente si faccia, il che anche non è affatto sicuro. Ho detto che le chances in Francia sono migliorate, ma siccome le chances, qualche settimana addietro, erano nulle, miglioramento non vuol dire risoluzione. La questione della Sarre, la conferenza a quattro, l’agitazione sociale interna, possono rimettere tutto nel frigidaire.
Ed infine, anche perché questo mezzo di pressione giuochi, ci vorranno parecchi e parecchi mesi.
Le cose si sono svolte tanto rapidamente che non è stato possibile per me chiarire le vere intenzioni del Governo italiano. Suppongo che noi ci siamo decisi al colpo di forza per dire al mondo: non si pucontinuare ad ignorare la questione. Ho l’impressione che vorremmo qualche decisione subito, e dovrei supporre che, in fondo, lo scopo almeno primo del Governo italiano è quello di essere messo in possesso della Zona A. Se è esatto — e prego V.E. di correggermi se mi sono sbagliato – piuttosto che esaminare quello che si pufare a lunga scadenza, bisogna vedere cosa ci puservire subito. Ottenere il possesso della Zona A poteva essere facile quando, molti mesi addietro, gli inglesi ce lo hanno proposto e noi non ci siamo decisi. Era possibile, anche se un po’ meno facile, al momento delle proposte Dulles: ma anche allora non ci siamo decisi.
Adesso è certamente molto meno facile.
L’obiezione americana, di cui mi parlava Bidault, che questa soluzione non è consigliabile perché, di fatto, aumenterebbe invece che diminuire il dissidio italo-jugoslavo non è nuova: già la prima volta che ne parlarono a Brosio, gli inglesi, se ben ricordo, gli accennarono a questa difficoltà. Ed è un’obiezione del resto che ha la sua logica. Se ci si fanno delle «concessioni», è soltanto perché noi acconsentiamo a collaborare militarmente con la Jugoslavia: perché farcele se, dopo, le relazioni saranno ancora peggiori? E perché rinunciare ad un pegno che oggi è un mezzo di allettamento, ma che domani potrebbe anche diventare un mezzo di pressione su di noi?
Anche ammettendo quindi, da parte dei nostri alleati, le migliori disposizioni, e visto che non siamo disposti a dichiarare – almeno lo penso – che una volta datoci il possesso della Zona A – che equivale poi ad una spartizione di fatto – staremo tranquilli, collaboreremo con la Jugoslavia, salvo – e questo non c’è nessun bisogno di dirlo, tanto va da sé – a riaprire la questione in caso di scompiglio generale, bisogna che si trovi un pretesto passabile perché questo possa essere fatto.
Era per questo che alla riunione dell’aprile scorso, ci siamo trovati tutti d’accordo, i tre Ambasciatori all’estero piZoppi e Del Balzo, per consigliare al Governo italiano di accettare la proposta fattaci da Dulles, senza troppe e troppo importanti variazioni, Se gli jugoslavi dicevano di sì, era una soluzione, non certo ideale – nessuna soluzione, nemmeno quella dell’intiero TLT, è ideale – ma almeno accettabile. Ma insistemmo sulla riserva o condizione che, Tito rifiutando, ci si sarebbe messi in possesso della Zona A; in pigli alleati dovevano non riconoscere eventuali annessioni da parte di Tito della Zona B.
Adesso, mi sembra, il massimo che possiamo sperare è cercare di ritornare a quella soluzione.
Ed è per questo che mi permetto di chiedere a V.E. di prendere in seria considerazione la proposta da me fatta a Bidault a titolo personale. Ossia, di fronte ad un rifiuto di Tito di accettare il plebiscito(3)– su questo mi pare non ci sia dubbio – dire che noi siamo disposti ad accettare una conferenza a cinque per una soluzione definitiva, a condizione che le basi di questa soluzione definitiva siano le proposte già fatte da Dulles a Belgrado e da questo rifiutate. E con la condizione che, se Tito rifiuta comunque la conferenza o si rifiuta ad un componimento ragionevole sulle basi anzidette, gli alleati risponderanno mettendoci in possesso della Zona A.
Vorrei non essere frainteso: non mi sembra molto facile che la proposta sia integralmente accettata: ci si dirà probabilmente che, col nostro gesto, abbiamo peggiorato l’atmosfera, che abbiamo irrigidito Tito, etc. etc. Il minimo che ci si domanderà sarà di dare un po’ di tempo per calmare le acque: potremmo cercare di fissare un termine, ma non di pochi giorni. È comunque il massimo che possiamo sperare di ottenere, ed è una posizione che, mi sembra, si regge.
Se vogliamo invece tentare, o speriamo di potere ottenere di più allora bisogna che ci rassegniamo di nuovo a rimandare la soluzione e di molto: e allora bisognerà studiare seriamente la nostra linea di azione e misurarne tutte le conseguenze. Ed anche in questo caso, resta sempre il problema se gli avvenimenti futuri giuocheranno in nostro favore, o contro. Fin qui non si può certo dire che il tempo abbia giuocato in nostro favore.
Voglia gradire, signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio
[Pietro Quaroni]
47 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, b. 19 bis, fasc. 3.
47 2 Vedi D. 42.
47 3 Vedi D. 44, nota 3.
COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA, CON L’AMBASCIATRICE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA A ROMA, BOOTHE LUCE(1)(Roma, 23 settembre 1953)
Promemoria(2).
L’Ambasciatore Luce ritiene che possa interessare al Presidente Pella sapere cosa sia stato detto e quali utili conclusioni siano state raggiunte alla recente riunione di Lussemburgo di Capi Missione americani in Europa(3).
Erano presenti gli Ambasciatori a Londra, Parigi, Bruxelles, L’Aja, Mosca nonché l’Alto Commissario a Bonn, gli Ambasciatori Bruce e Hughes (NATO) ed il Sottosegretario Merchant. L’agenda della discussione riguardava particolarmente la CED e la CPE. Esaminata la situazione con particolare riguardo alle situazioni ed agli atteggiamenti dei singoli paesi presso cui sono accreditati, gli Ambasciatori sono giunti ad alcune concordi conclusioni circa la CED stessa e le sue possibilità di ratifica. Esse si possono così riassumere: Considerazioni positive. Il successo del Piano Schuman, l’aumento raggiunto dalle forze armate occidentali; i risultati delle recenti elezioni tedesche hanno creato un clima nel quale è possibile giungere ad una ratifica entro l’inverno. È nell’interesse comune di tutte le nazioni NATO, e particolarmente della Francia, di vedere la Germania incorporata al più presto possibile nella CED. L’Alto Commissario Conant ha illustrato con particolare ammirazione la ripresa industriale della Germania, sottolineando come, da visibili segni, essa potrà diventare in breve una potenza militare di prima grandezza. Con la sua azione personale a favore della CED e della CPE, con la buona volontà da lui mostrata di addivenire ad una soluzione concordata per la Sarre, Adenauer ha in realtà offerto, «su di un piatto d’argento» alla Francia, il leadership europeo: è da sperare vivamente che la Francia sappia approfittare dell’occasione per incorporare e ad un tempo contenere la potenza tedesca in una cornice di collaborazione europea. Aspetti negativi: sono state riconosciute le difficoltà parlamentari che ostacolano in qualche paese, e particolarmente in Francia e in Italia, una ratifica della CED. L’Ambasciatore Dillon (Parigi) si è mostrato convinto del personale entusiasmo di Laniel e di Bidault nei riguardi della CED: ma ha espresso l’opinione che se essi non faranno uno sforzo per manifestare e difendere pubblicamente questo loro pensiero non mancheranno di sorgere dubbi nell’opinione pubblica americana circa i loro reali intenti. Per parte sua l’Ambasciatore Luce nell’illustrare la situazione italiana, non ha avuto alcun bisogno di convincere gli intervenuti circa l’intenzioni del Presidente Pella, essendo tutti al corrente delle sue passate prese di posizioni al riguardo. Naturalmente ella non ha mancato di illustrare il problema di Trieste, sottolineandone l’importanza quale fattore limitativo della ratifica della CED da parte italiana. L’Ambasciatore Aldrich (Londra) ha riferito di aver trovato Churchill sempre più favorevole alla CED quale soluzione del problema europeo e strumento percontenere la Germania. È prevedibile una sua pubblica presa di posizione in tal senso.
Passando ad esaminare la situazione da un altro punto di vista, un elemento fondamentale, illustrato dal Sottosegretario Merchant, e che la Signora Luce ritiene dover segnalare alla attenzione del Presidente Pella, è che l’opinione pubblica americana mostra una crescente impazienza nei riguardi della NATO e della CED. Non è tanto che in America si dia eccessiva importanza ad alcune revisioni che sono state apportate da parte di paesi europei ai rispettivi sforzi finanziari e militari per la difesa: ciò che invece preoccupa è l’apparente evoluzione del pensiero politico in vari paesi, indicante un diminuito interesse a quei problemi. Il Sottosegretario Merchant considera indispensabile un progresso della CED: se non si giungesse ad una effettiva azione (action) in questo campo prima della prossima riunione del Congresso, nel gennaio 1954, è da prevedere che si manifesteranno in quella sede serie reazioni contro la NATO e la CED, basate sul concetto che l’Europa non è seriamente interessata alla propria difesa. Ne potrebbero conseguire forti decurtazioni negli stanziamenti relativi, ed il serio pericolo di un dibattito pubblico su qualche soluzione alternativa. Dipartimento di stato, Casa Bianca e Pentagono sono convinti che la creazione della CED è un interesse non solo europeo ma anche americano; essi sono decisamente contrari ad una diversa soluzione la quale si ispirasse ai soli e immediati interessi degli Stati Uniti. L’Ambasciatore Bruce ha insistito a questo riguardo sul concetto che pur essendo la ratifica della CED l’obbiettivo immediato, non si deve dimenticare che l’obbiettivo finale è rappresentato dalla CPE, nel quadro della quale tutti i problemi europei dovrebbero trovare armonica e pacifica soluzione.
Concludendo, l’Ambasciatore Luce sottolinea come l’opinione unanime raggiunta a Lussemburgo si riassume nella speranza che il Presidente Laniel e il Presidente Pella riescano a far trionfare i loro convincimenti ed i loro sforzi. Questo il quadro generale della discussione. Nel corso della medesima sono stati esaminati anche altri problemi, ad esempio nel campo economico e dell’emigrazione. L’Ambasciatore Bolhen ha anche riferito interessanti aspetti della situazione e della politica sovietica (egli ha affermato tra l’altro che la personalità estera che gode in Russia del maggior prestigio è l’On. Togliatti). Per questi aspetti l’Ambasciatore Luce si ripromette di riferire piparticolarmente all’Ambasciatore Zoppi(4).
Il Presidente Pella ringrazia la Signora Luce delle informazioni fornitegli le quali sono l’espressione della cordialità e della comprensione alle quali l’Ambasciatore d’America ha informato il suo atteggiamento.
Il nostro sentimento nei riguardi della collaborazione europea e atlantica – egli prosegue – è lo stesso oggi di quello di ieri, di due anni fa, di cinque anni fa. Speriamo di trovare la strada della realizzazione di questi nostri intendimenti libera di qualche grosso sasso che attualmente ostruisce il cammino. Egli pensa con attenzione ed apprensione alla prossima settimana quando verrà in discussione il bilancio degli Esteri e spera che il dibattito si svolgerà nelle condizioni che consentano di procedere sulla strada che noi desideriamo. Tanto lui che il Governo sono animati dalla migliore buona volontà. Se per Trieste vi è la possibilità di una buona notizia, sarebbe bene che essa giungesse prima del dibattito.
AMBASCIATORE LUCE: Il Dipartimento di Stato sta lavorando sui dettagli di una proposta. Il ritardo è facilmente spiegabile con la necessità di un coordinamento con gli inglesi, i quali si mostrano d’accordo in linea di massima (in general agreement) con Washington. Non vi è nessun indizio che possa far ritenere che il ritardo non sia naturale e normale. Crede che vi potranno essere notizie tra giorni.
PRESIDENTE PELLA: Se le notizie sono buone, spera di averle presto. Se sono cattive, scongiura la Signora Luce di fare il possibile perché esse diventino buone. Sarebbe difficile discutere il bilancio degli Esteri sotto l’ombra di cattive notizie.
48 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 5, fasc. 66.
48 2 Trasmesso da Grillo con Telespr. segreto 1681/c. Segr. Pol. del 30 settembre alle Ambasciate a Londra, Parigi e Washington e per conoscenza alle Direzioni Generali della Cooperazione Internazionale e degli Affari Politici, Ufficio IV.
48 3 Del 18-19 settembre 1953: vedi FRUS, 1952–1954, Western Europe and Canada, vol. VI, Part 1, D. 304 [l’intervento dell’ambasciatrice Luce sulle linee di politica estera del Governo Pella e la questione di Trieste si svolse nella sessione pomeridiana del 18 settembre (pp. 673, 674)]; FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 1, D. 430 e FRUS, 1952-1954, Eastern Europe; Soviet Union; Eastern Mediterranean, vol. VIII, D. 43.
48 4 Vedi D. 49.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
Appunto(2). Roma, 24 settembre 1953.
Ho avuto un’ora di conversazione con l’Ambasciatore Luce venuta a continuare con me il colloquio interrotto ieri con V.E.(3).
Mi ha ripetuto che il risultato delle elezioni tedesche apriva ormai la via alla realizzazione della CED in quanto il popolo germanico aveva, votando in gran parte maggioranza per Adenauer, dato la netta sensazione di non voler aderire a progetti di unificazione che avessero come base la neutralizzazione del Paese. Venivano così a cadere da un lato gli scopi cui la politica sovietica aveva ispirato la sua azione in questi ultimi mesi e le tendenze neutraliste coltivate in certe correnti d’opinione francese. Cisarebbe apparso anche pichiaramente quando, sempre in conseguenza delle elezioni nella Germania Occidentale, l’URSS rettificherà la sua linea politica come l’Ambasciatore Bohlen si attende. Bohlen pensa tra l’altro che l’URSS lascerà cadere l’invito alla Conferenza di Lugano. Quanto precede costituirebbe la principale constatazione fatta dagli Ambasciatori americani in Europa riuniti a Lussemburgo. La Signora Luce mi ha anche sottolineato la ripresa delle conversazioni franco-tedesche per la Sarre come elemento destinato ad aprire la via alla ratifica del Trattato CED da parte della Francia, e mi ha detto di sperare che si possa arrivare a togliere di mezzo l’impedimento triestino per facilitare la ratifica italiana.
Ho ripetuto alla Signora Luce che il Governo italiano si mantiene fedele alla linea europeista cui l’Italia ha sempre dato determinante e convinto impulso. Essa conosceva per altro come me la situazione parlamentare e lo stato d’animo della opinione pubblica italiana. Ho cercato di mettere in evidenza come la Sarre sia una questione aperta fra due paesi entrambi membri della CED e della Comunità Europea, mentre la questione di Trieste è una questione aperta – e in modo acuto – con un paese al di fuori della CED. Non si potevano quindi fare paragoni anche perché la Francia è in possesso della Sarre e la Germania sa che il tempo vi lavora per essa, mentre il territorio di Trieste è in parte in mano jugoslava e in parte in mano anglo-americana e il tempo lavora contro di noi. Le ho anche ricordato che se per la Germania, che non ha forze armate, la CED rappresenta il modo di riaverle, per l’Italia la CED rappresenta la perdita della sovranità sulle forze armate esistenti. Questa rinuncia può esserevolentieri consentita al fine di un ideale superiore, ma può esseregiudicata pericolosa sin che abbiamo una questione aperta con un così turbolento vicino.
L’Ambasciatore Luce ha convenuto e mi ha assicurato che il suo Governo sta adoperandosi per eliminare questo impedimento. A tale proposito le ho detto che da parte americana, dopo le prime pressanti informazioni, precedenti al discorso di V.E.(4), secondo cui era imminente una comunicazione sulle idee del Dipartimento di Stato, non ci era stato pidetto niente. In più mentre nel darci quelle informazioni ci era stato detto che erano segretissime e che non ne dovevamo accennare né agli inglesi, né ai francesi, ci è poi risultato che erano in corso consultazioni a Tre. L’impressione che abbiamo, anche per notizie fornite dai nostri Ambasciatori a Londra e Parigi, inducono a ritenere che, passato il momento di spavento per l’improvvisa crisi determinata dalle prese di posizione jugoslave e dalla nostra pronta reazione, la questione si stia arenando, nelle secche del Foreign Office e nell’illusione che si possa ancora attendere. Le ho ricordato quanto detto da V.E. nel Suo discorso al Campidoglio sulla prorogabilità di una decisione. Perdurando la situazione attuale non solo non si migliora l’atmosfera, ma si accentua la tensione. La Signora Luce mi ha risposto che se ne rendeva conto e che per questo continuava a raccomandare al Dipartimento di Stato di risolvere il problema. Le ho aggiunto che se ci si ostina a ricercare una soluzione preventivamente concordata con Tito non si arriverà a capo di nulla perché il discorso di San Basso(4)deve essere preso alla lettera e deve essere chiaro che Tito non accederà, spontaneamente ad alcun compromesso che sia accettabile per noi. Le ho poi chiesto se avesse informazioni sull’esito delle conversazioni militari di Washington con gli jugoslavi: ci avevano promesso notizie, ma sinora non ne erano pervenute. Mi ha risposto di non avere ricevuto ufficialmente alcuna notizia. A Bonn aveva pervisto il Gen. Handy. Questi le aveva detto che agli jugoslavi era stato fatto chiaramente intendere che ogni intesa militare non avrebbe valore se non appoggiata all’Italia e gli jugoslavi, mentre avevano convenuto in tale apprezzamento, ne avevano tratto pretesto per non impegnarsi a fondo. Converrà controllare queste notizie chiedendo a Washington, Parigi e Londra che ci informino ufficialmente secondo le promesse fatteci.
Alla fine del colloquio siamo venuti a parlare della Conferenza attualmente in corso a Roma per la Comunità europea. Le ho accennato al comportamento – per nulla di punta – della Delegazione germanica e alla interpretazione da noi data a tale cauto atteggiamento che ci pare dovuto, da un lato alla necessità di non irritare i francesi (molto prudenti sempre in fatto di unità europea) nel momento in cui stanno per aprirsi le conversazioni per la Sarre, e dall’altro alla impossibilità in cui si trova la Germania di sostituirsi all’Italia nella posizione di «leader» della politica di unione europea in quanto ciò nonfarebbe che allarmare i francesi.
49 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.
49 2 Trasmesso da De Rege con Telespr. segreto 1680/c. Segr. Pol. del 30 settembre alle Ambasciate a Londra, Parigi e Washington e alle Direzioni Generali degli Affari Politici, Ufficio I e della Cooperazione Internazionale.
49 3 Vedi D. 48.
49 4 Vedi D. 44, nota 3.
IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. segreta 20/123(2). Parigi, 24 settembre 1953.
Caro Ministro,
Alphand, che si dimostra sostanzialmente ottimista circa l’esito della battaglia parlamentare sulla CED all’Assemblea Nazionale francese (pur senza dissimularsi che vi saranno certamente difficoltà grosse), ha confidato all’On. Lombardo ed a me che da parte francese si sta seriamente considerando l’opportunità di proporre ai sei governi la redazione di un documento di carattere politico, che contenga l’offerta di una qualche forma di accordo con l’Unione Sovietica (tipo patto di non aggressione), secondo le linee accennate dal Cancelliere Adenauer in diverse occasioni e indicate anche nel recente discorso di Spaak a Strasburgo(3).
Per quanto i termini precisi di una simile iniziativa non siano ancora concretati (non è infatti chiaro – fra l’altro – se contraenti dell’eventuale accordo dovrebbero essere i sei Paesi o la Comunità), dovrebbe trattarsi di una proposta unilaterale e non, in alcun caso, di una condizione per l’entrata in vigore della Comunità. Non si dovrebbe quindi aspettare la risposta russa ma soltanto aprire una porta.
Indipendentemente dagli eventuali successivi sviluppi, un simile gesto sarebbe destinato a fornire una dimostrazione che la CED non ha scopi aggressivi, sottolineando il concetto che l’Europa deve costruirsi non contro l’Unione Sovietica ma perché l’unione continentale rappresenta una necessità storica e la soluzione di problemi che esistono indipendentemente dalla minaccia militare sovietica.
Pare che i francesi pensassero già a qualcosa di simile da parecchi mesi ma che non ne avessero mai fatto parola per timore di reazioni negative tedesche. Le dichiarazioni pre-elettorali del Cancelliere avrebbero ora fatto cadere tale preoccupazione.
Quello che si vuole qui è che, comunque, l’iniziativa non parta dai tedeschi ma che il merito di essa possa essere attribuito alla Francia, alla quale sta a cuore tanto quanto alla Russia di non veder rinascere il militarismo prussiano e che quindi non sarebbe fonte sospetta.
Alphand ha aggiunto di aver già parlato della cosa a Bidault e che questi sarebbe pienamente consenziente.
Egli ha altresì raccomandato la massima discrezione su quanto ci ha detto perché non sono stati ancora interpellati gli americani. Civerrebbe fatto soltanto nel momento che potesse venir giudicato psicologicamente più appropriato, dato che evidentemente l’approccio presenterebbe carattere di particolare delicatezza.
Ho voluto, d’accordo con l’On. Lombardo, informarti subito di quanto sopra, sia pure a titolo preliminare, perché sarebbe interessante che la questione venisse fin da ora esaminata costà affinché potessimo essere pronti a prendere posizione a tempo opportuno. Naturalmente ti sarparticolarmente grato di ogni indicazione orientativa che potrai poi fornirmi – per nostra norma di linguaggio e di atteggiamento – sul pensiero di Palazzo Chigi.
Con devoti e affettuosi saluti
tuo
Giorgio Bombassei
50 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.
50 2 Il documento reca il timbro del Segretario generale e la sigla Zoppi.
50 3 Vedi D. 53.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
Appunto riservatissimo 21/3134(2). Roma, 26 settembre 1953.
Oggetto: Conferenza dei Sostituti dei Sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea (Roma - Villa Aldobrandini).
Sono trascorsi cinque giorni dall’apertura, a Villa Aldobrandini, della Conferenza dei Sostituti, ed appare possibile e lecito dare un primo sguardo d’insieme a
questi lavori e sopratutto all’impostazione che le singole Delegazioni hanno cercato di porre in rilievo nella loro azione per l’avviamento delle discussioni.
In linea di massima può affermarsi:
1) La Delegazione francese, alla cui testa si è trovato, per improvvise circostanze, costituite da polemiche verificatesi in seno al Governo di Parigi, l’Ambasciatore a Roma Fouques Duparc, è giunta alla Conferenza con istruzioni evidentemente restrittive ed è apparsa inspirare il suo atteggiamento ad estrema prudenza. La tesi francese è tuttora quella di accettare una Comunità che sia composta esclusivamente dalla CECA e dalla CED. Tale somma aritmetica di queste due Comunità già definite, dovrebbe essere completata dalla formazione di una Assemblea comune per ambedue e destinata, a norma delle decisioni di Baden Baden, ad esercitare il «controllo democratico» sugli organi esecutivi. In altre parole i Francesi si oppongono a che, in un modo o in un altro, sia dato ad una Autorità sopranazionale un potere tale da poter esercitare la propria azione – senza previi accordi consensuali tra i Governi – su settori ed in campi diversi da quelli che formano l’oggetto della CECA e della CED. Da ci sopratutto, l’opposizione francese, di fatto, ad entrare in pieno nel settore economico. Occorre peraggiungere che, in questi ultimissimi giorni, l’atteggiamento francese è apparso meno «resistente» forse anche a causa di interessanti evoluzioni di grossi partiti politici di Francia (e l’atteggiamento di Guy Mollet a Strasburgo ne è una prova) nei confronti dell’idea «europeista» e della ratifica della CED. Occorre, infine, aggiungere che la spiegazione data dai Francesi per giustificare il loro atteggiamento riservato e restrittivo, è che, qualora dovesse mettersi il campo a rumore intorno a nuove iniziative ed a eventuali allargamenti della sfera di azione della progettata Comunità Politica, le difficoltà parlamentari a Parigi per questa ratifica della CED diventerebbero ancora più gravi.
2) L’atteggiamento olandese è da tempo noto. Il Governo dell’Aja non intende giungere ad una Comunità Politica se prima non sia messa bene in chiaro la necessità di estendere l’attività di quella Comunità al settore economico, con la creazione di un mercato comune e di particolari accordi nel quadro finanziario. Qualora ciò nondovesse verificarsi, sarebbe meglio, dicono gli Olandesi, limitarsi puramente e semplicemente alla CECA ed alla CED. Come si vede gli Olandesi ed i Francesi, partendo da punti di vista diametralmente opposti, potrebbero finire per sostenere la stessa tesi: la limitazione, cioè, della Comunità alla CECA ed alla CED, con leggere modifiche di aggiustamento.
3) La tesi italiana – dato che noi, in sostanza, immaginiamo la CECA e la CED, non già quale un «fine» ma viceversa quale un «mezzo» per raggiungere quella struttura federale o confederale prevista ed indicata dall’art. 38 del Trattato CED – è sempre quella di sostenere la necessità del raggiungimento di una Comunità Politica atta ad esercitare le sue funzioni su altri settori, a cominciare da quelli della politica estera e dell’attività economica, con la formazione di organi dotati di sufficienti potere ed autorità e con la caratteristica della supernazionalità. Nelle attuali circostanze l’impostazione politica al nostro atteggiamento è stata data da V.E. nel discorso di apertura della Conferenza(3)allorché Ella ha messo in rilievo, come l’opera intrapresa dovrà trovare la sua strada interamente liberata da problemi, la cui delicata natura potrebbe ritardare la realizzazione degli scopi desiderati. Nel campo tecnico delle discussioni l’azione italiana è sempre – si ripete – inspirata alla necessità di facilitare il raggiungimento di decisioni comuni atte a permettere la creazione della Comunità Politica.
4) I tedeschi sono venuti a Roma dopo la grande vittoria elettorale del Cancelliere Adenauer. Ma essi, che sono guidati dal Sottosegretario Hallstein, vecchio e profondo conoscitore della questione, appaiono, almeno per ora, piuttosto prudenti e cercano di non premere eccessivamente in un senso o in un altro. Evidentemente i problemi politici in corso tra Bonn e Parigi, a cominciare da quello della Saar, consigliano un tale atteggiamento. La Germania, comunque, appare sempre propensa a vedere realizzata la progettata Comunità politica.
5) Il Belgio ed il Lussemburgo rappresentano una tendenza mediana che, per da qualche tempo a questa parte, appare doversi maggiormente avviare verso forme di una più grande integrazione europea. Su tutto ciò probabilmente, esercita la sua influenza l’evoluzione politica interna belga e la rinnovata attività europeista del Sig. Spaak, da taluni preconizzato quale non lontano candidato alla successione di Van Zeeland.
Nell’incrociarsi di queste tendenze, non è stato facile per il Presidente della Conferenza, Ministro lussemburghese Majerus, trovare una via per l’andamento dei lavori. Alla fine la Conferenza si è articolata in un Comitato direttivo ed in due Commissioni di lavoro, l’una per le questioni istituzionali e l’altra per il settore economico. Di ambedue l’Italia ha la presidenza nelle persone rispettivamente di Cavalletti e di Prato. L’attività, quindi, della nostra Delegazione è destinata ad assumere particolare rilievo.
Quanto ai lavori stessi occorre subito dire che l’orientamento generale della Conferenza è apparso quello di svolgere la propria attività in modo da giungere alla formazione di un rapporto generale e, per quanto possibile, completo da essere poi sottoposto al Consiglio dei Ministri che dovrà aver luogo il 20 ottobre all’Aja. In queste condizioni il «progetto di Statuto» compilato, come è noto, dalla Commissione Costituzionale dell’Assemblea ad Hoc, potrà avere soltanto il valore di un documento indicativo ma non si prevede una sua rielaborazione nel senso tecnico. Effettivamente le tendenze dei singoli Paesi sono tanto e tanto diverse da rendere veramente difficile la compilazione, fin da ora, di un vero e proprio progetto di Trattato articolato in capitoli.
Per ora sono stati affrontati i problemi istituzionali relativi al futuro Parlamento. E qui ha finito per prevalere la nostra tesi per cui base fondamentale per la creazione della Camera dei Popoli deve essere l’elezione dei Deputati con suffragio universale, diretto e segreto. Soltanto la Delegazione olandese mantiene, in argomento, le sue riserve, sostenendo la tesi della necessità di un «periodo provvisorio» limitato a non oltre tre anni, nel quale si avrebbe una Camera eletta a sistema indiretto, ossia dai Parlamenti nazionali, come avviene attualmente per il Consiglio d’Europa(4).
51 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. Consiglio d’Europa.
51 2 Sottoscrizione autografa. Indirizzato per conoscenza anche a Zoppi, Del Balzo e Corrias.
51 3 Vedi D. 46.
51 4 Per il seguito del resoconto della Conferenza vedi D. 55.
IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI,
AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. personale 580(2). Parigi, 26 settembre 1953.
Caro Ministro,
tu sai che ho sempre cercato di non peccare di eccessivo ottimismo nei confronti della ratifica francese del Trattato di Parigi, chiave di volta (a meno che le circostanze non conferiscano, in definitiva, alle nostre discussioni parlamentari questa funzione) della possibilità di veder realizzata a breve scadenza la integrazione militare europea, sempre così strettamente collegata anche con tutta la costruzione della piccola Europa.
Mi corre perciò particolare obbligo di segnalarti ora che un certo miglioramento nelle disposizioni francesi verso la CED si sta effettivamente verificando. I sintomi sono svariati e vanno dalle dichiarazioni degli uomini di governo (di cui l’ultima è quella odierna dello stesso Laniel, che ha confermato l’impegno di presentare il Trattato alla Camera dopo la realizzazione delle note condizioni sospensive) e dal rafforzarsi in seno al governo medesimo delle correnti europeiste (che anche in occasione della formulazione delle istruzioni per la Conferenza di Roma hanno finito per avere ragione della opposizione gollista) fino alla presa di posizione di Mollet a Strasburgo(3)e ad un mutato tono dei principali organi di stampa. Anche «Le Monde», pur seguitando la sua inveterata campagna contro la ratifica, è costretto ad ammettere che ormai la Francia sarà ben presto obbligata a prendere una posizione definitiva. La tesi estremista che Parigi dovrebbe opporsi ad ogni costo a qualsiasi forma di riarmo tedesco, minacciando anche di rompere l’alleanza atlantica, non sembra in realtà presa veramente sul serio, forse neppure da quelli che la propugnano. Il che significa che il giuoco delle alternative, o meglio della mancanza di alternative al di là del solito bivio CED o riarmo unilaterale della Germania, comincia veramente a serrarsi.
ciò nonvuol dire, naturalmente, che la ratifica marcerà «sur des roulettes» (ché sono ancora vive tutte le riserve e mobilitate tutte le correnti contrarie di cui ti ho pivolte parlato), ma soltanto che si principia ad intravedere una possibilità che venga raccolta, intorno al Trattato, una maggioranza di suffragi, sia pure di stretta misura. A questo fine l’atteggiamento dei socialisti era decisivo e le recenti dichiarazioni del Segretario Generale della SFIO (sebbene motivate anche, e direi sopratutto, da moventi di politica interna) fanno pensare che un’intesa possa essere raggiunta, magari attraverso una nuova crisi, nonostante vi sia un gruppetto che fa capo a Moch tuttavia trincerato in posizioni rigidamente contrarie.
C’è sempre, è vero, la questione della Saar posta come condizione sine qua non (l’unica delle pregiudiziali di veramente difficile soluzione e credo che su questo punto nessun governo francese potrebbe ormai retrocedere) ma molti prevedono, o sperano, che Adenauer, oggi che è più forteed ha davanti a sé alcuni anni di sicuro governo, possa mostrarsi più conciliante.
Come si spiega questa evoluzione in senso meno scoraggiante nei riguardi della CED?
Forse rammenterai che, quando ho cercato in precedenti lettere di identificare i motivi essenziali per i quali andavano qui moltiplicandosi opposizioni e incertezze, ho creduto di poterli scorgere principalmente nella evoluzione della situazione internazionale in un senso che la rendeva dissimile assai da quella che aveva spinto i francesi a lanciare il piano Pleven, che in realtà contrastava con tanti loro sentimenti e tante loro tradizioni.
Le illusioni sulla possibilità di una distensione immediata e completa, basate pisu un irrazionale «wishful thinking» che non su elementi obiettivi, avevano, dopo la morte di Stalin, rinfocolato tutte le forze opposte al Trattato, che traevano nuovo vigore dalla speranza che il raggiungimento di un modus vivendi fra occidente ed oriente togliesse alla questione del riarmo tedesco il suo carattere di urgente attualità. Meglio, anzi, se la Germania avesse dovuto fare le spese della pacificazione.
Si contava, da parte di parecchi ambienti, che gli stessi tedeschi avrebbero scelto, per raggiungere l’obiettivo della loro unificazione, la via delle intese con l’Unione Sovietica e che avrebbero dato precedenza assoluta al loro problema centrale, anche a costo di porre in sordina quello dell’inserimento definitivo del loro paese nel sistema occidentale. Invece i tedeschi hanno mostrato chiaramente di preferire un’altra strada e di non credere in sostanza alla distensione in funzione della debolezza europea ma di confidare nella potenzialità del sistema atlantico per arrivare ai loro fini, possibilmente attraverso un pacifico negoziato ma che partisse dalla precostituzione di una posizione di forza.
Così i termini stessi del dialogo Est-Ovest sono stati profondamente spostati.
L’atteggiamento della Russia, d’altro canto, non è stato quello che sarebbe sembrato logico di prevedere e l’offensiva di pace del Cremlino ha subìto, almeno apparentemente, una larga battuta di arresto. I sintomi da cui tutti cercano di giudicare le vere intenzioni dei dirigenti di Mosca sono diventati contraddittori. Sembra che quei signori abbiano scelto, anziché di immergere i loro rapporti con l’occidente in un bagno tiepido e prolungato, di sottoporli ad una specie di doccia scozzese. Ci porterebbe troppo lontano il tentare l’indagine delle ragioni di questi tentennamenti e dello strano svolgersi della sinusoide della politica sovietica e probabilmente non se ne verrebbe a capo, tante sono le incognite della situazione. Ma, comunque sia, le sopraggiunte difficoltà e dilazioni hanno scoraggiato e deluso, nelle sue picare speranze, questa opinione pubblica, la quale ha dovuto, suo malgrado, rendersi conto che, anche nella favorevole ipotesi che distensione ci debba essere, essa non potrà arrivare che gradualmente ad essere raggiunta non già per tocco di bacchetta magica ma attraverso lunghe tribolazioni e difficili schermaglie e complicati equilibri. E, allora, si è ricominciato a pensare in termini di inevitabilità di un riarmo della Germania.
Non voglio affermare con questo che l’ipoteca della distensione sia del tutto e definitivamente tolta ma soltanto rilevare che grava sullo stato d’animo dei francesi meno di tre mesi fa. Personalmente, anzi, sono sempre convinto che i russi potrebbero, se fossero disposti a pagare un prezzo adeguato e manovrassero abilmente, bloccare ancora la CED: ma vorranno, potranno o sapranno farlo?
La entità della vittoria di Adenauer ha indubbiamente creato qui grande sensazione e non è sfuggito il suo significato europeista, con tutte le implicazioni che cicomporta: è stato considerato significativo – per parlare di un dettaglio – 1’episodio dell’inalberamento della bandiera europea sul Palazzo della Cancelleria a Bonn non appena noti i risultati delle urne. Il trionfo della politica del Cancelliere ha, da un lato, infuso nuovo coraggio a tutti coloro che, pur convinti assertori dell’idea europea, avevano finora molte ragioni di temere che la CED fosse destinata a scomparire ancor prima di essere nata, mentre, dall’altro, ha ricordato ai francesi la necessità ormai ineluttabile di affrontare il problema dell’integrazione della Germania nell’Europa e quindi del suo riarmo, davanti al pericolo, divenuto ora piattuale, di una intesa diretta tra Bonn e Washington. Si sente infatti che l’esito delle elezioni ha stabilito un nuovo e pistretto legame fra le due capitali. In realtà il responso della consultazione popolare tedesca ha avuto anche il significato di un successo americano ed ha posto la Repubblica Federale in specialissimo odore di santità.
L’esito della missione Blank negli Stati Uniti e il materiale americano accantonato oltreoceano per le future divisioni tedesche sono i primi segni concreti della possibilità di un simile accordo e della reciproca volontà di collaborazione, nonché un chiaro avvertimento che il riarmo della Germania di Adenauer non puaspettare indefinitamente. E dietro alla politica del vecchio uomo di Stato c’è adesso il voto compatto del 45% dei tedeschi e c’è la maggioranza assoluta conquistata nel parlamento germanico dai democristiani e dai partiti con loro coalizzati.
È vero che la grande affermazione di Adenauer ha, d’altra parte, accentuato le antiche preoccupazioni dei francesi (non infondate davvero) che la Comunità Europea sia, tosto o tardi, dominata dalla Germania; dal paese che si va sempre pidelineando come il più fortedei tre maggiori soci della piccola Europa col suo governo sicuro, con la libertà di manovra e la stabilità sociale che gli deriva dall’assenza di un grande partito comunista, col suo enorme potenziale industriale e con l’appoggio evidente della particolare amicizia americana. Ma è anche vero che tutto ciò rende ancor più terrificante agli occhi dei francesi lo spettro di una Germania riarmata all’infuori della CED, ora che si va realizzando qui che il puro e semplice rifiuto di ratificare il Trattato non potrebbe impedirlo ancora per lungo tempo e che anzi potrebbe portare al risultato diametralmente opposto da quello auspicato e cioè alla creazione di una nuova Wehrmacht o al ripiegamento americano su quella «strategia periferica» che, pur vista da alcuni come una soluzione suscettibile di offrire alla Francia anche qualche momentanea possibilità di svolgere una politica in senso equidistanzista e atta a rinviare il problema del riarmo tedesco, è pur sempre estremamente preoccupante agli occhi dei più responsabili perché significherebbe la implicita ammissione che l’Europa continentale sarebbe destinata ad essere solo un campo di battaglia.
Si ripresenta quindi l’antico problema di scelta in un dilemma a cui non si riesce a trovare un terzo corno.
D’altro canto molti cominciano a riflettere che forse proprio attraverso la CED sarebbe pifacile di rallentare il riarmo tedesco, approfittando dei complessi congegni del Trattato, che ad ogni piè sospinto richiedono decisioni unanimi e reciproci control
li. Del resto lo stesso Trattato, che impone alla Germania forze di limitata entità e senza autonomia d’azione, permette alla Francia, per converso, di conservare indipendente la parte più efficiente del suo esercito attraverso i contingenti destinati a rimanere nazionali per la difesa dei possedimenti d’oltremare e le cosidette responsabilità imperiali. Sono pecette temporanee, lo so, se fra due paesi esiste una notevole diversità di peso specifico e di risorse spirituali: ma – si dice – sempre meglio che niente.
Cosicché l’esercito europeo si presenta nuovamente come il «minore dei mali».
A ciò si aggiunga che si va facendo strada la credenza che la stessa personalità del Cancelliere rappresenti una garanzia in quanto, a torto o a ragione, si ritiene che egli stesso non desideri un grande esercito tedesco e che quindi sia pivantaggioso di mettere in moto la Comunità mentre egli è al potere.
Ci si domanda poi se adesso le pressioni americane – sia che esse siano per svolgersi in modo diretto sia che si sviluppino attraverso una politica di progressivo isolamento della Francia – non siano destinate a farsi più intense, e se si sarebbe in grado di resistervi, mentre la necessità dell’aiuto degli Stati Uniti – in campo politico e, ancor più in campo economico – continua a rimanere assai acuta, essendo la Francia ancora lontana dalla realizzazione di quel «redressement», che, solo, potrebbe assicurarle una maggiore indipendenza.
Anche la possibilità che venga trovata una qualche formula di reciproca garanzia fra la CED e 1’URSS va facendosi strada, dopo che lo stesso Adenauer ne ha lanciato l’idea e che questa è stata ripresa autorevolmente qui e a Strasburgo(4)(nonché – proprio oggi – all’Assemblea delle Nazioni Unite da Maurice Schumann), e trova favorevole accoglienza non solo ai fini distensivi in campo internazionale ma anche come precisazione, all’interno, di una particolare interpretazione della Comunità difensiva, con speciale accento sull’aggettivo e con la riconsacrazione dei suoi scopi di argine contro il militarismo prussiano.
La conclusione di queste considerazioni è – secondo me – che la CED è di nuovo alla ribalta e che un certo venticello è venuto a risospingere le vele afflosciate della sua barca (e questo è un fatto) perché è tornata a prevalere, sebbene in termini alquanto diversi, una situazione che rassomiglia a quella che fece germogliare, or sono tre anni, la prima iniziativa della CED.
Questo insieme di cose può avere sopratutto incidenza – ai fini della ratifica – su quella notevole massa di parlamentari incerta e fluttuante – gente magari con limitata visione dei problemi di politica estera ma probabilmente, nella maggioranza, in buona fede – che da lunghi mesi si va chiedendo ansiosamente quale atteggiamento debba essere tenuto per uscire da una impasse tormentosa e va pesando i pro e i contro delle diverse soluzioni di un problema che, come è stato giustamente detto, non ha soltanto diviso i francesi ma ha suscitato in ogni francese una lotta interiore talché ciascuno di loro era in parte favorevole alla CED e in parte contrario. E in definitiva, premesso che il voto dei socialisti è necessario alla approvazione del Trattato di Parigi, la sorte ultima di esso, in sede parlamentare, è proprio nelle mani di questi gruppi incerti e non classificati, più che in quelle dei fautori o dei detrattori dell’integrazione europea.
Con affettuosi devoti saluti
tuo
Giorgio Bombassei
52 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.
52 2 Il documento reca il timbro del Segretario generale e la sigla Zoppi.
52 3 Vedi D. 53.
52 4 Vedi D. 50, nota 3.
IL CONSOLE GENERALE A STRASBURGO, CITTADINI CESI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
R. 4570. Strasburgo, 30 settembre 1953.
Oggetto: La politica del Consiglio d’Europa alla luce dei recenti sviluppi della situazione mondiale.
Signor Ministro,
l’avvenimento principale dell’ultima Sessione dell’Assemblea Consultiva è stato costituito dal dibattito e dalla risoluzione sulla politica del Consiglio d’Europa nel quadro degli ultimi sviluppi della situazione mondiale(2).
Il dibattito era previsto per la sessione di giugno, alla vigilia di quella che avrebbe dovuto essere la Conferenza delle Bermude. Gli inglesi tenevano molto ad agitare allora dalla tribuna di Strasburgo la proposta di un incontro con la Russia lanciata da Churchill l’undici maggio. I democristiani tedeschi, invece, preoccupati delle ripercussioni che il dibattito avrebbe potuto avere sulle imminenti elezioni preferivano sottrarvisi; la stessa attitudine adottavano i francesi preferendo arrivare alla progettata conferenza con le mani completamente libere.
Fu così che a rischio di fare una cattiva figura, l’assemblea decise a debole maggioranza il rinvio del dibattito alla sessione di settembre.
L’incarico di preparare la relazione della Commissione degli affari generali venne affidato a Spaak.
Tale relazione, presentata alla vigilia della apertura della sessione, conteneva una lucida disamina dei sintomi di distensione verificatisi dopo la morte di Stalin e denunciava il pericolo di un ottimismo ingiustificato da parte delle potenze occidentali.
Le principali conclusioni politiche del relatore potevano così riassumersi: proposta di una conferenza a quattro con la Russia con ordine del giorno limitato ai due problemi, non interdipendenti, dell’Austria e della Germania. Alla conferenza le Potenze Occidentali avrebbero dovuto presentarsi con delle proposte non riducibili per quanto riguarda la riunificazione della Germania ed il rigetto di qualsiasi forma di neutralizzazione o smilitarizzazione. Ciò premesso avrebbe dovuto essere riconosciuto alla Germania unificata, con un governo liberamente eletto, il diritto di decidere sul suo definitivo orientamento politico.
Le Potenze Occidentali avrebbero inoltre dovuto proporre all’Unione Sovietica un patto di garanzia multilaterale nel quadro dell’ONU, al quale avrebbero partecipato oltre all’URSS, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Comunità Europea ed eventualmente altri Stati; nonché la creazione di una zona smilitarizzata a cavallo della frontiera orientale della Comunità Europea.
Il dibattito, apertosi sul rapporto Spaak, ha rivelato che, mentre sulla proposta di una Conferenza a quattro con l’Unione Sovietica tutti sono d’accordo, una profonda disparità di vedute esiste sul carattere e gli scopi della conferenza.
Gli uni hanno sostenuto che questa si dovesse proporre la ricerca di un modus vivendi tra l’Unione Sovietica e gli occidentali basato sulla riunificazione pacifica della Germania nella Comunità europea, cioè un modus vivendi che presupponga l’attuale politica di integrazione, ed al contempo ne consenta la estensione alla Germania orientale.
Gli altri per contro hanno sostenuto che la conferenza avrebbe dovuto mirare innanzitutto all’accordo con la Russia, come all’alternativa dell’attuale politica di integrazione. Come è chiaro, il punto di vista di tali rappresentanti si conciliava sia con l’opposizione alla CED ed alla Comunità politica, che con il timore di vedere la Russia respingere una discussione che desse per acquisito il processo d’integrazione europea.
Per la ricerca del modus vivendi, tendente alla riunificazione pacifica, senza rinunciare al riarmo integrato della Germania, si sono pronunciati coloro che a Strasburgo hanno sempre sostenuto la politica dell’Europa a sei: italiani, francesi e belgi europeisti, democristiani tedeschi, olandesi; in più ed è stato questo il fatto nuovo dell’attuale Sessione, i socialisti francesi.
Guy Mollet, parlando a nome del suo partito, ha riconosciuto la necessità di non lasciare spazi assorbibili alle frontiere dell’Unione Sovietica; in una Germania neutralizzata o smilitarizzata i russi vedrebbero sempre una alleata potenziale o una facile preda.
I socialisti francesi chiedono dunque la riunificazione della Germania e, facendo credito alla democrazia tedesca, contano sull’adesione che quest’ultima porterà alla politica di integrazione europea attraverso libere elezioni. Nel frattempo essi sono favorevoli all’attuazione immediata di tale politica, e sono pronti ad appoggiare la ratifica del trattato CED, ponendo le sole condizioni della creazione della comunità politica e della associazione con l’Inghilterra.
Anche se formalmente tali elementi possono ritrovarsi anche in precedenti dichiarazioni del leader socialista francese, la misura della sua evoluzione è stata indicata dalla nuova impostazione ed intonazione politica del discorso, il quale, anziché sul-l’ «avere» delle condizioni, ha posto l’accento sul «dare» della ratifica; Guy Mollet ha ricordato le responsabilità parlamentari dei socialisti francesi, ed ha dichiarato che essi non vi si sottrarranno, pur restando partito di opposizione, ove la maggioranza governativa non si dimostrasse all’altezza del compito.
L’altro avvenimento politico della sessione è stato il discorso del Sottosegretario britannico, Nutting. Questi ha annunciato la piena adesione del suo governo alla proposta di una conferenza a quattro che abbia per base la riunificazione della Germania ed il riarmo integrato della medesima nel quadro di una Comunità europea; ed ha assicurato che per rendere possibile la ratifica del trattato CED da parte di tutti i suoi firmatari, la Gran Bretagna è pronta ad entrare con la futura comunità in rapporti di associazione più intimi di quanti nella sua storia essa abbia mai stretto con potenze continentali.
Spaak ha raccolto il significato di queste dichiarazioni, e di quelle di Guy Mollet, sottolineandone la importanza «storica» (sua parola).
L’energica presa di posizione del capo dei socialisti francesi e del Sottosegretario britannico ha intaccato profondamente le posizioni di coloro che avrebbero voluto trovare nella conferenza a quattro la possibile alternativa dell’attuale politica di integrazione.
In questo ordine di idee i laburisti britannici hanno avuto come «leitmotiv» il disarmo. II loro capo Robens ha sostenuto che si dovesse proporre alla Russia la riunificazione della Germania contro l’abbandono della partecipazione tedesca alla CED, la neutralizzazione ed il disarmo della Germania per un periodo di cinque anni, al termine del quale si sarebbe potuto fare l’esperimento di una conferenza mondiale per il disarmo. A lui hanno fatto eco i compagni di partito e qualche parlamentare isolato di altra nazionalità. Solo Healey, esponente di una tendenza di minoranza in seno al Labour, si è pronunciato per l’ingresso della Germania nel NATO.
Irriducibili contro la politica di integrazione della Germania nella comunità europea che comprometterebbe, a loro avviso, a priori ogni possibilità di accordo con i russi, sono rimasti i socialisti tedeschi. Per contro essi hanno dichiarato di essere favorevoli al riarmo della Germania.
Alcuni conservatori britannici – Boothby e Amery – hanno tenuto al momento della discussione un atteggiamento critico, mostrandosi favorevoli a soluzioni meno impegnative di quella della CED, ma hanno poi votato la risoluzione finale.
Altri rappresentanti, tra cui il Presidente del Senato belga Struye, hanno indicato la possibilità di soluzioni intermedie, fra l’integrazione e la neutralizzazione della Germania, da discutersi con la Russia in una conferenza a quattro, non fondata sul rigido presupposto del riconoscimento dell’attuale politica occidentale, ma si sono alla fine anche essi associati al voto della maggioranza.
Completamente isolata è rimasta la voce del francese Debré (gollista), che ha ripetuto, presentandosi come tutore degli interessi dell’Unione francese, le consuete critiche contro la CED e la comunità politica.
Le somme della discussione sono state tirate dalla Commissione degli affari generali al momento della stesura del progetto finale di risoluzione che trasmetto con telespresso odierno n. 4575/589.
Nell’insieme questo resta aderente al punto di vista di Spaak, di proporre una conferenza a quattro per la ricerca di un modus vivendi con l’Unione Sovietica sulla base della partecipazione di una Germania unificata alla organizzazione della difesa europea. Talune attenuazioni alla forma forse più che alla sostanza delle proposte Spaak sono state introdotte per isolare al massimo la tendenza favorevole a fare alla Russia concessioni importanti sul fondo della questione.
Così nel preambolo è stata fra l’altro prospettata la possibilità di una riduzione degli armamenti come condizione per lo stabilimento di rapporti pacifici, sempreché a titolo di reciprocità e sulla base di un sistema di controllo generale ed effettivo.
Nel dispositivo è detto che spetterà solo al futuro governo della Germania riunificata, uscente da una libera consultazione elettorale, di decidere sul definitivo orientamento della politica tedesca.
Ma intanto la questione della partecipazione tedesca alla difesa dell’occidente viene posta come corollario della attuale politica di sicurezza collettiva, accettata plebiscitariamente dalla Germania occidentale con le elezioni del 7 settembre. Gli eventuali sviluppi di una conferenza a quattro non dovrebbero quindi frenare («ralentir») le trattative in corso per la creazione di una autorità politica europea. Al contrario la risoluzione insiste sulla necessità della «associazione» della Gran Bretagna e degli altri paesi del Consiglio d’Europa (e questa è una novità) alla istituenda autorità politica.
La risoluzione è stata approvata a grande maggioranza: soltanto i socialisti tedeschi hanno votato contro. I laburisti britannici si sono astenuti. Gli isolati che cercavano irrealistiche posizioni intermedie tra la politica di integrazione sostenuta dagli occidentali e i desiderata sovietici sull’assetto futuro della Germania, hanno finito come si è visto con il cedere all’opinione della maggioranza.
Il dibattito, introdotto dalla magistrale relazione di Spaak, è riuscito ad essere nel suo insieme quell’esame di coscienza che l’opinione pubblica si attendeva dal Consiglio di Europa in un momento come questo.
Dalla esposizione dei diversi punti di vista sugli scopi di una possibile conferenza a quattro per la Germania si è ricavata una conclusione che conferma la assoluta priorità della politica di integrazione: ed è stato questo l’appoggio che l’Europa dei quindici ha portato a quella dei sei, pronunciandosi sul problema della riunificazione tedesca.
La forza della risoluzione è data, d’altra parte, dal fatto che l’abbiano votata i tedeschi i quali non ignorano che il riarmo integrato del loro paese ne può gravemente compromettere la riunificazione col consenso dei russi.
Nel giugno scorso la risoluzione sarebbe stata una delle tante: oggi, invece, indica la rinascita della Germania che, come suo primo atto, offre all’Europa il contributo della sua partecipazione al riarmo integrato.
Guy Mollet, in quello che Spaak ha definito il suo pibel discorso politico, ha invitato l’Europa a fare credito alla democrazia tedesca, e a non rifiutarle ciò che diversamente potrebbe essere costretta domani a concedere a un’altra Germania.
Nutting da parte sua, precisando che il Primo Ministro britannico, con la proposta dell’11 maggio, non aveva voluto prendere alcuna iniziativa di «appeasement», ha tenuto a dimostrare che l’Inghilterra è ormai su di una linea di piena adesione alla politica di integrazione europea.
Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio
[Gian Gaspare Cittadini Cesi]
53 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 16, pos. 11/5.2.
53 2 Si veda ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1953, pp. 296-297.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)
L. riservata 1219. Parigi, 5 ottobre 1953.
Caro Zoppi,
grazie della tua lettera n. 1683 del 30 settembre. Tutti gli argomenti che mi porti per arrivare alla conclusione che non c’è particolarmente da contare sulla Germania per una pressione sugli americani coll’argomento CED erano anche i miei: del resto ho accennato, mi sembra, nel mio rapporto(2), anch’io a qualche dubbio sulle nostre possibilità tedesche: mi interessa, e mi conforta, che, da parte vostra, vedete le cose come mi sembrava di vederle io.
Resta quindi l’alternativa francese.
Le tue considerazioni negative – poca influenza francese, diretta, sull’affare, pericolo che la Francia si serva del nostro atteggiamento per rimandare la ratifica sulla CED ed infine, ed è questo l’argomento capitale, che un nostro impegno sulla questione sarrese subordinerebbe ad esso ogni nostra libertà d’azione ed iniziativa in fatto di politica europeista – sono esattissime, e sono intieramente da me condivise.
Se non che, ad un certo punto del nostro ragionamento, bisogna porci anche la domanda: cosa facciamo?
Il Presidente De Gasperi, penso, era, in fondo, dell’idea che il giorno in cui si fosse fatta l’Europa, e di questa Europa noi fossimo un fattore importante e dinamico, la nostra posizione di fronte alla Jugoslavia ne sarebbe riuscita rafforzata: e anche per questo, pur non rifiutando trattative in qualsiasi direzione, preferiva lasciare aperta la questione. Considerava, ossia, l’unificazione europea come l’obbiettivo n. 1 della nostra politica, e ad esso subordinava qualsiasi altra nostra considerazione. Non me la sento di dire che avesse ragione o avesse torto: la difficoltà del nostro mestiere è sempre quella che solo i fatti futuri possono dimostrarci se avevamo ragione o torto. Il mio dubbio era un altro, se cioè data la situazione interna francese fosse possibile, in un periodo abbastanza breve, arrivare alla creazione di questa Europa, soprattutto nelle forme che ci erano care e che, logicamente, erano anche le migliori.
Adesso noialtri abbiamo, con il nostro gesto spettacolare, messo in prima linea il problema di Trieste: ci siamo, per lo meno in larga misura, messi nell’impossibilità, relativa almeno – tutte le impossibilità sono sempre relative – di rimettere la questione nel frigidaire. Anche qui, non critico la mossa: sarà stata un bene od un male, lo sapremo un giorno. Mi sembra solo poterne trarre la conseguenza che, avendolo fatto, dobbiamo subordinare adesso a questo obbiettivo tutto il resto della nostra politica.
Abbiamo scelto la tattica dell’attacco frontale: come tu dici giustamente nel tuo P.S., «qualche cosa bolle in pentola»: se questo qualche cosa che bolle in pentola sarà qualche cosa di accettabile da parte nostra, questo sarà la migliore riprova che abbiamo fatto benissimo a fare quello che abbiamo fatto.
Ma potrebbe anche essere qualche cosa che noi dobbiamo rifiutare. Ed allora ci troveremo di fronte alla necessità di trattare la questione a più lunga scadenza: e dovremo arrivare alla conclusione che l’attacco frontale non basta.
Ora per questa azione a più lunga scadenza – e anche su questo vedo che sei d’accordo con me – abbiamo bisogno dell’appoggio di qualcuno. A me sembra che una delle prime conclusioni che dovremmo trarre è la constatazione del nostro completo isolamento. Ora, un paese come il nostro, isolato, non può ottenere che ben poco. Bisogna quindi vedere se e cosa possiamo fare per uscire un po’ da questo isolamento, quale che sia il risultato della fase attuale.
A più lunga scadenza, un certo rivolgimento delle carte a nostro favore, e contro Tito, lo si potrebbe realizzare, penso. Apparentemente, l’acutizzazione della questione di Trieste è opera nostra: è indubbio perche Tito, anche se non aveva realmente l’intenzione di annettere la Zona B, ha agito come se l’avesse; aveva quindi l’intenzione di provocarci. Perché lo ha fatto?
Di ipotesi ne sono state avanzate molte: per me, la pisoddisfacente è quella che ci viene da Ankara e sopratutto da Atene: che cioè Tito non ha mai avuto seriamente l’intenzione di legarsi con accordi militari alla Grecia e Turchia e, quindi, al NATO, indirettamente: ha voluto dare delle speranze, trarne de’ vantaggi, ma non vuole legarsi: che lo faccia, come sembrano pensare alcuni, perché non esclude la possibilità di un allacciamento con Mosca, o perché ha delle difficoltà interne a farlo, non so. Probabilmente questo non legarsi viene da un altro calcolo, non inabile. Il favore, indiscusso, di cui gode Tito in moltissimi ambienti, non è solo dovuto, per me, ai soldi che spende, ma anche alla sua posizione terzaforzista, all’interno ed all’esterno: il giorno che si sia legato apertamente al patto Atlantico, tutti i sinistrorsi di qui, per esempio, gli saranno molto meno favorevoli. Arrivato adesso ad un punto in cui si sentiva di non poter più sfuggire al sì od al no, ha trovato comodo di rinviare la decisione acutizzando il conflitto con l’Italia. Se quindi noialtri dichiarassimo che siamo pronti a collaborare militarmente all’organizzazione della difesa balcanica, e cioè anche con la Jugoslavia, questo pretesto cade: Tito sarà obbligato a tirarne fuori degli altri, e c’è una ragionevole speranza che in questo caso anche gli entusiasmi americani per lui sbollano e si crei quindi, laggi una situazione comparativamente più favorevole per noi. Evidentemente fare questo è stato sempre per noi difficile: adesso più che mai: bisognerebbe quindi che intervenisse qualche cosa che ci permetta di farlo. Questo qualche cosa potrebbe forse essere la nostra immissione nel possesso della Zona A, alle condizioni di cui abbiamo già molte volte discusso e su cui eravamo tutti d’accordo: per me è inutile tornarci.
Ora, penso, questa immissione nel possesso della Zona A noi la possiamo ottenere solo se promettiamo, in cambio, che la questione della Zona B resta aperta sì, ma che noi non la drammatizzeremo: e che siamo disposti, lasciandola aperta, a collaborare. Se noi non diciamo questo, non c’è niente da fare.
La soluzione ha tutti i suoi inconvenienti, all’interno, non c’è chi non li veda: se non che, mi sembra, ottenendo questa soluzione dopo il nostro colpo di forza, si potrebbe presentarla, non come un nuovo cedimento di un governo debole, ma come una vittoria ottenuta mostrando la nostra forza: il che fra l’altro non sarebbe poi del tutto inesatto. A noi italiani piace sempre di pipoco ottenuto colla forza, che di piottenuto in forma melliflua.
Se questa soluzione è una soluzione che noi consideriamo come possibile, passato un periodo X, perché siano superate le preoccupazioni russe, possiamo contare sull’appoggio francese, con quelle limitazioni di efficienza che tu ben sai: e non ci costerebbe molto. Basterebbe che nelle prossime e numerose conferenze europee noi ci schierassimo un po’ apertamente in favore delle tesi prudenti francesi, e che la nostra stampa cessasse di entusiasmarsi per il trionfo di Adenauer alle elezioni.
Se queste non sono le nostre intenzioni – o se questo è impossibile sul piano interno – allora è evidente che non possiamo sperare in una soluzione, né immediata né prossima: e bisogna che studiamo la possibilità, e la forma di un’azione a più lunga scadenza , e di risultato per lo meno dubbio. In questo caso non ci resta che tentare il ricatto CED: e per avere l’appoggio francese bisognerà che facciamo molto di più.
Tengo a precisare, perché non ci siano equivoci, che la politica a cui ho accennato
– solidarizzazione della Francia sul piano CED – è una politica che si putentare, e che ho qualche speranza di poter far riuscire: non è detto affatto che sia sicuro che riesca. L’allontanamento fra Italia e Francia che ha portato il nostro oltranzismo europeo ed il nostro avvicinamento fra Italia e Germania è molto più grave e profondo di quanto, temo, voi a Roma non vi siete dati conto. Circa i nostri rapporti con la Germania, son d’accordo con te nel limitarne la portata come tu fai; peragli occhi francesi il nostro spostamento appare assai più grave. Sai purtroppo che quando si tratta di tedeschi i francesi cessano di ragionare, come noi quando si tratta di jugoslavi: come per noi è un dramma ogni visita di personalità straniera a Tito, e ne ingrandiamo a dismisura il significato effettivo, così i francesi erano, e sono, portati a drammatizzare ogni «aparté» di De Gasperi e di Adenauer, ed ogni conversazione dei nostri a Strasburgo con von Brentano.
Poi purtroppo, la politica europea è qui una questione di politica interna: siamo quindi diventati un oggetto di politica interna: vuoi, per esempio, che Bidault non sappia, o non si risenta, tutti quelli che in Italia hanno gridato e gridano al disastro perché non era piSchuman Ministro degli Esteri? Ora, nel nostro come in altri casi, gli europeisti stanno zitti, gli «anti» gridano e si agitano. Non è escluso che, alla fine, il Parlamento francese finisca per votare la CED, ma la voterà controvoglia e manterrà un risentimento feroce contro tutti quelli, all’interno come all’estero, che lo hanno obbligato a marciare per questa strada: questo ci può essereindifferente se la CED è l’obbiettivo n. 1 della nostra politica: non pulasciarci indifferenti se l’obbiettivo n. 1 resta la soluzione della questione di Trieste.
L’intervista del Presidente mi sembra corrispondere a quella che era la tua idea: ossia che il delinearsi di una ritardata ratifica italiana è destinato di per sé ad influire sulla ratifica francese. E sebbene sia stata fatta, per me giustamente, in forma molto discreta, è stata capita benissimo: ed ha incontrato favore indiscusso presso tutte le opposizioni alla CED, sia a sinistra che a destra.
Nel mio rapporto a cui ti riferisci ho accennato ad una possibile politica: ma non ho mai pensato che ci convenisse precipitarsi: quindi, come primo passo, non sarebbe stato opportuno andare piavanti. Sviluppi rapiù dicomunque non ce ne possono essere. Sai, qui, la persona e la politica Pella incontrano molto favore. Ma prima che qualche settore importante della stampa, e della politica francese si muova, bisogna che si superi l’impressione della sua provvisorietà.
Come è facile immaginare, tutti i Teitgen, de Menthon, Reynaud, Mutter, fanno fuoco e fiamme e dicono che la partenza di De Gasperi è una tragedia, che bisogna farlo tornare al potere, non tanto per l’Italia quanto per l’Europa: quello stesso cioè che da noi è stato fatto per Schuman. Questo evidentemente crea a Pella delle simpatie: ma ci si domanda, quale ne è la possibile durata? Si vorrebbe in molti settori qui puntare su questa «nuova Italia», ma ci si crede poco. Sai, nel mondo si va avanti a forza di idee fatte: il ragionamento prevalente qui è semplicista: l’idea europea è un’idea vaticana, l’Italia è governata dal Papa, Quindi se Pella fa una politica meno europea il papa butterà giù Pella e rimetterà al potere De Gasperi. Non c’è bisogno che tu mi dica quanto questo è inesatto e superficiale, ma è solo il tempo che pucambiarlo. Per ragioni interne Pella ha tutto l’interesse a marcare la sua provvisorietà: all’estero, questo accento di provvisorietà presenta degli inconvenienti.
La carta eventuale di una nostra pubblica dichiarazione in favore delle tesi francesi sulla Sarre sarebbe, in ogni caso, una carta che, anche a prescindere dalle conseguenze a cui tu giustamente fai riferimento, non bisognerebbe bruciare a vuoto: e farla solo quando siamo sicuri che essa può avere quegli effetti che noi ce ne aspettiamo. La mia idea era quindi che si dovesse procedere per gradi, prudentemente, per farci un’idea delle possibilità reali di riuscita che essa ha. Adesso, io proporrei un secondo passo che, a mio avviso, non impegnerebbe nessuno. Non ci sarebbe la possibilità di fare scrivere da un nostro grande giornale un articolo, o magari qualche articolo, per dire che in fondo i timori della Francia nei riguardi della Germania non sono del tutto ingiustificati, che ci sono delle persone che in Italia condividono questi timori, etc. etc.?
Noi siamo riusciti, ed è indiscutibilmente un bel successo, ad ottenere uno schieramento monolitico della stampa italiana cosiddetta indipendente, in favore dell’Europa, dell’esercito europeo, di Adenauer, etc. etc. Ora questo successo, almeno per quello che concerne la Francia, è un elemento negativo. Sarebbe così impossibile e pericoloso mostrare che c’è in Italia, anche al di fuori di certi partiti, una differenza di opinioni? Una presa di posizione di un grande giornale su questo genere porterebbe qui delle reazioni: si potrebbe cercare di stabilire un dialogo di stampa: questo dialogo di stampa ci sarebbe utile, direi necessario, per vedere se la politica a cui ho pensato ha realmente delle chances di riuscire: e non ci impegnerebbe. Mi auguro che quello che bolle in pentola sia buono. Per anche per scaramanzia, è bene prevedere il peggio ed è per questo che ti ho esposto molto chiaramente il mio pensiero, e senza nessuna intenzione polemica: per forza di cose, il solo fatto di essere seduti su due poltrone differenti porta a vedere differenti aspetti di una stessa questione. Ma l’affare che abbiamo sulle spalle è troppo grave e troppo complesso perché non se ne discuta a fondo.
Nella tua lettera tu hai accennato all’intenzione del Presidente di chiamarmi per parlare di tutto questo. Non ha importanza che questo avvenga quindici giorni prima
o quindici giorni dopo: ma ti pregherei di tener conto della mia situazione: è estremamente difficile collaborare, ognuno per la propria parte, per questo affare non facile, quando non si ha un’idea esatta di quello che sono le intenzioni, le difficoltà ed anche i dubbi del centro. Troppe cose sono successe da noi, in tutti i campi, in questi mesi, e non è possibile indovinare. Capisco che adesso il Presidente è molto occupato per le discussioni parlamentari, ma non sarebbe possibile, per me, venire a Roma nella seconda metà del mese? Credo di poter dire che, di mia iniziativa, non esagero nel domandare di venire a conferire: ma mi sembra che questa volta, questa mia richiesta è abbastanza giustificata(3).
Credimi, molto cordialmente, tuo aff.mo
P. Quaroni
54 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 26, fasc. 1.
54 2 Vedi D. 42.
54 3 Per la risposta vedi D. 56.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)
Appunto riservato 20/3247. Roma, 10 ottobre 1953.
APPUNTO SULLA CONFERENZA DEI SOSTITUTI DEI MINISTRI DELLA COMUNITÀ EUROPEA
(Roma Villa Aldobrandini 22 settembre - 9 ottobre 1953)
Con il precedente appunto del 26 settembre u.s.(2) sono state indicate e riassunte le prime battute della Conferenza dei Sostituti dei sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea, iniziatasi a Roma il 22 settembre con l’intervento di S.E. il Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri d’Italia, On. Pella.
Ora, alla fine della lunga Conferenza, durata, secondo le previsioni, circa 20 giorni, appare possibile dare ad essa uno sguardo complessivo per vedere se, su di un terreno maggiormente tecnico, siano state osservate le «consegne» impartite ai Sostituti stessi dai sei Ministri degli Esteri, con le decisioni ed il Comunicato finale della loro riunione, avvenuta, come si ricorda, a Baden Baden il 7 agosto u.s.(3).
Sempre con l’Appunto precedente si era dato uno sguardo all’atteggiamento delle sei Delegazioni (rispettivamente presiedute per l’Italia dal Sottosegretario agli Affari Esteri, On. Benvenuti, per la Francia, dall’Ambasciatore a Roma Fouques Duparc, per la Germania dal Segretario di Stato Hallstein, per il Belgio, dall’Ambasciatore de Staercke, per i Paesi Bassi, dall’Ambasciatore van Starkenborgh, per il Lussemburgo, dal Ministro a Bonn, Majerus, che è stato anche il Presidente di turno della Conferenza) e si era posto in rilievo come i rispettivi punti di partenza, in merito, tanto alle attribuzioni, quanto alle istituzioni della futura Comunità Politica, fossero, nel complesso, non poco lontani l’uno dall’altro.
Se oggi – e sempre in attesa, naturalmente, di conoscere le reazioni dei differenti Governi al rapporto finale dei sei Sostituti – è lecito cercare di riassumere, in brevi linee, l’andamento generale della Conferenza, può dirsi che essa, pur non portando a risultati effettivamente concreti e pur avendo i Sostituti preferito riunire le loro idee in una relazione finale senza neanche arrischiare un tentativo di compilazione di una bozza di Statuto europeo, abbia avuto una evoluzione non sfavorevole. E ciò perché il non facile lavoro, compiuto specialmente dalle due Commissioni appositamente create l’una per le questioni istituzionali e l’altra per le eventuali attribuzioni economiche (presiedute ambedue da Delegati italiani nelle persone del Ministro Cavalletti e del Consigliere Prato), ha permesso, questa volta, larghi scambi di vedute intesi ad approfondire, per quanto possibile, i difficili e complessi problemi posti sul tappeto della Conferenza stessa.
