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“Non vi parlerò dell’Italia, ma dell’Europa e non dell’Europa di ieri e di oggi, ma dell’Europa di domani, di quell’Europa che vogliamo ideare, preparare e costruire” erano le frasi di Alcide De Gasperi in un discorso alla radio, nel gennaio del 1952, quando ancora si preparava il terreno per la Conferenza di Messina e per i Trattati di Roma.
La lungimiranza politica e la speranza nel futuro europeo di De Gasperi furono spezzate soltanto dalla sua morte nell’agosto del 1954. In quel momento l’Italia era già tornata ad essere protagonista della costruzione europea. La visione di De Gasperi facilitò il cammino verso Messina e Roma. Egli rimase nei cuori di tanti italiani ed europei come “il mediatore ispirato per la democrazia e la libertà in Europa”. Uno dei grandi padri fondatori dell’Europa unita e mai più spaccata dalle guerre.
L’uscita di questa pubblicazione per le celebrazioni del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma non è casuale.
Il volume riprende lo spirito con cui già nel 1946, l’allora Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, Alcide De Gasperi, istituì la “Commissione per il riordinamento e la pubblicazione dei Documenti Diplomatici Italiani”, affidandone la guida al Professor Mario Toscano.
L’obiettivo era quello di informare il pubblico sul ruolo della diplomazia italiana in maniera oggettiva, senza pregiudizi ideologici, in un momento in cui tutti gli sforzi erano volti ad ottenere condizioni meno punitive per il Trattato di Pace e per reinserire l’Italia a pieno titolo nel consesso internazionale.
È con questo stesso spirito che il neo-costituito “Comitato Scientifico per la pubblicazione dei documenti diplomatici italiani” – erede della Commissione voluta da De Gasperi – ha deciso di inaugurare una nuova Collana tematica con un volume su “Il rilancio dell’Europa”.
Nelle pagine che seguono si può ritrovare una ricostruzione attenta dell’azione del Governo e della diplomazia italiana per tradurre in realtà lo slancio idealista europeo, fondato sul rigetto della guerra, sulla soluzione pacifica delle controversie, sull’inclusività e sulla coesione sociale, sul superamento delle barriere sia commerciali che fisiche, sull’apertura verso i vicini e verso il mondo.
Tematiche di grandissima rilevanza, oggi non meno di ieri, che troppi di noi avevano cominciato a dare quasi per scontate, anche per merito del costante progresso del cammino di integrazione continentale.
“Il rilancio dell’Europa” potrebbe essere il titolo di un libro di attualità. Molti dei temi su cui si confrontarono i padri fondatori sono gli stessi che, ancora oggi, figurano in cima alle agende delle diplomazie europee. Rileggendo le parole dei protagonisti dell’epoca si è spesso sorpresi dalla loro modernità.
La costruzione europea è scossa oggi da molteplici crisi: la crescita economica incerta, la sfida delle migrazioni, la Brexit, populismi e nazionalismi. Sono fenomeni che hanno costretto lo slancio europeista ad uno stallo senza precedenti.
La lezione del passato, ben documentata nelle pagine di questo volume, è che la Comunità Economica Europea – nata a Roma – fu da subito un attore capace di interpretare le sfide globali in misura superiore ad altri progetti paralleli – e non troppo velatamente concorrenti – come l’area di libero scambio patrocinata allora dai britannici.
Ora, non diversamente da quanto fatto sessant’anni fa, l’Europa deve recuperare la capacità di rispondere alle istanze dei propri cittadini: sicurezza, prosperità, libertà dal bisogno e dalla paura, per difendere così le nostre libertà. Il valore aggiunto di combattere uniti queste sfide deve prevalere rispetto ai rischi associati agli egoismi nazionali.
Ciò implica un ruolo di protagonista dell’Italia in Europa. Così come l’Italia guidata da De Gasperi non si lasciò trascinare dalle forze della storia, l’Italia contemporanea deve fare lo stesso.
Le risposte non sono lontane da noi: il completamento dell’integrazione economica nell’Eurozona, il rafforzamento della politica di Difesa e di Sicurezza Comune, la coesione di fronte alle migrazioni, facendo convivere responsabilità e solidarietà.
Per quanto queste sfide possano sembrarci ardue, essere uniti nell’affrontarle rappresenta un vantaggio formidabile. Regredire rispetto a quanto già fatto – tornando alle monete nazionali o ripristinando i controlli alle frontiere – non solo rappresenterebbe il tradimento dei nostri valori, ma ci allontanerebbe, e non poco, dalle soluzioni dei problemi.
Forse, guardando indietro e cogliendo quanto il processo di integrazione europeo abbia migliorato le nostre vite – superando persino le più rosee aspettative dei padri fondatori – troveremo nuove motivazioni per andare oltre gli ostacoli di oggi.
Una Europa che sappia ripartire dal coraggio che la animò sei decenni orsono e con la certezza che essa potrà contare, oggi come allora, sulla professionalità propositiva della diplomazia italiana, sul mio impegno personale come Ministro degli Esteri e sull’azione di tutto il Governo italiano. Buona lettura.
On. Angelino Alfano
Ministro degli Affari Esteri
e della Cooperazione Internazionale
Introduzione
1. Il “rilancio europeo” del 1955-1957 nella situazione politica internazionale
Nel corso della seconda guerra mondiale all’interno di alcuni movimenti di Resistenza, in particolare di ispirazione cattolica, socialista e liberaldemocratica, si manifestarono spesso interrogativi circa le ragioni che nel volgere di due decenni avevano spinto l’Europa sull’orlo della completa autodistruzione. Fra le motivazioni venne individuato fra l’altro l’esasperato nazionalismo, interpretato come la degenerazione delle aspirazioni nazionali del secolo precedente e quale simbolo della crisi dello Stato nazionale. Si fece dunque strada l’ipotesi che soluzione ideale per un futuro europeo di pace e concordia fosse il superamento dello Stato tradizionale e la creazione dell’unità europea su basi federali. Il «Manifesto di Ventotene» redatto da Altiero Spinelli con la collaborazione di Eugenio Colorni e Ernesto Rossi è considerato l’archetipo di tali progetti federalisti(1). Con la fine del conflitto questi piani vennero però rapidamente accantonati dalle stesse leadership antifasciste andate al Governo e prevalse ovunque una visione di politica estera fondata sulla tradizionale difesa degli interessi nazionali. Furono le autorità americane nella primavera del 1947 a rilanciare il progetto di unificazione europea attraverso il Piano Marshall per la ricostruzione economica del «vecchio continente». Tale piano era strettamente legato, da un lato alla tradizione politica statunitense permeata del pensiero federalista, dall’altro alla concreta esigenza di «contenere» quella che veniva percepita come una minaccia aggressiva da parte sovietica alla parte occidentale dell’Europa. L’integrazione economica, insita nel Piano Marshall, avrebbe rappresentato il primo passo verso un’integrazione politica e militare nel quadro di un saldo sistema occidentale fondato su due pilastri: il Nord America – gli Stati Uniti e il Canada – e un’Europa occidentale integrata(2)
La risposta dei Governi europei occidentali fu positiva, ma anche cauta e non esente da profonde perplessità e forti remore. Si accettò quindi la prospettiva di una blanda cooperazione intergovernativa che trovò espressione nella costituzione nella primavera del 1948 dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (O.E.C.E.), organismo destinato a gestire gli aiuti statunitensi elargiti nel quadro dello «European Recovery Program» (E.R.P.)(3). Non mancarono in realtà altri progetti più ambiziosi, quali ad esempio quello di Unione Doganale italo-francese, ma esso, al di
1 Cfr. B. Vayssière, Les origines italiennes du fédéralisme européen pendant la deuxième guerre mondiale, in «Journal of European Integration History», n. 1, 2002, pp. 37-60; nonché M. Dumoulin (a cura di), Plans des temps de guerre pour l’Europe d’après-guerre 1940/1947, Bruxelles/Milano/Parigi/Baden-Baden, Bruylant/Giuffrè/LGDJ/Nomos, 1995.
2 Fra i numerosi studi cfr. A. S. Milward, The Reconstruction of Western Europe 1945-51, London, Methuen, 1984; R. Girault e M. Levy-Leboyer (a cura di), Le Plan Marshall et le relévement économique de l’Europe, Parigi, Comité pour l’histoire économique et financière de la France, 1993.
3 R. T. Griffiths (a cura di), Explorations in OEEC History, Parigi, OECD, 1997.
là del suo fallimento, celava soprattutto il desiderio francese e italiano di creare un rapporto particolare con Washington per trarne vantaggi economici e politici in un quadro di difesa di precisi interessi nazionali. In particolare per il Governo guidato da Alcide De Gasperi, con Carlo Sforza al Ministero degli Affari Esteri si trattava di uno dei vari tentativi di avviare per un paese uscito dalla guerra sconfitto, umiliato e gravato di un duro trattato di pace, la ricostruzione di un ruolo di media potenza regionale (4) .
Agli inizi del 1948, su iniziativa della Gran Bretagna e con il consenso della Francia veniva lanciato un piano per la creazione di un’alleanza politico-militare occidentale. I due paesi dal 1947 erano legati da un accordo difensivo bilaterale – il Patto di Dunkerque - che si intendeva ora estendere alle tre nazioni del Belgio, dell’Olanda e del Lussemburgo. I responsabili di questi paesi, nell’esilio trascorso a Londra durante il conflitto, si erano d’altronde già impegnati a creare nel dopoguerra forme di stretta collaborazione che avrebbero condotto alla costituzione di un embrione di unione doganale, il Benelux. Furono proprio i leader dei tre piccoli Stati, in particolare il belga Paul-Henri Spaak a spingere affinché l’ipotesi anglo-francese si trasformasse in un’alleanza multilaterale, che avrebbe dovuto promuovere, non solo la cooperazione politico-militare, ma anche quella economica, culturale, ecc. Nel marzo del 1948 veniva così siglato dai cinque paesi europei il Patto di Bruxelles, che, sebbene non venisse dichiarato esplicitamente nel testo del trattato, rappresentava una risposta ai crescenti timori nei riguardi della posizione dell’U.R.S.S. di Stalin, in particolare all’indomani del colpo di Praga del febbraio. In realtà il Patto firmato nella capitale belga venne soprattutto utilizzato dalle autorità britanniche come strumento per spingere l’amministrazione americana a lasciarsi coinvolgere in una più ampia alleanza «atlantica» destinata a divenire la garanzia della sicurezza dell’Europa occidentale(5).
Nel frattempo, sull’onda del Piano Marshall e dei progetti sopra ricordati, si assisteva a una ripresa dei movimenti europeisti; nel maggio del 1948 i rappresentanti di varie fra queste associazioni si riunivano all’Aja in quello che venne definito il «Congresso dell’Europa». I lavori dell’assise europea condussero alla elaborazione di un vago progetto di «assemblea europea» che venne portato all’attenzione dei Governi dei cinque del Patto di Bruxelles, trovando il sostegno di alcuni esponenti governativi francesi e belgi(6). Si avviò così all’interno dell’alleanza a cinque un negoziato per la creazione di un organismo europeo di cooperazione politica. Le vaghe – a volte confuse – aspirazioni federaliste francesi e belghe vennero però ostacolate dal Foreign Office, guidato dall’esponente laburista britannico Ernest Bevin. Sin da allora Londra si mostrò contraria a ipotesi di costruzione europea di natura federalista che conducessero a una cessione di sovranità. La politica britannica si fondava d’altronde sul mantenimento del ruolo di grande potenza con responsabilità globali e perno di tre «cerchi concentrici»: il Commonwealth/Impero, la «special relationship» con gli Stati Uniti, l’Europa. La strategia di Londra sembrava d’altronde trovare coronamento nella progressiva disponibilità americana a un coinvolgimento diretto nella difesa dell’Europa occidentale. Questa evoluzione nella posizione
4 Sul progetto di unione doganale italo-francese cfr. B. Bagnato, Storia di un’illusione europea. Il progetto di unione doganale italo-francese, Londra, Lothian Foundation Press, 1995.
5 A. Varsori, Il Patto di Bruxelles (1948): tra integrazione europea e alleanza atlantica, Roma, Bonacci, 1988.
6 A. Varsori, Il Congresso dell’Europa dell’Aja (7-10 maggio 1948), in «Storia contemporanea», 21/3, 1990, pp. 463-493.
statunitense, d’altronde insita nella logica del «contenimento» e della presa di coscienza della funzione di super-potenza su scala mondiale, si tradusse nella negoziazione e nella nascita, con il trattato di Washington dell’aprile 1949, del Patto atlantico(7). Il mese successivo dieci nazioni europee siglavano a Londra un accordo che vedeva la nascita di un organismo di cooperazione politica europea, il Consiglio d’Europa, articolato in un Consiglio dei Ministri e in una Assemblea Parlamentare con sede a Strasburgo, simbolo di un primo timido tentativo di riconciliazione franco-tedesca(8). Non va dimenticato infatti come tra il 1948 e il 1949 le tre potenze occidentali – Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia – accettando la realtà della divisione del continente europeo lungo la cosiddetta «cortina di ferro» e stimolate dal «blocco di Berlino», avessero favorito la nascita di una Repubblica Federale Tedesca, ben presto coinvolta nel Piano Marshall, ma che restava nella condizione di nazione a «sovranità limitata», essendo sottoposta a un regime di occupazione militare da parte dei vincitori e non avendo diritto né a un Ministero degli Esteri, né a forze armate nazionali.
In realtà agli inizi del 1950, se il sottosistema europeo occidentale aveva cominciato a formarsi, esso appariva soprattutto come l’espressione della collaborazione fra Washington e Londra. Restava infatti in ampia misura frustrata l’aspirazione delle autorità francesi della IV Repubblica a ricostruire il ruolo della Francia quale «grande potenza», ciò anche a causa della presenza di gravi difficoltà all’interno dell’Impero – ora ribattezzato «Union Française» –, in particolare in Indocina, dove aveva avuto inizio una guerra che opponeva i francesi alle forze comuniste del Viet Minh, guidate da Ho Chi Minh. Restava inoltre irrisolto il problema del futuro rapporto con la Germania, che i francesi avrebbero desiderato vedere eliminata come pericolo alla posizione francese nel vecchio continente(9). Certo il territorio tedesco e Berlino erano ormai divisi sulla base della linea di scontro fra Est e Ovest, ma era evidente che agli occhi delle autorità americane – nonché inglesi – la Germania Ovest stava acquistando un rilievo sempre maggiore, non fosse altro per la sua forza economica, che il conflitto aveva solo in parte intaccato, ma in prospettiva anche come primo baluardo nei confronti dell’U.R.S.S. Nel volgere di breve tempo a soli pochi anni dalla fine del conflitto, la Repubblica Federale, sotto l’abile guida del Cancelliere Konrad Adenauer, avrebbe potuto divenire l’alleato privilegiato di Washington nel contesto della «guerra fredda», marginalizzando ancor più Parigi il cui ruolo appariva già fortemente indebolito. Come conciliare la dipendenza economica e militare dall’alleato americano con la necessità di mantenere una qualche forma di controllo sulla rinascita della Germania(10) ? Questo vitale interrogativo si presentò in maniera pressante nella primavera del 1950 quando a Parigi si cominciò a temere che la Repubblica Federale avrebbe ben presto ripreso il pieno controllo sulle risorse economiche delle Ruhr, che per il momento, sulla base di un accordo raggiunto tra i vincitori occidentali nel 1948 veniva esercitato da un organismo «ad hoc», l’Associazione Internazionale della Ruhr (A.I.R.). Questa era la preoccupazione non solo
7 Sulla nascita del Patto Atlantico cfr. ad esempio O. Barié (a cura di), L’alleanza occidentale. Nascita e sviluppi di un sistema di sicurezza collettivo, Bologna, il Mulino, 1988 e E. Di Nolfo (a cura di), The Atlantic Pact forty years later: a historical reappraisal, Berlino/New York, W. De Gruyter, 1991.
8 M. T. Bitsch (a cura di), Jalons pour une histoire du Conseil de l’Europe, Berna, Peter Lang, 1997.
9 P. Gerbet, Le relèvement (1944-1949), Parigi, Imprimerie Nationale, 1991
10 C. Buffet, Mourir pour Berlin. La France et l’Allemagne (1945-1949), Parigi, Armand Colin, 1991.
degli uomini di Governo, fra cui spiccava il Ministro degli Esteri, Robert Schuman (11) , ma anche del responsabile del Piano di ammodernamento dell’industria francese, Jean Monnet. Nato nel 1888 a Cognac da una famiglia di produttori vinicoli, Monnet per qualche tempo si era occupato dell’azienda paterna viaggiando soprattutto in paesi di lingua inglese. Durante la prima guerra mondiale egli divenne responsabile di una importante Commissione che si occupava di acquisti di materiale strategico negli Stati Uniti per conto del Governo francese, dando così a Monnet l’occasione di stringere forti rapporti con gli ambienti economico-finanziari americani. Nel primo dopoguerra per alcuni anni egli svolse la funzione di Vice Segretario Generale della Società delle Nazioni per poi dedicarsi negli anni ’30 alla finanza internazionale. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale gli venne affidato un compito analogo a quello svolto nel conflitto precedente. Alla caduta della Francia nel giugno 1940 Monnet in un primo tempo non si lasciò coinvolgere nella Francia Libera di de Gaulle e collaborò con il Governo americano alla trasformazione dell’apparato industriale statunitense in «arsenale della democrazia», solo nel 1943 egli si allineò a de Gaulle. Quest’ultimo, per quanto lo ritenesse troppo legato alle autorità di Washington, ne apprezzava le capacità e nel 1945 lo nominò alla guida del Commissariato per l’ammodernamento dell’economia francese, partendo dal presupposto che fra le ragioni della sconfitta francese del 1940 vi fosse stata anche la presenza di un netto divario economico industriale fra le due nazioni (12) . Nel quadro di tale progetto durante l’immediato dopoguerra vi era stato anche l’obiettivo di utilizzare le risorse tedesche, fra cui il carbone della Ruhr, per la ricostruzione dell’economia francese. Nel 1950 di fronte al possibile venir meno di tale opportunità Monnet ritenne che l’unica soluzione al problema del contrasto franco-tedesco fosse la messa in comune delle risorse dei settori carbonifero e siderurgico dei due paesi nel contesto di una comunità, che conciliasse forme di cooperazione intergovernativa e di integrazione sovranazionale. Aveva così origine il progetto, che, trovato il sostegno del Ministro degli Esteri Schuman, si sarebbe tradotto nell’omonimo Piano e dopo un negoziato di circa un anno avrebbe condotto alla firma del trattato di Parigi (18 aprile 1951) e alla nascita della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (C.E.C.A.). La C.E.C.A., organizzata intorno a un Consiglio dei Ministri, a un’Alta Autorità tendenzialmente sovranazionale, a un’Assemblea Comune, e garantita nel suo funzionamento da una Corte di Giustizia, sarebbe entrata in funzione nel 1952. In questo quadro l’Alta Autorità, organo sovranazionale dotato di ampi poteri, avrebbe avuto sede a Lussemburgo e Monnet ne sarebbe divenuto il primo Presidente. Alla C.E.C.A., oltre alla Repubblica Federale avevano aderito i tre paesi del Benelux e l’Italia, formando così la prima vera comunità europea a sei, basata sull’approccio gradualmente federalista di stampo monnetiano o, come si sarebbe definito, «funzionalista» (13) .
11 Su Robert Schuman cfr. il fondamentale R. Poidevin, Robert Schuman homme d’état 1886-1963, Parigi, Imprimerie Nationale, 1986.
12 Sulle numerose opere relative a Jean Monnet, oltre alle sue memorie, J. Monnet, Mémoires, Parigi, Fayard, 1976; cfr. E. Roussel, Jean Monnet 1888-1979, Parigi, Fayard, 1996; G. Bossuat e A. Wilkens (a cura di), Jean Monnet, l’Europe et les chemins de la paix, Parigi, Publications de la Sorbonne, 1999.
13 R. Poidevin e D. Spierenburg, Histoire de l’Haute Autorité de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier. Une expérience supranationale, Bruxelles, Bruylant, 1993; R. Ranieri e L. Tosi (a cura di), La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (1952-2002). Gli esiti del trattato in Europa e in Italia, Padova, CEDAM, 2004.
Nel frattempo, nel giugno del 1950, lo scoppio della guerra di Corea diffondeva nei responsabili occidentali il timore che lo scontro con l’U.R.S.S. potesse divenire di carattere militare e condurre a un conflitto generalizzato con un’aggressione nei riguardi della Germania Ovest da parte della Germania Est sostenuta da Mosca. Nell’estate di quell’anno gli Stati Uniti, con il sostegno britannico, avanzarono l’ipotesi di riarmare la Repubblica Federale, inserendola nell’Alleanza atlantica. Netto fu il rifiuto di Parigi, non solo perché difficilmente l’opinione pubblica francese a soli cinque anni dalla fine della guerra avrebbe accettato la prospettiva di un rinato esercito tedesco, ma anche per il timore che ciò avrebbe rappresentato il primo passo verso la leadership tedesca sull’Europa occidentale, vanificando gli esiti di due guerre mondiali. Era però evidente che, se gli Stati Uniti avessero insistito, il «veto» francese sarebbe stato reso vano; era quindi necessario trovare una soluzione alternativa di natura propositiva. Si ritenne di poter così applicare alla difesa europea il metodo utilizzato da Monnet nel settore carbo-siderurgico, che aveva goduto del pieno sostegno di Washington. Nell’ottobre del 1950 il primo ministro francese René Pleven lanciò dunque il piano, che da lui avrebbe preso nome, per la costituzione di un esercito integrato europeo (14) . Il progetto venne avanzato ai partner del negoziato sulla C.E.C.A. In questo caso però la reazione dei cinque fu fredda, mentre Washington si mostrava contraria ritenendo il progetto un tentativo di frenare il riarmo tedesco e la Gran Bretagna si espresse negativamente, come aveva fatto nel caso del Piano Schuman, a causa del carattere sovranazionale dell’iniziativa. Ciò nonostante agli inizi del 1951 il negoziato ebbe avvio, per quanto in un’atmosfera di scetticismo. Nel volgere di alcuni mesi però, anche grazie alle assicurazioni di Schuman e di Monnet presso l’amministrazione Truman circa lo spirito fortemente europeista del progetto, Washington mutò radicalmente posizione e si fece paladina di un piano che sembrava andare verso l’obiettivo della piena integrazione europea e che cominciava a godere del sostegno di vari movimenti ed esponenti federalisti. A sua volta le autorità italiane, scettiche, se non ostili al Piano Pleven, che in molti casi appariva contrario agli interessi politici, economici e strategici del paese, ritennero di dover assumere un atteggiamento positivo e propositivo. Sfruttando anche le opinioni dei federalisti, in particolare di Altiero Spinelli, De Gasperi si fece promotore del progetto affinché il Piano Pleven fosse solo il primo passo verso una unione politica di stampo federale (15). Nel maggio del 1952 a Parigi veniva così siglato dai «sei» della C.E.C.A., appena entrata in funzione, il trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (C.E.D.), al cui interno l’art. 38, inserito su sollecitazione italiana, prevedeva che con l’entrata in vigore della C.E.D. si avviasse il negoziato per la nascita di una Comunità Politica Europea (C.P.E.)(16). Contemporaneamente a Petersberg, nei pressi di Bonn, era stato firmato fra le tre potenze occidentali e il Governo della R.F.T. un accordo in base al quale la Germania Ovest avrebbe riacquistato la sua piena sovranità all’entrata in vigore del trattato di Parigi. In realtà le speranze europeiste si scontrarono presto con una forte opposizione alla ratifica del trattato C.E.D. in tutti i paesi firmatari: alle forze comuniste, mobilitate dall’U.R.S.S. e alla guida del cosiddet
14 M. Dumoulin (a cura di), La Communauté Européenne de Défense. Leçons pour demain?, Bruxelles/Berna, PIE/Peter Lang, 2000.
15 D. Preda, La battaglia per la C.E.D. e la federazione europea, Milano, Jaca Book, 1990.
16 D. Preda, Sulla soglia dell’unione. La vicenda della Comunità Politica Europea (1952-1954), Milano, Jaca Book, 1994.
to movimento dei «partigiani della pace», si affiancarono spesso i nazionalisti e settori dei partiti socialisti e socialdemocratici, senza contare tutti coloro che consideravano con timore il riarmo tedesco, per quanto in un esercito europeo. Va notato come sin dal 1950 la Gran Bretagna si fosse estraniata da qualsiasi progetto europeista di stampo sovranazionale. Alla fine del 1951 a Londra erano tornati al potere i conservatori sotto la guida di Winston Churchill con Anthony Eden agli Affari Esteri. La Gran Bretagna aveva espresso il suo sostegno esterno al progetto C.E.D., ma vi era scetticismo circa la sua operatività sul piano militare. Nello stesso anno d’altronde nel contesto di una più ampia politica di riarmo dell’Occidente gli Stati Uniti avevano rafforzato la loro presenza di truppe in Europa e concorso alla nascita della «North Atlantic Treaty Organisation» (N.A.T.O.), l’organizzazione militare integrata del Patto atlantico e avevano posto il generale Dwight Eisenhower alla testa del comando supremo delle truppe della N.A.T.O. (S.H.A.P.E.) (17) .
Tra il 1952 e il 1953 i Governi dei paesi del Benelux, con il sostegno dei movimenti europeisti, riuscirono a far ratificare il trattato di Parigi; un analogo risultato venne raggiunto dal Cancelliere Adenauer, a dispetto della forte opposizione della S.P.D., la quale temeva che il riarmo del paese avrebbe allontanato qualsiasi prospettiva di riunificazione. Il Cancelliere era al contrario convinto che solo una Repubblica Federale strettamente ancorata all’Occidente tramite la scelta europea e quella atlantica avrebbe potuto negoziare con l’U.R.S.S. la fine della divisione della Germania (18) . Più forte del previsto si rivelò l’ostilità verso la C.E.D. in Francia dove alle memorie della seconda guerra mondiale si aggiunsero la difesa delle tradizioni militari del paese, l’orgoglio nazionale e la crescente diffidenza verso un progetto visto come un’interferenza americana nelle vicende interne. La «querelle de la C.E.D.» divise così i partiti e l’opinione pubblica in un modo da ricordare il «caso Dreyfus» (19) . In Italia De Gasperi dovette contrastare l’opposizione delle sinistre rappresentate dal P.C.I. e dal P.S.I., nonché delle destre nazionaliste per giunta nel contesto della campagna elettorale per le consultazioni del giugno del ’53, già infiammate dal dibattito sulla cosiddetta «legge truffa» e dalla irrisolta questione di Trieste (20) .
La sorte della C.E.D., nonché della C.P.E., venne inoltre condizionata a partire dal 1953 da una serie di eventi internazionali. In primo luogo nel novembre del 1952 i repubblicani ritornavano alla Casa Bianca; l’amministrazione guidata da Eisenhower, con John Foster Dulles al vertice del Dipartimento di Stato, inaugurava un «New Look» in politica estera che rifuggendo dalla logica del «contenimento» mirava a una dura contrapposizione nei confronti dell’U.R.S.S. sulla base delle parole d’ordine della «liberation» e della «massive retaliation»; maggiore attenzione doveva essere prestata al «terzo mondo» dove la decolonizzazione sembrava offrire a Mosca opportunità di penetrazione. Quanto all’Europa, Eisenhower restava favorevole al processo di integrazione, ma l’amministrazione e Foster Dulles ritenevano che gli europei fossero
17 Cfr. le fonti cit. alle note 7 e 14.
18 Sulla posizione tedesca cfr. H. P. Schwarz, Konrad Adenauer. A German Politician and Statesman in a Period of War, Revolution and Reconstruction, vol. 2, The Statesman 1952-1967, Providence/Oxford, Berghahn, 1997.
19 In generale sulla politica francese in questi anni cfr. G. Bossuat, L’Europe des français, 1943-1959. La IVe République aux sources de l’Europe communautaire, Parigi, Publications de la Sorbonne, 1996.
20 D. Preda, Sulla soglia …, cit., passim.
spesso alleati riottosi e inaffidabili e si dovesse quindi «costringerli» ad accettare le scelte di Washington piuttosto che convincerli e blandirli. Tale posizione era d’altronde condivisa da un’opinione pubblica in parte condizionata dallo spirito del «maccartismo» (21) . In realtà questo atteggiamento era destinato a porre in difficoltà i sostenitori dell’integrazione, quali Monnet, che vennero sovente visti come meri «strumenti» dell’arrogante politica americana. Agli inizi del marzo del 1953 Stalin moriva improvvisamente e in U.R.S.S. il potere veniva assunto da un piccolo gruppo dei suoi più stretti collaboratori, la cosiddetta «direzione collegiale», nell’attesa che emergesse una chiara figura di leader. Solo nel 1955, dopo un’aspra lotta interna, il segretario del P.C.U.S. Nikita Kruscev avrebbe assunto tale funzione. Nel frattempo in politica estera Mosca decise di puntare su una politica di «pace» con l’Occidente, soprattutto a proposito del futuro della Germania, che però non escludeva, anzi esaltava, la lotta contro il riarmo tedesco e la C.E.D., ora più efficacemente propagandata grazie a un’apparente disponibilità al dialogo. Tale atteggiamento avrebbe spiazzato le autorità americane e creato enormi difficoltà alle leadership europee occidentali pressate dalle loro opinioni pubbliche, desiderose di una pace duratura nel «vecchio continente», come auspicato dalla propaganda sovietica, e intimorite dalla apparente bellicosità di Washington. A rendere ancor più complessa la sorte del progetto europeo, ora rappresentato dalla C.E.D. e dalla C.P.E., vi era l’evoluzione della situazione interna francese e della guerra condotta da Parigi in Indocina. Per ciò che concerne il contesto domestico, tra il 1952 e il 1953 vi era stato uno spostamento a destra dei Governi con una crescente influenza dei gollisti, profondamente ostili alla C.E.D.; i leader di governo francesi avevano così cercato di spingere gli americani a compiere concessioni sulla C.E.D., soprattutto sui caratteri sovranazionali, e a legare la ratifica del trattato al crescente sostegno di Washington al conflitto condotto dalla Francia contro il Viet Minh, conflitto che dopo il 1950 Parigi era riuscita a convincere gli americani fosse una guerra della «guerra fredda» e non una retriva guerra coloniale (22) . Un altro caso complesso era rappresentato dall’Italia, dove nel giugno del 1953 De Gasperi era uscito sconfitto dalle elezioni politiche, che avevano visto la sinistra socialcomunista mantenere le posizioni acquisite, nonché un rafforzamento delle destre nazionaliste dei monarchici e del Movimento Sociale Italiano. Si era quindi costituito un Governo monocolore D.C. guidato da Giuseppe Pella, meno entusiasta se non scettico verso l’ideale di integrazione e nei confronti della C.E.D. e della C.P.E. Al fine di rafforzare il suo esecutivo Pella aveva cercato di puntare su una politica nazionalista di contrapposizione alla Jugoslavia di Tito, ponendo inoltre gli anglo-americani di fronte a una sorta di «ricatto»: l’Italia avrebbe ratificato il trattato C.E.D. se Washington e Londra avessero sostenuto le autorità italiane sulla questione di Trieste (23) . In realtà questa politica non diede gli esiti sperati: il Governo Pella si dimise e fu sostituito da un Gabinetto di coalizione centrista sotto la presidenza di Mario Scelba, con il democristiano Attilio Piccioni agli Esteri. Il nuovo Governo confermò la sua fedeltà al trattato C.E.D. e all’impegno europeista, ma procedette con molta cautela per ciò che riguar