Occorre così subito dire che, mentre in un primo momento le opposizioni a prendere in esame la bozza di Statuto compilata dall’Assemblea ad Hoc quale documento «essenziale», si erano mostrate, da parte di talune Delegazioni, fortissime, alla fine – e grazie anche all’attiva azione svolta dalla Delegazione italiana sulla base di un preciso intervento dell’On. Benvenuti(4)– quella bozza è stata inclusa, quale elemento permanente comparativo, nel rapporto finale(5), in modo che l’esposizione dei differenti punti di vista è venuta, in pratica, ad intimamente legarsi all’opera già svolta, con molta competenza e per ben sei mesi, dai Parlamentari della Commissione Costituzionale dell’Assemblea ad Hoc.
La Conferenza inoltre ha tenuto fede all’impegno da essa preso di tenersi in contatto con i Parlamentari stessi. E così, nella giornata del 2 ottobre, in due sedute intercalate da una cordiale manifestazione conviviale, è stato dato ad un gruppo di Parlamentari, diretti autori del progetto di Statuto, e particolarmente ai belgi Dehousse e Wigny, di svolgere interessanti interventi esplicativi tali da permettere di conoscere i motivi e gli intendimenti che mossero la Commissione Costituzionale ad Hoc per giungere alle note proposte contenute nella bozza di Statuto.
Altro impegno è stato mantenuto nei confronti del Consiglio d’Europa, in quanto che, a titolo di osservatore e secondo quanto era stato precedentemente stabilito tra i sei Ministri degli Affari Esteri, il nuovo Segretario Generale di Strasburgo, Marchal è stato presente a Villa Aldobrandini, ad alcune sedute plenarie, in modo da rendere in qualche modo efficiente l’auspicato collegamento con il Consiglio d’Europa in seno ai lavori per la Comunità.
Per venire, ora, all’essenza delle discussioni svoltesi in seno alla Conferenza, è bene riconoscere come essa – proprio per aver messo finalmente a nudo talune delle essenziali questioni relative alla Comunità – si sia sopratutto limitata a «fotografare» i differenti atteggiamenti in modo da poter fornire ai Ministri, nella loro prossima riunione prevista per il mese di novembre all’Aja, tutti quegli elementi atti a permettere qualche decisione ad alto livello in sede politica. Del resto occorre anche dire che questo era proprio il compito dei Sostituti i quali evidentemente non potevano giungere a risultati tali da compromettere le future decisioni dei loro capi diretti.
ciò non di meno un avvicinamento tra le diverse tesi c’è stato ed alcuni punti sono stati messi effettivamente «a fuoco». Ad esempio:
1) Mentre in un primo momento, e specialmente per le note riserve francesi, sembrava doversi escludere un’intesa circa la necessità della creazione di un nuovo organo esecutivo sopranazionale, alla fine il concetto è stato approvato. A questa evoluzione ha concorso la trasformazione dell’atteggiamento della Delegazione francese per cui, specie dopo la brevissima visita a Roma del Vice Presidente del Consiglio dei Ministri di Francia, Teitgen, che al suo ritorno a Parigi sembra aver provocato nuove istruzioni maggiormente concilianti, i Francesi hanno finito per annunciare il loro consenso alla creazione di tale nuovo Esecutivo.
Occorre peraggiungere che questo organo nuovo è visto in maniera assai differente dalle varie Delegazioni, partendosi dalle tesi minime della Delegazione olandese (per cui esso si limiterebbe ad affiancarsi agli Esecutivi della CECA e della CED senza aver con essi altri rapporti che di collegamento), e di quella francese (per cui esso ricoprirebbe in certo senso gli altri due Esecutivi esistenti, ma senza toccarne l’esistenza e senza assorbirne, quindi, le funzioni e la responsabilità di fronte al Parlamento), fino alle tesi che prevedono l’assorbimento – sia pure dopo un breve periodo transitorio – dei predetti Esecutivi esistenti in un unico organo nuovo.
2) Circa le ulteriori attribuzioni, in linea di massima, ben cinque Delegazioni, cioè tutte ad eccezione della francese, hanno dichiarato elemento essenziale il fatto che la creanda Comunità Politica possa disporre di reali poteri nel campo economico, particolarmente allo scopo di poter raggiungere al più presto possibile la creazione ed il mantenimento di un mercato comune tra i sei Paesi. I Belgi e gli Olandesi hanno messo molto in chiaro che essi non saprebbero concepire una Comunità Politica che si limitasse a servire da superstruttura istituzionale alle due Comunità specializzate già esistenti. La Delegazione francese, dopo un primo periodo nel quale essa appariva del tutto avversa ad una estensione delle attribuzioni al settore economico, ha finito per dimostrarsi non contraria al principio che la nuova Comunità possa «aprire finestre» su nuove attività e, principalmente, su quella economica, sempre restando fermo però il principio essenziale per i Francesi – che in una prima fase sarebbe escluso ogni ulteriore «abbandono di sovranità» e che comunque qualsiasi ulteriore attività della Comunità dovrebbe essere sempre preceduta da precisi accordi tra i Governi nazionali senza, quindi, decisioni di carattere imperativo sopranazionale.
3) L’esplorazione del settore economico avvenuta, come si è già detto, a mezzo di un non facile e pesante lavoro compiuto, con molto zelo dall’apposita Commissione, presieduta dal Consigliere Prato, ha permesso un vero e proprio approfondimento della materia. L’esame dei problemi relativi alla creazione di un mercato comune e delle molte questioni ad esso attinenti, a cominciare dalle clausole di salvaguardia e dalle possibilità di sostanziali intese nel settore finanziario e nei movimenti di capitali, di beni e di persone, ha permesso l’inclusione, nel rapporto finale della Conferenza, di un vero e proprio «documento economico» tale da permettere effettivamente la costituzione di elementi della più alta importanza per le future decisioni dei Ministri. Con ciò hanno trovato, in certo modo, formale soddisfazione i «desiderata» belgi e, sopratutto, olandesi ai quali si è sopra indicato.
Naturalmente, si ripete, nessuna «decisione» è stata presa in merito né poteva essere altrimenti.
4) Circa le istituzioni, sono state definitivamente confermate le intese relative tanto alla bicameralità del sistema legislativo, già prevista per l’avviamento indicato nell’art. 38 del Trattato CED, quanto al principio – essenziale e patrocinato con molta tenacia dalla Delegazione italiana – della elezione alla Camera dei Popoli a mezzo di suffragio diretto, universale e segreto. Soltanto la Delegazione olandese ha mantenuto, su quest’ultimo punto, le sue riserve, insistendo per un periodo provvisorio di tre anni con elezione indiretta e subordinando anche dopo tale periodo l’applicazione del principio del suffragio universale all’esistenza di una legge elettorale comune. Quanto al Senato alcune Delegazioni (non perquella italiana) hanno mostrato di ritenere che l’art. 38 del Trattato CED non appare opporsi ad un sistema nel quale la funzione del Senato stesso possa essere assunta da un Consiglio composto da Ministri nazionali. Da parte italiana, invece, nel negare tale interpretazione estensiva, si è insistito per la creazione di un Senato indirettamente eletto dai Parlamenti nazionali del tipo di quello indicato nel progetto di Statuto elaborato dall’Assemblea ad Hoc.
5) Sempre in tema di istituzioni e circa i sistemi per le elezioni alle due Camere, si è rivelata una notevole tendenza ad ammettere il principio paritario per il Senato, senza perche si venisse ad una contemporanea accettazione di un sistema proporzionale corretto, sulla base dell’entità delle popolazioni, per la Camera dei Popoli. Su questo punto la Delegazione italiana, che peraltro è stata quella che ha svolto un’azione maggiormente sostenitrice dei principii contenuti nel progetto di Trattato formulato dall’Assemblea ad Hoc, se ne è invece distanziata, insistendo sul principio, si ripete, della proporzionalità, anziché della ponderazione per la Camera dei Popoli, accettando, peraltro, la parità per il Senato. Occorre qui dire che una novità della Conferenza è stata costituita da un insistente atteggiamento tedesco, per cui il Senato dovrebbe essere formato, come si è accennato, da rappresentanti dei Governi – a simiglianza di quanto avviene per il Bundesrat germanico – ossia, praticamente, da Ministri nazionali identificandosi così in un unico organo il Senato ed il Consiglio dei Ministri nazionali.
6) Circa l’estensione territoriale della futura Comunità, da parte francese e belga è stato messo in chiaro come il progetto di Comunità Politica dovrebbe applicarsi soltanto ai territorii europei degli Stati membri, fermo restando il principio per cui il progetto stesso, nelle sue disposizioni organiche, dovrebbe riservare agli Stati membri la possibilità di estenderne le disposizioni ai territorii o Stati non europei che fanno parte delle loro Comunità nazionali o di cui essi assicurano l’amministrazione o le relazioni internazionali. La Delegazione francese, inoltre, ha pregiudizialmente indicato come essa non intendesse toccare, nel corso della Conferenza, il problema della Saar, pur tenendo a ricordare, sotto forma di una riserva generale, che il Governo francese ritiene necessario che il posto della Saar, in seno alla Comunità Politica, debba essere, ad un certo momento, definita [sic].
Durante l’intera Conferenza non si è fatto alcun preciso accenno all’attività della CECA e non si è mai parlato del problema della ratifica del Trattato CED. Soltanto in conversazioni private da parte belga si è accennato al fatto che tale ratifica appare seguire a Bruxelles il normale avviamento parlamentare.
Il Comunicato finale, con il quale è stato annunciato il termine dei lavori, si è inspirato ad estrema riservatezza e concisione, non desiderando i Sostituti compromettere, in alcun modo, le future decisioni dei sei Ministri degli Affari Esteri. In esso si è soltanto accennato al fatto che i Sostituti hanno raggiunto degli accordi sui punti essenziali delle differenti questioni e che «i risultati ottenuti e l’atmosfera dei lavori fanno ben augurare ulteriori progressi che saranno realizzati sul cammino della creazione di una Comunità Europea».
Circa la riunione dei sei Ministri degli Affari Esteri che avrebbe dovuto tenersi, all’Aja – a norma della decisione di Baden Baden – alla data del 20 ottobre – la durata della Conferenza di Roma e la necessità di un approfondito esame del rapporto finale da essa formulato, hanno reso necessario il suo rinvio ad altra data e cioè, a quanto sembra, al 20 o 25 novembre.
55 1 Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 91, fasc. 7.
55 2 Vedi D. 51.
55 3 Vedi D. 34.
55 4 Resoconto integrale dell’intervento: Compte Rendu in extenso de l’exposé fait par M. Benvenuti au cours de la séance du Comité de Direction è in DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 80.
55 5 Conférence pour la Communauté Politique Européenne, Rome 22 septembre - 9 octobre 1953,Rapport aux Ministres des Affaires Étrangères, Secrétariat, CIR/15, Rome le 9 octobre 1953 (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 91, fasc. 7).
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)
L. Roma, 13 ottobre 1953.
Caro Quaroni,
ho la tua lettera riservata n. 1219 del 5 ottobre(2).
Vedo, retrospettivamente, che ci trovavamo d’accordo sulla valutazione delle due alternative, quella tedesca e quella francese, per un’azione sul piano CED nella questione di Trieste. Dico «retrospettivamente» perché con la decisione alleata dell’8 ottobre(3)questo aspetto della questione risulta, almeno per il momento, superato dagli avvenimenti.
Per quanto riguarda il problema di fondo della integrazione europea nonché quello dei nostri rapporti con la Francia in questo specifico quadro – indipendentemente, cioè, dalla questione triestina – confermo che rimane d’attualità una tua venuta a Roma per discuterne a fondo anche col Presidente. La data esatta dipenderà, ovviamente, dall’andamento dei lavori parlamentari e da altri impegni dell’On. Pella: tra essi la prossima riunione all’Aja. In linea di massima penso che la tua visita potrebbe avere luogo verso la fine del mese. Te ne riscriverò
[Vittorio Zoppi]
56 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 26, fasc. 1.
56 2 Vedi D. 54.
56 3 Dichiarazione anglo-americana su Trieste dell’8 ottobre 1953: FRUS, 1952-1954, Eastern Europe; Soviet Union; Eastern Mediterranean, vol. VIII, D. 130. Si tratta della proposta bilaterale anglo-americana, con cui si annunciava l’intenzione di ritirare le truppe anglo-americane dalla Zona A e di trasferire quest’ultima all’amministrazione italiana. Il testo della proposta fu consegnato da Eden a Brosio e da questi trasmesso a Roma con T. segreto per telefono 366-367/310 - 311 delle ore 21 e 21,10 (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 93, fasc. 4).
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
Appunto segreto 21/3326(2). Roma, 15 ottobre 1953.
Oggetto: Problema triestino e questioni italiane di collaborazione internazionale.
Nel momento attuale, nel quale la polemica internazionale, nei confronti della questione di Trieste è non soltanto non sopita ma trova anzi maggior vigore nelle diverse iniziative, nate in questi ultimissimi giorni, è difficile «fare il punto» nei confronti dei nostri problemi di collaborazione internazionale e di cooperazione italo-americana.
ciò non di meno è evidente che taluni di questi problemi, non soltanto mantengono il loro carattere di attualità ma trovano, anzi, maggior ragione di considerazione e di esame in vista di quanto va verificandosi nel quadro internazionale.
Per quanto direttamente ci concerne, occorre quindi mettere in rilievo:
1) Questione della ratifica del Trattato CED.
Molti sintomi fanno ritenere imminente un nuovo, per non dire decisivo, sforzo del Governo americano, inteso ad ottenere dai Paesi europei interessati una definizione di questo problema, prima della fine dell’anno. In gennaio, infine, il Congresso americano dovrà prendere in esame la basilare questione degli stanziamenti di bilancio nei confronti ed a favore dei Paesi europei. Ora, in America, le critiche di parlamentari e di opinione pubblica, nei riguardi del cosiddetto «immobilismo» o della «non collaborazione» dei Paesi europei vanno sempre piaccentuandosi ed il Governo del generale Eisenhower, qualora a gennaio dovesse presentarsi a mani vuote dinanzi al Congresso, rischierebbe di veder compromesse le sue iniziative, intese a continuare lo sforzo di rafforzamento del bastione europeo. A ciò si aggiunge il fatto che, anche in Europa, il problema della integrazione ha preso, specie dopo la vittoria elettorale del Cancelliere Adenauer e mentre vanno facendosi sempre più vaste le discussioni sul problema tedesco, una nuova particolare vivacità ed importanza. Non per nulla nell’ordine del giorno previsto per la riunione dei tre Ministri degli Affari Esteri di Gran Bretagna, di Francia e degli Stati Uniti che si terrà a Londra il 16 corrente, il problema della CED è stato inserito tra i primissimi e principali punti. In queste condizioni ci chiediamo quale sia e quale debba essere la nostra posizione. Al recente Congresso dell’Aja si sono udite chiaramente alcune voci francesi – prima fra tutte quella del Vice Presidente del Consiglio di Francia, Teitgen, convinto e combattivo europeista – secondo le quali non è lontano il momento, oramai, nel quale il Parlamento di Parigi si deciderà ad affrontare la ratifica del Trattato. È vero che esiste tuttora un grosso problema della Saar alla cui soluzione il Quai d’Orsay si è fino ad oggi attaccato per praticamente spingere avanti nel tempo la questione della CED, ma è anche vero che, tutto sommato, il problema della ratifica ha fatto, in qualche modo, in questi ultimi tempi, progressi in terra di Francia.
Negli altri Paesi interessati (Belgio, Olanda e Lussemburgo) non sembra debbano esistere grossi e sostanziali ostacoli per una finale ratifica.
Corriamo noi il rischio di rimanere nel vagone di coda, con evidenti non piccole conseguenze nei confronti, particolarmente, del Governo e della opinione pubblica degli Stati Uniti? Per ora le connessioni tra il problema di Trieste e quello della ratifica del Trattato sono state molto tempestivamente e molto opportunamente indicate da Vostra Eccellenza nei suoi recentissimi interventi parlamentari(3)ed in termini non già di antitesi ma, per consequenziali, atti a non creare dubbi. La formula, secondo la quale tanto più facilmente la ratifica potrà avvenire quanto pivelocemente si avrà una equa soluzione del problema triestino, ha servito e serve tuttora. Ma non si punegare che, almeno in termini teorici, la nota offerta alleata di farci subentrare al più presto nell’Amministrazione civile e militare della Zona A comincia a giocare nel senso di rendere meno efficienti le nostre riserve ed i nostri ritardi in tema di ratifica parlamentare del Trattato.
Vostra Eccellenza conosce quanto siano state e siano tuttora insistenti e precise, sopratutto, le domande degli uomini del Congresso americano che in questi giorni vediamo numerosi e frequenti a Roma.
Per quanto concerne i termini pratici della questione, ci viene assicurato dai nostri competenti uffici, che il Governo di Vostra Eccellenza, nei suoi primi Consigli di Ministri ebbe ad avviare «in blocco» alle Presidenze delle Camere quei provvedimenti che, a causa delle elezioni politiche e delle susseguenti crisi ministeriali, erano rimasti in sospeso. Tra questi provvedimenti appare compresa la ratifica del Trattato CED, il cui progetto ha già raccolto – sempre a quanto ci viene detto – le firme di quasi tutti i Ministri. Si dovrebbe quindi concludere che un bel giorno, e senza ulteriori specifici interventi, il Trattato (che del resto, come si ricorda, era già stato approvato a notevole maggioranza, dalla Commissione competente della Camera dei Deputati della precedente legislatura) dovrebbe venire in discussione al Parlamento, in sede di Commissioni. Quali le possibilità negli attuali momenti? In linea di massima – e fatta astrazione dalla sicura irremovibile opposizione dei partiti di estrema sinistra – non si prevedevano, fino al momento dello scoppio della crisi triestina, estreme difficoltà, dato che lo stesso partito monarchico appariva non alieno dal concedere la propria approvazione in merito. Ma oggi? Al Ministero degli Affari Esteri non è facile possedere tutti gli elementi per conoscere gli umori e le tendenze del Parlamento nell’attuale complesso momento. Quello perche il Ministero stesso può dire è che, anche e sopratutto allo scopo di evitare il pericolo di restare, ad un certo momento, soli ed in ritardo sulla strada della ratifica, apparirebbe conveniente non intralciare nettamente il normale cammino parlamentare del provvedimento in questione, la cui finale approvazione in aula potrà sempre essere affrettata o ritardata, a seconda delle circostanze.
La questione, comunque, va considerata fin da oggi, sotto i suoi diversi aspetti, proprio per non lasciarci sorprendere dagli avvenimenti e per evitare che un certo giorno dovessimo in gran fretta e disordinatamente spingere il Parlamento alla ratifica con tutti gli inconvenienti, interni ed internazionali, che ciò nonpotrebbe non comportare.
2) Questione della collaborazione militare italo-americana e delle «facilities».
Da molti e lunghi mesi vanno svolgendosi, come è noto, queste delicate trattative italo-americane, relative alla concessione, da parte dell’Italia di «facilities» per l’installazione di attrezzature e di depositi americani, in territorio italiano nel quadro della difesa NATO. Le questioni, a seguito anche di un diretto intervento dell’allora Comandante in capo del Settore Sud-Atlantico, Ammiraglio Carney, ebbe [sic] già a far oggetto di un circostanziato appunto di questa Direzione Generale nello scorso luglio. Ora, nell’avviarci verso l’inverno, il problema stesso – che anch’esso si è trovato, per forza di cose, legato agli sviluppi della questione triestina dovrebbe avviarsi alla sua soluzione. Le conversazioni in merito si sono in questi ultimi tempi, anche per l’intervento diretto e chiarificatore del Ministro della Difesa, intensificate e, si può dire, che con probabilità nelle prossime settimane sarà possibile provvedere alla compilazione definitiva di quell’ «Accordo-ombrello» che appare destinato a coprire e a contenere tutti gli aspetti generali del problema. Mentre si è già raggiunta un’intesa di massima per cui le singole installazioni verranno specificate separatamente in particolari annessi e non già in un unico documento: e ciallo scopo di evitare eventuali critiche e ripercussioni parlamentari e di opinione pubblica.
Su questo argomento è bene aggiungere che talune delle principali e pidelicate installazioni quali quelle previste per il campo di Montichiari (Brescia) e per la base navale di Porto Conte (Sassari) non verranno pieseguite perché, da parte americana vi si è fatta, sia per accordi intervenuti tra gli Stati Uniti ed altri Paesi, sia per il troppo lungo periodo di tempo intercorso, rinunzia.
Anche qui, naturalmente, sorge la domanda se esistano, oggi, difficoltà di carattere politico in funzione sempre del problema triestino, per dare il definitivo «via» alla conclusione degli accordi. In linea di massima pensiamo che, pur immaginando una attenta gradualità nella futura realizzazione di queste «facilities» sia ben difficile e contro-producente, dopo tanto lunga trattativa, rinviare ancora una volta la conclusione: inevitabili sarebbero le reazioni negative degli ambienti diplomatici e militari americani in Italia e, in definitiva, dello stesso Pentagono e del Governo di Washington. Naturalmente – e secondo quanto opportunamente ha indicato il nostro Ministro della Difesa – tutte le «facilities» dovranno sempre essere idealmente inquadrate nel sistema protettivo atlantico anziché in una pura cornice di intese italo-americane, anche se in realtà saranno soltanto le forze degli Stati Uniti ad usufruirne.
Un’ultima parola va infine detta sul fatto che, ad accordo concluso, non potrà non aprirsi la questione concernente l’apporto finanziario italiano necessario per la pratica esecuzione dell’accordo stesso. Già nei precedenti studi connessi con l’argomento, il Ministero della Difesa aveva indicato come prevedibile un impegno da parte nostra di circa 12 miliardi di lire, destinati ad affrontare le spese a noi imputabili (espropri di terreni, completamento di attrezzature, ecc.): ci naturalmente, nel caso di un’effettuazione completa dell’intero programma presentato da parte americana e, quindi, con stanziamenti imputabili a piesercizi.
3) Approvazione parlamentare degli accordi per lo «Status» delle Forze atlantiche.
L’Accordo di Londra del 19 giugno 1951(4) sullo Statuto delle Forze NATO era già stato presentato al Parlamento nella scorsa legislatura, ma non era stato ancora preso in esame.
Anche qui è da domandarsi se sia opportuno che la questione della nostra frontiera orientale abbia o no incidenza sulla sua presentazione alla nuova legislatura. A parere di questa Direzione Generale agli accordi dovrebbe venir dato corso: la loro ratifica costituirebbe la normalizzazione e la chiarificazione delle situazioni giuridiche, derivanti dalla presenza in Italia di truppe NATO, problema la cui importanza sarà accresciuta se le trattative per le «facilities» verranno concluse. Non ci nascondiamo naturalmente peraltro le difficoltà politiche e le questioni di principio che la discussione degli accordi, nelle attuali contingenze, potrebbe sollevare in sede parlamentare, difficoltà che non permettono, si ritiene, di dare per sicura, oggi, l’approvazione degli accordi stessi.
4) Questione degli stanziamenti militari italiani in relazione con la Revisione annuale NATO.
In questi ultimi mesi i nuovi orientamenti, con conseguenti riduzioni di stanziamenti nei bilanci di previsione per i prossimi esercizi, hanno portato a modifiche, di un certo rilievo, nella nostra presentazione dei programmi italiani di difesa NATO in sede internazionale. Per ora la questione non ha sollevato eccessive reazioni ma certamente, nelle prossime settimane o nei prossimi mesi, qualche interrogativo potrà sorgere, sia presso il Comando Supremo SHAPE, sia in sede di Segretariato Generale Atlantico. Anche qui occorre fare attenzione, specie nei confronti americani, che una troppo drastica riduzione dei nostri stanziamenti non comporti – particolarmente dopo una auspicabile equa soluzione del problema triestino – malumori e critiche nei nostri confronti. Si tratta, come si vede, anche in questo caso, di questioni internazionali ed interne, connesse e legate l’una all’altra in maniera particolare.
5) Questione della nostra partecipazione parlamentare alla Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa di Strasburgo.
Si tratta di problema evidentemente non legato a Trieste ma che però costituisce, comunque, a seconda dei suoi sviluppi, un sintomo dell’intensità della nostra volontà di cooperazione in sede internazionale.
Oramai non possiamo oltre tardare nella definitiva ricostruzione della nostra rappresentanza parlamentare a Strasburgo tanto falcidiata dalle recenti nostre elezioni politiche.
Della cosa si è fatto parola, proprio in questi giorni, tanto con il nuovo Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Marchal, quanto con lo stesso Presidente dell’Assemblea Consultiva De Menthon. Si tratta, ora, della compilazione dell’elenco dei nostri rappresentanti per la Camera dei Deputati e per il Senato (in totale 18 membri effettivi e 18 supplenti) a mezzo di contatti e precisazioni che S.E. il Sottosegretario di stato intende prendere con i Presidenti delle nostre due Assemblee perché queste, a norma e secondo la relativa legge esistente, provvedano alle designazioni.
In tale materia sembrerebbe conveniente che il «raggio» dei partiti i cui uomini verrebbero inclusi nella rappresentanza, fosse allargato in modo da comprendere gran parte della Camera, dai demolaburisti ai monarchici.
Quanto alle persone, sembrerebbe utile provvedere perché la nostra rappresentanza stessa fosse composta di elementi di valore e di capacità internazionale, in modo da dare, a Strasburgo, a questa nostra rappresentanza il maggior prestigio.
S.E. l’On. De Gasperi, presentito in merito, si è mostrato egli stesso non contrario a farne parte.
La questione, si ripete, ha carattere di urgenza perché non si esclude che possa aversi già, durante l’inverno, una sessione straordinaria dell’Assemblea Consultiva di Strasburgo.
57 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 15, fasc. 56.
57 2 Diretto per conoscenza anche a Benvenuti, Zoppi e Del Balzo.
57 3 Atti Parlamentari Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta pomeridiana del 6 ottobre 1953, pp. 1496-1507. pp. 1503-1506 e seduta pomeridiana del 9 ottobre 1953, pp. 1752-1755.
57 4 Si tratta della convenzione che regolamenta il delicato aspetto dello statuto delle forze armate dei paesi membri della NATO, fuori dal loro territorio nazionale. Si veda ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1951, pp. 182-183.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
Appunto 20/3346. Roma, 15 ottobre 1953.
Oggetto: Collegamento tra il Regno Unito e la CED.
Il collegamento tra Regno Unito e CED – auspicato, come è noto, sovratutto da parte francese – dovrebbe formare oggetto di due accordi che sono attualmente allo studio del Comitato Interinale della CED. Le relative proposte furono avanzate dal Governo britannico nel febbraio-marzo scorso e sono state successivamente oggetto di scambi di vedute tra il Comitato suddetto e la Gran Bretagna: a seguito di essi la Gran Bretagna ha testé presentato una nuova redazione dei due progetti, redazione che verrà nei prossimi giorni esaminata dal Comitato.
Si riassume qui di seguito il contenuto dei due accordi in questione secondo la loro più recente redazione:
1) Associazione sul piano politico. Essa prevede che, fintantoché il Regno Unito rimarrà legato dagli impegni derivanti dal NATO per quel che riguarda il mantenimento di forze armate in Europa, verrà mantenuta una stretta cooperazione tra CED e Regno Unito. Tale cooperazione si effettuerà sul piano militare secondo accordi stabiliti a parte. Sul piano politico si effettuerà mediante consultazione su questioni di reciproco interesse, ivi compresi il livello e la composizione delle Forze Armate britanniche e della CED poste sotto il Comando del Comandante Supremo Alleato: a tale scopo è previsto a) che un Ministro britannico partecipi alle sedute del Consiglio dei Ministri CED quando questo discuterà problemi interessanti la collaborazione con la Gran Bretagna e b) che il Governo britannico nominerà un Rappresentante presso il Commissariato della CED con compiti di stretto e costante collegamento.
Questa associazione sul piano politico verrebbe sancita in una formale convenzione anziché in una dichiarazione unilaterale britannica come era stato originariamente proposto dal Governo di Londra. Essa sarebbe accompagnata da una «dichiarazione comune» dei Ministri degli Esteri del Regno Unito e dei Paesi CED con la quale la Gran Bretagna accetta di associarsi all’iniziativa per portare la durata del Patto Atlantico da 20 a 50 anni (durata della CED).
2) Cooperazione sul piano militare. L’ultima proposta britannica indica in primo luogo gli scopi a lungo termine da raggiungersi nell’associazione delle rispettive forze armate in Europa; tali scopi si riferiscono ai seguenti settori a) dottrine tattiche e di comando b) organizzazione logistica c) standardizzazione degli equipaggiamenti d) istruzione delle truppe. In secondo luogo sono poi indicati gli impegni che, in merito, potrebbero essere presi fin da ora, e che differiscono secondo le tre armi. Si tratterebbe di linee generali, ritenendo il Governo britannico piadatta allo scopo una intesa non rigida in tale materia suscettibile di graduali sviluppi alla luce dell’esperienza. Secondo la proposta britannica questi principi di cooperazione sul piano militare verrebbero fissati sotto forma di una «dichiarazione politica concordata».
A parte le osservazioni tecniche sugli aspetti militari del problema – che sono state richieste al competente Ministero della Difesa –, si ritiene che i due accordi in questione costituiscano, in linea di massima, un soddisfacente quadro per lo sviluppo dei rapporti di collaborazione tra la CED e la Gran Bretagna. Sono state pertanto confermate alla nostra Delegazione presso la CED le istruzioni, già impartite all’inizio delle trattative, favorevoli in linea di principio all’accettazione degli accordi.
58 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 25, fasc. G.B. CED.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
Appunto segreto 20/3658(2). Roma, 11 novembre 1953.
Oggetto: Ratifica del trattato CED.
Con l’improvviso annuncio della Conferenza delle Bermude, fissata per il 4 dicembre, alla vigilia immediata, cioè, della Conferenza Atlantica del 14 dicembre, ritorna in discussione la questione della ratifica della CED da parte di quei Paesi della Comunità che non hanno ancora portato a termine i lavori parlamentari destinati al raggiungimento di essa.
L’Ambasciatore Tarchiani, nel suo odierno telegramma relativo, appunto, al contenuto dell’incontro delle Bermude, pone in rilievo come i tre «Grandi» dovrebbero, con ogni probabilità, orientare i loro colloqui sulle possibili vie di rafforzamento della Comunità occidentale. È evidente come la ratifica della CED sia destinata ad avere, in tale quadro, una posizione preponderante.
Da parte americana – continua l’Ambasciatore Tarchiani – si comprende come, pur essendo, e di parecchio, aumentate le prospettive di adesione da parte del Parlamento francese, la ratifica stessa non potrebbe avere luogo prima di gennaio. Ma i Tedeschi insistono sull’impossibilità di mantenere a lungo in sospeso gli accordi contrattuali e di lasciare insoluto il problema del riarmo: situazione, questa, che fa prevedere molto probabile una precisa pressione americana per ottenere l’impegno francese alla ratifica stessa.
A quanto sopra si aggiunge la radicata impressione – da tutti noi avuta in questi giorni nei contatti con personalità americane di grande rilievo, quali lo «Speaker» della Camera dei Rappresentanti, Martin ed il Capo di Stato Maggiore Generale, Ammiraglio Radford – per la quale è facilmente immaginabile, nell’attuale entusiasmo americano per la Germania, un futuro orientamento degli Stati Uniti verso una qualche forma di riarmo unilaterale tedesco in caso di fallimento di quell’ultima pressione sui Francesi, per la ratifica CED, che verrà esercitata alle Bermude.
Per quanto riguarda l’Italia, da tempo ci andiamo domandando cosa avverrebbe nella eventualità che ad un certo momento i Francesi si decidessero per l’affermativa (occorre non dimenticare come, a norma della procedura parlamentare in Francia, la ratifica potrebbe essere condotta in porto in pochissime settimane). Noi – come abbiamo scritto altra volta – resteremmo davvero nel vagone di coda, con tutte le conseguenze internazionali, specie nei confronti degli Americani, che è troppo facile immaginare.
La situazione sorta alle nostre frontiere orientali con l’acuirsi della questione di Trieste, è evidentemente destinata ad avere importanti conseguenze e rifrazioni in tema CED, particolarmente nei riguardi delle possibilità parlamentari di una ratifica.
In questa situazione, e data la favorevole circostanza costituita dalla presenza in Roma, in questi giorni, del Capo della nostra Delegazione Permanente per la CED, On. Lombardo, questa Direzione Generale si permette suggerire all’Eccellenza Vostra l’opportunità di una convocazione di una riunione ad alto livello, sotto la Sua presidenza ed alla quale potrebbero prendere parte, oltre all’On. Lombardo, il Ministro della Difesa, On. Taviani, il Capo di Stato Maggiore Generale, Generale Marras e, per il nostro Ministero, il Sottosegretario On. Benvenuti, il Segretario Generale, Il Direttore Generale degli Affari Politici ed il Direttore Generale della Cooperazione Internazionale.
Nella riunione dovrebbero essere prese in considerazione:
l) L’opportunità di far dare inizio, senza indugio, alla procedura parlamentare per la ratifica del Trattato, con il suo inoltro, per il necessario studio da parte delle Competenti Commissioni, almeno ad uno dei due rami del Parlamento.
2) L’opportunità e la possibilità della formulazione di un Protocollo aggiuntivo od applicativo al Trattato, tale da eventualmente permettere la creazione, per l’Italia, anche se in via provvisoria, di posizioni speciali in considerazione della questione di Trieste.
3) L’opportunità e la possibilità di avviare verso i Paesi della Comunità un’azione, in via diplomatica, intesa ad ottenere la loro solidarietà ed il loro appoggio, sempre, nei riguardi della questione della nostra frontiera orientale.
Occorre aggiungere che la riunione in questione avrebbe anche il vantaggio di favorire la determinazione e la definizione della linea di condotta che dovremo assumere nel corso della prossima Conferenza dell’Aja, in tema di Trattato CED.
Si resta, quindi, in attesa di conoscere la decisione che l’Eccellenza Vostra vorrà cortesemente prendere al riguardo.
59 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 25, fasc. Parte generale CED.
59 2 Diretto per conoscenza anche a Benvenuti, Zoppi e Del Balzo, l’appunto reca la sottoscrizioneautografa di Magistrati e la seguente annotazione manoscritta con il timbro e la sigla di Zoppi: «Ho qualche dubbio se convenga fare subito una azione in questo senso».
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI(1)
L. 20/3708. Roma, 16 novembre 1953.
Caro Umberto,
credo che ci vedremo tra pochi giorni alla stazione di Brusselle allorché vi transiteremo, diretti all’Aja da Parigi, nella giornata del 24, partendo dalla capitale francese con il treno delle 11,25 a.m.
Abbiamo ricevuto i tuoi ultimi rapporti sul «Piano Van Zeeland»(2) e sugli interrogativi da esso costà suscitati, nonché sulla situazione CED nei confronti del partito socialista belga.
Qui in tema CED siamo sostanzialmente sempre in alto mare perché, per tutto quel complesso di questioni che ben conosci e che si riassumono nel nome di Trieste, i nostri maggiori parlamentari non si «sentono» di far inoltrare ora il Trattato. E quindi non mi pare che il Governo sia in condizioni, dato e ammesso che ne abbia la volontà, di forzare la mano. Prevedo quindi, agli inizi dell’inverno, settimane non facili specie se, come taluni affermano, gli americani alle Bermude eserciteranno, in argomento, una nuova pressione sulla Francia e se, sopratutto, la discussione parlamentare, che ora si inizia a Parigi, darà risultati favorevoli. Rischieremo cioè, come già dissi l’altra volta, di rimanere nel vagone di coda con addosso tutta la critica americana. Naturalmente su tutta la questione non potrà non esercitare la sua influenza quella conferenza,
o pre-conferenza, su Trieste verso la quale ci stiamo avviando, anche se attraverso remore, soste e dubbi.
Per tornare al Piano Van Zeeland, cosa succede con la mancata adesione sovietica alla proposta Conferenza dei Quattro? È il Piano ancora valido nella sua impostazione di base o, viceversa, manca del suo presupposto essenziale?
È vero naturalmente che la situazione potrebbe riprodursi qualora il vecchio Churchill finisse per persuadere gli altri sull’opportunità di un incontro diretto con gli uomini del Cremlino.
Perché non fai una corsa all’Aja mentre saremo colà tra il 25 ed il 28? Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
60 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.
60 2 Vedi D. 61.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, UFFICIO I(1)
Appunto segreto(2). Roma, 20 novembre 1953.
Oggetto: Piano Van Zeeland. (Aggiornamento dell’Appunto 25.10.53(3)).
In data 25 ottobre, nell’esaminare il Piano Van Zeeland fu rilevato che esso suggeriva tre rilievi preliminari di importanza fondamentale:
a) esso parte evidentemente dal presupposto che la Germania accetti di unirsi essa stessa agli altri firmatari del trattato ventennale che dovrebbe riconoscere di fatto, e garantire, la frontiera Oder-Neisse, cioè lo statu quo.
È questa la chiave di volta del Piano, sul cui funzionamento non si può non essere alquanto scettici. Infatti non più tardi del 20 ottobre Adenauer ha suscitato grandi ovazioni al Bundestag quando ha dichiarato: «Il popolo tedesco non riconoscerà mai la cosidetta frontiera Oder-Neisse». Il Cancelliere ha tuttavia aggiunto che «le questioni connesse con la linea Oder-Neisse non debbono essere risolte con la forza, ma esclusivamente con mezzi pacifici». Ugualmente intransigente è l’atteggiamento dell’opposizione social-democratica.
Da ciò si dovrebbe essere indotti a scetticismo sulla possibilità di una modifica dello statu quo, al quale si finirà per adattarsi, non potendo i tedeschi accettare la linea Oder-Neisse, né i russi sacrificare la Polonia. Come sostiene Lippman, il rischio che nessuno è disposto a correre è quello di vivere con una Germania riunita, riarmata, non occupata e sovrana. Questo sembra essere ugualmente vero a Mosca, Bonn, Parigi, Londra, Bruxelles e Roma.
b) Il Piano rinvia ad avvenuta soluzione del problema tedesco la questione del disarmo. Nel frattempo peresso cristallizza a 12 il numero delle divisioni tedesche da immettere nella CED. Poiché il numero delle divisioni fornito dagli altri Paesi CED è in relazione a quello delle divisioni tedesche, ne consegue che, accettando la limitazione per il contributo militare germanico, si accetta la limitazione agli armamenti della CED. Ora, poiché la CED è parte integrante del NATO, anche la difesa globale atlantica vedrebbe menomate le sue capacità di sviluppo: e ciò senza che, parallelamente, venga imposta alcuna limitazione agli armamenti dell’Unione Sovietica e dei Satelliti.
c) il problema austriaco – per noi particolarmente importante – vi è trattato solo
di riflesso. A questi tre rilievi preliminari ne andava aggiunto un quarto:
d) l’impossibilità per i sovietici di accettare la CED, mentre il Ministro Van Zeeland non solo partiva da essa, ma ne faceva un cardine delle proposte da avanzare ai russi.
Il progetto Van Zeeland parte da premesse sensate ma non le sviluppa perfino a quelle conseguenze che ne sarebbero, secondo la logica, la conclusione necessaria. La premessa è che i sovietici temono l’accerchiamento. Per contro la messa in opera della CED prima delle trattative, e indipendentemente da esse, mal si concilia agli occhi dei russi con tale linea di partenza e di condotta perché i sovietici temono proprio e in primo luogo il riarmo tedesco e perché l’accerchiamento verrebbe inevitabilmente considerato completato anziché attutito malgrado ogni desiderio di assicurare Mosca del contrario. Si poteva supporre che il Signor Van Zeeland avesse in animo di tenere pronta la CED come una nave totalmente allestita sullo scalo senza pervararla in mare. Ma il Ministro è stato esplicito: non potersi in alcun modo rinunziare a riarmarci nel frattempo, mentre sospendere la CED avrebbe significato dare gratuitamente ai russi una vittoria senza nessuna contropartita. Ci si può sempre domandare se l’ostilità pregiudiziale di Mosca alla CED possa essere sormontata dalla prospettiva di una Comunità di Difesa cristallizzata nei limiti del Piano Van Zeeland.
Venne anche osservato che il Piano non era del tutto originale; che era presumibile che il Ministro degli Esteri belga avesse avuto sentore di alcune «idee personali» di Blankehorn per la soluzione del problema tedesco, riferiteci dal Ministro d’Olanda in Roma e che egli ne avesse parlato con gli inglesi; certo aveva discusso la questione con il Dipartimento di Stato e, più recentemente, con i francesi.
Risulta anche che Van Zeeland ha esposto le idee contenute nel suo Piano al Cancelliere Adenauer il quale si limitad ascoltare, rinviando le osservazioni a un momento successivo. Poiché poi, il 20 ottobre, il Cancelliere pronuncila nota frase, sopra riportata, sulla volontà tedesca di non riconoscere mai come definitive le frontiere orientali, vengono affacciate due ipotesi: che tale frase costituisca una risposta indiretta al Piano Van Zeeland; ovvero che essa costituisca una semplice affermazione di principio, ai fini di politica interna, non escludente una maggiore trattabilità tedesca per quanto concerne la situazione dei territori orientali. Van Zeeland propende per la seconda interpretazione.
I quesiti che sorgono dalla Nota Sovietica del 3 novembre(4)nei riguardi del progetto Van Zeeland, sono due: insisterà egli nel mantenerlo invariato malgrado la ferma resistenza sovietica alla CED? In mancanza di una Riunione a Quattro, a quale momento suppone il Ministro che il suo Piano, ammesso che fosse accolto da tutti gli alleati occidentali, potrebbe venire presentato? E quali sono le intese, se pure ne ha, con Churchill?
Dalle prime reazioni alla Nota Sovietica si dovrebbe rispondere affermativamente alla prima domanda; e quanto al momento occorrerà attendere che si decantino le impressioni inglesi.
61 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 16, fasc. CPE, 2.
61 2 Trasmesso con Telespr. segreto Segr. Pol. 2018/c. del 23 novembre alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Copenaghen, Londra, Mosca, Parigi, Vienna e Washington, alla Legazione a L’Aja, alla Rappresentanza presso la NATO a Parigi e, per conoscenza, alla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale, con il seguente commento di Rossi Longhi del 20 novembre: «Ad ogni buon fine, segnalo che il mio collega belga mi ha confidato quanto il Governo americano aveva fatto sapere discretamente a Bruxelles su detto piano: ritenere, cioè, che iniziative del genere, nelle circostanze presenti, rischiavano di complicare le cose ulteriormente».
61 3 Non pubblicato, trasmesso con Telespr. segreto Seg. Pol. 1958/c. del 14 /11 da Giustiniani alle Ambasciate a Bonn, Copenaghen, Londra, Mosca, Parigi, Vienna e Washington, alla Legazione a L’Aja, alla Rappresentanza presso la NATO a Parigi e, per conoscenza, all’Ambasciata a Bruxelles ed alla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale, del seguente tenore: «Per il tramite dell’Ambasciatore a Bruxelles, il Ministro Van Zeeland ha sottoposto il 20 ottobre u.s. all’esame del Presidente Pella un suo “Piano”, in vista di una possibile soluzione del problema tedesco e quindi dei rapporti tra Est ed Ovest. Il Presidente ha avuto occasione di discutere tale Piano con il Ministro Van Zeeland durante l’ultimo viaggio a Parigi per la Conferenza OECE. Pur seguendo con simpatia gli sforzi del Ministro Van Zeeland, non sembra che – dopo la Nota sovietica del 3 corrente – sia il caso da parte nostra di associarsi, almeno per ora all’iniziativa. Comunque il Presidente Pella si ripromette di ritornare in argomento con il Ministro belga in occasione del Consiglio del NATO che si terrà nel prossimo dicembre a Parigi. Per opportuna personale e riservata informazione di V.E., si trasmette copia del Piano Van Zeeland nonché di un appunto d’Ufficio in data 25 ottobre. V.E. tenga presente che, benché il piano sia stato esposto dalla stampa nelle sue linee essenziali, ne abbiamo avuto notizia attraverso comunicazione fatta al Presidente a titolo segreto e personale» (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 76, fasc. 1).
61 4 FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 280.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
Appunto. Roma, 21 novembre 1953.
Oggetto: Conversazioni con i Ministri olandesi circa i problemi della Comunità Politica Europea(2).
Nelle conversazioni che avranno luogo in occasione della visita di V.E. a L’Aja è prevedibile che avranno ampia parte i problemi della Comunità Politica Europea, così come avvenne in occasione della visita del Ministro Beyen a Roma.
Si riassumono qui di seguito la posizione olandese nei riguardi dei principali di tali problemi ed il punto di vista italiano su ciascuno di essi:
1) Attribuzioni economiche della Comunità
Gli olandesi (e i Belgi sono assai vicini a questa loro posizione) hanno fin dai primi contatti in materia di Comunità Politica Europea detto chiaramente, ed in seguito in ogni occasione ribadito, che per essi l’attribuzione alla Comunità di reali poteri in materia economica, in vista di arrivare alla creazione di un mercato comune, costituisce condizione «sine qua non» della loro partecipazione alla Comunità stessa; essi non potrebbero immaginare infatti una Comunità che si limitasse a servire da superstruttura istituzionale alle due Comunità specializzate già esistenti. In tale posizione gli Olandesi sono in antitesi con i Francesi i quali hanno con eguale chiarezza dichiarato che non possono prendere in considerazione «alcun nuovo abbandono di sovranità» e quindi alcuna concessione alla nuova Comunità di poteri reali in materia economica.
Da parte nostra (e le tesi tedesca e lussemburghese ci sono, in questo, vicine) abbiamo sempre dichiarato che anche noi consideriamo essenziale che la Comunità possa disporre fin dall’inizio di poteri reali in detto settore e che ci auguriamo quindi che tali poteri le vengano nel Trattato riconosciuti. La posizione generale nostra al riguardo è quindi positiva, come quella olandese, essendo intesa a far sì che la nuova Comunità abbia attribuzioni e poteri al di là dei settori CECA e CED, cui invece la tesi francese vorrebbe praticamente limitarli. La differenza tra la posizione olandese e la nostra è che essi ne fanno esplicitamente «conditio sine qua non» mentre noi «ci auguriamo» che essa possa realizzarsi.
Ciò premesso, si espongono qui di seguito alcune più dettagliate considerazioni sulle rispettive posizioni nella materia delle attribuzioni economiche della Comunità. La posizione olandese, come è risultata alla Conferenza di Roma si basa sui seguenti punti essenziali:
a)impegno nel Trattato stesso di realizzare in un periodo di tempo prestabilito una «comunità tariffaria»: a tale scopo si propone un dettagliato protocollo speciale da annettere al Trattato stesso;
b)clausole di salvaguardia per le quali l’Esecutivo europeo ha poteri di «decisioni»: parimenti per l’istituzione e il funzionamento di un «fondo europeo»;
c) nel campo dell’armonizzazione della politica economica degli Stati membri, così come in tutte le questioni relative al mercato comune, l’Esecutivo europeo pufare delle «proposizioni»;
d) sono previsti i compiti della Corte e quelli della Commissione consultiva. Da parte italiana si osserva:
a la «comunità tariffaria» è una delle ultime tappe verso il mercato comune che, secondo noi, dovrebbe avere la seguente progressione logica: eliminazione delle restrizioni quantitative, eliminazione dei doppi prezzi e delle misure discriminatorie visibili e invisibili, liberalizzazione delle transazioni invisibili, comunità tariffaria, sistema di salvaguardia, politica finanziaria e monetaria comune nonché adozione di misure atte ad assicurare la libertà dei pagamenti correnti.
Quindi:
1) come progressione riteniamo indispensabile, prima di giungere alla comunità tariffaria, l’adozione di una completa liberalizzazione;
2) le varie tappe devono evolversi progressivamente, non solo: noi riteniamo che il Trattato non possa fissare nei dettagli date e provvedimenti (questo è un punto base olandese) creando un sistema rigido. Non è possibile prevedere nel dettaglio come si svolgerà un fenomeno così complesso come l’evoluzione delle varie economie verso il mercato comune e quindi ci pare piopportuno fissare nel Trattato le grandi linee, ma attenersi ad un sistema elastico che possa tener conto della sua applicazione, delle situazioni particolari che inevitabilmente si manifesteranno tanto dal punto di vista collettivo che da quello dei vari Paesi membri;
b) d’accordo in linea di principio;
c) riteniamo necessario – dato quanto esposto al punto a) – che la Comunità possa anche in altri campi, oltre la salvaguardia ed il «fondo europeo», emettere decisioni e raccomandazioni.
d) d’accordo in linea di principio.
2) Problema dell’Esecutivo Europeo
Il problema dell’Esecutivo sopranazionale della costituenda nuova Comunità è stato e permane uno dei picontroversi. Gli Olandesi hanno finora mantenuto nei riguardi di esso il seguente atteggiamento: il nuovo Esecutivo della Comunità Politica (che naturalmente, secondo detto più sopra al punto 1, esisterebbe solo nel caso che gli venissero affidati poteri reali in materia di integrazione economica) non dovrebbe sovrapporsi ai due già esistenti, Alta Autorità CECA e Commissariato CED: questi manterrebbero la loro fisionomia, la loro responsabilità, i loro poteri quali previsti dal relativo Trattato. Tra i tre Esecutivi così configurati gli Olandesi immaginano un vago coordinamento a mezzo di un organo di collegamento a carattere consultivo. È un atteggiamento prudenziale che naturalmente porta a sminuire l’importanza dell’elemento sovranazionale nella Comunità e a ritardare la spinta europeistica che esso comporta. L’unità nella Comunità sarebbe – secondo la concezione olandese – sottolineata nel Parlamento, nel Consiglio dei Ministri Nazionali e nella Corte di Giustizia che sarebbero unici per le tre Comunità.
Da parte italiana l’esistenza di un Esecutivo sopranazionale di carattere politico, avente – pur nei limiti fissati dal Trattato – libertà di manovra e tutti i necessari poteri, è stata sempre considerata fra gli elementi essenziali del processo integrativo. Partendo dal principio che gli interessi italiani stanno piuttosto in una integrazione generale anziché in integrazioni parziali e realizzate per di più in tempi successivi, e che quindi ci conviene tendere a tale integrazione politica generale, l’assenza di un Esecutivo europeo sovranazionale unico ed efficiente costituisce evidentemente un elemento negativo. È per questo che confidiamo che la posizione olandese potrà, nell’ulteriore seguito dei negoziati, avvicinarsi maggiormente a quella nostra.
Nei contatti che il Ministro Beyen ebbe con V.E. a Parigi in occasione dell’ultima riunione per l’OECE, egli accennad una sua idea di introdurre eventualmente il criterio dell’«identità fisica» tra i membri dell’Esecutivo della Comunità Politica ed i membri del Commissariato CED. Indice questo, certo, – se confermato – di una qualche evoluzione da parte olandese, ma che non sembra, a meno che ulteriori precisazioni non ne chiariscano meglio il senso, ancora soddisfacente.
3) Adozione del principio del suffragio universale diretto per le elezioni della Camera dei Popoli.
Cinque dei Sei Paesi hanno confermato nella Conferenza di Roma il loro accordo senza riserva sul principio che le elezioni alla Camera dei Popoli siano fatte al suffragio universale diretto. Gli olandesi invece hanno subordinato la loro adesione a tale principio a due condizioni: a) che per il primo triennio i rappresentanti alla Camera dei Popoli siano eletti in forma indiretta e precisamente dai Parlamenti nazionali e b) che, dopo tale periodo transitorio, le elezioni abbiano luogo secondo una legge elettorale comune. Tale posizione, che pare sia fermamente sostenuta dal Presidente del Consiglio olandese, verrebbe sovratutto giustificata con la preoccupazione di evitare che larghe rappresentanze di partiti di estrema sinistra giungano al primo parlamento europeo e con il desiderio di far sì che particolari gruppi e tendenze politiche non siano avvantaggiati dall’esistenza di leggi elettorali differenti nei Sei Paesi.
Da parte italiana si guarda invece all’applicazione immediata del principio del suffragio universale diretto come ad altro degli elementi fondamentali di tutto il sistema, in quanto capace di portare al processo di integrazione europea l’impulso vivo dell’interessamento diretto di pilarghi strati dell’opinione pubblica. E si ritiene che, in attesa di una legge elettorale comune, vada lasciata a ciascun Paese la determinazione delle modalità delle elezioni, col che sarà possibile anche andare incontro alla preoccupazione olandese più sopra accennata.
Secondo informazioni recentemente raccolte la posizione olandese su questo punto starebbe evolvendo verso l’abbandono delle suesposte riserve.
62 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. CPE.
62 2 L’appunto, con sottoscrizione autografa di Magistrati, reca la seguente annotazione: «Preparato in occasione della visita di S. E. Pella all’Aja».
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI PELLA(1)
Appunto segreto(2). […], 28 novembre 1953.
TRACCIA DI CONVERSAZIONE PELLA-BIDAULT
Bidault informa che:
1) L’Ambasciatore Luce si rifiuta di compiere altri passi presso il Governo italiano dopo la nostra risposta al passo del 13 novembre(3)perché considera impossibile chiederci maggiori concessioni.
2) Il Ministro Bidault condivide.
3) Il Ministro Bidault condivide il punto di vista del Governo italiano per cui qualsiasi riunione preliminare o conferenza tecnica o politica deve essere preceduta da inizio di esecuzione della decisione dell’8 ottobre(4).
4) M. Bidault considera coraggioso l’atteggiamento Governo Italiano (nel senso che ha dimostrato la massima comprensione all’esterno compatibile colle aspettative interne).
Questo concetto mi risulta condiviso anche da altri (Ambasciatore Luce, van Zeeland e Bech).
5) M. Bidault informa essere intenzione dei 3 alleati di incaricare un grosso uomo politico di andare a Belgrado per convincere Tito ad essere accomodante. Si pensa Attlee ma sembra non abbia accettato.
6) M. Bidault riconosce che la soluzione etnica non può esserediscontinua cioè non ammissibili isole etniche.
7) M Bidault scettico su possibilità varare in Francia la CED così com’è. Pensa a qualche diversa soluzione. Sarà utile per lui per qualche settimana constatare ritardo italiano presentazione ratifica al Parlamento.
8) Punti 3 e 6 illustrati anche a Parodi che ne ha preso atto. A Parodi è stato fatto presente che diniego formula italiana plebiscito potrebbe condurre le cose a un plebiscito ONU.
63 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 107.
63 2 L’appunto, redatto da Magistrati, reca al margine l’annotazione: «Importante» con la sigla di Magistrati ed in calce: «Questo appunto è stato dettato personalmente da S.E. Pella in treno. 28.XI. 1953. Magistrati».
63 3 FRUS, 1952-1954, Eastern Europe; Soviet Union; Eastern Mediterranean, vol. VIII, D. 146, nota 1.
63 4 Vedi D. 56, nota 3.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI
Appunto riservato 21/3905(2). Roma, 30 novembre 1953.
APPUNTO SULLA RIUNIONE DEI SEI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI DELLA COMUNITÀ EUROPEA
(L’Aja, 26-28 novembre 1953)
Nella «Sala dei Cavalieri» della capitale olandese, nel pomeriggio di giovedì 26 novembre 1953, ossia alla data prevista, ha avuto inizio la riunione dei sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea. Presidente di turno, il Ministro degli Esteri del Lussemburgo, Bech, e: per l’Italia, il Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, On. Pella, accompagnato dai Direttori Generali della Cooperazione Internazionale e degli Affari Politici di Palazzo Chigi; per la Repubblica Federale Tedesca, il Cancelliere Adenauer; per i Paesi Bassi, il Ministro degli Esteri Beyen; per il Belgio, il Ministro degli Esteri, Van Zeeland. La Francia è stata rappresentata per i primi due giorni dal Segretario Generale del Quai d’Orsay, Parodi, accompagnato dall’Ambasciatore Alphand e dal Direttore degli Affari Politici Europei, Seydoux, e, soltanto nelle ultime ore della Conferenza, dal Ministro degli Esteri, Bidault. Erano inoltre presenti i «Sostituti» dei sei Ministri, che avevano preso parte alla Conferenza di Villa Aldobrandini, a Roma, del settembre scorso e cioè: per l’Italia, il Sottosegretario agli Esteri, On. Benvenuti; per la Repubblica Federale Tedesca, il Sottosegretario di Stato, Hallstein; per i Paesi Bassi, l’Ambasciatore Starkenborgh; per il Belgio, l’Ambasciatore de Staerke; per il Lussemburgo, il Ministro a Bonn, Majerus. Per la Francia tale incarico appare essere stato assunto, per il momento, dallo stesso Segretario Generale Parodi.
La riunione, direttamente legata con quella di Baden Baden del 7 agosto u.s. e con la Conferenza di Villa Aldobrandini(3), appariva avere, quale suo scopo principale, l’approvazione da parte dei 6 Ministri del «rapporto» compilato dai Sostituti e contenente, in dettaglio, tanto quei punti sui quali un accordo era stato raggiunto dalle sei Delegazioni, quanto gli altri che avevano, invece, suscitato dissensi e differenti interpretazioni. Sull’argomento occorre subito dire che evidentemente da tutte le parti è stato compiuto uno sforzo, senza dubbio notevole, perché, in un momento particolarmente delicato delle discussioni relative all’opportunità o meno della formazione di una Comunità Politica e della definitiva ratifica del Trattato per la CED, la riunione dell’Aja non apparisse negativa, se non addirittura fallimentare. Già a Parigi del resto, al momento del Consiglio dell’OECE, alla fine di ottobre, il Ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, Beyen, aveva fatto comprendere al Presidente Pella come il Governo olandese avrebbe fatto di tutto, anche recedendo da talune sue essenziali e rigide posizioni, perché il nuovo incontro dei sei Ministri degli Esteri fosse apparso in una luce favorevole. E tale intendimento, come si vedrà in seguito, è stato effettivamente tradotto in realtà.
Ciò detto, occorre anche porre in rilievo come su tutta la riunione si sia avuto il permanente riverbero delle complesse ed, in certo momento, drammatiche discussioni sulla CED, svoltesi in seno all’Assemblea Nazionale di Parigi e del voto di fiducia richiesto ed ottenuto, anche se attraverso non pochi stenti, dal Gabinetto Laniel – Bidault(4). È apparso chiaro, infatti, come oramai il problema della ratifica della CED costituisca il perno sul quale è destinata a «girare» tutta la costituenda Comunità Politica Europea: si ha, cioè, sempre pila sensazione che un fallimento della CED stessa non potrebbe non costituire un colpo mortale, almeno per parecchi anni, per quella integrazione europea che è stata immaginata in questi ultimi anni e che, attraverso la CECA, comincia già a trovare le sue prime effettive affermazioni.
Così, all’Aja, in un primo momento, si è verificata una ventata di euforia grazie alle favorevoli notizie pervenute da Bruxelles e relative all’approvazione, da parte di quel Parlamento, a grossa maggioranza, e con netta vittoria del Governo, del Trattato CED. Subito dopo, invece, i contrasti di Parigi e l’assenza, fino all’ultimo momento, del Ministro Bidault dal tavolo della «Sala dei Cavalieri», hanno provocato interrogativi e momenti di sfiducia, dovuti anche alla nervosità indubbiamente regnante tra i numerosissimi giornalisti stranieri convenuti, per l’occasione, nella capitale olandese. Alla fine, il voto favorevole al Governo Laniel ha servito, in un certo modo, a ristabilire l’equilibrio permettendo che la riunione trovasse, nel comunicato finale sui suoi lavori, un certo aspetto costruttivo e non negativo in merito all’avviamento della Comunità Politica. E lo stesso apparire all’orizzonte, proprio negli ultimissimi minuti della riunione stessa, dell’elemento nuovo, costituito dalla Nota sovietica, atta a far intravedere, bene o male, la possibilità di un non lontano incontro tra Occidente ed Oriente, non ha provocato, ai fini delle deliberazioni dei sei Ministri, quel senso di disorientamento e di confusione che forse sarebbe stato normale prevedere.
L’ordine del giorno della riunione indicava, innanzi tutto, l’opportunità di una decisione, per quanto possibile definitiva, da parte dei sei Ministri in merito ai rapporti di colleganza con l’Assemblea ad Hoc – autrice, come è noto, del progetto di Trattato per la futura Comunità Politica – e con il Consiglio d’Europa di Strasburgo. Sul primo punto ed a seguito di una brevissima esposizione fatta dal Presidente della Commissione Costituzionale dell’Assemblea ad Hoc, von Brentano, è stato stabilito che, in avvenire ed in caso di necessità, verranno autorizzati gli opportuni contatti con quei membri della stessa Assemblea il cui apporto, ai fini della compilazione definitiva del futuro Trattato, possa essere giudicato utile e vantaggioso. In altre parole, ed anche se indirettamente, i sei Ministri hanno finito per riconoscere il rinnovo di un certo mandato a quei parlamentari i quali quindi, e secondo il desiderio pivolte manifestato dal Presidente Spaak, potranno continuare praticamente a vedere mantenuta in vita l’Assemblea ad Hoc con la sua Commissione Costituzionale.
Sul secondo punto, nuovo e di notevole interesse, si è verificato un intervento del Vice Presidente dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa, Lord Layton, il quale, per incarico del Presidente de Menthon, ha indicato ai sei Ministri i «desiderata» e gli intendimenti di Strasburgo per vedere maggiormente stretti e definiti i legami destinati ad unire la «piccola Europa» alla «grande Europa» di Strasburgo. Le idee di Lord Layton sono apparse, in merito, alquanto avanzate perché egli, nel prendere lo spunto dal cosidetto «Piano Eden» del 1952(5) ha fatto comprendere come il Consiglio d’Europa intenda oramai occuparsi e preoccuparsi della «piccola Europa» a mezzo di collegamenti che ad un certo punto – ad esempio allorché qualche altro Stato intendesse aderire alla nuova formazione europea – potrebbero divenire anche autorizzazioni e controlli. Affermazioni, queste, che hanno suscitato parecchi interrogativi e forse anche qualche disagio in seno alla riunione, alla quale era anche presente – secondo quanto era stato in precedenza stabilito ed a titolo di «osservatore» – lo stesso Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Marchal. A Lord Layton ha infine risposto, con una certa bonomia, il Presidente Bech, facendo comprendere come la materia fosse di indubbio interesse ma come apparisse ora piuttosto prematura una definizione dei problemi relativi alla coesistenza della «piccola» con la «grande» Europa. Ad ogni modo, e per iniziativa anche del Ministro van Zeeland, attuale Presidente di turno del Comitato dei Ministri di Strasburgo, è stato stabilito che un rapporto sui lavori della piccola Europa verrà presentato a quel Comitato che si riunirà, come è noto, a Parigi l’11 dicembre p.v.
I Ministri sono poi passati a trattare il principale punto dell’ordine del giorno, quello relativo all’esame ed all’approvazione del rapporto compilato dai Sostituti a conclusione della Conferenza di Villa Aldobrandini(6). E qui è stato possibile, sulla base anche di studi e brevi documenti redatti dal Segretariato in merito ai «punti di consenso» ed ai «punti di dissenso» quali apparsi a Villa Aldobrandini, compiere un giro di orizzonte abbastanza vasto sullo stato effettivo dei lavori per la compilazione del futuro Trattato. Ed i sei Ministri, come si è sopra accennato, hanno effettivamente cercato di raggiungere un avvicinamento dei differenti punti di vista nei riguardi tanto delle istituzioni quanto delle attribuzioni della futura Comunità Politica.
Così:
1) È stato definitivamente confermato il principio, già emerso nella riunione di Baden Baden, per cui la Comunità sarà dotata di un sistema bicamerale, composto da una Assemblea, che rappresenterà i popoli che ne faranno parte, e da una Camera Alta, od organo similare, destinata a rappresentare gli Stati membri. La Camera di Popoli sarà eletta a suffragio universale diretto, al momento stesso dell’entrata in vigore del Trattato e secondo modalità che faranno oggetto di uno studio preliminare. In tale maniera sarà possibile – come ha esplicitamente affermato il comunicato finale della riunione – assicurare di colpo, in seno alla Comunità, un controllo democratico efficace.
2) Circa l’organizzazione esecutiva della Comunità, che sarà caratterizzata dal mantenimento dell’equilibrio tra l’elemento nazionale e l’elemento sopranazionale, appare raggiunto l’accordo di massima per cui il primo di tali elementi sarà rappresentato dal Consiglio dei Ministri Nazionali, mentre l’altro troverà la sua realizzazione in un organo nuovo guidato da un Presidente e destinato ad inglobare, con modalità che verranno in seguito definite, gli organi esecutivi delle Comunità già esistenti.
3) Circa la Corte di Giustizia è stato approvato il principio che essa sarà «unica». Una commissione di giuristi esaminerà, sulla base del progetto di Trattato compilato dalla Assemblea ad Hoc, l’insieme dei problemi posti dalla creazione di una tale istituzione.
4) Circa le attribuzioni di carattere economico i Ministri si sono trovati d’accordo nel confermare gli obiettivi generali di tale settore, relativi all’espansione ed all’accrescimento della produzione, al miglioramento del livello di vita, allo sviluppo dell’impiego di mano d’opera ed, infine, alla realizzazione finale costituita dalla creazione di un mercato comune: enunciazioni, queste, di massima rimaste, per fino ad oggi – a causa dell’estrema circospezione manifestata, in tale settore, da alcuni Paesi a cominciare dalla Francia – molto, per non dire troppo, vaghe.
Su quest’ultimo argomento l’atteggiamento italiano è sempre stato, come è noto, favorevole a venire incontro all’iniziativa dei paesi del Benelux per cui difficilmente una Comunità Politica dei sei Paesi potrebbe vivere e svilupparsi se le sue attribuzioni non si estendessero di fatto al settore economico. A l’Aja il Rappresentante italiano, Presidente Pella, ha ripetuto tale concetto e ha aggiunto: «La posizione italiana a tale riguardo è aperta a tutte le possibilità per il raggiungimento di quella soluzione che sia la pivantaggiosa. Noi ci rendiamo conto, al tempo stesso, tanto delle necessità – sentite in modo particolare da taluni Paesi – di sottolineare, a mezzo di impegni precisi, i nuovi compiti economici della Comunità, quanto delle difficoltà – sentite particolarmente da altri – di tracciare con precisione già da ora il procedimento che la Comunità stessa dovrà seguire per realizzare questi compiti. E noi siamo sensibili tanto all’esigenza di non limitare la nuova Comunità ad una semplice superstruttura istituzionale delle Comunità che già esistono, quanto all’esigenza di non trasformare il Trattato – che noi immaginiamo piuttosto come uno Statuto, una Carta costituzionale della nuova Europa – in un accordo economico di carattere particolarmente tecnico».
Circa la continuazione dei lavori i sei Ministri, consci della necessità che oramai si debba procedere sopratutto sul terreno tecnico, limitando le decisioni politiche ad alto livello a riunioni ministeriali che, per evidenti motivi, potranno verificarsi soltanto tre o quattro volte l’anno, hanno deciso di dare vita ad una «Commissione» affidata ai Sostituti e composta in prevalenza di esperti. Essa si riunirà durante i mesi invernali a Parigi per procedere ad un avvicinamento dei punti di vista tuttora distanti l’uno dall’altro ed alla compilazione di un nuovo rapporto che verrà presentato ai Ministri stessi in una riunione che si terrà a Bruxelles alla data del 30 marzo 1954.
L’ordine del giorno conteneva, infine, su richiesta italiana intesa a mantenere viva una opportuna tradizione già stabilitasi, nel corso del 1953, con le riunioni di Parigi e di Baden Baden, uno scambio di idee su questioni politiche interessanti i sei Paesi. È stato così possibile al Rappresentante italiano compiere – su specifica richiesta del Cancelliere Adenauer – un intervento piuttosto vasto sugli sviluppi della questione di Trieste(7)ed al quale il Presidente Pella ha fatto precedere le seguenti parole: «Permettetemi di esporre alcuni elementi della questione di Trieste. Cifacendo, io credo di adempiere ad un duplice dovere: uno nei confronti del popolo italiano le cui ragioni ed esigenze sono troppo sovente falsate; l’altro nei riguardi della nascente Comunità che ha un evidente interesse ad ottenere ogni informazione su questioni che hanno una influenza diretta sulla evoluzione politica in quel settore del mondo».
Ciò detto egli ha, dopo un’esposizione degli avvenimenti che hanno preceduto e seguito la decisione alleata del1’8 ottobre 1953(8) e dopo aver ricordato come per ben tre volte, ed inutilmente, il Governo italiano avesse, in un recente passato, tentato il cammino degli accordi diretti con il Governo di Belgrado, indicato – con argomenti di notevole efficacia e che sono apparsi nuovi a non pochi degli ascoltatori – come sia oggi lecito domandarsi se quel Governo abbia mai avuto la reale intenzione di veramente inserirsi nella difesa dell’occidente e quindi di inoltrarsi sulla via della collaborazione con le Nazioni democratiche. Si dovrebbe piuttosto immaginare l’esistenza, in seno agli ambienti politici jugoslavi, di talune tendenze tipiche costanti qualsiasi possa essere il regime al potere a Belgrado. Ci troviamo, cioè, dinanzi ad un tentativo, di vecchia tradizione, inteso alla creazione di una «terza forza» nei Balcani e di cui recentemente abbiamo avuto nuova prova negli intendimenti nutriti dal Governo jugoslavo in merito al Patto Balcanico di recente attuazione. In conclusione è oggi ben lecito chiedersi se una equa soluzione del problema di Trieste possa veramente incontrare l’approvazione di Belgrado e se questo, viceversa, non preferisca prolungare la situazione attuale per mantenere viva una sua speciale posizione, non certo favorevole, in definitiva, agli interessi dell’occidente. L’Italia, invece, ha accettato la proposta alleata del 13 novembre ed è pronta a recarsi alla Conferenza che è stata proposta perché, così facendo, essa crede di servire efficacemente la causa della collaborazione e della pace in Europa.