21 S. Dockrill, Eisenhower’s New Look National Security Policy, 1953-1961, London, Macmillan, 1996.
22 In generale cfr. G. Bossuat, op. cit.
23 M. de Leonardis, La diplomazia atlantica e la soluzione del problema di Trieste 1952-1954, Napoli, ESI, 1992.
dava la ratifica, sia per non entrare in urto con le agguerrite opposizioni, sia perché la diplomazia appariva divisa fra chi, come l’influente ambasciatore a Parigi Pietro Quaroni, sosteneva l’inutilità di ratificare, vista la mancanza di una maggioranza parlamentare a favore dell’esercito europeo in Francia, e coloro che invece ritenevano che, per coerenza verso l’ideale europeo e per fedeltà agli Stati Uniti, si dovesse in ogni caso approvare il trattato (24) . Nella primavera del 1954 però la situazione in Francia era destinata a precipitare. L’anno precedente Parigi aveva ottenuto dagli Stati Uniti come concessione l’accettazione della convocazione di una conferenza a livello dei quattro Ministri degli Esteri sul futuro della Germania, come auspicato da Mosca. In realtà l’incontro tenutosi agli inizi del ’54 non aveva dato alcun esito; poco prima, nel dicembre del ’53, Foster Dulles aveva lanciato pubblicamente un monito alle autorità francesi sostenendo che la mancata ratifica della C.E.D. avrebbe spinto Washington a un «agonizing reappraisal» del proprio impegno verso la difesa dell’Europa (25) . In realtà questa dichiarazione aveva irritato ancor più l’opinione pubblica e il mondo politico francesi. Nel frattempo in Indocina le autorità di Parigi, ormai convinte di non poter vincere la guerra, contavano di ottenere una temporanea affermazione militare sul campo che avrebbe consentito loro di puntare su una soluzione diplomatica la quale consentisse un’uscita «con onore» dal «pantano» indocinese. A questo fine il Governo di Parigi ottenne dall’amministrazione Eisenhower l’assenso alla convocazione a Ginevra di una conferenza internazionale sull’Indocina a cui avrebbero preso parte anche i rappresentanti dell’U.R.S.S. e della Cina comunista. L’operazione militare francese, imperniata sul controllo dell’area fortificata di Dien Bien Phu, volse ben presto verso un insuccesso e Washington si rifiutò di farsi coinvolgere direttamente a sostegno della piazzaforte francese che cadde pochi giorni dopo l’apertura della conferenza di Ginevra sull’Estremo Oriente (26) . La sconfitta militare provocò la caduta del Governo di Parigi e l’arrivo alla guida della Francia del radical-socialista Pierre Mendès France, notoriamente freddo nei confronti della C.E.D. e dell’integrazione sul modello di Monnet e Schuman (27) . Il nuovo Presidente del Consiglio condusse rapidamente in porto le trattative sull’Indocina attraverso un accordo, accettato anche da Mosca e da Pechino, che implicava il ritiro francese da questa parte dell’Asia, la neutralizzazione del Laos e della Cambogia e la divisione temporanea del Viet Nam, nel nord comunista e nel sud filo-occidentale. Gli Stati Uniti si rifiutarono di firmare un compromesso a loro avviso troppo favorevole al blocco comunista e presero a sospettare che fra Mendès France e i sovietici vi fosse stato un «marchandage planétaire», ovvero un atteggiamento benevolo da parte comunista sull’Indocina in cambio del «sabotaggio» della C.E.D. In effetti Mendès France aveva accolto nel suo Governo sia oppositori, sia sostenitori dell’esercito europeo, ma si era convinto dell’assenza di una maggioranza parlamentare a favore del trattato, la cui presenza era
24 A. Varsori, La Cenerentola d’Europa ? L’Italia e l’integrazione europea dal 1947 a oggi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pp. 102-118.
25 Sulle posizioni di John Foster Dulles cfr. R. H. Immerman (a cura di), John Foster Dulles and the Diplomacy of the Cold War, Princeton, Princeton University Press, 1990.
26 Sugli Stati Uniti, la Francia e la questione indocinese cfr. F. Logevall, Embers of War. The Fall of an Empire and the Making of America’s Vietnam, New York, Random House, 2012.
27 Su Pierre Mendès France e la sua politica estera cfr. F. Bedarida e J.-P. Rioux (a cura di), Pierre Mendès France et le mendesisme, Parigi, Fayard, 1985; R. Girault et alii, Pierre Mendès France et le rôle de la France dans le monde, Grenoble, Presses universitaires de Grenoble, 1991.
invece sostenuta dagli ambienti europeisti francesi e da Monnet. Da parte loro le autorità di Washington e il leader belga Spaak erano convinti che una posizione dura avrebbe costretto il premier francese a far ratificare il trattato. In agosto Mendès France si incontrò a Bruxelles con i rappresentanti degli altri cinque firmatari del trattato di Parigi, proponendo una serie di modifiche all’accordo che ne avrebbero eliminato i caratteri sovranazionali. La reazione, guidata da Spaak e da Adenauer, quest’ultimo forte della ratifica del suo paese e reduce da una trionfale vittoria elettorale, fu di netta chiusura. Nel rientrare a Parigi Mendès France fece una sosta a Londra, ove si incontrò con Churchill e Eden, i quali gli fecero comprendere come l’eventuale fine della C.E.D. non fosse vista dagli inglesi in maniera così negativa. Il Primo Ministro francese decise quindi che il suo Governo avrebbe assunto un atteggiamento neutrale e che avrebbe lasciato al Parlamento il compito di decidere sul futuro della C.E.D.. L’esito era in qualche modo scontato, con una «motion préalable» la C.E.D. venne bocciata. Sembrò aprirsi una gravissima crisi all’interno del sistema occidentale: con la C.E.D. cadeva anche l’ipotesi di C.P.E., nonché l’accordo quadripartito di Petersberg sulla restituzione della piena sovranità alla Germania Ovest; gli Stati Uniti minacciavano di ritirarsi dal continente europeo con la conseguente fine della N.A.T.O. A questo punto determinante fu l’intervento britannico.
Il Governo di Londra, pur avendo sostenuto dall’esterno la C.E.D., non aveva mai apprezzato un progetto con carattere sovranazionale, che nella visione inglese avrebbe finito con il favorire un predominio di Bonn sulla parte occidentale del «vecchio continente»; da tempo il Foreign Office aveva preso in considerazione una «soluzione di ricambio». Dopo la caduta della C.E.D., Eden cercò di ammorbidire l’amministrazione americana, poi effettuò un rapido «tour» a Bonn, Roma, Bruxelles e Parigi, esponendo un progetto fondato, da un lato sull’ingresso della Repubblica Federale nella N.A.T.O., con la conseguente accettazione della rinascita di un esercito nazionale tedesco; dall’altro sull’adesione tedesco occidentale e italiana a un riformato Patto di Bruxelles. Ottenuto un assenso di massima da tutte le parti in causa venne convocata una conferenza a Londra con la presenza dei «sei» della C.E.D., della Gran Bretagna, del Canada e degli Stati Uniti. In questa occasione il piano inglese venne accettato da tutti e Adenauer, da parte tedesca, fece propria una dichiarazione in base alla quale la Repubblica Federale Tedesca si impegnava a non costruire armi atomiche, batteriologiche e chimiche sul proprio territorio. Inoltre il Patto di Bruxelles, trasformato in Unione dell’Europa Occidentale (U.E.O.) avrebbe visto la creazione di un Comitato permanente sul controllo degli armamenti(28). Queste rassicurazioni consentirono a Parigi di accettare la prospettiva di un esercito tedesco occidentale. Va ricordato che pochi mesi dopo, il Governo Mendès France in forma segreta avrebbe assunto la decisione in base alla quale la Francia avrebbe mirato a dotarsi di un’arma atomica «nazionale»(29). Nell’ottobre nella capitale francese venivano così firmati tre importanti accordi: il primo sanciva l’ingresso della Germania Ovest nel Patto Atlantico, il secondo vedeva la nascita della U.E.O., il terzo garantiva a Bonn la piena sovranità sul proprio territorio con l’esclusione di Berlino Ovest. Gli accordi di Parigi erano una vittoria di un tradi
28 Sulla figura e l’azione di Eden cfr. ad esempio D. Dutton, Anthony Eden. A Life and Reputation, Londra, Arnold, 1997.
29 D. Mongin, La bombe atomique française (1945-1958), Bruxelles, Bruylant, 1997.
zionale approccio intergovernativo, rafforzavano il rapporto bilaterale franco-britannico, in apparenza a scapito di quello franco-tedesco e vennero interpretati come la fine dell’integrazione europea di stampo funzionalista monnetiano, come auspicato da Schuman, De Gasperi e dai movimenti europeisti. Sulla rinnovata «entente cordiale» franco-inglese influiva anche la convinzione di Parigi e di Londra di dover difendere ciò che restava del loro ruolo imperiale, messo in discussione, non solo dalla decolonizzazione, ma anche dalla evidente tendenza di Washington a non sostenere più le vecchie potenze coloniali. In questi mesi Parigi si vedeva costretta a concedere l’indipendenza al Marocco e alla Tunisia, mentre nel ’54 si apriva il conflitto algerino; da parte sua Londra accettava con il trattato concluso con l’Egitto di Nasser l’evacuazione delle proprie truppe dal Canale di Suez (30) .
Quanto all’Italia, essa accettò gli accordi di Parigi nella convinzione che esigenza prima fosse la salvaguardia della N.A.T.O. e nella speranza che il comitato per gli armamenti della U.E.O. offrisse l’occasione per riprendere il processo di integrazione(31). In questo periodo la guida del Ministero degli Esteri passava dal democristiano Attilio Piccioni al liberale Gaetano Martino, un pieno sostenitore del processo di integrazione(32). L’anno successivo l’elezione del democristiano Giovanni Gronchi alla carica di Presidente della Repubblica parve sottolineare la crescente aspirazione italiana a giocare un crescente ruolo mediterraneo traendo profitto dalle difficoltà di Parigi e di Londra.
Nel volgere di alcuni mesi si comprese come soprattutto Londra non avesse alcuna intenzione di considerare la U.E.O. uno strumento per il rilancio dell’integrazione sovranazionale; la caduta del Governo Mendès France, con la formazione di un Governo Faure, al cui interno erano presenti personalità europeiste, spinse Monnet, che nel frattempo aveva dato le dimissioni da Presidente dell’Alta Autorità, a creare un’organizzazione a sostegno dei suoi disegni, il Comitato d’Azione per gli Stati Uniti d’Europa, e a delineare un nuovo progetto europeista sul modello della C.E.C.A., una comunità europea per l’energia nucleare. Come il carbone e l’acciaio avevano favorito la ricostruzione e l’integrazione dell’Europa occidentale, lo sfruttamento dell’atomo, energia del futuro, avrebbe condotto allo sviluppo economico della parte occidentale del «vecchio continente», favorendone al contempo l’integrazione(33). Da parte loro nei primi mesi del ’55 i leader del Benelux, su spinta di Spaak(34), elaborarono un progetto di unione doganale, riprendendo un piano già presentato nel 1952 dall’olandese Beyen(35). Va notato come questi progetti non suscitassero particolare attenzione presso
30 E. Calandri, Il Mediterraneo e la difesa dell’Occidente 1947-1956. Eredità imperiali e logiche di guerra fredda, Firenze, il Maestrale, 1997; A. Donno (a cura di), Ombre di guerra fredda. Gli Stati Uniti nel Medio Oriente negli anni di Eisenhower (1953-1961), Napoli, ESI, 1998.
31 E. Calandri, The Western European Union Armaments Pool: France’s Quest for Security and European Cooperation in Transition 1951-1955, in «Journal of European Integration History», n. 1, 1995, pp. 37-64.
32 Su Gaetano Martino cfr. M. Saija e A. Villani, Gaetano Martino 1900-1967, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011.
33 Fondation Jean Monnet pour l’Europe (a cura di), Une dynamique européenne: Le Comité d’Action pour les Etats Unis d’Europe, Parigi, Economica, 2011.
34 Sul ruolo centrale svolto da Spaak cfr. M. Dumoulin, Spaak, Bruxelles, Racines, 1999.
35 In generale sul «rilancio dell’Europa» cfr. E. Serra (a cura di), Il rilancio dell’Europa e i trattati di Roma, Bruxelles/Milano/Parigi/Baden-Baden, Bruylant/Giuffrè/LGJD/Nomos, 1989; P. L. Ballini (a cura di), I trattati di Roma, vol. I, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010.
le opinioni pubbliche distratte da alcuni importanti sviluppi in ambito internazionale: l’U.R.S.S. aveva cercato, senza successo di contrastare la ratifica degli accordi di Parigi, pur continuando a perseguire una «politica di pace». In questo quadro rientrava anche l’ipotesi di porre fine all’occupazione quadripartita del territorio austriaco; proposta che trovò poi rapida attuazione con il trattato di Stato austriaco del maggio 1955 (36) . Il Governo inglese, ora guidato da Eden, nella convinzione che Londra potesse ancora svolgere un ruolo internazionale di rilievo, avanzò la proposta di una conferenza «al vertice» quadripartita che si occupasse di tutti i problemi internazionali irrisolti, fra cui il futuro della Germania. L’idea venne accettata da Mosca e da Parigi e subita da Washington che non credeva alla volontà sovietica di dialogo e diffidava della «debolezza» e della volontà di autonomia degli alleati europei; alfine si concordò che la conferenza al vertice si sarebbe tenuta nel luglio a Ginevra (37) . Questi eventi oscurarono i più prosaici progetti del Benelux, che ora includevano anche l’ipotesi di Monnet, e che avrebbero condotto alla Conferenza di Messina del giugno 1955. L’esito di Messina fu positivo, ma interlocutorio, conducendo alla nascita del Comitato Spaak che protrasse i suoi lavori sino all’inizio del 1956, fra dubbi, incertezze e considerazioni pessimistiche, ma senza che il «rilancio d’Europa» divenisse un tema di contesa presso l’opinione pubblica più ampia, attratta da altri eventi quali la Conferenza di Ginevra, la nascita del Patto di Varsavia, la visita ufficiale di Adenauer a Mosca, l’emergere di Kruscev come nuovo leader sovietico, la crescente attenzione dell’U.R.S.S. verso il «terzo mondo», che, a sua volta, sembrava volersi affermare come attore autonomo rispetto ai due blocchi anche in base ai principi elaborati alla Conferenza di Bandung dell’aprile precedente.
Come ricordato, nel febbraio del 1956, a seguito del risultato delle elezioni legislative, si formava in Francia un Governo presieduto dal socialista Guy Mollet, con il collega di partito Christian Pineau alla guida del Quai d’Orsay(38). Mollet era un europeista convinto e aveva aderito al Comitato d’Azione per gli Stati Uniti d’Europa di Monnet. Egli era dunque favorevole alla Comunità europea e a quella nucleare, per quanto fosse conscio delle resistenze esistenti nel mondo politico e nel suo stesso partito a entrambi i progetti: il primo si scontrava con la tradizione protezionista francese e con il timore di un predominio dell’industria tedesca, il secondo, a causa del suo carattere sovranazionale e pacifico, contrastava con le aspirazioni francesi a dotarsi di un’arma nucleare. D’altronde anche nella Germania di Adenuaer vi erano incertezze circa il dirigismo monnetiano e sia gli ambienti industriali, sia il ministro dell’Economia Ludwig Erhard erano scettici soprattutto nei confronti della comunità nucleare. Quanto agli inglesi, essi puntavano sull’O.E.C.E., un organismo intergovernativo, dove essi godevano del sostegno dei paesi del nord Europa, per favorire la nascita di un’area di libero scambio, senza implicazioni politiche e strutture sovranazionali. Restavano invece fedeli al progetto originario di Messina le nazioni del Benelux e l’Italia; quest’ultima vedeva con favore sia il mercato comune, sia la comunità nucleare come strumenti che avrebbero potuto favorire lo sviluppo del Mezzogiorno, l’attuazione del Piano Vanoni e, più in generale
36 A. K. Cronin, Great Power Politics and the Struggle over Austria 1945-1955, Ithaca/London, Cornell University Press, 1986.
37 G. Bischof e S. Dockrill (a cura di), Cold War Respite. The Geneva Summit of 1955, Baton Rouge, Louisiana State University Press, 2000.
38 Su Guy Mollet cfr. F. Lafon, Guy Mollet, Parigi, Fayard, 2007.
la modernizzazione e la crescita economica e sociale del paese (39) . Nel maggio la Conferenza di Venezia dei sei Ministri degli Esteri consentì l’avvio di una conferenza intergovernativa (C.I.G.) sui progetti di C.E.E. e di Euratom; i «cinque» accettavano infatti di discutere alcune condizioni poste dalla Francia; l’inclusione delle colonie dell’Africa subsahariana nel mercato comune, la creazione di una tariffa esterna comune., l’inserimento di un mercato comune per i prodotti agricoli. Nei mesi successivi comunque l’attenzione internazionale si concentrò su altri eventi, in particolare l’inasprirsi del conflitto algerino e la nazionalizzazione del Canale di Suez che spinsero Londra e Parigi a concludere un accordo segreto con Israele, preoccupata dall’atteggiamento sempre più bellicoso di Nasser verso lo Stato ebraico. In novembre Israele lanciava un attacco contro l’Egitto e in pochi giorni si avvicinò al Canale; ciò fu preso a pretesto dai Governi britannico e francese per un’operazione militare che si tradusse nell’occupazione del Canale. Ma la reazione negativa degli Stati Uniti e dell’U.R.S.S. in sede O.N.U. avrebbe costretto la Gran Bretagna e la Francia al ritiro dall’Egitto (40) . Nel frattempo negli stessi giorni si consumava la tragedia dell’insurrezione ungherese, repressa dall’U.R.S.S. senza che l’Occidente andasse oltre la generica condanna dell’intervento russo (41) . Fu in questo clima che il Governo Mollet, deluso dell’atteggiamento statunitense e della rapida arrendevolezza inglese di fronte alle prese di posizione di Washington ritenne di giocare la carta europea come unico ambito in cui la Francia avrebbe potuto continuare a esercitare un ruolo internazionale di rilievo, ma ciò implicava un accordo con la Germania di Bonn su una serie di divergenze riguardanti soprattutto la C.E.E. Da parte sua Adenauer era convinto che un riavvicinamento franco-tedesco avrebbe avvantaggiato la Repubblica Federale in Europa, nonché indirettamente nei confronti di Washington (42) . Da parte loro le autorità americane si erano mostrate molto favorevoli all’Euratom nella speranza di controllare qualsiasi sviluppo europeo occidentale in un settore così delicato, ma compiendo al contempo una serie di concessioni come dimostrato in occasione della missione dei «tre saggi» – tre esperti europei di questioni atomiche – negli Stati Uniti alla fine del 1956 (43) . Quanto alle autorità inglesi, esse cercarono di giocare fino alla fine la carta dell’O.E.C.E. come alternativa alla C.E.E. e all’Euratom, ma ormai i «sei» erano determinati a giungere a una rapida conclusione del negoziato sul «rilancio dell’Europa» (44) . Il 25 marzo, superate le ultime difficoltà, a Roma erano siglati i trattati istitutivi della C.E.E. e della C.E.E.A. Aveva così inizio, a soli due anni e mezzo dal fallimento della C.E.D., il «rilancio» della costruzione europea nella dimensione economica e sulla base del metodo funzionalista monnetiano, compimento delle speranze che erano state di uomini quali De Gasperi, Monnet, Martino, Schuman, Adenauer, Spaak, Beyen e Bech.
39 Sulla posizione italiana cfr. A. Varsori, La Cenerentola …, cit., pp. 130-147.
40 Su Suez cfr. W. R. Louis e R. Owen (a cura di), Suez 1956: the crisis and its consequences, Oxford, Clarendon Press, 1989; K. Kyle, Suez, New York, St. Martin’s Press, 1991.
41 Su Budapest cfr. ad esempio V. Sebestyen, Budapest 1956: la prima rivolta contro l’impero sovietico, Milano, Rizzoli, 2006.
42 Cfr. G.-H. Soutou, L’alliance incertaine. Les rapports politico-stratégiques franco-allemands, 1954-1996, Parigi, Fayard, 1996.
43 Cfr. A. Varsori, Gli Stati Uniti, i Sei, l’Europa: dalla Conferenza di Messina ai Trattati di Roma, in P. L. Ballini (a cura di), I Trattati di Roma, vol. I, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pp. 3-26.
44 Sulla posizione inglese in generale cfr. W. Kaiser, Using Europe Abusing the Europeans, Britain and European Integration, 1945-1963, London, Macmillan, 1996.
2. Criteri di edizione
2.1. Criteri generali. Il volume che presentiamo, il primo a essere pubblicato nella nuova serie tematica dei Documenti sulla Politica Internazionale dell’Italia, è dedicato al «rilancio europeo» e alle trattative per i due trattati firmati a Roma il 25 marzo 1957, il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (C.E.E.) e quello istitutivo della Comunità Europea dell’Energia Atomica (C.E.E.A. o Euratom). I documenti sono stati selezionati dai fondi conservati presso il Ministero degli Affari Esteri (la descrizione dei fondi utilizzati viene fornita più avanti), secondo il criterio della funzionalità a ricostruire la condotta della politica italiana su tale questione, con un’accezione piuttosto ampia di tale criterio, in modo da fornire un quadro il più possibile completo sia delle decisioni politiche, sia delle discussioni intrattenute dai rappresentanti italiani con gli altri principali Stati esteri, sia della visione che da parte italiana si ebbe delle posizioni dei Governi esteri.
Anzitutto, come si dirà meglio più avanti, è stata data la massima attenzione ai dispacci di istruzioni provenienti dall’Amministrazione centrale – sia dal Ministro sia dal Segretario Generale o dagli altri principali funzionari coinvolti nella trattazione dei problemi europei – e agli altri documenti dai quali la posizione italiana risulta desumibile. Infatti i dispacci di istruzioni a firma del Ministro degli Affari Esteri, Gaetano Martino, sono piuttosto rari e scarni e si sono quindi inclusi documenti redatti dagli uffici nei quali viene proposta la condotta del Governo italiano, che risultino successivamente approvati dal Ministro.
La scelta dei documenti, ovviamente, non è stata limitata ai soli documenti riguardanti strettamente le trattative fra i sei membri della C.E.C.A. nella preparazione della Conferenza di Messina, in relazione alle Conferenze del Consiglio dei Ministri degli Affari Esteri di Noordwijk, di Bruxelles, di Venezia e di Parigi e nei lavori della Conferenza intergovernativa di Bruxelles per la stesura dei trattati sul Mercato Comune e sull’Euratom, bensì ha dovuto necessariamente comprendere anche la documentazione riguardante le discussioni nell’ambito dell’O.E.C.E. e dell’U.E.O. e, in misura minore, del Consiglio d’Europa, data la continua connessione esistente fra i negoziati condotti dai paesi della C.E.C.A. e le discussioni all’interno degli altri due organismi europei, nei quali sedeva anche il Regno Unito. Inoltre si è dovuta operare anche una scelta riguardo ai documenti sui rapporti bilaterali con i principali Governi interlocutori, in specie negli incontri bilaterali. È infatti normale che tali incontri riguardino un’agenda piuttosto ampia, che comprende varie problematiche sia dei rapporti bilaterali sia di questioni internazionali rilevanti nel momento, oltre alle questioni direttamente concernenti la «rélance» europea; tuttavia non si è ritenuto né di escludere tali documenti, anche se dovranno verosimilmente essere pubblicati in altri volumi concernenti le altre questioni trattate negli incontri, né pubblicarne uno stralcio, dato che è stato adottato il criterio di pubblicare tutti i documenti integralmente e senza apportare alcuna modifica od omissione. Si è quindi preferito largheggiare e includere anche quei documenti che, a rigore, concernerebbero principalmente altre questioni, ma che risultano essenziali per cogliere lo stato dei rapporti con gli altri Governi interessati ai negoziati per il rilancio europeo. In questo modo il volume ha una sua autonomia e consente di percorrere in modo completo l’iter negoziale, dal punto di vista italiano, fino alla firma dei trattati. Infine, si sono pubblicati nel volume esclusivamente i documenti promananti dal Ministero degli Affari Esteri italiano, salvo il caso di alcuni allegati e delle lettere indirizzate da Ministri di Stati esteri al Ministro; mentre nel volume di appendice sono pubblicati tutti i verbali delle Conferenze intergovernative, alle cui sedute era presente il rappresentante italiano.
2.2. I negoziati in ambito C.E.C.A. Il volume si apre con il colloquio del 2 aprile 1955, a Bruxelles, fra il presidente dell’Assemblea Comune della C.E.C.A., Giuseppe Pella, e il Ministro degli Affari Esteri del Belgio, Paul Henri Spaak, il quale annunciò la propria intenzione, nel corso dell’imminente riunione dei Ministri della C.E.C.A., di proporre a nome del Benelux l’estensione delle competenze della Comunità alle altre fonti di energia, oltre al carbone, e al settore dei trasporti (D. 1). Si è assunto questo, infatti, come dies a quo del processo del «rilancio» vero e proprio, anche se la sua origine può essere posta al momento del fallimento della Comunità Europea di Difesa, con il voto al Parlamento francese del 30 agosto 1954. Il periodo successivo a tale fallimento, tuttavia, è occupato dai negoziati che portano alla soluzione alternativa alla C.E.D., rappresentata dalla nascita dell’Unione Europea Occidentale, nelle due Conferenze di Londra e di Parigi, e nella conseguente accessione della Repubblica Federale Tedesca al Patto di Bruxelles e trasformazione di quest’ultimo in U.E.O., con la firma degli Accordi di Parigi del 23 ottobre 1954, negoziati che faranno parte di un altro volume a questi dedicato. L’entrata in vigore del Trattato di Parigi, a seguito dell’approvazione da parte del Consiglio della Repubblica francese, il 27 marzo 1955, e del deposito delle ratifiche, precede dunque di pochi giorni l’iniziativa belga. Quest’ultima era una conseguenza, da un lato, appunto, del fallimento della C.E.D. e del mancato sviluppo dell’U.E.O. nella direzione di un’integrazione politica europea, e, dall’altro lato, della crisi in cui versava la C.E.C.A., crisi aggravata a seguito dell’annuncio di Monnet, il 10 novembre 1954, di non ripresentare la propria candidatura alla presidenza della Comunità al momento della scadenza, il 10 febbraio 1955.
Il 7 aprile Spaak scrisse una lettera a Martino in cui avanzava l’idea di una conferenza internazionale per approfondire la questione in vista della redazione di un trattato; di fronte alle posizioni poco incoraggianti della Germania, contraria a un’integrazione per settori e favorevole invece alla creazione di un mercato comune, e della Francia, dove appariva difficile far accettare il rilancio europeo attraverso la C.E.C.A, Spaak scriveva: «Je crois cependant que si les pays de Benelux, appuyés par l’Italie, pouvaient prendre une initiative, celle-ci pourrait être couronnée de succès. Je ne sais pas si nous pourrions obtenir tout ce que je propose, mais nous pourrions cependant arriver à un compromis satisfaisant» (D. 6). Martino rispose il 22 aprile, confermando che il Governo italiano avrebbe appoggiato l’iniziativa (D. 13). L’impostazione delle direttive di Martino sulle trattative che stavano prendendo le mosse risulta da un appunto del Direttore degli Affari Economici del Ministero degli Affari Esteri, Cattani, del 6 maggio 1955, sul quale si trovarono d’accordo anzitutto il Segretario Generale, Rossi Longhi e il Direttore Generale degli Affari Politici, Magistrati, e che ebbe in seguito anche l’approvazione del Ministro, quindi trasmesso alle Ambasciate in Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Olanda e Lussemburgo e alla Delegazione presso l’O.E.C.E.: l’Italia era favorevole all’integrazione «orizzontale», alla quale si avvicinava l’idea di creare una zona di libero scambio, e non a un’integrazione sopranazionale «per settore», ma non si rifiutava di esaminare proposte integrative per settore, purché nel contesto degli organismi europei esistenti ed era favorevole a quei metodi di integrazioni che avessero consentito la partecipazione del maggior numero possibile di paesi europei (D. 21).