In riassunto:
1) La riunione de L’Aja, come si è visto subito dopo nelle interpretazioni giornalistiche, non ha avuto, in complesso, una «buona stampa». In realtà, invece, essa nello svolgimento dei suoi lavori, non ha rappresentato un vero e proprio punto di arresto nel corso, indubbiamente delicato, difficile e forzatamente lento, dell’azione che dovrebbe un bel giorno portare alla creazione della Comunità Europea. Il prossimo avvenire e sopratutto il problema della ratifica del Trattato CED da parte di Paesi importanti quali la Francia e l’Italia (è interessante notare come, nel corso della riunione, non si sia mai fatto diretto e preciso accenno ad una tale ratifica) diranno quale sorte sia riservata ai futuri lavori. Oggi, per come si è visto, alcuni punti di intesa sono stati effettivamente raggiunti e se sarà complesso e non facile raggiungerne velocemente altri, altrettanto difficile e pericoloso sarà annullare e smentire quanto è stato possibile fino ad oggi raggiungere. Un proclamato fallimento dell’idea dell’integrazione europea potrebbe avere larghe conseguenze in merito alla stessa collaborazione tra l’Europa e gli Stati Uniti.
2) Gli olandesi, come anche si è sopra accennato, danno prova di uno spirito di maggiore comprensione ed avvicinamento. Essi, in sostanza, stanno abbandonando poco a poco quella posizione originaria e pregiudiziale, per cui, qualora non fosse possibile estendere al campo economico le attribuzioni della futura Comunità Politica, sarebbe meglio attenersi alle due Comunità di settore esistenti, senza addivenire ad una «coiffe» politica e senza quindi la costituzione di un nuovo Esecutivo sopranazionale. Si tratta di una evoluzione di indubbia importanza in quanto destinata ad effettivamente facilitare le cose. Gli Olandesi, inoltre, anche se ancora con qualche vaghezza, hanno finito, in tema di elezioni alla Camera dei Popoli, per togliere la loro riserva, rimasta isolata, in merito al sistema elettorale basato, fin dal primo momento, su elezioni a suffragio diretto e generale.
3) I Belgi continuano ad insistere molto, ed oggi più ditutti, sulle attribuzioni economiche della futura Comunità. Ma comunque il Governo di Bruxelles, in vista delle elezioni politiche generali, che avranno luogo in Belgio nei prossimi mesi, ed in considerazione del notevole successo da esso ottenuto alla Camera per la ratifica del Trattato CED, appare giocare molto, in questo momento, la carta «europeista». Molto piprudente e timoroso per la sua futura sorte appare il Lussemburgo.
4) È la Francia il Paese sempre maggiormente guardingo e pieno di riserve e di attese. Le difficili discussioni di Parigi hanno posto la Delegazione francese, tutta imperniata sui funzionari del Quai d’Orsay, in posizione particolarmente delicata. Né l’arrivo a L’Aja, all’ultimo momento, del Ministro Bidault (il quale, evidentemente, è venuto alla Conferenza anche, se non sopratutto, per incontrarsi, ai margini, con il Cancelliere Adenauer per trattare con lui, alla presenza dell’Alto Commissario in Germania François-Poncet, giunto anch’egli a L’Aja, la questione della Saar) ha servito ad alleggerire la posizione. Comunque i francesi, nei loro rari e sporadici interventi, hanno tenuto a mettere molto in rilievo – e non a torto – l’importanza che potrà avere su tutto il meccanismo della futura Comunità e sulla sua attività, l’esistenza di una Camera dei Popoli eletta a suffragio diretto e generale.
5) Calmi e non molto loquaci i tedeschi (il Cancelliere Adenauer non ha quasi mai preso la parola, lasciando al suo collaboratore e Sostituto Hallstein il compito di entrare nei dettagli tecnici della discussione). Anche qui, evidentemente, il problema della Saar deve essere apparso al Governo di Bonn come il più importante da discutere, anche se in sede separata con i francesi, nella capitale olandese. Esso comunque appare sentirsi piuttosto sicuro e desideroso particolarmente, in tutte queste complicate questioni relative all’integrazione europea, di mettere in movimento una nuova situazione basata sull’applicazione degli accordi tedesco-alleati di Bonn.
6) Da parte americana nessun preciso intervento. Il Signor Bruce «Ambasciatore presso la Comunità Europea» ha preferito non recarsi a L’Aja dove si è fatto sostituire, nei corridoi della Conferenza, dal suo collaboratore Cleveland. Nel complesso, negli ambienti americani, sopratutto di stampa, l’andamento di tutto il problema appare troppo lento e le discussioni all’Assemblea Nazionale di Parigi hanno costituito, per essi, un nuovo elemento di disillusione. Un giornalista americano, di solito bene inspirato nei confronti dell’Europa, ha finito per ironicamente concludere: «Andiamo proprio bene. Continuando così possiamo sperare di avere l’Europa unita tra una trentina d’anni!».
64 1 DGCI, Uff. II, 1951-1954, b. 82, fasc. CPE
64 2 Il documento reca la seguente annotazione: «Per il ministro Del Balzo» e la sigla di Del Balzo.
64 3 Vedi D. 34 e DD. 51-55.
64 4 Vedi D. 65.
64 5 Ci si riferisce al memorandum presentato dal Ministro degli Affari Esteri britannico, Anthony Eden, il 19 marzo 1952, in seno alla decima sessione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, volto ad assorbire le istituzioni della CED e della CPE nel Consiglio d’Europa, consentendo così alla Gran Bretagna di mantenersi legata alle Comunità europee, senza entrarne a far parte. Si veda ISPI, Annuario di politica Internazionale, 1952, pp. 211-213.
64 6 Vedi D. 55, nota 4.
64 7 Per il testo completo del discorso vedi D. 66.
64 8 Vedi D. 56, nota 3.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
R. 1445(2). Parigi, 30 novembre 1953.
Oggetto: Esercito europeo - Conferenza Bermude.
Signor Ministro,
riferira parte sui retroscena di questo caotico dibattito sulla politica estera alla Camera francese: per il momento mi limito a riassumere quello che, a mio avviso, ne è il significato.
Non occorre precisare che, se il Governo Laniel non è caduto adesso, è soltanto perché, tanto, se ne dovrà andare lo stesso fra un mesetto: ed egualmente fra un mesetto se ne sarebbe dovuto andare il suo successore. La caduta di un Governo francese, più
o meno, non avrebbe certo avuta una grande importanza: quello che è assai più grave è che, temo, nel corso dell’ultimo dibattito alla Camera francese, è la CED che è caduta.
Il voto è stato confuso: non tutti quelli che hanno votato contro la mozione socialista (europeista in fondo) hanno votato contro l’Europa: ma anche non tutti quelli che hanno votato in favore della seconda mozione, più che vaga ed equivoca del resto, hanno votato in favore dell’Europa. Bisogna ormai riconoscere che alla Camera francese, oggi, non c’è maggioranza a favore della CED – nella sua forma attuale – e non c’è maggioranza per una politica di «renversement des alliances» ossia per una politica estera che sia nettamente antieuropea ed antiatlantica. E c’è poca speranza, per non dire nessuna, di vedere spostarsi la maggioranza in favore della CED. L’incidente Bidault è stato senza dubbio un elemento sfavorevole, ma sarebbe un errore attribuirgli un’importanza decisiva. Sono passati i tempi in cui un discorso poteva spostare le maggioranze: purtroppo le posizioni sono prese e lo scarto possibile è minimo.
La Conferenza a Quattro, se la si tiene e se dovesse, contro molte previsioni, fra cui le mie, arrivare ad un risultato concreto per quello che concerne l’Europa, potrebbe essere, se mai, il seppellimento definitivo della CED. Se essa fallisce, essa metterà in gravi difficoltà quelli, e sono molti, che discutono anche il principio del riarmo tedesco: ma non farà gran che mutare le opposizioni parlamentari alla forma attuale della CED.
Le alternative, che si pongono davanti al futuro Governo francese, dopo le elezioni presidenziali, sono due: o indire delle nuove elezioni o adottare un’altra politica dell’Europa e della CED.
Nuove elezioni. Evidentemente è difficile chiedere ad un Governo e ad una Camera di indire delle nuove elezioni per decidere di una questione, sia pure importantissima, di politica estera: se ci si arriverà – e non è affatto escluso che ci si arrivi – non sarà soltanto per la questione della CED; sarà per il fatto che questa Camera è o sembra incapace di esprimere una maggioranza di destra o di sinistra, e che non è possibile andare avanti ancora per molto tempo senza correre rischi gravissimi, non prendendo alcuna posizione su tutte le gravi questioni di carattere sociale, economico ed amministrativo, che mettono a repentaglio, a lungo andare, la vita stessa del Paese. Ma dal punto di vista CED non è affatto sicuro che il risultato delle elezioni sarebbe positivo. Dire che cosa pensa veramente l’opinione pubblica di un Paese complesso come la Francia, non è facile: gli europeisti dicono che il Paese è con loro: gli antieuropeisti dicono il contrario. La mia opinione, in quanto è possibile averne, è che il Paese non ci ha capito e non ci capisce niente; che se la CED venisse spiegata veramente bene al Paese, esso probabilmente finirebbe per capire e per rassegnarcisi: per siccome gli uomini che dovrebbero spiegarla al Paese sono quegli stessi che non sono mai riusciti a spiegarla come si deve, non dico al Parlamento, ma nemmeno alla Commissione per gli Affari Esteri, così non oso essere troppo ottimista sul risultato delle elezioni, ai fini della CED per lo meno.
Un’altra politica dell’Europa e della CED. Quella, che è stata battuta alla Camera francese, è infatti la CED, quale essa è: l’impostazione federale dell’Europa, l’Europa dei due Schuman, di Teitgen e co. Per altre forme di organizzazione europea, sia nel campo della CED sia nel campo dell’autorità politica, per quelle formule che vanno sotto il nome generale di formule confederali, la maggioranza ci sarebbe, ed anche una maggioranza considerevole.
So già quale è, a questo riguardo, la risposta dei federalisti sia italiani sia stranieri: se non c’è federalismo, non si conclude niente di positivo. Sono anch’io d’accordo nel desiderare un’Europa federale: resta però il fatto che, senza la Francia, l’Europa a Sei non si pufare, e che il Parlamento francese l’impostazione federale non l’accetta: sarà idiota, non lo discuto, ma non è detto che i Parlamenti debbano mostrarsi sempre intelligenti. Ora è perfettamente inutile che gli illuminati federalisti francesi siano in prima fila a sbraitare per il mondo che bisogna battersi a fondo per il federalismo. Se non riescono, come non riescono, a farsi seguire dal loro Parlamento e dal loro Paese, le loro intenzioni non sono che delle ottime intenzioni. Nessuno riuscirà, a questo punto, a persuadermi che un’organizzazione confederale dell’Europa non sarebbe meglio di niente, e che non sarà sempre pifacile fare evolvere una confederazione verso la federazione, piuttosto che far scaturire dal niente una federazione, un giorno.
Intanto, attualmente, con l’annuncio della Conferenza a Quattro, la questione della CED è destinata, del resto, a rientrare nel frigidaire.
Come V.E. sa, personalmente, non credo affatto alla volontà russa di arrivare né ad una distensione sul serio, né all’unificazione della Germania, nemmeno in cambio dell’abbandono della CED. Quello che è certo perè che tutte le insistenze di Foster Dulles non riusciranno a far fare al Parlamento francese un passo avanti sulla questione europea fino alla fine della Conferenza a Quattro. Anzi Dulles, se tira troppo la corda, riuscirà a provocare qui una crisi gravissima e forse insanabile della politica non solo europea, ma atlantica.
La posizione della Francia alle Bermude non sarà né facile, né forte. Bidault, per convinzione sua personale e per esigenze del suo Partito, sarà portato a propendere per le tesi americane: la CED non si discute. Non so se Laniel abbia su questo argomento delle opinioni personali: certo sarà sensibile all’atmosfera parlamentare che, sia pure con sfumature differenti, è invece per la tesi Churchill di tentare cioè ad ogni costo la conversazione e l’accordo con i Russi. Non è affatto da escludere che ci sia una crisi interna del Gabinetto francese prima della Conferenza delle Bermude: è probabile che alle Bermude i due Rappresentanti della Francia tengano atteggiamenti e linguaggi differenti: è dubbio che Bidault, come che vadano le cose, possa continuare ad essere il Ministro degli Esteri del Governo che succederà, verso la fine del mese, al Governo Laniel.
Siamo purtroppo entrati in un momento estremamente grave e complesso: è in atto una crisi grave che può avere le conseguenze piserie: ne puuscire – e mi creda che non esagero – una crisi fatale per tutta la politica non solo europea ripeto, ma anche atlantica. E purtroppo ad affrontare questa crisi si trovano, da parte dei tre occidentali, degli uomini che hanno già dimostrato di non essere all’altezza delle loro responsabilità.
Per quello che riguarda il problema di Trieste, che ci è pivicino, non ho l’impressione che la nota russa abbia semplificata una situazione che già di per sé stessa era tutt’altro che semplice: andiamo incontro ad almeno due eventualità, tutte e due altrettanto spiacevoli per noi e piene di incognite. L’una è che, di fronte a tutti questi avvenimenti maggiori, nessuno abbia tempo e voglia di occuparsi ancora della questione di Trieste e che quindi essa ritorni nel frigidaire; l’altra è che, se la conferenza si svolge in modo comunque costruttivo, la questione di Trieste finisca essa stessa sull’agenda della Conferenza a Quattro.
Non sarà purtroppo una di quelle situazioni che si chiariscono in pochi giorni. È una situazione che, per quello che ci concerne, domanda più che mai che noi tiriamo i remi in barca. Mai come oggi, temo, è stato per noi così pericoloso mescolare politica interna e politica estera: bisognerà che teniamo i nervi a posto e che abbiamo il coraggio di stare a vedere come si mettono le cose.
La prego di credermi, con profondo ossequio,
P. Quaroni
65 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 16, fasc. 11.4.
65 2 Il documento reca il visto di Pella ed il visto e la sigla di Zoppi.
IL SEGRETARIO DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELLA CECA, CALMES, AI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI DELLA COMUNITÀ EUROPEA(1)
L. CM/S (53) 7398-7404. Lussemburgo, 1° dicembre 1953.
Monsieur le Ministre,
J’ai l’honneur de vous remettre le texte de l’exposé sur le problème de Trieste, fait, au cours de la séance du 28 novembre 1953 de la Conférence de La Haye(2), par M.Pella, Président du Conseil et Ministre des Affaires Étrangères d’Italie.
Je vous prie de croire, Monsieur le Ministre, à l’expression de ma plus haute considération.
[Christian Calmes]
Allegato
CONFÉRENCE DES MINISTRES DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES La Haye, 26-28 novembre 1953 P (53) 5 Doc., Séance 3. Luxembourg, le 30 novembre 1953.
EXPOSÉ DE S.E. M. PELLA SUR LA QUESTION DE TRIESTE
Je tiens à vous remercier M. le Président de l’occasion que, à la demande de M. le Chancelier Adenauer, vous m’offrez de vous donner quelques indications sur le problème de Trieste. Il me semble, que par-là, je m’acquitte d’un double devoir: l’un vis-à-vis du peuple italien, dont les mobiles et les exigences au sujet de ce problème sont trop souvent faussées dans certains milieux de la presse et de l’opinion publique internationales. L’autre, à l’égard de la Communauté naissante, qui a un évident intérêt à obtenir des informations sur des questions qui ont une influence aussi directe sur l’évolution politique dans ce secteur du monde.
La question de Trieste représente pour l’Italie une exigence de caractère national. C’est avec amertume que j’ai quelquefois entendu parler d’un « impérialisme » italien. On oublie souvent que le problème de Trieste s’est déjà présenté quand l’Italie n’avait encore atteint que partiellement son unité. Qu’il me soit permis de rappeler que, déjà vers la moitié du siècle dernier, les habitants de la Venezia Giulia soulevèrent la cause de leur nationalité et demandèrent que les territoires qu’ils habitaient fussent réunis à la mère patrie.
À la fin de la première guerre mondiale, qui a été pour nous la dernière guerre du « Risorgimento », le Président Wilson dont les sympathies pour la cause yougoslave étaient notoires, indiqua la frontière qu’il considérait comme équitable pour l’Italie dans les territoires de la Venezia Giulia: c’est la frontière qui précisément porte le nom de « ligne Wilson ».
Mais, les frontières définitives entre la Yougoslavie et l’Italie furent ensuite fixées d’un commun accord entre les deux pays, à la suite de libres négociations.
En 1946, les exigences de la politique d’apaisement que l’on croyait devoir suivre envers la Russie soviétique, amenèrent les Puissances alliées à approuver l’annexion à la Yougoslavie de vastes territoires considérés jusqu’alors comme italiens, et, en même temps, à soumettre à une administration spéciale une autre partie de ces territoires.
Je désire souligner ici que lorsque l’on parle de Territoire libre de Trieste, on parle seulement d’une partie du Territoire que la ligne Wilson et les négociations avec la Yougoslavie avaient donné à l’Italie en 1919.
Le caractère nettement italien des zones qui composent le Territoire libre de Trieste a toutefois été reconnu solennellement et formellement par les Gouvernements Britannique, Français et des États-Unis au cours de ces dernières années, et il est à remarquer que, en 1948, à l’occasion de la déclaration tripartite(3), le caractère italien du territoire fut reconnu par le Gouvernement travailliste britannique et par l’administration démocrate américaine; par la déclaration du 8 octobre dernier(4), tant le Gouvernement conservateur britannique que l’administration républicaine des États-Unis l’ont à leur tour reconnu. On peut donc affirmer que le caractère italien de ce territoire a été reconnu par la totalité de l’opinion responsable en Angleterre et aux États-Unis.
Le problème de Trieste n’ayant pas été résolu, il s’en est suivi une situation extrêmement délicate.
Les douloureux événements survenus entre le 4 et le 7 novembre, en sont une preuve évidente. On a parlé à ce propos de coups de main de conspiration, d’agents provocateurs. Les éléments qu’on a può recueillir (témoins oculaires, films, photos) prouvent le contraire et confirment le danger que l’on court en laissant ainsi traîner une situation insoutenable. Du cé italien, il n’y a, en ce qui concerne ces événements, qu’un désir, qu’une attente très ferme: c’est que la lumière la plus complète et la plus objective soit faite.
Il a été dit que l’Italie formulait vis-à-vis de la Yougoslavie des prétentions excessives et qu’elle s’était toujours refusée à résoudre la question de Trieste par des négociations directes avec Belgrade.
Je rappellerai à la fin de cette intervention que nous proposons des formules de plébiscite à caractère définitif, surtout dans l’intention de démontrer la bonne volonté de l’Italie.
Mais, quant aux négociations directes, il est suffisant de rappeler que, entre 1950 et 1953, le Gouvernement italien s’est, par trois fois, efforcé de s’engager sur la voie d’accords directs avec le Gouvernement yougoslave pour prouver que ces insinuations dénonçant le manque de bonne volonté de l’Italie étaient dénuées de fondement.
Il est inutile d’exposer dans tous les détails les phases et les résultats négatifs de ces conversations; mais il vaut la peine de souligner que la faillite complète de ces négociations a été, dans les trois occasions susdites provoquée par un double ordre de motifs: d’une part les prétentionsavancées par la Yougoslavie étaient de nature telle qu’elles ne pouvaient être acceptées par aucun Gouvernement italien responsable; d’autre part, la Yougoslavie montrait d’une façon absolument évidente le manque de toute volonté effective d’arriver à un accord.
En même temps, le Gouvernement de Belgrade, et les Alliés l’avaient déjà souligné en 1948, a transformé l’administration provisoire qui lui avait été confiée dans la Zone B du Territoire Libre, en une véritable annexion, violant les droits les plus fondamentaux des habitants; il a cherché par-là, à mettre cette partie du Territoire hors de discussion dans les négociations futures.
La décision anglo-américaine du 8 octobre a soulevé en Yougoslavie des réactions d’une telle violence que les Gouvernements occidentaux ont può avoir une preuve bien claire, quoique déconcertante de cette soi-disant « bonne volonté » du Gouvernement yougoslave.
À la suite de cette réaction, il y a eu un temps d’arrêt et les Gouvernements alliés, tout en confirmant leur intention de mettre à exécution la décision du 8 octobre, ont essayé la vie d’une conférence entre les signataires de la déclaration tripartite et les deux États directement intéressés pour atteindre une solution définitive.
Le Gouvernement italien s’est décidé à accepter l’invitation à cette conférence dans la conviction surtout, qu’aucun effort ne doit être négligé pour consolider la sécurité de l’Europe libre. Il pense, en effet, qu’une solution équitable de la question de Trieste aurait une influence des plus efficaces pour hâter la ratification par le Parlement italien des accords de la Communauté Européenne de Défense.
Il est désormais reconnu qu’un accord entre la Yougoslavie et l’Italie est une condition indispensable pour la création d’un système de sécurité dans le sud-est européen.
Si le Gouvernement de Belgrade a réellement l’intention de s’insérer dans le système défensif européen, il pourra le prouver en acceptant de participer à la Conférence, dans un esprit constructif.
Mais il est permis de se demander si le Gouvernement de Belgrade est animé d’une réelle intention de s’insérer dans notre système de défense. Il est aisé de constater l’existence, dans les milieux politiques yougoslaves des tendances typiques et constantes, quel que soit le régime au pouvoir.
Même avant que l’État yougoslave ne devînt une réalité historique, le roi Pierre de Serbie indiquait dans son futur royaume le noyau d’une vaste Fédération Balkanique, que Belgrade pensait promouvoir et ensuite guider.
L’attitude de Tito, au lendemain même de son accession au pouvoir, et les accords qu’il conclut avec Dimitrov en 1947, sont une preuve suffisante pour confirmer non seulement que cette tradition reste bien vivante à Belgrade, mais aussi, que le nouveau régime la considère comme tout à fait compatible avec sa propre doctrine.
Ce programme balkanique de la Yougoslavie, qui était inacceptable pour Staline ainsi qu’il l’avait été pour la Russie des Tzars, constitua la raison véritable de la rupture entre la Yougoslavie et l’URSS en 1948. On a cru pouvoir présenter la défection de Tito non comme la conséquence d’un choc entre deux États impérialistes, mais plut comme la rébellion d’un peuple soucieux de son indépendance contre une puissance qui voulait le subjuguer. Un conflit politique fut présenté comme une divergence idéologique; on crut avoir assuré à la cause de la défense de notre civilisation chrétienne l’aide d’un allié précieux et on lui accorda une large aide économique et militaire, dans l’espoir d’encourager d’autres satellites de Moscou à suivre l’exemple yougoslave.
La Yougoslavie se montra dès le début très réservée en face de cette position occidentale. Elle accepta l’aide qui lui était offerte, mais elle ne donna rien en échange, aussi bien au point de vue idéologique que politique et militaire. Dans ses rapports avec l’Italie, elle s’inspira d’une attitude d’intransigeance la plus absolue.
Néanmoins, au début de cette année, les efforts pour amener la Yougoslavie à une collaboration dans la défense de l’Occident semblaient avoir abouti à un résultat positif. Ce fut au moment de la conclusion de l’entente entre Athènes, Ankara et Belgrade. L’Italie approuva cette entente régionale qui apparaissait utile pour renforcer la défense de deux alliés la Grèce et la Turquie. Mais les conversations de caractère militaire qui entre temps, se déroulaient à Belgrade entre l’État Major yougoslave et les représentants militaires alliés marquèrent une faillite totale; ainsi fut démontrée l’aversion de la Yougoslavie à donner des renseignements sur ses forces et ses plans militaires.
D’autre part la Yougoslavie, aussit l’entente signée et ratifiée, démontra d’une façon très claire qu’elle ne l’interprétait pas comme un accord pour la défense d’un secteur européen, mais plut comme un moyen d’action politique.
En effet, dès le printemps passé, les hommes politiques yougoslaves ont toujours insisté sur le caractère exclusivement balkanique de l’entente, avec la tendance évidente d’y établir la prépondérance des intérêts yougoslaves.
De l’attitude des dirigeants de Belgrade ressort aussi la tendance à placer la Yougoslavie dans une position idéologique et politique de « troisième force » entre l’Orient et l’Occident. Cette constatation nous permet de tirer la conclusion que le peu d’empressement des yougoslaves à s’engager vis-à-vis de l’Occident et l’intransigeance toujours plus forte, presque rageuse dont le Gouvernement de Belgrade a fait preuve à propos du problème de Trieste, doivent être considérés comme des actions tactiques, nécessaires au développement de cette politique de suprématie dans les Balkans et de troisième force en Europe.
En effet, si le problème de Trieste trouvait finalement une solution:
1) l’entente balkanique perdrait le caractère que Belgrade parait lui attribuer, pour jouer son véritable re dans la défense du secteur sud-est de l’Europe: c’est ce que nous désirons.
2) La Yougoslavie, une fois liée au système occidental de défense, devrait assumer toutes les obligations qui lient chaque membre du système; elle verrait dès lors disparaître la situation privilégiée actuelle, qui lui permet de tirer des avantages sans donner aucune contrepartie.
3) Dans cette nouvelle situation, son aspiration à jouer le re de « troisième force » ne serait plus concevable. Ce qui aurait peut-être des conséquences à l’intérieur même du pays, étant donné que les Kominformistes yougoslaves semblent disposés à accepter la ligne de conduite actuelle du Gouvernement, seulement parce qu’elle évite tout rapprochement concret avec l’Occident.
Voilà, en quelques mots, le développement historique de la question de Trieste et les motifs de notre pessimisme devant l’absence de bonne volonté de Belgrade. Nous avons accepté la proposition alliée du 13 novembre et nous sommes prêts à nous ion et de la paix en Europe.
Quant aux méthodes pour arriver à une solution définitive du problème, nous avons manifesté et nous maintenons notre préférence pour un plébiscite dans tout le territoire, permettant un choix entre l’Italie et la Yougoslavie. Ce choix devrait être fait librement, selon la méthode démocratique de la volonté manifestée par la majorité.
Si l’on en croit les accusations yougoslaves, la composition ethnique du Territoire aurait été artificiellement modifiée au désavantage partiel des slovènes et ne correspondrait pas à la réalité; l’Italie est disposée à accepter que le plébiscite ait lieu seulement pour ceux qui sont nés dans le Territoire Libre avant l’armistice de novembre 1918: de cette manière, les personnes qui sont entrées dans le Territoire pendant les vingt-cinq dernières années, et qui, au dire de Belgrade, y ont été artificiellement introduites n’ auraient pas le droit de voter; par contre celles qui sont sorties du Territoire après Novembre 1918, et qui, selon Belgrade, en auraient été chassées, pourraient prendre part au plébiscite.
Cela ne signifie pas que l’Italie exclut d’autres méthodes de solution, telle que par exemple, la recherche d’une ligne ethnique continue, conformément aux suggestions qui ont été faites par le Comte Sforza et par les trois Gouvernements alliés eux-mêmes, lors de la démarche effectuée à Belgrade et à Rome en automne 1952(5).
Voilà, en quelques mots un exposé de la question depuis ses origines jusqu’à son état actuel. Le Gouvernement italien a fait tout ce qui était possible et compatible avec le respect daux exigences de son opinion publique et de son Parlement pour faciliter les formules de solution. Je désire souligner qu’en dépit de l’amertume que nous avons éprouvée à plusieurs reprises, au cours des dernières semaines et des derniers mois, nous avons eu quelques occasions de souligner et d’apprécier la compréhension de certains Gouvernements alliées. Ce sont ces occasions de satisfactions que je voudrais évoquer ici, à titre de bons présages pour l’avenir et pour me permettre de renouveler l’expression de notre reconnaissance pour ces actes de compréhension.
66 1 La lettera era indirizzata anche al Segretario generale del Ministero degli Affari Esteri francese, Parodi, ed in copia a Magistrati e Cavalletti (ASUE, CM1/CPE, 32.8). Ad Adenauer il testo del discorso fu inviato in traduzione. Il discorso (DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 25, fasc. CED -Esercito Europeo) è, a stampa, anche in DGAP, Segreteria, 1951-1958, b. 22, fasc. Discorso al Senato. Fu inserito, negli Atti della Conferenza de L’Aja, come annesso IV(vedi Appendice II).
66 2 Per una sintesi del tenore di tale Conferenza vedi D. 64.
66 3 Del 20 marzo 1948: vedi DDI, serie decima, vol. VII, D. 468.
66 4 Vedi D. 56, nota 3.
66 5 L’obiettivo del Governo italiano era quello dell’ottenimento di una “linea etnica continua”, con delle concessioni a favore della Jugoslavia nella zona A, non la semplice spartizione sulla base delle due zone del TLT. Il riferimento è al memorandum Eden (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 92, fasc. 1).
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
Appunto. Roma, [… dicembre] 1953(2).
Oggetto: Conversazioni con i Ministri Olandesi - Problema della CED.
L’argomento della CED verrà certamente toccato nelle conversazioni che avranno luogo in occasione della visita di V.E. a l’Aja.
La posizione pupresentarsi piuttosto delicata. Il Governo olandese ha da tempo avviato la procedura di ratifica, che va svolgendosi regolarmente: la Camera bassa ha già approvato gli accordi, la Camera alta li ha attualmente in esame, e si sconta il favorevole compimento del processo tra non molto tempo. Noi invece non abbiamo ancora potuto iniziare nuovamente (dopo la decadenza dei primi atti compiuti dalla passata legislatura) la procedura né abbiamo idee chiare sul quando potremo dare l’avvio. Ora, esiste un particolare interesse dell’Olanda, come degli altri Paesi del Benelux, verso l’Italia per quanto riguarda la CED. Il Benelux sa infatti che in sede CED noi saremo spesso naturalmente portati dalla sua parte, data la probabile tendenza dei francesi e dei tedeschi a risolvere a loro esclusivo vantaggio i problemi pigrossi, e comprende quindi che solo con la partecipazione dell’Italia alla CED si stabilirà quell’equilibrio interno che permetterà ai piccoli Stati di far sentire con efficacia la loro voce. Il Benelux, se queste idee sono esatte, ha un interesse politico particolare per la posizione italiana, essendo egualmente avverso tanto al riarmo unilaterale della Germania quanto ad una CED senza l’Italia.
Conviene a parere di questa Direzione Generale che, nelle conversazioni italo-olandesi, si cerchi di dare ogni affidamento compatibile con la realtà del momento sulla nostra volontà di procedere appena possibile alla ratifica. Se, nell’esposizione complessiva della nostra posizione, sarà ritenuto ricollegare in qualche modo la nostra ratifica al problema della frontiera orientale, ci– a parere di questa Direzione Generale – dovrebbe essere fatto illustrando le difficoltà obiettive che presenta la nostra situazione parlamentare in relazione al problema del TLT, dimostrando che quindi la soluzione di tale problema spianerà la via all’approvazione parlamentare della CED, ed accennando eventualmente infine – se lo si ritiene – al conseguente interesse dell’Olanda di aiutarci per quanto pua risolvere favorevolmente il problema stesso.
67 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. CPE.
67 2 L’appunto, con sottoscrizione autografa di Magistrati, è accompagnato da un foglio di trasmissione interno dalla Direzione degli Affari politici a quella degli Affari Economici, Ufficio II, da cui si evince la data del 5 dicembre 1953 come termine ante quem.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)
R. segreto 1472. Parigi, 5 dicembre 1953.
Signor Ministro,
La prego di scusarmi se mi permetto, ancora una volta, di farle parte delle mie preoccupazioni per la piega che sta prendendo tutta la congiuntura internazionale.
V.E. è stata già informata che i Tre hanno comunicato al Consiglio del NATO, sostanzialmente, la loro decisione di accettare l’invito russo per una Conferenza a Quattro: anche se supponiamo o sappiamo che ci sono a questo riguardo delle differenze d’opinione abbastanza marcate fra inglesi, francesi ed americani, dovremmo supporre che alle Bermude si troverà una formula di accordo e che, verso la seconda metà di gennaio, questa Conferenza a Quattro potrebbe aver luogo.
Non è quindi l’immediato che mi preoccupa: mi preoccupa piuttosto la possibile evoluzione di tutta la situazione internazionale nei mesi a venire.
Ho già espresso a V.E. la mia interpretazione del dibattito alla Camera francese: interpretazione non molto ottimistica. Posso naturalmente sbagliarmi; le cose possono cambiare per effetto di circostanze diverse. Resta comunque il fatto, e su questo ritengo di dover essere tassativo, che dell’eventuale ratifica della CED non si puparlare che dopo un fallimento eventuale della Conferenza a Quattro; il che già ci riporterebbe verso l’inizio della primavera. Ma non è soltanto il fallimento della Conferenza a Quattro che occorre, perché si possa in qualche forma riprendere la CED: è necessario anche che questo fallimento avvenga in circostanze tali da persuadere quella parte dell’opinione pubblica e parlamentare che è in buona fede, che realmente non c’era niente da fare. E questo è già molto meno facile. È ormai chiaro, anche se qualcuno ne dubitava ancora, che i russi ce l’hanno, sì, contro il Patto Atlantico, ma ce l’hanno molto di picontro la CED. E solo perché non vogliono il riarmo tedesco od è anche per altre ragioni? La discussione sarebbe lunga, e forse oziosa: basta constatare il fatto. Che il riarmo tedesco, in qualsiasi forma, costituisse nei riguardi della Russia un gesto che poteva portare le piserie conseguenze; che fosse pericoloso integrarsi con una Germania divisa e che per forza di cose risulta portata alla guerra per riconquistare la sua parte orientale, sono stati fin dall’inizio due argomenti di forte peso per la Francia. Per cui l’opinione parlamentare, qui, fa un ragionamento molto semplice, ma che non è facile mettere da parte: se si va alla Conferenza a Quattro partendo dal punto di vista che i russi debbono accettare la CED, e che questa è «à prendre ou à laisser», la reazione dell’opinione pubblica e parlamentare, qui, sarà che si è voluto, in partenza, silurare la Conferenza a Quattro e sarà una ragione di piper spingere qui a non ratificare. Si dirà allora: il nostro Governo segue questa politica di avventura perché è succube degli americani: sta a noi di impedirgli di fare delle sciocchezze.
Perché l’effetto di un fallimento sull’opinione pubblica francese possa essere decisivo e positivo, bisognerebbe che alla Conferenza si andasse con una formula di questo genere: «La CED era necessaria in certe determinate circostanze della situazione internazionale: se voi russi ci date delle garanzie serie di volontà di collaborazione per una riunificazione della Germania, delle serie garanzie per la sicurezza dell’Europa occidentale, noi possiamo anche essere disposti a rinunciare alla CED».
È cioè soltanto dimostrando all’opinione pubblica in buona fede che il prezzo che i russi sono disposti a pagare, perché da parte nostra si rinunci alla CED, è nullo, o irrisorio o solo una trappola, che si pusperare di avere qui un cambiamento d’opinione che permetta di ritirar fuori la CED, nella sua forma attuale o in altre.
Come V.E., non sono di quelli che pensano che la Russia voglia veramente una distensione. Per anche ammettendo che la Russia voglia una distensione ed una soluzione del problema tedesco, quale sarebbe l’utilità per la Russia di regalare alla Comunità atlantica ed europea la Germania Orientale? Può essere che, se non ritenesse di avere – come ha – molte chances di far fallire tutto giuocando sul disorientamento dell’opinione pubblica dell’Europa occidentale, la Russia si rassegnerebbe a vedere la Germania riarmata in seno ad una Comunità europea: ma che abbia l’intenzione di completare il nostro lavoro regalandoci, per niente, anche la Germania Orientale, questo mi sembra assurdo.
Resta, è vero, l’ipotesi di una Locarno: c’è qui qualcuno, anzi, che pensa che l’accenno russo alla necessità che la questione della sicurezza europea sia risolta fra i Paesi europei al di qua e al di là della cortina di ferro, possa essere un principio di accettazione dell’idea. Ma la vera Locarno era un patto di non aggressione garantito dall’Inghilterra e dall’Italia, ossia da due potenze che, alleandosi con l’aggredito, potevano allora decidere della guerra: oggi chi garantirebbe, sul serio, la Russia, o anche i soli Stati satelliti europei, contro un’aggressione della CED? Gli Stati Uniti? Ossia un Paese che è già parte in causa, e quale parte in causa. Quando si va ai fatti, la proposta non ha molta base: se questa frase della nota sovietica ha veramente un significato, essa cela qualche altra cosa di ben differente – chissà forse una neutralizzazione di tutta l’Europa, satelliti compresi, garantita dai russi e dagli americani – ma non qualche cosa di simile ai piani di Churchill o di Van Zeeland.
Comunque, nella migliore – o peggiore – delle ipotesi, la Russia ci può offrire una unificazione della Germania (Trattato di pace, con neutralizzazione della Germania e ritiro delle truppe di occupazione delle due parti): sempre a volere essere ottimisti, potrebbe offrire anche il ritiro delle sue truppe dal territorio dei satelliti – ma allora anche il ritiro degli americani dall’Europa occidentale – magari un inizio di disarmo ma tutto a condizione che non si faccia la CED.
Ora se la Russia dovesse fare delle proposte di questo genere, potremmo tutti essere d’accordo che si tratta di un trucco pericoloso: però non c’è un Governo in Francia che possa dire di no senza essere travolto: e non sono sicuro che sarebbe così facile dire di no né in Inghilterra né in Italia. Quello che è piverosimile è che la Russia faccia delle proposte picapziose, e più difficili a comprendere per il pubblico: e che sappia destreggiarsi in modo da dare l’impressione che l’accordo si sarebbe potuto raggiungere se non ci fosse stata la CED, e che l’accordo fra la Russia e l’Europa sarebbe possibile se non ci fosse l’America.
C’è poi anche la questione dell’Estremo Oriente: la proposta di Ho Chi Minh, anche questa, ha aumentata la confusione più grande, dei francesi, sulla questione dell’Indocina. Quelli che pensano di poter trattare senz’altro con Ho Chi Minh sono per ora pochi: ma questo accenno è bastato per far pensare a molti che forse si potrebbe trattare meglio con lui attraverso Pechino, e con Pechino attraverso Mosca.
La Conferenza a Cinque, che già aveva l’appoggio indiscusso, per esempio, di una persona che non è certo filo-comunista come Paul Reynaud, diventa oggi di maggiore attualità; su essa si accentuano non meno speranze che su quella a Quattro e di nuovo la bestia nera è l’America che non vuole che si riconosca la Cina di Mao Tse Tung.
Appare oggi che Francia ed Inghilterra, sia pure con minore o maggiore fiducia, sono per trattare a quattro ed a cinque: che dello stesso parere sono Belgio, Olanda e Paesi Scandinavi: chi si oppone sopratutto è la Germania – et pour cause –: che l’America vi si oppone perché punta sulla Germania: e sottovoce si aggiunge, perché vuole la guerra preventiva e conta sulla Germania per farla.
Quindi si va a questa Conferenza a Quattro con una opinione pubblica – parlo della Francia – che parte dalla presunzione che l’America intende sabotare la Conferenza, perché ha paura che i russi siano ragionevoli. Tutto quello che faranno o diranno i russi godrà di un pregiudizio leggermente favorevole: tutto quello che diranno o faranno gli americani si troverà ad avere un pregiudizio nettamente sfavorevole. E gli americani? Essi ci hanno dichiarato, da tempo e sotto tutti i toni – temo non bisogna prendere alla leggera queste loro dichiarazioni – che se non si realizza la CED, essi dovranno rivedere tutta la loro politica europea. Sappiamo più o meno quello che questo vuol dire. Il loro atteggiamento nei riguardi della Russia o della Cina sarà giusto o sbagliato, ma è la loro politica; ed una politica da cui possono difficilmente deflettere anche loro per ragioni interne. E si trovano ad avere contro praticamente tutti i loro alleati europei, in una atmosfera di opinione pubblica sempre piostile, sempre più diffidente nei loro riguardi. Sono a capo, teoricamente, di una grandissima alleanza e allo stesso tempo sono perfettamente soli. E non è del tutto da escludere che, andando avanti così le cose – ed è difficile cambiarle – ad un certo momento non si decidano di mandare tutto e tutti al diavolo. Se ne pentiranno dopo amaramente, loro e noi, ma potrebbe essere troppo tardi.
La situazione è difficile senza dubbio, ma non sarebbe impossibile di uscirne fuori con la necessaria souplesse. Se sono pessimista è perché faccio il bilancio di un anno. Un anno fa l’integrazione europea sembrava se non fatta, al meno molto probabile: l’alleanza atlantica aveva, sì, le sue difficoltà ma sembrava una cosa solida ed in pieno sviluppo: oggi la CED è più che in crisi: il Patto Atlantico stesso e la sua politica vanno incontro a crisi e contraddizioni interne che ne potrebbero segnare anche la fine. E tutto questo è stato ottenuto dai russi con niente: facendo soltanto balenare delle speranze: non credo di essere troppo pessimista se temo che, con ben poco di concreto, essi potrebbero riuscire a fare ancor molto e molto danno.
Certamente influisce sulla mia preoccupazione il fatto di trovarmi a lavorare nel Paese più disorientato d’Europa: tuttavia, purtroppo, questo Paese è al centro della politica attuale, e se non riesce a fare nulla di positivo, riesce perfettamente a non fare niente.
La crisi non è per domani: probabilmente alla prossima Conferenza Atlantica tutti si troveranno tacitamente d’accordo, come al solito, per mantenere tutto in sordina; è la Conferenza a Quattro che pusegnare la crisi grave. Il nostro pensiero in questo momento è polarizzato sulla questione di Trieste ed è umano che sia così: non possiamo perper questo astrarci completamente da quello che accade nel mondo: se mai la gravità della situazione dovrebbe consigliarci di fare tutto il possibile per uscirne fuori, come è possibile, in maniera da poter affrontare la crisi senza questa palla al piede. È bene sempre essere preparati al peggio.
Evidentemente in questo momento la cosa pilogica e ragionevole per noi, mi sembra, senza voler con questo aspirare a funzioni di primo piano, sarebbe quella di restare francamente al lato degli americani: pisono soli, pidovrebbero apprezzare quei pochi che restano al loro fianco.
È una posizione che dovrebbe, nell’immediato, esserci di qualche vantaggio. In caso di guai, essa non ci metterebbe, mi sembra, in condizioni peggiori di quella in cui ci metterebbe una politica di silenzio.
Non è che questo ci possa garantire intieramente l’avvenire: il restare al fianco degli americani non ci garantirebbe al 100% dall’essere travolti in un abbandono generale. Per se in una specie di tracollo generale di tutta la politica seguito sino ad ora, c’è ancora una speranza di salvare per noi una certa misura di continuato appoggio americano, questa mi sembra possibile soltanto se conserviamo di fronte agli americani le carte pulite. D’altra parte non vedo quale maggior garanzia per l’avvenire ci potrebbe dare il prendere posizione al lato delle tesi diciamo così inglesi.
La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio profondo ossequio.
[Pietro Quaroni]
68 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19 bis, fasc. 4.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
T. segreto 15281/945. Parigi, 10 dicembre 1953, ore 16,25 (perv. ore 16,40).
Fra le informazioni fornitemi da Schumann (che gli americani sarebbero stati, nell’appoggiare la CED, piviolenti degli inglesi) e le informazioni avute negli ambienti CED da Bombassei (telegramma 941) V.E. avrà rilevato contraddizione. Debbo ritenere che le informazioni di Bombassei siano esatte, secondo informazioni da me avute da ottime fonti. Eisenhower, secondo queste fonti, sarebbe stato comprensivo, avrebbe detto di essersi almeno reso conto delle difficoltà parlamentari francesi e pregava il Governo francese di fargli chiaramente conoscere che cosa voleva per la Saar, per la CED e che cosa riteneva di poter fare facendo osservare che per il Governo americano, anche di fronte al Congresso, era impossibile restare a lungo nella situazione di incertezza. Tutto questo in tono molto amichevole. Sprezzante invece è stato l’intervento di Churchill che accusava i francesi di non essere capaci di governare e di non sapere quello che volevano. La replica di Bidault è stata molto violenta e la contro-replica di Churchill molto violenta ancora.
Una violenta reazione anti-britannica, come che sia, vi è qui in ogni ambiente.
Le stesse fonti osservano, circa la idea di Bidault di una maggiore partecipazione di tutti i membri della Comunità Atlantica alle principali decisioni, che essa è la constatazione da parte francese dello scarso peso della Francia nella Conferenza a tre e tentativo della Francia di farsi portavoce dei Paesi minori, in certa misura. Seppure ce ne sono, non si conoscono ancora idee precise.
69 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.
COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA, CON IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DI FRANCIA, BIDAULT(1)
Verbale(2). Parigi, 13 dicembre 1953.
Sulla Conferenza delle Bermude, Bidault non ha detto nulla di sostanzialmente nuovo: si è limitato a qualche accenno di colore sull’andamento dei colloqui.
Circa la questione di Trieste, ha ripetuto le considerazioni per cui non ha creduto opportuno dissociarsi dal passo anglo americano a Belgrado deciso laggi(3). Circa la possibilità di una riunione segreta a Quattro, si è mostrato piuttosto scettico, osservando che le indiscrezioni stampa avevano fatto tramontare le già non molte possibilità che avrebbe potuto avere: inglesi ed americani si preoccupavano troppo di non irritare Tito con dei conciliaboli separati con noi.
Ha parlato, senza entrare in dettagli, delle ultime proposte inglesi: si è lagnato che gli inglesi escano fuori con una nuova proposta ogni giorno: ha definito buoni, in merito a questa proposta ultima, i consideranda e pessima la conclusione (abbiamo poi saputo da La Tournelle che la proposta era quella di suggerire delle conversazioni dirette).
Pella ha ripetuto le nostre considerazioni: siamo arrivati al massimo delle nostre concessioni: abbiamo bisogno di un inizio di soluzione prima della ripresa dei lavori parlamentari in gennaio. Bidault si è dichiarato d’accordo; è stato di nuovo molto aspro sulla remissività degli anglo-americani, ha di nuovo dato assicurazioni circa il fermo desiderio della Francia di aiutarci.
A richiesta di Pella se aveva dei consigli da darci, ha risposto di non averne nessuno per il momento: ha di nuovo assicurato che la questione aveva tutta la sua attenzione e che, qualora fosse stato opportuno suggerirci qualche cosa, non avrebbe mancato di farlo.
Bidault ha poi esposto brevemente le difficoltà parlamentari francesi per la CED: Pella, pur ripetendo la connessione fra Trieste e la CED, ha aggiunto che si trattava in parte di una posizione polemica: in realtà, in certe circostanze, era convinto della necessità di sottoporre lo stesso la CED alla ratifica e che, sia pure con difficoltà, ci sarebbe riuscito.
Circa la prossima Conferenza sull’integrazione politica, Pella ha espresso il suo pensiero: essere necessario tenersi su terreno solido e realistico e non lasciarsi troppo dominare da schemi preconcetti. Ha detto di comprendere le difficoltà francesi, di cui noi desideravamo tener conto: che anzi – analogamente a quanto egli, Bidault, ci aveva pivolte offerto per Trieste – qualora ci fossero delle proposte che la Francia avrebbe avuto delle difficoltà ad avanzare essa stessa, noi eravamo sempre pronti ad esaminare la possibilità di avanzarle noi. Bidault ha ringraziato e ha detto che avrebbe potuto averne bisogno.
Circa la sua conversazione con Adenauer, ha detto che avevano parlato per quattro ore: di queste, solo venti minuti erano stati dedicati alla Sarre: non è entrato in dettagli, ma ha fatto chiaramente comprendere che non era stato realizzato nessun progresso.
Bidault era evidentemente preoccupato e di cattivo umore: la conversazione è stata quindi in generale scucita.
70 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19 bis, fasc. 4.
70 2 Il verbale fu redatto da Quaroni il giorno successivo, 14 dicembre. Al colloquio è dedicato l’articolo della «Stampa Sera» del 14 dicembre, n. 291, p. 1.
70 3 Ci si riferisce al passo compiuto a Belgrado il 7 dicembre per indurre la Jugoslavia all’accettazione del progetto di conferenza politica; commenti della stampa jugoslava ed un articolo del sottosegretario Bebler avevano fatto percapire che la Jugoslavia manteneva un atteggiamento negativo. Si veda ISPI, Annuario di politica Internazionale, 1953, p. 85.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI PELLA(1)
Dichiarazione(2). [Parigi], 14 dicembre 1953.
DICHIARAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO AL CONSIGLIO ATLANTICO SULLA CED(3)
Puisque je suis débiteur encore du point de vue de l’Italie sur ce sujet, si vous avez l’amabilité de me donner la parole je paierai ma dette.
Alors, M. le Président, je voudrais rappeler ici que dès qu’il y a déjà plus de trois ans [que] l’initiative pour la création d’une Communauté Européenne de Défense fut présentée, l’Italie lui donna son entière adhésion. Elle a vu en elle, d’une part la possibilité concrète d’assurer la contribution allemande à la défense occidentale, et d’autre parte, un moyen d’une étape pour arriver à une intégration européenne plus vaste et complète. Cette intégration de l’Europe je tiens à le souligner une fois encore aujourd’hui, a été et reste, un des buts principaux de la politique internationale de mon pays. Le Gouvernement Italien n’a pas sous-estimé les réactions que la réalisation de la Communauté Européenne de Défense aurait soulevé dans certaines couches de l’opinion publique des différents pays y compris naturellement le nre. Mais les déclarations faites par M. de Gasperi devant ce même Conseil Atlantique en décembre 1952 et en avril 1953 en font foi, nous n’avons jamais douté de pouvoir surmonter ces difficultés.
En ce qui regarde mon pays, vous avez que le processus de ratification en question, qui s’y déroulait favorablement, n’a può être complété avant les élections générales du printemps dernier et doit être reprise au sein du nouveau parlement qui a récemment commencé ses travaux. Dans la situation politique générale actuelle, il est évident que tout nouvel élément a ses reflets et produit ses réactions dans l’opinion publique et parlementaire de mon pays, non moins que dans celle des autres, M. le Président. Je ne m’attarderai pas ici à une évaluation de cette situation générale, je constate seulement que ces reflets directs et indirects dans l’opinion publique n’ont pas été de nature à faciliter la tâche de ceux qui, comme nous, voient clairement oest le danger et quels sont les moyens, les seuls moyens d’y faire face.
Comme vous la savez, la situation de notre frontière orientale pose au Gouvernement italien d’autres graves problèmes. L’opinion publique italienne, avec une unanimité qui témoigne de l’intensité du sentiment national à cet égard, est extrêmement sensible à cette question Il est d’autre part certain et j’ai déjà eu maintes fois l’occasion de le répéter publiquement que la solution favorable de cette question exercerait une influence profonde, positive sur l’opinion publique. Dans la situation actuelle tout observateur au courant de la situation politique et psychologique de mon pays, ne pourrait ne pas reconnaître en toute franchise qu’une discussion actuelle pour la ratification rencontrerait aujourd’hui des difficultés graves tant que le problème de notre frontière orientale n’aura pas trouvé une solution satisfaisante. Je ne désire pas soulever la question des rapports italo-yougoslaves dans les circonstances présentes; dans un moment aussi délicat que celui otrois gouvernement amis font des efforts pour parvenir à une solution équitable du problème. En tout cas, le Représentant Permanent du Gouvernement italien ne manquera pas, en son temps, de renseigner sur ce point le Conseil. Mais, ainsi que je viens de le réaffirmer, le Gouvernement italien croit fermement que la création de la Communauté Européenne de Défense répond aux nécessités de l’Alliance Atlantique et à celle de la politique d’intégration européenne. La création de la Communauté Européenne de Défense, en permettant à 150 millions d’hommes de préparer et d’organiser en commun leur défense, renforcera grandement l’Alliance Atlantique, elle assurera la contribution allemande à la défense occidentale dans la forme meilleure. La création de la Communauté Européenne de Défense suivant la mise en œuvre de celle du charbon et de l’acier constitue aux yeux du Gouvernement italien comme vous le savez, un élément d’une tape fondamentale sur le chemin de l’intégration européenne. Cette politique, qui tend à établir une vaste union entre le plus grand nombre des peuples européennes, n’est pas liée à une situation plus ou moins contingente mais répond, selon l’avis du gouvernement italien, à une nécessité historique car nous pensons que l’Europe doit s’unir si elle veut survivre dans un monde oles forces économiques et militaires et donc politiques, se mesurent désormais à une échelle qui dépasse de beaucoup les possibilités des nations du continent, prise une à une.
Aussi, si l’Europe veut, et elle le doit, représenter encore un facteur réel et positif dans la situation internationale, ne peut-elle plus hésiter à s’engager dans cette voie convaincue que les raisons et les principes qui sont à la base de la politique d’intégration européenne et de la Communauté Européenne de Défense, restent entièrement valides et actuels et souhaite que le développement de la situation et la favorable solution de certains problèmes, soient, de nature à permettre que la Communauté Européenne de Défense puisse se traduire en réalité.
71 1 Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 91, fasc. 6.
71 2 Trasmesso con Telespr. segreto 21/4169 del 22 dicembre da Plaja al Ministero della Difesa, Gabinetto e Stato Maggiore, alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi, Washington, alle Legazioni a L’Aja e a Lussemburgo e alle Rappresentanze presso il Consiglio atlantico e la CED a Parigi.
71 3 Il comunicato finale del Consiglio Atlantico svoltosi a Parigi dal 14 al 16 dicembre 1953, sotto la presidenza di Bidault è riprodotto sul portale dei NATO Archives Online.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ROSSI LONGHI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
R. segretissimo(2). [Parigi, 16 dicembre 1953]
Il Consiglio Atlantico a livello Ministri si è riunito a Parigi, sotto la presidenza del Ministro degli Affari Esteri francese, Signor Bidault, dal 14 al 16 corrente. Riassumo qui di seguito in relazione ai punti contenuti nell’Agenda, gli elementi più interessanti che sono emersi dalle discussioni, nonché le decisioni adottate nel corso della Sessione.
Le riunioni plenarie del Consiglio sono state precedute da una riunione inaugurale pubblica, con partecipazione dei rappresentanti della stampa, durante la quale il Presidente Bidault ha dato il benvenuto ai Ministri convenuti, auspicando un felice corso di lavoro.
Il resto del discorso, ispirato ad elevati principi e caratterizzato dallo stile brillante, seppure molto spesso caustico dell’oratore, ha toccato problemi di ordine generale, quale la necessità di rinforzare l’Alleanza, nel campo militare e non militare, la opportunità di mantenere l’equilibrio tra organizzazione europea ed organizzazione atlantica ed infine ha vivamente auspicato l’accettazione del piano Eisenhower nel campo atomico.
Immediatamente dopo il Consiglio ha iniziato le sedute ordinarie.
Prima di affrontare il punto 1 dell’Agenda, i(1)Presidente Bidault, riprendendo la proposta già fatta tramite il Rappresentante Permanente francese, ha chiesto al Consiglio di voler considerare l’opportunità di tenere delle riunioni ristrette di Comitati di Ministri per argomenti specifici e separatamente, allo scopo di preparare gli argomenti che avrebbero poi dovuto essere portati al Consiglio in seduta plenaria per le discussioni. Essendo tale proposta non apparsa di gradimento dei Ministri degli Esteri inglese ed americano, il Consiglio decise di riprendere la questione in considerazione a sessione inoltrata, e di iniziare in seduta plenaria l’esame dei punti 1 e 2 dell’Agenda. (Su proposta canadese il Consiglio decise poi di riunirsi nella mattina del 16 dicembre in sessione privata con partecipazione dei soli Ministri, Rappresentanti Permanenti e di un ristrettissimo numero di esperti per uno scambio di vedute a carattere privato e durante la quale vennero discusse la prossima conferenza a quattro, la nuova situazione dovuta al progresso delle armi atomiche in Russia; Eden fece inoltre una breve esposizione dello stato delle trattative anglo-egiziane).
1) Rapporto del Segretario Generale.
– Stato della questione. Come di consueto il Segretario Generale ha presentato al Consiglio un Rapporto periodico circa le attività svolte dagli organi civili del NATO nel periodo aprile-dicembre 1953.
–Discussione e decisione da parte del Consiglio. Nell’illustrare ai Ministri il suo rapporto, il Segretario Generale ha attirato l’attenzione sui seguenti punti:
a) lo svolgimento delle manovre militari in mare, in terra e nell’aria, cui il Consiglio ha ripetutamente assistito, è stato di particolare importanza nel corso dell’anno 1953 e sta a mostrare la vitalità e l’efficienza dell’Alleanza.
b) Lord Ismay sta preparando un rapporto complessivo sulle attività dei primi cinque anni del NATO, che sarà probabilmente ultimato entro il 4 aprile 1954, V° anniversario della firma del Trattato. Spetterà al Consiglio di decidere, compatibilmente al contenuto, circa l’uso da farne: da parte sua il Segretario Generale ha auspicato che venga data ad esso la pivasta diffusione negli ambienti parlamentari e tra il pubblico.
c) Il Consiglio è stato invitato a rivolgere la sua particolare attenzione ai problemi di difesa civile e di pianificazione di emergenza.
d) La diffusione delle informazioni e la divulgazione della conoscenza del NATO nelle pubbliche opinioni dei Paesi membri, rimane tuttora uno dei più importanti problemi da risolvere.
Il Rapporto del Segretario Generale ha raccolto l’unanime approvazione del Consiglio che, attraverso le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Italiano, del Ministro della Difesa britannico, Alexander, del Ministro degli Affari Esteri di Norvegia, Lange, di Grecia, Kanellopoulos, di Turchia, Kr e di altri, ha tenuto a mostrare la sua soddisfazione. Il Presidente del Consiglio Italiano si è riferito particolarmente agli aspetti non militari dell’Alleanza e ha ricordato come il Governo Italiano abbia sempre auspicato progressi in tale campo. Egli ha espresso la sua soddisfazione per il lavoro compiuto dal Gruppo di Lavoro sulla mobilità della mano d’opera, sulle conclusioni cui era arrivato e sulle raccomandazioni adottate dal Consiglio dei Rappresentanti Permanenti, affermando che il Governo Italiano continuava a confidare che i Governi membri avrebbero tenuto nel dovuto conto tali raccomandazioni e che la loro messa in effetto avrebbe potuto portare ad una bilancia economica pistabile nei Paesi dell’Alleanza, aumentandone al tempo stesso la solidità e la compattezza.
In connessione con il punto 1 dell’Agenda, il Consiglio ha esaminato pure preliminarmente un memorandum francese relativo al coordinamento delle attività di informazione da parte del NATO ed ha deciso di affidare immediatamente al Comitato per le Informazioni e per gli Affari Culturali il compito di procedere ad una disamina approfondita del memorandum.
Prima del termine della Sessione il Comitato, presieduto dal Rappresentante Permanente canadese, Ambasciatore Wilgress, ha riferito sul lavoro compiuto ed ha sottoposto al Consiglio che l’ha approvata, una risoluzione che si inspira ai principi contenuti nel memorandum di cui sopra e che auspica un maggiore coordinamento tra i Paesi membri nel campo delle informazioni e dell’orientamento delle pubbliche opinioni, tale da armonizzare le singole azioni nazionali attraverso l’opera del Segretario Generale del NATO.
2) Considerazioni sulla situazione politica internazionale.
– Stato della questione. Il punto 2 dell’Agenda prevedeva uno scambio di vedute sulla situazione politica internazionale, ed era stato convenuto nel corso della preparazione dell’Agenda, che i Ministri non fossero vincolati da particolari soggetti, ma potessero al contrario sollevare ogni argomento avente una qualsiasi connessione con i problemi di comune interesse. Il solo documento che figurava nell’ordine del giorno era lo studio aggiornato sulle tendenze della politica sovietica portato a termine nei giorni precedenti la convocazione della sessione ministeriale, dallo speciale Gruppo di Lavoro del NATO.
–Discussione. Gli interventi dei Ministri degli Affari Esteri hanno preso come spunto il suddetto documento. Lo scambio di opinioni non si è tuttavia limitato agli argomenti specifici trattati dal documento, ma ha avuto per oggetto tutti i temi di politica internazionale di attualità nel presente momento. Non è stato seguito un ordine particolare nella discussione.
Circa le tendenze della politica sovietica, i Ministri dei 14 Paesi hanno dimostrato di essere unanimi nel ritenere che la fondamentale ostilità dell’Unione Sovietica nei riguardi dell’occidente non è cambiata, pur ammettendo, secondo le parole di Eden, che la tattica dell’URSS era divenuta piflessibile e forse più intelligente.
L’ intervento più importante in questo campo è stato quello del Segretario di Stato. Secondo l’analisi fatta da Foster Dulles non vi sarebbe immediata probabilità di un attacco armato e aperto contro l’occidente, e ciper i seguenti motivi: a) difficoltà domestiche dell’URSS, intese queste tanto dal punto di vista interno (gravi deficienze dell’agricoltura; maggiori esigenze di beni di consumo cui è difficile resistere da parte del Governo), quanto dal punto di vista delle relazioni con i Satelliti (rivolta di Berlino) e con la Cina (circostanza che negli ultimi 18 mesi vennero cambiati tre ambasciatori presso Mao-Tsé); b) permanenza, malgrado i progressi fatti dall’URSS nello sviluppo delle armi atomiche negli ultimi due anni, di una superiorità quantitativa atomica dell’occidente.
Quanto sopra creava una situazione tale che soltanto avventatezza o disperazione da parte del Cremlino avrebbero potuto scatenare una guerra generale. E di ciò nonvi era alcun segno. Era pertanto da ritenersi che la politica estera dell’URSS sarebbe rimasta concentrata per alcuni anni nello sforzo di mantenere lo status quo nelle aree in discussione (Germania, Austria, Corea), mentre il Governo sovietico avrebbe cercato di sormontare le difficoltà suaccennate e di annullare l’inferiorità nel campo della produzione delle armi nucleari. Nello stesso tempo il Cremlino avrebbe cercato con tutti i mezzi di diminuire la tensione nella sfera internazionale essendo convinto che questo sarebbe stato il miglior modo di creare divisioni tra i membri del NATO. Era pertanto necessario impiegare il momento di respiro che la Russia concedeva all’occidente per rafforzare la difesa comune.
Mentre sull’apprezzamento della situazione e dei fini perseguiti dall’Unione sovietica la discussione ha registrato un generale consenso, una notevole differenziazione venne manifestandosi circa il modo migliore per reagire e controbattere i piani del Cremlino. Da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna si è infatti posto l’accento sulla necessità di prepararsi a far fronte ad un lungo periodo durante il quale era d’uopo mantenere in piedi forze sufficienti a sconsigliare un’aggressione, nonché mantenere il distanziamento attuale in fatto di armi atomiche. Eden e Dulles hanno anche mostrato notevole scetticismo circa la possibilità di venire ad un accordo con Mosca. I Rappresentanti degli Stati nordici (Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi e Belgio) ebbero invece cura di sottolineare che la ricerca di una via d’accordo con l’URSS era altrettanto importante quanto il mantenimento di un alto livello di preparazione bellica. Particolarmente lunga e accelerata è stata l’arringa di Van Zeeland che, dopo essersi anch’egli espresso in favore del potenziamento della difesa, ha insistito sull’importanza di «negoziare» con Mosca. Affermando di ritenere possibile l’attuazione della teoria staliniana della convivenza pacifica di due forme differenti di struttura politica, egli ha auspicato la necessità di raggiungere un «ragionevole equilibrio» tra l’Est e l’Ovest. Senza parlare del suo noto piano, Van Zeeland accennal problema della sicurezza affermando che sarebbe stato un grave errore rifiutarsi ad ammettere che il timore del rinnovarsi di un’aggressione non avesse genuine fondamenta nel popolo russo e fosse soltanto un mezzo propagandistico sovietico.
Il Presidente Pella ha da parte sua riconosciuto la necessità di una politica ferma e vigilante da parte del NATO, ammettendo nello stesso tempo l’importanza di un incontro a quattro, che avrebbe dovuto mettere a prova la sincerità delle intenzioni sovietiche. Il Presidente Pella nell’esprimere il suo compiacimento per la presenza del Segretario Generale del NATO alle Bermuda, ha affermato l’opportunità di continuare nella via iniziatasi in occasione della discussione da parte dei Rappresentanti Permanenti delle risposte da darsi alle note sovietiche, ampliando al massimo possibile le funzioni politiche del Consiglio Atlantico affinché questo potesse divenire un foro per una pigenerale discussione dei problemi di interesse comune. E cianche al fine di annullare l’impressione di disparità esistente tra le potenze piccole e medie del NATO rispetto alle grandi potenze, impressione di cui si valgono per i loro attacchi i nemici dell’Alleanza Atlantica. Il Presidente Pella ha sottolineato quindi l’importanza di risolvere il problema tedesco e quello austriaco. Egli ha affermato che per la Germania la neutralizzazione doveva essere fuori di questione, cianche al fine di disperdere i timori tedeschi di un accordo tra l’est e l’ovest alle loro spalle, e che per l’Austria occorreva sopratutto restaurarne l’indipendenza, motivo per cui il Governo Italiano aveva visto con piacere l’abbandono del trattato abbreviato. Gli accenni del Presidente Pella riguardo allo sviluppo delle funzioni politiche del Consiglio Atlantico vennero raccolti con particolare favore e furono ripresi negli interventi dei Ministri degli Esteri norvegese, danese e belga volti appunto ad appoggiare il potenziamento del NATO come organo propulsore di cooperazione sia nel campo politico che in quello economico.
Tra gli Stati del sud-est europeo la Grecia ha mantenuto una posizione assai vicina a quella dell’Italia per quanto concerne l’atteggiamento da assumersi nei confronti dell’URSS, mentre la Turchia si è espressa in senso particolarmente pessimista. Secondo Krnon vi è alcuna diminuzione del rischio; è quindi necessario continuare a dar la massima importanza ai problemi militari senza eccessive preoccupazioni per le difficoltà economiche inerenti al mantenimento di un alto sforzo difensivo. Krebbe anche un accenno al problema di Trieste affermando che appena fosse stata possibile la sua soluzione (ed il Governo Turco vedeva con piacere profilarsi segni distensivi all’orizzonte), la Jugoslavia avrebbe dovuto essere associata attraverso il Patto balcanico allo sforzo difensivo del settore sud del NATO.
Come era da attendersi, il problema della ratifica del trattato istituente la comunità europea di difesa ha costituito il fulcro del punto 2 dell’Agenda. Già all’inizio della Sessione la profonda preoccupazione nutrita da Bidault per le incerte sorti della CED aveva improntato il discorso inaugurale da lui pronunciato allorché il Ministro degli Esteri francese aveva sottolineato l’importanza di un equilibrio tra l’organizzazione europea e l’alleanza atlantica. In termini molto velati e talora accorati, Bidault aveva infatti sollevato il problema delle garanzie da darsi alla Francia (e che anche nel pensiero del piardente campione della CED costituivano ormai la conditio sine qua non per la sua ratifica), segnalando il pericolo che l’Europa continentale lasciata isolata non fosse nuovamente tentata di trovar rifugio negli schemi della politica tradizionale ereditati dal passato.
La risposta di Dulles non poteva essere – dal punto di vista francese – più negativa e più disilludente. Il Segretario di Stato infatti non raccolse alcuno degli appelli di Bidault. Egli si limitsoltanto ad assicurare che non aveva fondamento il timore che gli Stati Uniti avrebbero abbandonato l’aiuto militare all’Europa per il fatto della costituzione della CED, ricordando la dichiarazione fatta a Bermuda da Eisenhower, Eden e Laniel(3)nel senso che la CED, costituita nel quadro dell’alleanza atlantica, avrebbe assicurato un’intima e durevole cooperazione sul continente europeo tra le forze degli Stati Uniti e della Gran Bretagna e quelle della comunità europea di difesa.
Dulles ha poi sottolineato l’«ansietà» con cui l’opinione pubblica americana attendeva la ratifica della CED. Il compimento di tale storico atto agli occhi americani non doveva rappresentare soltanto il modo di assicurare la contribuzione di alcune divisioni tedesche alla difesa comune, ma significava essenzialmente la fine delle lunghe lotte intestine tra i principali protagonisti europei e costituiva quindi 1’«unica chance» di sopravvivere che rimaneva all’Europa. Se la CED non dovesse venire alla luce, gli Stati Uniti avrebbero avuto motivo di dubitare seriamente della possibilità che l’Europa continentale sarebbe mai divenuta un luogo sicuro («a place of safety»). Ciavrebbe costretto gli Stati Uniti ad un’angosciosa riconsiderazione di tutta la loro politica. Occorreva quindi, ha concluso Dulles, fare la CED e farla subito per impedire che le forze separatiste in Europa prendessero il sopravvento e producessero come contraccolpo lo sviluppo dell’isolazionismo americano.
Di fronte ad una presa di posizione così netta e ad una tanto dura franchezza Bidault non ha potuto opporre altro che la buona volontà del Governo francese di procedere nella via dell’integrazione europea. Nel riaffermare tale volontà con una dichiarazione appassionata e in parte improvvisata, egli espose tuttavia al Consiglio in termini altrettanto franchi, le difficoltà insite in un’operazione così delicata e di cui il Segretario di Stato aveva voluto ricordare alla Francia le scadenze. Il riavvicinamento, l’alleanza e l’integrazione della Francia e della Germania erano un’impresa che non poteva essere condotta in porto in modo affrettato: i tre anni impiegati in quello sforzo, anche se non ancora portato a compimento, non erano davvero troppi se si pensava ai tre secoli durante i quali le due nazioni si erano affrontate sui campi di battaglia. Occorreva inoltre tener presente altri fattori di carattere politico-geografico ed economico che rendevano ancora piarduo il sormontare gli ostacoli di carattere sentimentale e psicologico. Se era già difficile far accettare ad un paese l’integrazione con un altro la cui frontiera lontana non era ancora stata fissata, non sembrava davvero troppo chiedere che almeno la frontiera comune fra i due Paesi stessi fosse in precedenza determinata. Il Ministro degli Esteri Francese, dopo questo accenno alla Sarre, ha concluso il suo intervento rinnovando l’appello agli alleati anglo-americani di non lasciare sola la Francia, che era bisognosa di qualcosa di pisolido che non fossero gli incitamenti o le espressioni di simpatia, e cioè della presenza al suo fianco degli alleati di sempre nel momento in cui essa doveva far causa comune con il nemico di ieri.
Oltre che i due principali interlocutori, tutti i Ministri degli Affari Esteri hanno parlato della CED e tutti, pur con qualche differente sfumatura, si sono espressi nello stesso senso, che occorre cioè giungere alla ratifica del trattato il più presto possibile. Pichiaro avvertimento non poteva esser dato alla Francia.
Per quanto ci concerne, il Presidente Pella ha ricordato come l’Italia avesse aderito sin dall’inizio all’idea della CED, in quanto aveva visto nella creazione della Comunità Europea di Difesa non solo un mezzo per assicurare il contributo tedesco alla difesa occidentale, ma una tappa necessaria per giungere ad un’integrazione europea pivasta e completa. Egli ha ricordato quindi come in Italia il processo di ratifica, che si svolgeva favorevolmente nella primavera scorsa, abbia dovuto essere interrotto in seguito alle elezioni. Esso è stato ora ripreso dalla nuova legislatura. Nell’attuale situazione politica occorre tuttavia tener presenti i riflessi prodotti sull’opinione pubblica e parlamentare italiana sia dall’attuale congiuntura politica in generale sia dallo stato di cose esistente alla nostra frontiera orientale. Tali riflessi non facilitano certo il compito del Governo italiano per quanto concerne l’approvazione della CED da parte del Parlamento, la quale approvazione sarebbe per contro certamente facilitata dalla soluzione favorevole della questione relativa alla frontiera orientale italiana. Il Presidente Pella ha infine riaffermato la convinzione del Governo Italiano che la creazione della CED risponde alle necessità dell’Alleanza atlantica e a quelle della politica di integrazione europea.
Durante la discussione sono emersi alcuni altri punti che qui si riassumono:
1) Dulles ha ricordato quanto aveva detto il Sen. Vandenberg che il NATO non pusopravvivere se non diviene qualcosa di più diuna semplice alleanza militare, dichiarando che gli Stati Uniti favoriscono lo sviluppo degli aspetti non militari dell’Organizzazione Atlantica.
Egli ha pure accennato all’importanza dei problemi atlantici citando le parole di Stalin «l’Oriente è la strada della vittoria». Al riguardo ha ricordato che gli Stati Uniti cercano di raggiungere non dei rafforzamenti regionali, ma una sicurezza «globale».
2) Pearson ha posto l’accenno sull’importanza che per la prima volta assumono i problemi inerenti alla difesa del Continente nord-americano, ricordando sulle linee di un accenno fatto da Dulles, che la difesa dell’America del Nord fa parte dell’area coperta dal NATO e che pertanto ogni rafforzamento di tale difesa da parte del Canadà e degli Stati Uniti è un adempimento degli obblighi NATO dei suddetti Paesi, equivalente a quello di inviare forze oltre Atlantico.
3) Bidault ha accennato all’Indocina. È una guerra che dura da sette anni e che per lungo tempo fu combattuta dalla Francia con il solo aiuto delle forze dell’Unione Francese e degli Stati Associati. Dall’anno scorso una parte importante dell’onere finanziario è stato assunto dagli Stati Uniti, ma è certo che sarebbe molto pifacile di fare la CED e di farla presto se fosse possibile rimpatriare i quadri dell’esercito francese attualmente impiegati in Indocina.
3) Progressi militari del NATO.
– Stato della questione. Il Comitato Militare, analogamente a quanto fatto dal Segretario Generale per le attività civili del NATO, e secondo una prassi consolidata, ha presentato al Consiglio un rapporto sugli sviluppi militari del NATO, nel periodo aprile-dicembre 1953.
– Discussione e decisione da parte del Consiglio. Il documento è stato brevemente illustrato dal Presidente del Comitato Militare, Ammiraglio Qvistgaard, il quale si è limitato a fare un’esposizione a carattere generale. Dopo di lui hanno preso la parola il Comandante in Capo della Manica, Ammiraglio Edelsten, il Comandante Supremo dell’Atlantico, Ammiraglio MacCormick, ed infine il Generale Gruenther, Comandante Supremo Europa.
Riferisco brevemente sulle dichiarazioni di quest’ultimo in quanto il loro contenuto è stato di particolare interesse e, contrariamente a quanto il Consiglio era uso ascoltare dalla bocca del predecessore, ispirato ad un moderato ottimismo. Il Generale Gruenther ha infatti informato il Consiglio che il suo Stato Maggiore era in procinto di preparare dei piani per la difesa dell’Europa che tenessero conto delle possibili ripercussioni derivanti dall’impiego delle nuove armi. Tale studio avrebbe richiesto alcuni mesi per essere compiuto e sarebbe stato sottoposto, attraverso il Comitato Militare, al Consiglio Atlantico. Riferendosi specificatamente al ruolo che l’impiego delle nuove armi potrà avere in futuro, il Generale Gruenther ha detto che tale impiego avrebbe potuto forse ridurre l’ammontare delle forze necessarie per la difesa, seppure in misura limitata, ma che, anche con la partecipazione tedesca alla difesa dell’Europa e nonostante il progresso compiuto in materia di addestramento, tale difesa sarebbe stata tuttora un’impresa difficile in considerazione della scarsezza delle forze disponibili. Altro problema che doveva ancora essere risolto, nonostante i notevoli progressi compiuti, era quello dell’aviazione tattica.
Il Consiglio, dopo aver preso nota della dichiarazione dei Comandanti Militari e del Ministro della Difesa britannica, che a nome dei Ministri presenti ha espresso la sua soddisfazione per il lavoro svolto dal Comitato Militare, si è limitato a prendere atto del rapporto sui progressi militari del NATO.
In connessione con tale punto dell’Agenda il Consiglio ha anche approvato il principio della standardizzazione delle munizioni per piccole armi, prendendo atto dell’accordo intervenuto al riguardo tra i Governi del Belgio, Canadà, Francia, Regno Unito e Stati Uniti, e disponendo inoltre che venisse data alla stampa immediatamente notizia dell’accordo raggiunto.
4) Stima del rischio militare.
– Stato della questione. Il Comitato militare ha aggiornato il suo rapporto sulla stima del rischio militare presentato al Consiglio in occasione della precedente Sessione, includendo il 1956 nel periodo preso in considerazione per un’eventuale aggressione e concludendo che in tale anno il rischio permane immutato nei confronti del 1954 (Documento MC/45/2nd Rev.).
– Discussione e decisione da parte del Consiglio. Il Presidente Bidault ha provveduto personalmente ad illustrare con concisione ed efficacia il rapporto militare sul rischio, mettendo in evidenza alcune delle conclusioni cui il rapporto stesso giungeva ed in particolare quella secondo cui i presenti obiettivi militari non devono essere considerati come fini a se stessi, ma soltanto passi verso la messa in essere delle forze necessarie per l’effettiva sicurezza dei Paesi NATO, e quella secondo la quale un effettivo contributo tedesco alla difesa occidentale viene considerato urgente.
Il Consiglio si è limitato a prendere atto del rapporto in questione senza procedere a discussione alcuna.
5) Revisione Annuale 1953 e piani per la Revisione Annuale 1954.
– Stato della Questione. Nell’aprile 1953 il Consiglio Atlantico a livello ministeriale diede istruzioni al Segretariato Internazionale e agli organi militari del NATO per lo svolgimento della Revisione Annuale 1953. I risultati di tale esercizio, concretatosi dapprima nella formulazione di un questionario ai Governi e successivamente nell’esame e nella discussione delle loro risposte da parte del Comitato per la Revisione Annuale e dei Comandi Supremi, sono stati riassunti in un Rapporto finale, sottoposto ai vari Governi poco prima della presente Sessione. Tale Rapporto è stato commentato dal Comitato Militare, che ne ha tratto lo spunto per alcune raccomandazioni. Sia l’uno che l’altro documento sono stati infine sottoposti al Consiglio Atlantico, accompagnati da due progetti di risoluzione, uno a chiusura della Revisione Annuale 1953 e l’altro per impartire direttive per un analogo esercizio da svolgere nel prossimo anno.
– Discussione. Come nelle precedenti occasioni la discussione sulla Revisione Annuale (che ha preso l’intera giornata di martedì 15 dicembre) ha offerto occasione
ai Ministri di esprimere il parere dei loro Governi sull’andamento dei programmi di difesa del NATO e sugli elementi politici ed economici che lo condizionano.
Tre dichiarazioni particolarmente importanti sono state fatte dal Ministro americano della Difesa Wilson. La prima concerne l’accettazione da parte del Governo americano della raccomandazione che gli era stata rivolta, in sede di esame del proprio programma, di aumentare le proprie forze aeree in Europa in due settori particolarmente deficitari, quello degli intercettori diurni e quello della caccia notturna. Wilson ha anche annunciato la decisione americana di inviare in Europa due gruppi di «missili radio guidati» nel 1954, e altri due nel 1955. Si tratta di un secondo esempio, dopo quello dei battaglioni di artiglieria atomica, di invio in Europa delle armi pimoderne della tecnica americana. La seconda dichiarazione riguarda l’intenzione del Governo americano di chiedere al Congresso di fornire per un lungo periodo aiuti all’Europa per il mantenimento (parti di ricambio) e la progressiva sostituzione con tipi pimoderni del materiale americano donato negli scorsi anni alle forze europee.
La terza dichiarazione del Ministro Wilson ha annunciato l’intenzione del Governo americano di chiedere al Congresso una modifica della legge MacMahon, che permetta di far conoscere al NATO i dati relativi all’impiego e all’efficacia delle nuove armi (in particolare artiglieria atomica). Wilson ha concluso affermando che sulla base di tali informazioni gli organi militari del NATO saranno in condizioni di studiare un nuovo programma di forze che permetterà notevoli miglioramenti nella struttura difensiva dell’Occidente.
Lord Alexander, per la Gran Bretagna, ha messo in rilievo la necessità di un contributo di forze tedesche, nonché l’esigenza di migliorare la qualità delle forze, il loro supporto logistico e i piani per la mobilitazione in caso di guerra.
Il Ministro francese della Difesa Pleven si è diffuso sulla questione delle forze di riserva che devono rapidamente aggiungersi a quelle destinate a subire il primo assalto e per le quali già il Comitato Militare ha sottolineato la necessità di uno studio preciso, principalmente per quanto concerne il materiale da mettere a loro disposizione.
Ha preso quindi la parola il Ministro Taviani, il quale ha messo in rilievo che la Revisione Annuale 1953 non ha tenuto pienamente conto degli aspetti politici ed economici dello sforzo di riarmo. I piani di difesa del NATO sono tuttora frutto di una giustapposizione dei vari piani militari dei singoli Paesi, i quali sono a loro volta limitati dalle variabili capacità economiche. Ciha portato a certi squilibri nei diversi settori, squilibri ai quali non sarà facile riparare se non si procederà nello sviluppo dell’Alleanza Atlantica verso una vera e propria comunità di responsabilità e di rischi. L’occasione per un riesame della situazione generale in tal senso potrebbe essere trovata nei nuovi studi per lo sviluppo di un piano di difesa che tenga conto dei progressi della tecnica. Gli sviluppi militari dell’Alleanza vanno infatti studiati in parallelo con l’insieme di misure che deve assicurare un maggiore progresso economico e sociale a tutti i popoli alleati.
Alcuni dei concetti espressi dal Ministro Taviani sono stati ripresi dal Sottosegretario britannico al Tesoro Maudling, il quale ha messo in rilievo l’importanza di uno sviluppo dell’attività economica dei Paesi NATO come base per uno sforzo di difesa che, anche se il periodo della messa in piedi delle forze è quasi terminato, richiederà uno sforzo finanziario quasi eguale a quello sostenuto finora, e che comunque non è sopportabile dalla maggior parte dei Paesi europei senza una continuazione dell’aiuto americano.
Dopo alcune altre dichiarazioni da parte del Ministro Staf (Paesi Bassi), Kanellopoulos e Papayannis (Grecia), Claxton (Canadà) e Santos Costa (Portogallo) i quali hanno parlato o di problemi particolari ai loro Paesi o della questione del mantenimento a lungo termine delle forze del NATO, il Consiglio ha ascoltato una breve relazione del Ministro plenipotenziario belga Ockrent, Presidente del Comitato Speciale per la Revisione Annuale della CED, sul contributo di forze che la CED potrebbe portare al NATO. Le cifre fornite sono state puramente indicative, i lavori del Comitato non essendo ancora giunti al loro termine, e riproducono quelle che figurano all’Annesso speciale del Trattato sulla Comunità Europea di Difesa.
– Risoluzioni. Nessuna discussione si è svolta sulla risoluzione per la Revisione Annuale 1953 con la quale il Consiglio ha approvato i piani di forze per il 1954 (che costituiscono impegno per i singoli Governi) e quelli provvisori e di pianificazione per il 1955 e 1956.
Per quanto riguarda la risoluzione sui piani per la Revisione Annuale 1954, essa aveva fatto oggetto di contatti fra le varie Delegazioni prima della seduta. Non era stata infatti risolta la delicata questione se gli studi per il nuovo piano di difesa dovessero svolgersi sotto la direzione del Segretario Generale del NATO, o essere affidati totalmente al Comitato Militare. Su insistenze di quest’ultimo, appoggiate dalle Delegazioni americana e britannica, si veniva delineando una corrente di opinione contraria alla tesi sostenuta dal Segretario Generale. Questa impostazione veniva a prevalere in Consiglio, il quale tuttavia invitava il Comitato Militare a riferire al Consiglio tenendolo costantemente al corrente dei progressi degli studi in questione.
72 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 18, fasc. Patto Atlantico. Parte generale, 1.
72 2 Ritrasmesso da Magistrati con Telespr. segretissimo 41/4238 del [...]/12 /53 ai Ministeri della Difesa, del Tesoro, dell’Industria e Commercio e del Commercio Estero, alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Bruxelles, Londra, Ottawa, Parigi e Washington, alle Legazioni a Copenaghen, L’Aja, Lisbona Lussemburgo e Oslo, alle Rappresentanze presso la CED e l’OECE a Parigi, e alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici, dell’Emigrazione, delle Relazioni Culturali, della Cooperazione Internazionale, Ufficio II, all’Ufficio Stampa e per conoscenza alla Rappresentanza presso la NATO a Parigi.
72 3 Ci si riferisce a quanto dichiarato, in riferimento alla CED, nel comunicato finale della Conferenza svoltasi alle Bermuda dal 4 al 7 dicembre 1953. Si veda ISPI, Annuario di politica Internazionale, 1953, p. 331.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)
Appunto riservatissimo 21/4105. Roma, 17 dicembre 1953.
APPUNTO SULLA XII SESSIONE DEL CONSIGLIO NORD ATLANTICO
(Parigi, Palais de Chaillot 14-16 dicembre 1953)
Alla data prevista del 14 dicembre 1953, i 14 Paesi dell’Alleanza Atlantica – nella persona dei loro Ministri degli Affari Esteri, della Difesa e del Tesoro – hanno sotto la presidenza del Ministro degli Esteri di Francia, Bidault, iniziato la XII Sessione del Consiglio. Nessuno dei principali interlocutori è mancato all’appuntamento e le Delegazioni sono apparse, per numero e per qualità dei loro componenti, del tutto imponenti: segno che la macchina dell’Organizzazione Atlantica ha assunto ormai, sia per il settore militare, sia per quello civile, dimensioni che, ad eccezione delle Nazioni Unite, non trovano oggi altro raffronto nei consessi internazionali. L’Italia vi è stata rappresentata dal Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, On. Pella, al quale si sono uniti il Ministro della Difesa, On. Taviani, ed i Sottosegretari alla Presidenza, On. Tupini, ed al Bilancio, On. Ferrari Aggradi.
La circostanza per cui la XII Sessione era destinata a svolgersi proprio nelle brevi settimane intercorrenti tra l’incontro delle Bermude e la prevista, anche se non ancora del tutto sicura, Conferenza a quattro di Berlino, non poteva non attirare su di essa un’attenzione che – come ha dimostrato il grande afflusso a Parigi di giornalisti di ogni Paese – pudefinirsi eccezionale. Il fatto, inoltre, che i lavori, con particolare riguardo alla delicatissima questione della Comunità Europea di Difesa, si aprivano proprio all’indomani di una grave discussione in seno all’Assemblea nazionale francese e nella immediata vigilia di una delle più difficili e complesse elezioni presidenziali che la Repubblica di Francia abbia visto, non poteva non costituire altro elemento di attenta e preoccupata curiosità. Né, come si vedrà, ed anche se sotto un aspetto non positivo, l’attesa è andata delusa.
Il Segretario Generale del Consiglio Atlantico, Lord Ismay, che, come è noto, era stato invitato a partecipare, in qualità di osservatore, al convegno delle Bermude, ha presentato, secondo il solito, il suo rapporto inteso a dimostrare la continuità di lavoro dell’Organizzazione con particolare riguardo all’azione svolta tanto dal Consiglio dei Rappresentanti Permanenti quanto dai Comitati che, in seno al Segretariato Generale, svolgono l’opera di coordinamento militare e civile della NATO. Sul rapporto le varie delegazioni hanno espresso il loro pensiero e manifestato la loro approvazione; da parte italiana si è posta, tra l’altro, in rilievo l’opportunità che i Governi dei Paesi alleati adottino, nel settore della mano d’opera, le conclusioni alle quali è giunto l’apposito Gruppo di Lavoro creato in seno al Segretariato, e rendano progressivamente effettivi i trasferimenti di mano d’opera riconoscendo come legittimo il principio per cui i lavoratori dei Paesi Atlantici dovrebbero essere considerati quali «intercambiabili». Il Presidente On. Pella, inoltre, ha, sempre a commento del rapporto di Lord Ismay, indicato come da parte italiana si intenda non creare ostacoli perché, secondo una iniziativa avanzata e sostenuta sopratutto da parte norvegese, possano stabilirsi contatti maggiormente stretti e seguiti tra i Parlamentari dei Paesi alleati ed il Segretariato Generale dell’Organizzazione: contatti destinati ad avere favorevoli ripercussioni negli ambienti politici e nelle opinioni pubbliche dei Paesi stessi.
Legata alla presentazione di questo rapporto è stata una discussione, di notevole interesse, relativa alla «guerra psicologica», in vista sopratutto di una iniziativa del Governo di Parigi destinata a rendere, a mezzo di un rafforzamento dei competenti settori della NATO, l’azione diretta a favorire la adozione di misure atte a controbattere e ad annullare l’attività che, sul fronte psicologico, viene condotta tanto intensamente dagli avversari dell’Alleanza atlantica. Da parte italiana sì è presa netta posizione a favore di tale iniziativa e si è efficacemente concorso perché il Consiglio – come poi è effettivamente avvenuto alla fine della sessione – potesse decidere in senso favorevole al potenziamento dei mezzi a quello scopo previsti. Si avrà così, nei prossimi mesi, un coordinamento effettivo, e si pensa efficace, di questo importante settore fino ad oggi rimasto piuttosto in ombra.
L’ordine del giorno indicava, quale suo secondo punto, e secondo la tradizione oramai affermatasi, lo svolgimento di una discussione in merito alla situazione politica internazionale. Esso, secondo la proposta avanzata dal Presidente Bidault ma osteggiata in un primo tempo sopratutto da parte americana, avrebbe dovuto svolgersi in comitato ristretto dei Ministri proprio allo scopo di permettere uno scambio di vedute per quanto possibile approfondito e sincero e quindi di carattere molto riservato. Ma viceversa la proposta non è stata sul momento accolta e quindi le considerazioni esposte dai Ministri degli Esteri si sono svolte dapprima in seduta plenaria della Conferenza.
Ragione evidente della opposizione americana è stata la necessità del Segretario di Stato Foster Dulles di far comprendere al maggior numero possibile di ascoltatori quale sia oggi e sopratutto quale possa essere domani – specialmente in vista ed in considerazione dell’opposizione tuttora esistente, in forma grave particolarmente in Francia, contro la costituzione della Comunità Europea di Difesa – l’atteggiamento del Governo di Washington. Alle parole, infatti, con le quali il Ministro Bidault, nella sua qualità di Presidente di turno della XII Sessione, aveva inaugurato i lavori ponendo in rilievo la necessità di un nuovo e maggiore rafforzamento dei legami e delle garanzie atlantiche, il Segretario di Stato americano ha risposto in forma inequivoca, anche se a molti europei apparsa intempestiva e financo pericolosa, indicando come oramai gli Stati Uniti, dinanzi alle tergiversazioni ed agli ostacoli frapposti in Europa al processo integrativo militare della CED, intendano mettere delle «scadenze» a breve termine per la soluzione di questo problema. Qualora cioè la CED non venisse ratificata nei prossimi mesi, il Governo di Washington si vedrebbe nella necessità di «rivedere» la propria politica nei confronti dell’Europa occidentale con conseguenze fin troppo evidenti: parole dense di grave significato che lo stesso Foster Dulles ha poi ritenuto opportuno apertamente ripetere, ed anzi aggravandone l’importanza, dinanzi ad una conferenza di stampa da lui tenuta nella stessa serata delle sue dichiarazioni dinanzi alla Riunione Atlantica. È stata questa, indubbiamente, la battuta maggiormente drammatica della XII Sessione in quanto quelle parole da una parte hanno suscitato gravi preoccupazioni in tema di possibile e non lontana «strategia periferica» americana e dall’altra hanno provocato immediatamente una vera tempesta giornalistica e parlamentare in Francia dove le dichiarazioni sono apparse come una pesante pressione nei confronti delle prossime decisioni del Governo e del Parlamento di Parigi in tema di ratifica della CED.
Il Ministro Bidault ha risposto con notevole equilibrio ed accortezza, dolendosi in certo modo di queste «scadenze» e facendo notare come un problema tanto drammatico quale quello dei rapporti tra Francia e Germania agitatosi, tra tanto tragici sviluppi, per ben tre secoli, non facilmente possa essere risolto in tre anni, ma al tempo stesso ritornando sull’argomento dell’assoluta necessità della «continuità atlantica» tra l’America e l’Europa. Affermazione quest’ultima che in seguito è stata, nel corso della Conferenza, pivolte ripresa da ogni parte e che ha servito a rasserenare poco a poco l’atmosfera della riunione fino al raggiungimento di un maggiore equilibrio nelle discussioni e nelle deliberazioni.
Sempre in tema di dichiarazioni sulla situazione politica internazionale il Presidente On. Pella ha compiuto due interventi. Il primo nei riguardi della politica dei Paesi della NATO nei confronti del blocco sovietico e nel quale egli ha fatto un largo giro d’orizzonte tanto nei suoi problemi di carattere ideologico in tema di espansione del comunismo, quanto nei riguardi di attuali gravi questioni europee quali quelle della unificazione della Germania e della indipendenza dell’Austria.
«Bisogna rendersi conto – egli ha detto – che la pressione del comunismo su tutte le classi sociali si basa innanzi tutto su una convinzione dogmatica prossima al fideismo. A una convinzione di tale natura, che quasi partecipa della fede, noi non possiamo sperare di dare scacco se non ci poniamo in condizione di opporre una forza che abbia il medesimo dinamismo e la stessa facoltà di penetrazione».
Quanto alla Germania egli ha chiaramente ripetuto che il principio della sua neutralizzazione è inaccettabile anche perché altrimenti l’opinione pubblica tedesca potrebbe continuare a ritenere che un qualsiasi eventuale compromesso tra l’Oriente e l’Occidente finirebbe per farsi a spese della Germania. È quindi interesse essenziale dei Paesi Atlantici vedere la Germania unificata, libera e democratica.
Circa l’Austria il diritto e la giustizia internazionali vogliono che la sua sovranità e la sua indipendenza siano al più presto e pienamente restaurate.
Nei riguardi, infine, della imminente ed auspicata Conferenza a quattro di Berlino, l’On. Pella, nel rinnovare i voti più sinceri del Governo e del popolo italiano per il suo successo, ha perposto in rilievo quanto sia, in merito, importante che i Paesi Atlantici assumano un atteggiamento comune circa i problemi che interessano l’intera Comunità nella quale anche se esistono graduazioni di responsabilità, esistono tuttavia una identità ed una parità di rischi e di sacrifici.
L’altro intervento del Capo della Delegazione Italiana è stato rivolto al problema specifico della Comunità Europea di Difesa con particolare riguardo alla situazione italiana in tema di ratifica parlamentare. E qui egli, nel ripetere come l’integrazione dell’Europa è stata e resti lo scopo fondamentale della politica internazionale dell’Italia», ha indicato quali siano stati, in questi ultimi tempi, gli elementi ed i motivi che hanno creato ostacoli ad un piveloce sviluppo della marcia sulla via di quella integrazione. Così – e qui chiaro ed inequivoco è stato l’accenno alla situazione triestina – l’On. Pella ha detto: «Come voi conoscete, la situazione della nostra frontiera orientale pone altri gravi problemi al Governo italiano. L’opinione pubblica italiana, con una unanimità che testimonia dell’intensità del sentimento nazionale a questo riguardo, è estremamente sensibile ad una tale questione. È d’altra parte certo – ed ho avuto occasione di ripeterlo frequentemente – che la soluzione favorevole di essa eserciterebbe un’influenza profonda e positiva sull’opinione pubblica. Nella situazione attuale qualsiasi osservatore, che fosse al corrente della situazione politica e psicologica dell’Italia, non potrebbe non riconoscere in tutta franchezza che la richiesta del Governo al Parlamento di ratificare gli accordi per la CED verrebbe ad urtare in gravi difficoltà fino al momento in cui il problema della nostra frontiera orientale non venisse a trovare una soluzione soddisfacente».
Comunque – egli ha concluso – il Governo italiano crede fermamente che la creazione della CED risponda alle necessità dell’Alleanza Atlantica ed a quella dell’integrazione europea: politica che non è legata ad una situazione più o meno contingente ma che risponde, secondo i concetti del Governo di Roma, ad una necessità storica.
La seconda parte della Conferenza è stata dedicata interamente ai problemi di carattere militare in merito tanto alle relazioni presentate dagli appositi Comitati Militari sui progressi, in tema di potenziamento della difesa, compiuti dalla NATO e sulla cosidetta «stima militare del rischio», quanto al rapporto finale sulla Revisione Annuale 1953 ed al programma per la Revisione Annuale 1954.
Ed i Ministri, dopo aver presentato alcune osservazioni di carattere tecnico, hanno finito per approvare i rapporti e le conclusioni stesse. Così, dopo avere ascoltato le relazioni oralmente fatte dai principali Comandanti Atlantici, tra le quali particolarmente interessante è apparsa quella del Comandante in Capo delle Forze in Europa Gen. Gruenther, i Ministri stessi hanno preso nota dell’avvenuto miglioramento dello schieramento militare atlantico con un rafforzamento, effettivamente verificatosi nel corso del 1953, sia nel numero delle unità, sia nella loro composizione e nel loro armamento.
Sull’argomento il Ministro italiano della Difesa, On. Taviani, ha poi posto in chiaro rilievo come l’attenzione della Organizzazione Atlantica debba sempre e sempre pinei prossimi anni rivolgersi all’osservazione degli aspetti propriamente militari in un giusto quadro politico, economico e sociale. «Noi mancheremmo – egli ha affermato – alla nostra responsabilità, che è una responsabilità innanzi tutto politica, se noi ci decidessimo per uno studio del nuovo aspetto dello strumento militare della nostra alleanza imponendo ad esso dei limiti eccessivamente stretti».
In riassunto, su tale argomento può dirsi che, trascorso oramai il periodo preparatorio che ha imposto la creazione in breve tempo, e quindi talvolta affrettatamente, dei mezzi militari destinati a fronteggiare le possibilità di un attacco improvviso, si sia ora passati al miglioramento ed alla maggiore integrazione dell’intero meccanismo militare dell’Alleanza. Oggi l’equilibrio, negli ultimi anni tanto studiato e discusso, tra le possibilità finanziarie ed economiche dei singoli Paesi e le necessità militari della difesa, appare in qualche modo, ed anche se restrittivamente, raggiunto in modo che nei prossimi anni gli sforzi per la difesa saranno sopratutto destinati a mantenere ed a migliorare l’apparato esistente, il quale, specie nel settore aeronautico, presenta tuttora esigenze non piccole.
Sull’argomento deve dirsi che attualmente, e cioè alla fine del 1953, lo sforzo dei Paesi atlantici si riassuma nella costituzione di 47 Divisioni di prima linea e di 49 Divisioni mobilitabili entro un mese con una forza aeronautica che si avvicina ai
5.000 apparecchi. Circa le «infrastrutture» poche parole sono state dette questa volta
-e ciò perché è attualmente in corso il «piano triennale» deciso nella XI Sessione – e soltanto nel comunicato finale della Conferenza si è affermato che un gran numero di progetti sono ancora in corso di realizzazione e che già oggi più di120 aeroporti ed una rete estesa di installazioni di telecomunicazioni sono a disposizione delle forze della NATO.
Ma – e questo è apparso l’argomento «principe» e di estremo interesse di tutta la seconda parte di questa XII Sessione del Consiglio Atlantico – la grande novità del giorno è stata costituita dall’oramai chiara e decisa affermazione delle «armi nuove» dovute agli sviluppi ed alle applicazioni dell’energia atomica: argomento che viene a toccare profondamente, ed alle sue stesse radici, l’intera organizzazione militare atlantica ed al quale sono stati destinati tanto in seduta plenaria quanto, e sopratutto, nella seduta finale ristretta dei Ministri, le considerazioni dei rappresentanti dei vari Paesi.
È questa la situazione nuova che porta ora alla nuova formula del «new look» per cui tutti i programmi futuri andrebbero riveduti e corretti sulla base dell’intervento delle nuove armi in seno all’organizzazione militare della difesa: problema estremamente complesso che ha alla base la grave discriminazione oggi esistente, proprio nello schieramento atlantico, tra Paesi che posseggono e sono già in condizione di applicare l’energia atomica e altri che non sono neanche al primo stadio degli studi ad essa relativi. Situazione di disagio alla quale il Governo degli Stati Uniti, nel corso di questa XII Sessione, ha cercato in qualche modo di venire incontro annunciando, per bocca del Signor Foster Dulles e del Segretario per la Difesa Wilson, la sua intenzione di compiere presso il Congresso americano i necessari interventi per addivenire ad un progressivo abbandono della cosidetta legge MacMahon per cui non è oggi ammessa l’estensione del segreto atomico ad altri Paesi, anche se alleati. Ma naturalmente si tratta soltanto di una promessa e di una indicazione destinate, si ripete, a placare i dubbi e le ansie dei Paesi diseredati. E si fa sempre più viva ed insistente la domanda circa le possibilità future di una vera e propria organizzazione della difesa da parte degli organi militari responsabili alleati se l’uso delle armi atomiche dovesse rimanere prerogativa esclusiva soltanto di alcuni Paesi.
La Conferenza si è comunque chiusa in atmosfera di maggiore serenità dopo la riunione privata dei Ministri, finalmente accordata da parte americana e nella quale, oltre il problema dell’energia atomica, e delle sue applicazioni, è stato possibile trattare, in via diretta e riservata, alcuni altri dei problemi internazionali oggi sul tappeto. Così ad una relazione del Ministro Bidault sul recente convegno delle Bermude (relazione che non ha portato peralcun elemento effettivamente nuovo) hanno fatto seguito alcune dichiarazioni, maggiormente pacate, del Signor Foster Dulles in tema di collaborazione tra Europa ed America. Tra l’altro, il Segretario di Stato, nell’accennare al prossimo incontro di Berlino – da lui peraltro ritenuto ancora non sicuro – ha posto in rilievo la necessità che la Germania, che sarà il principale oggetto di discussione, sia in qualche modo posta in condizione di esprimere le proprie idee e sia considerata un Paese a parità di diritti e non uno Stato «in condizioni di inferiorità». Il Ministro degli Esteri del Regno Unito, Eden, ha infine fornito alcuni ragguagli sull’attuale stato delle discussioni tra Londra e Cairo sulla questione del Canale di Suez.
Con ogni previsione la XIII Sessione sarà tenuta a Parigi nei primi giorni dell’aprile 1954, a meno che gli sviluppi della situazione internazionale e sopratutto la futura discussione con l’Unione Sovietica non rendano utile e necessario un incontro dei Ministri dei Paesi Atlantici prima di quella data.
In riassunto:
1) Sotto il profilo contingente ed immediato la XII Sessione non è stata certamente tra le pifelici. Il grave diverbio tra Washington e Parigi in tema di Comunità Europea di Difesa – diverbio dilagato immediatamente nella stampa e nel Parlamento di Francia nonché in tutti i Paesi europei – non ha costituito certo un esempio di coesione di intendimenti e di azione tra i Paesi alleati: e di ci naturalmente, e proprio in tema di «guerra psicologica», non mancheranno di approfittare gli avversari esterni ed interni dell’Alleanza stessa. Alcuni tra questi, e specialmente in Francia, non hanno naturalmente omesso di affermare subito che, dinanzi alla pesante pressione americana, il problema della CED quale essa è stata concepita nel Trattato firmato nel maggio 1952, può dirsi definitivamente sepolto: affermazioni alle quali peraltro hanno fatto riscontro immediatamente non piccole preoccupazioni di altri ambienti francesi ai quali un futuro disinteresse americano ai problemi militari ed economici dell’Europa occidentale ed in primo luogo della Francia stessa, è apparso senza veli e di una gravità eccezionale.
2) Da un punto di vista tecnico e militare ed in considerazione di realizzazioni a più lunga scadenza , la XII Sessione è apparsa invece di importanza e di significato notevolissimi. Per la prima volta, infatti, come si è sopra accennato, il decisivo problema delle «armi nuove» è apparso in termini precisi e completi quale prodromo di una vera e propria rivoluzione in tutto l’assetto difensivo dell’Alleanza. In avvenire occorrerà prepararsi a fronteggiare tutte e due le eventualità: o una guerra condotta, sulla base di principi morali, a mezzo delle attuali «armi convenzionali»
o una guerra di distruzione condotta, fuori della morale e dell’umanità, a mezzo delle «armi nuove» a scopo di ottenere, da parte dell’uno o dell’altro dei due blocchi, il successo definitivo.
Situazione, questa, destinata a far rivedere, anche sul terreno finanziario ed economico, l’intero piano protettivo: studio al quale dovranno ora dedicarsi, con estrema attenzione, gli organi militari dell’Alleanza in modo da potere al più presto presentare ai Ministri le proprie conclusioni ed i propri suggerimenti. In una parola, in questa XII Sessione si sono per la prima volta, si ripete, chiaramente impostati problemi di estrema importanza.
3) L’America ha avuto, naturalmente, anche se in atmosfera non del tutto favorevole, una parte, nella Sessione, assolutamente predominante, mentre il Regno Unito, con i rari e più o meno anodini interventi dei suoi Rappresentanti, si è tenuto piuttosto in disparte, pur riaffermando la sua platonica fiducia nella collaborazione e nella integrazione europea. L’altro attore è stato certamente la Francia sulla quale si è appuntata, come si è sopra indicato, l’attenzione generale e che ha cercato in tutti i modi di porre in rilievo, sotto il profilo europeo e mondiale, la gravità e l’importanza dei problemi ad essa attinenti, da quello della profondità e della durezza secolare dei rapporti franco
- tedeschi a quello della pesantezza e della pericolosità della situazione indocinese per cui la nazione francese da parecchi anni sostiene una lotta diretta e drammatica contro le affermazioni del comunismo nel continente asiatico.
4) Il problema tedesco è apparso naturalmente, alla vigilia del Convegno di Berlino – e non poteva essere altrimenti – di primaria importanza nel quadro ed ai fini della stessa Alleanza Atlantica, con particolare riguardo al possibile apporto, nella cornice della CED, di elementi germanici alla difesa dell’Europa. Sull’argomento, dopo non piccole incertezze, la XII Sessione ha finito per dichiarare, nel suo limato e contro-limato comunicato ufficiale conclusivo, che «nel quadro di una Comunità Atlantica costantemente in sviluppo, l’istituzione della Comunità Europea di Difesa, comprendente l’apporto di contingenti tedeschi, resta un obiettivo essenziale per il rafforzamento della potenza difensiva dell’Alleanza». Il Cancelliere Adenauer è stato, cioè, il «quindicesimo uomo» della Conferenza.
73 1 Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 91, fasc. 1.
L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. segreto 19/16. Londra, 5 gennaio 1954.
Oggetto: Dubbi sulla ratifica della CED e possibili alternative.
Riferimento: Telespressi di quest’Ambasciata n. 6505/2996 e 6508/2997 del 18 e 22 dicembre 1953(2).
Recenti contatti con ambienti francesi e britannici anche ad alto livello consentono le seguenti ulteriori considerazioni.
I francesi, pur nel loro scetticismo circa la possibilità di una prossima ratifica del trattato CED, non hanno ancora alcun progetto alternativo concreto. Risulta in modo sicuro che ancora pochi giorni fa Bidault, messo di fronte alla prospettiva di studiare in qualche modo un nuovo progetto di CED ridotta, non nascondeva le sue perplessità. Ogni modifica del trattato si presenta infatti a Parigi, anche dal punto di vista parlamentare, a doppio taglio. Essa pufare acquistare cinquanta voti in una direzione, a prezzo di farne perdere altrettanti o pinell’altra. Bidault, per tale motivo, ed anche perché malsicuro della sua posizione, è indeciso. E in generale gli uomini responsabili francesi, benché non amino dirlo, non hanno ancora perso la illusione che alla Conferenza di Berlino si verifichi un miracolo tale da cambiare la situazione. In definitiva molti francesi pensano che prima di un mesetto non si potrà avere una chiara idea di ciò che il loro Governo e il loro Parlamento intendono e possono fare o proporre.
Da parte inglese la posizione è più che mai netta. Non solo essi si rifiutano di proporre o suggerire alcuna modifica o surrogato della CED. Essi dicono pure, in modo molto reciso, che sarebbe un errore se una simile iniziativa venisse da un qualsiasi altro governo della Piccola Europa. Non è quindi soltanto, da parte loro, un non voler assumere la responsabilità di silurare la CED: è anche la convinzione che i francesi, ed essi soltanto, debbono assumersi tale responsabilità, scegliendo fra la ratifica della CED e una nuova iniziativa chiaramente formulata e fatta propria dal loro Parlamento. I britannici considerano che il fatto più grave nell’atteggiamento francese non è nemmeno tanto la ostilità al trattato CED, quanto il non avere alcun’altra proposta costruttiva da sostituirvi. Al Foreign Office hanno letto accuratamente gli interventi nell’ultimo dibattito alla Camera dei Deputati francese constatando con amarezza che in sostanza tutti i deputati, di qualsiasi tendenza, hanno brillato per le loro critiche ma non hanno recato alcun contributo costruttivo.
La conseguenza che ne traggono è logica: ogni speranza di aiutare il Parlamento francese a trarsi d’impaccio, da chiunque venga, è una illusione. Essa servirebbe soltanto ad offrire ai francesi il pretesto per liberarsi della CED, salvo poi a scoprire qualche tempo dopo che anche il nuovo progetto è inaccettabile perché presenta diversi, ma altrettanto gravi pericoli. Secondo i britannici, è chiaro che un nuovo trattato CED, dal quale siano eliminate le clausole maggiormente vincolative nei riguardi dell’esercito nazionale e della sovranità francese, è facile da suggerire; ma esso implicherebbe anche una uguale maggiore libertà di azione e di armamento per gli altri Stati, e sopratutto per la Germania, e questo non sarebbe certo tollerato dal Parlamento francese. Si tratta di progetti facili come scappatoie, estremamente difficili come vere alternative.
In conclusione, secondo i britannici, l’unica strada da seguire è quella della fermezza: al fine di obbligare gli statisti francesi a parlar chiaro al loro Parlamento, e di costringere il Parlamento a decidersi, o ratificando la CED, o suggerendo esso stesso una nuova proposta costruttiva.
In questo modo, francesi ed inglesi sembrano, per motivi diversi, condividere una posizione di attesa la quale presenta i suoi pericoli. Se l’analisi ripetutamente e ancora recentemente fatta della posizione parlamentare francese dall’Ambasciatore Quaroni(3)è esatta (per conto mio non posso che condividerne il giustificato pessimismo) noi arriveremo più facilmente al rigetto della CED, o a un ulteriore ritardo delle procedure parlamentari, che alla presentazione di un nuovo progetto in sua sostituzione. Ma se anche questo progetto potesse essere elaborato, potrebbe facilmente apparire agli altri cinque paesi come un’inaccettabile imposizione, specialmente se il Parlamento francese ratificasse la CED sottoponendola a esplicite e tassative condizioni.
Lasciare quindi la iniziativa e la responsabilità ai francesi secondo quanto dicono gli inglesi, è giusto: sono essi che mettono in pericolo la CED dopo averla proposta, tocca a loro offrire un surrogato.
Ma da un lato il tempo stringe, e dall’altro sarebbe disastroso se i francesi avanzassero nuove proposte inaccettabili dai tedeschi o da noi, o dal Benelux.
Sarebbe quindi essenziale, mi sembra, che qualsiasi nuova idea potesse eventualmente sorgere a Parigi fosse preventivamente esaminata e discussa per segrete e spedite vie diplomatiche, in modo che, se accettabile, venisse accolta contemporaneamente e dal Parlamento francese e dagli altri governi interessati.
Per conto nostro, io mi vado convincendo sempre più pur essendo sempre stato ed essendo tuttora profondamente convinto della necessità storica e della utilità dell’unione europea, che è meglio una CED riveduta, o se si vuole un poco mutilata, che nessuna CED. L’essenziale cioè, oggi è di evitare che gli americani, come conseguenza del loro «agonizing reappraisal» tendano ad allontanarsi dall’Europa. Se per avere la Germania Occidentale inserita nell’Occidente e riarmata bisogna sacrificare una parte dei principii unitari della CED, vale la pena di farlo. D’altra parte, anche dal punto di vista della nostra politica interna, è meglio ammettere la necessità di una CED ridotta che confessare il suo totale naufragio. Mi rendo conto come a noi sia difficile assumere l’iniziativa; e gli argomenti dei britannici sulla necessità che la prendano i francesi mi appaiono convincenti. Ma occorre quantomeno che noi siamo predisposti ad accogliere con mente aperta ogni eventuale iniziativa francese; occorre pure che di ciò si discuta con loro francamente e nella sede diplomatica pisegreta e piopportuna. La prossima riunione di Parigi per la Comunità Europea potrebbe forse offrire al riguardo un primo «meeting ground».
La situazione della CED è, benché gravissima, forse non del tutto disperata: ma i francesi tanto più si indurranno a fare lo sforzo necessario per salvarla ratificandola, quanto più si renderanno conto attraverso studi e discussioni di un nuovo progetto, delle maggiori difficoltà che ne sorgerebbero anche per loro. Anche per questo credo sia opportuno affrontare con loro senza prevenzioni le difficoltà delle possibili alternative.
Infine, mi pare, noi non dovremmo dimenticare che i francesi in questo momento potrebbero esserci molto utili ai fini di una mediazione per Trieste. Ma certamente non ce la daranno senza un qualche corrispettivo, e da Parigi sappiamo benissimo quale questo corrispettivo sia: è un atteggiamento comprensivo e conciliante nei riguardi della questione CED e dell’Europa.
74 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
74 2 Sullo stesso argomento, non pubblicati.
74 3 Vedi D. 68.
IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, ALLA DELEGAZIONE PRESSO LA COMMISSIONE CPE(1)
Telespr. segreto 21/0023(2). Roma, 6 gennaio 1954.
Oggetto: Lavori per la Comunità Europea. Parigi. Gennaio-marzo 1954.
In vista dei prossimi lavori della Commissione per la Comunità Europea riassumo qualche considerazione su alcuni dei principali problemi allo studio affinché la Delegazione Italiana ne tragga le opportune direttive per la sua azione.
Parlamento. La linea europeista ed a noi favorevole, per la soluzione dei vari problemi relativi al Parlamento, sembra quella che consenta al principio, ormai acquisito, del suffragio universale diretto di esplicare piampiamente i suoi favorevoli effetti. Evidentemente tanto la composizione del Parlamento quanto i poteri che gli verranno attribuiti possono influire sostanzialmente sulla portata di tali effetti. Distinguiamo tre problemi fondamentali: quello dei poteri del Parlamento in generale, quello della ripartizione dei seggi nella Camera eletta a suffragio diretto e infine quello della seconda camera (definizione, composizione e poteri).
Circa i poteri del Parlamento noi patrociniamo, come noto, un sistema nel quale il Parlamento eserciti a) il controllo politico sull’Esecutivo e b) un reale potere legislativo (nei limiti della competenza della Comunità, e restando quindi esclusa ogni possibilità di auto-estensione).
L’esercizio di tale potere legislativo (che comporta iniziativa delle leggi, diritto di emendamento e adozione delle leggi) consentirà all’impulso europeistico insito nel Parlamento, e specie nella camera eletta, di esplicarsi verso realizzazioni positive, accentuandosi in tal modo il carattere sovranazionale della Comunità.
Per quanto riguarda l’esercizio del controllo politico sull’Esecutivo, riteniamo si tratti di un obiettivo di particolare interesse, anche perché − come è stato ancora recentemente messo in luce − alcuni settori dell’opinione pubblica e parlamentare, specialmente in Francia, vi condizionano il proprio atteggiamento nei riguardi della CED. Cicondurrà a mettere a punto un nuovo sistema che in definitiva dovrebbe sostituirsi a quelli previsti dagli art. 24 del Trattato CECA e 36 del Trattato CED. Nella determinazione delle modalità dell’esercizio di tale controllo, l’interesse di secondare la piampia esplicazione dei poteri parlamentari va contemperato ed equilibrato con l’interesse di mantenere un esecutivo sufficientemente stabile ed efficiente.
Circa la ripartizione dei seggi nella Camera dei Popoli, riteniamo che il sistema da noi proposto − fondato sulla proporzionalità rispetto alla popolazione, sia pure con opportuno minimo e massimo − sia quello piatto ad assicurare la linea europeista ed a noi favorevole cui abbiamo sopra accennato. Vorremmo quasi dire che l’adozione dell’opposto criterio della ponderazione contrasta con i principi ispiratori del suffragio universale diretto per il quale tendenzialmente ogni voto di singolo elettore deve avere peso uguale.
La questione è poi connessa con quella dell’esistenza, della composizione e dei poteri della seconda Camera. In linea teorica un quadro delle varie possibilità, nell’ordine che appare più favorevole da un punto di vista sovranazionale, sarebbe a nostro avviso, il seguente:
1) Camera proporzionale sola
2) Camera proporzionale e Senato ponderato
3) Camera proporzionale e Senato paritario
4) Camera proporzionale e Consiglio dei Ministri = 2a Camera
5) Camera ponderata sola
6) Camera ponderata e Senato ponderato
7) Camera ponderata e Senato paritario
8) Camera ponderata e Consiglio del Ministri = 2a Camera.
Si tratta, ripetiamo, di un quadro teorico: evidentemente, ad esempio, le soluzioni 1 e 5 sarebbero in contrasto col principio della bicameralità stabilito nell’art. 38 del Trattato CED. Comunque esso ci consente di constatare che le soluzioni proposte dagli altri Paesi tendono ad essere le tre ultime del quadro stesso, ossia le meno coerenti con il principio di assicurare − mentre nella seconda Camera si crea un’autentica Camera degli Stati − un’autentica rappresentanza dei popoli nella Camera eletta a suffragio diretto.
Ad ogni modo ci rendiamo conto che nella posizione da noi sostenuta non è facile trovare degli alleati. Ma questa posizione, la cui importanza di fronte alla nostra opinione pubblica deve essere sottolineata, si ritiene vada mantenuta finché almeno si chiariscano altre situazioni e si presentino eventualmente possibilità di giuoco nelle reciproche concessioni.
Si tenga inoltre presente la seguente considerazione che può offrire qualche possibilità di manovra: le conseguenze dell’esistenza della seconda Camera sono evidentemente in rapporto ai suoi poteri; quanto più si riducono tali poteri tanto meno pesa l’esistenza e la composizione della Camera stessa; tanto che se, in ipotesi, attraverso una soluzione Consiglio dei Ministri = seconda Camera riuscisse ad ottenersi una sensibile riduzione dei poteri complessivi quali attualmente si immaginano per i due organi, la soluzione stessa presenterebbe aspetti di convenienza, dal punto di vista europeistico, che meriterebbero di essere attentamente considerati.
Consiglio dei Ministri nazionali. La nostra posizione al riguardo è nota. Innanzitutto lasciamo, in via generale, ad altri il compito di insistere per assicurare le prerogative di questo organo. Non è che tali prerogative non ci interessino: anzi anche noi consideriamo indispensabile, perlomeno in un primo non breve periodo transitorio, la funzione del Consiglio dei Ministri Nazionali e le garanzie, che esso rappresenta, che gli interessi da singoli Stati verranno armonicamente considerati in seno alla Comunità; il sistema è d’altronde accettato dai sei Stati nei Trattati CECA e CED. Ma partiamo dalla constatazione che altri Paesi si sono assunti nei lavori per la CPE, e con impegno che dal punto di vista europeistico si presenta eccessivo, la tutela di dette prerogative.
Si è ampiamente discusso nella Conferenza di Roma sulla natura dell’organo in questione; branca dell’Esecutivo? Organo «sui generis»? Con la prima definizione si tendeva evidentemente a pregiudicare a priori le discussioni, cui si dovrà arrivare, circa i precisi poteri che spettano al Consiglio, nel senso di giungere a attribuire ad esso tutta la direzione politica della Comunità lasciando al Consiglio Esecutivo Europeo solo poteri amministrativi ed esecutivi in stretto senso. Non è così che noi concepiamo l’equilibrio fra le istituzioni della Comunità. Noi pensiamo che l’Esecutivo Europeo debba, pur con gli opportuni limiti e nel quadro ristretto delle sue competenze, poter portare l’impulso sopranazionale, che esso rappresenta, alla vita della Comunità; e che quindi il Consiglio dei Ministri non debba con il suo preponderante peso eliminare tale impulso.
Conviene, come osservla Delegazione olandese nel corso della Conferenza di Roma, evitare di attardarsi sulla definizione e scendere all’esame delle funzioni e dei poteri concreti che saranno attribuiti al Consiglio dei Ministri Nazionali. Per quel che si riferisce alle funzioni e poteri previsti dai Trattati CECA e CED siamo sulle posizioni dell’Assemblea ad hoc che non prevedono modifiche; cisalvo, naturalmente, a vedere l’ulteriore evoluzione della discussione. Per quanto riguarda altri interventi del Consiglio in relazione alle nuove attribuzioni che verranno assegnate alla Comunità pensiamo, come è noto, che essi debbano in ogni caso essere limitati a decisioni chiave, ossia a questioni fondamentali, da determinarsi specificamente nel Trattato. Naturalmente quanto piampie fossero le attribuzioni della Comunità tanto più saremmo inclini ad allargare (specie per un primo periodo di attività) gli interventi del Consiglio dei Ministri Nazionali a tutela dei più vasti interessi nazionali che verrebbero, in tali ipotesi, in giuoco.
Sempre a proposito del Consiglio dei Ministri Nazionali difficilmente riusciamo a concepire un parere conforme del Consiglio stesso gravante sulle decisioni legislative del Parlamento, come proposto dal Lussemburgo a L’Aja. Per quanto in teoria un intervento del Consiglio nell’attività legislativa potrebbe, in termini tradizionali, essere presentato quale atto di promulgazione delle leggi, non riteniamo convenga favorire questa tendenza che per ora appare chiaramente intesa a limitare le prerogative parlamentari.
Esecutivo sopranazionale europeo. Quale sia la nostra concezione dell’Esecutivo Europeo risulta da quanto è stato detto più sopra. È questo l’argomento più delicato e difficile. È sull’Esecutivo sopranazionale infatti che le differenti maniere nelle quali vari Paesi concepiscono la Comunità hanno i pievidenti e meno conciliabili riflessi e non consentono di raggiungere un minimo comune denominatore. In particolare, il problema delle attribuzioni (specie economiche) della Comunità, quello del conglobamento delle Comunità già esistenti, quello della natura del Consiglio dei Ministri Nazionali premono tutti sul problema dell’Esecutivo Europeo ed è difficile immaginare un vero accordo su di esso senza che l’accordo sui primi tre non sia stato raggiunto.
Ad ogni modo quel che interessa ai fini di una costruzione europea quale la concepiamo è assicurare all’Esecutivo della Comunità concreti – se pur limitati – poteri di azione. Non meno, evidentemente, dei poteri già previsti nei Trattati CECA e CED, esercitati – come è naturale – in modo che seguano linee direttive uniche comuni: ad essi andrebbero aggiunti altri concreti poteri in relazione alle nuove attribuzioni che verranno assegnate alla Comunità. Si richiama, al riguardo, quanto si è detto parlando dei Consiglio dei Ministri Nazionali.
Quanto alla forma del conglobamento degli Esecutivi esistenti la nostra linea di condotta può esserepielastica sempreché naturalmente non si venga ad esautorare in pratica per quest’altra via l’Esecutivo quale sopra concepito.
Attribuzioni economiche della Comunità. Lo studio abbordato nella Conferenza di Roma del problema delle attribuzioni economiche della Comunità e del mercato comune ha messo ancora una volta in luce la estrema difficoltà e complessità del problema e, a chi ben guardi, la profondità delle divergenze dei punti di vista dei sei Paesi. La situazione è apparsa tale che, pur essendosi alla Conferenza di Roma rivelato questo il problema essenziale, nella riunione dell’Aja non si è ritenuto conveniente toccarlo; e che la finora intransigente posizione olandese, cui si deve – come è noto – l’impostazione del problema economico in seno alla Comunità a Sei, è sembrata nella citata riunione dell’Aja mostrare qualche sintomo di flessione.
Evidentemente l’estensione della competenza della Comunità al settore economico e la realizzazione di un mercato comune sono obiettivi fondamentali dell’integrazione europea quale noi la concepiamo. Se la costituenda Comunità Politica ignorasse deliberatamente questo aspetto noi certo non vi daremmo la nostra adesione. Ma ciò premesso, conviene domandarsi sino a che punto sia oggi possibile, nelle condizioni esistenti, sperare ragionevolmente che tutti o almeno i principali problemi relativi alla realizzazione di un mercato comune possano trovare in tempo relativamente breve concordata soluzione. Una risposta obiettiva deve riconoscere che, fintantoché non saranno create pisolide e profonde premesse politiche capaci di influire sulla volontà dei sei Paesi (tradizionalmente orientate alla difesa dei propri interessi nel settore economico), le possibilità di riuscita sono assai scarse se non nulle. Ora la creazione della Comunità politica è appunto intesa a stimolare e vivificare tali premesse politiche: e non vorremmo quindi, insistendo oggi sulle soluzioni economiche come condizione assoluta per la creazione di tale Comunità, entrare in un circolo vizioso.
In pratica comunque, il nostro atteggiamento seguiterà ad essere di franca collaborazione nella esplorazione delle possibilità e nella ricerca intesa a portare su un terreno piconcreto l’enunciazione, ormai concordemente accettata, del principio che la Comunità debba avere nuove attribuzioni nel campo economico. Si tenga presente al riguardo, con particolare riferimento alla posizione francese, che il principio del «non abbandono di sovranità» ci sembra poter essere conciliabile con alcune forme di attribuzioni nel campo economico anche al di là di quelle del semplice studio.
Per quanto riguarda il nostro punto di vista sui vari aspetti del problema del mercato comune ed in particolare per quel che si riferisce agli interessi che in ogni caso dobbiamo tutelare in quanto rispondenti alle specifiche esigenze del nostro Paese, converrà riferirsi ai principi che hanno ispirato i nostri rappresentanti alla Conferenza di Roma e che risultano dal rapporto dei Sostituti. Non mancheranno nel corso delle discussioni, occasioni per opportunamente suggerire ancora una volta la nostra convinzione che il Trattato per la CPE non possa essere un accordo economico ma debba costituire il quadro costituzionale della nuova integrazione europea e come tale limitarsi a stabilire, anche per il settore del mercato comune, direttive d’ordine generale sia pure, per quanto possibile, concrete ed efficaci.
75 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
75 2 Trasmesso da Magistrati a Caruso, Grazzi, Quaroni e Babuscio Rizzo rispettivamente con lettere 20/0033, 20/0034, 20/0036 e 20/0037 dell’8 gennaio il cui tenore era il seguente: «Caro Ambasciatore, come conosci, si iniziano in questi giorni a Parigi i lavori della speciale Commissione creatasi a seguito della Conferenza de L’Aja in merito alla continuazione degli studi per la Comunità Politica Europea. Stimo utile farti pervenire, qui unito, per tua opportuna conoscenza, il riassunto delle istruzioni che sono state impartite ai nostri rappresentanti in quella Commissione, che si va suddividendo in più gruppi di lavoro e la cui presidenza è tenuta da S.E. Benvenuti, nella sua qualità di “Sostituto” del Ministro degli Affari Esteri. Queste istruzioni contengono e riassumono i nostri punti di vista sui difficili e numerosi problemi tuttora aperti in tale settore. Credimi sempre [Massimo Magistrati]» (ibidem).
IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. riservato 10/1(2). Parigi, 6 gennaio 1954.
Oggetto: La politica americana e la CED.
Riferimento: Mio telespresso n. 10/832 in data 23 dicembre u.s.(3).
Sarebbe prematuro tentare fino da ora di valutare esattamente i risultati concreti del «trattamento di shock» usato dal Segretario di Stato americano nei confronti dei francesi per forzare una decisione circa la ratifica della CED. Anche perché – come ho avuto l’onore di riferire col telespresso sopracitato e come sembra confermato dal successivo svolgersi dell’azione americana – le dichiarazioni di Dulles davanti al Consiglio Atlantico e quelle, anche piperentorie, da lui fatte in sede di conferenza stampa(4)avrebbero segnato soltanto l’inizio di quella politica di martellamento e di concentrazione di sforzi che sarebbe nelle intenzioni della diplomazia statunitense.
Si può però altro, adesso che vanno attenuandosi le prime impressioni qui suscitate dalla forma assunta dalla presa di posizione americana e si sta piattentamente studiando la portata sostanziale di essa, cominciare a formulare qualche osservazione circa le reazioni francesi davanti al fermo ed inconsueto linguaggio degli alleati di oltreatlantico.
Salvo qualche caso marginale in cui le pressioni americane possono avere causato dei ripensamenti e delle conversioni nell’uno o nell’altro senso, pare che le posizioni manifestatesi nei recenti dibattiti al Consiglio della Repubblica ed alla Camera non abbiano subito mutamenti apprezzabili. La battaglia seguita quindi a svolgersi intorno agli incerti e ai titubanti, dai voti dei quali dipenderà la sorte ultima del Trattato di Parigi.
I fautori della integrazione militare europea, dopo un primo momento di smarrimento causato dal non ingiustificato timore che la durezza delle parole pronunciate da Dulles a Parigi potesse fare il giuoco dei loro avversari, cercano ora di presentare l’atteggiamento americano come un sintomo ed una conseguenza di una ineluttabile situazione di fatto e ne traggono argomento per conferire peso alla loro affermazione che la CED è il modo migliore per uscire dalla attuale «impasse» e per sottolineare quelle che sarebbero le gravissime ripercussioni di una impennata del Parlamento francese davanti all’ostacolo dell’esercito europeo. Essi aggiungono che le dichiarazioni del Segretario di Stato (di cui – dicono – si deve rilevare non soltanto la rude formulazione ma anche il tono sinceramente accorato e preoccupato) hanno avuto il merito della franchezza ed hanno inteso di essere sopratutto un amichevole e tempestivo avvertimento alla Francia, con cui egli ha voluto giuocare a carte assolutamente scoperte, come si conviene fra alleati sinceri. Né dimenticano di lasciare intravedere che, se la CED venisse ratificata, non mancherebbero da parte degli Stati Uniti quei gesti di buona volontà e quelle garanzie supplementari, oggi invocate a vuoto dal Governo francese in quanto non possono essere concesse che al momento in cui ognuno abbia assunto le proprie responsabilità. A questo proposito si dice che i «fidi» degli americani consigliano loro, sottobanco, di continuare ancora per qualche tempo nella linea adottata alle Bermude e confermate a Parigi, riservando l’annuncio di eventuali concessioni e contropartite al momento in cui esso sarebbe suscettibile di produrre maggiore effetto su questa opinione pubblica e parlamentare, cioè proprio alla vigilia della discussione finale del Trattato.
Gli oppositori, dal canto loro, non mostrano di essere stati eccessivamente scossi dalle minaccie americane e si dichiarano decisi a combattere fino in fondo, ed anzi ad intensificare la loro lotta. In verità il loro compito è, fra l’altro, facilitato sul piano interno dalla situazione parlamentare che rende estremamente arduo di raggruppare i suffragi che potrebbero essere favorevoli alla CED, essendo essi divisi fra i vari schieramenti che si scontrano fieramente in tutti gli altri settori, e sul piano esterno dall’atmosfera internazionale che, alla vigilia della conferenza di Berlino ed in seguito alla indubbiamente abile tattica dei russi (di cui le ultime manifestazioni – nel campo atomico ed in coincidenza con le festività di stagione – hanno prodotto qui la solita speranzosa impressione), va facendo orientare al sereno la lancetta del barometro della distensione.
Come è noto, l’opposizione alla CED è formata dagli elementi pieterogenei e trae ispirazione dai più disparati moventi (basti pensare che essa comprende comunisti e ultranazionalisti, neutralisti ed esponenti di grossi interessi industriali) ma ha minori difficoltà a concretarsi in un fronte unico al momento delle votazioni perché l’assumere la stessa posizione negativa su un determinato problema non implica una solidarietà politica all’infuori del problema stesso e perché, in genere, è sempre pisemplice trovarsi d’accordo nel non volere una cosa che nel volerla e fatta in un certo modo.
Comunque sia, a parte certe sfumature, tutti gli ambienti anti-CED (ad eccezione, s’intende, dei comunisti che seguono una loro particolare linea) come hanno adottato la stessa tattica per sfruttare gli atteggiamenti ultimativi di Dulles, facendo leva sulla dignità offesa e sul senso di indipendenza dei francesi, così usano ora, più o meno, il medesimo linguaggio per minimizzare e sdrammatizzare agli occhi dei pencolanti le conseguenze di un rifiuto del Trattato di Parigi.
Gli esponenti di tali tendenze appaiono infatti concordi nell’affermare che, se è ovvio che il fallimento della CED porrebbe gli americani di fronte alla necessità di riesaminare la loro strategia, sembra molto improbabile che, per quanto «agonizing» possa essere tale riesame, esso conduca davvero alla formulazione di una nuova politica che significherebbe il volontario abbandono alla Russia di tutta l’Europa occidentale e, nei suoi successivi sviluppi, una forse insanabile crisi del sistema atlantico, la quale, a sua volta, potrebbe anche contenere i germi di un vero e proprio capovolgimento di alleanze. Forse gli americani, essi dicono, potrebbero ritirare parte delle loro truppe oggi stazionanti in Europa ma certo non tutte perché non arriverebbero fino al punto di distruggere il dispositivo di difesa creato sin qui nel quadro del TNA. E la riduzione degli effettivi americani oltreoceano non è, del resto, una decisione ormai maturata nelle intenzioni degli Stati Uniti e che essi attuerebbero comunque – in una forma o nell’altra, a più o meno breve scadenza – anche se la CED divenisse realtà? Insomma essi affettano di guardare senza spavento alle eventuali decisioni americane, basandosi sul concetto che l’Europa ha in ogni caso per gli americani una importanza di primo piano e che essa non potrà quindi, in nessuna eventualità, essere lasciata andare alla deriva. Comunque, soggiungono, gli Stati Uniti non possono ritirare, nelle attuali contingenze, il loro aiuto alla Francia per il proseguimento della guerra in Indocina e questo è intanto un punto fermo che deve far guardare con minore apprensione a quello che potrebbe succedere dopo un eventuale scacco definitivo alla CED.
In realtà, si avverte che le indicazioni date da parte americana che non si penserebbe ad un riarmo unilaterale e indipendente della Germania hanno fatto tirare qui un gran sospirone di sollievo e hanno dato la sensazione che c’è ancora tempo per cercare qualche diversa via d’uscita. Come ho già avuto altra volta occasione di rilevare, la ipotesi della strategia periferica – in un momento in cui non si crede più a torto o a ragione, ad un pericolo grave e imminente di guerra – fa meno paura a molti francesi (senza con questo voler dire che non se ne vedano qui i serissimi lati negativi) che non lo spettro di una Germania riarmata autonomamente e la possibilità che si realizzi l’incubo costante di una nuova Wermacht.
La situazione rimane dunque fluida ed incerta e le probabilità che il Trattato passi davanti a questo Parlamento non sembrano essere davvero aumentate nel corso di queste ultime settimane. Forse soltanto un clamoroso fallimento della riunione di Berlino potrebbe provocare una contro-ondata; un fallimento, s’intende, che potesse essere inequivocabilmente attribuito alla cattiva volontà e alla mala fede dell’Unione Sovietica.
In questi frangenti molti, tra i più responsabili e i picoscienti della gravità del momento, guardano con preoccupazione profonda a quello che potrebbe essere lo svolgimento e l’esito di un dibattito parlamentare e si chiedono ansiosamente se proprio non ci sia altra strada che quella di affrontarlo in uno stato di simile pericolosa incertezza. Da tale stato d’animo va scaturendo, in certi ambienti, la convinzione che forse un tentativo in extremis potrebbe ancora essere fatto per trovare una formula di revisione del Trattato che consentisse di presentare al Parlamento un testo suscettibile di raccogliere quella approvazione che apparirebbe così incerta se la CED dovesse mantenere intatta la sua attuale forma e struttura. Alcuni accenni in questo senso sono apparsi anche sulla stampa, mentre di tale eventualità si parla molto, sebbene a bassa voce, in questi circoli diplomatici e atlantici, nonché, in conversazioni confidenziali, negli stessi ambienti del Comitato Interinale.
Alcuni dicono che bisognerebbe procedere a lievi ritocchi del Trattato, piformali che altro, in modo da poter presentare una nuova redazione che, senza discostarsi troppo dall’antica, desse l’impressione di aver tenuto conto di alcune delle preoccupazioni espresse in Parlamento, onde riuscire a raccogliere un’altra cinquantina di voti ed avere così un buon margine di sicurezza. Ma questa tesi appare invero alquanto utopistica perché non sembra facile di poter giuocare, in una materia così delicata, su un evidente equivoco. Non si tratta soltanto di «salvare la faccia» ad alcune decine di deputati ma di qualcosa di pisostanziale.
Altri, con maggiore logica, sostengono invece che bisognerebbe – nonostante che Dulles abbia anticipato che sarebbe contrario a «major alterations», per le quali non vi sarebbe pitempo – provvedere a dar vita ad una nuova edizione molto pielastica della CED riducendo i poteri sopranazionali del Commissariato e lasciando maggiore autorità ai Governi nazionali. I tedeschi, si afferma, avrebbero tutto l’interesse a non respingere a priori una consimile proposta una volta che si rendessero chiaramente conto che il Trattato nella sua forma attuale non può essereapprovato, che un loro riarmo unilaterale non sarebbe contemplato e che quello loro offerto sarebbe, nonostante tutto, il mezzo pirapido per fare entrare in vigore senza eccessive scosse gli accordi contrattuali e far riacquistare loro la piena sovranità.
Il problema, naturalmente, non è semplice: si tratterebbe in sostanza di trovare la quadratura di un circolo che consenta al tempo stesso il controllo e l’imbrigliamento, presente e futuro, delle costituende forze tedesche e che lasci invece alla Francia piena sovranità e completa libertà di azione. Il tutto in una cornice, almeno apparente, di reciprocità e non discriminazione. E poi occorrerebbe che si adempiesse a tre condizioni essenziali: avere cioè la ragionevole certezza che il nuovo Trattato sarebbe approvato dal Parlamento francese, procedere in tutta fretta per poter assicurare gli americani che il ritardo sarebbe minimo e poter presentare il nuovo progetto agli americani stessi come il frutto di un accordo già avvenuto fra i sei Paesi interessati. Difficilissimo dunque tutto questo ma forse non proprio impossibile, nonostante la estrema complessità delle esigenze da armonizzare, la difficoltà e le responsabilità delle valutazioni che dovrebbero esser fatte da tutti e da ciascuno e la limitatezza del tempo a disposizione.
Pare comunque che in certi settori vicini al Governo ci sia chi ritenga che il tentativo valga la pena di essere fatto e non ci si dovrebbe quindi meravigliare oltre misura se ci dovessimo trovare, a breve scadenza, davanti ad una iniziativa ufficiale francese in tal senso.
Certo la questione è studiata; e da più parti. Il che naturalmente è destinato a complicare ulteriormente le cose, dato che ciascuno vorrà impostare la eventuale integrazione militare europea di nuovo conio sulle concezioni che pirispondono alle sue vedute ed ai suoi interessi o riprendere idee che, sia pure vagamente, sono state ventilate negli ultimi mesi e che si imperniano su principi diversi e spesso anche contrastanti: dal periodo transitorio immaginato da Juin alla coalizione di tipo confederale, con Stato Maggiore integrato, adombrata da De Gaulle, fino al pool degli armamenti auspicato da Lapie e da Bonnefous(5).
76 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
76 2 Sottoscrizione autografa.
76 3 Con esso Bombassei riferiva sui possibili sviluppi della politica statunitense verso i francesi in campo CED (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 17, fasc. 65).