La proposta iniziale di Spaak, di carattere volutamente limitato, ebbe un’immediata evoluzione con la decisione del Ministro degli Affari Esteri olandese, Beyen, di ripresentare la propria proposta originaria sulla realizzazione di una comunità economica europea basata sul libero mercato, il «Piano Beyen», presentato l’11 gennaio 1952 al Consiglio dei Ministri della C.E.C.A., costituendo, insieme alla proposta di allargamento delle competenze della comunità «a sei», quello che si iniziò a definire il «piano Spaak-Beyen» (D. 7). Nel corso delle riunioni del Consiglio Direttivo dell’Unione dell’Europa Occidentale, a Parigi, il 9-11 maggio (D. 22), i Ministri del Benelux consegnarono ai «Sei» membri della C.E.C.A. la loro proposta, contenuta nel memorandum datato 8 maggio, per aprire una «nuova tappa» nella direzione dell’integrazione europea in campo economico: «Ils estiment qu’il faut poursuivre l’établissement d’une Europe unie par le développement d’institutions communes, la fusion progressive des économies nationales, la création d’un grand marché commun et l’harmonisation progressive de leur politique sociale. Une telle politique leur parait indispensable pour maintenir à l’Europe la place qu’elle occupe dans le monde, pour lui rendre son influence et son rayonnement et pour augmenter d’une manière continue le niveau de vie de sa population». Tale obiettivo doveva essere perseguito mediante l’estensione delle basi comuni di sviluppo nei settori dei trasporti, dell’energia e delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare; inoltre, per quanto riguardava l’integrazione economica generale, i paesi del Benelux ritenevano che bisognasse tendere alla realizzazione di «una comunità economica» fondata su un mercato comune attraverso la soppressione progressiva delle restrizioni quantitative al commercio e dei diritti di dogana (D. 26, Allegato). In quell’occasione, a Parigi, nel corso della riunione del Consiglio Direttivo dell’U.E.O., venne deciso di tenere una conferenza fra i governi dei sei membri della C.E.C.A., conferenza che si sarebbe svolta a Messina ai primi di giugno (D. 22). La scelta della sede della conferenza era dovuta al ruolo di appoggio che il Governo italiano aveva assunto nei confronti della proposta del Benelux e al desiderio espresso dal Ministro degli Affari Esteri italiano, Martino, che era appunto di Messina (D. 24). Dunque la proposta dei Governi del Benelux riguardava due proposte di «rilancio»: l’allargamento delle basi comuni di sviluppo economico ai trasporti, all’energia e alle applicazioni pacifiche dell’energia atomica; e la realizzazione di una «comunità economica» fondata su un mercato comune, da realizzarsi mediante la soppressione progressiva delle restrizioni quantitative e dei diritti di dogana.
Il quadro della situazione europea non appariva incoraggiante, come risulta dalle relazioni degli Ambasciatori accreditati presso le principali Ambasciate, a cominciare, soprattutto, dal Rappresentante italiano a Parigi, l’Ambasciatore Pietro Quaroni, del quale vengono pubblicati numerosi rapporti sul sentimento francese, sia del Governo, sia delle forze politiche nel Parlamento, nei riguardi di nuove proposte di integrazione europea: il rapporto del 5 aprile 1955 (D. 4), il rapporto del 22 aprile (D. 14), nei quali esprimeva una valutazione pessimistica sull’orientamento della Francia verso una ripresa del processo di integrazione. In particolare, riferendo il 7 febbraio 1956 di un colloquio con Pineau, al quale aveva comunicato che l’Italia era contraria a integrazioni per settori e favorevole invece solo al mercato comune, Quaroni concludeva lapidariamente: «Avendo fatto con questo il mio dovere verso il Governo francese, mancherei al mio dovere verso quello italiano se non confermassi che, checché ci possano dire in proposito alcuni nostri amici europeisti francesi, non c’è la minima chance che qualsiasi mercato comune, anche ridotto assai, passi davanti al Parlamento francese» (D. 127). E ancora, il 23 febbraio 1956, dopo la Conferenza di Bruxelles, in una lunga disamina delle profonde origini dei sentimenti europeisti francesi, si soffermava sull’effettivo significato e sui limiti del «sopranazionalismo» e del «verticalismo» francesi, incentrati nel problema dei rapporti con la Germania e nell’aspirazione a realizzare «l’ultimo tentativo di costituire un’Europa francese» (D. 147), e nel rapporto del 10 aprile ribadiva l’impossibilità di un’accettazione francese del mercato comune (D. 164). Analisi pessimistiche che vennero puntualmente confermate in occasione degli incontri italo-francesi del 25-27 aprile 1956 (DD. 170 e 172).
Anche da parte tedesca apparvero sussistere difficoltà di fondo, che emersero nel memorandum presentato dal Sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri, Hallstein alla Conferenza di Messina, nel quale si indicava una posizione contraria all’europeismo «sovranazionale» e a favore invece di quello federalistico o «cooperativistico», dunque sostanzialmente indisponibile alle proposte del Benelux (D. 42 e Appendice documentaria, D. 1, Annexe V). In effetti il Governo tedesco corresse tale interpretazione con una nuova dichiarazione presentata dallo stesso Hallstein ai Capi delle Delegazioni della Commissione istituita dalla Conferenza di Messina il 9 luglio 1955 (D. 57, Allegato II), ma i dubbi sulle reali intenzioni della Germania persistettero a lungo. Anche la posizione del Governo del Regno Unito, come si vedrà più avanti, era fortemente contraria alle proposte del Benelux.
Dunque, fra il 2 aprile e l’11 maggio 1955 le linee essenziali del negoziato che doveva condurre ai Trattati di Roma erano ormai stabilite. Sulla preparazione della Conferenza di Messina si pubblicano i verbali delle due riunioni interministeriali che si tennero alla fine di maggio del 1955: la riunione del 24 maggio, presso la Direzione Generale degli Affari Economici del Ministero, a livello dei Direttori Generali dei Ministeri interessati (D. 33) e quella immediatamente successiva del 26 maggio, a livello dei Ministri, presieduta dal Ministro degli Affari Esteri, Martino (D. 35). Per la conduzione del negoziato di Messina venne predisposto un appunto, nel quale anzitutto si affermava che, per evitare la situazione negativa verificatasi nella C.E.C.A., con il sopravvento del Consiglio dei Ministri sulla Comunità, che dava luogo alla formazione costante di maggioranze a sfavore dell’Italia, si doveva chiedere ai sei Ministri di «riconfermare solennemente […] la volontà dei loro Governi di eseguire pienamente e lealmente gli impegni del Trattato C.E.C.A.». Per quanto riguardava l’integrazione europea, si ribadiva che la posizione italiana era sempre stata a favore dell’«approccio orizzontale» e si delineava la tattica da seguire, basata sulla prudenza e moderazione, data la posizione incerta della Germania e lo scarso entusiasmo dimostrato dalla Francia (D. 36).
Sullo svolgimento della Conferenza di Messina, dal 1° al 3 giugno 1955, si pubblica un appunto di Magistrati, che forniva una prima valutazione (D. 43), non essendo stata rinvenuta la relazione redatta da Cattani(45). In Appendice si trovano i
45 Vedi infra, p. XLI, sull’indisponibilità del fondo della Direzione Generale Affari Economici.
verbali della conferenza e i memoranda presentati dalle Delegazioni alla conferenza, fra cui quello italiano. Principale decisione del Consiglio dei Ministri a Messina fu la convocazione di una o più conferenze per elaborare i trattati sugli argomenti discussi, e in vista di tali conferenze di affidare il lavoro preparatorio a un comitato di delegati governativi, la cui presidenza venne assunta da Spaak (D. 46). La delegazione italiana, la cui presidenza venne affidata all’On. Lodovico Benvenuti, fu composta dall’Ambasciatore Attilio Cattani (Direttore Generale degli Affari Economici del Ministero degli Affari Esteri); dal primo segretario Roberto Ducci e dal secondo segretario Franco Bobba (della stessa Direzione Generale); da Aldo Silvestri Amari (Direttore Generale del Ministero del Commercio e Industria); da Giuseppe Ferlesch (Direttore Generale del Ministero del Commercio Estero); dal Prof. Felice Ippolito (Segretario Generale del Comitato Nazionale delle Ricerche Nucleari); da Giovanni Rivano (del Ministero del Tesoro); dal Prof. Guido Carli (Consigliere dell’Ufficio Italiano dei Cambi); da Achille Albonetti (Attaché presso la Rappresentanza italiana all’O.E.C.E.); dal Prof. Riccardo Monaco (Segretario Generale del Contenzioso Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri); e dall’avv. Nicola Catalano (Vice Avvocato dello Stato). (46)
Tabella 1: C.E.C.A. - Riunioni dei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. e del Comitato Intergovernativo istituito dalla Conferenza di Messina |
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Riunione |
Data |
Documenti |
Conferenza dei Ministri degli Esteri dei Paesi C.E.C.A. a Messina |
1-3 giugno 1955 |
D. 43; A1 |
Riunione di apertura della Conferenza Intergovernativa46 |
9 luglio 1955 |
D. 55, 57 |
Riunione del Comitato Direttivo |
18 luglio 1955 |
D. 62 |
Riunione del Comitato Direttivo |
2 agosto 1955 |
D. 71, 73 |
Riunione del Comitato Direttivo |
5 settembre 1955 |
D. 84 |
Conferenza del Consiglio dei Ministri degli Esteri dei Paesi della C.E.C.A. a Noordwijk |
6 settembre 1955 |
D. 85; A2 |
Riunione del Comitato Direttivo |
3 ottobre 1955 |
D. 94 |
Riunione del Comitato Direttivo |
1° dicembre 1955 |
D. 106 |
Conferenza dei Ministri degli Esteri dei Paesi C.E.C.A. di Bruxelles |
11-12 febbraio 1956 |
D. 132; A3 |
Riunione del Comitato Direttivo |
13-14 febbraio 1956 |
D. 134 |
Riunione del Comitato Direttivo |
23-24 febbraio 1956 |
D. 145 |
Riunione del Comitato Direttivo |
7-8-9 marzo 1956 |
D. 151 |
Sessione straordinaria dell’Assemblea Comune della C.E.C.A. |
13-16 marzo 1956 |
D. 157, 162 |
Riunione conclusiva del Comitato Intergovernativo |
18-21 aprile 1956 |
D. 166 46 Nella quale viene istituito il Comitato Direttivo della Conferenza Intergovernativa, costituito dai Capi delle Delegazioni. |
Conferenza dei Ministri degli Esteri dei Paesi della C.E.C.A. a Venezia |
29-30 maggio 1956 |
D. 177, 178, D. 180; A4 |
Riunione del Comitato Direttivo (Conferenza di Bruxelles) |
26 giugno 1956 |
D. 184 |
Gruppo redazionale per il Mercato Comune |
28 giugno 1956 |
D. 185 |
Gruppo redazionale per l’Euratom |
3-4 luglio 1956 |
D. 197 |
Gruppo redazionale Euratom |
14 luglio 1956 |
D. 189 |
Gruppo redazionale per il Mercato Comune |
21 luglio 1956 |
D. 196 |
Riunione del Comitato Direttivo |
21 settembre 1956 |
D. 213, 215 |
Conferenza del Consiglio dei Ministri degli Esteri dei Paesi della C.E.C.A a Parigi |
20-21 ottobre 1956 |
D. 223, 224, 225; A5 |
Riunione del Comitato Direttivo |
16 novembre 1956 |
D. 230 |
Riunione del Comitato Direttivo |
22 novembre 1956 |
D. 232 |
Riunione del Comitato Direttivo |
4-5 gennaio 1957 |
D. 244 |
Riunione del Comitato Direttivo |
19 gennaio 1957 |
D. 260, 261 |
Riunione del Comitato Direttivo |
21 gennaio 1957 |
D. 267 |
Conferenza del Consiglio dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Bruxelles |
26-28 gennaio e 4 febbraio 1957 |
D. 271, 272, 273; A6 |
Riunione del Comitato Direttivo |
9 febbraio 1957 |
D. 286 |
Conferenza del Consiglio dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Parigi |
18 febbraio 1957 |
A7 |
Conferenza dei Capi di Governo e dei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. a Parigi |
19-20 febbraio 1957 |
A8 |
N.B. I documenti pubblicati nel volume di Appendice sono indicati con la sigla A seguita dal numero del documento. |
La prima riunione del Comitato dei delegati governativi, o Comitato Intergovernativo, come venne successivamente chiamato, si tenne a Bruxelles il 9 luglio 1955 e nel suo corso venne deciso di istituire un Comitato Direttivo («Comité Directeur»), composto dai Capi delle Delegazioni, e quattro Commissioni: una Commissione per il Mercato Comune, per gli Investimenti e per i Problemi Sociali (presieduta dall’olandese Prof. Verrijn-Stuart), con due Sottocommissioni, una per gli Investimenti (presieduta dall’italiano Prof. Di Nardi) e una per i Problemi Sociali (presieduta dal francese Doublet); una Commissione per l’Energia Classica (presieduta dal tedesco Heesemann); una Commissione per l’Energia Nucleare (presieduta dal francese Armand); e una Commissione per i Trasporti e per i Lavori Pubblici (presieduta dall’italiano Prof. Laloni), con una Sottocommissione per il Trasporto Aereo (presieduta dal tedesco Wegerdt). Il Comitato Direttivo tornò quindi a riunirsi a Bruxelles il 18 luglio e le Commissioni si riunirono, sempre a Bruxelles, a partire dal 20 luglio (si veda nella Tabella 1 l’elenco delle riunioni e conferenze in ambito C.E.C.A. e Conferenza intergovernativa documentate nel volume). La documentazione pubblicata consente di seguire i lavori delle Commissioni, dopo la definizione dei termini del mandato da parte del Comitato Direttivo, a partire dal 20 luglio: in particolare quelli della Commissione Mercato Comune, che, dopo la prima riunione del 22 luglio (DD. 65 e 74), si riunì dal 26 al 28 luglio (DD. 66 e 69), il 2 e il 4 agosto (DD. 71, 74 e 83). Un elemento rilevante del metodo di lavoro delle Commissioni e, in particolare, di quella per il Mercato Comune, fu lo spirito pragmatico con cui vennero affrontati i problemi, senza sollevare preliminarmente le questioni di carattere istituzionale: come osservò Ducci, «la querelle des institutions è quasi totalmente assente» (D. 83). Il 2 agosto si riunì nuovamente il Comitato Direttivo per ascoltare le relazioni dei presidenti delle Commissioni e Sottocommissioni (D. 71). Il 30 e 31 agosto si riunì ancora la Commissione per il Mercato Comune (D. 89). Una terza riunione del Comitato Direttivo si svolse il 5 settembre, alla vigilia della riunione del Consiglio dei Ministri (D. 84) (vedi Tabella 2).
Tabella 2: Riunioni della Commissione Mercato Comune del Comitato Intergovernativo |
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Riunione |
Data |
Documenti |
Riunione della Commissione Mercato Comune |
22 luglio 1955 |
D. 65, 74 |
Riunione della Commissione Mercato Comune |
26-27-28 luglio 1955 |
D. 66, 69 |
Riunione della Commissione Mercato Comune |
2 agosto 1955 |
D. 74 |
Riunione della Commissione Mercato Comune |
4 agosto 1955 |
D. 74 |
Riunione della Commissione Mercato Comune |
30-31 agosto 1955 |
D. 89 |
Riunione della Commissione Mercato Comune |
20-21, 29 settembre 1955 |
D. 101 |
Riunione della Commissione Mercato Comune |
13 ottobre 1955 |
D. 101 |
Il 6 settembre 1955 si riunì il Consiglio dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Noordwijk, presso L’Aja, nella quale occasione Spaak presentò il suo primo rapporto. Sulla conferenza si pubblica un dettagliato appunto di Magistrati, nel quale vengono riportate le dichiarazioni rese da Martino (D. 85), il verbale di una riunione interna del Ministero, presieduta dal Segretario Generale, che ebbe luogo il 12 settembre (D. 88), nonché le direttive emanate il 29 settembre dal Ministero per la Commissione Mercato Comune (D. 91). Nella riunione vennero decise le successive scadenze per il «rilancio»: il 31 ottobre (47) le commissioni di esperti avrebbero presentato le proprie conclusioni e, dopo tale data, il rapporto finale del Comitato Direttivo sarebbe stato presentato ai Governi. Il 20-21 e il 29 settembre si riunì nuovamente la Commissione Mercato Comune (D. 101), che il 13 ottobre approvò il rapporto finale; il Comitato Direttivo si riunì il 3 ottobre (D. 94) e il 1° dicembre per discutere i «documenti di lavoro» (48) , redatti a cura di Spaak, per la preparazione del rapporto finale sul Mercato Comune, dopo di che il Comitato aggiornò i lavori alla metà di gennaio; quindi sarebbero stati approntati altri documenti di lavoro che il Comitato Direttivo dei Capi Delegazioni avrebbe dovuto esaminare con il testo del rapporto finale, che sarebbe
47 Data successivamente anticipata al 15 ottobre: vedi D. 95.
48 Erano 6: il documento n. 1, sulla struttura del trattato; il documento n. 2, sul metodo per la soppressione dei diritti doganali; il documento n. 3, sulla tariffa verso i paesi terzi; il documento n. 4, sul metodo per la soppressione dei contingenti; il documento n. 5, sull’agricoltura; il documento n. 6, sulle istituzioni.
infine stato sottoposto a una nuova conferenza dei Ministri degli Affari Esteri alla fine di febbraio o all’inizio di marzo (DD. 106 e 108). I lavori tuttavia subirono una pausa in relazione alle elezioni francesi, che si svolsero il 2 gennaio 1956.
L’11 e il 12 febbraio 1956, sotto la presidenza di Spaak, si tenne a Bruxelles la Conferenza dei Ministri degli Affari Esteri dei sei membri della C.E.C.A., sulla quale si pubblica un appunto della Direzione Generale Affari Economici (D. 132). Non essendo stato redatto un rapporto finale, la riunione ebbe come principale oggetto l’esposizione orale di Spaak sugli elementi di accordo raggiunti riguardo all’«installazione» di un «mercato comune generale» fra i sei paesi e venne fissata la data del 15 marzo per la presentazione del rapporto finale, dopo di che si sarebbe tenuta, probabilmente a Roma, una nuova riunione dei Ministri. Quindi Spaak presentò una relazione, anch’essa orale, sullo stato degli studi riguardo all’Euratom, sulla base di un documento di lavoro che ricalcava il rapporto Armand. Al termine della riunione dei sei Ministri si svolse, il 13 e 14 febbraio, una nuova riunione dei Capi Delegazione, o Comitato Direttivo della Conferenza Intergovernativa, dedicata sia alla questione dell’Euratom che a quella del Mercato Comune. In merito a quest’ultimo venne esaminato a fondo il problema istituzionale, sul quale si raggiunse la determinazione di escludere «formule ideologiche» sulla sovranazionalità dal dibattito e di «disegnare le grandi linee di un edificio che sia funzionale anche se non ispirato alla logica formale delle costituzioni scritte». In sostanza, venne stabilito di adottare un sistema nel quale, diversamente dal caso della C.E.C.A., assumessero «maggiore rilievo gli organi intergovernativi rispetto a quelli comunitari»: dunque, secondo la terminologia dell’epoca, il principio federativo rispetto a quello sovranazionale. Pertanto si sarebbero riservate al «Consiglio dei Ministri» le decisioni più importanti, e in particolare quelle che avrebbero dovuto regolare il ritmo di progresso del mercato comune. Secondo la formula proposta da Spaak si sarebbe dovuto adottare il principio dell’unanimità con alcune eccezioni, trasformando quindi tale regola in quella della maggioranza qualificata. Su questo punto si aprì un dibattito, nel quale il Rappresentante francese si oppose alla rinuncia alla regola dell’unanimità e la decisione venne rinviata a una riunione successiva. Vi sarebbe poi stato un organo, provvisoriamente denominato «Commissione Europea», al quale sarebbero state affidate alcune decisioni e le istruttorie in casi di violazione delle regole, da sottoporre al giudizio della Corte; la «Corte di Giustizia della C.E.C.A.» sarebbe stata allargata nelle sue competenze; infine, l’Assemblea della C.E.C.A avrebbe visto aumentati il numero dei suoi membri e avrebbe avuto il compito di votare mozioni di censura alla Commissione e di approvare i bilanci – dunque compiti assai limitati (D. 134). Il 23 e 24 febbraio tornò a riunirsi il Comitato Direttivo per continuare la discussione dei problemi relativi all’organizzazione dell’Euratom, all’abolizione delle restrizioni quantitative sugli scambi e all’utilizzazione delle risorse comuni mediante il fondo di investimenti (D. 145). Dalla discussione emerse che non sarebbe stato possibile concludere l’esame e stilare il rapporto finale entro il 15 marzo ma solo per l’inizio di aprile e che, quindi, la successiva riunione dei Ministri si sarebbe potuta tenere solo alla fine di aprile.
Il 7, l’8 e il 9 marzo 1956 si svolse l’ultima riunione del Comitato Direttivo dei Capi Delegazione per la discussione del rapporto finale, la cui stesura venne affidata a quattro redattori: Pierre Uri, von der Groeben, Hupperts e Guazzugli. Il testo del rapporto sarebbe quindi stato diramato ai Capi Delegazione, i quali si sarebbero nuovamente riuniti il 18 aprile. Quindi la riunione dei Ministri degli Affari Esteri si sarebbe potuta tenere, probabilmente in Italia, nella seconda metà di maggio (D. 151). Dal 13 al 16 maggio, sotto la presidenza di Pella, nella sede del Senato belga, si tenne la sessione straordinaria dell’Assemblea Comune della C.E.C.A., consacrata alla discussione dei progressi compiuti sul «rilancio», sulla quale si pubblica un appunto del Direttore Generale degli Affari Politici, Cattani, e un telespresso del Capo dell’Ufficio IV della medesima Direzione, indirizzato alla Presidenza del Consiglio e ai vari Ministeri interessati (D. 157). Infine, dal 18 al 21 aprile si tennero le riunioni conclusive del Comitato Direttivo, con l’approvazione del rapporto finale, destinato a essere sottoposto ai Ministri degli Esteri nella Conferenza di Venezia. Secondo il bilancio redatto dal Direttore Generale degli Affari Economici, Cattani, se il rapporto aveva potuto essere approvato all’unanimità ciò era dovuto da un lato al fatto che le Delegazioni non impegnassero i Governi e, dall’altro lato, al fatto che le decisioni più importanti fossero state rinviate. Pur tuttavia, secondo Cattani, per quanto riguardava il mercato comune, che era «lo spauracchio di molta parte dell’opinione pubblica e non solo in Francia», si poteva rilevare che probabilmente il rapporto avrebbe convinto i «lettori in buona fede» che quel «grande esperimento non [fosse] tecnicamente irrealizzabile» (D. 166).
Dopo la distribuzione del rapporto finale (il «rapporto Spaak» (49) ), il 29 e 30 maggio, sotto la presidenza di Pineau, si svolse la Conferenza di Venezia dei Ministri degli Affari Esteri dei «Sei» per la discussione del rapporto Spaak, su cui si pubblica una relazione di Ducci, Vice Direttore Generale degli Affari Economici. Nel corso della discussione il Governo francese sollevò due obiezioni di fondo: la prima relativa alla posizione dei territori d’oltremare dei paesi membri del Mercato Comune e la seconda relativa alla necessità di non fissare un termine fisso (quattro anni, secondo il rapporto Spaak) all’attuazione delle misure attuative del Mercato Comune. Inoltre un punto su cui si registrarono divergenze fu quello dell’armonizzazione delle politiche monetarie, finanziarie e commerciali. Per quanto riguardava l’Euratom rimaneva ancora indecisa nel rapporto Spaak la questione dell’impiego a fini militari dell’energia nucleare. Su tali problemi si convenne di continuare la discussione, ma il rapporto Spaak fu approvato come «base di discussione» e fu convenuto di convocare una conferenza per la redazione dei trattati, che venne fissata a Bruxelles per il 26 giugno, sotto la presidenza di Spaak (D. 178). La Conferenza di Bruxelles fu articolata in una prima fase, nella quale sarebbero state nominate due Commissioni, una per il Mercato Comune e l’altra per l’Euratom: alla presidenza della prima venne nominato il tedesco von der Groeben e a quella della seconda il francese Guillaumat; inoltre venne nominato un terzo Comitato per la redazione e il coordinamento dei testi, alla cui presidenza fu nominato Ducci. I lavori della Conferenza proseguirono dal 26 giugno al 21 luglio 1956, per essere ripresi, dopo la pausa estiva, il 4 settembre. Nel frattempo i Capi Delegazioni si sarebbero riuniti il 10 luglio (D. 184). Il 26 luglio si riunì il Comitato Direttivo per discutere, anche alla luce del dibattito testé avvenuto all’Assemblea Nazionale francese, sull’Euratom, rinviando la discussione dei problemi alla successiva riunione, dopo il periodo di sospensione, il 6 settembre (D. 198).
49 Comité Intergouvernemental créé par la Conférence de Messine, Rapport des Chefs de Délégation aux Ministres des Affaires Étrangères, Bruxelles, 21 avril 1956, Secrétariat (Mae 120 f/56).
In questa fase, fra l’interruzione estiva e la ripresa, da parte del Governo tedesco venne sollevato, con un appunto consegnato al Governo italiano il 17 luglio, il principio del collegamento fra Euratom e Mercato Comune, nel senso che il primo doveva essere considerato parte del mercato comune generale e che quest’ultimo doveva essere considerato un «préalable» dell’integrazione atomica: vale a dire il principio del cosiddetto «Junktim» (50) fra Euratom e Mercato Comune (D. 194 e 209). Contemporaneamente da parte del Governo francese venne presentata la richiesta di un protocollo speciale per la Francia, allegato al trattato istitutivo del Mercato Comune, basato sul principio del mantenimento, «finché necessario», di tasse compensatorie e di aiuti all’esportazione (D. 211). In proposito si pubblica una lunga relazione del Capo della Delegazione italiana, Lodovico Benvenuti (D. 214). Il Governo italiano da parte sua sollevò la necessità di inserire «sufficienti garanzie» che le regole e le istituzioni create dal trattato per il Mercato Comune non intralciassero gli sforzi per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia, ma anzi «provvedano istrumenti e misure atti a consentirci [di] portare a termine [l’]opera intrapresa contemporaneamente a[lla] partecipazione a[l] mercato comune», poiché «difficilmente [l’]opinione pubblica italiana potrebbe ammettere che trattato largheggiando verso la Francia, non menzioni [il] caso italiano che è meno legato a contingenze particolari» (vedi le istruzioni di Martino del 16 ottobre 1956, D. 221).
Il 20-21 ottobre 1956 si riunì a Parigi, sotto la presidenza di Bech, la Conferenza dei Ministri degli Affari Esteri dei membri della C.E.C.A.: oltre allo stesso Bech, Pineau, Brentano, Spaak, Luns e Martino. Della Delegazione italiana faceva parte, oltre al Ministro, Badini Confalonieri. Nel corso della discussione vennero affrontati tutti i problemi sorti nel corso della fase di redazione dei trattati. Anzitutto le obiezioni francesi sulle modalità di passaggio dalla prima alla seconda fase di realizzazione del Mercato Comune, che non dovevano essere automatiche ma sottoposte a una serie di verifiche tali da conferire a ciascun paese un sostanziale diritto di recesso; sull’armonizzazione dei «carichi sociali» che dovevano essere sopportati dalle imprese; le richieste francesi relative a una «clausola di salvaguardia» da inserire nel trattato in caso di difficoltà nella bilancia dei pagamenti, e di mantenere il regime esistente di aiuti alle esportazioni e di dazi sulle importazioni. Inoltre venne affrontata la richiesta italiana di inserire una dichiarazione comune degli altri cinque Governi di riconoscimento della particolare situazione economica italiana: che dovesse essere riconosciuto che il piano di sviluppo decennale per l’eliminazione degli squilibri strutturali interni dell’economia italiana era di interesse comune della Comunità; che le istituzioni di quest’ultima dovessero «mettere in opera tutti i mezzi e le procedure consentite dal trattato per facilitare il Governo italiano in tale suo compito, particolarmente mediante un impiego adeguato dei Fondi di investimento e di riadattamento»; che fossero messi in atto tutti i mezzi «per evitare tensioni pericolose nell’economia italiana che potessero obbligare il Governo italiano a chiedere di ritardare l’applicazione del trattato»; e che, infine, in caso di crisi della bilancia dei pagamenti italiana, non dovessero essere chieste al Governo italiano «misure che possano compromettere la realizzazione del
50 Junktim, equivalente a iunctim (lat.), spesso indicato nella corrispondenza come «junctim», nel senso di «insieme a» per intendere il collegamento fra i due trattati che avrebbero dovuto essere stipulati simultaneamente.
programma di espansione economica e di aumento del livello di vita della popolazione». Infine furono discusse le questioni ancora irrisolte sull’Euratom, riguardanti la questione degli approvvigionamenti, vale a dire dell’attribuzione all’Euratom di un monopolio negli approvvigionamenti di materie prime e materiali fissili, e la questione dell’impiego dell’energia atomica per fini militari. A parte quest’ultimo problema, risolto dal fatto che il Delegato tedesco, Brentano, dichiarò di non voler sollevare la questione dell’impegno assunto con la dichiarazione del Cancelliere federale, allegata al Protocollo n. III sul controllo degli armamenti, firmato a Parigi il 23 ottobre 1954, su tutti gli argomenti discussi non venne raggiunto un accordo e la Conferenza si sciolse riconoscendo che esistevano delle divergenze sulle quali era necessaria la consultazione con i rispettivi Governi (D. 223).
La Conferenza tornò quindi a riunirsi il 16 novembre a Bruxelles, a livello del Comitato Direttivo dei Capi Delegazioni, sotto la presidenza del barone Snoy. Nel frattempo i negoziati diretti avevano consentito di superare gli ostacoli emersi nella Conferenza di Parigi e pertanto venne raggiunto un accordo sia sulla formula proposta dalla Francia per i territori d’oltre mare, sia sulla questione del passaggio dalla prima alla seconda fase verso il mercato comune, sia sulle tutele sociali francesi a favore del lavoro, sia sulla concessione alla Francia di un regime transitorio di conservazione del sistema di tasse di compensazione all’importazione e di aiuti all’esportazione, mediante una serie di formule di compromesso; inoltre, per quanto riguardava la richiesta italiana, venne convenuto di discutere il 22 novembre una formula per la dichiarazione presentata da Martino; infine, vennero discusse le soluzioni di compromesso sulle questioni riguardanti gli approvvigionamenti dell’Euratom (D. 230). Il Comitato Direttivo tornò a riunirsi il 22 novembre per discutere le formule di compromesso sulla questione dell’inclusione nel Mercato Comune dei territori d’oltre mare e, come era previsto, sulla dichiarazione riguardante l’Italia, che venne approvata (D. 232). Il Comitato si riunì nuovamente il 4 e il 5 (D. 244), il 19 (DD. 260 e 261) e il 21 gennaio 1957 (D. 267) per definire gli accordi riguardanti le varie questioni ancora sul tappeto: il fondo europeo per la formazione professionale, l’armonizzazione delle legislazioni sociali, l’associazione dei territori d’oltre mare, il problema degli organi istituzionali e della ponderazione dei voti nel Consiglio dei Ministri, le quote di sottoscrizione della Banca di Investimenti. Quindi, sulla base delle intese raggiunte, dal 26 al 28 gennaio si riunì a Bruxelles una nuova Conferenza dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. In questa occasione Martino ottenne che nel trattato venisse inserita la previsione di una procedura con la quale l’Assemblea della Comunità avrebbe potuto presentare una proposta per la sua elezione a suffragio universale diretto e il Consiglio dei Ministri, con voto all’unanimità, ne avrebbe raccomandato l’adozione ai Parlamenti nazionali (DD. 271, 272 e 273). Il 9 febbraio si tenne ancora una riunione del Comitato Direttivo dei Capi Delegazioni, nel corso della quale venne definito il testo di una dichiarazione comune dei sei Governi della C.E.C.A. sul progetto di zona di libero scambio nell’ambito dell’O.E.C.E. (D. 286). Infine, il 18 febbraio si tenne a Bruxelles l’ultima Conferenza dei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. (D. 289), a cui fece immediatamente seguito, il 19 e 20 febbraio, la Conferenza dei Capi di Governo dei «Sei». La documentazione del Ministero su questa ultima fase dei negoziati è più scarna rispetto alle fasi precedenti. In particolare non è stata rinvenuta alcuna relazione o alcun rapporto sullo svolgimento della Conferenza di Bruxelles dei Ministri degli Affari Esteri e dei Capi di Governo, dal 18 al 20 febbraio, a conclusione dell’intero negoziato. Pertanto per questa fase occorre riferirsi ai verbali ufficiali pubblicati nell’Appendice. Il volume si conclude con il discorso pronunciato il 25 marzo da Martino al Campidoglio, in occasione della cerimonia della firma dei trattati (D. 308).