76 4 Vedi DD. 72 e 73.
76 5 Per il seguito vedi D. 79.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. riservata 0034. Parigi, 12 gennaio 1954.
Caro Magistrati,
ti ringrazio di avermi inviate le istruzioni per i nostri delegati alla Conferenza per la Comunità Politica Europea(2).
Mi preparavo a scrivere ufficialmente su questo tema e quello connesso della CED; poi, in vista della crisi ministeriale, ho pensato sia piopportuno attendere: la tua lettera(3)perè intanto un invito a discuterne con te.
Le vostre istruzioni sono molto elastiche e molto ragionevoli: resta perla questione di fondo.
Data la tattica americana, dopo l’ultima riunione NATO, e che Bombassei ha molto bene definita del martellamento, è difficile, rebus sic stantibus, evitare che, fra un paio di mesi, la CED venga discussa al Parlamento francese.
L’influenza che può avere sulle decisioni del Parlamento francese la prossima Conferenza di Berlino è indubbia: temo perche finirà per lasciare molto, per quello che concerne la Francia, la situazione parlamentare come è. I russi faranno delle proposte allettanti ma vaghe, dirette più ai popoli che ai governi ‒qui si dice fra l’altro che potrebbero proporre l’adesione dei satelliti a Strasburgo. Se, il che non è probabile, gli americani non cambiano radicalmente la loro impostazione (insistere cioè sull’accettazione sovietica della CED), le proposte russe resteranno allettanti appunto perché vaghe: la questione della CED puimpedire di smascherarle, precisandole. Per cui quelli che oggi sono convinti che ci si potrebbe mettere d’accordo con la Russia, se non ci fossero la CED e l’America, ne resteranno convinti: e lo stesso si potrà dire dei fautori della CED.
Le «chances» che la CED venga ratificata dal Parlamento francese sono minime. Conviene rischiare uno choc di questo genere? Io sono molto contrario a rischiare tutto su di una sola carta, e ad andare incontro alle conseguenze di una rottura.
Tanto più in vista della nostra situazione speciale. Se fosse possibile per noi, adesso, sottomettere il trattato CED al Parlamento e farlo ratificare, potremmo, avendo le carte a posto, con una certa tranquillità, aspettare con indifferenza che la Francia si decida. Ma non vedo che lo possiamo fare, almeno per ora.
E allora non sarebbe meglio cercare di studiare fin da ora qualche alternativa?
L’opposizione francese alla CED va divisa in due gruppi, all’incirca di eguale importanza: ci sono i cosiddetti neutralisti per cui l’opposizione alla CED significa puramente e semplicemente un «renversement des alliances»: con questi naturalmente non c’è niente da fare. Ma c’è invece l’opposizione nazionalista che, probabilmente, potrebbe essere indotta a dare la sua adesione ad una CED che fosse considerevolmente meno sopranazionale e considerevolmente pinazionale. Quindi con delle modifiche e semplificazioni sostanziali al trattato CED quale esso è oggi, si potrebbe forse trovare una maggioranza abbastanza sicura davanti al Parlamento francese.
L’ideale, secondo me, sarebbe quello di cominciare a studiare la cosa adesso, nelle more e durante la Conferenza di Berlino, in maniera da potere al più presto tutti e sei dire agli americani: signori miei, la CED, così come era stata firmata, non aveva «chances» di essere realizzata; ci siamo messi d’accordo su qualche cosa d’altro, sostanzialmente equivalente ai vostri fini. Altri preferirebbero (Cavalletti) aspettare il dibattito al Parlamento francese, supponendo, e con questo concordo, che non avremmo un rigetto puro e semplice, ma una serie di obbiezioni e di alternative e che è sulla base di queste obbiezioni ed alternative che si potrebbe poi, in un secondo tempo, passare ad un’eventuale revisione della CED. Per me, purché ci si metta sulla strada delle alternative, non ho difficoltà ad accettare l’una
o l’altra delle proposte.
Intanto la conferenza sulla Comunità Politica potrebbe cominciare ad avviarci verso l’alternativa. Io non vedo quale utilità pratica possa avere uno studio, anche approfondito da parte di esperti, anche se a livello politico, per mettere in piedi una convenzione che potrebbe poi non essere ratificata dal Parlamento francese o da un altro Parlamento: abbiamo già fatto l’esperienza di costruzioni attuate senza tener conto delle possibilità parlamentari: e non converrebbe ripetere adesso l’esperimento.
Prendiamo, per esempio, la questione delle competenze relative del Consiglio dei Ministri e dell’Esecutivo della Comunità, che è in sostanza la questione della delimitazione fra l’elemento nazionale e l’elemento sopranazionale. Quanto voi dite nelle vostre istruzioni è giustissimo, dal punto di vista teorico, ma quello che vorremmo noi può essereaccettato dal Parlamento francese, o da altri Parlamenti? That is the question.
Non è che, personalmente, non desidererei che si potesse fare qualche cosa e anche molto di più il problema vero è percosa si può fare, oggi. E nessuno riuscirà a persuadermi che non sia meglio contentarsi di qualche cosa anche di poco soddisfacente per rapporto al nostro ideale, piuttosto che rinunciarci per andare alla ricerca del meglio.
Dopo tutto, fra i vari esempi di integrazione, abbiamo anche l’esempio della Germania, dove si è proceduto per gradi. Prima il sistema del Congresso di Vienna che era pochissimo, poi la Confederazione Germanica di dopo il ‘66, poi l’Impero Confederale di dopo il ‘71 e, finalmente, lo Stato post Weimar. Molti tedeschi si sono strappati i capelli perché quanto fatto a Vienna era troppo poco: per forse, senza quel troppo poco non si sarebbe arrivati alla Costituzione del ‘71. Non vedo perché non si potrebbe fare lo stesso per l’Europa.
A mio avviso, bisognerebbe, e questo dovrebbe essere sopratutto il compito della prossima riunione a livello politico (Benvenuti) dire ai francesi, privatamente, e, d’accordo con loro anche pubblicamente, che ci facciano sapere che cosa la Camera francese è disposta ad accettare − e non delle elucubrazioni di funzionari − e che quando sapremo cosa può accettare la Camera francese, allora vedremo cosa possiamo fare noi per avvicinarci alle tesi francesi. Una volta stabilito il principio per la CEP, il processo potrebbe essere continuato per la CED: e si potrebbe forse venir fuori con qualche cosa di costruttivo.
Per me la questione più importante oggi è quella di salvare il Patto Atlantico. L’atteggiamento americano, quello almeno di Dulles di oggi (forzare i francesi ad accettare la CED, così come essa è), presenta il rischio, tutt’altro che teorico, di veder saltare il Patto Atlantico: facciamo, per carità attenzione che a voler troppo insistere a completare il Patto Atlantico con l’integrazione europea così come l’abbiamo concepita, non ci troviamo a non avere l’integrazione europea ed a non avere nemmeno più il Patto Atlantico. Questo è un rischio che con l’aria che tira sarebbe semplicemente pazzesco di correre: e sopratutto non dobbiamo correrlo per i begli occhi di qualche uomo politico francese che, non riuscendo a fare accettare dai suoi compatriotti le sue idee, vuole farle imporre dall’estero.
L’ideale per noi, secondo me, sarebbe che alla prossima riunione politica noi ponessimo il problema con tutta franchezza e brutalità: esso esiste e non ci si guadagna niente a voler far finta di non volerlo come abbiamo fatto fino ad ora. Ci saranno al principio delle grida da parte di tedeschi, olandesi, forse di qualche francese stesso, ma alla fine si dovranno pure arrendere all’evidenza: e consideriamo allora questa conferenza a Sei come una specie di consultazione diplomatica fra i sei paesi, fatta a modo suo, per vedere di arrivare ad un accordo concreto. Si potrebbe per questa via arrivare a qualche cosa, evitando la crisi maggiore del Patto Atlantico. Se nelle nostre condizioni non ce la sentiamo di prendere un’iniziativa di questo genere, facciamolo più discretamente ma sopratutto evitiamo di trascinare la conferenza su di un terreno puramente teorico.
Io mi riservo, in questi giorni, appena sarà finita l’elezione del Presidente della Camera, di cercare di vedere qual è l’evoluzione del pensiero della Camera − ci sono adesso numerose persone che pensano di dover proporre un’alternativa in modo da potere, fra qualche tempo, farvi avere delle orientazioni, sia pure solo di massima.
Riservandomi quindi, a suo tempo, di sollevare la questione ufficialmente, mi farebbe piacere, se possibile, intanto di conoscere le tue prime reazioni(4).
Credimi,
tuo aff.mo
P. Quaroni
77 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
77 2 Vedi D. 75.
77 3 Ivi, nota 2.
77 4 Per la risposta vedi D. 83. Vedi anche la lettera inviata da Zoppi in pari data al D. 82.
IL CONSIGLIERE DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE PRUNAS(1)
Appunto(2). Parigi, 13 gennaio 1954.
Presieduto dall’olandese Linthorst-Homan, il Comitato Economico della Commissione per la CPE ha iniziato i lavori dell’attuale sessione il 7 corrente. Il calendario di gennaio prevede che le riunioni proseguano fino al 15 incluso, per essere riprese il 20 e concluse il 23.
Non si può certo affermare che i risultati ottenuti in questi primi cinque giorni siano consistenti. Ciera del resto da attendersi, dato che il principale compito del Comitato, nella fase attuale, consiste nel tentativo di appianare le difficoltà − in pratica, le riserve formulate dalle varie delegazioni − emerse durante la Conferenza di Roma(3)e conseguentemente nell’approfondire i varii punti.
La prima giornata è stata interamente consacrata a problemi di procedura. Fra l’altro, si è deciso che l’eventuale redazione di testi da inserirsi in un progetto di trattato sia effettuata nella seconda fase dei lavori, dopo il mese di gennaio.
Per facilitare e meglio ordinare l’esame delle questioni di sostanza, la delegazione belga ha proposto un questionario, che, rielaborato sulla base di emendamenti suggeriti dalla delegazione olandese − essenzialmente miranti a dare alla materia una presentazione più sistematica − è contenuto, nella sua redazione definitiva, nell’unito documento CCP/CE/Doc. 4 (rev.)(4).
Il documento costituisce una formulazione, in diversi punti alquanto dettagliata, dei diversi aspetti del problema che dovrebbe essere discusso dal Comitato. Diviso in due parti fondamentali − «materie soggette all’eventuale competenza di una Comunità europea in materia economica» e «funzionamento e istituzioni della Comunità» − esso si articola in diversi paragrafi, che investono non soltanto gli aspetti generali del problema economico ma si addentrano in dettagliate specificazioni sul terreno tecnico.
Sia da parte italiana, che da parte francese e tedesca, si è sottolineato come il documento non potesse essere senz’altro accettato in tutti i suoi elementi, in quanto talora troppo specifico. Esso poteva tuttavia essere considerato, in linea di massima, come un documento di lavoro. In sostanza, il Comitato ha aderito al punto di vista da me espresso, che si iniziasse la discussione sulla prima parte, di carattere preliminare e generale. Il seguito e lo sviluppo dei dibattiti sarebbe[ro] stati la conseguenza dei risultati e delle conclusioni raggiunte su tale prima parte.
Le prime difficoltà si sono verificate in occasione dell’esame del par. l alle pagg. 2 e 3. Il delegato francese ha rievocato le riserve da lui formulate a Roma sul punto riguardante la libera circolazione delle merci, riserve che toccano sia l’ampiezza stessa che assumerebbe il mercato comune, sia la delicata materia (v. sotto-paragrafi a b e c a pag. 2) delle misure discriminatorie visibili e invisibili che possano falsare il libero gioco della concorrenza. Sulla prima delle due, ha precisato, a titolo esemplificativo, che da parte francese si intenderebbe escludere dall’ambito del mercato comune alcune categorie di attività produttive: a) certi prodotti a carattere secondario, che sono oggi fortemente protetti (ha citato i fiori tagliati); b) le nuove − o future − industrie (ha citato lo sfruttamento dell’energia atomica); c) industrie che interessano i territori d’oltremare (ha citato i cantieri navali).
Il delegato lussemburghese ha ricordato a sua volta le riserve formulate a Roma, concernenti certi prodotti dell’agricoltura.
L’opinione delle altre delegazioni − e in particolare della nostra − è stata che i punti così sollevati avrebbero potuto essere regolati sulla base del criterio di gradualità e del sistema di salvaguardia, anziché incidere sulla definizione di principio del mercato comune, che per essere di principio e quindi generale doveva rimanere intatta, articolata sulle quattro libertà. Il delegato del Lussemburgo ha aderito a tale concetto.
Il Segretariato dovrà elaborare un documento a carattere interno riassumente la discussione sull’argomento di cui sopra, in modo da facilitare un’ulteriore chiarificazione.
Analoga difficoltà è sorta a proposito della libera circolazione delle persone, problema di speciale interesse per noi. Avendo i delegati francese e lussemburghese rievocato le loro riserve di Roma, ho sostenuto l’impossibilità da parte nostra, di accettare che nella stessa definizione del mercato comune la libertà di circolazione delle persone venisse rappresentata in forma tale da attenuarne il significato di principio. Non ho quindi aderito a una proposta belga che la libertà in questione venisse definita sotto tre aspetti − a) libertà di viaggi («déplacements»); b) libero accesso alle professioni;
c) stabilimento − per il primo dei quali fosse riconosciuta senz’altro la piena libertà, mentre gli altri due verrebbero regolati o con un accordo speciale fra i sei o mediante una legge della Comunità.
Ferma restando la posizione di principio, ho quindi detto che, ai fini dell’applicazione, a nostro giudizio la libertà di circolazione delle persone poteva essere concepita come «il progressivo accesso a tutte le attività economiche e professioni nell’ambito della Comunità dei cittadini dei sei Paesi membri».
Tale mio suggerimento è stato, in linea di massima, accolto come base di una possibile successiva discussione, che dovrà aver luogo allorché – come nel caso precedente – il Segretariato avrà redatto un documento di lavoro.
Nessuna particolare difficoltà è sorta in sede dell’esame dell’enunciazione di principio delle altre due libertà (capitali e servizi).
Un intervento del delegato francese ha tuttavia riportato il dibattito sul terreno generale. Il Sig. Wormser ha infatti ricordato il comunicato finale di Baden Baden(5)e le tesi sostenute dalla delegazione francese a Roma, per sottolineare come il Comitato debba – a suo avviso – limitarsi a indicare, e precisare nella misura del possibile, i fini e le attribuzioni della Comunità in materia economica, senza con ciimplicare alcun impegno esecutivo.
Ho colto l’occasione per esprimere il punto di vista italiano a questo riguardo, notando come – a nostro giudizio – il trattato non dovrebbe essere un accordo economico ma un atto costituzionale e non dovrebbe avere pertanto carattere esecutivo, ma normativo, limitandosi di conseguenza a enunciare dei principi generali, sia pure sufficientemente precisi e articolati. Ciò detto, ho aggiunto che in tale nostra concezione vi era una logica, poiché pensavamo che gli organi della futura Comunità avrebbero dovuto essere dotati di certi poteri, anche esecutivi e non unicamente consultivi. Ma è proprio a questo riguardo che esiste la fondamentale divergenza fra la delegazione francese e tutte le altre delegazioni.
La discussione continuerà sulla base delle linee del documento belga, tenendo conto tuttavia del punto di vista francese sopra accennato(6).
78 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
78 2 Trasmesso con Telespr. 10/14 del 13 gennaio al Ministero degli Affari Esteri da Cavalletti che qualifica Prunas come «nostro rappresentante nel Comitato in oggetto [scil.Economico]»; il telespr. reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi. Sottoscrizione autografa.
78 3 Vedi D. 55.
78 4 Allegato non presente nel fascicolo di riferimento.
78 5 Vedi D. 34 e Appendice II.
78 6 Per il seguito vedi D. 86.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI(1)
L. riservata 21/0078. Roma, 14 gennaio 1954.
Caro Giorgio,
con l’On. Lombardo abbiamo avuto, prima della sua partenza per Parigi, una lunga ed esauriente conversazione. In essa, come egli ti dirà, è stata anche adombrata la necessità di cominciare a raccogliere ed a catalogare ogni elemento atto a controbattere, vuoi nel settore politico, vuoi in quello tecnico, le tesi avversarie alla CED che qui, in non pochi ambienti, vengono sostenute e dibattute. A questo scopo la collaborazione della vostra Delegazione sarà di grande importanza.
Desidero ora dirti che il tuo ultimo rapporto del 7 gennaio(2)nel quale, con estrema chiarezza, hai esposto gli argomenti che in Francia vengono portati pro e contro la CED, nonché le tendenze che vorrebbero rimuovere l’immobilismo attuale, è stato molto apprezzato e me ne felicito con te. Ci hai dato un ottimo quadro di una situazione tanto delicata che finalmente anche qui – attraverso gli sviluppi e le battute della crisi di governo e dell’atteggiamento e degli intendimenti dei varii partiti – comincia ad essere considerata in profondità(3).
Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
79 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.
79 2 Si tratta verosimilmente del telespresso del 6 gennaio: vedi D. 76.
79 3 Per il seguito vedi D. 97.
IL CAPO DELL’UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, PLAJA(1)
Appunto segreto. Roma, 14 gennaio 1954.
Un passo del genere di quello prospettato(2)non può qualsiasi sia la formulazione del documento, essere interpretato che in un modo: un’apertura verso i francesi in vista di svolgere eventualmente un’azione per facilitare richieste francesi di modifica degli attuali accordi CED. Qualsiasi sia il motivo di tale iniziativa, va sottolineato che essa si presenta come un indirizzo del tutto nuovo, capace di svilupparsi in una radicale modifica della linea che abbiamo finora seguita.
Esistono vari motivi per domandarsi se è questo l’atteggiamento che conviene oggi assumere.
In primo luogo ovvii motivi riferentisi alla situazione politica interna che attraversa il nostro Paese. Un indirizzo nuovo preso in un settore così vitale in piena crisi ministeriale ha un significato che non pusfuggire. Tanto più in quanto la CED e la politica europeista sono al centro della soluzione della crisi e tutto lascia prevedere che il nuovo Governo ed il nuovo Ministro degli Esteri si presenteranno con una linea precisa in argomento, assai pichiara comunque che non negli scorsi mesi. Recenti manifestazioni in seno ai partiti Democristiano, Liberale, Repubblicano ed a settori del partito Social-Democratico lasciano pensare che tale linea potrebbe essere assai vicina a quella seguita tenacemente, attraverso l’azione dei suoi successivi Governi, dall’On. De Gasperi.
Dal punto di vista della politica internazionale è da domandarsi quale obiettivo abbiamo in vista con tale iniziativa: un gesto di solidarietà verso la Francia in un momento, ed in un argomento, nel quale essa è sottoposta a critiche e pressioni da parte americana ? Un’offerta alla Francia – e in via indiretta un gesto verso la Gran Bretagna – in vista di ottenere un’azione decisa di mediazione per la soluzione del problema della frontiera orientale? Un serio tentativo di fare qualcosa per giungere alla ratifica della CED superando gli ostacoli che oggi bloccano la posizione?
Non spetta a questo Ufficio pronunziarsi sulle prime due ipotesi: al riguardo va solo sottolineato che comunque l’iniziativa *pregiudica sicuramente*(3), in vista di risultati aleatori, la nostra posizione europeista: peso questo che va messo sul piatto negativo della bilancia.
Circa la terza ipotesi questo Ufficio ritiene doveroso sottolineare quanto essa, a suo subordinato parere, sia ingannevole. La CED è una posizione politica, molto prima che una posizione tecnica. CED significa riarmo della Germania, significa volontà di seriamente procedere verso l’integrazione europea. Quel che tiene oggi sospesa la Francia non è questa o quella forma della CED, ma è la decisione sul riarmo della Germania, la decisione di staccarsi da una visione limitatamente nazionale del proprio avvenire. In tali condizioni tutte le proposte di modifica della CED saranno dalla Francia fatte o accolte con sollievo perché le permettono di rinviare una decisione, ma non puonestamente sperarsi che tali proposte siano capaci di influire sulla decisione medesima, che è condizionata da elementi di politica generale (distensione, azione nord-americana anche in relazione alle esigenze estremo-orientali della Francia) e non da situazioni contingenti relative ad alcuni aspetti della CED. In cambio si può essereragionevolmente sicuri *che una proposta di modifica della CED*(4) rimetterà in giuoco tutto l’equilibrio faticosamente raggiunto: con questa aggravante che evidentemente il Governo tedesco avrebbe estrema difficoltà ad accontentarsi oggi di soluzioni che poté accettare or sono due anni. La meta dunque si allontanerebbe sempre pie forse definitivamente. Di fronte a tale evidente situazione possiamo bene immaginare, per concludere queste sommarie note, *le reazioni americane*(5) e le conseguenze per l’Europa, già così chiaramente delineate da Dulles(6).
80 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
80 2 Come si evince dal titolo del fascicolo (Eventuali modifiche Trattato CED) e dai documentiivi conservati si fa verosimilmente riferimento alle ipotesi di un abboccamento con i francesi avanzate in particolare da Brosio: vedi D. 74. Anche Quaroni si espresse in senso analogo con Magistrati (vedi D. 77), ma la sua lettera è stata registrata in arrivo alla DGCI soltanto il 18 gennaio.
80 3 Sottolineatura – presumibilmente di Zoppi – delle parole tra asterischi e punto interrogativo a margine.
80 4 Doppia sottolineatura delle parole tra asterischi e annotazione di Zoppi a margine: «Certamente verrà!»
80 5 Doppia sottolineatura delle parole tra asterischi e annotazione di Zoppi a margine: «Può essere che siano anch’essi alla ricerca di qualche espediente».
80 6 A commento di questo appunto Zoppi vergla seguente annotazione sulla prima pagina: «La lettera a Quaroni [vedi D. 82] tende a sentirne il parere. Lo scopo eventuale di un contatto coi francesi è quello di sbloccare una situazione che appunto blocca ogni possibilità di integrazione europea. Apprezzo l’entusiasmo, ma occorre anche guardare la realtà come è. Se si teme il documento ne parlera voce aQuaroni e intanto si può attendere. Ma le occasioni passano!!».
IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. Strasburgo, 16 gennaio 1954.
Caro Massimo,
come d’accordo con S.E. Benvenuti sono venuto a Strasburgo per conferire con lui e, nello stesso tempo, seguire i lavori dell’Assemblea comune. Mentre Bombassei ti riferirà sugli ulteriori sviluppi dei lavori parigini, desidero metterti a corrente dei miei colloqui con Benvenuti.
S.E. Benvenuti, a cui ho mostrato i documenti elaborati a Parigi finora e che tu avrai già ricevuto (i documenti che si riferiscono al Consiglio dei Ministri, alla Camera Alta e alla Camera dei Popoli), li ha approvati pienamente per la parte che ci concerne.
D’altra parte d’accordo con Bombassei, ho preparato per S.E. Benvenuti i due documenti che ti accludo, uno, quello relativo alla Camera Alta da presentarsi alla Conferenza come documento italiano, l’altro, relativo alla fusione delle Comunità, da servire come istruzioni di Delegazione per Bombassei. S.E. Benvenuti ha approvato i due documenti e io ho informato del suo benestare Bombassei affinché possa sapere subito come comportarsi nelle prossime sedute.
Come vedrai, nel documento relativo all’esecutivo ho introdotto una nozione un po’ nuova, quella dell’identità del Consiglio esecutivo europeo con il Commissariato. Tale idea, che è perfettamente conforme alla nostra tendenza di far sì che non vi siano piComunità ma una sola Comunità, mi sembra tale da poter facilitare la posizione dei francesi, opposti come sai alla creazione del nuovo esecutivo. S.E. Benvenuti ha trovato l’idea del tutto soddisfacente.
Per quanto riguarda i lavori economici, ho informato oralmente S.E. Benvenuti, il quale, anche in seguito ai suoi colloqui, ritiene che, per le ragioni che ho a suo tempo indicate, non ci sia da preoccuparsi se essi proseguono a rilento.
Alla mia partenza da Parigi ho lasciato Bombassei già bene orientato e sono sicuro che la nostra collaborazione sarà pienamente soddisfacente.
Mi riservo di tornare a Parigi immediatamente prima della riunione dei Sostituti che, per ora, è confermata il 28 onde partecipare ai lavori preparatori della riunione stessa(2).
Credimi devotamente tuo aff.
F. Cavalletti
Allegato I
La Delegazione italiana è d’opinione che non vi debbano essere varie Comunità, ma una sola Comunità Politica che riassuma tutte le altre. Pertanto le Comunità esistenti dovranno essere inserite in un tutto unico.
Nelle riunioni precedenti è già stato stabilito che le attribuzioni della CECA e della CED saranno esercitate dalla Comunità Politica in pidelle attribuzioni proprie specifiche della Comunità Politica stessa. Resta a vedere quali saranno le modalità di inclusione e le ripercussioni di questa inclusione sugli organi delle Comunità esistenti.
Per quel che riguarda il Consiglio dei Ministri non sembra vi debbano essere difficoltà. Vi sarà un Consiglio dei Ministri unico ed un Segretario unico, il quale si occuperà sia dellamateria CED che della materia CECA e CPE. È evidente che i Ministri che parteciperanno al Consiglio nell’un caso e negli altri non potranno essere gli stessi, trattandosi di materia differente. Il susseguirsi di Ministri differenti per materie differenti non altererà l’organicità unica del Consiglio. Si potrebbero anche prevedere riunioni in cui per ogni Paese partecipino vari Ministri. Le ponderazioni rimangono evidentemente inalterate. Per la nuova materia CPE si potrà trovare un sistema di ponderazione allorquando si conosceranno le attribuzioni nuove della Comunità.
L’inclusione dell’Assemblea CECA e CED nella nuova Comunità non dovrebbe nemmeno sollevare difficoltà. La nuova Camera dei Popoli eserciterà immediatamente tutte le funzioni previste dai Trattati CECA e CED. Dato il carattere rappresentativo della Camere dei Popoli le competenze previste per l’Assemblea CECA e CED andrebbero ampliate e rafforzate. Solo in tal modo infatti si pusperare che il corpo elettorale, rendendosi conto dell’importanza della nuova Assemblea, risponda all’appello.
Delle difficoltà possono invece esistere per l’istituzione di un Esecutivo unico (Consiglio Esecutivo Europeo) dato che evidentemente è necessario non turbare le Comunità già in funzione. Il nuovo Consiglio Esecutivo dovrebbe assumere immediatamente le nuove attribuzioni che gli competono in base al Trattato CPE e ai Trattati successivi. Esso dovrebbe assumere immediatamente le funzioni del Commissariato, qualora questo fosse già in funzione al momento di entrata in vigore del Trattato CPE, potendo gli Stati accordarsi per delle nomine, che realizzino una unione personale fra i due organi.
Un periodo transitorio sarà certamente necessario per l’inclusione dell’Alta Autorità nel Consiglio Esecutivo Europeo pur di non turbare il lavoro della Comunità CECA. Durante il periodo transitorio il Presidente dell’Alta Autorità, pur rimanendo con un suo statuto proprio per quel che riguarda la sua responsabilità verso il Parlamento, sarebbe di diritto membro del Consiglio Esecutivo Europeo.
Il Trattato CPE potrebbe limitarsi a stabilire la durata di detto periodo transitorio rimettendo ad accordi ulteriori da intervenire tra il Consiglio Esecutivo Europeo e l’Alta Autorità (eventualmente con avviso conforme del Consiglio dei Ministri) e le modalità della definitiva inclusione dell’Alta Autorità nel Consiglio Esecutivo.
In via generale la Delegazione italiana è favorevole al sistema proposto dall’Assemblea ad hoc e pensa che sarebbe opportuno di studiare articolo per articolo le proposte dell’Assemblea stessa.
Allegato II
La délégation italienne a fait savoir qu’elle ne pourrait se rallier à la proposition de la délégation française relative à la Chambre Haute.
De l’avis de la délégation italienne ladite proposition ne semble pas conforme au système prévu par l’art. 38 du Traité instituant la CED. En effet ce système est basé sur deux principes fondamentaux qui ne se retrouvent pas dans la proposition française : structure bicamérale du Parlement et séparation des pouvoirs.
Il serait difficile de reconnaître les caractéristiques d’un organe parlementaire dans la Chambre Haute telle qu’elle est envisagée par le document français. Bien au contraire il s’agirait d’un collège de représentants des Gouvernements liés par un mandat impératif.
D’autre part le système proposé porterait une atteinte grave au principe de la séparation des pouvoirs, en permettant aux Gouvernements des États membres de participer directement à l’activité du Parlement de la Communauté, dont une des Chambres serait composée par leurs plénipotentiaires.
Pour les considérations ci-dessus, la délégation italienne demeure de l’opinion que la Chambre Haute devrait être composée de membres élus par les Parlements nationaux. Ce système présenterait aussi l’avantage de permettre, suivant les indications de l’Assemblée Ad Hoc, une liaison satisfaisante avec l’Assemblée du Conseil de l’Europe, qui ne pourrait être que difficilement établie si l’on accepte la proposition française.
En ce qui concerne la répartition des sièges au sein de la Chambre Haute, la délégation italienne se doit de remarquer qu’il y aurait des raisons très sérieuses en faveur d’une pondération. Cependant, si le principe de la répartition proportionnel des sièges au sein de la Chambre des Peuples entre les six Pays était accepté par la Commission, la délégation italienne ne s’opposerait pas à l’adoption de la parité au sein de la Chambre Haute.
En ce qui concerne les pouvoirs de la Chambre Haute, étant donné le caractère parlementaire qu’aurait cet organe tel qu’il a été proposé par la délégation italienne, il y aurait lieu d’attribuer des pouvoirs sensiblement pareils aux deux Chambres. La délégation italienne ne pourrait se rallier à ce sujet, aux propositions qui ont été faite par l’Assemblée Ad Hoc.
81 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
81 2 Per il seguito vedi DD. 99 e 104, nota 3.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)
L. segreta 21/0106. Roma, 18 gennaio 1954.
Caro Quaroni,
avrai letto nelle ultime comunicazioni di Brosio(2)che ti sono state comunicate, che gli inglesi si rendono conto del fatto che il Trattato del maggio 1952 (CED) è destinato ad incontrare, in tema di ratifica francese, nel suo attuale testo integrale, tali e tante difficoltà da costituire un vero e definitivo ostacolo agli auspicati sviluppi di maggiori intese europee. Essi si vanno percichiedendo se non sarebbe opportuno rompere l’immobilismo e avanzare qualche proposta concreta che renda il Trattato stesso pipalatabile costì. Tuttavia ritengono che proposte di tal genere dovrebbero essere avanzate da parte francese e non da altri perché toccherebbe ai francesi, che proposero a suo tempo la CED, assumere anche ora iniziative eventuali di modifiche in quanto, anche per ragioni di tattica diplomatica, è preferibile che gli altri «partners» discutano proposte francesi e non viceversa.
Dal canto suo Bombassei(3), che, nell’assenza natalizia di Lombardo, ha diretto in questi giorni la nostra Delegazione per la CED, fa anch’egli presente come negli stessi ambienti tecnici si faccia oggi avanti la domanda se non sia opportuno abbandonare l’idea di una ratifica pura e semplice per provocare, invece, qualche iniziativa atta a smussare gli angoli e sopratutto a rompere l’immobilismo che, con grave disappunto americano, si è creato.
In queste condizioni ci domandiamo, a nostra volta, se convenga o meno prendere qualche contatto col Governo francese per vedere se da parte nostra non si potrebbe utilmente concorrere a sbloccare la situazione. Già pivolte, del resto, da parte francese – e ricordo le stesse conversazioni Pella-Bidault dello scorso dicembre(4)– ci è stato fatto direttamente presente come a Parigi si pensi oramai seriamente alla necessità di avanzare idee allo scopo che ho sopra indicato. Ci è sempre persembrato di scorgere come, a causa del grave malumore americano appuntatosi, in linea pratica, sulla Francia, sarebbe forse oggi non poco difficile al Quai d’Orsay, sul quale gravitano anche le continue polemiche pro e contro la CED che costì vanno sviluppandosi, avanzare da solo nuovi progetti che rischierebbero, evidentemente, di urtare subito contro l’atteggiamento del Governo di Bonn. Se tale fosse realmente la situazione, e se i francesi hanno delle «idee», i contatti su accennati dovrebbero avere lo scopo di esaminarle insieme nello spirito di Santa Margherita(5)– anche al fine di studiare se e come vararle e da chi farle varare. Anche noi non abbiamo una posizione facile in tema di ratifica parlamentare della CED e da molte parti sentiamo avanzare il concetto che sarebbe attualmente anche per l’Italia utile uscire dalla posizione di immobilismo per fare una «politica attiva» in tema di CED. Naturalmente si tratta di materia estremamente delicata specie nei confronti degli amici d’oltre oceano oltremodo sensibili, per non dire sospettosi, in argomento. Ma tanto volevo farti presente pregandoti, prima si intende di iniziare qualsiasi contatto in materia, di farmi conoscere il tuo pensiero al riguardo(6).
Con viva cordialità
[Vittorio Zoppi]
82 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
82 2 Vedi D. 74.
82 3 Vedi D. 76.
82 4 Vedi D. 70.
82 5 Ci si riferisce all’incontro italo-francese del 12-14 febbraio 1951 a Santa Margherita Ligure: vedi DDI, serie undicesima, vol. VI, D. 233.
82 6 Per la risposta vedi D. 90.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)
L. riservata personale 20/0099. Roma, 18 gennaio 1954.
Caro Ambasciatore,
due righe soltanto per accusare ricevuta della tua n. 0034 del 12 u.s.(2) con la quale molto opportunamente hai voluto farmi conoscere le tue prime reazioni all’impostazione che abbiamo dato alle conversazioni di questi giorni per la CPE, nonché circa la posizione francese sulla CED alla vigilia della Conferenza di Berlino.
Occorre veramente dire che «les bons esprits se rencontrent»! Proprio in questi giorni abbiamo discusso molto a lungo con l’amico Vittorio su questa materia ed ora riceverai una sua lettera in merito(3).
Effettivamente notiamo anche qui un certo nervosismo in tema di «immobilismo per la CED». Ma, d’altra parte, ci siamo a piriprese chiesti se nei confronti degli americani, che indubbiamente traversano un momento di cattivo umore verso l’Europa e, in certo modo, in particolare anche verso di noi, ci convenga creare altra esca con iniziative in tema CED. Vi sono dei pro e dei contro in tutta la questione ed evidentemente l’abilità è trovare il dosaggio sufficiente per porre fine all’immobilismo e, al tempo stesso – come molto giustamente tu fai osservare – salvare il Patto Atlantico.
Anche qui la crisi ministeriale, che si va ora risolvendo, ha portato in primo piano proprio la CED e tutti i partiti, come avrai visto, fanno di essa menzione nei loro ordini del giorno e nei loro programmi politici. Prevedo quindi una primavera alquanto agitata anche su questo punto. La prima cosa che dovremo conoscere sarà l’idea esatta dei nostri nuovi dirigenti e come intendano procedere su tale terreno.
Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
83 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
83 2 Vedi D. 77.
83 3 Vedi D. 82.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI(1)
L. 21/0100. Roma, 18 gennaio 1954.
Caro Umberto,
in questi ultimi tempi la nostra corrispondenza si è un poco diradata sia per la cosidetta parentesi natalizia, sia perché, tutto sommato, queste lunghe crisi ministeriali ci fanno restare con le armi al piede, sempre in attesa di conoscere la via da seguire.
Comunque desidero dirti che le notizie che tu ci hai ora fornito(2)tanto in merito alle idee belghe in tema di Comunità di Difesa, quanto nei riguardi della prossima Conferenza di Berlino e del suo contenuto, ci hanno, come sempre, interessato.
Abbiamo anche noi la sensazione che, per forza di circostanze, qualche cosa si stia preparando in Francia in tema CED dato che, da ogni parte, viene criticato il cosidetto «immobilismo» in tale materia. E anche da noi oramai gli interrogativi non sono piccoli e tutti i nostri partiti politici, come avrai visto, hanno, proprio in funzione dell’attuale crisi ministeriale, preso posizione in merito ponendo il problema CED in primo piano.
Qui continuiamo a lavorare per riunire tutti gli elementi in previsione di una non lontana battaglia su tale terreno. Proprio ieri mi è stato dato di illustrare gli ultimi aspetti della situazione in una conferenza che ho tenuto presso il Centro di Alti Studi Militari e di cui conto inviarti il testo appena possibile(3).
Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
84 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
84 2 Nel Telespr. 101/61 dell’11 gennaio, Grazzi esordiva osservando che «Anche qui si ha la sensazione che si stiano cercando in Francia delle soluzioni modificatrici della CED...» e, in assenza di dati precisi, concludeva con le seguenti considerazioni: «Comunque, si è certi qui che qualche cosa si stia preparando in Francia, e se ne ha molto timore. Anzitutto si è preoccupati della estrema difficoltà di rimettere in discussione un qualsiasi punto di un accordo che è stato così laborioso e che è il frutto di una serie di compromessi molto studiati; ed in secondo luogo si teme che qualsiasi incrinatura possa facilitare la frattura del Trattato presso coloro i quali debbono ancora votarlo (al Senato) e addirittura presso taluni che lo hanno già votato principalmente perché erano persuasi che non esistono né una politica di ricambio al Trattato stesso né formule sostitutive di quelle già concordate. Perciil Governo belga insiste nel “timing” già previsto, ai fini della votazione al Senato, senza battute d’arresto né in vista dell’incontro di Berlino, né in attesa di eventuali richieste francesi di modifica o di precisazioni concernenti le possibilità di questa. Continuano per intanto le sedute della Commissione del Senato incaricata dello studio del progetto; ma continuano anche, bisogna riconoscerlo, anzi si intensificano gli argomenti degli oppositori i quali cercano di sfruttare il momento presente. Se il Governo fosse libero di agire, forse gli converrebbe non perdere altro tempo e iniziare al più presto la discussione in aula; ma da un lato esso ritiene che i risultati dell’incontro di Berlino dovrebbero essere di natura tale da facilitare l’approvazione del Trattato, e dall’altro esso ha le mani legate dalla revisione della Costituzione. Infatti, non appena approvata la CED al Senato, questo dovrà approvare anche il principio di riforma di taluni articoli del patto fondamentale del Regno, così come ha determinato la Camera dei Rappresentanti; e cicondurrà all’immediato scioglimento del Parlamento ed alla fissazione delle nuove elezioni. Nessuno dei partiti desidera che queste abbiano luogo in pieno inverno, e ciper evidenti motivi di tattica elettorale: donde, la necessità di guadagnar tempo, almeno fino alla fine di marzo» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110).
84 3 Per la risposta vedi D. 96.
IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, ALLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE(1)
Telespr. 10/24(2). Parigi, 18 gennaio 1954.
Oggetto: Notizie sui precedenti e sui più recenti sviluppi del problema di un’eventuale trasformazione del Trattato CED.
Riferimento: Seguito rapporto n. 10/1 del 6 gennaio 1954(3).
Con rapporto citato in riferimento era stata accennata l’eventuale possibilità che potesse forse venir proposto da parte francese lo studio di modifiche da apportarsi all’attuale Trattato CED allo scopo di renderne più sicura la ratifica.
Sarebbe oggi fuori luogo il congetturare se vi sia o meno probabilità che tale proposta venga avanzata; l’atmosfera che qui predomina è quella della preparazione della prossima Conferenza di Berlino. Nel suo discorso per ottenere la seconda investitura del Parlamento, lo stesso Presidente Laniel ha confermato che il dibattito per la ratifica non potrà aver luogo prima della fine della Conferenza, ma che, dopo quel momento, «tout atermoiement du débat sur la ratification serait alors inadmissible».
Il fatto di considerare l’attesa Conferenza come una condizione preliminare e necessaria per l’inizio del dibattito per la ratifica di un trattato che tanto merito ha nello aver determinato l’apparente evoluzione, almeno formale, dei sovietici, non è stato certo accolto con molto fervore dalle correnti europeiste piconvinte; pochi giorni fa se ne è fatto portavoce Robert Schuman, dichiarando che «Le Parlement Français doit aborder l’étude du pacte sur la CDE, en vue de sa ratification, sans attendre les éventuels résultats de la Conférence de Berlin».
Per contro, l’atteggiamento molto prudente e distaccato del Presidente del Consiglio sul fondo del problema non può non essere riuscito gradito – e forse era stato previamente concordato – a qualche frazione della destra gollista, la quale in quest’ultimo scrutinio ha prestato man forte a Laniel, mentre nel settore radicale e UDSR le defezioni e le astensioni sono state pinumerose che in occasione della investitura dell’estate scorsa.
Varie congetture possono farsi, limitando l’esame ai problemi di politica estera, sui motivi dell’accennato spostamento verso destra della maggioranza governativa nell’attuale secondo Gabinetto Laniel. Sembra in primo luogo che, in colloqui dell’ultima ora prima dell’investitura, Laniel abbia dato assicurazione ai plenipotenziari gollisti che il governo francese non abborderà la Conferenza di Berlino «con l’idea preconcetta di un suo fallimento» e che non esistono seri motivi «per rassegnarsi alla fatalità della guerra fredda».
Se si osserva il settore socialista, si puconstatare che, se la posizione assunta da Guy Mollet alla fine dell’estate scorsa (in favore della ratifica, sia pure sotto le note condizioni, del trattato CED) voleva essere un «ballon d’essai» per la eventuale formazione di una nuova maggioranza centro-sinistra imperniata sul MRP e sulla SFIO,
o una diffida alla vecchia maggioranza, la situazione politica non ha ancora coagulato in quella direzione ed è rimasta allo stato fluido. Il Segretario generale della SFIO ad ogni buon conto ha voluto convocare uno straordinario Congresso Nazionale (e non il solo Consiglio) proprio perché attraverso la suprema assise di Partito, esprimendosi – come egli ritiene che avverrà – la maggioranza degli iscritti a favore della CED, gli sarà possibile imporre ai deputati socialisti la disciplina di Partito impegnandoli al voto favorevole.
Un terzo elemento potrebbe non essere stato estraneo al maggiore appoggio recentemente offerto dalla destra a Laniel: la malcelata speranza, forse nutrita da qualche parlamentare contrario alla CED o indeciso, che si renda possibile una revisione del Trattato e la redazione di un controprogetto che, presentato al Parlamento, possa ottenere una più confortevole maggioranza di voti per il Trattato di Parigi che non quella, probabilmente scarsa, prevista nel migliore dei casi dai sostenitori della CED.
In queste ultime settimane consecutive al dibattito a Palais Bourbon, si è discusso di tale problema in qualche articolo della stampa quotidiana e, per quanto è dato di sapere, anche nei «Comitati militari» di quei partiti politici contrari, nella loro maggioranza, alla CED. È nell’ambito di questi ultimi (forse anche confortati dallo scarso entusiasmo europeista che viene attribuito al Presidente Laniel e dall’atteggiamento più«atlantico» che «continentale» di Bidault) che vi è fervore di iniziative più o meno superficiali e facilone per controprogetti di Trattato, «soluzioni di ricambio» private dell’autorità supranazionale, che, a loro parere, sarebbero più facilmente accoglibili da parte del Parlamento e di quella che essi ritengono essere l’opinione pubblica francese.
L’atteggiamento ufficiale assunto in argomento dal Quay d’Orsay è, come noto, decisamente negativo.
Codesto Ministero è certamente a conoscenza della smentita ufficiosa, apparsa nei giornali del 10 gennaio, di qualsiasi iniziativa o «démarche» del Governo francese in tal senso.
Detta smentita faceva seguito a una informazione, datata da Bonn, della United Press, secondo la quale il Governo Federale avrebbe ricevuto assicurazioni formali dalla Francia che gli accordi di Bonn e di Parigi saranno presentati al Parlamento nella loro forma attuale e che è esclusa qualsiasi loro modifica prima che intervenga il giudizio delle Camere. Il luogo d’origine di tale notizia conferma l’allarme suscitato in Germania dalle prime vaghe notizie su una possibilità di revisione del Trattato CED. Il Quai d’Orsay, per quanto lo concerne, dichiarandosi «molto sorpreso che tali assicurazioni possano essere state fornite a Bonn», non ha nascosto il suo cattivo umore di fronte alla predetta iniziativa.
Nonostante la smentita e l’imbronciata reazione da parte francese, si pututtavia ritenere attendibile 1’informazione avuta che effettivamente in queste ultime settimane qualcuno ‒anche vicino agli ambienti ufficiali ‒abbia riesumato lo studio di eventuali modifiche da apportarsi all’attuale Trattato CED, sia estraendo dai cassetti schemi anteriori alla firma della CED, sia redigendo le prime linee di un controprogetto che dovrebbe tener conto delle più recenti ‒e pur contraddittorie ‒tendenze affiorate in proposito negli ambienti parlamentari.
Peraltro risulterebbe che il Ministro Bidault, venuto a conoscenza di tali studi, avrebbe precisato che li considera unicamente iniziative personali e che la politica ufficiale del Governo rimane quella di presentare al Parlamento il Trattato nella sua forma attuale.
In definitiva, allo stato attuale delle cose, si pusoltanto confermare che ad opera di qualche parlamentare, individualmente o in gruppo, o di funzionari isolati, a titolo personale, il problema è stato, e magari è tuttora oggetto di studi, pur non potendosi affatto prevedere, almeno fino a dopo la Conferenza di Berlino, se tali studi sortiranno qualche cosa.
Puforse riuscire interessante il fare un cenno delle poche proposte per una presunta «soluzione di ricambio» venute alla luce in Francia in questi ultimi tempi.
Inutile dilungarsi sulla Conferenza Stampa che il Generale de Gaulle tenne il 26 febbraio u.s. e con la quale – partito dalla recisa negazione dell’opportunità della CED, giungeva a proporre una «Confederazione» degli Stati liberi d’Europa, che dovrebbe estendersi anche ai territori extra-europei dei vari Stati occidentali e prevedere un accordo di stretta cooperazione con gli Stati Uniti.
Queste idee vennero riconfermate nella Conferenza Stampa del 12 novembre u.s., durante la quale De Gaulle, polemizzando con Monnet (da lui qualificato come il nefasto «Inspirateur» dell’attuale europeismo ufficiale) riconfermava, senza naturalmente mai entrare nei dettagli e precisazioni, la necessità di una Confederazione europea a largo raggio che permettesse l’unificazione dei piani strategici e la messa in comune dell’intero armamento, dalla infrastruttura alla fabbricazione delle armi di ogni tipo.
A queste impostazioni del De Gaulle si riallaccia la tesi sostenuta dal Gen. Weygand in una molto succinta, e invero molto piatta, argomentazione pubblicata nel novembre scorso. La via maestra, a suo parere, sarebbe indicata dalle campagne vittoriose del 1914-18 e del ‘44-’45, durante le quali gli eserciti alleati occidentali hanno fornito la prova dell’efficacia di un sistema. Il Patto Atlantico, che ha ormai dimostrato la sua efficienza, dovrebbe tenere sotto il suo controllo un esercito di coalizioni di cui faccia parte non solo la Germania ma anche la Gran Bretagna. Le forze tedesche, di cui verrebbero fissati i limiti di comune accordo, sarebbero meglio contenute nel quadro atlantico dal triplice fronte anglo-franco-americano che non nel «tête-à-tête» franco-tedesco, da lui considerato impari.
Altri elementi moderatori del temuto militarismo tedesco sarebbero un accordo sul coordinamento delle fabbricazioni di guerra *e un nuovo organo del NATO tendente a coordinare, e per quanto possibile controllare, la politica dei vari Stati membri*(4). Si tratterebbe, in sintesi, di un rafforzamento del NATO con un’estensione dei suoi compiti al settore politico, e di un riarmo tedesco per così dire limitato, non si sa da quale autorità e da quali poteri di controllo.
Vi sono poi le idee esposte dal deputato socialista P. O. Lapie nel numero di settembre della «Revue des deux mondes», a seguito e completamento di una sua proposta di massima lanciata a Strasburgo durante una riunione dell’Assemblea Consultativa. A suo parere, fra i due corni del dilemma, ratificare o non ratificare la CED, esisterebbe una soluzione intermedia, quella della creazione di una «Comunità europea dell’armamento». Si tratterebbe in un primo luogo di sopprimere nel Trattato CED tutte le disposizioni che concernono la bandiera, la disciplina, l’avanzamento, il comando, in una parola tutti gli articoli concernenti il personale. La Comunità, così spersonalizzata, ridotta a una semplice Comunità del materiale, dovrebbe allora prendere le mosse dal concreto precedente della CECA e limitarsi a controllare il materiale pesante da guerra, suddividendo fra i vari Stati membri le ordinazioni, controllando la produzione, redistribuendo le materie prime necessarie, provvedendo infine, per incarico degli SU attraverso il NATO, alla ripartizione delle ordinazioni «off-shore» e degli aiuti militari d’oltre Atlantico.
L’esercito tedesco, ammette lo stesso Lapie, sarebbe in teoria indipendente, ma
– egli ritiene – di fatto limitato nel suo sviluppo e nei suoi quadri dalla quota di armamenti che la Comunità intenderebbe a vario titolo assegnargli. Lo stesso parlamentare conclude la sua proposta, affermando che l’idea dell’esercito europeo non verrebbe forzatamente abbandonata: la Comunità dell’Armamento segnerebbe invece il primo passo verso una futura CED, per la quale i tempi non sarebbero ancora maturi.
Un piccolo gruppo di deputati, fra i quali due indipendenti, due gollisti e André Denis (recentemente espulso dal MRP a causa della sua aperta ostilità alla CED) presentarono alla Camera nel novembre scorso una «Proposition de résolution» corrispondente ad uno schema di Trattato contenente qualche articolo o rifacimento di articoli del Trattato CED, qualche formulazione che riecheggia la proposta del Lapie, proponendo Strasburgo come sede del Consiglio e di un’Assemblea (non si sa come formata) e Londra come sede del suo Stato Maggiore. Il quale SM in quel progetto sostituirebbe il Commissariato previsto nel Trattato CED e presenterebbe ogni anno all’Assemblea un rapporto generale sulle proprie attività. Il progetto prevede che un voto di censura a maggioranza qualificata possa essere espresso contro lo SM i cui membri dovrebbero abbandonare collettivamente le loro funzioni …!
Tale iniziativa parlamentare dal titolo altisonante di «Comunità degli armamenti difensivi dell’Unione Europea» non ha destato echi di sorta.
Qualche risonanza ha avuto una più recente iniziativa del senatore indipendente Maroger, che presenta fine anno al Conseil de la République un’altra «Proposition de résolution», nella quale sostiene che, in un luogo della CED, occorre creare un’organizzazione di difesa alla quale possano anche accedere la Gran Bretagna, la Norvegia e la Danimarca. Essa dovrebbe prescindere da qualsiasi istituzione a carattere politico e supranazionale che pregiudichi le sovranità degli Stati o la futura organizzazione politica dell’Europa, dovrebbe lasciare intatta la validità degli Accordi contrattuali di Bonn ed ottenere un rafforzamento degli impegni di garanzia e di assistenza sottoscritti da SU e Gran Bretagna nel quadro del Patto Atlantico.
La «Unione di difesa dell’Europa» preconizzata dal senatore Maroger dovrebbe proporsi il progressivo sviluppo delle forze combinate europee e la realizzazione di un comune programma di armamento e di infrastruttura; la sua durata sarebbe la stessa del Patto Atlantico. Dal punto di vista militare, essa sarebbe basata sul principio della divisione dei compiti fra i vari Stati, in funzione delle condizioni strategiche e delle risorse nazionali proprie di ciascuno. Il volume globale delle forze e il rapporto fra i vari gruppi nazionali sarebbe imperativamente determinato dal Consiglio del NATO. Suoi organi principali sarebbero un Consiglio della Difesa, con annesso un Comitato interparlamentare, un «Delegato Generale», responsabile di fronte al predetto Consiglio, un «Bureau d’armement» e un «Bureau des forces combinées».
Di fronte a questa attività degli elementi anti-CED si va sviluppando una campagna discretamente coordinata, ad opera dei movimenti federalisti ed europeisti, con lettere ai deputati, una «brochure» illustrativa ed esemplificativa per la massa del pubblico, che è in corso di stampa; conferenze e riunioni; azione locale nei riguardi soprattutto dei deputati tiepiù diod indecisi o tendenzialmente negativi. Taluni di quei parlamentari, in virtdi una recente iniziativa, sono stati invitati ad una riunione conviviale alla quale ha partecipato Spaak. L’argomento dei discorsi è stato naturalmente la CED e tutti i problemi politici e tecnici ammessi al Trattato di Parigi. Mi è stato assicurato dall’ex ministro Frenay (SFIO) che le argomentazioni e le illustrazioni di Spaak hanno fatto molto colpo su quei parlamentari, parecchi dei quali hanno dichiarato di essere stati veramente illuminati sugli aspetti della questione che essi conoscevano di seconda mano e più in base ai luoghi comuni ricorrenti che non sull’appropriata documentazione, e che avrebbero votato a favore della ratifica della CED. Chi ha organizzato tali riunioni ritiene che l’iniziativa dovrebbe essere continuata, anzi estesa nel senso di moltiplicarla e far partecipare ad essa personalità di primo piano anche straniere e tra queste è stata fatta menzione esplicita e speranzosa del nome dell’On. De Gasperi(5).
85 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
85 2 Sottoscrizione autografa.
85 3 Annotazione di Magistrati: «Plaja. I due rapporti mi sembrano contradditori. Interessante». Vedi D. 76.
85 4 Annotazione a margine del brano tra asterischi: «Questa è la vecchia idea del Political Standing Group che dovrebbe essere composto da Stati Uniti, Gran Bretagna e Stati della CED rappresentati (naturalmente!) dalla Francia».
85 5 Per il seguito vedi D. 87.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL CONSIGLIERE DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE, PRUNAS(1)
L. 20/0123. Roma, 19 gennaio 1954.
Caro Prunas,
abbiamo ricevuto, via Cavalletti, il tuo primo chiaro appunto sull’andamento dei lavori in seno al Comitato economico della Commissione per la CPE(2).
Quanto ci scrivi nei riguardi della difficoltà sorta in merito alla libera circolazione delle persone desta qui qualche preoccupazione.
È chiaro infatti, che qualora il principio della libera circolazione dovesse trovare limitazioni per le persone, in Italia le critiche a tutta la formazione della CPE non potrebbero non intensificarsi, con cattive conseguenze su tutto il complesso della questione. E cianche se, nella realtà, ed in base ai recenti esperimenti in seno a tutte le organizzazioni internazionali, non pochi dubbi possano sussistere circa le pratiche applicazioni del principio stesso.
Pienamente d’accordo circa il concetto generale per cui il futuro Trattato dovrebbe essere non un atto economico internazionale ma, viceversa, in certo modo, una costituzione a carattere normativo(3).
Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
86 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
86 2 Vedi D. 78.
86 3 Per la risposta vedi D. 94.
IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. 20/14(2). Parigi, 19 gennaio 1954.
Caro Ministro,
a complemento e seguito del mio telespresso n. 10/24 del 19/1/1954(3), affido a questa lettera personale a Lei diretta alcune informazioni strettamente confidenziali che non ritengo possano essere divulgate sia per riguardo verso le fonti cui le ho attinte, sia per il contenuto di talune di esse.
L’argomento è sempre quello concernente gli sforzi dei molti zelatori di una revisione della struttura del Trattato della CED, degli ideatori o proponenti di «soluzioni di ricambio»: tutta gente che si dà un gran daffare nella speranza di imbroccare la benemerenza di essere riusciti a trovare la quadratura del circolo od effettuare la scoperta di un nuovo uovo di Colombo.
Non vi ha dubbio che l’azione di taluno che ha compiuto più o meno discretamente passi «personali» presso Ministeri degli Esteri od ha cercato di tastare il polso a Capi Missione dei Paesi della progettata Comunità, deve essere stata ispirata da persone molto vicine a personalità del Governo o dell’Amministrazione degli Esteri di Francia.
Quando l’Ambasciatore francese alla Corte di San Giacomo tenta di suggerire agli inglesi che siano essi (vicini, ma non partecipi alla CED) a proporre un’altra soluzione, un «new look» del Trattato di Parigi; quando lo stesso espone al nostro Ambasciatore le ragioni della sua apprensione sulle estreme difficoltà che la ratifica del Trattato CED incontrerebbe nel Parlamento francese, si potrebbe magari considerare quell’iniziativa come strettamente personale, trattandosi di personalità che non ha mai mancato, per il passato, di dissentire dalle concezioni che hanno portato alla formulazione del Trattato di Parigi ed allo sviluppo dell’azione tesa a realizzare una integrazione europea; di personalità che, anzi, è stata all’origine di certi inciampi che abbiamo spesso visto via via insorgere per render più difficile la strada e che molte volte avevamo ritenuto di primo acchito essere imputabili ad ambienti del Foreign Office.
Ma quando l’Ambasciatore François-Poncet suggerisce che possano essere studiate alcune revisioni fondamentali del Trattato è difficile – conoscendosi gli atteggiamenti filo europeisti di Poncet – immaginare che l’ispirazione sia stata squisitamente personale.
Perché, infatti (mi ha confidato il Generale Speidel – venuto a trovarmi a nome di Blank, assente – e mi ha confermato, confidenzialmente, Alphand) nella visita di fine d’anno al Cancelliere, l’Alto Commissario francese si è intrattenuto con Adenauer circa la questione degli Accordi di Bonn e del Trattato di Parigi. In tale occasione François-Poncet «suggeriva» formule che avrebbero emasculato il Trattato della CED del suo contenuto di supranazionalità, che ne avrebbero mantenuto in essere formalmente la farraginosità amministrativa, che si sarebbero adeguate a certe idee del socialista Lapie circa un «pool dell’armamento» ed avrebbero temporaneamente accantonato l’apporto del contingente (non del contributo!) tedesco. Il Cancelliere rispondeva che il Trattato di Parigi non poteva non essere considerato nella sua interezza, senza modificazioni di sorta e che pertanto solamente così come esso è, un tutto unico ed immodificabile, avrebbe potuto essere applicato dopo la ratifica dei vari Parlamenti.
È stata questa «démarche» dell’A.C. Francese a determinare alcune «explications orageuses» nell’ambito del Quai d’Orsay, una sollecita ed energica presa di posizione chiarificatrice condotta da Alphand, cui ha fatto seguito la nota informativa del Quai d’ Orsay.
Ho fatto presente ad Alphand che mi risultava per esempio che Cahen Salvador si stava tuttora agitando per ottenere che fosse la Segreteria Generale della NATO a suggerire qualche formula che permettesse al Governo francese di sortire dall’«impasse» nel quale esso ha l’impressione di trovarsi. Ed egli mi ha risposto che quel funzionario non rappresenta il Ministero degli Esteri francese; che egli, Alphand, sa che vi sono ancora sporadici tentativi, che è al corrente di un passo tentato presso de Starke (il capo della Delegazione belga, che è risaputo possedere le chiavi del cuore di Van Zeeland) ottenendone una secca ripulsa; che Vredenbruch (l’olandese, «deputy» di Lord Ismay) è stato egli pure abbondantemente sollecitato in proposito; ma che nessuno di costoro, non solo era autorizzato ed ispirato a farlo, ma neppur faceva parte del Quai d’Orsay.
Mi ha chiesto di comunicare al mio Governo – e mi ha testualmente dichiarato di parlare a nome del Presidente Laniel e del Ministro degli Esteri Bidault – che il Trattato di Parigi verrà presentato in Parlamento nella sua forma attuale ed ha escluso che possa venir presa in considerazione una qualsiasi revisione del testo del Trattato che – del resto – è il frutto di uno studio accuratissimo, di soppesate decisioni raggiunte – dopo una esauriente discussione ed una non facile negoziazione – tra i sei Paesi, di una impostazione logica e funzionale per la quale non esistono «soluzioni di ricambio». Mi ha aggiunto di aver visto le istruzioni interne che il Quai d’Orsay ha emanato, quelle trasmesse ai suoi Capi Missione e – per tagliar corto ad ogni dubbio in proposito – mi ha informato (in forma estremamente confidenziale, ma altrettanto recisa) che le istruzioni impartite ai rappresentanti del Governo francese alla Conferenza di Berlino, istruzioni che egli ha attentamente studiato, sono estremamente precise e tassative e si possono riassumere in questa frase: «Né CED, né NATO possano essere oggetto di negoziato o mercato (“aucun marchandage”)».
Discutendo con Alphand di certe iniziative parlamentari (di cui al mio telespresso del 19/1/1954) e di certe proposte di zelatori di «soluzioni di ricambio», di un «new look», di revisioni del Trattato di Parigi, si constata pianamente che vi sono solo due possibilità – in via di ipotesi – alternative al Trattato della CED:
1) il suo definitivo accantonamento con tutte le estremamente gravi conseguenze al punto in cui siamo (crisi insanabile e sgretolamento del Patto Atlantico; l’«agonizing reappraisal» esposta da Dulles; un isolazionismo americano che diverrebbe sempre pispietato ed allarmato, oltreché allarmante; il crollo di ogni sforzo di integrazione europea, con tutte le nefaste sue ripercussioni sulla CECA, sull’OECE, sull’EPU; il rovesciamento di alleanze; lo spettro della guerra;
2) oppure la creazione di forze armate nazionali tedesche.
A questo proposito – indipendentemente da tutte le conseguenze vicine o lontane che deriverebbero – ove questa ipotesi potesse divenire fatto – è bene chiarire che al Parlamento francese la possibilità, che la Germania riabbia una forza armata nazionale non ha nessuna possibilità di venire votata. Voterebbero contro – secondo Alphand – 160 deputati comprendenti tutti i comunisti e quelli dei vari gruppi che hanno sempre avuto una posizione anti-CED; a questi se ne aggiungerebbero altri 200 – dai federalisti piconvinti sino ai tepiù dieuropeisti generici – che non ammetterebbero mai un riarmo della Germania, se non nell’ambito della struttura ideata dal Trattato della CED.
Ora, quella del riarmo con carattere nazionale della Germania è una mostruosa sciocchezza contro la quale ogni cittadino francese dovrebbe insorgere ed insorgerebbe, egli ha detto, a cominciare da lui che si affretterebbe a dimettersi per denunciarla alla opinione pubblica francese.
Ho conferito poi a lungo con Cleveland, il Consigliere dell’Ambasciatore Bruce, che mi ha reiterato le impressioni del suo ragionato ottimismo, sostenendo che quando il Trattato sarà avanti al Parlamento francese esso verrà ratificato.
Ha aggiunto che le più o meno scombiccherate «solutions de réchange», le iniziative per un «new look» e le proposte di revisione, non hanno nessuna ragione di essere ed ha affermato doversi escludere la possibilità che il Trattato venga modificato. Ha illustrato in termini assai perentori la politica americana ed ha. espresso in proposito alcune considerazioni che mi riservo di riferirle personalmente a voce al mio rientro a Roma il 21 corrente, se Lei avrà la possibilità di ricevermi.
Il giro di orizzonte fatto mi permette di concludere proprio così: al punto in cui sono giunte le cose se la CED non passasse ci si accorgerebbe nel futuro immediato o, sia pure, in quello mediato, di aver dinamitato il mondo occidentale e le conseguenze di tutto questo sarebbero funeste al punto da dover temere persino di considerarle. Ma, indipendentemente da quelle valutazioni politiche, anche sotto un aspetto squisitamente tecnico, non si vedono forme di «new look» possibili per il Trattato della CED.
Infatti non è lo stesso della CPE. Per essa vi può esser taluno che pensi che la struttura federale è troppo impegnativa allo stato odierno delle cose, che il problema non ha ancor permeato la sensibilità e le responsabilità della maggioranza parlamentare francese, sicché potrebbe esser conveniente ripiegare su una formula confederale. Vi sarebbe parecchio da dire, da discutere in proposito: ma è un ripiegamento che si pufare, in sede di una alternativa ufficialmente allo studio, tra la posizione logica di punta e la posizione picomoda di compromesso.
Ma con il Trattato della CED le cose non stanno così. Una revisione del Trattato che lo modificasse al punto da divenire accettabile sia pure ad una parte dei suoi oppositori odierni al Parlamento francese, lascierebbe in essere una arruffata disordinata macchinosa struttura, della quale non si vedrebbe né la ragione né la convenienza.
Se rimanessero esclusi i vantaggi derivanti dallo sforzo comunitario così come risultano dalla costruzione ideata, se scomparisse il carattere supranazionale, rimarrebbero sulle spalle dei Paesi contraenti solo gli svantaggi e gli inconvenienti. In tal caso ne avremmo, in fondo, di meno mantenendo le forze armate nelle attuali strutture nazionali. Che poi queste – così come sono – non bastino a reggere allo sforzo ed alle necessità del potenziale difensivo, che la frammentazione dell’Europa Occidentale possa veder insorgere quelle tali «contraddizioni del mondo capitalistico», sulle quali punta dogmaticamente la grande congiura moscovita, che tutto finisca col «ruere in ruinam», tutto questo è un altro discorso che si dovrebbe fare sul complesso masochistico ed abulico che sembra esistere in una parte almeno del mondo occidentale.
Tanti cordiali saluti
Ivan Matteo Lombardo
87 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
87 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.
87 3 In realtà del 18 gennaio: vedi D. 85.
IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)
L.(2). Lussemburgo, 20 gennaio 1954.
Caro Ludovico,
ricevi anzitutto le mie piaffettuose felicitazioni per il reincarico e i miei pivivi auguri per la continuazione del tuo lavoro a Palazzo Chigi.
Vorrei poi brevemente intrattenerti sul problema del cosidetto «conglobamento» della Comunità, che, a quanto mi dice Bombassei, verrà messo in discussione nel Comitato Istituzionale il 26 corrente subito prima della riunione dei Sostituti.
Se le idee che su questo problema ti esposi a Strasburgo (ricorderai il documento che ti sottoposi), ti sembrano buone, sarebbe forse utile presentarle alla Commissione istituzionale in un documento di lavoro da servire come base di discussione. Ho quindi redatto il progetto di documento di lavoro che ti invio qui allegato per quelle istruzioni che tu credessi di farmi pervenire possibilmente prima del 26 corrente(3).
Credimi devotamente.
[Francesco Cavalletti]
Allegato
Appunto.
DÉLÉGATION ITALIENNE
DOCUMENT DE TRAVAIL CONCERNANT LE PROBLÈME DU «CONGLOBEMENT»
DES COMMUNAUTÉS
1. Attributions. La Communauté, créée par le Traité CPE, constitue avec la CECA et la CED une entité juridique unique. Elle exerce les attributions de la CECA et de la CED ainsi que celles qui lui seront attribuées par le Traité CPE et par les Traités ultérieurs.
2. Conseil de Ministres. Le Conseil de Ministres, envisagé par le Traité CPE, se substitue, dès l’entrée en vigueur du Traité, aux Conseils spéciaux des Ministres de la CECA et de la CED. Les pondérations prévues par les Traités CECA et CED demeurent. Des pondérations spéciales pour les attributions nouvelles sont à prévoir.
Le Conseil de Ministres de la Communauté aura un Secrétariat Général.
3. Parlement.
a) La Chambre des Peuples prévue par le présent Traité se substituera, dès sa convocation, à l’Assemblée Commune de la CECA et de la CED. Elle exercera toutes les attributions prévues pour celles-ci, ainsi que les attributions nouvelles qui lui seront confiées par le Traité CPE;
b) Chambre Haute. Le problème reste réservé, cependant on pourrait envisager deux hypothèses:
1) Chambre Haute élue: elle pourra exercer, en collaboration avec la Chambre des Peuples, certaines des attributions prévues pour l’Assemblée Commune dans les Traités CECA et CED.
2) Chambre Haute désignée par les Gouvernements: elle pourra exercer certaines des attributions prévues pour les conseils des Ministres dans les Traités CECA et CED.
4. Un Conseil Exécutif Européen est créé. Le Conseil Exécutif Européen assumera dès le début, toutes les attributions prévues pour le Commissariat dans le Traité CED, ainsi que celles prévues par le Traité CPE. Il exercera en outre toutes les attributions qui lui seront confiées par des Traités ultérieurs.
Le Conseil Exécutif Européen sera composé de neuf membres, nommés par les Gouvernements selon les modalités prévues pour le Commissariat.
Pour ce qui regarde le choix des personnes on peut envisager deux hypothèses:
1) Au moment de l’entrée en vigueur du Traité CPE les membres du Commissariat ont été déjà nommés. Les Gouvernements s’engagent à nommer au Conseil Exécutif Européen les mêmes personnes.
2) Au moment de l’entrée en vigueur du Traité CPE les membres du Commissariat n’ont pas été nommés. Les Gouvernements s’engagent de nommer au Commissariat les membres du Conseil Exécutif Européen.
Il n’y aura pas incompatibilité entre la qualité de membre de la Haute Autorité et celle de membre du Conseil Exécutif Européen.
b) [sic] Dans un délai d’un an le Conseil Exécutif Européen assumera les attributions exercées par la Haute Autorité. Les modalités à concorder entre le Conseil Exécutif Européen et la Haute Autorité, avec avis du Conseil de Ministres.
Si dans le délai prévu il n’y aurait pas accord entre le Conseil Exécutif et la Haute Autorité, le Conseil de Ministres décidera.
Pendant la période sus-indiquée, la Haute Autorité conserve son statut et ses responsabilités. Le Président de la Haute Autorité participe, avec voix consultative, au Conseil Exécutif Européen.
88 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
88 2 Trasmessa da Cavalletti a Magistrati con L. 000214, pari data.