2.3. I negoziati in ambito O.E.C.E. I negoziati sul «rilancio europeo» furono avviati, come si è detto, come progetto di allargamento delle competenze della C.E.C.A. e, quindi, nell’ambito di tale istituzione fra i suoi sei membri. La proposta di Spaak, tuttavia, riguardava l’allargamento della competenza della C.E.C.A. al campo dell’energia atomica e ciò pose un problema di conflitto di competenza con l’Organizzazione europea per la cooperazione economica (O.E.C.E.) (D. 12); inoltre, quando l’oggetto del negoziato venne modificato e ampliato a comprendere il progetto di costituzione di un mercato comune, con la ripresentazione di quello che era stato il piano Beyen, il problema di un conflitto di competenza con l’O.E.C.E. divenne anche più rilevante e il Governo del Regno Unito sollevò la questione fin dall’inizio del negoziato. Pertanto, a partire dal momento iniziale del «rilancio», si svolse un parallelo negoziato nell’ambito dell’O.E.C.E. sia sul tema della cooperazione nel campo dell’energia nucleare sia su quello della formazione di un’area di libero scambio. Si sono quindi inseriti nel volume i documenti riguardanti le sedute del Consiglio dei Ministri, del Consiglio del Comitato Esecutivo e dei Capi Delegazione dell’O.E.C.E. (vedi Tabella 3).
Tabella 3: Riunioni della O.E.C.E. |
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Riunione |
Data |
Documenti |
Riunione dei Capi Delegazione |
22 aprile 1955 |
D. 16 |
Consiglio O.E.C.E. |
24 maggio 1955 |
D. 29, 32 |
Consiglio O.E.C.E. |
3 giugno 1955 |
D. 41 |
Comitato esecutivo |
31 luglio 1955 |
D. 39 |
Riunione dei Capi Delegazione |
6 dicembre 1955 |
D. 107, 114 |
Riunione dei Capi Delegazione |
17 gennaio 1956 |
D. 120 |
Riunione dei Capi Delegazione |
23 gennaio 1956 |
D. 122 |
Riunione dei Capi Delegazione |
31 gennaio 1956 |
D. 124 |
Riunione dei Capi Delegazione |
8 febbraio 1956 |
D. 129 |
Riunione dei Capi Delegazione |
24 febbraio 1956 |
D. 149 |
Riunione dei Capi Delegazione |
21 giugno 1956 |
D. 183 |
Riunione del Comitato speciale energia nucleare |
28-29 giugno 1956 |
D.187 |
Riunione del Comitato speciale energia nucleare |
10-12 luglio 1956 |
D. 188 |
Consiglio dei Ministri |
12-13 febbraio 1957 |
D. 287 |
La contrarietà del Governo britannico nei confronti della proposta Spaak sull’allargamento delle competenze della C.E.C.A. a tutte le fonti di energia – e, peraltro, all’idea stessa di entrare in qualunque organismo a carattere sovranazionale (D. 133) – venne manifestata esplicitamente dal Delegato del Regno Unito, Sir Hugh Ellis-Rees nella riunione dei Capi delle Delegazioni che si svolse a Parigi il 22 aprile 1955 (D. 16). Ellis-Rees chiarì che il Governo di Sua Maestà era disposto a discutere sulla cooperazione nel campo dell’energia nucleare solo in sede O.E.C.E. e precisò che il rapporto sui problemi dell’energia in corso di preparazione, su richiesta dell’organizzazione, da parte di Louis Armand, presidente della Société Nationale des Chemins de Fer Français (S.N.C.F.) e dell’Union Internationale des Chemins de Fer, destinato a essere presidente dell’Euratom, il «Rapporto Armand», avrebbe dovuto occuparsi anche dell’energia nucleare. Di fronte alla presa di posizione britannica il Ministro degli Affari Esteri italiano, pragmaticamente, si espresse a favore dell’avvio di studi per la cooperazione in campo nucleare in sede O.E.C.E., se ciò fosse stato possibile (D. 27). In occasione del Consiglio dell’O.E.C.E. del 24 maggio venne esaminato il rapporto Armand e fu proposta l’istituzione di un gruppo di studio sulla cooperazione in materia nucleare (D. 32). Quindi il 3 giugno il Consiglio decise di sottoporre al Consiglio dei Ministri la proposta di istituire un gruppo di studio sulla cooperazione nel campo dell’energia nucleare, il «Gruppo di lavoro n. 10» (D. 41), e il 6 giugno approvò la costituzione di una Commissione di esperti per la cooperazione economica nel campo dell’energia generale (DD. 41 e 51). Inoltre, dopo la Conferenza di Messina, venne convenuto che il Segretariato dell’O.E.C.E. avrebbe partecipato ai lavori della Conferenza Intergovernativa di Bruxelles (D. 52).
Sin dalle prime battute del negoziato, dunque, il Governo britannico aveva manifestato la propria contrarietà alla proposta Spaak. Il 12 luglio l’Ambasciatore del Regno Unito a Roma, Sir Ashley Clarke, dichiarò a Martino che il suo Governo non era contrario all’unificazione europea, ma che «ciò che preoccupava l’Inghilterra era il costituirsi di organi sovranazionali» e che, di conseguenza, la Gran Bretagna «non poteva nutrire un desiderio molto sincero» che il negoziato di Bruxelles pervenisse a risultati concreti (D. 58). Il punto di vista britannico venne esplicitato in modo più chiaro in una riunione privata dei Capi Delegazioni dell’O.E.C.E., convocata da Ellis-Rees il 6 dicembre 1955. I «Sei» paesi, dichiarò Sir Hugh, perseguivano uno scopo politico, il raggiungimento di una forma di unità politica attraverso l’integrazione economica, istituendo un mercato comune e un’organizzazione per l’energia atomica. In tal modo si sarebbe potuto creare «un regime discriminatorio» che avrebbe attentato agli sforzi contro la discriminazione compiuti dall’O.E.C.E. e, in definitiva, avrebbe potuto provocare «la divisione dell’Europa in due campi, con inevitabile indebolimento e dissolvimento dell’O.E.C.E.» (DD. 107, 114, 115 e 116). Analoghe dichiarazioni vennero fatte da Sir Ashley Clarke in un colloquio con il Direttore Generale degli Affari Economici, Cattani, il 12 dicembre (D. 110) e dal Foreign Secretary, Macmillan, in occasione della seconda riunione del Consiglio Direttivo della U.E.O., il quale dichiarò che il Governo di Londra – pur non volendo pronunciare una «condanna» in relazione a un’Europa «a sei», avrebbe mancato al suo dovere se non avesse fatto giungere un «warning» in merito ai «pericoli insiti nel voler creare una speciale e particolare situazione economica in un solo settore dell’Europa con evidenti danni tanto nei confronti di altri paesi quanto delle organizzazioni internazionali, prima fra tutte l’O.E.C.E., oggi esistenti» (D. 112).
Fra il 17 gennaio e l’8 febbraio si svolsero le discussioni fra i Capi Delegazioni dell’O.E.C.E. sul rapporto presentato dal Gruppo di Lavoro n. 10 relativo all’energia nucleare (DD. 120, 121, 124 e 129). Come riferì in un rapporto dell’8 febbraio il Capo della Rappresentanza italiana presso l’organizzazione, Vitetti, il Governo britannico attraverso tali discussioni tentò, in una «strenua difesa» dell’O.E.C.E., di concentrare nell’ambito dell’O.E.C.E. le discussioni in tema di cooperazione sull’energia nucleare, istituendo a tale fine un «Comitato speciale» per proseguire lo studio del problema e per creare un «Comitato Direttivo per l’energia nucleare»: tentativo che, tuttavia, fallì (D. 128). Di fronte alla posizione britannica i Ministri degli Affari Esteri dei «Sei» della C.E.C.A., nella riunione di Bruxelles dell’11-12 febbraio adottarono la proposta di Martino di dichiarare che essi intendevano procedere alla costituzione dell’Euratom, ma «senza chiudere le porte a nessuno»; essi volevano rispettare gli impegni assunti con la convenzione istitutiva dell’O.E.C.E., ma intendevano «andare più lontano» di quanto gli altri paesi europei fossero pronti ad andare – espressione che in definitiva ben rappresentava le ragioni dell’iniziativa dei «Sei» (DD. 132 e 136). Nella riunione dei Capi delle Delegazioni dell’O.E.C.E. del 22 febbraio Ellis-Rees sollevò esplicitamente il problema di un possibile «intralcio» dell’opera dell’O.E.C.E., come conseguenza dei lavori a Bruxelles per il mercato comune, e i Delegati dei «Sei» risposero, conformemente alla proposta di Martino, che non si vedeva in qual modo i lavori di Bruxelles potessero intralciare l’OE.C.E., dato che non ci si voleva affatto scostare dagli impegni assunti in sede O.E.C.E. di liberazione degli scambi (D. 141). Spaak predispose quindi un testo di dichiarazione comune circa la posizione dei «Sei» in merito alla proposta di costituzione di un Comitato speciale in materia nucleare in ambito O.E.C.E. (D. 140), testo approvato da Martino, con alcune riserve, il 23 febbraio (D. 142).
Il problema dei rapporti fra le trattative per il mercato comune nell’ambito dei «Sei» e l’O.E.C.E. venne riaperto, il 12 luglio successivo, con una lettera del Segretario Generale dell’organizzazione, René Sergent, in cui veniva proposto lo studio della possibile istituzione di un sistema multilaterale di associazione fra i «Sei» di Messina e gli altri membri dell’O.E.C.E., mediante la creazione di una «zona di libero scambio» (D. 195). Il 30 novembre 1956 il Cancelliere dello Scacchiere del Regno Unito, Sir Harold Macmillan scrisse una lettera a Martino – e agli altri Ministri degli Esteri dei «Sei» – in cui annunciava la decisione del Governo di Sua Maestà di negoziare la formazione in Europa di una zona di libero scambio parziale fra i paesi membri dell’O.E.C.E., in associazione con l’Unione Doganale che era in corso di elaborazione nei negoziati di Bruxelles (D. 235 e, per la risposta di Martino, D. 243). La questione venne poi discussa, fra l’altro, nel corso degli incontri avvenuti a Roma il 17 gennaio 1957, fra Martino e il Segretario agli Esteri del Regno Unito, Selwyn Lloyd. Martino, confermando la linea di apertura verso la Gran Bretagna già ribadita più volte, dichiarò che il Governo italiano attribuiva una grande importanza alla partecipazione del Regno Unito al nuovo sistema economico, «senza di cui la formazione dell’Europa rimarrebbe quanto meno imperfetta» (D. 256).
La zona di libero scambio fu quindi oggetto di un promemoria britannico, presentato all’inizio di febbraio, affinché fosse oggetto della riunione del Consiglio dei Ministri dell’O.E.C.E. del 12-13 febbraio (D. 284). In vista della discussione l’8 febbraio si svolse una riunione interministeriale, con la partecipazione dei Rappresentanti di tutti i Ministeri interessati (D. 285). Infine, il 12-13 febbraio, sotto la presidenza del Cancelliere dello Scacchiere del Regno Unito, si tenne la riunione del Consiglio dei Ministri dell’O.E.C.E., alla quale, per l’Italia, parteciparono i Ministri del Bilancio, Adone Zoli, e del Commercio Estero, Bernardo Mattarella, nonché i Sottosegretari Badini Confalonieri e Ferrari Aggradi. La riunione si concluse con la decisione di iniziare i negoziati per la creazione di una zona di libero scambio, dando mandato al Presidente di proporre la costituzione di gruppi di lavoro per l’elaborazione del progetto (D. 287) e il 5 marzo venne discusso in una riunione dei Capi delle Delegazioni il documento contenente le proposte del Presidente (D. 300). Vennero quindi costituiti tre gruppi di lavoro, che il 20 marzo conclusero la prima sessione di lavori, alla vigilia della firma, a Roma, del trattato istitutivo del Mercato Comune.
2.4. Le riunioni della U.E.O. e la proposta politica di Martino. Il negoziato in ambito della C.E.C.A. per il «rilancio» europeo è logicamente collegato all’attività dell’Unione dell’Europa Occidentale, dato che quest’ultima era stata costituita proprio all’indomani del fallimento definitivo della Comunità Europea di Difesa (C.E.D.), la quale avrebbe dovuto, secondo le intenzioni di alcuni, essere la futura sede dell’integrazione europea. E in effetti la prima riunione dei Ministri che costituivano il Consiglio Direttivo dell’Unione dell’Europa Occidentale ebbe luogo a Parigi, contemporaneamente alla riunione del Consiglio Atlantico, prima presso l’Ambasciata francese e poi presso il Quai d’Orsay, sotto la presidenza di Macmillan, e proprio in questa occasione i Ministri del Benelux presentarono il memorandum con cui proponevano il rilancio del processo di integrazione fra i paesi membri della C.E.C.A. (D. 22). Nella seconda riunione del Consiglio Direttivo Macmillan dichiarò la contrarietà del Regno Unito alla creazione di un mercato unico europeo fra i sei membri della C.E.C.A. (D. 112).