88 3 Le istruzioni furono comunicate telefonicamente il 26 gennaio sulla base del seguente testo: «Urgentissimo. Per Delegazione alla Commissione per la Comunità Politica Europea. Riferimento lettera Cavalletti 20 corrente. Posizione italiana in materia di conglobamento si basa essenzialmente sull’obiettivo di evitare l’adozione di un sistema in cui le Comunità create o da costituirsi possano seguire indirizzi generali non univoci. Linea direttiva seguita da Governo italiano nel processo integrazione europea è stata infatti fin dall’inizio contraria principio integrazione per settori. Progettato documento di lavoro si ispira evidentemente tali presupposti. Peraltro proposte circa composizione Esecutivo Europeo, circa identità personale tra membri Esecutivo et Commissariato, nonché circa procedura conglobamento Alta Autorità ci lasciano perplessi e richiedono almenoulteriore esame prima essere eventualmente presentate in documento italiano. Ci domandiamo anche se sia opportuno tatticamente includere in nostro documento, per quanto riguarda Camera Alta, alternativa secondo cui detta Camera potrebbe concepirsi come designata dai Governi; cisopratutto in considerazione dichiarazioniDelegazione olandese (telespr. 10/27) che portano un’interessante appoggio alla concezione italiana», minuta ditelegramma senza data recante la seguente annotazione: «26 gennaio 1954. Telefonato, comunicando la sostanza di queste osservazioni, a Pisa [segretario della Legazione a Lussemburgo], 26/1/54, h. 10», in DGAP, Uff. I (exOA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, fasc. s.n. Nel citato telespr. 10/27 del 20 gennaio, Bombassei riferiva sui lavori del Comitato Istituzionale; un quadro sommario dei lavori dei vari Comitati della Commissione per laCPE è stato tracciato nell’Appunto del 21 gennaio (vedi D. 89).Per il seguito vedi D. 99.
IL CAPO DELL’UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, PLAJA(1)
Appunto. [Roma, 21 gennaio 1954](2).
APPUNTO SULLO SVOLGIMENTO DEI LAVORI DELLA COMMISSIONE PER LA COMUNITÀ POLITICA EUROPEA
La prima fase dei lavori della Commissione per la Comunità Politica europea presenta il seguente quadro sommario:
1) Comitato Istituzionale. L’esame si è limitato alla definizione delle funzioni e principali caratteristiche degli organi che dovranno comporre la futura Comunità mentre il problema generale delle attribuzioni è stato per ora rinviato ad un tempo successivo. In linea generale può dirsi che ad eccezione dell’Italia le posizioni si sono venute precisando nel senso di avvicinarsi alla concezione francese che mira sostanzialmente a contenere al massimo l’elemento sovranazionale della Comunità e, ove possibile, persino a tentare di ridurre, attraverso le nuove formule, il potere sovra. nazionale già concesso agli organi esistenti, o previsti, della CECA della CED.
La posizione «europeistica» è stata difesa sopratutto dalla Delegazione italiana che, su questioni di notevole importanza, è venuta a trovarsi praticamente isolata. Conviene accennare ora sommariamente alle singole questioni che sono state discusse:
A) Consiglio dei Ministri della Comunità.
Mentre si è rimandata in questa prima fase la discussione della concezione francese dell’esecutivo a due rami, nonché il problema della permanenza o meno dei Consigli dei Ministri della CECA e della CED, che sarà discussa in sede d’esame del problema del conglobamento delle Comunità preesistenti, il Comitato si è trovato d’accordo nel riconoscere la necessità di creare un Consiglio dei Ministri della Comunità Politica. Questo collaborerà con l’organo sovranazionale (esecutivo), al quale verrà riconosciuta una sfera di competenza propria e quindi autonomia e poteri propri.
Il Consiglio dei Ministri potrà, nei casi previsti, intervenire in tale sfera di competenza con iniziative (pareri semplici), pareri conformi e direttivi.
La collaborazione con l’organo sovranazionale avverrà mediante consultazioni e informazioni reciproche.
Il Consiglio dei Ministri sarà composto dai Capi dei Governi o dai Ministri degli Esteri o eventualmente da un altro membro del Governo.
B) Camera Alta.
La discussione si è imperniata su un progetto francese; riprendendo la proposta tedesca di affidare al Consiglio dei Ministri le funzioni di seconda Camera, i francesi hanno proposto un organo, detto Camera degli Stati, con cui praticamente si viene a snaturare il carattere rappresentativo del Parlamento; attraverso tale organo gli Stati membri ottengono un controllo diretto dell’esercizio del potere legislativo nonché, in parte, dell’attività dell’organo sovranazionale esecutivo.
I membri della Camera degli Stati sarebbero almeno tre per Stato, disporrebbero di un solo voto per Stato ed agirebbero secondo un mandato imperativo. Il progetto francese è stato accettato come base di discussione dalle delegazioni belga, tedesca e lussemburghese; esso ha sollevato una riserva olandese ed è stato respinto dalla delegazione italiana che ha presentato un progetto di seconda Camera elettiva, a composizione ponderata (o paritaria se la prima Camera avrà composizione proporzionale) a carattere rappresentativo e con attribuzioni simili a quelle della prima Camera.
C) Camera dei Popoli. Il Comitato si è trovato concorde sul principio dell’elezione a suffragio universale diretto e segreto degli uomini e delle donne, con esclusione del voto plurimo.
Circa le modalità dell’esercizio di un controllo politico efficace della Camera dei Popoli sull’esecutivo della Comunità, è stata riconosciuta la necessità di assicurare all’organo sovranazionale una certa stabilità. Tutte le delegazioni, esclusa quella italiana che ha riservato la posizione, si sono dichiarate contrarie ad un intervento della Camera dei Popoli al momento della designazione del Presidente e dei Membri dell’esecutivo sovranazionale.
Le delegazioni belga francese lussemburghese e olandese si sono dichiarate contrarie alla necessità dell’investitura preliminare dell’esecutivo da parte della Camera dei Popoli ed hanno ammesso che l’esecutivo debba essere responsabile verso la Camera Alta solo per quanto riguarda la gestione. La delegazione tedesca ha manifestato preferenza per l’investitura preliminare e quella italiana ha ricordato che preferirebbe che la nomina dell’esecutivo fosse opera della Camera e comunque si è dichiarata a favore dell’investitura.
Esclusa la delegazione francese, che ammette la responsabilità dell’esecutivo solo nei limiti dei propri poteri di decisione (e non quindi per gli studi e progetti), tutte le delegazioni hanno riconosciuto che la responsabilità dell’esecutivo potrà essere invocata per tutti i compiti affidati a tale organo.
Premessa una riserva generale circa i limiti del potere legislativo che potrà essere attribuito alla Camera dei Popoli, è stato riconosciuto il diritto di iniziativa e di emendamento ai membri della Camera nonché quello di interrogazione e di interpellanza.
Il Comitato si è accordato sul termine quinquennale del mandato parlamentare nonché sul principio dell’esclusione del mandato imperativo.
Sono inoltre state discusse le questioni relative all’incompatibilità.
L’importantissima questione della ripartizione dei seggi non è stata approfondita: di fronte alla riaffermazione della posizione italiana, il delegato francese ha affermato che l’adozione del sistema proporzionale avrebbe sollevato gravi problemi per la questione della rappresentanza dei paesi d’oltremare che fanno parte dell’Unione francese. Il delegato tedesco ha dichiarato di poter accettare il criterio di ponderazione per la Camera dei Popoli anche se la seconda Camera sarà paritaria.
Il problema della facoltà del Presidente o di una aliquota dei membri di richiedere delle sessioni straordinarie ha sollevato l’opposizione della delegazione francese, che la vorrebbe ammettere solo per la maggioranza assoluta dei membri.
La discussione sulla questione del conglobamento della CECA e della CED nella CPE si è tenuta finora in termini generali e non ha sostanzialmente variato le posizioni precedenti.
2) Comitato Elettorale. Il Comitato ha iniziato i lavori esaminando i problemi del diritto di voto e dell’eleggibilità: si è concordato sostanzialmente un rinvio delle leggi nazionali che dovranno fondarsi sui sistemi vigenti in ogni Stato(3).
89 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
89 2 La data è stata ricostruita sulla base del riferimento contenuto nel D. 91.
89 3 Il documento prevedeva un terzo punto sul Comitato Economico che tuttavia non fu redatto.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)
L. segreta 0094(2). Parigi, 23 gennaio 1954.
Caro Zoppi,
rispondo alla tua lettera n. 2/016 del 18 corrente(3). Ci troviamo di fronte a due problemi connessi, ma distinti, la CED e la Comunità Politica.
Per la Comunità Politica, la situazione è confusa: abbiamo avuto il rapporto della Commissione ad hoc, varie riunioni ed oggi il Comitato degli Esperti: il punto centrale è qui il rapporto di forze fra il Consiglio dei Ministri nazionale e l’Esecutivo sovranazionale. Ma, mentre si fanno proposte e risoluzioni, il problema centrale (che cosa può essereaccettato dal Parlamento francese) viene ignorato. Rischiamo una ripetizione di quello che è accaduto per la CED: mettere cioè a punto un accordo che non sarà poi accettato dal Parlamento francese. Mi sembra un giuoco inutile ed anche pericoloso: la mia tendenza sarebbe quella di dire molto francamente ai francesi: fateci sapere prima che cosa può essereaccettato dal Parlamento francese: poi discuteremo.
La questione più grave ed urgente è perla CED: la CEP dovrebbe, secondo me, essere esaminata sopratutto sotto un altro punto di vista: se e fino a che punto essa può facilitare o rendere più difficile la ratifica della CED.
A suo tempo fu sull’assenza di una comunità politica che si appuntarono molte critiche del Parlamento francese. Adesso parrebbe chiaro che, con l’eccezione di una parte dei socialisti, si trattava di una manovra per complicare ancora le cose; adesso è appunto contro il «superstato» che si appuntano molti strali.
Per il momento, non credo utile oberarti colle opinioni di tanti parlamentari: mi limito a dirti quello che ne pensa il Governo, ossia le persone che hanno presa su di sé la responsabilità di presentare la CED alla Camera. A questo riguardo ho parlato con Pleven, Bidault e Laniel: ed una seconda volta – il 21 corrente – molto a lungo con Laniel. Sembrano tutti e tre d’accordo, e molto esplicitamente, nel considerare l’influenza della CEP come negativa. Bisogna – mi è stato detto – mantenerla in vita in modo da mantenere favorevoli alla ratifica CED i socialisti di Guy Mollet, e non mandarla troppo avanti per non incorrere nelle reazioni di tutta la destra che si pensa ricuperabile agli stessi fini.
Per quello che riguarda la CED, Laniel è fermamente deciso a dare battaglia ricorrendo, come ultima ratio, allo scioglimento della Camera (tieni presente, a questo riguardo che fra quattro mesi cominciano gli ultimi diciotto mesi della legislatura durante i quali non si pupisciogliere la Camera) o al referendum. Sondaggi fatti da varie parti e con differenti metodi, sono arrivati alla conclusione che il risultato del referendum sarebbe nettamente favorevole alla ratifica CED.
Circa l’eventualità o meno di modifiche all’attuale trattato CED, ho trovato i tre molto open to suggestions, ma ancora incerti. Il Presidente del Consiglio ed i suoi, vorrebbero approfittare delle vacanze parlamentari che sono incominciate il 19 per uno studio approfondito della situazione parlamentare onde stabilire:
1) se è possibile trovare una maggioranza per il Trattato e quale (intendendo per «maggioranza» una maggioranza di almeno 30-40 voti);
2) quali modifiche, eventualmente, possono essere consigliabili per ottenere il voto della Camera.
Con alcune graduazioni di ottimismo – Pleven piottimista, un po’ meno Bidault – questi due pensano adesso che il Trattato potrebbe essere ratificato, così come è, dando delle assicurazioni interpretative, in una forma da stabilirsi, sia sulla possibile maggiore durata del periodo transitorio, sia ammettendo esplicitamente la possibilità di modificare, eventualmente, sulla base delle esperienze del periodo transitorio, le soluzioni definitive attualmente previste. Pensano anche alla possibilità di qualche dichiarazione interpretativa, od altro, che diminuisca i poteri del Commissariato ed aumenti i poteri del Consiglio dei Ministri. Ma mi è stato detto – e questo mi sembra molto ragionevole – prima di accettare qualsiasi revisione od interpretazione, bisogna essere sicuri delle sue ripercussioni parlamentari: perché una revisione, od interpretazione revisiva, può far guadagnare dei voti nel settore della gente moderatamente contraria, ma pufarne perdere nel settore degli integralisti tipo Teitgen: bisogna quindi, in ogni caso, pesare accuratamente il pro ed il contro.
Laniel, pur condividendo in massima il pensiero di Pleven e di Bidault, è piconvinto della necessità di una revisione, pur ammettendo la necessità di fare i conti dei voti. Egli vorrebbe prendere la mossa da un progetto Juin, che – a quanto mi ha detto
– conserva l’essenziale ed elimina le precisazioni superflue: pensa che su questa base, appoggiato dal prestigio del nome, si possano raggruppare gran parte dei favorevoli, e gran parte dell’opposizione ragionevole, ossia quella che non fa e non vuol fare il giuoco dei comunisti.
Laniel è, a mia impressione, lealmente deciso a condurre in porto le cose, ma esitante a rischiare il tutto per tutto, che è la tesi degli integralisti. La sua opinione è quella su cui mi baso di più è il meno intelligente ma il pisolido: ed è in fondo quello la cui responsabilità personale è impegnata.
Quale sia il piano Juin, non lo so: la sua posizione di massima è la seguente. Il testo attuale del Patto è irrealizzabile: lo si pubenissimo ratificare se si vuole e se è possibile, tanto un anno dopo l’esperienza ci obbligherà a rivederlo da capo a fondo: allora perché dar battaglia? Basta un trattato di una quarantina di articoli, lasciando il resto ai fatti.
Laniel conta di essere in grado di formulare delle proposte chiare e precise verso la metà di febbraio.
Ripercussioni della Conferenza di Berlino. È questa la grande incognita: attualmente si ha qui piuttosto l’impressione che essa lascerà le cose come si trovano, ossia che quelli che erano convinti, prima, che non c’era niente da fare, lo resteranno: ma così pure quelli che ritengono che c’è una possibilità di mettersi d’accordo con i Russi. Il pericolo piserio – si ritiene, e su questo sono perfettamente d’accordo – è che i Russi in qualche modo riescano a dare corpo alla speranza che essi sarebbero disposti a facilitare una soluzione onorevole del conflitto d’Indocina contro un abbandono della CED. Il Governo (d’accordo, in questo, tutti i Ministri) ha dato precise istruzioni a Bidault – sarebbe piesatto dire che se le è fatte dare – di non acconsentire a negoziare né la CED né il NATO contro concessioni in Indocina. Ma è anche indubbio, e su questo tutti pure sono d’accordo, che se questa possibilità si precisasse il Governo dovrebbe
o cambiare idee od andarsene.
In linea generale, si può dire che c’è un certo miglioramento della situazione e ciè dovuto a varie ragioni:
1) l’offensiva feroce degli anti-CED per le elezioni alla Presidenza della Repubblica, la riconduzione del presente Governo, la Presidenza dell’Assemblea che è finita con un punto a favore della CED (non solo la riconferma del Governo Laniel, ma la conversione di Laniel, da dubbio, a sostenitore della CED) e due punti equivoci: né Coty né Le Troquer sono ben definiti, né pro né contro, tanto è vero che le due parti considerano di aver avuto vittoria. (Circa Coty, Laniel che ne è amico mi assicura che lo appoggerà nel suo lavoro di sondaggio e nella lotta). Peril vantaggio è sempre a favore della CED, perché, anche se si dichiarassero contrari, Coty e Le Troquer non hanno le possibilità di influenza che avrebbero potuto avere Herriot e Auriol. L’offensiva anti-CED ha segnato, per me, il suo massimo;
2) la convinzione, giustificata o no, ma certamente diffusasi largamente in questi ultimi tempi, che l’opinione pubblica francese, nella sua maggioranza, è favorevole alla CED, ha impressionato alcuni gruppi parlamentari: ci sono dei casi di deputati che nei corridoi della Camera parlano in senso antieuropeo, e poi in senso filoeuropeo nel loro dipartimento;
3) l’intervento violento di Dulles, dopo le reazioni che ha suscitato, ha finito per essere salutare: se Dulles avesse detto: «In caso di non ratifica, armiamo la Germania», anche la seconda reazione sarebbe stata tutta negativa; avendo detto: «Se non si ratifica, passiamo alla politica periferica», ciha fatto riflettere molti di quelli che, attaccando la CED, non cercano puramente e semplicemente un «renversement des alliances»;
4) il giuoco dei comunisti è stato troppo aperto. E questo ha dato molto da pensare ad alcuni Ministri, fra questi importante Jacquinot, che non vogliono trovarsi sullo stesso fronte dei comunisti, e cominciano a dubitare della bontà della loro politica di opposizione. Sono questi gruppi, di cui qualche modifica, che venga incontro ad alcune loro obbiezioni e che serva sopratutto a giustificare un loro «ralliement», pudefinire l’atteggiamento in senso favorevole.
Per cui si è venuta a creare una situazione in cui il Governo, se ha veramente voglia di dar battaglia, se sa manovrare efficacemente, e se non ci sono dei colpi di scena a Berlino, potrebbe ingaggiare la battaglia con buone chances di riuscita. Resta sempre il pericolo che si faccia cadere il Governo su delle questioni secondarie e che si apra di nuovo una crisi assai difficile, con infinite possibilità, almeno, di ritardo. Ed è un’eventualità tanto pida temere, in quanto la si potrebbe far coincidere con il momento cruciale al Congresso americano, con il rischio di veder prendere dagli Americani delle decisioni che poi a loro volta comprometterebbero o renderebbero inutile, la battaglia qui: dovrei anzi dire che a mia impressione, adesso l’azione degli avversari, sopratutto di quelli direttamente organizzati da Mosca, mi sembra appunto diretta a far fare o non fare alla Francia tutto quello che puspingere l’America a rompere i ponti lei.
La questione della convenienza o meno di modificazioni alla CED per facilitarne il passaggio qui, è complessa e delicata, L’opposizione alla CED va scomposta in vari settori: ci sono gli oppositori neutralisti, il che è un eufemismo, e contro questi indiscutibilmente non c’è niente da fare. L’elemento importante è costituito da quelli che si dicono opposti alla CED quale essa è, ma disposti ad accettarla con delle modifiche, ed è su di questa che bisognerebbe puntare. Anche questo settore va scomposto: ci sono alcuni, per esempio Bonnefous, i quali in realtà non vogliono affatto la CED, non hanno il coraggio di attaccarla direttamente e vogliono, rimettendo tutto in discussione, rimandare di nuovo tutto alle calende greche, e mettere la discordia nel campo avverso: ed è questo tipo di riformatori che hanno particolarmente in vista gli integralisti tipo Teitgen, René Mayere Alphand il quale poi difende anche delle posizioni personali. Ma ci sono i riformisti tipo Pinay, fra gli Indipendenti, Barrachin nell’ARS e Chaban-Delmas fra gli ex RPF, i quali sono indiscutibilmente, in buona fede, dei riformisti costruttivi: e di questi si deve tener conto: può darsi che essi possano essere portati ad accettare la CED quale essa è, con delle modifiche interpretative come pensa Pleven, può darsi che ci voglia qualche cosa di più come pensa Laniel. Bisogna vedere.
Per quello che riguarda noi, vorrei distinguere fra l’interesse di condurre in porto la CED ed evitare una crisi maggiore del Patto Atlantico, e la nostra posizione propria.
Per la sostanza, in una situazione delicata quale è la situazione francese attuale, penso che da parte nostra, appoggiare e sostenere, in qualsiasi modo, sia la tesi integralista sia la tesi riformista, sarebbe agire in realtà contro la CED, confondendo di pile acque. La nostra posizione dovrebbe essere questa. L’Italia ha dato la sua adesione alla CED quale essa è, e la ratificherà. Sul piano esperti è inutile continuare delle discussioni, proporre delle soluzioni, avanzare delle ipotesi: la cosa dipende dal Parlamento francese: siete voi francesi che dovete dirci che cosa il Parlamento francese può accettare: il giorno in cui voi ci direte che per far passare la CED al Parlamento ci vogliono delle modifiche, principalmente nel senso di diminuire di un x la parte sovranazionale, e di aumentare di altrettanto la parte nazionale, e di non voler troppo prevedere, noi non faremo difficoltà, e faremo del nostro possibile per aiutarvi a che altri non ne facciano. Il che corrisponde poi a quello che disse Pella a Bidault: che noi non avremmo fatto delle difficoltà, anzi, eventualmente, eravamo pronti a considerare la possibilità di presentare noi, come nostre, delle proposte che, per varie ragioni, potrebbe essere delicato per i francesi di proporre loro. L’ho ricordato a Laniel, il quale mi ha promesso che appena in grado di tirare delle conclusioni, mi avrebbe tenuto al corrente ed avremmo visto insieme il da fare: gli ho detto che, specialmente in momento di crisi, non potevo impegnare il mio Governo: potevo soltanto assicurarlo che avrei fatto tutto il mio possibile perché noi restassimo nella linea convenuta con Bidault e Pella: gli ho ripetuto che, a questo scopo, era molto importante che eventuali nuove proposte francesi ci fossero comunicate in tempo, e non all’ultimo momento, come era stato fatto in molte altre occasioni.
Per tua informazione ti posso aggiungere che, nel corso di una conversazione avuta con lui qualche giorno addietro, Van Zeeland mi ha detto che se per avere la ratifica francese fossero necessarie delle modifiche, anche importanti, non ci sarebbero state difficoltà da parte belga. Scrivendo di sondaggi, forse mi sono prestato ad equivoci; io avevo in mente quello che sto facendo, ossia cercare di vedere, al di sopra delle elucubrazioni di vari settori del Quai d’Orsay, quali siano le vere intenzioni del Governo francese, ed essere in grado di controllare nella misura del possibile, sul piano parlamentare, le possibilità di realizzazione di quello che il Governo francese ha e può avere in mente. Quanto ad azione diretta nostra presso i francesi, non riterrei opportuno di andare più in là del precisare che spetta ai francesi di decidere quello che è meglio ai fini del loro Parlamento, e che da parte nostra non solo non si faranno difficoltà, ma si farà di tutto per aiutare a che altri non ne facciano. Che personalmente, per quelle impressioni che posso avere del Parlamento francese, io sia convinto che delle modifiche siano necessarie, non solo per avere una maggioranza decisa, ma anche e sopratutto per superare l’attuale confusione fra comunisti e non comunisti contro la CED e per condurre la battaglia della ratifica con un fronte che raggruppi il massimo possibile delle forze anticomuniste, come è e come, secondo me, dovrebbe essere anche da noi, questo è tutt’altra cosa. Comunque, quello che ti scrivo oggi è tutto basato esclusivamente su conversazioni dirette e precise con le persone che ho menzionato nel mio rapporto. Per me, ti ripeto, tutto deve essere tentato e fatto per evitare una crisi maggiore di tutto il Patto Atlantico. Se avessi trovato i francesi ancora nella stratosfera, sarei tornato a proporti un intervento Benvenuti anche concernente la CED. Ma il Governo francese sembra adesso si sia reso conto che non è possibile ancora rimandare e sia deciso ad affrontare una decisione. E questo è comunque un punto all’attivo. Detto questo, non credo veramente che sia il caso che noi avanziamo delle proposte nostre: che ci si accusi di immobilismo CED, non mi fa perdere il sonno: l’importante è che si salvi dell’Europa quello che si pusalvare e che si salvi il Patto Atlantico. Tanto, caro Zoppi, bisogna pure che ci rassegniamo ad essere sempre criticati per tutto quello che facciamo. Possiamo invece, ti ripeto, fare qualche cosa di utile spingendo discretamente i francesi a decidersi – e lo sto facendo – visto che la chiave di volta della situazione l’ha il Parlamento francese: e convincere noi stessi – il che mi sembra raggiunto almeno per quello che concerne te e Magistrati – che il rischio di vedere saltare tutto per aria è troppo forte per non rassegnarci a qualche discesa da quelle che erano le nostre aspirazioni in fatto di integrazione immediata. Se ci riusciamo, sarà questa la migliore risposta alle accuse che ci possono essere fatte adesso. Sono anche picontrario – e quindi d’accordo con te – a che noi facciamo delle proposte, o dei sondaggi verso gli Americani; nella nostra situazione essi non farebbero che suscitare dubbi e sospetti sulle nostre intenzioni. Per quello che ci riguarda, il meglio che potremo fare è cominciare col mettere in movimento la ratifica: e non cristallizzarci troppo sul collegamento CED-Trieste. È una carta che ha oggi un certo valore, ma che lo conserva solo per qualche mese, al massimo: poi, o tutto va per aria, e allora è una carta che non giuoca più o la Francia la ratifica, ed allora mi consta, da fonte sicura che da parte americana è stato già previsto di mandare avanti la CED anche senza di noi, con un protocollo di nostra accessione a data ulteriore. E credimi quando ti dico che, se Francia avrà data e vinta la sua battaglia, non si fermerà perché ne restiamo fuori noi: saranno se del caso i comunisti a valersi dell’argomento italiano contro la CED: il che non ci faciliterebbe. Resta da vedere come possiamo mandare avanti la ratifica sapendo che è possibile che ci siano delle modifiche.
Sono stato molto contento di trovare tutti i miei interlocutori francesi d’accordo sulla non opportunità che, in caso di necessità di modifiche, si cominci col discuterne con gli americani. Secondo loro, eventuali modifiche le dobbiamo negoziare fra di noi, a sei, e poi dire tutti e sei agli americani: ci siamo messi d’accordo su questa formula che sarà ratificata subito. Il che mi sembra sia veramente la cosa più saggia.
Per un certo prestigio nostro, si potrà tentare, o di fare noi, d’intesa con i francesi, nuove proposte ai sei, o di presentarle come piano franco-italiano. Ma senza farne una questione di importanza primaria: la sostanza è già troppo complessa e troppo esplosiva: contentiamoci di contribuire a salvare quello che si pusalvare. A cose fatte, se ci si arriverà, con condizioni interne italiane mutate, quod est in votis, in meglio, non ci mancheranno certo possibilità di prendere delle iniziative.
Non sapendo quale è la situazione ministeriale, da tutto questo la forma di una lettera a te e non di un rapporto ufficiale: tanto, ai fini pratici, è lo stesso(4).
Cordialmente, tuo
P. Quaroni
90 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
90 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.
90 3 Recte 21/0106: vedi D. 82.
90 4 Con L. 20/0245 del 1° febbraio Zoppi rispose di essere d’accordo con quanto l’Ambasciatore esponeva. Aggiungeva inoltre: «…Del resto né la tua lettera a Magistrati del 12 gennaio (vedi D. 77), né la mia a te del 18 tendevano ad assumere iniziative di sorta, ma solo ad approfondire il pensiero francese ed è ciò che hai fatto e continui a fare» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110). Vedi anche le considerazioni di Magistrati al D. 98.
RIUNIONE MINISTERIALE (Roma, 25 gennaio 1954)(1)
Verbale(2).
Verbale riassuntivo della riunione presieduta dal Sottosegretario Benvenuti il 25 gennaio 1954 in merito ai lavori della Commissione per la Comunità Politica Europea.
Hanno presenziato alla riunione l’On. Ivan Matteo Lombardo, il Ministro Magistrati, il Ministro Corrias, i Segretari Plaja, Cornaggia e Favretti.
Il Sottosegretario Benvenuti, premesso che egli ritiene opportuno conservare una direzione a livello politico per la Delegazione italiana, prega l’On. Lombardo, Capo della Delegazione alla CED, di partecipare in sua vece alla riunione del Comitato di Direzione della CPE che avrà inizio il 28 corrente a Parigi, non potendo presumibilmente recarvisi in vista della discussione al Parlamento sulle dichiarazioni del Governo.
Il Ministro Magistrati dà lettura dell’appunto in data 21 gennaio della Direzione Generale Cooperazione Internazionale che riassume i lavori finora svolti dal Comitato Istituzionale (all. 1)(3).
1) Circa la manovra francese tendente a ridurre, attraverso le nuove formule, il potere sovranazionale già concesso agli organi esistenti o previsti della CECA e della CED, il Sottosegretario ribadisce che l’atteggiamento italiano rimane di non accettare simili diminuzioni e quindi di non retrocedere dalle posizioni CECA e CED.
In linea generale si conferma la direttiva che nell’attuale fase dei lavori non sia opportuno allontanarsi dalla posizione «europeistica» assunta dall’Italia, anche perché si è potuto osservare come tale posizione tattica, già in questa fase, ha portato qualche frutto, come nel caso dell’avvicinamento olandese alla tesi italiana sulla seconda Camera. Solo lo sviluppo dei lavori potrà consigliare l’opportunità di accedere a quelle posizioni che ci sembrano tuttora meno accettabili nel quadro della struttura generale della futura Comunità. Così ad esempio se in ipotesi si dovesse rendere necessaria l’accettazione del progetto franco-tedesco per la Camera degli Stati, occorrerà almeno ottenere che tale Camera non disponga di poteri tali da paralizzare in pratica l’iniziativa legislativa della Camera dei Popoli.
2) Per quanto riguarda invece il problema della necessità dell’investitura preliminare dell’Esecutivo da parte della Camera dei Popoli, il Sottosegretario rileva che la posizione italiana potrebbe avvicinarsi a quella delle Delegazioni belga-francese-olandese e lussemburghese allo scopo di facilitare un accordo su una questione che non si considera di importanza fondamentale.
3) Circa la ripartizione di seggi sembra che la questione, per il suo grandissimo rilievo politico, non sia ancora matura per una discussione approfondita. In sede di Comitato di Direzione dopo avere riaffermato le linee generali del nostro pensiero, si dovrà da parte nostra richiedere che venga rinviata ogni decisione ad uno stadioulteriore. È chiaro che l’atteggiamento italiano su tale argomento è strettamente collegato al problema della struttura generale degli organi ed alle attribuzioni e poteri della futura Comunità. In proposito si debbono ricordare i motivi che ci fecero a suo tempo accettare le ponderazioni per la CECA e la CED. In sede di Comunità Politica il Governo difficilmente potrebbe presentare al Parlamento un accordo che codificasse un sistema troppo discriminatorio a favore degli elettori delle piccole potenze. Al riguardo ci si rende conto dei principali aspetti del problema: la posizione francese per quanto riguarda il problema della rappresentanza dell’Unione francese; la posizione tedesca per ciò che concerne la futura rappresentanza degli elettori della Germania orientale; ed infine la rappresentanza dei piccoli paesi ed in particolare del Lussemburgo. Pur tenendo presente che sarebbe vano pretendere che si accolga il principio strettamente proporzionale, siamo d’avviso che non potrebbe riuscire accettabile per noi un sistema in cui il peso italiano fosse inferiore alla somma dei pesi dei tre paesi del Benelux.
Data perciò la complessità del problema si è ventilata la possibilità che in questa fase la questione sia affrontata dalla nostra Delegazione non in sede di dibattito in Comitato ma con un’opportuna opera di avvicinamento alle altre Delegazioni in corridoio, con particolare riguardo per la Delegazione tedesca, allo scopo di raccogliere ogni possibile utile elemento di giudizio che dovrà consigliarci sull’atteggiamento finale da assumere quando il problema dovrà essere discusso nella sede più alta.
4) Circa la questione del conglobamento delle Comunità preesistenti è stato esaminato e discusso il progetto di un documento di lavoro della Delegazione italiana predisposto dal Ministro Cavalletti. Al riguardo sono state adottate le osservazioni che hanno fatto oggetto di una comunicazione telefonica in data 26 gennaio alla Delegazione italiana in Parigi e che sono riassunte nel foglio in pari data (all. 2)(4).
5) Il Ministro Corrias ha dato infine lettura dell’appunto in data 23 gennaio (all. 3)(5) della Direzione Generale Affari Economici contenente alcune osservazioni in merito allo sviluppo dei lavori del Comitato Economico. Dopo una approfondita discussione cui ha partecipato attivamente l’On. Lombardo, ed in seguito ai chiarimenti forniti dal Ministro Corrias circa la questione dell’abolizione delle protezioni doganali, il Sottosegretario ha approvato le osservazioni contenute nell’appunto predetto, che dovrà essere utilizzato come norma di orientamento da parte della nostra Delegazione.
91 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
91 2 Redatto presumibilmente tra il 26 ed il 27 gennaio. Trasmesso da Magistrati alla Delegazione per la Commissione CPE «per opportuno orientamento» con Telespr. n. 21/0191 del 27 gennaio e da Plaja alle Direzione Generali per gli Affari Politici e per gli Affari Economici con Appunto segreto n. 21/0197, pari data.
91 3 Vedi D. 89.
91 4 Vedi D. 88, nota 4.
91 5 Appunto della DGAE, Ufficio IV per il Sottosegretario Benvenuti. Nell’informare Benvenuti di concordare con la linea espressa dai nostri rappresentanti e che i singoli problemi erano allo studio, l’Ufficio IV della DGAE aveva ritenuto opportuno segnalare «alcuni punti base per gli eventuali interventi del nostro Rappresentante in seno al Comitato di Direzione che si terrà prossimamente a Parigi: circa la “progressività” appare necessario insistere sul concetto pivolte espresso da parte italiana che non è possibile dall’inizio fissare i termini della progressione verso il mercato comune; e citanto in linea di principio, quanto in considerazione del rapido evolversi della congiuntura economica sia europea che extra-europea. Per quanto riguarda la successione delle varie misure contemplate nel rapporto di Villa Aldobrandini, appare necessario che all’abolizione delle protezioni doganali si giunga non solo gradualmente, ma come ultima e conclusiva tappa, una volta raggiunta l’abolizione di tutti gli altri ostacoli frapposti alla libera circolazione delle merci. Circa la “salvaguardia”: insistendo naturalmente sul principio, del resto già accettato alla Conferenza di Roma, appare opportuno porre in rilievo come detta salvaguardia dovrà riferirsi tanto a particolari situazioni in atto al momento della firma del Trattato, quanto a particolari situazioni che potrebbero determinarsi a seguito dello sviluppo del mercato comune e che non è oggi possibile prevedere. Circa il “coordinamento”: è uno degli aspetti pidelicati, se non il più delicato, del settore economico, investendo la essenza stessa della politica e della vita economica di ciascun Paese. Questa Direzione Generale si riserva sottoporre per il prossimo febbraio uno studio piavanzato, ma ritiene opportuno segnalare fin d’ora come appaia indispensabile dare al coordinamento, la cui necessità è in linea di massima riconosciuta da tutti, un significato che non si limiti ad un semplice accordo di principio, ma giunga a delle manifestazioni concrete e tali da assicurare una effettiva eguaglianza di condizioni allo svolgersi dell’attività economica nei vari Paesi» in DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, fasc. s.n.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)
Appunto segreto. Roma, 25 gennaio 1954.
In relazione alle prossime dichiarazioni programmatiche del Governo al Parlamento(2), mi permetto formulare e sottoporre a V.E. alcune considerazioni per quanto si riferisce alla questione della ratifica della CED. E cianche in relazione all’articolo a firma Pietro Nenni apparso sul «Avanti» del 24 u.s.(3).
La questione CED è oggi all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale e deiGoverni. È ben nota la posizione del Governo USA al riguardo. È anche probabile che tale questione abbia una parte importante nelle discussioni di Berlino che si aprono oggi. Non da escludersi che la ratifica olandese sia intervenuta in questi giorni proprio in vista di tali discussioni e per rinforzare la posizione degli occidentali alla vigilia di esse. Una dichiarazione da parte italiana che desse l’impressione di un passo indietro rispetto alle posizioni favorevoli precedentemente assunte potrebbe indebolire per riflesso le posizioni occidentali alla Conferenza di Berlino, così come una dichiarazione inequivoca le rafforzerebbe. Le dichiarazioni che farà il Governo italiano saranno perciò seguite con la massima attenzione. Cimi sembra sia da tener presente tanto sul piano dei rapporti est-ovest che vengono affrontati in questi giorni ad alto livello, quanto sul piano dei nostri rapporti con gli altri membri della Comunità occidentale.
Per quanto si riferisce a questo ultimo aspetto è anche da tener presente che la situazione italiana post 7 giugno, ha suscitato, proprio tra i nostri amici occidentali, perplessità e dubbi che sono riaffiorati anche in occasione della recente crisi ministeriale. Pertanto una dichiarazione governativa di minore impegno, tanto pise dovesse venire interpretata come intesa a favorire un benevolo atteggiamento da parte di un determinato settore politico notoriamente ligio alla politica sovietica, potrebbe avere ripercussioni di notevole serietà.
Concludendo, dal punto di vista della politica estera e alla luce delle considerazioni che precedono, sembra che il nostro atteggiamento debba continuare ad essere quello di pieno favore alla CED, con la riaffermazione del fermo proposito di attuarla, ponendo tuttavia in rilievo nei contatti diplomatici come le difficoltà che si incontreranno inevitabilmente anche nel nostro Parlamento saranno superabili se verrà nel frattempo risolto il problema di Trieste e normalizzata la nostra situazione alla frontiera orientale.
92 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.
92 2 Atti Parlamentari Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 26 gennaio 1954, pp. 5021-5029: 5029; ivi, Senato, legislatura II, Discussioni, seduta del 26 gennaio 1954, pp. 2828-2837: 2837.
92 3 Vedi D. 93.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)
L. riservatissima 20/0171. Roma, 25 gennaio 1954.
Caro Ambasciatore,
altre brevissime considerazioni sulla questione CED.
Qui, si può dire per la prima volta, il problema è venuto alla ribalta dei partiti politici in previsione ed in funzione proprio della posizione che essi dovranno, nei prossimi giorni, prendere circa il Ministero Fanfani. I partiti minori democratici sono tutti apertamente «cedisti» (qualche sfumatura, a titolo condizionale, si riscontra in Saragat); il partito nenniano si è dedicato ad una posizione tattica anziché strategica in quanto, non volendo toccare la sostanza della questione, ha proclamato, per bocca del suo capo, che comunque il Governo dovrebbe «attendere la ratifica francese» prima di portare la ratifica italiana in discussione nel Parlamento e nell’opinione pubblica. Ieri lo stesso Nenni in un articolo, importante, apparso sull’«Avanti» e dal titolo «Berlino e noi», dopo aver fatto le lodi dell’atteggiamento Pella in merito alla connessione CED-Trieste, ha testualmente scritto: «Posizione, questa, ineccepibile specie per chi non è come noi contrario alla CED per ragioni di principio». Frase che, non so se volutamente, rassomiglia molto a quella dell’«ibis, redibis non»! E ciò perché, come puoi vedere, quel «come noi» può essereinterpretato negativamente o positivamente.
L’On. Lombardo, che è qui in questi giorni e che vedrà il Ministro Piccioni, conferma che il Trattato CED non può esseresoggetto, senza che cisusciti gravi complicazioni, ad alcuna rettifica nel suo testo attuale. E anche le cosidette «soluzioni di ricambio» appaiono tutte praticamente inattuabili.
E, in merito, mi ha inviato una lunga lettera.
Vedremo ora quale sarà il testo definitivo delle dichiarazioni che, in proposito, il Presidente Fanfani farà domani in Parlamento(2), premuto, come puoi facilmente immaginare, da pitendenze.
In riassunto, ho l’impressione che – a meno che, cosa che mi sembra improbabile, da Berlino dovessero giungere notizie sensazionali – nei prossimi mesi avremo qui un veramente importante dibattito sulla CED: cosa che, per molti motivi, fino ad oggi non si era verificata.
Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
93 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
93 2 Vedi D. 92, nota 2.
IL CONSIGLIERE DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE, PRUNAS, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. 0326. Parigi, 25 gennaio 1954.
Caro Magistrati,
comprendo perfettamente le apprensioni che mi manifesti nella tua n. 20/0123 del 19 corrente(2). Ho avuto presenti tali preoccupazioni fin dall’inizio dei lavori del Comitato economico per la CPE e da esse sono stato guidato nei miei ripetuti interventi sul problema della circolazione delle persone come elemento costitutivo fondamentale del mercato comune.
Il rapporto interinale del Comitato, che ho inviato, tramite Bombassei, il 23 corrente in allegato a un mio appunto, mi sembra salvaguardare in misura sufficiente la nostra netta posizione di principio. Ho infatti ottenuto che il nostro atteggiamento fosse chiaramente precisato e che le riserve francese e lussemburghese, esistenti del resto fin dalla Conferenza di Roma, non figurassero nella parte generale del rapporto, consacrata all’enunciazione dei «principi base».
Naturalmente, le difficoltà sorgeranno e si accentueranno allorché dalla formulazione di concetti generali si dovrà passare all’esame delle modalità di applicazione. Ma a questo riguardo resta ancora da stabilire se dovrà essere il Trattato e non piuttosto gli organi della Comunità a precisare tali modalità: e questo senza voler considerare una terza ipotesi – accennata, per ora accademicamente, dai belgi – per cui la questione potrebbe essere regolata con una convenzione a parte (soluzione che a me sembra la peggiore di tutte).
Credimi, cordialmente,
tuo
Pasquale Prunas
94 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
94 2 Vedi D. 86.
L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)
R. 290/161(2). Bruxelles, 26 gennaio 1954.
Signor Ministro,
la parola d’ordine che i rappresentanti belgi hanno avuto istruzione di sostenere prima della Conferenza di Berlino è che la CED non debba essere abbandonata in vista di ottenere delle contropartite da parte sovietica. Cicorrisponde, com’è noto, alle idee di van Zeeland il quale non soltanto è d’opinione che il rafforzamento dell’Europa occidentale sia il migliore, anzi l’unico mezzo per giungere alla possibilità di convivenza fra i due blocchi, ma che la CED possa addirittura servire di ponte per arrivare ad un sistema di mutua garanzia fra di essi.
Un punto di vista, dunque, perfettamente ortodosso. Non perche sia tale, o meglio che venga sostenuto in tale forma, sopratutto per piacere agli americani. Di tutti i paesi sotto protettorato europei, il Belgio è il più indipendente, o il meno dipendente di tutti. Questo Ambasciatore degli Stati Uniti, all’atto di riassumere il proprio posto qui, ha fatto alla radio americana una dichiarazione del seguente tenore: «Torno con gioia in una nazione che vive del proprio lavoro e dei propri mezzi, e che è l’unica a non chiedere niente alla nostra». Questa dichiarazione, così lusinghiera per questo paese, ma non altrettanto per gli altri, dà la prova dell’indipendenza che esso è relativamente riuscito a mantenere verso i padroni d’Oltre Atlantico. Del resto, qui non vi sono basi americane né spesseggiano le missioni d’oltre oceano: il che fa sì che, contrariamente a quanto accade in Francia od altrove, opinione pubblica e stampa siano più che corrette, addirittura simpatizzanti verso gli americani. I quali, proprio perché si sentono soli, come giustamente osserva l’Ambasciatore a Parigi, debbono pure realizzare che questo popolo anche se piccolo pucostituire per loro una ben accetta compagnia.
Se il Belgio continua ad essere così fedele all’idea della CED è piuttosto per altri motivi. Piesposto di altri territori, esso sa di qual valore possa essere un esercito tedesco, e sa che pure essendo ogni copertura vana, la sola che abbia qualche possibilità ritardatrice, sarà quello [sic] delle divisioni germaniche. Ma il Belgio desidera che esse siano addomesticate, e la CED sembra a tal uopo la gabbia migliore.
Inoltre, da un altro timore il Belgio è dominato: che gli americani abbiano a tornare alla strategia periferica. Nelle passate invasioni chi difese o tentdi difendere questo territorio furono sempre gli altri eserciti europei; ed oggi non si può certo contare molto su di essi, se non avranno alle costole quello degli Stati Uniti. Se la CED non verrà applicata, si teme qui, la strategia periferica, con tutti i suoi presupposti e le sue conseguenze, è sicura. Il «new-look» strategico americano non è certo ancora strategia periferica; ma ne è il prodromo ed il presupposto; e la CED viene stimata come il solo parafulmine capace di scongiurare un tale uragano.
Insistere nella CED, per il Belgio, significa rimanere sul Trattato attuale, così com’è stato firmato. Dopo il probabile fallimento della Comunità, l’eventualità pitemuta è che i francesi non abbiano a proporre dei cambiamenti. Nulla è risultato qui a tal proposito, ulteriormente a quanto ho segnalato col mio telespresso n. 101/61 dell’11 corrente(3); ma già quel poco che è trapelato circa le incertezze di Bidault ed i nuovi progetti di alcuni parlamentari francesi e del Generale Weygand è stato sufficiente ad allarmare.
Veramente, appare poco comprensibile che si preferisca rischiare di non avere affatto la Comunità di Difesa, piuttosto che averla meno completa. È che il timore della strategia periferica è tale, che si crede che essa potrebbe prodursi, per stanchezza dell’opinione americana, anche soltanto di fronte all’eventualità di nuove e certo non facili trattative.
Da cideriva, a rigor di logica, una conseguenza: che il Belgio punta sul fallimento dell’incontro di Berlino, in quanto solo tale eventualità può esserecapace di persuadere i francesi a votare la CED, così come sta. Non che alle probabilità di successo di Berlino si sia mai creduto molto; ma si è anche inconsciamente sperato e si continua a sperare che da lì sia per nascere un principio di trattativa seria da svilupparsi nel futuro.
Su quali basi? Da un lato su quella della persuasione dell’intenzione sovietica di guadagnare tempo, eventualità questa di cui si è convinti a seguito dei ragionamenti che ho accennati in un precedente rapporto; e dall’altro, sull’offerta di garanzie di sicurezza che dovrebbero vertere su una specie di compromesso fra un tipo di Locarno orientale ed il piano van Zeeland.
In conclusione: immanenza della CED, così com’è; possibilità di trattative con i soviets esplorata sino all’estremo limite; in caso di fallimento, approvazione della CED da parte di tutti, e insistenza sui progetti di garanzia reciproca. Ecco quale sembra essere il calendario belga.
Per la verità, riuscita anche parziale della Conferenza di Berlino e progresso della CED sembrano due termini inconciliabili; ma tant’è, i belgi sono, sia pur nebulosamente, persuasi o fidenti che tali termini, sotto una specie di miracolo, si possano conciliare. Comunque, la CED rimane ancora il fulcro – anche dal punto di vista dei lavori parlamentari – della politica belga. Desideravo segnalarlo come uno tra gli elementi di decisione ai fini delle conseguenze che esso potrebbe avere sull’attitudine del nostro Governo a tale riguardo.
Gradisca, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.
Grazzi
95 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 114.
95 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro» con la sigla di Piccioni e «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.
95 3 Vedi D. 84, nota 2.
L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. 277. Bruxelles, 26 gennaio 1954.
Caro Massimo,
grazie della tua lettera del 18 corrente(2)che riannoda un dialogo che si era affievolito ma nel quale purtroppo io ho sempre meno cose da dire. In parte perché tutti siamo ormai oggetto di politica e non pisoggetti attivi, ed in parte per la convinzione che qualunque cosa si scriva o dica non serve a nulla.
Mi domando anch’io se non convenga forzare l’approvazione della CED, analogamente a quanto sta facendo il Belgio per un complesso di motivi. Scrivo oggi un rapporto a tal riguardo(3).
Ho letto col maggior interesse la riunione del Sindacato che tu hai presieduta. Meno male. Adesso sono tranquillo, dopo aver visto che i nostri colleghi hanno trovato il rimedio alla crisi della nostra professione, crisi generale in tutti i paesi e particolare a Palazzo Chigi: l’uso rinnovato dell’uniforme.
Mandami la tua conferenza, te ne sarmolto grato.
Credimi sempre
Tuo aff.mo
Umberto
96 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
96 2 Vedi D. 84.
96 3 Vedi D. 95.
IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. riservata 20/20(2). Parigi, 27 gennaio 1954.
Caro Ministro,
ti ringrazio molto delle tue lettere n. 21/0078 del 14 gennaio(3)e n. 20/0169 del 25 gennaio(4).
Sempre a proposito delle voci che circolano circa la possibilità che da parte francese vengano prese delle iniziative tendenti a modificare il Trattato CED onde renderlo meno difficilmente accettabile a questo Parlamento, penso che possa interessarti – per completare il quadro che avete costà della situazione – di sapere quello che è – in questo momento – il pensiero di Bruce e dei suoi collaboratori al riguardo.
Dopo maturo e approfondito esame della questione nel suo insieme e delle diverse possibili soluzioni alternative, essi – da parte loro – sono giunti alla conclusione che le trasformazioni del Trattato che potrebbero essere immaginabili sono tutte inattuabili dal punto di vista tecnico e a doppio taglio da quello politico.
Gli americani di qui pensano inoltre che, dal punto di vista parlamentare, sarebbe arduo di apportare alla CED una qualche nuova alternativa che facesse guadagnare voti da un lato senza farne perdere altrettanti, e forse più dall’altro. In altre parole essi stimano che il Trattato assicuri già ai francesi una situazione in cui hanno la botte pipiena e la moglie piubriaca possibile: ogni mutamento non potrebbe che toglier vino dalla prima a favore della seconda o viceversa ma non attribuirne loro, complessivamente, un quantitativo maggiore, con l’aggravante di rompere un equilibrio già assai penosamente raggiunto.
In questo senso Bruce, richiesto di consiglio, si è espresso con Dulles e gli ha fatto anche avere al riguardo l’accluso appunto – in realtà assai schematico e relativo ad uno solo degli aspetti dell’intricato problema ‒che dovrebbe costituire la falsariga per le conversazioni che, in margine alla Conferenza di Berlino, il Segretario di Stato sarà per avere con Bidault in tema di ratifica francese della CED.
Con affettuoso e devoto animo, credimi
sempre tuo
Giorgio Bombassei
Allegato
Appunto.
The United States Government is firmly opposed to any modification of the present text of the EDC Treaty or to any other suggestion which would lead to new negotiations between the six governments and in NATO.
In connection with the negotiations on the protocols requested by the French Government, the French Government through its Foreign Minister gave a clear and explicit commitment at Rome in February 1953, later confirmed by its representative to the Interim Committee, that it would not ask for any changes in the present text of the EDC Treaty; that it would not request any additional protocols, even «interpretative», before submitting the present text of the EDC Treaty to the Assembly for approval; and that it believed the interpretative protocols obtained from its EDC partners would enable it to obtain favorable action from the Assembly.
This firm commitment was undertaken at the insistence of France’s Treaty partners as a precondition to their parliamentary action on the Treaty; it has been officially reiterated to them and to the United States on several subsequent occasions during the Mayer and the Laniel Governments. It is on the basis of this commitment that the German, Dutch and Belgian Governments have initiated and virtually completed parliamentary action on the Treaty, that the Italian and Luxembourg Governments have started their parliamentary action, and that the United States and the United Kingdom have undertaken negotiations with the six countries on related questions. Moreover, on the basis of the understanding reached with the French Government, all of France’s partners have refrained from making any proposals themselves.
If the French Government breaks this commitment, it would be tantamount to a rejection of the EDC Treaty. The United States, the United Kingdom and the other interested countries, as well as the other EDC countries, would then be forced to reconsider their present policies with regard to European and North Atlantic Treaty defense.
97 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
97 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.
97 3 Vedi D. 79.
97 4 Con essa, Magistrati si limitava ad informare Bombassei di aver avuto una lunga conversazione con Lombardo sulla CED «che comincia ad essere la discussione “di moda” in Italia dopo un lungo periodo di silenzi o semi-silenzi» e di non sapere ancora se Benvenuti si sarebbe potuto recare a Parigi per la Commissione per la CPE (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110).
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)
L. segreta 20/0210. Roma, 28 gennaio 1954.
Caro Ambasciatore,
entro domani la sorte del Gabinetto Fanfani sarà, penso, segnata e ci troveremo quindi a navigare nuovamente in piena crisi. Non ti nego che, per il nostro lavoro, tutto ciò è non poco pesante.
Ma passiamo ad altro. Ho sott’occhio la tua n. 94 del 23 gennaio(2), diretta all’amico Vittorio e nella quale hai precisato e fissato il collegamento CED-CPE, alla luce della situazione francese.
Premesso che anche a noi risulta da più parti come gli Americani – sempre nell’eventualità che un giorno la CED dovesse essere ratificata a Parigi – penserebbero di dare vita alla Comunità anche senza di noi, concordo, in riassunto, nel pensare che sarebbe, oggi, oltremodo complesso e contro-producente (e vorrei dire «strano» data questa nostra attuale situazione governativa) avanzare nostre proposte dirette a modificare sostanzialmente il Trattato che firmammo nel maggio 1952. Troppe sarebbero le interpretazioni altrui ed il tutto finirebbe per rivolgersi ai nostri danni. Estremamente utile, invece, appare la tua azione diretta a misurare, in sede competente il metro degli atteggiamenti e degli intendimenti francesi, in modo da tempestivamente fornirci, come stai facendo, gli elementi per conoscere l’andamento della questione. Abbiamo avuto qui Lombardo per alcuni giorni ed egli ha visto – sempre in tema CED – De Gasperi, Fanfani e Piccioni e potrà fornirti giudizi ed impressioni di prima mano. Avrai, inoltre, visto come, nelle sue dichiarazioni al Parlamento(3), Fanfani abbia finito per disgiungere – a differenza delle precedenti impostazioni Pella ed anche De Gasperi – il problema della ratifica CED da quello di Trieste. Effettivamente, a mio modo di vedere, l’evoluzione delle cose e dei tempi consigliano la disgiunzione stessa.
Quanto al Parlamento mi sembra di scorgere un netto orientamento CED nei democristiani, nei repubblicani, nei liberali ed in alcuni dei saragattiani, mentre contrari sono, naturalmente, i comunisti appoggiati, entro certi limiti tattici di tempo, dai nenniani. I monarchici continuano a non mostrare una ostilità preconcetta, mentre maggiori e piprofonde sono le riserve missine.
Quello che ci preoccupa non poco è il fatto che, mentre in Francia, qualora veramente il Governo dovesse decidere la presentazione del Trattato al Parlamento, una decisione potrebbe essere presa in brevi settimane, da noi la procedura parlamentare, qualora avviata, comporterebbe lunghi mesi di discussioni nelle Commissioni ed in aula, anche nell’ipotesi piottimista e cioè quella della mancanza di un vero e proprio ostruzionismo parlamentare da parte dei comunisti. In altre parole il «prossimamente» annunciato da Fanfani dovrebbe veramente essere seguito da qualche atto effettivo perché, altrimenti, non soltanto rischieremmo di rimanere nel vagone di coda ma potremmo anche trovarci fermi sul marciapiede della stazione senza poter salire sul convoglio(4).
Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
98 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
98 2 Vedi D. 90.
98 3 Vedi D. 92, nota 2.
98 4 Per la risposta vedi D. 100.
IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. 10/73(2). Parigi, 30 gennaio 1954.
Oggetto: Commissione Costituzionale per la Comunità Politica Europea. Lavori del Comitato di Direzione.
Il Comitato di Direzione ha concluso ieri, dopo due giornate di dibattiti, i suoi lavori nel corso dei quali ha esaminato i rapporti interinali preparati, rispettivamente, dai Comitati Istituzionale, Economico ed Elettorale, ha preso alcune decisioni ed ha impartito direttive ai Comitati di esperti al fine del proseguimento dei loro lavori(3).
Riassumo qui di seguito i punti principali che sono stati esaminati nel corso dei dibattiti.
1) Legge Elettorale.
a) Il Comitato si è lungamente soffermato sulla questione della opportunità di inserire nel Trattato una clausola che permetta a ciascuno degli Stati membri di autorizzare i cittadini degli altri Stati di esercitare il diritto di voto sul proprio territorio (v. pag. 4 del rapporto del Comitato Elettorale).
Mentre le delegazioni belga, olandese e tedesca si pronunciavano a favore di una disposizione del genere, che, come è noto, era stata suggerita da parte nostra, la delegazione francese ha mantenuto la propria posizione ‒motivandola col fatto che la Francia, paese di immigrazione, desiderava evitare che in alcune sue circoscrizioni le votazioni venissero influenzate da vaste aliquote di elettori stranieri ‒ed ha chiesto che pertanto non venisse modificato il testo del rapporto succitato. La delegazione lussemburghese ha aderito alla posizione francese.
È stato deciso di rinviare la questione al Comitato Elettorale al fine di un piapprofondito studio di essa. Dovrà, fra l’altro, essere studiata la possibilità che cittadini di uno dei sei Paesi residenti in un altro di essi votino nella loro circoscrizione d’origine per corrispondenza o per il tramite delle rispettive autorità diplomatiche o consolari.
b) Si è iniziato successivamente l’esame del delicato problema dei principi generali comuni relativi al sistema elettorale.
Il Presidente van Starkenborgh, parlando nella sua qualità di delegato olandese ha esposto la nota tesi del suo Governo, secondo la quale l’elezione di una Camera europea a suffragio universale diretto sarebbe logicamente ammissibile solo nel caso in cui fosse contemporaneamente adottato da tutti gli Stati un sistema elettorale ispirato ad uno stesso principio, che permettesse a tutte le principali correnti politiche di farsi equamente rappresentare in seno all’Assemblea europea. Il sistema che, meglio d’ogni altro, permetterebbe la costituzione di una Camera che fosse specchio fedele della opinione pubblica della Comunità è ‒a parere del Governo dell’Aja ‒quello proporzionale.
La delegazione francese si è opposta alla adozione di un principio troppo rigido, mettendo in rilievo i pericoli dell’uniformità in simile materia, dato la diversità delle situazioni esistenti nei singoli Stati, ed ha fatto presente come l’aspetto squisitamente politico del problema, consigliasse soluzioni elastiche.
Da parte italiana si è tenuto un atteggiamento analogo, per quanto pisfumato, e si è comunque rilevata la correlazione della questione con quella della adozione del principio proporzionalistico per la ripartizione dei seggi in seno alla Camera.
A richiesta di alcune delegazioni è stato precisato che l’eventuale adozione del sistema proporzionale in materia elettorale non avrebbe escluso gli apparentamenti di lista, pur non permettendo la concessione di un premio alla lista, o gruppo di liste, che avessero raccolto il maggior numero di voti.
Il Comitato ha adottato il testo di cui agli allegati I e, con alcune modifiche, II del citato rapporto del Comitato Elettorale. Le modifiche di cui all’allegato II consistono nella sostituzione, alla terza riga, della parola «proportionnelle» a quelle «efficace et équitable» e con la soppressione delle parole da «sans négliger» fino alla fine. Non è stato perdeciso se la detta formula debba avere carattere obbligatorio o se debba considerarsi solo una raccomandazione non vincolante. Conformemente ad una proposta della delegazione tedesca, la questione è stata rinviata allo studio del Comitato Elettorale, che dovrà cercare una soluzione di conciliazione che possa raccogliere l’adesione di tutte le delegazioni. La divergenza di fondo è stata quindi trasferita sul terreno della obbligatorietà o meno delle norme che saranno stabilite.
c) Il Comitato ha deciso di porre ai parlamentari alcune domande circa i principi ai quali si è ispirata l’Assemblea ad Hoc quando ha previsto che fino all’adozione di una legge unica sui principi elettorali, le elezioni alla Camera dei Popoli avrebbero avuto luogo sul territorio di ogni Stato membro con lo scrutinio proporzionale con facoltà di apparentamento fra le liste; sul significato dei termini «facoltà di apparentamento» e sui sistemi elettorali che siano stati eventualmente preconizzati nel corso dei lavori dell’Assemblea stessa.
2) Creazione di un Comitato per il Bilancio.
Il Comitato ha esaminato l’opportunità di procedere alla creazione di uno speciale Comitato per l’esame dei principi relativi al bilancio della Comunità che dovrebbero essere inseriti nel Trattato, giungendo alla conclusione che la creazione di un Comitato del genere era per il momento prematura e che la questione avrebbe dovuto essere riesaminata nel corso della sessione del Comitato di Direzione del 22 febbraio p.v.
3) Rapporto Comitato Istituzionale.
La discussione sul rapporto del succitato Comitato si è aperta con un notevole intervento del sostituto tedesco, Hallstein, che ha chiarito l’atteggiamento della propria delegazione nel corso dei lavori degli esperti. Le proposte tedesche, che erano potute sembrare timide in quanto accentuavano il carattere confederale della costituenda Comunità, miravano essenzialmente e parallelamente ad ottenere che venissero attribuite alla stessa le competenze piestese possibili.
Il Comitato è passato poi all’esame dei singoli problemi esaminati dal Comitato Istituzionale.
a) Camera dei Popoli: Da parte tedesca è stato sottolineato che la struttura della
Camera dei Popoli ‒qual è prevista nel rapporto segna un limite minimo e che sarebbe
impossibile limitarne maggiormente i poteri, collegandone l’esercizio a numerosi controlli del Consiglio dei Ministri e della Camera Alta, nonché limitando la durata delle sessioni ordinarie e la possibilità di convocare delle sessioni straordinarie.
Per quanto riguarda le relazioni fra la Camera dei Popoli e l’organo supranazionale, le varie delegazioni hanno ribadito il punto di vista che avevano sostenuto in sede di Comitato Istituzionale, per quanto concerne l’investitura dell’Esecutivo europeo e l’adozione di una mozione di censura nei confronti dell’Esecutivo stesso. È stato deciso di rinviare all’esame del Comitato Istituzionale tale questione come pure quelle delle supplenze dei deputati nominati membri dell’Esecutivo, della durata delle sessioni ordinarie e della convocazione di quelle straordinarie. In ordine a tale ultimo punto, il Comitato Istituzionale è stato incaricato di fare uno studio sulla prassi parlamentare dei singoli Stati.
Lo stesso Comitato è stato incaricato di approfondire l’esame della questione della partecipazione del Consiglio dei Ministri ai lavori delle Commissioni della Camera. A questo proposito è stata prospettata, da parte italiana, l’opportunità di aspettare la soluzione dell’analogo problema che si è posto all’Assemblea Comune, circa la partecipazione del Consiglio dei Ministri ai lavori delle Commissioni dell’Assemblea Comune.
La delegazione tedesca, da parte sua, ha ricordato che il Comitato Istituzionale avrebbe dovuto studiare anche la questione della partecipazione dei Ministri ai lavori delle Commissioni della Camera Alta.
Il Comitato di Direzione ha anche deciso di porre ai Parlamentari, alcune domande circa i principi ai quali si è ispirato il sistema delle incompatibilità previsto all’art. 20 del progetto di Strasburgo; sulla durata delle sessioni ordinarie e la convocazione di quelle straordinarie ed infine sul problema dell’investitura dell’Esecutivo europeo come pure sulle possibilità, da parte dei due rami del Parlamento, di adottare una mozione di censura nei confronti dell’Esecutivo stesso.
b) Consiglio dei Ministri: La delegazione tedesca ha rilevato che dovrebbe essere limitato l’intervento del Consiglio dei Ministri nell’attività dell’Esecutivo europeo, in particolare sotto forma di direttive onde evitare che lo stesso assuma il carattere di un organo amministrativo.
c) Camera Alta: Le singole delegazioni hanno nuovamente esposto le loro opinioni in merito.
La delegazione belga si è dichiarata favorevole al Senato eletto paritario, aggiungendo perche considerava la nota proposta franco-tedesca circa la procedura legislativa un’utile base di discussione per il proseguimento dei lavori.
La delegazione tedesca ha fatto presente che la sua proposta si prefiggeva lo scopo di giungere alla realizzazione di un accordo sull’argomento. Tuttavia essa non si nascondeva gli svantaggi di tale soluzione che, non permettendo un collegamento organico fra il Parlamento europeo e quelli nazionali, può portare ad un antagonismo fra queste Assemblee ed alla nascita di uno spirito nazionalistico e separatista.
Essa‒pur mantenendo la sua tesi di base ‒ha quindi proposto il rinvio della questione al Comitato Istituzionale, affinché quest’ultimo cerchi di risolvere il problema del collegamento fra gli organi legislativi nazionali e quello supranazionale.
La delegazione italiana ha insistito sulla necessità ‒per le note ragioni ‒dell’adozione di un Senato eletto, facendo presente che una tale forma di composizione del Senato le appariva indispensabile per assicurare la realizzazione della Comunità e la sua democraticità; ha quindi aggiunto che conseguentemente non avrebbe potuto partecipare a delle discussioni che prendessero come base la proposta franco-tedesca.
La delegazione dei Paesi Bassi ha ricordato che il Governo olandese era sempre favorevole ad un Senato di composizione elettiva. Tuttavia, dato il carattere dei lavori dei Comitati che si limitavano a studiare le varie proposte avanzate, riteneva opportuno che il Comitato Istituzionale riesaminasse la proposta franco-tedesca cercando di modificarla in modo da superare le obiezioni che erano state avanzate.
La delegazione francese ha fatto presente che si rendeva conto della gravità delle obiezioni che erano state sollevate da parte italiana e tedesca. Tuttavia, fra la necessità di garantire il collegamento fra gli organi legislativi nazionali e sopranazionali e quella di assicurare l’equilibrio fra i poteri dei singoli Stati e quello della Comunità Politica, si riteneva, da parte francese, prevalente l’interesse di risolvere in modo soddisfacente quest’ultimo problema.
Per assicurare l’auspicato collegamento fra le Assemblee nazionali e quella sopranazionale, della cui utilità si era, peraltro, pienamente convinti da parte francese, Parodi ha suggerito che i deputati europei venissero in parte eletti a suffragio diretto ed in parte dai rispettivi parlamenti nazionali.
È stato deciso di rinviare la questione allo studio del Comitato istituzionale al quale la delegazione tedesca si è riservata di presentare un sistema più completo che permettesse i collegamenti desiderati.
d) Conglobamento. Il Comitato ha approvato il testo del rapporto che gli è stato sottoposto per quanto concerne la questione del conglobamento degli Esecutivi delle varie Comunità sopranazionali.
La delegazione francese ha fatto presente che si opponeva a che il Commissariato venisse sottoposto al controllo dell’Esecutivo supranazionale sin dalla creazione di quest’ultimo. Tuttavia, essa avrebbe accettato che, in un momento successivo, tale potere di controllo fosse attribuito all’Esecutivo europeo.
La questione è stata rinviata allo studio del Comitato Istituzionale al fine di esaminare la possibilità di giungere ad una formulazione che raccogliesse i consensi di tutte le delegazioni.
4) Esame del rapporto del Comitato Economico.
Il delegato olandese ha iniziato la discussione, ribadendo l’interesse del proprio Governo all’attribuzione di competenze economiche alla Comunità europea, che considerava condizione essenziale per la costituzione della Comunità Politica.
In particolare la delegazione olandese annetteva importanza ad una sollecita realizzazione di un’unione doganale ‒e qui Starkenborgh ha ricordato il noto progetto del suo Governo ‒che avrebbe permesso una più sollecita realizzazione del mercato comune. Ciò premesso, essa era aperta alla discussione di qualsiasi concreta proposta che fosse presentata da altre delegazioni per la soluzione dei suddetti come di altri problemi inerenti all’istituenda Comunità.
Il delegato tedesco ha fatto presente che la questione ‒nel suo complesso ‒aveva fatto dei progressi rispetto ai risultati conseguiti a Roma. Naturalmente rimanevano ancora numerosissime e gravissime difficoltà da superare; né poteva essere diversamente allo stadio attuale delle economie nazionali, ognuna delle quali costituisce un sistema autonomo diviso dagli altri. A parere della delegazione tedesca il problema doveva essere ulteriormente approfondito nei suoi singoli elementi, e la soluzione adottata doveva tenere conto dei vari fattori.
La delegazione francese ha chiarito l’importanza dell’integrazione economica ai fini dell’unificazione dell’Europa. Essa ha sottolineato che non bisognava, per sottovalutare i progressi conseguiti nel campo pistrettamente politico, che avevano contribuito in notevole misura a porre i presupposti per l’auspicata unificazione economica. Da parte francese si doveva fare presente la difficoltà dell’abolizione delle barriere doganali dato le strutture economiche di alcuni paesi, fra i quali la Francia, ed il pericolo che gravi perturbamenti economici causati dall’unificazione dei mercati
avrebbero costretto il Governo francese ‒sotto la spinta dell’opinione pubblica ‒a
rinviare «sine die» l’unificazione stessa.
In particolare, la Francia aveva una sensibilità estrema nei riguardi della questione della liberalizzazione del movimento delle persone, in quanto, dato che essa è Paese di immigrazione, un troppo rapido afflusso di immigranti potrebbe pregiudicare la compagine nazionale e rischierebbe quindi di provocare una reazione psicologica che finirebbe col silurare l’unificazione.
Il delegato francese, inoltre, non ha mancato di rievocare il noto atteggiamento di principio del suo Governo in materia delle competenze e dei poteri dell’istituenda Comunità. Egli è giunto a domandarsi, a questo punto, se fosse utile che i lavori del Comitato Economico proseguissero addentrandosi nell’esame di problemi che non rientravano nelle prospettive accettate da parte francese.
L’intervento di altri delegati, che hanno insistito affinché la Francia continuasse a collaborare all’attività del Comitato Economico su un piano, per il momento, meramente di indagine e di studio in vista di certe ipotesi, ha tuttavia ottenuto l’adesione del Sig. Parodi.
A proposito della liberalizzazione del movimento delle persone è stato chiesto alla
delegazione italiana ‒che tanta importanza annette alla questione ‒di presentare in
sede di Comitato Economico un documento che meglio precisi il suo pensiero sull’argomento e che possa costituire una base di più approfondita discussione. La delegazione italiana si è riservata di presentare un memorandum al riguardo(4).
Da parte nostra, si è riconosciuta la necessità di procedere con prudenza in un settore così delicato come quello economico, nel quale passi falsi produrrebbero inevitabilmente reazioni pericolose per la causa dell’unificazione europea. Tuttavia è necessario che vengano accettati da tutti alcuni sacrifici per la realizzazione dello scopo comune.
Il Comitato ha deciso di non iniziare una discussione sul quesito postogli dal Comitato Economico circa il carattere che dovrebbe assumere la parte economica del Trattato, ritenendo che la questione potrebbe essere definita unicamente a livello Ministri ed ha dato incarico, su proposta tedesca, al Comitato Economico di approfondire lo studio di certi argomenti che meritano un piaccurato esame: in particolare la libertà di movimento delle persone e dei capitali; il concetto di «concorrenza sleale»; le incidenze pratiche dell’unificazione; il coordinamento delle politiche sociale, economica e finanziaria; le relazioni fra il mercato comune ed i Paesi Terzi; il sistema di salvaguardia e le fasi progressive che devono portare all’unificazione.
Il Comitato di Direzione ha, infine, approvato il testo di un breve questionario composto di tre domande (v. doc. CCP/CE/doc. 13, di cui si allegano 6 esemplari) che il Comitato Economico ha elaborato perché siano sottoposte al gruppo di lavoro dell’Assemblea ad Hoc.
Nella discussione che ha avuto luogo in precedenza al Comitato Economico in merito alla formulazione delle domande stesse, il delegato belga aveva suggerito un quarto quesito, in cui, in sostanza, si chiedeva che i parlamentari si pronunciassero circa l’esatto significato da loro attribuito all’espressione «libera circolazione delle persone».
Pesato il pro e il contro, Prunas si è opposto a che il problema venisse prospettato in tali termini, in quanto gli è apparso pericoloso, data la nostra posizione di principio al riguardo, che la libera circolazione delle persone fosse oggetto di un esame particolare ed isolato dall’insieme degli elementi costitutivi del mercato comune. Egli ha quindi dichiarato che avrebbe potuto approvare unicamente un quesito che comprendesse, senza discriminazioni od esclusioni, le quattro libertà, pur rendendosi conto della complessità di una domanda del genere. In conclusione, visto il fermo atteggiamento italiano, il Comitato ha rinunciato a porre il quesito in argomento.
5) Prossime sessioni dei vari Comitati. Il Comitato di Direzione ha deciso di tenere due nuove sessioni: una dal 22 al 25
febbraio p.v. ‒nel corso della quale verranno presi contatti con il gruppo di lavoro dell’Assemblea «ad Hoc» al quale verranno sottoposte le questioni suindicate ‒ed
un’altra, dall’8 al 10 marzo p.v. durante la quale sarà esaminato il rapporto che dovrà
essere sottoposto ai Ministri.
I Comitati tecnici riprenderanno i loro lavori 1’8 febbraio p.v.
Mi riservo di trasmettere il verbale delle sedute del Comitato in oggetto e gli altri documenti da esso adottati, non appena verranno diramati dal Segretariato.
Come potrà essere rilevato, dalle note riassuntive che precedono nonché, ulteriormente, dai documenti che sono in corso di preparazione presso il Segretariato, le posizioni delle varie delegazioni in merito alle questioni più difficili e controverse sono rimaste, sostanzialmente, immutate rispetto a quelle che erano già state assunte dai rappresentanti nazionali e diversi Comitati tecnici. Pertanto la discussione più approfondita di esse ha dovuto esser nuovamente rinviata a questi ultimi Comitati, nella speranza che possa essere trovata qualche formula che avvicini i divergenti punti di vista.
Sarebbe al riguardo assai utile che la delegazione italiana potesse ricevere tempe
stivamente quelle indicazioni che ‒sulla base degli elementi sinora emersi ‒codesto
Ministero ritenesse opportuno inviare onde poterne trarre guida nel corso dei lavori che verranno svolti fino alla prossima riunione del Comitato di Direzione(5).
99 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
99 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.
99 3 Su questa riunione riferì anche Cavalletti: vedi le conclusioni che egli ne trasse al D. 104, nota 3.
99 4 Vedi D. 121.
99 5 Vedi D. 105.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. segreta 0163(2). Parigi, 2 febbraio 1954.
Caro Massimo,
grazie della tua lettera n. 20/0210 del 18 gennaio(3). Sono contento di sapere che siamo tutti d’accordo circa l’opportunità di non presentare delle eventuali proposte italiane di revisione: mi interesserebbe di sapere se almeno voi siete anche d’accordo, o no, sull’accettare delle eventuali proposte francesi di modifica.
So che Lombardo, come del resto tutti quelli che hanno preso parte alla redazione del Trattato, sono contrari a qualsiasi modifica: il che del resto è anche spiegabile. Resto tuttavia della mia opinione: che se delle modifiche sono necessarie perché passi davanti al Parlamento francese, bisognerà pure accettarle. Ma questo è un argomento del domani.
Condivido con te le apprensioni circa la durata del dibattito al Parlamento italiano, tanto più che tutto fa ritenere, specie in caso di scacco della Conferenza di Berlino – che potrebbe sollecitare una decisione francese – che ci sarà da parte dei nostri sinistri un ostruzionismo non meno violento di quello che abbiamo avuto per la legge elettorale: ostruzionismo che del resto, secondo me, attraverso la legge elettorale mirava appunto a rendere più difficile, se non impossibile, la ratifica della CED.
È strano come da noi non ci si sia resi conto, e forse non ce se ne rende ancora conto in parte, dell’assoluta opposizione comunista alla CED. Era del resto, questa, non una delle ultime ragioni per cui, prima delle elezioni, consigliavo all’allora nostro Presidente una certa calma in argomento.
In ogni modo qui, se si andrà alla ratifica, ci si vorrebbe andare dando al dibattito un aspetto di fronte anticomunista – ed è questo l’argomento più fortein favore di qualche modifica che permetta di allargare questo fronte. Anche da noi, se si vuole veramente mettere in moto la macchina, bisognerà dare a questa ratifica un aspetto di fronte anticomunista: e sotto questo punto di vista potrà anche essere un bene, perché potrà servire non solo a chiarire certe posizioni, ma anche a rompere molti ponti fra comunisti e non comunisti che tanto scompigliano la nostra vita politica.
Ma bisogna far presto: altrimenti rischiamo che alla CED si arrivi senza di noie che la nostra ratifica perda qualsiasi suo valore.
Non ho scritto ufficialmente sull’argomento perché, in assenza di un Ministro, è fatica sprecata: mi riservo di farlo quando la crisi sarà, sia pure temporaneamente, risolta.
Incidentalmente ti informo che Parodi, nell’ultima conversazione avuta con me, si è lagnato del fatto che, insieme all’olandese, la delegazione italiana sia stata, in seno alla CEP, la piviolenta a spingere per l’integrazione economica, lasciando la Francia completamente isolata. Mi ha detto che da parte francese si è disposti a fare tutto quello che vogliamo, se si tratta di studiare quello che ci sarebbe da fare per creare le premesse di un’integrazione economica – si ritorna alla vexata quaestio dei carichi fiscali, di assistenza sociale, ecc. –, ma che non si puammettere che si dia una qualsiasi competenza in materia economica sia all’Assemblea sia agli organi sopranazionali. Tieni presente, a questo riguardo, quello che ho già scritto a Zoppi: che cioè, adesso, la CEP rischia di rendere ancora più difficile il passaggio della CED al Parlamento francese(4).
Credimi sempre
Tuo aff.mo
P. Quaroni
100 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
100 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi; reca inoltre l’annotazione con la sigla di Magistrati: «Visto da S. E. Benvenuti, Del Balzo. A me».
100 3 In realtà del 28 gennaio. Vedi D. 98.
100 4 Vedi D. 90. Per il seguito vedi DD. 102 e 107.
IL MINISTRO A L’AJA, CARUSO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. 351. L’Aja, 2 febbraio 1954.
Caro Massimo,
rispondo subito alla tua n. 20/0207 del 18 gennaio [recte: 28 gennaio], giuntami con questo stesso corriere, per dirti che ero sicuro che avreste rilevato le osservazioni finali del mio rapporto n. 194/67 del 15 gennaio u.s., circa la questione del mercato comune(2).
In relazione a quanto ebbi a riferire ti accludo copia di un riassunto in francese del dibattito che si ebbe alla Camera il 16 e 17 dicembre u.s.(4) e delle dichiarazioni che vi fecero Beyen ed altri: esse sono sintomatiche.
Era già mia convinzione che una evoluzione del genere sarebbe stata inevitabile e tu ricorderai che ebbi già a fartene cenno.
Vi è stato indubbiamente anche un po’ il desiderio di non spaventare troppo i francesi e quello forse ancora maggiore di essere di fronte agli americani integralmente «i primi della classe», in materia di Comunità europea, ma secondo me l’evoluzione è effettiva e ne ho avuto conferma da fonte molto attendibile, per quanto il Ministero degli Esteri abbia cercato in questi ultimi tempi di mettere un po’ d’acqua nel vino.
Le riserve che da parte di qualcuno ancora vengono fatte – salvo imprevisti – verrebbero secondo me soltanto avanzate nell’intento di tirar fuori in materia tutto quello che sarà possibile, facendo pesare e dosando opportunamente le concessioni che potrebbero essere fatte sulla rigida impostazione iniziale, in modo di poterle negoziare.
Come già ti dissi tutto mi lascia ritenere – almeno per ora, salvo un imprevedibile sopravvento di certi laburisti e la eventualità che la parte economica minacciasse di ridursi a poco più di zero – che se la Comunità Europea stesse per venire alla luce, non saranno certo gli Olandesi i responsabili di un «procurato aborto».
Credimi sempre, con molti cari saluti
tuo aff.mo
C. Caruso
101 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
101 2 Recte: del 19 gennaio. Caruso aveva concluso il rapporto nella maniera seguente: «Nel complesso per quanto non vi siano dubbi sulla loro approvazione definitiva anche da parte del Senato, gli accordi per la Comunità di difesa hanno riscaldato un po’ pila Camera Alta di quanto non riscaldarono la Camera Bassa. Di particolare interesse sono stati in quest’ultima le discussioni in materia di politica estera, che si sono avute negli ultimi giorni dell’anno. Tali discussioni hanno posto in vista: 1) che buona parte dell’opinione pubblica olandese pur plaudendo all’idea del “mercato comune” non gradirebbe che questa potesse comunque compromettere la formazione di un Comunità Politica Europea; 2) che il Governo olandese ha propositi meno rigidi al riguardo e non condiziona quest’ultima in maniera categorica alla istituzione di un “mercato comune” facendo comprendere che basterebbe l’affermazione e l’accettazione dei principi base per la costituzione di detto mercato e mostrando di essere pronto ad accogliere un concetto anche piampio di “comunità economica”» in DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, fasc. s.n. Nel rispondergli, Magistrati aveva commentato: «una flessione della posizione olandese rispetto alla linea rigida finora mantenuta in proposito rappresenterebbe un’evoluzione del massimo interesse» (ibidem).
101 4 Non pubblicato.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)
L. riservata 0176. Parigi, 4 febbraio 1954.
Caro Zoppi,
sempre a titolo sondaggi, ritengo interessante informarti delle idee di Guy Mollet poiché è molto dal Partito socialista che dipende la possibilità o meno di ratifica. Al comitato politico del Partito Socialista c’è un 25% (il gruppo Jules Moch e Daniel Mayer) che è irrimediabilmente contro, un 25% decisamente a favore (il gruppo André Philippe e Gouin), il restante 50%, che è il gruppo Mollet, favorevole a tre condizioni:
1) garanzia americana: su questo punto Mollet ritiene che si arriverà a qualche cosa di soddisfacente;
2) una certa associazione inglese: non è pessimista al riguardo;
3) una autorità politica.
Guy Mollet è contrario alla comunità politica, in quanto intesa come preludio alla comunità economica: se fosse olandese, sarebbe anche lui favorevole: l’Olanda ha fatto uno sforzo immenso, e riuscito, di riadattamento della sua economia, e puaffrontare la libera concorrenza. Se la Francia lo avesse fatto, potrebbe accettare la posizione olandese: non lo ha fatto, e quindi non lo pufare. Secondo lui – e non sono sicuro che non abbia ragione – le stesse ragioni che valgono per la Francia dovrebbero valere anche per l’Italia. Comunque è questa una estensione di cui, davanti al Parlamento francese, non si può nemmeno parlare.
È favorevole invece ad una autorità politica la quale, per ora, dovrebbe limitarsi a «coiffer» la CECA e la CED. Il difetto dell’attuale organizzazione CECA e CED è che, di fatto, l’Alta Autorità e il futuro Alto Commissariato sono al di fuori di ogni controllo democratico. Lo vediamo in pratica nel caso della CECA: né l’Assemblea né il Consiglio dei Ministri possono avere nessuna influenza effettiva sull’azione dell’autorità sopranazionale. Per il Consiglio dei Ministri si può dire, entro certi limiti, che questo è condizione del principio di sopranazionalità. Ma lo stesso non vale per l’Assemblea. Se a rigore questo lo si puammettere per la CECA, non lo si puammettere per la CED. Si è lavorato tanto, in tutti i nostri paesi, per sottomettere i militari al potere civile, ed ora, sotto la veste sopranazionale, si toglie qualsiasi controllo ai militari. Il Commissariato deve essere sottoposto ad un controllo democratico dell’Assemblea, come qualunque dei nostri Governi. È l’unico mezzo per evitare un nuovo team di tecnocrati, come alla CECA.
Per questo Mollet sarebbe favorevole, senza farne una questione sine qua non, a che nell’Autorità politica europea (e quindi per CECA e CED) il Consiglio dei Ministri fosse composto non dai Ministri della Difesa, troppo influenzati dai loro militari, ma dai Presidenti del Consiglio.
Circa l’Assemblea, egli è personalmente favorevole ad una Assemblea eletta al suffragio universale diretto, ma non tutto il Parlamento, nel suo settore non contrario, è maturo per accettare questa idea: bisogna sopratutto tener conto di Pinay che vi è contrario. Bisognerebbe quindi rimandare ad un secondo tempo l’elezione diretta e, almeno per la prima assemblea, contentarsi di una assemblea eletta dai Parlamenti.
Accettando una Autorità politica di questo tipo, si verrebbe di fatto a modificare il trattato CED, in una parte perche non intaccherebbe il suo carattere sopranazionale: non sarebbe una modifica vera e propria, sarebbe una cosa nuova e basterebbe, passando l’Autorità politica, dire che i trattati CECA e CED sono modificati in tutte le loro disposizioni che differiscono dalle decisioni prese per l’Autorità Politica.
Se queste sue idee vengono accettate, Mollet farebbe approvare la CED dal comitato politico del Partito, decidere di non accordare la libertà di voto, ed escludere dal Partito chi non si sottomette. In questo caso sarebbe sicuro di avere 90 voti socialisti in favore, invece dei 50-60 su cui comunque ritiene di poter contare oggi.
Per quanto riguarda il Partito Socialista, effettivamente quello che fin qui Guy Mollet mi ha detto – faccio qualche riserva sull’esattezza delle percentuali – è quello che lui sta cercando di fare. Gli avversari della CED ne sono preoccupati perché temono che riesca e cercano di opporvisi mobilitando Auriol e facendone un candidato alla Segreteria del Partito. È in fondo, la lotta fra i socialisti meridionali – meno Marsiglia
– che sono socialisti elettoralisti, ed i socialisti del Nord, che sono socialisti militanti. Come andrà a finire la lotta, non te lo so dire: certo perche se trionfa Auriol, allora le chances della CED diventano minime, per non dire nessune. In quanto siamo a favore della CED, dovremmo quindi desiderare che vinca Guy Mollet.
Con molta franchezza Guy Mollet mi ha detto:
Sui punti 1° e 2° voi non potete fare molto: sul punto 3° potreste aiutarmi moltissimo. Accettate di rimandare ad un futuro la Comunità Politica: sul terreno economico l’Assemblea avrebbe tutte le possibilità di fare studi, proposte, mozioni: basta che non abbia la possibilità di prendere delle decisioni. Accettate l’idea della sola Autorità Politica e presentate voi un progetto concreto, nel senso da me suggerito, alla prossima riunione di fine febbraio. Avrete il merito di aver fatto uscire la conferenza politica dall’attuale impasse: con un progetto di questo genere la CED ha il 70% di chances di passare davanti al Parlamento francese.
Ti giro la proposta.
Resta a vedere quale sarà il risultato finale dei sondaggi Laniel, e come evolve il Parlamento francese. In altri settori ho, fino ad ora, trovato tutti convinti della necessità dei punti 1° e 2°: quanto al punto 3°, molti favorevoli, alcuni dubbiosi, non sull’opportunità della proposta – il problema della mancanza di controllo dell’autorità sopranazionale, in seguito ad alcuni recenti avvenimenti CECA, è sentito da tutti – ma sulla portata dell’effetto che essa purealmente avere sui voti che bisogna guadagnare alla CED.
Comunque mi sembra che sarebbe bene che noi studiassimo questa idea in pratica e dal punto di vista nostro, in modo che in caso, essa non ci colga impreparati e che si abbia la possibilità, in caso, sia di farne realmente una proposta nostra, od una proposta anglo(2)-francese.
Mi sarebbe comunque utile di sapere le vostre prime reazioni in proposito(3). Cordialmente,
[Pietro Quaroni]
102 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
102 2 Annotazione di Magistrati a margine: «italo ?».
102 3 Per la risposta vedi D. 111.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV(1)
Appunto [44/01893/c.]. Roma, 6 febbraio 1954.
ATTRIBUZIONI ECONOMICHE DELLA CPE
La Direzione Generale degli Affari Economici ha posto allo studio il complesso dei problemi relativi alle attribuzioni economiche della Comunità Politica Europea.
Tale studio è tuttora in corso, per cui si ritiene opportuno far precedere, con il presente appunto, alcune direttive di carattere generale, che debbono servire di orientamento per i lavori del Comitato Economico della Commissione per la Comunità Politica Europea.
In relazione agli orientamenti emersi nella riunione del Comitato di Direzione, sulla opportunità di proseguire i lavori del Comitato Economico tenendo conto di una ipotesi massima e di una ipotesi minima di attribuzioni della CPE, si precisa che il contenuto dei singoli punti presi in esame in questo documento è condizionato dalla visione complessiva che l’Italia ha della CPE e dei suoi poteri.
Sembra a questa Direzione Generale che la questione dell’integrazione economica debba esser vista con occhio diverso a seconda che contemporaneamente si realizzi
o meno la Comunità Politica, intesa come una effettiva realizzazione di una unità dotata di poteri centrali atti ad equilibrare, con senso di giustizia e di solidarietà la fusione dei vari fattori nazionali in un circuito pivasto in cui ogni singola unità trovi le condizioni propizie per progredire e non sia spinta verso il regresso.
Finché non si vede possibile la realizzazione di questo organismo centrale responsabile e capace di favorire e di creare le graduali condizioni necessarie perché l’integrazione costituisca uno sviluppo del livello di vita di tutti i partecipanti, è necessario, a nostro avviso, che la procedura di integrazione economica si impernii su ben chiare condizioni che garantiscano all’integrazione stessa una uniformità e una reciprocità di vantaggi.
La CPE, pertanto, deve essere in grado di far rispettare le decisioni da essa prese nell’ambito delle competenze e dei modi previsti dallo Statuto; a tali decisioni tutti gli Stati partecipanti debbono conformarsi. È evidentemente questa la condizione in base alla quale è possibile giungere alla realtà di un mercato comune tra i Paesi membri e ad una uniformità di politica verso i Paesi terzi.
Le situazioni dei singoli Paesi, e le necessarie differenziazioni che tra essi dovranno esistere, vanno regolate in sede di Comunità, sulle base dei principii di salvaguardia, coordinamento e progressività.
Tale concezione della Comunità, come dotata di una effettiva autorità politica supernazionale, dovrà essere – nei modi e nei termini che saranno ritenuti piopportuni – ribadita dalla Delegazione italiana nel corso dei lavori e dovrà essere richiamata nella discussione dei singoli problemi. Dovrà cioè risultare ben chiaro che, ove la Comunità non dovesse essere dotata dei poteri caratteristici di una autorità supernazionale, la posizione italiana sui singoli problemi in discussione verrebbe modificata.
Ciò detto, si precisano qui di seguito alcuni elementi di massima sulla interpretazione da dare ai principii di progressività, coordinamento e salvaguardia, nonché sugli elementi costitutivi del mercato comune.
Progressività. Circa la progressività appare necessario insistere sul concetto pivolte espresso da parte italiana che non è possibile all’inizio fissare i termini della progressione verso il mercato comune; cinel senso che non è possibile fissare dall’inizio date o scadenze di natura temporale. La progressività, quindi, va riferita non a scadenze di tempo (un anno, cinque anni, dieci anni), ma al grado di coordinamento raggiunto dalle politiche dei Paesi partecipanti e al maturare di situazioni strutturali
o congiunturali. Da questo punto di vista il principio della progressività si lega intimamente con il principio del coordinamento e con il suo effettivo raggiungimento. Il verificarsi e il raggiungersi di uno stadio di coordinamento sufficiente all’entrata in vigore di una misura di integrazione dovrà essere accertato dall’organo della Comunità cui sarà affidato il compito del coordinamento, organo che in questa sede chiameremo «Autorità». È evidente che quando l’Autorità unanimemente convenga che esistono le condizioni per la entrata in vigore di una misura di integrazione, essa può esserevarata. Essa potrebbe essere ugualmente varata quando nell’Autorità, comprendente i rappresentanti dei sei Paesi, cinque di essi ritengano sufficienti e mature le condizioni per l’entrata in vigore della misura; in tal caso perl’entrata in vigore della misura in questione deve essere condizionata dall’accettazione da parte del sesto Paese di misure di salvaguardia adeguate, misure che possono essere da lui proposte e che debbono contenere dei limiti di tempo, ossia delle scadenze temporali.
Coordinamento. La creazione di un mercato comune per i sei Paesi aderenti alla Comunità rende necessario un coordinamento degli interventi statali nel campo economico, sia durante un primo periodo di assestamento delle singole economie per rendere meno costoso il passaggio dall’assetto attuale a quello futuro, sia anche dopo l’unificazione del mercato per armonizzare le politiche economiche e finanziarie dei vari Paesi con le finalità proprie della Comunità.
Il coordinamento presuppone una delega dei poteri necessari ad un organismo appropriato, il quale deve avere la possibilità di far prevalere le proprie direttive su quelle dei singoli Stati.
Nella formulazione dei principii relativi ai poteri di questo organismo è bene tener presente che il coordinamento puconsistere tanto in un «divieto» di certe iniziative o di certe misure economiche esistenti o che gli Stati si accingono a prendere in contrasto con le direttive generali, quanto in un «comando» a prendere qualche disposizione in una qualsiasi direzione.
I «divieti» e i «comandi» dovranno evidentemente tener conto delle differenze strutturali esistenti nei vari Paesi, ed in questo senso dovranno tendere ad una sostanziale analogia delle varie situazioni economiche, analogia che sola puconsentire il passaggio delle economie isolate ad una economia unificata e ad un mercato comune.
Il coordinamento dovrà far sì che nessun atto (inteso in faciendo e in non faciendo) interno di uno Stato arrechi un danno ingiustificato alle economie degli altri Stati della Comunità o annulli i vantaggi di una misura di integrazione con altra misura contrastante, unilateralmente presa.
Le misure da prendersi per coordinare il passaggio verso il mercato comune non si possono prevedere a priori, anche perché dipendono dalla evoluzione delle economie dei vari Paesi membri nonché dalle modalità di attuazione. Ciò che si può dire è che per ottenere il costo minimo di unificazione dei sistemi, si debbono armonizzare i vari elementi che concorrono a formare il nuovo equilibrio economico.
Così se si procede ad una soppressione graduale delle barriere doganali e delle altre limitazioni equitative degli scambi interstatali, è necessario che questa soppressione venga accompagnata con una graduale armonizzazione nei costi di produzione dei singoli prodotti con particolare riguardo agli interventi statali nella produzione (sovvenzioni a certe industrie, aggravii del costo di manodopera per oneri sociali, imposizione di unità di lavoro per combattere la disoccupazione o a favore di certe categorie di lavoratori, etc.), nella politica fiscale in quanto questa falsi in misura evidente i principii della concorrenza (monopolii fiscali ed imposte di fabbricazione), nella politica monetaria livellando i cambi tra i singoli Paesi ad un livello naturale e conforme al rapporto tra i prezzi interni, fino a quando non si arriva ad una piena e completa convertibilità delle monete tra di loro o, ancor meglio, come sarà necessario arrivare ad un momento finale, fino a quando si verrà a creare una moneta unica della Comunità. La progressiva liberalizzazione delle merci si deve accompagnare ad una corrispondente liberalizzazione del movimento dei fattori della produzione così da consentire ai mercati di trovare tra di loro un equilibrio.
Questi rapporti tra i diversi elementi di equilibrio non possono venir fissati a priori perché non è facile una seria previsione dei fenomeni e dei turbamenti che si verranno a creare tra i Paesi della Comunità.
Dando al coordinamento il significato indicato, la Delegazione italiana potrà, in sede di discussione, accettare che il coordinamento venga esteso a tutte le materie indicate nel questionario belga-olandese e a tutte quelle altre materie che da chiunque dovessero essere proposte. Tenendo conto perdi un’altra considerazione, e cioè del fatto che il sistema economico, sociale e produttivo di un Paese è sostanzialmente un tutto unitario, per cui ognuno degli elementi è legato a tutti gli altri da interrelazioni più o meno evidenti ma comunque reali, bisognerà, nel corso delle discussioni, mettere in luce come ognuna delle materie che ci si propone di coordinare sia in sostanza legata a tutte le altre e che in questo senso ogni elencazione non puche riuscire parziale e quindi sostanzialmente limitante ed erronea.
Da ciconsegue che la linea a cui bisogna tendere è l’affermazione pura e semplice del principio del coordinamento inteso come prima indicato, senza elencazione alcuna delle materie da coordinare. Spetterà poi all’Autorità di individuare e indicare tutte le materie il cui coordinamento sia opportuno in relazione all’entrata in funzione delle misure di integrazione volta a volta proposte. Infine, poiché «nel quadro delle discussioni sulle questioni del coordinamento il Comitato si è trovato d’accordo nel prevedere la possibilità di interventi della Comunità in vista di assicurare la realizzazione di lavori pubblici di interesse europeo o di promuovere la ricerca scientifica» (vedi CCP/CE/Doc.11, pagina 12, punto 25), sarebbe opportuno sollecitare una precisazione circa il significato da attribuire all’espressione «di interesse europeo».
Si tratta infatti di accertare se con tale espressione ci si possa riferire solo ad opere interessanti due o più Paesi confinanti, o anche ad opere di carattere straordinario in un solo Paese, quando la loro realizzazione sia tale da facilitare la libera circolazione delle merci, o sia tale da assicurare, all’interno di un Paese, la soluzione di problemi che interessino direttamente o indirettamente tutti i Paesi della Comunità.
L’interesse italiano è ovviamente per tale seconda interpretazione.
Si tratterebbe inoltre di accertare se tali possibilità di intervento debbono essere considerate nel quadro del Fondo Europeo, o di altro organismo da costituire (tipo banca o società di investimento, previste ad altri fini nel questionario belga-olandese – CCP/CE/Doc. 4 (rev), pagina 7).
Salvaguardia. Il principio della salvaguardia è considerato dall’Italia come uno dei principii essenziali della CPE. Il campo di applicazione del principio di salvaguardia deve riguardare non soltanto le situazioni che vengono a crearsi con la adozione delle misure di integrazione nel quadro del mercato comune, ma anche le situazioni preesistenti all’inizio del mercato comune stesso; cinel senso che deve, anche per questa via, essere sancito il principio che la Comunità si preoccupa di ottenere l’armonico sviluppo delle economie dei Paesi partecipanti intervenendo laddove le condizioni di partenza per lo sviluppo ulteriore sono oggi pideficienti.
La strumentazione del principio di salvaguardia deve essere concepita in modo che si possa da un canto ricorrere ad esso per sospendere in un Paese, in una zona o in un settore produttivo, l’applicazione delle misure proposte oppure si possa derogare dalle misure già approvate ed entrate in funzione, sempre ove ricorrano pericoli di turbamenti gravi all’attività produttiva del Paese, della zona o del settore, in particolare quando tali turbamenti incidano sull’occupazione operaia. In relazione a tale situazione dovrebbe essere previsto il ricorso ad un Fondo Europeo i cui aiuti dovrebbero permettere alle zone, ai settori produttivi e alle singole imprese messe in difficoltà dall’apertura del mercato comune di adattarvisi attraverso ridimensionamenti, trasformazioni od altre forme di compensazione.
Tenuto conto di quanto sopra detto circa il fatto che il principio di salvaguardia deve giocare anche in riferimento alle situazioni precedenti l’apertura del mercato comune, dovrebbe essere consentito di far ricorso al Fondo Europeo per facilitare la soluzione di quei problemi strutturali di un Paese, le cui caratteristiche siano pertali da costituire un problema per la Comunità nel suo complesso.
***
In riferimento agli elementi costitutivi del mercato comune si precisa quanto segue:
Merci. In primo luogo bisogna ottenere dalle Delegazioni lussemburghese e francese un preciso chiarimento circa le categorie di attività produttiva che esse intendono escludere dall’ambito del mercato comune. Specie per quanto riguarda la Francia, bisognerebbe ottenere una precisa elencazione dei prodotti (oltre i fiori tagliati) che, essendo oggi fortemente protetti, essa intende, escludere dal mercato comune; un chiarimento sulla espressione «nuove o future industrie», che, oltre all’energia atomica, potrebbe intendersi riferita anche a tutte le nuove iniziative e comunque ai nuovi tipi di industrie, per esempio a quelle legate a processi chimici o sintetici; bisognerebbe anche ottenere una elencazione delle attività produttive che, oltre i cantieri navali, interessano i territori di oltremare. Solo in relazione al chiarimento da parte francese ed eventualmente di altre Delegazioni delle categorie di attività produttive da escludere dal mercato comune, l’Italia potrà decidere la sua linea di condotta al riguardo; in ogni caso, riservarsi la facoltà di poter proporre eventuali esclusioni.
Si conferma la direttiva che la progressione delle misure di liberazione deve essere tale per cui alla soppressione delle dogane tra i Paesi partecipanti dovrà giungersi solo come ultima fase, dopo l’eliminazione di tutte le misure quantitative, dopo l’eliminazione dei doppi prezzi e delle misure discriminatorie, nonché dopo la liberazione delle transazioni invisibili e la eliminazione di tutte quelle altre pratiche e misure falsanti il gioco della concorrenza.
Occorre inoltre, al riguardo della soppressione delle barriere doganali, tener presenti i principii espressi nel paragrafo «Coordinamento», ossia la necessità di una previa armonizzazione di tutti i fattori che incidono sui costi di produzione.
Si ricorda quanto detto circa il principio di progressività in generale, e cioè che in ogni caso ciascuna misura e ciascun provvedimento volto alla realizzazione del mercato comune deve essere preso tenendo conto dello stadio di coordinamento raggiunto dalle politiche dei Paesi partecipanti.
Si ritiene altresì che nello Statuto della CPE non sarà opportuno fare una elencazione precisa delle condizioni necessarie per assicurare la reale libertà di circolazione delle merci, ma ci si dovrà limitare all’affermazione di principio lasciando poi agli organi della Comunità di precisare di volta in volta i fattori che sono chiamati in gioco.
Capitali. Dato che tutti gli Stati partecipanti alla Comunità ammettono in via di principio la libera trasferibilità dei capitali come una meta da raggiungere, il problema si pone solo in un primo periodo.
Bisogna prevedere due fenomeni inversi ma ugualmente indesiderabili: fughe artificiose di capitali da un Paese all’altro, e mancati investimenti in taluni Paesi.
Per evitare tali fughe, è necessario che i singoli Governi eliminino ogni differenziale trattamento del capitale con altri Paesi: eccessiva tassazione sul reddito, timori di svalutazione, etc. Ma su questo punto, più che la Comunità, saranno i Governi dei singoli Paesi interessati a prendere nel campo delle loro competenze le misure atte a sollevare i timori dei proprietari dei capitali.
È necessario prevedere invece l’intervento della Comunità per evitare che tali fughe siano determinate da misure artificiosamente allettanti di un Paese per sollecitare il richiamo dei capitali degli altri Paesi.
Per il nostro Paese è da temere che la libertà di movimento dei capitali determini un impoverimento ulteriore della nostra economia. Non si puescludere, a priori, cioè che dal giorno in cui i capitali si possano muovere liberamente, il risparmio formatosi in Italia, anziché investirsi nel nostro Paese, trovi più conveniente indirizzarsi verso Paesi pifortemente industrializzati e pertanto piappetibili per i capitalisti. E ciaggraverebbe indubbiamente il problema della nostra occupazione ed industrializzazione.
Per evitare questi inconvenienti è necessaria l’applicazione dei principii generali della progressività e del coordinamento ossia giungere all’entrata in vigore di una misura di integrazione solo quando sia raggiunto un grado sufficiente di armonizzazione delle economie dei vari Paesi.
Circa la libera circolazione dei capitali si osserva che la sua definizione deve considerarsi includente la libera circolazione e il libero trasferimento delle valute.
La classificazione dei trasferimenti di capitali proposta dalla Delegazione olandese sembra insufficiente, in quanto considera unicamente la trasferibilità del risparmio creato in un Paese e destinato ad investimenti in un altro Paese; deve invece essere considerata anche la libera trasferibilità del risparmio anche se destinato ad essere consumato in un altro Paese. Da questo punto di vista la classificazione dei trasferimenti di capitali proposta dalla Delegazione olandese dovrebbe al punto 2 essere modificata come segue «Capitali delle persone fisiche o giuridiche di uno Stato impiegati o spesi negli altri cinque»; in ogni caso dovrà precisarsi che con libera circolazione dei capitali deve intendersi la possibilità di trasferimento delle valute dei turisti, delle rimesse degli emigranti e dei noli.
La libera circolazione dei capitali comporta, oltre al coordinamento delle politiche monetarie, creditizie e dei cambi dei Paesi, anche il coordinamento delle disposizioni oggi esistenti in ciascun Paese e riguardanti il trasferimento degli eventuali utili degli investimenti o degli interessi dei prestiti di capitali.
Andrà inoltre sollevata la questione se, nei riguardi dei Paesi terzi alla Comunità, i singoli Paesi possano seguire una linea di condotta autonoma o debbano invece conformarsi ad un criterio comune (come previsto sul terreno doganale a proposito degli scambi delle merci con i Paesi terzi) specie per quanto riguarda il trasferimento degli utili degli investimenti o degli interessi dei prestiti di capitali.
La Comunità dovrebbe poi essere autorizzata a prestare la sua garanzia agli investimenti o ai prestiti, sia che questi siano effettuati tra gli Stati partecipanti, sia che provengano da organismi finanziari internazionali o Stati terzi e siano diretti in favore dei Paesi della Comunità.
Circa la progressività delle misure di liberazione dei capitali, si richiama il principio generale, e cioè che, senza prevedere limiti temporali, le misure potrebbero essere adottate solo quando l’Autorità riscontri che esistono le condizioni per la loro entrata in vigore.
Persone. Per quanto riguarda la libera circolazione delle persone non si può non rilevare che l’osservazione della Delegazione francese («nelle attuali circostanze il problema dell’eccesso della manodopera non può essererisolto interamente ed in maniera soddisfacente per tutti nel quadro troppo limitato della Comunità dei Sei») risponde sostanzialmente a verità. Pertanto, prima di prendere una qualsiasi posizione definita, e pur confermando la posizione finora sostenuta dalla Delegazione italiana, dovrebbero prendersi in concreto dei contatti con le altre Delegazioni circa la possibilità di una considerazione particolare da parte della Comunità del problema della sovrappopolazione.
In tale linea dovrebbe prevedersi nello Statuto che la Comunità e i Paesi membri si impegnano a «favorire» il collocamento della sovrappopolazione europea al di fuori dei sei Paesi e sopratutto nelle Colonie dei Paesi partecipanti.
Da questo punto di vista si possono considerare una serie di proposte atte a favorire il raggiungimento di tale obiettivo: nel quadro dei rapporti dei Paesi della
Comunità con i Paesi terzi un trattamento preferenziale (doganale o altro) dovrebbe essere garantito a quelli che favoriscono concretamente il collocamento della manodopera; la Comunità si farebbe garante di eventuali finanziamenti internazionali (BIRS o altro) ad aree arretrate, specie se legate ai Paesi CPE, a condizione che nei programmi di sviluppo finanziati sia previsto l’ingresso di manodopera europea per colonizzazione agricola o per lo stabilimento di imprese industriali; favorire nell’ambito della Comunità, con l’assunzione di una parte del carico, la preparazione professionale dalla manodopera disoccupata (in tal modo si potrebbe favorirne il collocamento in altri Paesi, trattandosi non più digenerici ma di qualificati, certo maggiormente richiesti).
In sede di discussione del «principio» della libera circolazione delle persone e della possibilità del loro libero accesso alle attività economiche nella Comunità, bisognerà sollevare il problema delle disposizioni legislative in atto nei vari Paesi, disposizioni che potrebbero in pratica gravemente ostacolare la realizzazione del principio. Particolarmente importante quindi il riconoscimento e l’equiparazione delle qualifiche e delle classificazioni della manodopera, e l’equiparazione e il riconoscimento dei titoli di studio e professionali.
Si ricorda inoltre che in Italia esistono oggi delle disposizioni (per ottenere la residenza, per ottenere il libretto di lavoro, per il collocamento della manodopera) che in pratica limitano la mobilità della popolazione (esempio: non può essereassunta in un Comune o in una provincia della manodopera residente in altra località – a meno che non si tratti di specializzati – se nel Comune o nella Provincia esistono dei disoccupati). L’eventuale esistenza di analoghe disposizioni in altri Paesi sarebbe di non lieve ostacolo alla libera circolazione delle persone, specie se l’accertamento delle condizioni – esistenza di disoccupati o pericolo di torbidi sociali – avvenisse in modo unilaterale. Sarebbe quindi necessario chiedere delle garanzie e delle precisazioni su tale questione.
Servizi. Per quanto riguarda la libera circolazione dei servizi si fa rilevare che da nessuno dei documenti di lavoro risulta cosa si intende in concreto per «servizi».
Con il termine «servizi» potrebbero essere considerati: i noli e le tariffe dei trasporti in genere; alcuni servizi di interesse pubblico o collettivo (esempio: energia elettrica ed elettrodotti; acquedotti; metanodotti; etc.); le prestazioni delle persone fisiche o giuridiche; gli scambi e i servizi culturali; i servizi turistici; la pubblicità; i brevetti; l’assistenza tecnica; l’organizzazione creditizia; le assicurazioni.
Si tratta di materie del più grande interesse, che trovano oggi diversa definizione e trattamento legislativi nei sei Paesi, per cui sarà opportuno che la Delegazione italiana prenda l’iniziativa perché si raggiunga un approfondimento della materia e una piprecisa definizione del termine «servizi»(2).
103 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
103 2 Per il seguito vedi D. 105.
IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)
L. 1036(2). Lussemburgo, 6 febbraio 1954.
Caro Benvenuti,
come avrai visto dalle comunicazioni di Bombassei e mie la riunione dei Sostituti del 28 scorso(3)è stata più che altro interlocutoria, ha toccato solo problemi relativamente minori e realizzato accordi su questioni in massima di dettaglio.
A mio parere la riunione dei Sostituti del 22, 23 e 24 febbraio sarà invece assai più importante e decisiva per le sorti della Conferenza, perché, situata a mezza strada fra l’inizio e la fine dei lavori, puservire per dare un colpo di timone alla Conferenza, nel buon o nel cattivo senso (anche il fatto che si terrà dopo Berlino avrà la sua importanza). Non ti nascondo che io non sono soddisfattissimo di quanto la Conferenza ha fatto finora, ma spero che si possa ancora riuscire a sbloccarla, salvandola dagli estremismi utopistici olandesi e facendole fare qualche cosa di utile per quello che è il suo scopo precipuo, la ratifica della CED. Non sono soddisfatto perché, per quanto i problemi fondamentali (attribuzioni - nuovo esecutivo) siano stati toccati di sfuggita, è risultato chiaro che, sia da parte francese che da parte olandese, non vi sono stati mutamenti di posizioni. Temo quindi che quando si abborderanno i grossi problemi ci accorgeremo 1) di non aver realizzato alcun progresso da Villa Aldobrandini ad oggi; 2) che anche i limitati accordi finora raggiunti su formule bivalenti,sono illusori e caduchi. È chiaro che la Conferenza CPE per riuscire deve tener conto dell’involuzione che i sentimenti europeistici francesi hanno subito dalle dichiarazioni del Lussemburgo ad oggi; quanto era sperabile il 10 settembre 1952 non è pipensabile oggi. Se non sapessimo fare quello che i francesi chiamano «la part du feu», rischieremmo di peggiorare le prospettive della ratifica della CED. Allo stato attuale delle cose io riterrei impossibile: 1) che si riesca ad attribuire alla CPE delle attribuzioni economiche quali quelle volute dagli olandesi (i quali d’altra parte hanno ripetuto che, senza di esse, la CPE a loro non interessa); 2) che ci si accordi per la creazione di un nuovo vero esecutivo munito di nuovi poteri reali. Nell’assenza di nuove attribuzioni, il nuovo esecutivo sarebbe solo un fantasma, e non servirebbe che a intralciare gli esecutivi esistenti.
Per contro quello che io spero si possa ottenere è:
1) l’unificazione delle Comunità esistenti;
2) la creazione di una Assemblea elettiva (eventualmente con un Senato);
3) l’attribuzione di un carattere politico all’esecutivo europeo che allontani dalla Comunità i timori della tecnocrazia di ingegneri o di generali.
Su questo ultimo punto tu sai il mio pensiero: l’identificazione del Consiglio esecutivo europeo con il Commissariato e il graduale assorbimento – entro un termine fisso – dell’Alta Autorità.
Io crederei che sia necessario a un certo punto dirci – a sei – chiaramente queste cose, stralciare la parte viva e attuale della Conferenza, dalla parte puramente accademica e metterci alacremente al lavoro per la prima parte, mentre la seconda verrebbe mantenuta come un obbiettivo vivo ma lontano e per ora non raggiungibile.
Sul piano pratico io riterrei che il 22 febbraio occorrerebbe una riunione segreta dei capi delegazioni in cui si parlasse apertamente e si indagasse onestamente quali sono, tenuto presente il perdurare di certe posizioni, le possibilità effettive della Conferenza (per me sono quelle sopra indicate) e in che forma si potrebbe realizzare subito, con speciali protocolli o simili, quanto è necessario per fornire ossigeno alla ratifica francese della CED. Il resto rimarrebbe una meta, non dimenticata né negletta, ma una meta per cui ci vorranno forse ancora vari mesi di studio e di attesa, o forse anni(4).
Credimi devotamente.
F. Cavalletti
104 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
104 2 Trasmessa a Magistrati con L. 001038, pari data.
104 3 La riunione ebbe luogo il 28 ed il 29 gennaio; ne riferirono il giorno successivo il capo della Delegazione Lombardo (vedi D. 99) e lo stesso Cavalletti (L. a Benvenuti trasmessa anche a Magistrati), il quale così concludeva il suo resoconto: «La mia impressione generale sullo stadio attuale dei lavori della Conferenza è che essa, malgrado gli apparenti accordi (su questioni per lo più didettaglio) rimane sostanzialmente bloccata per la non diminuita distanza delle due opposte tesi. Ci si dilunga ad esempio in discussioni accademiche sulle incompatibilità, quando per le questioni di fondo (attribuzioni, responsabilità dell’esecutivo) permangono divergenze fondamentali. Si ha l’illusione di lavorare e di progredire, quando in realtà si è fermi. Forse è un pessimismo mio. Infatti Hallstein e de Staerke, con cui ho a lungo parlato, sono soddisfatti e considerano assai utili questi lavori che, essi dicono, sgombrano il terreno. Puanche darsi che siano essi ad avere ragione. Con Hallstein e de Staerke ho accennato ‒a titolo personalissimo e aggiungendo che non sei d’accordo ‒alla mia tesi: Consiglio esecutivo europeo = Commissariato e mi hanno detto di ritenere che molto probabilmente quello sarà la unica soluzione» (ibidem).
104 4 Per il seguito vedi D. 109 ed anche le considerazioni di Quaroni nel D. 112.
IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, ALLA DELEGAZIONE PRESSO LA COMMISSIONE CPE(1)
Telespr. riservato 21/0304. Roma, 8 febbraio 1954.
Oggetto: Secondo periodo di lavori dei Comitati.
Con riferimento alle recenti comunicazioni di codesta Delegazione riassumo qui di seguito, per orientamento di codesta Delegazione, alcune osservazioni circa le principali questioni che torneranno allo studio della Commissione nel corso del prossimo secondo periodo dei loro lavori:
1) Principi relativi alla legge elettorale. La formula adottata dal Comitato di Direzione per il sistema elettorale (Doc. CCP/CD/PV I, pag. 2)(2) sembra in realtà presentare seri inconvenienti. Malgrado il contrario parere del delegato olandese, presidente del Comitato per la legge elettorale, noi seguitiamo a ritenere che sia interesse comune che il Parlamento europeo – e sovratutto il primo parlamento – sia al massimo possibile composto da elementi capaci di portare un contributo positivo alla causa dell’unione europea. Da tal punto di vista un sistema elettorale che si inquadri nella formula suddetta non è certo il piopportuno. Naturalmente se la formula, quale essa oggi è, restasse soltanto una raccomandazione potremmo, al momento dell’applicazione, non tenerne conto. Ma preferiremmo evidentemente una formula che, lasciando maggiore elasticità alle singole legislazioni nazionali, ci consentisse di stabilire il nostro sistema elettorale per l’Assemblea europea – quale noi lo desideriamo al fine di cui sopra – senza presentarsi subito in contrasto con una disposizione, per quanto facoltativa, pur sempre adottata di comune accordo.
Dobbiamo anche tener presente che ci è difficile accettare una formulazione così rigida come quella proposta, per le illazioni e speculazioni che se ne potrebbero fare sul piano della nostra delicata situazione politica interna.
2) Lavori del Comitato istituzionale. La spiegazione che Hallstein ha voluto premettere – che cioè la posizione tedesca in materia istituzionale, che poteva sembrare poco sopranazionale, era dovuta al presupposto che le attribuzioni della Comunità fossero estese – appare di notevole interesse. Infatti è giocoforza riconoscere che l’andamento generale dei negoziati non sembra per ora offrire serio fondamento alla speranza che possa effettivamente conseguirsi una concreta estensione della competenza della Comunità: e se così è, le precisazioni del Capo della Delegazione tedesca potrebbero quindi consentire di riportare su basi pifavorevoli alla nostra concezione la discussione su alcuni dei problemi istituzionali sui quali la nostra impostazione europeista ci ha messo attualmente in posizione isolata rispetto alle altre delegazioni. Da tale punto di vista anche alcuni sviluppi della posizione olandese sembrano presentare aspetti pifavorevoli e per noi interessanti.
Ciò premesso esaminiamo in particolare le specifiche questioni relative ai vari organi della Comunità.
a) Camera dei Popoli. Per quanto riguarda il controllo politico della Camera sul nuovo esecutivo sovranazionale la posizione sostenuta dalla nostra Delegazione sembra del tutto conveniente. Per contro l’impostazione francese della questione non appare chiara. È noto infatti che un importante settore del Parlamento francese considera che una delle principali giustificazioni per la costituzione della CPE sta nell’opportunità di stabilire un controllo politico e democratico sulle Comunità esistenti: questo si ottiene, a noi sembra, stabilendo ed estendendo – e non attenuando – la responsabilità dell’Esecutivo di fronte alla Camera eletta a suffragio diretto. Pur rendendoci conto che, nella concezione francese, permangono almeno in un primo tempo gli Esecutivi delle Comunità esistenti, tuttavia non ci appare coerente una posizione contraria a che il nuovo Esecutivo, il quale comunque dovrà «coiffer» gli altri due, abbia una larga responsabilità di fronte alla Camera. Su tale aspetto del problema ci auguriamo che qualche utile chiarimento possa venire anche dall’incontro della Commissione con i rappresentanti parlamentari dell’Assemblea ad hoc. Per quel che concerne la durata delle sessioni è evidente che, poiché ci attendiamo dalla Camera eletta una notevole spinta europeista, vediamo con favore formule che non restringano le possibilità di lavoro della Camera stessa.
b) Camera alta. È proprio sul problema della seconda Camera che la posizione tedesca precisata in generale da Hallstein ed il precisarsi della posizione olandese sembrano consentire forse un miglior giuoco alla tesi italiana. Conviene quindi per ora mantenere sostanzialmente tale tesi. Abbiamo esaminato con interesse, al riguardo, l’idea del Ministro Cavalletti di suggerire una formula quale quella che regoloriginariamente la composizione del Consiglio d’Europa: e ci sembra che essa possa eventualmente essere convenientemente accennata qualora l’evolversi della discussione consigli ai nostri rappresentanti in seno al Comitato di compiere, per sbloccare la situazione, una «avance» di avvicinamento alla tesi franco-tedesca. Naturalmente dovrebbe mantenersi fermo il principio che il voto avvenga per testa e senza mandato imperativo.
Se in seguito comunque l’andamento del negoziato dovesse realmente consigliare una evoluzione della nostra attuale posizione, le concessioni dovrebbero almeno esser compensate o da una riduzione dei poteri della seconda Camera o da un aumento delle attribuzioni complessive della Comunità. Nel senso cioè in cui così opportunamente si è già pronunziata la Delegazione.
Quanto infine alla proposta francese di assicurare il collegamento coi parlamenti nazionali immettendo nella Camera dei popoli un certo numero di rappresentanti eletti dai parlamenti stessi anziché a suffragio diretto, essa ci appare francamente negativa ed opportunamente codesta Delegazione vi si è opposta.
c) Consiglio dei Ministri. Constatiamo che non sono stati sollevati a proposito di questo organo particolari problemi. È stata riconosciuta all’Esecutivo nei confronti del Consiglio, come era nei nostri desideri, una posizione teorica che comporta una sfera di autonomia e poteri propri. La questione più che nella attuale formula generale si verrà precisando nell’elencazione, nel testo del Trattato, dei casi in cui sarà previsto l’intervento del Consiglio: è in tale sede che la citata posizione teorica dovrà naturalmente trovare pratica applicazione.
d) Conglobamento delle Comunità esistenti. La posizione, quale si è venuta delineando finora (pag. 30 del documento CCP/CI/Doc. 20) ci sembra abbastanza soddisfacente. Per quanto riguarda l’applicazione pratica dei principi che sono alla base della nostra impostazione (vedasi telespresso ministeriale 21/0023 del 6 gennaio 1954(3)) confermiamo una certa elasticità della nostra posizione, specie per il periodo transitorio che verrà particolarmente preso in esame nella prossima sessione del Comitato. Peraltro l’idea di un conglobamento degli Esecutivi da effettuarsi attraverso l’identità personale tra i membri del nuovo organo sopranazionale e quelli del Commissariato seguita, pur dopo pimaturo esame, a lasciarci perplessi; ove quindi la Delegazione lo ritenga del caso, si gradirebbe ricevere su di essa qualche ulteriore spiegazione per quanto riguarda sia le modalità di attuazione sia i risultati che si spera possano conseguirsi.
3) Lavori del Comitato Economico. Per quanto riguarda le attribuzioni in materia economica la nostra posizione in linea generale può riassumersi come segue. Noi pensiamo che una completa integrazione economica europea attraverso il mercato comune sia uno degli obbiettivi fondamentali della politica europeista. La realizzazione di tale obbiettivo, per presuppone un effettivo coordinamento delle politiche economiche, sociali, monetarie e fiscali e delle relative legislazioni nei Paesi partecipanti: coordinamento che la Comunità deve avere il potere di realizzare. Pertanto noi riteniamo che premessa indispensabile per l’integrazione economica sia una Comunità politica dotata di poteri centrali atti ad equilibrare, con senso di giustizia e di solidarietà, la fusione dei vari fattori nazionali in un circuito pivasto in cui ogni singola unità trovi le condizioni propizie per progredire e non sia spinta verso il regresso.
Se nel Trattato per la Comunità Europea fosse possibile incorporare tali principi noi saremmo i primi ad esserne soddisfatti; e per un maggior chiarimento dello stadio al quale sono giunti attualmente i nostri studi sull’argomento si allega un appunto della Direzione Generale degli Affari Economici, Ufficio IV, n. 44/01893/0 in data 6 corrente(4).
Ma se si rilevassero, come effettivamente appare, tuttora prematuri gli sforzi che si stanno compiendo per giungere a punti di vista comuni, non vorremmo che tale situazione si ponesse oggi come imprescindibile ostacolo al raggiungimento di una nuova tappa sul cammino dell’unione europea.
Al riguardo va tenuto presente che secondo recenti impressioni comunicateci dall’Ambasciatore a l’Aia la posizione olandese, che aveva già dato indizi di minor rigidezza alla riunione dell’Aja, andrebbe effettivamente evolvendo, nel senso che gli olandesi non farebbero pidel problema economico «conditio sine qua non» per la CPE. L’atteggiamento rigido ancora recentemente mantenuto da Starkenborgh avrebbe, secondo tali impressioni, piuttosto scopi tattici per il miglioramento della posizione olandese. Se questo si rilevasse esatto, l’atmosfera del negoziato dovrebbe presentarsi più propizia al raggiungimento di conclusioni che, se pur ben lontane dall’optimum che speravamo, costituirebbero un minimo accettabile per tutti i sei paesi.
In tal caso perevidentemente non è pipossibile parlare di integrazione e di mercato comune: se il Trattato non concede alla Comunità i necessari poteri nel campo economico, esso assume, almeno per tale settore, la figura di un patto multilaterale la cui osservanza rimane affidata ai rapporti fra le parti contraenti. La nostra posizione dovrà essere estremamente guardinga e gli impegni che deriverebbero dal Trattato dovranno caso per caso formare oggetto del piattento esame.
Pur tenendo presente le reali situazioni di fatto quali si presentano nelle attuali conversazioni, noi riteniamo che una discussione ed una elaborazione dell’ipotesi «massima» presenti notevole interesse ed utilità dal punto di vista dell’avvicinamento delle varie posizioni di principio in attesa di condizioni positive pifavorevoli che possano permetterne la realizzazione.
Di conseguenza appare opportuno che codesta Delegazione – assumendo un atteggiamento inverso nelle premesse, ma analogo nella sostanza, a quello francese – dia, sulla scorta del citato appunto del 6 febbraio, il suo contributo allo studio dell’ipotesi massima, ma tenga presente e favorisca le possibilità di conclusioni pratiche che si presentassero attraverso l’ipotesi minima.
105 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
105 2 «Chaque loi nationale pour l’election à la Chambre des Peuples devrait comporter un système électoral propre à assurer une représentation proportionnelle aux différents courants d’opinion ayant une certain importance».
150 3 Vedi D. 75.
150 4 Vedi D. 103.
L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. 636/338(2). Londra, 9 febbraio 1954.
Oggetto: Gran Bretagna, Francia e CED.
In questi giorni si sono qui rinnovati contatti col Foreign Office, ad alto e a medio livello, per sondarne ancora gli umori nei riguardi della CED e della ratifica da parte del Parlamento francese.
L’atteggiamento britannico è rimasto immutato, anzi in un certo senso si è preci
sato e irrigidito.Qui non si ha notizia di alcun concreto progetto o proposta di modifica
del trattato CED, per renderlo accettabile al Parlamento francese. Non si ignora che molte discussioni e molti suggerimenti si agitano a Parigi, ma si ritiene trattarsi più dispeculazioni che di progetti seri. Si tende d’altra parte a ritenere che il peggior momento nei riguardi della ratifica sia probabilmente passato, e che ora le probabilità di ottenerla siano piuttosto aumentate che diminuite. In ogni caso, ci si dichiara ben decisi a non partecipare in alcun modo ad iniziative che potrebbero indebolire il trattato CED e comprometterne la ratifica da parte di altri paesi, senza la sicurezza effettiva di favorire la ratifica francese.
Quanto alla possibilità di modifiche si è scettici, comprendendo quanto sia difficile suggerire alterazioni al Trattato che soddisfino un gruppo senza dispiacere l’altro; o soddisfino la Francia senza insospettire o irritare i tedeschi. In ogni caso, più che mai non si è disposti a prendere iniziative né a concorrervi: si è disposti solo a considerare obiettivamente qualsiasi mossa chiara ed ufficiale, che provenga da autorità responsabili e sia accompagnata dall’appoggio parlamentare. Tutto sommato poi, si pensa che nuove iniziative difficilmente raggiungerebbero il loro scopo, e che quindi la miglior soluzione rimane ancora di varare la CED quale è, senza imbarcarsi in progetti nuovi o modificati, implicanti picomplicazioni che agevolazioni.
Per ciò che riguarda in particolare una qualche forma di associazione britannica alla CED, qui si rimane estremamente scettici: non si esclude di poter studiare all’ultimo momento qualche ulteriore garanzia, quando si sia ben sicuri che questa determinerebbe veramente il voto favorevole del Parlamento francese; ma si considera cicon grande cautela e con nessuna intenzione, né di entrare veramente nel trattato a sei, né di fornire ai francesi una nuova scappatoia.
Questo atteggiamento britannico appare serio e fermo; e naturalmente mi pare debba tenersene conto nella valutazione dei suggerimenti francesi e nell’accoglienza da dare loro.
Rimane sempre vero che una CED anche attenuata è meglio di nessuna CED, e che di conseguenza, quando si sia veramente sicuri della ratifica da parte del Parlamento francese, varrebbe la pena di considerarla simpaticamente e con comprensione per compiere un primo passo, limitato ma importante: e ciò senza pregiudiziali aprioristiche, e magari sacrificando esigenze logiche e rispettabili ideali federalistici.
Quanto all’Italia sembra valida la considerazione che non sia consigliabile prendere iniziative, per le stesse ragioni per le quali lo si esclude da parte britannica. Non abbiamo infatti alcuna ragionevole certezza che le idee e la buona volontà di un uomo, di un partito o di un gruppo trovino effettivamente riscontro nell’azione finale del Governo e del Parlamento francese. Occorre, quindi, cautamente evitare tutto ciò che offra ai francesi una comoda via di uscita, come, d’altra parte, bisogna ragionevolmente appoggiare ogni compromesso che, da loro suggerito, appaia veramente suscettibile di essere accettato da tutti i sei paesi della piccola Europa(3).
Conviene anche considerare l’atteggiamento italiano nei riguardi della ratifica. Prescindendo dalle necessità parlamentari e di politica interna, e guardando la questione unicamente dal punto di vista esterno, rimane aperta la questione se convenga ritardare la ratifica in attesa che si chiariscano meglio le posizioni nei riguardi di Trieste. Certamente si potrebbe dire che, o i francesi non ratificheranno, e quindi la CED fallirà e l’arma del ritardo della ratifica rimarrà spuntata;
o i francesi ratificheranno, e in questo caso gli americani potrebbero molto ragionevolmente procedere al riarmo della Germania e alla attuazione della CED, lasciando la porta aperta o semiaperta per l’Italia, senza curarsi troppo della sua immediata adesione.
Bisogna però tenere conto di due elementi: il primo che se la Francia ha difficoltà a ratificare la CED, ancor più difficilmente potrebbe indursi a dare corso ad un sistema a cinque anziché a sei: e gli americani non potrebbero facilmente ignorare una tale logica riluttanza.
In secondo luogo, e sopratutto, una preventiva ratifica dell’Italia avrebbe scarsa influenza come mezzo di pressione sul Parlamento francese, e potrebbe anche produrre l’effetto contrario. D’altra parte una volta che tutti i paesi avessero ratificato, esclusa la Francia, questa verrebbe a trovarsi in situazione di forza per mettere le sue condizioni e proporre modifiche. Viceversa, dovendo mettere condizioni o proporre modifiche prima della ratifica italiana, il Parlamento francese potrebbe forse essere più facilmente indotto a ispirarsi a criteri di moderazione.
Tutto sommato, l’atteggiamento britannico appare tale da lasciare ai francesi di decidersi nei termini attuali del trattato. Nei riguardi dell’Italia nessuna pressione viene esercitata, forse perché si ritiene che la nostra ratifica non potrebbe mancare dopo quella francese: il che lascia a noi un margine, sia pure limitato, di manovra, sostanzialmente giustificato dai legami che la CED ci imporrebbe nei riguardi di ulteriori ricatti jugoslavi(4).
106 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
106 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.
106 3 Annotazione di Zoppi a margine del paragrafo: «è appunto la linea del ministero».
106 4 Lombardo espresse dure critiche riguardo alle considerazioni contenute in questo rapporto nella lettera che indirizza Magistrati il 20 febbraio (vedi D. 120).
[IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI,] ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)
L. riservata 20/0353. Roma, 12 febbraio 1954.
Caro Ambasciatore,
nel riferirmi alla tua del 4 n. 0176(2) diretta all’amico Vittorio e nel ringraziarti per quella n. 0163 del 2 u.s.(3), desidero attirare la tua attenzione sul fatto che il nuovo Governo Scelba ha ritenuto opportuno fare espressa menzione della «legge sulla CED» nella sua prima riunione di Consiglio, avvenuta ieri, per la nomina dei Sottosegretari di Stato. È stata una presa di posizione destinata, evidentemente, a porre in rilievo come, in tema di quadripartito, il problema stesso non possa non essere in primo piano, in considerazione anche di quelle prese di posizione da parte dei differenti partiti alle quali ho accennato nella mia lettera precedente.
In tali condizioni stiamo ora preparando la relazione destinata ad accompagnare, in sede parlamentare, quel progetto di legge. Ciò non di meno ho la sensazione che la cosa non dovrebbe essere imminente e che il nuovo Governo – una volta naturalmente ottenuta la fiducia – penserebbe, prima di addentrarsi in una lotta parlamentare sull’argomento, attendere tanto i risultati definitivi della Conferenza di Berlino, quanto le loro ripercussioni negli altri Paesi e particolarmente in quello dove tu risiedi.
Gli olandesi hanno, frattanto, provveduto a far firmare dalla loro Regina la legge già ratificata dalle loro due Camere in modo che lo strumento è ora perfetto nei Paesi Bassi: ciforse anche per evitare eventuali nuove modifiche formali da parte di altri Paesi.
Inutile dire che abbiamo preso conoscenza con attenzione, anche se non con sorpresa, delle rinnovate dichiarazioni anti-cediste di Moch.
Sono stato a Milano per due giorni per una prolusione in sede ISPI ai corsi NATO colà predisposti e naturalmente abbiamo molto parlato di te con gli amici Pirelli e Bassani. Nella capitale lombarda ti sei fatta una posizione di ferro e tutti colà mi sembrano attendere una tua nuova visita.
Qui abbiamo aumentato, come conosci, il numero dei nostri Sottosegretari con l’entrata, sotto il tetto di Palazzo Chigi, dell’On. Badini Confalonieri, che tutti dicono degna e corretta persona. Naturalmente, non molto facile sarà la suddivisione dei compiti e delle responsabilità e ci auguriamo – tanto per usare una frase NATO – che si tratti di utili infrastrutture e non già di soprastrutture.
Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
107 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.
107 2 Vedi D. 102.
107 3 Vedi D. 100.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. riservato 0205/149(2). Parigi, 12 febbraio 1954.
Oggetto: Esercito europeo.
A seguito di miei precedenti «sondaggi»(3), puforse interessare V.E. sapere cosa dell’Esercito europeo ne pensi Pinay, il quale in Parlamento, ha ancora, pur essendo in fase discendente, un certo peso.
Pinay è generalmente pessimista: pensa che, oggi, se si arrivasse al voto, si avrebbe una maggioranza di almeno 20 voti contro: un’azione serrata di Governo – che non c’è – potrebbe far sperare di arrivare in 5 o 6 voti di maggioranza: un margine così ristretto è sempre pericoloso.
La situazione potrebbe essere cambiata se ci fosse:
1) la garanzia americana – non è ammissibile che la Francia si impegni con la CED per 50 anni, mentre il Patto Atlantico, a cui essa è legata, non ha che poco più diquindici anni di vita legale. Non è ottimista al riguardo: nel corso della sua visita in America gli è stato detto molto definitivamente che non c’è da pensarci, almeno fino a dopo le prossime elezioni per il Congresso;
2) una partecipazione, anche solo simbolica, inglese: basterebbe, secondo lui, che gli Inglesi consentissero a che anche una sola divisione inglese facesse parte della CED. Mi ha detto di averne parlato durante il suo ultimo prolungato soggiorno a Londra e di avere avuta una negativa assoluta; gli Inglesi, secondo lui, sono preoccupati dell’attrazione americana su alcuni Dominions e sono sicuri che, legandosi la Madre Patria, anche solo simbolicamente, alla CED, questo potrebbe accelerare il movimento centrifugo dei Dominions;
3) una revisione del Trattato: e, su questo punto, nel suo complesso le sue idee non sono molto lontane da quelle di Guy Mollet: la differenza è che egli non conta molto sul controllo democratico da parte dell’Assemblea; vorrebbe invece che il controllo fosse, e forte, da parte del Consiglio dei Ministri, di fatto il Consiglio dei Presidenti del Consiglio. Ma anche su questo argomento è pessimista perché ritiene che se si modifica qualche cosa, si rimette in discussione tutto, ed in questo caso è molto difficile che la Germania riaccetti le discriminazioni che ha già accettato una volta.
Il pessimismo di Pinay è, in certa misura, personale. Egli dice in sostanza che la CED potrebbe passare, sia pure ad una piccolissima maggioranza, se il Governo fosse violentemente a favore: il che vuol dire in altre parole che potrebbe passare se fosse Presidente del Consiglio lui. Cosa che non mi sembra molto probabile. Pinay in questi ultimi mesi ha viaggiato intensamente all’estero ed ha parlato molto all’estero: la sua popolarità fuori di Francia è considerevolmente aumentata. Ma non ha tenuto conto, secondo me, che egli era popolare, e molto, in Francia appunto perché era un francese medio sconosciuto a tutti in Patria, ma sopratutto all’estero. Diventando popolare all’estero, sta raggiungendo la schiera degli altri uomini politici francesi molto popolari all’estero e che, appunto per questo, i Francesi non possono soffrire: sembra questa una legge ferrea della democrazia francese di cui è molto pericoloso non tener conto.
Detto questo, aggiungo subito che non sono molto piottimista di Pinay: nel senso almeno che delle chances, secondo me, ci sarebbero, e diverse: ma alla battaglia manca il direttore d’orchestra: si va avanti per sforzi scombinati ed in parte contraddittori, e con non molta voglia di affrontare un dibattito che sarà certamente difficile, incerto e con ripercussioni a lunga scadenza sui principali attori. Qui pochi si dimenticano la sorte politica di Robert Schuman che ha fatto ratificare la CECA sì, ma ci ha perduto il posto. La passione europea dei principali leaders francesi non arriva fino a queste forme di martirio.
Come correnti generali degli umori parlamentari, mi sembra che esse vadano piuttosto spostandosi dalla linea «revisione del Trattato» alla linea dei «fattori esterni»: ossia, garanzia americana e partecipazione inglese. Sono quasi tutti d’accordo nel dire che, così come è, la CED non passerà al Parlamento francese, che ci vuole un fatto nuovo: ora, mentre il fatto nuovo, qualche tempo addietro, sembrava vedersi in una revisione del Trattato, ora, ogni giorno più si può dire, si tende a cercarlo nel fattore esterno.
È sincero questo, od è una manovra?
Vorrei distinguere. Credo che sia sincero nel rank and file dei parlamentari; gli argomenti tecnico-patriottici contrari, per la loro sottigliezza e per la loro contraddizione, di fronte al dibattito hanno perduto un po’ del loro peso: l’atteggiamento contrario dei comunisti, come ho detto, fa esitare qualcuno: invece gli argomenti «esterni» sono facili a comprendere, evidenti, e, bisogna anche riconoscere, non mancano di una certa logica.
Meno sicuro sono della sincerità dei maneggiatori del movimento contrario, anche di quelli che non lavorano di concerto con i comunisti. Non mi sentirei di giurare che essi non puntino su queste condizioni nella certezza che non verranno realizzate. Colla mentalità avvocatesca dei francesi, essi pensano forse che si possano evitare le conseguenze politiche di un no o di un rinvio negativo, facendone cadere la responsabilità su degli altri. Mi induce a pensare questo un ragionamento, vero e capzioso allo stesso tempo, che si comincia a fare da qualche tempo a questa parte.
L’idea della CED non è francese, ma inglese, anzi proprio personale di Churchill. È lui che l’ha tirata fuori a Strasburgo, fra gli applausi generali: quando fu posta la questione del riarmo tedesco, il Governo francese ha fatta sua l’idea di Churchill, ma contando sull’adozione inglese: il primo colpo le fu dato dall’atteggiamento di Shinwell, ma allora si poteva sperare in un cambiamento dei conservatori: il colpo finale le è stato dato dal tradimento di Churchill. Se la CED fallisce, non è colpa dei francesi, ma degli inglesi.
Un punto su cui tutti sembrano d’accordo è che ogni progresso della Comunità Politica Europea ostacolerebbe ancor più l’accettazione della CED.
Comunque, situazione sempre fluida ed incerta.
108 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.
108 2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.
108 3 Vedi DD. 90 e 102.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI(1)
L. 20/350. Roma, 13 febbraio 1954.
Caro Franz,
le tue lettere contenenti le tue osservazioni e commenti alle conversazioni CPE di Parigi, giungono regolarmente(2)e, grazie ad esse, abbiamo potuto avere un quadro completo della situazione. Questa – e qui concordo pienamente con te – non mi sembra molto chiara ed appare confermare come, tutto sommato, non si registri alcun mutamento sostanziale di posizioni. Proprio nei riguardi della tua diretta, in data 6 febbraio, a S.E. Benvenuti, concordo anche come appaia opportuno, e anzi necessario, «stralciare» la parte viva della Conferenza da quella che tu definisci «puramente accademica». Credo che, con ogni probabilità, lo stesso Benvenuti, che, per nostra buona fortuna, rimane al suo posto a Palazzo Chigi, si recherà a Parigi il 22 per prendere attiva parte alle discussioni che colà si svolgeranno nella riunione dei Sostituti. Certamente una riunione diretta e segreta dei Capi di Delegazioni servirebbe non poco a mettere una qualche luce sullo sfondo nebuloso nel quale i recenti incontri appaiono essersi svolti.
Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
109 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
109 2 Vedi DD. 81, 88 e 104.
IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SOTTOGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)
L. 1194(2). Lussemburgo, 13 febbraio 1954.
Caro Benvenuti,
Cleveland che, come tu sai, segue da tempo per incarico del Governo americano i lavori della CPE è venuto a vedermi per chiedermi le mie idee sulla Conferenza in corso e farmi sapere le sue.
Non ho creduto di fare misteri con Cleveland e, a titolo personale, gli ho detto quanto ti ho scritto nella mia lettera del 6 corrente(3)e cioè che ritenevo che gli attuali lavori non erano soddisfacenti e che occorrerebbe uno sforzo per sbloccare la Conferenza, prima che sia troppo tardi. Cleveland mi ha detto di essere convinto della sterilità dell’andamento dei lavori. La Conferenza è effettivamente in un’impasse, dovuta sopratutto all’atteggiamento francese. La delegazione francese svolge la politica del Quai d’Orsay. Il Quai, dice Cleveland, contrario alla CPE e riluttante alla CED, cercherebbe di far passare la CED con voti gollisti e non con quelli socialisti (anche per impedire il ritorno di questi al potere) e manovra per ridurre, attraverso i meccanismi della CPE, il carattere sopranazionale delle Comunità già esistenti.
Egli dubita perdella convenienza di fare uno sforzo per indirizzare la Conferenza verso obbiettivi pimodesti, ma realizzabili, come io suggerivo, e ciper le seguenti ragioni: anzitutto egli crede che vi sarebbero grandi difficoltà sia per l’opposizione degli olandesi (la posizione che Beyen aveva assunto all’Aja è stata oramai completamente superata), sia perché i francesi vogliono impedire qualsiasi risultato positivo sia pure minimo. Anche se poi tale cambiamento di rotta fosse possibile, è incerto se esso gioverebbe a quello che ne è l’obbiettivo principale: la ratifica della CED. Infatti la realizzazione parziale degli obbiettivi della CPE allarmerebbe a Palazzo Borbone il settore degli indipendenti scarsamente europeisti e ancora incerti, mentre forse non basterebbe a facilitare la decisione dei socialisti.
In realtà non si conosce esattamente di che cosa abbia bisogno Guy Mollet, nel campo della CPE, per ottenere la maggioranza del suo partito in favore della CED nel Congresso che precederà alla ratifica. Se da parte socialista si dovessero formulare richieste precise, allora, e allora soltanto, varrebbe la pena di forzare la Conferenza a concludere su qualche specifico e parziale risultato.
Per queste ragioni Cleveland ritiene che sarebbe preferibile seguitare a mandare avanti lentamente la Conferenza della CPE con lavori più che altro accademici, fino alla ratifica della CED, dopo di che gli sviluppi europeistici non potrebbero pimancare.
In altre parole la maniera di vedere di Cleveland e mia differiscono sopratutto in questo: che mentre io riterrei che il tentativo di sblocco della Conferenza sia necessario e urgente, gli americani lo subordinerebbero allo sviluppo della azione parlamentare francese e in particolare all’atteggiamento dei socialisti.
Ho creduto mio dovere, dopo averti esposto il mio pensiero nella precedente lettera, di metterti al corrente della non identica maniera di vedere americana, affinché tu, in vista del prossimo Comitato di direzione, abbia ampi elementi di giudizio.
Il ragionamento americano ha vari aspetti giusti (ad esempio: timore che la CPE possa indebolire il fianco destro della CED, enigma delle esigenze socialiste ecc.) tuttavia ha anche, a mio parere, una pecca fondamentale. Non vedo infatti come la Conferenza CPE, senza mutare per tempo l’andazzo attuale dei lavori, potrebbe riuscire a realizzare rapiù die concreti accordi, quando Guy Mollet si fosse finalmente deciso a farci conoscere i desideri suoi e dei suoi amici.
A mio parere solo se la Conferenza cominciasse senza ulteriori ritardi a avviarsi verso mete proporzionate alle attuali circostanze e pertanto realizzabili, si farebbe opera utile, non solo per la causa della integrazione europea ma appunto specificamente, per la causa della CED.
Ti prego di credermi devotamente tuo
F. Cavalletti
110 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
110 2 Trasmessa a Magistrati con L. 1195, pari data.
110 3 Vedi D. 104.
IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)
L. riservata 0372. Roma, 15 febbraio 1954.
Caro Ambasciatore,
faccio seguito alle mie precedenti, con particolare riguardo alla tua n. 0176 del 4 febbraio(2). Il sottosegretario Benvenuti prenderà parte personalmente, con ogni probabilità, alla prossima riunione dei Sostituti per la CPE che avrà luogo costà, come conosci, tra il 22 ed il 25 p.v.(3). Egli ti metterà al corrente, in dettaglio, di tutto il nostro orientamento e non mancherà di trattenerti in merito alla tua interessante conversazione con Guy Mollet.
Per intanto posso dirti che la tua lettera ha confermato pienamente quanto, da più sintomi, presentivamo essere l’atteggiamento dei socialisti francesi a tendenza fi-lo-CED. Naturalmente il punto delicato sta proprio nel vedere come, giuridicamente e contrattualmente, sia possibile addivenire alla auspicata creazione della «Autorità Politica» senza compiere una vera e propria rivoluzione nel Trattato CED da alcuni Paesi già ratificato (a questo proposito ho già attirato la tua attenzione sull’atteggiamento olandese).
Sempre sull’argomento aggiungo che ieri sera in una lunga e sviluppata conversazione con il Presidente Scelba (che mi sembra avere parecchie idee in tema di politica estera) ho tratto l’impressione che, mano a mano che la posizione del Governo va, come sembra, un poco solidificandosi, egli si mostri piconvinto della necessità di presentare il Trattato CED al nostro Parlamento, prima della ratifica francese. Stiamo ora provvedendo alla compilazione della nuova relazione di accompagnamento alla legge.
Naturalmente, se ciò dovrà avvenire, avremo, a giudicare dalla stessa dichiarazione di guerra di Nenni nel suo ultimo discorso dominicale, battaglia molto grossa. Ma il Presidente Scelba mi sembra persona dalle spalle piuttosto resistenti e, penso, buon manovratore.
Aggiungo infine – sempre nei riguardi di Guy Mollet –, che l’intervista da lui concessa al Giornale d’Italia in data 6 febbraio, è qui apparsa, nel complesso «buona e spiritosa».
Credimi sempre
[Massimo Magistrati]
111 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.
111 2 Vedi D. 102.
111 3 Vedi D. 127.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
T. segreto 1652/183-184. Parigi, 16 febbraio 1954, ore 22,56 (perv. ore 23,50).
Circa le prospettive dei lavori della CPE condivido pienamente quanto dice Cavalletti nella sua lettera a S.E. Benvenuti del 6 corrente(2), alla quale mi riferisco. Non è concepibile, allo stato attuale delle cose e per molto e molto tempo, che i francesi accettino di attribuire alla CPE funzioni economiche. Resta il fatto, indipendentemente dalle ripercussioni negative che qualsiasi tentativo di insistere su questo punto può avere sulla ratifica della CED, che nel Parlamento francese non c’è non dico una maggioranza, ma nemmeno una minoranza per un sia pur modesto inizio di comunità economica.
Gli amici europeisti francesi, che vorrebbero spingere noi ed altri ad insistere su questo punto, farebbero bene ad esercitare la loro propaganda e le loro pressioni piuttosto che su di noi, sull’opinione pubblica e sul parlamento francese.
Realmente il massimo immaginabile è quello che Cavalletti dice di sperare di poter ottenere.
Per parte mia se per l’Assemblea Elettiva si intende un’Assemblea eletta per suffragio universale diretto, faccio anche su questa molte riserve: qui, in Parlamento e fuori, questa idea incontra ostilità che ritengo difficilmente superabili. Una soluzione potrebbe forse essere trovata nel lasciare ogni Stato libero di decidere circa il modo dell’elezione dei suoi rappresentanti all’Assemblea.
Anche io ritengo ormai necessario uscire dalla finzione di un accordo che non esiste e di un processo di lavori che in realtà non procedono in avanti ma all’indietro: si rischia di coprire di ridicolo la Conferenza ed i suoi partecipanti, temo, a parte le reazioni anti CED che questo puprodurre nel Parlamento francese. Ritengo sia venuto il momento di parlarci chiaro, almeno fra noi sei, e di vedere cosa sia utile fare, cosa si possa effettivamente fare e cercare di sollecitare la concretizzazione di quanto possibile. Il miglior mezzo per riuscirci mi sembra sia una riunione segreta dei Capi Delegazione, destinata ad uscire dalla nebbia e dalle illusioni e credo che l’iniziativa di questo richiamo alla realtà potrebbe essere presa utilmente da noi. Secondo me dovremmo, senza polemiche e senza recriminazioni inutili, prendere atto che il Parlamento francese non è disposto a seguire le iniziative europeistiche che hanno voluto assumere alcuni uomini politici francesi bene ispirati ma altrettanto fuori di una reale influenza e dovremmo chiedere ai francesi di farci sapere che cosa, in maniera da servire alla ratifica della CED, potrebbe essere realizzato subito.
In altre parole è necessario mettere la questione sul terreno politico e su tale piano decidere una risposta. Non si tratta infatti di manovre del Quai d’Orsay o di atteggiamenti di singoli funzionari, ma di tutta una situazione parlamentare che sarebbe assurdo continuare ad ignorare.
Al punto in cui è giunta, la questione della ratifica della CED è questione che minaccia seriamente lo sviluppo e la stessa esistenza del Patto Atlantico che non è soltanto elemento essenziale della nostra politica, ma anche condizione della nostra sopravvivenza. A questa crisi siamo arrivati per molte ragioni, non ultima quella che la ricerca dell’ideale ci ha fatto perdere di vista quello che non era possibile: questa esperienza triste ci deve servire anche per quanto riguarda la CPE.
Che la Francia non sia disposta a seguirci se non in misura estremamente modesta, sono il primo a deplorarlo: non potendosi perpurtroppo fare a meno della Francia, bisogna che ci contentiamo di fare quello che la Francia stessa è disposta a fare.
D’altra parte ritengo che un passo avanti, anche se modestissimo, sia meglio che niente. Bisognerà pregare gli europeisti francesi, per lo sviluppo avvenire, di occuparsi pie piseriamente di lavorare la loro opinione pubblica e parlamentare e di fare meno progetti.
112 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
112 2 Vedi D. 104.
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI CORRIAS(1)
Appunto 44/02422/c.(2). Roma, 16 febbraio 1954.
CPE. RAPPORTI DELLA COMUNITÀ CON I PAESI TERZI
1) La posizione italiana è in generale favorevole ad ogni misura che consenta uno sviluppo del commercio internazionale. Pertanto, nel quadro dei rapporti della Comunità con i Paesi terzi, l’Italia è favorevole a che si stabilisca in breve tempo una tariffa doganale comune per quanto riguarda le materie prime e a che tale tariffa sia la pibassa possibile. Per quanto attiene ai semilavorati e ai prodotti finiti un sistema comune di dogane e di scambi con gli Stati terzi dovrà essere istituito progressivamente (senza scadenze fisse, con procedura analoga a quella indicata nell’Appunto n. 44/01893/c.)(3), tenendo conto dell’avanzamento raggiunto dalla politica di integrazione economica fra i sei Paesi, e nella misura in cui si otterranno dagli altri Paesi adeguate contropartite.
Norme comuni circa la regolamentazione degli scambi commerciali della Comunità con i Paesi terzi dovrebbero nel pibreve tempo essere concordate tra i sei e contrattate poi con gli altri Paesi; misure restrittive dovrebbero perpoter sussistere od essere ripristinate – di comune accordo tra i Paesi della Comunità – quando si verificassero per un Paese condizioni «analoghe» a quelle indicate negli Articoli XI, XII, XIII, XIV, XV e XX del GATT.
2) Dovrebbe essere sollevato il problema delle colonie o dei territori non europei che fanno parte degli Stati membri, o di cui questi assicurano l’amministrazione o le relazioni internazionali, nel senso di chiarire che in linea di principio tali territori dovrebbero essere considerati o come facenti parte della Comunità o come Paesi terzi alla Comunità stessa.
Non sarebbe peraltro realistico porre rigidamente in sede di trattative tale principio, dati i legami politici, finanziari e valutari di fatto esistenti tra madrepatria e dipendenze, legami che si traducono nella non autonomia di tali zone, specie per quanto riguarda la bilancia dei pagamenti, che non consente di fatto una soluzione generale e indiscriminata.
Si tratta pertanto di riconoscere alla Comunità il potere di prendere, d’accordo con il Paese interessato, la iniziativa della regolamentazione della posizione delle singole colonie o dei singoli territori dipendenti, in vista di arrivare ad una soluzione che corrisponda in modo differenziato alle concrete situazioni economiche dei territori dipendenti e che sia conforme allo spirito del «mercato comune» fra i sei Paesi.
3) L’Art. XXIV del GATT pone dei limiti molto rigidi, di tempo e di modalità, alla formazione di «Unioni Doganali» o di accordi miranti ad esse; anche il progetto olandese prevede per l’unione doganale dei limiti di tempo. Queste posizioni contrastano pertanto con la linea di «progressività legata al coordinamento» seguita dal Governo italiano circa le attribuzioni economiche della CPE. Per sfuggire alla regolamentazione prevista dall’ Art. XXIV del GATT sembra opportuno sostenere la tesi che il concetto di «mercato comune» della CPE non possa farsi coincidere né con la formula giuridica della «Unione Doganale» né con quella della «zona di libero scambio»; esso supera le definizioni, in quanto prevede un coordinamento delle politiche ed una armonizzazione delle legislazioni che quelle non richiedono, e non si limita alle merci, ma si estende ai capitali, alle persone ed ai servizi, e crea non solo una «zona doganale» unica ma una unità politica, con autorità supernazionale.
Pertanto contatti con le Parti Contraenti del GATT andrebbero presi solo ad uno stadio avanzato di formazione del «mercato comune».
113 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
113 2 Trasmesso da Favretti alla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale con Appunto 44/02455/310 del 17 febbraio, informando che: «data l’urgenza di far pervenire le istruzioni alla nostra Delegazione in Parigi dovendosi oggi stesso discutere la materia in questione, l’appunto è stato sottoposto direttamente al Sottosegretario Benvenuti che lo ha approvato e telefonicamente comunicato al Dottor Prunas».
113 3 Vedi D. 103.
LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)
Appunto 20/0380. [Roma, 17 febbraio 1954](2).
ORIGINE E SVILUPPI DEL PROGETTO DEL TRATTATO PER L’ISTITUZIONE DELLA COMUNITÀ POLITICA EUROPEA
1. Fin dall’inizio del processo di integrazione tra i sei Paesi dell’Europa Occidentale il Governo italiano non mancdi sottolineare che la sua adesione alle Comunità «parziali» (Carbosiderurgica e difensiva) veniva data sovratutto in vista di un piampio obiettivo: nella sua concezione, tali Comunità rappresentarono infatti, fin da quando i relativi accordi furono per la prima volta proposti da parte francese, due tappe fondamentali sul cammino che deve portare a quella pigenerale Comunità Politica che costituisce la meta finale del processo. Si ritenne cioè che, attraverso il raggiungimento di accordi nei due importantissimi settori della carbosiderurgica e della difesa, si realizzassero condizioni particolarmente favorevoli per affrontare il problema della Comunità Politica.
Partendo da tali premesse il Governo italiano richiese ed ottenne che nel Trattato costitutivo della Comunità di Difesa fossero incluse le disposizioni dell’art. 38; con esso si fissavano, pur con la necessaria elasticità di formule, le linee direttive di un processo verso la ulteriore «struttura federale e confederale». Alla futura Assemblea della Comunità veniva demandato lo studio di tale processo, e ad una successiva Conferenza intergovernativa le decisioni al riguardo.
2. Con la firma degli accordi per la istituzione della CED (27 maggio 1952) e l’entrata in funzione della Comunità carbosiderurgica (luglio dello stesso anno) si crenei sei Paesi un clima particolarmente favorevole al processo integrativo della cosidetta «piccola Europa» (risoluzione n. 14 dell’Assemblea del Consiglio d’Europa). Tali condizioni suggerirono di non attendere l’entrata in vigore del Trattato CED per dare seguito ai principi ed allo spirito dell’art. 38.
Su iniziativa franco-italiana si giunse in tal modo alla risoluzione di Lussemburgo (10 settembre 1952) approvata dai sei Ministri degli Esteri riuniti in quella Capitale in occasione dell’insediamento del Consiglio dei Ministri CECA.
Con tale risoluzione venne deciso, anticipando i tempi di attuazione dell’art. 38, di affidare all’Assemblea della CECA, opportunamente integrata fino a raggiungere il livello previsto dal Trattato della CED, il compito di predisporre entro sei mesi un progetto di Trattato istitutivo di una Comunità Politica Europea.
3.L’Assemblea assunse il nome di Assemblea ad hoc. Spaak ne fu il Presidente. Una mole notevolissima di lavoro fu svolta in seno alle Commissioni appositamente costituite per studiare i vari aspetti della questione. Sovratutto un gruppo direttivo (di cui facevano parte l’On. Benvenuti per l’Italia, l’On. Teitgen per la Francia, gli On. Von Brentano e Von Merkatz per la Germania, l’On. Wigny e Dehousse per il Belgio e gli On. Blaissé e Coss Van Naters per i Paesi Bassi) impresse la propria impronta a tale lavoro.
Nel prescritto termine di sei mesi l’Assemblea ad hoc fu in grado di presentare ai sei Ministri degli Esteri riuniti a Strasburgo il 9 marzo 1953 un progetto di Trattato per la Comunità Europea.
4. La fase successiva prevista per il processo integrativo europeo era l’esame del problema in sede intergovernativa.
Gli sviluppi della situazione internazionale e delle situazioni politiche e parlamentari in alcuni Paesi, sovratutto la Francia e l’Italia, avevano frattanto introdotto nuovi, differenti elementi: essi si sono tradotti in sostanza in un rallentamento del processo integrativo dell’Europa a sei, il cui piapparente sintomo è il ritardo nella ratifica degli accordi CED da parte di taluni dei sei contraenti. In tale atmosfera, le riunioni dei sei Ministri degli Affari Esteri tenutesi a Parigi nel maggio e giugno scorso ed a Baden Baden nell’agosto(3), pur raggiungendo opportunamente lo scopo di mantenere viva la questione, non hanno sostanzialmente apportato che un contributo minore alla realizzazione della Comunità Europea. Esse mostrarono anzi alcune impostazioni divergenti su fondamentali aspetti del problema tra i vari Governi; sopratutto si manifestnel corso di esse una posizione francese estremamente riservata e limitativa nei confronti di ogni sostanziale progresso sul cammino dell’integrazione sopranazionale.
Per passare ad uno studio piconcreto del problema ed avviare il negoziato ad un avvicinamento delle rispettive posizioni si riunì a Roma (Villa Aldobrandini), tra il 22 settembre ed il 9 ottobre, una Conferenza dei Sostituti dei Ministri degli Affari Esteri della Comunità(4). I lavori si conclusero con la redazione di un Rapporto. Tale documento in sostanza precisava un limitato numero di punti sui quali era stata raggiunta una intesa e chiariva le posizioni delle singole delegazioni nazionali nei riguardi dei principali problemi su cui l’accordo non era stato ancora raggiunto.
5. Il Rapporto venne approvato dai sei Ministri della Comunità durante la Conferenza dell’Aja (novembre 1953)(5), che decise di demandare la prosecuzione dei lavori ad una Speciale Commissione cui venne inoltre data facoltà di iniziare eventualmente la redazione dei primi articoli da includere nel futuro trattato.
La predetta Commissione (cui partecipa, accanto alle Delegazioni degli altri cinque Paesi, una Delegazione italiana presieduta dall’On. Benvenuti) ha iniziato i suoi lavori il 7 gennaio scorso(6)a Parigi. Essa si è articolata in due Comitati principali, quello Economico e quello Istituzionale. Quest’ultimo è affiancato da un Sottocomitato incaricato di studiare i principi della legge elettorale per la Comunità, nonché da un Sottocomitato per lo studio della Corte di Giustizia.
I lavori della Commissione continueranno fino al 15 marzo. Per il 30 marzo è già stata fissata a Bruxelles una riunione dei sei Ministri degli Esteri allo scopo di esaminare i risultati dei lavori stessi.
114 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
114 2 Data ricostruita dal n. di protocollo.
114 3 Vedi DD. 1 e 34.
114 4 Vedi D. 55.
114 5 Vedi D. 64.
114 6 Per le istruzioni vedi D. 75.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)
L. 0225. Parigi, 17 febbraio 1954.
Caro Zoppi,
sempre nel corso della mia opera di «mediatore», ho avuto stamane ancora una conversazione con Guy Mollet.
Circa lo stato di salute della CED al Parlamento francese, mi ha detto che il risultato dei colloqui di Berlino è nel complesso favorevole. Ormai l’argomento che la CED è un ostacolo ad un accordo con la Russia sulla Germania non attacca più Molto scompiglio, in senso negativo, è stato portato invece dalla dichiarazione dei Tre che in caso di unificazione della Germania, il nuovo Governo tedesco sarà libero di restare nella CED o di uscirne. Si dice: ma allora, il giorno in cui si facesse l’unificazione della Germania, la maggioranza diventerebbe socialista, la Germania uscirebbe dalla CED, quindi la CED non avrebbe servito che a dare alla Germania un esercito di cui poi si potrebbe servire per una politica indipendente. Queste impressioni di Guy Mollet vengono intieramente confermate da altre parti e vanno considerate come esatte.
Mi ha aggiunto di avere suggerito al Quai d’Orsay di far fare dai Tre una dichiarazione, in cui, confermando la libertà della Germania unificata di uscire dalla CED, si specifichi che, in questo caso, si dovrà sciogliere l’esercito tedesco e ritirare tutto il materiale dato alla Germania in quanto partecipante alla CED. Si rende perfettamente conto che tutto questo non ha nessun valore pratico, ma ritiene sarebbe bene farlo per controbattere un argomento che può avere una forte influenza negativa.
Mi ha confermata la mia impressione, che l’idea di superare le difficoltà della ratifica mediante modifiche, almeno importanti del Trattato CED, va sempre piperdendo terreno a causa delle difficoltà di trovare un punto di accordo fra le modifiche da proporre. L’interesse si sposta verso i fattori esterni. Per parte mia aggiungo: è così certamente oggi, domani possiamo avere un nuovo spostamento verso la revisione: c’è l’incognita della posizione Juin.
Circa la partecipazione inglese, mi ha detto che il progetto attuale britannico – e che ritengo voi conoscete – nel complesso va bene, ai suoi fini di Partito Socialista: ci vorrebbero perancora alcune precisazioni: sopratutto all’Art. III-b. Bisognerebbe che fosse specificato che il rappresentante inglese al Commissariato sia un funzionario od una personalità politica di grado abbastanza elevato, per potere, su questioni di importanza non grande, prendere delle decisioni, e non essere un semplice osservatore obbligato per la minima cosa a riferire al suo Governo e probabilmente a non dare nessuna risposta.
Occorrerebbe anche, secondo lui, precisare maggiormente che cosa si intende per consultazione.
Circa la garanzia americana, pensa ad una dichiarazione a Tre che dicesse, sostanzialmente, che la data di scadenza del Patto Atlantico non è una data ghigliottina, ma che, nell’intenzione dei partecipanti, il Patto Atlantico è destinato a durare fino a che esiste la situazione politica di fatto che ne ha motivata la creazione. C’è a questo riguardo un progetto francese che non ha ancora avuto risposta dagli americani.
Per quello che riguarda noi, mi ha detto che farebbe un’ottima impressione nei circoli parlamentari francesi e potrebbe facilitare certamente la ratifica, se noi facessimo un passo a Londra e Washington appoggiando le domande francesi di garanzia, accompagnando il passo con un exposé de motifs che mostrasse che noi condividiamo certe apprensioni francesi, sulla secessione della Germania e sull’equilibrio di forze: naturalmente, dice lui – e con ragione – se lo facciamo bisognerebbe che si sapesse che lo abbiamo fatto. Questo servirebbe per far tacere quelli che parlano del pericolo di un’Italia ed una Germania bloccate nella CED contro la Francia. L’argomento ha la sua importanza – aggiungo io – era molto importante nei primi mesi di quest’anno. Ha perduto un po’ della sua portata in seguito all’atteggiamento del Governo Pella: putornare ad averne a seconda dell’impressione che si può avere qui della nostra politica.
Circa l’autorità politica, o comunità che dir si voglia, non ha cambiate le idee di cui alla mia precedente lettera(2). In via, diciamo così, esecutiva, bisognerebbe, secondo lui, procedere in questa forma: arrivare ad una forma di convenzione, accordo o come sia in questo senso.
«I lavori della Commissione per lo studio di una Comunità Politica Europea continuano. Intanto, e in vista della necessità di creare un’autorità politica che possa assicurare il funzionamento delle Comunità esistenti CED e CECA, i Sei hanno convenuto di creare un’autorità politica, etc. etc.». Quanto alla sua idea di un’iniziativa nostra, gli ho fatto osservare che, essendoci su questo argomento una certa divergenza fra le idee socialiste e le idee di Pinay e di altri, e la scelta fra le due impostazioni, o una loro eventuale conciliazione essendo una questione di orientamento politico interno del Governo francese, noi non potevamo prendere posizione per le tesi di un Partito piuttosto che un altro. Il massimo che eventualmente noi avremmo potuto fare era quello di chiedere che il Governo francese ci faccia sapere in via politica quello che ritiene di potere e di dover fare per facilitare la ratifica CED: stava poi a lui di orientare il Governo francese in un senso piuttosto che in un altro. Su che ha convenuto completamente. Mi ha aggiunto altre considerazioni di dettaglio su cui sorvolo perché vorrei che questa lettera ti arrivasse a tempo per le vostre eventuali decisioni prima della partenza di Benvenuti.
Circa Laniel, mi ha assicurato – il che è anche il mio parere – che è ormai definitivamente acquisito all’idea CED e che farà tutto il suo possibile per portarla in porto, naturalmente nella misura delle sue possibilità e capacità. Mi ha assicurato che Le Troquer è decisamente a favore e che si pucontare su tutta la sua influenza sia nel Partito socialista che all’Assemblea. Coty personalmente è piuttosto per: che non si deve contare su di lui per una forte pressione a favore, ma che si può esseresicuri che non farà niente contro. Sostanzialmente quindi – e sono d’accordo con lui – il risultato delle elezioni può essereconsiderato come relativamente favorevole.
Con tutto questo prevengo, e tornerpidettagliatamente sull’argomento, il risultato finale deve essere considerato, per quello che ci puinteressare, come ancora incerto(3).
Cordialmente,
[Pietro Quaroni]
115 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.
115 2 Vedi D. 102.
115 3 Per il seguito vedi D. 119.
L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)
R. segreto 2151(2). Washington, 18 febbraio 1954.
Oggetto: Comunità europea di Difesa.
Signor Ministro,
nel corso dei contatti che abbiamo avuto in questi giorni col Dipartimento di Stato a proposito della Conferenza di Berlino sono emersi, per quanto concerne la CED, degli elementi e delle considerazioni che, pur non esprimendo alcun nuovo fatto concreto, forniscono degli utili punti di riferimento nella valutazione dell’attuale fase del problema.
La CED ha costituito a Berlino il principale obbiettivo degli attacchi e delle manovre russe ed è stata pertanto il punto centrale intorno a cui si è svolto direttamente
o indirettamente il serrato dibattito. Perfino nei confronti della NATO Molotoff ha lasciato socchiusa, almeno apparentemente, la porta ma per quanto concerne la CED c’è stata opposizione aperta e violenta.
La ragione di quest’atteggiamento è ovvia; dato che la NATO rappresenta un’area a situazione ormai definita e cristallizzata, l’Unione Sovietica non pusperare di introdurvisi, almeno con attacchi frontali: l’estensione di quest’area alla Germania, attraverso il canale della CED, rappresenta invece esattamente il contrario di quanto i Russi si propongono, ossia il mantenimento fra i due opposti blocchi di una «no man’s land» che finirebbe fatalmente per diventare campo di manovra e di attrazione per Mosca, mentre l’Occidente resterebbe in ogni caso privato del contributo attivo della forza militare tedesca.
Con la chiusura della Conferenza di Berlino si inizierà la fase conclusiva del problema CED. L’impressione che prevale per il momento qui è che le probabilità di ratifica sono ora leggermente aumentate. La Conferenza ha avuto, a giudizio del Dipartimento, la funzione di dimostrare in modo inequivocabile l’intransigenza sovietica; essa inoltre ha rafforzato la solidarietà fra le tre potenze occidentali sui principali problemi di loro comune interesse. La seconda costatazione è un’ovvia conseguenza della prima. La sua principale estrinsecazione pratica dovrebbe consistere in una maggiore decisione da parte dei Francesi per quanto concerne la ratifica del Trattato CED.
Naturalmente, prima di azzardare piconcrete previsioni, il Dipartimento attende di vedere quali accoglienze vengano riservate a Bidault al suo ritorno a Parigi e quale atteggiamento i partiti francesi assumano al momento decisivo. Si attribuisce molta importanza alla posizione dei socialisti e in particolare si spera che essi, o almeno una loro notevole frazione, si astengano dal sollevare il problema delle rettifiche del Trattato e quelle delle garanzie anglo-americane.
Il fatto che i socialisti belgi e quelli olandesi abbiano in maggioranza votato a favore della ratifica invoglia gli osservatori americani a deduzioni favorevoli.
Nei confronti della Germania la soluzione del problema della «costituzionalità» della CED non desta alcuna speciale preoccupazione.
Per quanto concerne l’Italia, la decisione del Governo di presentare al più presto alle Camere il progetto di legge sulla CED ha naturalmente avuto qui ripercussioni assai favorevoli. Gli uffici del Dipartimento chiedono, ogni qualvolta se ne presenta l’occasione, quali previsioni si possano fare circa lo svolgimento e la durata della relativa procedura parlamentare e non mancano di sottolineare l’interesse con cui il Governo americano segue la cosa. Tuttavia nessuno si nasconde qui la complessità del problema e la difficoltà di fare le previsioni stesse.
Da parte nostra, oltre ad esporre le opportune considerazioni atte a sviluppare negli uffici Americani la comprensione dei vari aspetti della questione, abbiamo attirato l’attenzione degli uffici stessi su due principali elementi:
₋ la ratifica da parte italiana non può essere considerata isolatamente, essa è connessa con lo stato del problema negli altri paesi interessati e con le caratteristiche generali della situazione europea nel prossimo avvenire;
₋ è indubbio che il problema di Trieste continua ad esercitare un’influenza determinante sullo stato d’animo del Paese e quindi del Parlamento, non solo per ragioni di carattere emotivo, ma anche per concrete e meditate considerazioni circa i metodi piconsoni alla tutela di un preminente interesse nazionale qual è quello in gioco.
Mentre sul primo elemento gli uffici del Dipartimento convengono in via di massima con le nostre considerazioni, sul secondo essi, come è noto, non sono riusciti finora ad andare oltre un atteggiamento di generica comprensione, nonostante la questione sia stata da parte nostra approfonditamente illustrata.
L’eventualità che l’intero progetto della CED, almeno nella sua edizione attuale, non arrivi in porto viene naturalmente tenuta presente, sebbene si continui a ripetere che il Governo americano non vede alcuna alternativa e che esso anzi ritiene pericoloso discuterne, in quanto ogni esame anche solo ipotetico di diverse soluzioni non farebbe che rallentare gli sforzi in corso. In questi giorni, per la prima volta, un funzionario del Dipartimento di Stato ha posto, sia pure in via del tutto teorica e con ogni riserva, il problema delle maggiori o minori difficoltà che il Governo francese potrebbe sollevare nei confronti di una diretta collaborazione della Germania con la NATO in sostituzione del progetto CED. Il funzionario americano ha poi aggiunto che comunque gli sembrava che il riarmo unilaterale della Germania fosse la soluzione peggiore.
È sintomatico che il problema delle cosidette alternative, di cui, in via ufficiale si vuol negare perfino l’esistenza, affiori poi facilmente nelle conversazioni private.
Comunque, ripeto, la prossima fase appare al Dipartimento come risolutiva, in un senso o nell’altro. In aprile il Congresso riprenderà il dibattito sull’assistenza economico-militare alla Europa Occidentale e farà in tale sede il punto sulla situazione europea, cominciando dalla CED. Sono possibili quindi ulteriori sviluppi sulla linea dell’emendamento Richards.
D’altra parte il Dipartimento si aspetta che in quel torno di tempo, se nessun progresso sarà stato realizzato, il Governo Tedesco invocherà un riesame del problema facendo presente la situazione anomala in cui la Germania Occidentale si trova per la mancata applicazione degli Accordi Contrattuali.
Siamo rimasti d’accordo col Dipartimento che ci manterremo in stretto contatto e che da parte nostra non mancheremo di fornire periodiche informazioni circa gli sviluppi del procedimento di ratifica da parte del nostro Parlamento.
Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio profondo ossequio.
Tarchiani
116 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 114.
116 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.
L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)
R. segreto 1969/446. Bad Godesberg, 19 febbraio 1954.
[Oggetto:] Riarmo tedesco, CED e sue alternative.
Signor Ministro,
ho riferito a parte su quelli che, attraverso anche le impressioni dirette ricevuto a Berlino, sembrano essere i risultati generali della Conferenza. Il problema centrale per per il quale essa era stata originariamente prevista, quello tedesco cioè, è rimasto al punto di prima.
Se nessuna sorpresa ne è derivata a Bonn e direi con graduazioni diverse, anche nelle varie capitali occidentali, l’insuccesso della Conferenza sul problema della riunificazione della Germania ha riportato in primo piano come prevedevasi quello del riarmo della Repubblica federale.
Dalla chiarificazione delle posizioni emerse a Berlino è apparsa, come riferisco separatamente, una circostanza di grosso peso: quella cioè che i sovietici non faranno la Guerra per la CED.
L’atteggiamento sovietico a Berlino è stato anzi così drastico nel non offrire mai nessun appiglio agli occidentali per una conversazione seria sul riarmo tedesco che mi è venuto, a Berlino stesso, spontaneo di chiedere a François-Poncet se, in via di paradosso, egli non ritenesse che i russi volessero spingere gli alleati occidentali a proseguire nella strada dell’integrazione europea. François-Poncet mi ha risposto che, se era escluso «di poter mettere in testa una cosa simile a Molotov», vi erano invece altri russi, come Semionov, che non erano forse troppo lontani da tale idea.
Rimane naturalmente la vecchia questione di sapere, per il caso che la CED dovesse fallire, anche con nuove modifiche concesse alla Francia, in quale forma tale riarmo tedesco possa avvenire. La questione è da tempo dibattuta in tutte le maggiori capitali e non c’è alternativa alla CED che non vi abbia già fatto oggetto di esame, tanto negli ambienti governativi quanto nella grande stampa; ma è particolarmente interessante conoscere le reazioni tedesche sulla questione. Una autorevole fonte della Cancelleria federale giudicava che, per l’eventualità che la CED non arrivasse in porto, tre alternative si aprirebbero alla Germania.
La prima è quella di un riarmo unilaterale della Germania d’accordo cogli Stati Uniti: possibilità che lo stesso Alto Commissario francese non mi ha affatto escluso. Personalmente perrimango assai scettico di fronte ad una ipotesi del genere che potrebbe avere conseguenze imprevedibili sugli orientamenti di politica estera della Francia.
Una seconda alternativa, e che sembra rivestire una maggiore dose di attendibilità, sarebbe, sempre secondo la stessa fonte, un progetto attribuito a Monnet, e di cui i tedeschi, parlandomene, hanno tenuto a sottolineare il carattere confidenziale. La Francia dovrebbe prendere l’iniziativa per la costituzione di una Assemblea europea provvisoria e di un Consiglio dei Ministri europeo, anch’esso provvisorio, che dovrebbero assumere il controllo politico sulla CECA e sulla CED. La novità del progetto ed il suo elemento distintivo rispetto agli analoghi piani di costituzione europea finora dibattuti sarebbe il carattere della provvisorietà: grazie a tale espediente si penserebbe di poter girare il grosso ostacolo finora frapposto all’integrazione europea dalla questione dei poteri dei costituendi organi istituzionali e di lanciare una formula di compromesso a cui tutti potrebbero dare tranquillamente il proprio consenso giacché non pregiudica definitivamente l’avvenire né in un senso né nell’altro.
La terza alternativa, che potrebbe secondo la Cancelleria federale entrare in linea di conto solo per il caso che anche il progetto Monnet dovesse dimostrarsi irrealizzabile, consisterebbe nel sostituire alla CED una coalizione di eserciti nazionali europei, facenti percapo a due organi integrati sovranazionali e cioè ad un Consiglio dei Ministri europeo e ad uno Stato Maggiore europeo, dei quali la Gran Bretagna entrerebbe a far parte. Scopo del progetto concepito come una estrema ratio, sarebbe quello di venire incontro alle tesi di molti avversari della CED in Francia.
È appena il caso di ripetere ancora una volta che tutto quanto ho sopra riferito costituisce solo una seconda linea della politica estera della Cancelleria federale, su cui essa potrebbe suo malgrado essere costretta a ripiegare; ma ciò nonsignifica affatto che la ratifica della CED, così come essa è stata finora concepita, non rimanga al centro di tutti gli sforzi e di tutte le preoccupazioni della politica estera tedesca. Basterebbe tra l’altro a provarlo l’ansiosa attenzione con cui si segue in Germania in ogni ambiente l’evoluzione politica interna in Francia e in Italia, per trarne indizi sulle prospettive di ratifica in questi due Paesi. La CED rimane infatti per il Governo di Adenauer la soluzione ideale: non solo perché essa, costituendo per forza di cose solo il punto di partenza per una Comunità europea più integrata e organica, offre alla ripresa politica ed economica della Germania un pivasto e fecondo campo di attività e di espansione, ma anche perché, almeno nel pensiero di Adenauer, solo un’Europa fortemente integrata che possa magari un giorno allentare qualcuno dei legami specie d’ordine militare che ora la uniscono strettamente al Nord-America ed acquistare così una maggiore autonomia fra i due blocchi contrapposti, potrà forse avere qualche prospettiva di arrivare ad un modus vivendi coi sovietici e di risolvere pacificamente il tormentoso problema della riunificazione tedesca. Se ed in quali limiti queste vedute tedesche corrispondano alla realtà della situazione politica internazionale e soprattutto agli intendimenti russi è un’altra questione: certo è che esse sono qui molte diffuse e non poche voci si sono levate per l’addietro per rimproverare al Governo ed agli Occidentali di avere troppo prematuramente lanciato l’idea di piani di sicurezza, da concludersi fra l’Europa e la Russia, in un momento in cui l’Europa unita ancora non esisteva o comunque, anche se gifosse esistita, sarebbe stata di fatto se non di nome una semplice appendice militare dell’America. Questa stretta compenetrazione che i tedeschi, a torto o a ragione, stabiliscono tra la CED e la loro riunificazione, è una delle chiavi della loro politica e va sempre quindi tenuta ber presente per giudicare le mosse e l’evoluzione di tale politica.
Voglia gradire, Signor Ministro, i miei devoti ossequi.
[Francesco Babuscio Rizzo]
117 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 26, fasc. 1.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)
R. riservato 0252(2). Parigi, 19 febbraio 1954.
Oggetto: Ratifica CED-Francia.
Signor Ministro,
ritengo possa essere utile per V.E. che cerchi di chiarire, in quanto sia possibile chiarire una situazione estremamente confusa ed instabile, la situazione parlamentare francese di fronte alla CED.
Debbo prima di tutto premettere che la questione Europa è praticamente assente dall’impostazione del dibattito.
Richiamiamoci del resto alle origini della CED: essa non è nata per considerazioni europee. Da parte americana è stato posto il problema del riarmo tedesco: il Governo francese si è trovato, od ha ritenuto trovarsi, nell’impossibilità di far accettare al paese il riarmo tedesco puro e semplice. È partito allora da un ragionamento realistico: è impossibile mantenere la Germania, sola, in un regime di discriminazione controllata: se si vuole controllare l’esercito tedesco, bisogna accettare di sottoporre a controllo anche l’esercito francese. Esattamente come la CECA è nata non da un punto di vista europeo, ma dalla constatazione che era impensabile di continuare in eterno a controllare la Ruhr se non si accettava al tempo stesso di controllare anche la Lorena.
Ai fini della presentazione si è fatto largo uso della fraseologia europea, ma il problema è rimasto lo stesso. Le vecchie democrazie, come la Francia, sono ben abituate a mascherare dei loro interessi, molto reali, dietro dei principi generali: noi purtroppo non lo abbiamo ancora imparato: siamo o idealisti, ma allora sul serio, oppure cinici. Ma è bene non dimenticare questo punto di partenza se ci si vuol veder chiaro.
Mi permetto di aggiungere che l’elemento «esercito tedesco» è preminente anche presso gli americani. Gli americani, è vero, sono convinti, ed a ragione, che l’Europa, per prosperare economicamente, avrebbe bisogno di spazi pilarghi degli attuali quadri nazionali, però non hanno mai fatto una vera pressione a fondo, né profferite minaccie, per l’Europa in sé: quello che li interessa nella CED resta l’esercito tedesco.
Riportato il problema ai suoi dati fondamentali, constatiamo che nel Parlamento francese si affrontano sostanzialmente tre tesi:
1) quelli che non vogliono, a nessun costo, il riapparire dell’esercito tedesco;
2) quelli che ammettono l’esercito tedesco sì, ma controllato;
3) quelli che, pur di non far controllare l’esercito francese, sono disposti ad ammettere un esercito tedesco indipendente, picollegato che controllato.
Noto, di passaggio, che quando noi ci rifiutiamo ad ammettere qualsiasi cambiamento all’attuale Trattato CED, lo facciamo perché riteniamo che qualsiasi cambiamento ne diminuirebbe il carattere sopranazionale che, a nostro punto di vista, è già molto modesto. I francesi, salvo qualche rarissima quanto meritevole eccezione, del sopranazionale se ne infischiano: ritengono invece che con l’attuale formula si è ottenuto l’optimum, tecnicamente possibile, di imbrigliamento dell’esercito tedesco, il massimo di discriminazione a favore dei francesi e che qualsiasi mutamento, anche minimo, guasterebbe questo massimo di garanzie: il che, fra l’altro, è perfettamente esatto.
Vediamo adesso un po’ di numeri. Ricordo la consistenza dei Partiti alla Camera francese:
-Comunisti e Progressisti 100
-Socialisti SFIO 105
-MRP 87
-UDSR (il partito di Pleven) 25
-Radicali 76
-Indipendenti 54
-Indipendenti-Contadini (divisi in gruppo Antier e anti-Antier) 47
-Indipendenti d’oltremare 15
-Gaullisti dissidenti ARS 34
-Gaullisti URAS 77
Di tutti questi Partiti gli unici due che, salvo qualche possibile defezione individuale, sono pronti a votare la CED così come essa è, sono l’MRP e l’UDSR. Radicali, Indipendenti e Contadini, oggi, sono divisi sul problema: è difficile stabilire quale sia il punto di frattura: ammettiamo, per essere sul solido, che ce ne sia la metà sicura a favore della CED. Questo fa, arrotondando un po’ la cifra, duecento voti sicuri. Per arrivare alla maggioranza di un solo voto, bisogna arrivare ad avere 313 voti.
Gli Indipendenti d’oltremare, pur essendo solo 15, costituiscono un problema a sé; sono quasi tutti acquistabili: ora è indubbio che gli anti-CED hanno il portafoglio pifornito e piaperto che i pro-CED.
Certamente con un’azione decisa ed abile di governo, si possono ricuperare molti Radicali e molti Indipendenti: mai tutti, per non si riuscirà mai ad incamerare, per esempio, nei Radicali, il gruppo Herriot e quello Daladier, e, negli Indipendenti, quello di Pierre André. Facciamo un’ipotesi estremamente ottimista: che le defezioni nei due gruppi possano essere ridotte ad una sola trentina: questo darebbe un totale di poco più di270 voti. Per arrivare alla maggioranza, sempre di un solo voto, bisogna trovare ancora più di40 voti.
Questi voti non si possono trovare altro che tra i Socialisti o fra i due gruppi
gaullisti.
Guy Mollet sta conducendo la sua battaglia per avere la maggioranza del Comitato politico del Partito a favore della CED, ed imporre la disciplina di partito. Lui è abbastanza ottimista, i suoi amici lo sono più dilui: i suoi avversari giurano che non ci riuscirà: non mi sento di fare delle previsioni: bisognerà aspettare e vedere. Se ci riesce, la maggioranza c’è, e sufficiente, anche ammettendo che la disciplina di voto sarà rispettata meno di quanto lui spera: se non ci riesce, ci saranno anche in questo caso delle deroghe alla disciplina di partito, ma non in numero sufficiente a colmare il vuoto necessario.
Dunque, se vince Guy Mollet, si può far votare la CED con i voti socialisti: anche in questo caso, saranno necessarie delle modifiche, ma, come V.E. ha visto, si tratta di modifiche accettabili perché non toccano né l’imbrigliamento dell’esercito tedesco, né le istanze europee che maggiormente ci interessano: e potrebbero non richiedere un nuovo negoziato.
Se Guy Mollet non gliela fa, allora per far passare la CED ci vogliono i voti di gaullisti: per avere i voti dei gaullisti, bisogna non solo diminuire, ma tagliare radicalmente nel sopranazionale. A parte le difficoltà esterne, si presenta anche il problema interno: accetterebbero gli attuali partigiani della CED, come essa è, di rinunciare alle loro formule per l’imbrigliamento dei tedeschi? Ne sono tutt’altro che sicuro: certamente ci sarebbero delle defezioni che potrebbero anche far sì che, su formule accettabili dai gaullisti, non si potrebbe trovare la maggioranza: anzi, allo stato attuale delle cose, dovrei dire che questa, oggi, sembra l’ipotesi piprobabile. Bisognerebbe, per riuscire, trovare una formula intermedia, accettabile dalle due parti, che limitasse le defezioni a pochi estremisti: è la formula che attualmente sta studiando Laniel, per avere in ogni caso un’alternativa. Ma comunque, in questo caso, ci vorrebbero delle modifiche importanti.
Questo mio calcolo, aritmetico-politico, mostra abbastanza chiaramente che la
chiave del voto della CED, come essa è oggi, è nelle mani dei socialisti.
Ma anche col voto socialista la situazione presenta ancora delle complessità. Se il Governo Laniel si orienta decisamente, come sembra, verso la ratifica della CED, così come essa è, i Ministri URAS e ARS dovranno dare le dimissioni: anche se, per ambizione di portafoglio, qualcuno di loro restasse, il Governo perderebbe comunque il voto dei loro partiti. In sé, in Francia, questo non significa la caduta del Gabinetto: possono andarsene anche tutti i Ministri purché resti il Presidente. Ma questo implicherebbe che il Governo Laniel, da governo di centro-destra diventi governo di centro-sinistra: lo seguiranno in questo caso gli Indipendenti ed i Contadini? È almeno dubbio.
Guy Mollet mi ha detto che, in caso di sua vittoria, non collegherebbe il voto del suo Partito con un’entrata al Ministero dei socialisti e comunque con condizioni politiche di altro genere. Ci credo, perché Guy Mollet fa questo non per amore disinteressato per la CED, ma per un calcolo politico molto realista: sa benissimo che una volta tolta di mezzo la questione della CED, la maggioranza per un governo centro-sinistra, di apertura sociale, diremmo noi, c’è: sono pronti a formarlo, socialisti, UDSR, i Radicali quasi tutti, ed anche quasi tutto 1’URAS. Questo non è possibile oggi perché c’è la CED che divide questa maggioranza in potenza, ma sarebbe, ripeto, possibile, il giorno che la questione della CED fosse risolta. Ma la destra, ossia gli Indipendenti Contadini, che di questo governo di centro-sinistra hanno una paura folle – et pour cause – essendo dei vecchi «routiers» parlamentari non possono non vedere la manovra socialista. Lasceranno fare, per amor di patria? o non soccomberanno alla tentazione di assumere in materia di CED un atteggiamento piuttosto orientato verso quello gaullista per rendere di nuovo impossibile una maggioranza di centro-sinistra?
Ho voluto esporre in dettaglio la situazione – e V.E. pucontrollarne l’esattezza
‒per mostrare a V.E., quanto essa è complessa e variabile, per cui è difficile fare delle
previsioni.
E in tutto questo pasticcio, non è affatto da escludere che il Parlamento francese si rimetta alla soluzione pifacile: che è quella di rimandare ancora il dibattito. Sono oggi gli estremisti anti e pro-CED che spingono al dibattito, ritenendo, ambedue, che la situazione sia loro favorevole: la maggioranza, temo, ha una forte tendenza a rimandare.
Temo anche che l’annuncio di una conferenza, il 26 aprile, sull’Indocina finirà per portare acqua al mulino del rinvio. L’Indocina è, oggi, un potente argomento an-ti-CED: è noto il ragionamento, del resto esatto; lo sforzo che la Francia deve fare in Indocina le rende impossibile essere presente in Europa, a parità colla Germania. Quindi una soluzione del problema Indocina faciliterebbe la CED: ma non l’annuncio di una conferenza sull’Indocina.
Il ragionamento è semplice, e anche logico. Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che l’URSS non vuole la CED, sotto nessun pretesto: se si spera che la Russia voglia influire per una soluzione onorevole per la Francia in Indocina, non lo farà certo per favorire la ratifica della CED: bisogna darle almeno la speranza che la CED possa, in cambio, non essere ratificata. Non è il ragionamento di tutti quelli, che nella lotta violenta al Consiglio dei Ministri, si sono battuti, contro Teitgen sopratutto, per istruzioni ferme a Bidault affinché insistesse su Dulles – che pare non volesse – per accoppiare nettamente Corea ed Indocina: ma è certo la tesi e la speranza di qualcuno: ed è certo una tesi che ostacolerà il «ralliement» degli esitanti.
Qui non tutti credono che il dilemma Dulles «o CED o agonizing research, ossia politica periferica» sia vero: molti pensano: l’America non puabbandonare l’Europa ai russi; quindi_ anche se non si vota la CED, dovrà continuare ad aiutare, in qualche forma, l’Europa occidentale. In sé non si punegare che ci sia una certa logica in questo ragionamento. Solo che esso non tiene conto che la decisione è in mano al Congresso americano, il quale non è certo piconseguente dei Parlamenti europei: ci sono le correnti isolazioniste larvate che non bisogna, a mio avviso, sottovalutare. Abbiamo poi a che fare con Foster Dulles il quale non è un Ministro degli Esteri, ma un caso freudiano.
Concludendo: personalmente credo poco alla possibilità che il Parlamento francese respinga la CED puramente e semplicemente. Può però benissimo rimandare il dibattito: in caso estremo resta sempre la possibilità di far cadere il Governo Laniel; oppure metterà alla ratifica una serie di se e di ma, che comunque richiederebbero un nuovo negoziato.
Per cui non mi sento affatto di poter dire che ci sono delle probabilità che la CED sia ratificata, anche con modifiche, in tempo per le decisioni del Congresso americano: e quindi il pericolo di decisioni affrettate del Congresso stesso, che possano mettere in forse tutto il Patto Atlantico, non mi sembra affatto da escludere.
Perci visto che ci stiamo orientando verso il dibattito al Parlamento italiano, è da vedere se non ci converrebbe meglio – per quello che ci concerne – andare avanti. Ma sui riflessi italiani dell’Affare CED mi riservo di intrattenere V.E. con un successivo rapporto(3).
La prego di credere, Signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.
P. Quaroni
118 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.
118 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.
118 3 Vedi D. 125.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)
L. riservatissima 20/0420. Roma, 20 febbraio 1954.
Caro Quaroni,
Ti ringrazio della tua del 17 n. 0225(2), qui giunta tempestivamente, nel momento stesso nel quale avevamo, presso il Ministro Piccioni, la riunione preparatoria per i lavori del Comitato dei Sostituti che si riunirà, costà, lunedì prossimo.
Il Sottosegretario Benvenuti ti dirà, in dettaglio le conclusioni di massima alle quali siamo giunti dopo la riunione stessa. In una parola, mentre intendiamo mantenere vivo, attraverso i lavori dei Comitati per la CPE, il processo destinato a facilitare in qualche modo l’integrazione politica, riteniamo opportuno non provocare, attraverso eccessive iniziative ed appesantimenti un ritardo della ratifica del Trattato CED.
Sull’argomento mi è apparso molto interessante quanto Margerie ha detto a Catalano a Berlino, al momento della conclusione della Conferenza. I Russi, cioè, tutto sommato, pur di evitare una unificazione della Germania sulla base proposta dagli Alleati, sarebbero persino disposti ad ingoiare la CED.
Con viva cordialità
[Vittorio Zoppi]
119 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.
119 2 Vedi D. 115.
IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)
L. Parigi, 20 febbraio 1954.
Carissimo Ministro,
sono un attento lettore delle comunicazioni provenienti al Ministero dalle nostre Ambasciate ed opportunamente dal Ministero diramate. Mi è spesso parso, nella materia specifica concernente la CED, che molti nostri Capi Missione non hanno avuto modo di conoscere e meditare a fondo la materia. E questa impressione – che si è particolarmente rafforzata in me leggendo la comunicazione della nostra Ambasciata di Londra del 9 febbraio(2)– mi induce a pregarla di voler considerare se non sarebbe opportuno che materiale illustrativo ed il testo integrale del Trattato e Protocolli annessi fossero messi a disposizione delle nostre Ambasciate al fine di poter loro consentire di esprimere giudizi ed opinioni «ab informato».
Quando, infatti, leggo a pag. 2 di quella comunicazione una considerazione di questo genere: «rimane sempre vero che una CED anche attenuata è meglio di nessuna CED» e della convenienza di «compiere un primo passo limitato ma importante e ciò senza pregiudiziali aprioristiche, e magari sacrificando esigenze logiche e rispettabili ideali federalistici» ho l’impressione che si parli di una cosa conosciuta piattraverso la deformante polemica di gazzetta che non attraverso un severo studio del Trattato e dei Protocolli.
Cosa potrebbe essere una CED «attenuata»? Quando si tratta di approfondire tale concetto, si arriva scherzosamente ma inevitabilmente a riandare con il pensiero alla possibilità che una donna possa essere solo leggermente incinta...
Tutto ciò che poteva essere fatto in sede di compromessi, limitazioni, stringature, dosature nel campo dei nostri concetti informatori della CED, è stato fatto a suo tempo ed incorporato nel Trattato, per cui spesso si è dovuto, anzi – per raggiungere il minimo possibile ma tuttavia funzionale – sacrificare persino esigenze logiche.
Non è stato necessario viceversa sacrificare ideali federalistici per il piccolo particolare che quelli non hanno pesato nella elaborazione della struttura della CED che è, sì, una impostazione di carattere comunitario, ma lo è anche in una forma «sui generis» e non può esserecerto considerata come concepita e costruita secondo lineari impostazioni federalistiche.
Pregiudiziali aprioristiche? O Dio, se questo si riferisce alla necessità di consacrare quel minimo di supranazionalità atto a far funzionare la struttura; di evitare il riarmo autonomo nazionale della Germania e la ricostituzione dello Stato Maggiore tedesco; di interferire – sia pure per il minimo possibile – nel problema del processo produttivo, agli effetti di certe limitazioni indispensabili specie per quanto concerne le zone strategicamente esposte; di studiare il mezzo atto a far funzionare un organismo militare integrato ecc. ecc., debbo ammettere che i negoziatori del Trattato non hanno potuto ignorare a priori alcune pregiudiziali.
Ma senza tali premesse ed esigenze non vi era neppur la necessità di creare la struttura della CED e percil’unica alternativa alla struttura creata non è una CED «attenuata» ma è, semmai, la rinuncia pure e semplice alla CED stessa (salvo vedere cosa combinare di altro in fatto di apporto tedesco).
Se non si rendono conto di questo fatto i commentatori delle nostre fatiche e gli ottimisti suggeritori di soluzioni atte a dare il necessario senso di responsabilità a certi Parlamentari di certi Paesi, ovviamente continueranno ad incappare in erronee impostazioni ed a trarne illazioni altrettanto errate.
Ritenendola d’accordo con me mi permetto di raccomandarle, caro Ministro, di considerare l’opportunità della proposta di cui sopra Le ho fatto cenno e La prego di gradire i miei amichevoli saluti
Suo
Ivan Matteo Lombardo
120 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 114.
120 2 Vedi D. 106.
IL DIRETTORE GENERALE PER L’EMIGRAZIONE, GIUSTI, AL CONSIGLIERE DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE, PRUNAS(1)
L. 9697/29(2). Roma, 23 febbraio 1954.
Caro Prunas,
rispondo alla tua lettera 0625 del 13 corrente(3)e ti ringrazio per quanto mi scrivi circa la presentazione da te effettuata al Comitato di Direzione [sic] del nostro appunto, contenente alcune considerazioni sulla libera circolazione delle persone nell’ambito della futura Comunità europea.
Ho preso nota delle modifiche, del resto marginali, da te apportate al nostro testo e sono senz’altro d’accordo con te in merito alle stesse, come pure per quanto riguarda la presentazione che tu ne hai fatta costì. In particolare approvo l’idea di dare all’appunto stesso la paternità della Delegazione e non del Governo italiano: in questo delicatissimo settore noi dobbiamo infatti mantenere la piampia libertà di azione, anche se le altre delegazioni sembrano tanto ansiose di vederci mettere nero su bianco.
L’esatto punto di vista del Governo italiano potrà essere precisato in un secondo tempo, allorché la trattazione del problema sarà passata in fase piconsolidata di quella attuale (i recenti telegrammi 183 e 184 dell’ambasciatore Quaroni(4)sembrano perritenere un simile consolidamento ancora lontano), nonché dopo attenta e profonda consultazione fra tutte le Amministrazioni interessate e competenti.
Ciò premesso, mi riferisco al tuo recente appunto(5)(passatoci con cortese sollecitudine dagli Affari Economici), con il quale hai riferito circa lo svolgimento della discussione seguita alla presentazione del nostro documento, e mi richiamo al telegramma 180 di Bombassei(6), con il quale ci è stato chiesto di preparare «un progetto degli articoli del trattato relativo alla libera circolazione delle persone».
In base a questi due riferimenti troverai qui allegato un siffatto progetto(7), che lascio a voi di giudicare in base agli elementi generali e particolari in vostro possesso e che, seguendo la vostra richiesta, contiene la sintesi, in forma di articoli di trattato, delle idee da noi espresse nel precedente appunto.
Inutile che io aggiunga subito che le considerazioni da me fatte più sopra conservano pieno valore anche nei confronti di tale nuovo documento. Esso infatti non deve impegnare minimamente il Governo italiano, che non solo si riserva ogni possibilità di discussione e modifica su tali articoli, ma anche la possibilità (come da te già precisato costì, molto opportunamente) di presentare se necessario anche altre proposte sostanzialmente diverse.
Per tua maggiore chiarezza ti preciso da ultimo che il nuovo documento si divide in due parti: una che diremo generale ed una di dettaglio.
La prima, contiene quattro formulazioni a) b) c) d) che mi sembra dovrebbero costituire il nerbo degli articoli da includersi nella parte introduttiva dell’eventuale futuro trattato (vedi art. 2 del Patto Atlantico, art. 8 del Trattato OECE, ecc.).
La seconda, dovrebbe costituire un primo embrione della sezione dedicato nello stesso progetto di trattato, allo specifico problema della libera circolazione delle persone.
Mi auguro che anche questa volta tu possa giudicare il nostro lavoro – che è stato nuovamente condotto con scarsezza di tempo – in maniera favorevole e che esso possa esserti utile nel tuo lavoro.
Tienimi informato e credimi con viva cordialità
[Justo Giusti]
121 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
121 2 Trasmessa da Giusti alle Direzioni Generali della Cooperazione Internazionale e degli Affari Economici con Appunto riservatissimo 60/9968/1961 del 24 febbraio.
121 3 Il contenuto è qui riassunto. Il documento cui si fa riferimento era stato presentato da Prunas al Comitato Economico del 15 febbraio e fu diramato successivamente alle Ambasciate e Rappresentanze: vedi D. 183, Allegato I.
121 4 Vedi D. 112.
121 5 Appunto n. 5 del 17 febbraio, trasmesso da Bombassei al Ministero degli Affari Esteri con Telespr. 10/132, pari data: riunioni del 15 e 16 febbraio del Comitato Economico, in DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.
121 6 T. 1642/180 del 16 febbraio: Bombassei riferiva che Prunas ‒nella riunione del giorno precedente ‒aveva sottolineato la necessità che «alla libera circolazione delle persone fosse dato un rilievo non inferiore a quello fatto ad altri elementi costitutivi del mercato comune» e che francesi e belgi avevano chiesto la presentazione di un progetto di articoli in materia. Bombassei richiedeva pertanto elementi utili allo scopo (ibidem).
121 7 Vedi D. 183, Allegato II.
L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. riservato 885/464(2). Londra, 23 febbraio 1954.
Oggetto: CED. Conversazione con Kirkpatrick.
La stampa britannica di questi giorni ha accennato alla possibilità che da parte inglese si addivenga a più stretti rapporti con la Comunità Difensiva Europea. Il Times in particolare, in una sua nota diplomatica di ieri, parla di nuove proposte di Londra, lasciando adito a qualche dubbio – a causa della formulazione insolitamente nebulosa e contradditoria – se si tratti di una indiscrezione sulle misure previste nel progetto di convenzione del 25 novembre 1953, oppure di nuovi e pisostanziali impegni che la Gran Bretagna sarebbe adesso disposta a prendere nei confronti della CED.
In una visita effettuata oggi a Kirkpatrick gli ho chiesto come dovessero essere interpretate queste notizie di stampa.
Il Sottosegretario Permanente mi ha detto che in preparazione vi è effettivamente qualche cosa di pidell’accordo elaborato dal Comitato giuridico della CED. A Berlino americani e inglesi hanno promesso a Bidault di riesaminare assieme le misure necessarie per meglio garantire la CED e facilitarne la ratifica. Tali misure dovrebbero fare oggetto nel prossimo futuro di conversazioni per via diplomatica tra Londra, Washington e Parigi.
L’oggetto di tali conversazioni sarà anzitutto quello di studiare la possibilità di prolungare la durata del NATO portandola a 50 anni. In secondo luogo verrà esaminata la possibilità di qualche accordo sulla permanenza delle truppe anglo-americane in Europa o sulla procedura che dovrà essere seguita per modificare la consistenza numerica delle truppe stesse. Infine si tratterà di rivedere il progetto di convenzione del 25 novembre 1953 per stabilire se sia possibile apportarvi dei miglioramenti. ciò nonimplica, secondo Kirkpatrick, nessun nuovo accordo, bensì l’impegno di discorrere per perfezionare ed integrare le garanzie già convenute.
Il Sottosegretario Permanente ha quindi sostenuto che le informazioni di stampa erano sostanzialmente inesatte e costituivano un «leakage» indesiderabile. Del resto, egli aggiungeva, le previste conversazioni a tre avrebbero avuto anche il compito di stabilire il momento piopportuno per dare pubblicità alle intese raggiunte in rapporto alle fasi della ratifica francese. Ogni intempestiva pubblicazione era quindi, a suo giudizio, controproducente.
Circa gli umori di Parigi nei riguardi della CED, Kirkpatrick ha detto che, oggi, le possibilità di ratifica gli sembravano molto migliorate. Da parte inglese si continua a ritenere che la CED debba essere ratificata così com’è: e a questo riguardo il Sottosegretario Permanente mi ha ripetuto quanto già dettomi e cioè che ogni proposta di sostanziale modifica non farebbe che rimettere tutto in alto mare.
Ha aggiunto perche si sarebbe disposti a considerare lievi modifiche, purché tali da essere facilmente realizzate senza provocare ritardi nella ratifica. Ma anche questa possibilità deve essere lasciata alla iniziativa e responsabilità del Governo francese.
122 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 33, fasc. 116.
122 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale», con la sigla di Zoppi.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV, [AL CONSIGLIERE DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE, PRUNAS](1)
Appunto 44/02783/c.(2). Roma, 24 febbraio 1954.
Oggetto: CPE. Problema del coordinamento delle politiche economiche.
Con riferimento al telegramma n. 197 della nostra Delegazione al Comitato CPE in Parigi(3)ed a seguito dell’Appunto di questa Direzione Generale n. 44/01893/c. del 6 corrente(4), si precisa ulteriormente come segue la nostra posizione circa il problema in oggetto:
1) scopo del «coordinamento» è quello di prevenire o riassorbire gli squilibri economici tra gli Stati membri, di attenuare le disparità eccessive tra i costi globali di produzione, e di garantire che la libertà di circolazione delle merci, dei capitali, delle persone e dei servizi nell’ambito della Comunità sia effettiva e non incontri ostacoli sostanziali nella diversità delle disposizioni vigenti nei diversi Paesi.
L’espressione «coordinamento delle politiche» non deve perfar pensare che si voglia giungere ad avere in tutti i Paesi della Comunità la medesima politica e le identiche legislazioni e disposizioni; il coordinamento, anzi, deve tener conto delle differenze strutturali esistenti tra i Paesi membri, e della diversità delle loro economie, dei loro sistemi sociali e delle loro situazioni politiche e sindacali. Pertanto il coordinamento deve tradursi in direttive politiche e prassi economiche analoghe nei fini anche se materialmente diverse, tali da favorire il perseguimento degli obiettivi generali della Comunità pur nella salvaguardia delle condizioni particolari di ciascun Paese.
Attraverso il coordinamento, pertanto, si dovranno eliminare tutte le differenze che non rispondono alle caratteristiche strutturali dei sistemi sociali e produttivi di ciascun Paese o che non sono legate al diverso grado di sviluppo delle economie dei Paesi membri. Ove invece le differenze dipendano appunto da tali motivi, esse andranno individuate e riconosciute, e dovrà provvedersi attraverso l’applicazione del principio di salvaguardia.
2) Sulla base di tale interpretazione nell’Appunto del 6 febbraio di questa Direzione Generale degli Affari Economici si sosteneva che il coordinamento dovesse essere enunciato «sic et simpliciter», essendo fin troppo note le strette interrelazioni esistenti tra i molteplici fattori economici e sociali, per cui ogni indicazione tassativa – sulla base di un elenco – delle materie da coordinare risulta necessariamente limitante ed erronea.
Tale tesi dovrà essere sostenuta come «posizione di massima» dell’Italia, ma è evidente che nel corso delle trattative, come già si accennava nell’Appunto, si potrà accedere ad una formulazione del principio che indichi le materie da coordinare; in tal caso perl’elencazione deve tendere ad essere la picomprensiva possibile.
3) Facendo riferimento al documento presentato dalla Delegazione belga (CCP/ CE/Doc.20) è opportuno affermare che esso costituisce un utile contributo esemplificativo al chiarimento del problema del coordinamento economico tra gli Stati membri della Comunità.
Ove persi volessero indicare nello Statuto «tutte e sole» le materie trattative [sic] nel documento belga, la nostra posizione non potrebbe essere che negativa.
In una elencazione del tipo proposto dal documento belga, dovrebbe essere infatti previsto anche il coordinamento delle politiche degli investimenti, decisive ai fini del futuro assetto del mercato comune e delle economie degli Stati membri, e dovrebbe inoltre essere inserita una clausola generale avente approssimativamente il seguente tenore: «tutte le materie non espressamente contemplate nel presente articolo possono fare oggetto di coordinamento quando civenga ritenuto opportuno, a maggioranza, dall’organo della Comunità cui il coordinamento è affidato». Si potrà in pratica accettare una formula che preveda l’estensione del coordinamento a nuove materie solo quando si abbia l’accordo unanime, ma la formulazione a maggioranza va sostenuta come posizione di principio italiana.
4) Risulta da cievidente che – salva la posizione di principio che va affermata e consacrata negli atti – si potrà in pratica accedere ad ogni formulazione che non metta dei limiti tassativi tali, per cui una eventuale richiesta di coordinamento possa domani essere respinta dalla Comunità per «incompetenza».
La formula che più si avvicina in pratica a quella italiana dovrebbe indicare solo in via generica le materie: «coordinamento delle politiche monetaria, finanziaria, economica e sociale»; ove si scenda, in sede di elencazione, ad un dettaglio maggiore, è necessaria la riserva generale di cui al punto 3.
5) La concezione indicata a pag. 4 del documento belga (essendo l’intervento della Comunità a carattere suppletivo, esso è sottomesso alla «limitazione di competenza») risulta inaccettabile ove la «competenza» debba derivare esclusivamente dalla lettera del Trattato e non anche della possibile decisione dell’organo della Comunità cui il coordinamento è affidato.
Per quanto riguarda la «limitazione di circostanze», la formulazione del documento belga purisultare troppo restrittiva. Il coordinamento deve poter riguardare non soltanto le materie di nuova definizione, ma anche – e forse soprattutto – le materie quali risultano già oggi definite nelle legislazioni dei vari Paesi. È necessario lasciare all’apprezzamento dell’organo della Comunità incaricato del coordinamento la valutazione delle circostanze nelle quali il coordinamento stesso risulti opportuno, e delle forme e dei modi che esso deve assumere.
6) Quanto alla «comunicazione obbligatoria» (documento belga, pag. 5) delle decisioni prese dalle istanze nazionali in materia economica, sociale, finanziaria e fiscale, si dovrebbe prevedere l’estensione dell’obbligo anche agli schemi di decisioni da prendere; non solo – come è fin troppo ovvio – bisognerebbe comunicare alla Comunità i testi dei provvedimenti presi, ma bisognerebbe comunicare ad essa gli schemi, i progetti e i disegni di legge in corso di preparazione, in modo che la Comunità, possa preventivamente fare le sue osservazioni, che non dovrebbero peravere carattere obbligatorio, ma dovrebbero solo servire ad orientare lo Stato interessato sulle prevedibili ripercussioni del provvedimento nei confronti del mercato comune e delle relazioni economiche nell’ambito della Comunità.
La progressività e i modi