La riunione del Consiglio Direttivo del 10 dicembre 1956 ebbe una particolare importanza in relazione all’integrazione europea, in quanto in tale occasione Martino presentò la proposta politica italiana di completare l’integrazione economica con un’associazione politica: «l’integrazione economica – affermò Martino – non basta; è indispensabile che essa sia completata da una vera associazione politica». A tale scopo Martino avanzò due proposte concrete: la prima era di dare una «maggiore autorità e più poteri effettivi» all’Assemblea dell’U.E.O. mediante la sua elezione diretta dai popoli dei sette paesi membri e conferendole il potere di formulare norme legislative e di emettere raccomandazioni, che sarebbero divenute esecutive dopo l’approvazione dei Parlamenti nazionali; la seconda proposta era di modificare la competenza del Consiglio, che sarebbe dovuto divenire la sede di una «consultazione politica costante ed efficace», secondo quanto previsto dall’articolo 8 del Trattato di Bruxelles. Sulle proposte di Martino il Consiglio Direttivo decise di avviare delle consultazioni fra i Governi e di invitare il Segretario Generale a redigere un rapporto sulle due proposte (D. 239, Allegato). Lo stesso tema venne ripreso da Martino anche nella riunione dei Ministri del Consiglio d’Europa del 15-16 dicembre 1956, indicando, appunto, nel Consiglio d’Europa un «centro di consultazioni costanti e regolari» per tutte le questioni non militari, nelle quali era bene che «un’Europa sempre più vasta si presenti con una politica comune» (D. 240).
La successiva riunione del Consiglio dei Ministri dell’U.E.O., tenutasi il 26 febbraio 1957 a Londra, presso la Lancaster House, fu occupata prevalentemente dal problema della riduzione delle forze britanniche stazionate in Germania. Venne tuttavia discusso il problema della necessità di intensificare le consultazioni di carattere politico, istituendo almeno quattro riunioni del Consiglio dei Ministri, e quello dell’unificazione delle assemblee parlamentari europee (D. 299), argomento, quest’ultimo, destinato a essere ampiamente discusso successivamente alla firma dei Trattati di Roma.
Tabella 4: Riunioni della U.E.O. |
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Riunione |
Data |
Documenti |
Commissione ad interim dell’U.E.O. |
2 maggio 1955 |
D. 20 |
Consiglio dei Ministri: |
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Consiglio direttivo dell’U.E.O. |
9-11 maggio 1955 |
D. 22 |
Consiglio direttivo dell’U.E.O. |
4-5 luglio 1955 |
D. 53 |
Consiglio direttivo dell’U.E.O. |
14 dicembre 1955 |
D. 112 |
Consiglio direttivo dell’U.E.O. |
10 dicembre 1956 |
D. 239 |
Consiglio direttivo dell’U.E.O. |
26 febbraio1957 |
D. 299 |
Assemblea |
5 luglio 1955 |
D. 61 |
Tabella 5: Riunioni del Consiglio d’Europa |
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Riunione |
Data |
Documenti |
Comitato dei Ministri |
4-5 luglio 1955 |
D. 53 |
Comitato dei Ministri |
15-16 dicembre 1956 |
D. 240 |
Assemblea Consultiva |
5-9 luglio 1955 |
D. 56 |
2.5. Incontri bilaterali. Come si è detto, si sono inseriti in versione integrale i documenti riguardanti gli incontri bilaterali fra l’Italia e altri Governi europei che si svolsero nel periodo dei negoziati sul «rilancio», ancorché riguardarono – come sempre in queste circostanze – una serie di problematiche non direttamente connesse ai negoziati stessi, in modo da consentire di avere un quadro complessivo dei rapporti con i Governi interessati alla questione europea.
Il 9 settembre 1955 Martino si recò a Londra dove ebbe un incontro con il Foreign Secretary, Harold Macmillan. Oltre a discutere varie questioni sulla politica europea e, in particolare, l’esclusione dell’Italia dalle trattative sul problema della Germania, Martino informò Macmillan circa lo svolgimento della Conferenza di Noordwjik e sugli sviluppi successivi alla Conferenza di Messina (D. 87).
Il 7 febbraio 1956 si svolse la visita a Berlino di Segni e Martino e l’incontro con Adenauer e von Brentano. Il colloquio fu dedicato in gran parte proprio al «rilancio», a proposito del quale da parte tedesca venne sottolineata l’importanza che l’Euratom fosse legato alla formazione progressiva di un mercato comune, dunque enunciando il principio dello «Junktim». A proposito delle difficoltà che presentava la situazione parlamentare francese per una positiva conclusione delle trattative, Martino dichiarò che, pur essendo difficile immaginare un processo di integrazione europea senza la Francia, egli riteneva che l’obiettivo fosse così importante, da doversi porre il quesito, nel caso in cui la Francia facesse «macchine indietro», della convenienza di continuare a lavorare per un’Europa «a cinque», così che la «grande idea potrebbe essere conservata e difesa». Anche von Brentano si dichiarò d’accordo (DD. 126 e 135).
Il 25 aprile Martino incontrò al Quai d’Orsay il Ministro degli Affari Esteri francese, Pineau. Il colloquio fu dedicato a un’ampia serie di argomenti, dalla situazione in Medio Oriente, alla questione della candidatura italiana all’O.N.U. e a quella del disarmo. Per quanto riguarda le trattative sull’integrazione europea Pineau, confermando le preoccupazioni di cui Martino aveva discusso con von Brentano e Adenauer, dichiarò che, nella situazione del momento, «mai si sarebbe trovata una maggioranza parlamentare per accettare progetti destinati a favorire soluzioni di carattere sopranazionale del tipo della C.E.C.A.» (D. 170). L’incontro italo-francese proseguì con la riunione del 26 e il 27 aprile all’Eliseo fra il Presidente della Repubblica, Gronchi, e Martino con l’Ambasciatore Quaroni, da una parte, e il Presidente Coty, il Ministro degli Affari Esteri, Pineau e l’Ambasciatore di Francia a Roma, Fouques-Duparc, nonché, nella riunione del 27, il Presidente del Consiglio francese, Mollet. Oltre a trattare le altre questioni già discusse il 25, venne nuovamente affrontato il tema della difficoltà di far passare al Parlamento francese il progetto di integrazione. Mollet dichiarò che per l’Euratom vi era «qualche chance», mentre per il mercato comune non ve ne era nessuna. Inoltre, su proposta italiana, venne esaminato il problema della riunificazione tedesca. Martino sottolineò il legame di interdipendenza fra la riunificazione, il disarmo e la sicurezza, affermando che non si poteva parlare di disarmo senza sicurezza e che non si poteva parlare di sicurezza fino a quando non si fosse eliminato il grave pericolo per la pace che era costituito dalla «non riunificazione della Germania» (D. 172).
Dal 1° al 4 luglio ebbero luogo le conversazioni di Segni, Saragat e Martino con Adenauer e von Brentano, giunti a Roma in restituzione della visita italiana a Bonn del febbraio precedente. I colloqui si svolsero in parte alla Presidenza del Consiglio e in parte al Ministero degli Esteri ed ebbero come argomenti principali la valutazione della situazione politica generale, con particolare riferimento alla riunificazione tedesca, e le questioni economiche italo-tedesche (D.186). Nelle conversazioni di carattere economico venne constatata l’identità di vedute dei due Governi sulla necessità di proseguire gli sforzi comuni per favorire il processo di integrazione europea e l’opportunità, a tale fine, di una più stretta collaborazione economica italo-tedesca. Accordo esplicitatosi nel Protocollo confidenziale firmato da von Brentano e Martino dove è detto: «Essi [i due Governi] hanno riconosciuto che una più stretta collaborazione economica è non solo interesse dei due paesi ma interesse generale dell’Europa e che tale cooperazione rappresenta un forte contributo agli sforzi per una integrazione economica dell’Europa» e dove si assicura la collaborazione tedesca ai piani di sviluppo italiani intesi come «un problema di interesse non soltanto italiano ma di interesse generale europeo» (D. 186, Allegato).
Il 17 gennaio 1957 il Segretario agli Esteri del Regno Unito, Selwyn Lloyd si recò in visita a Roma ed ebbe un incontro con Martino, con la presenza anche del visconte Hood. Venne discusso lo svolgimento della visita di Spaak a Londra, concernente il progetto di Trattato per il Mercato Comune e quello sull’area di libero scambio. Nelle discussioni con Spaak, il Governo britannico aveva fatto presente che si sarebbe trovato in una posizione difficile se non fossero state inserite nel trattato sul mercato comune delle disposizioni che consentissero la sua successiva adesione tramite l’area di libero scambio. Martino – come si è accennato – ribadì il principio più volte sostenuto dal Governo italiano dell’importanza di un’adesione britannica al nuovo sistema economico (D. 256).
3. Uffici del Ministero degli Affari Esteri
La struttura dell’amministrazione centrale del Ministero degli Affari Esteri, nel periodo trattato nel volume, era articolata come segue.
Il Ministro degli Affari Esteri, dal 19 settembre 1954 al 6 maggio 1957, era Gaetano Martino, deputato al Parlamento. Il Gabinetto del Ministro, a capo del quale era Bartolomeo Migone, era costituito da una Segreteria Particolare del Ministro. I Sottosegretari di Stato erano Vittorio Badini Confalonieri, Lodovico Benvenuti (fino all’8 luglio 1955), Francesco Maria Dominedò (fino all’8 luglio 1955), Dino Del Bo e Alberto Folchi (entrambi dal 9 luglio 1955).
Il Segretario Generale era l’ambasciatore Alberto Rossi Longhi. Dalla Segreteria Generale dipendevano direttamente vari uffici: il Contenzioso diplomatico, il Servizio Stampa (dal 1954 Ufficio Stampa), l’Ufficio M.I.L. (Memorandum d’Intesa Londra), il Servizio Cifra e Crittografico, il Consulente storico, l’Ispettore Generale del Ministero (fino al 1954), il Servizio O.N.U. (istituito l’8 luglio 1956), il Servizio Studi, articolato in Ufficio Studi e documentazione, Archivio Storico e Biblioteca (costituito il 28 luglio 1956), l’Ufficio Trattati (fino al 1956) e l’Ufficio del Consulente Giuridico per le questioni relative alla proprietà industriale, letteraria, artistica nel campo internazionale (nel 1956).
La Direzione Generale degli Affari Politici, a capo della quale era il Ministro plenipotenziario Massimo Magistrati, era articolata in sette uffici, oltre a un Ufficio Cooperazione Internazionale, soppresso il 31 maggio 1956 e sostituito da un Ufficio N.A.T.O e da un Ufficio Cooperazione Europea.
La Direzione Generale degli Affari Economici, a capo della quale era il Ministro plenipotenziario Attilio Cattani, era articolata in sette uffici, oltre a una Delegazione italiana per la cooperazione economica europea.
Vi erano poi una Direzione Generale del Personale e dell’Amministrazione Interna, un Servizio del Cerimoniale, un ufficio dell’Agente Generale per le Commissioni di conciliazione, una Direzione Generale dell’Emigrazione, un Servizio Affari Privati, una Direzione Generale delle relazioni culturali con l’estero, un Servizio Affari Generali, un Ufficio Traduzioni, una Commissione per il riordinamento e la pubblicazione dei documenti diplomatici, una Direzione Generale per gli affari della amministrazione italiana del territorio sotto tutela della Somalia, un Servizio Economico Trattato (S.E.T.) e una Ragioneria Generale.
In appendice all’Introduzione si fornisce il dettaglio dell’organigramma dell’amministrazione centrale del Ministero.
4. Fondi utilizzati
Le ricerche sono state effettuate principalmente sui fondi conservati presso l’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. I fondi utilizzati sono i seguenti:
A) Uffici centrali
a) Cifra, Telegrammi segreti e ordinari, in partenza e in arrivo,1955-1957
b) Gabinetto del Ministro, versamento 1943-1958
c) Gabinetto del Ministro, versamento 1953-1961
d) Direzione Generale Affari Politici, Ufficio I, versamento 1951-1957
e) Direzione Generale Affari Politici, Ufficio I, versamento 1945-1960
f) Direzione Generale Affari Politici, Ufficio I, versamento 1947-1962
g) Direzione Generale Affari Politici, Ufficio IV, versamento 1951-1957
h) Direzione Generale Affari Politici, Ufficio V, versamento 1951-1957
B) Rappresentanze diplomatiche:
i) Ambasciata d’Italia a Londra, versamento 1955-1962
j) Ambasciata d’Italia a Parigi, versamento 1951-1958
k) Ambasciata d’Italia a Washington, versamento 1940-1973
C) Archivi di personalità:
l) Roberto Ducci, 1955-1963
L’archivio del Gabinetto del Ministro, nei due versamenti che comprendono gli anni in questione, presenta un contenuto disuguale e incompleto. Di maggiore consistenza è l’archivio della Direzione Generale degli Affari Politici, che contiene la documentazione più ricca sul rilancio europeo. Inoltre l’archivio dell’Ambasciata a Parigi ha rappresentato una delle fonti di maggiore consistenza e completezza e ha consentito di integrare la documentazione degli uffici dell’Amministrazione centrale.
I due fondi della Direzione Generale Affari Economici rilevanti, vale a dire la Direzione Generale direttamente competente per l’integrazione economica, secondo gli elenchi di consistenza (Direzione Generale Affari Economici, Ufficio IV, 1948-1958 e Direzione Generale Affari Economici, Ufficio IV, 1950-1956), nonostante le accurate ricerche svolte presso l’Archivio Storico, sono risultati irreperibili. Si è dunque supplito mediante le copie dei rapporti e appunti smistati agli altri uffici. Inoltre, per quanto riguarda gli archivi delle Ambasciate d’Italia a Bruxelles, a L’Aja e a Lussemburgo, sono state versate all’Archivio storico le raccolte dei telegrammi e parte dei carteggi, pertanto non sono disponibili i documenti relativi agli anni in oggetto.
Inoltre presso l’Istituto Universitario Europeo Firenze, Archivio Storico dell’Unione Europea, è stato consultato il seguente fondo:
- Archivi di personalità: Paul-Henri Spaak, PHS-06 – Troisième mandat en tant que ministre des Affaires étrangères
5. Riconoscimenti
I curatori desiderano in primo luogo esprimere il proprio apprezzamento nei confronti degli organi del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale per aver voluto, deciso e appoggiato la pubblicazione di questo volume, con il fine di approfondire e diffondere la conoscenza dell’operato del Governo italiano nella politica internazionale: in particolare S.E. il Ministro, On.le Paolo Gentiloni, S.E. il Ministro, On.le Angelino Alfano; il Segretario Generale, S.E. Ambasciatore Michele Valensise e S.E. Ambasciatrice Elisabetta Belloni; il Capo dell’Unità Analisi, Programmazione e Documentazione Storico-Diplomatica, Ministro Armando Barucco; il Consigliere Tommaso Coniglio e il Consigliere Ugo Boni.
Un riconoscimento particolare deve essere poi rivolto al personale del Ministero che ha partecipato a vario titolo alla preparazione del volume con eccezionale competenza, impegno e passione.
Le ricerche del materiale nei fondi del Ministero sono state effettuate dalle Archiviste di Stato della Sezione Pubblicazione Documenti Diplomatici, Dott.ssa Maria Laura Piano Mortari, Dott.ssa Antonella Grossi, Dott.ssa Ersilia Fabbricatore, Dott.ssa Francesca Grispo e Dott.ssa Rita Luisa De Palma. In particolare la Dott.ssa Piano Mortari ha collaborato alla fase iniziale della ricerca storico-archivistica fino all’ assunzione di un nuovo incarico e la Dott.ssa Grossi, capo della Sezione, ha diretto e coordinato le ricerche, curato la revisione critica dei documenti e la redazione del volume. Inoltre, la Dott.ssa Grispo ha provveduto alla ricostruzione della struttura organizzativa e dell’organigramma del Ministero, la Dott.ssa De Palma ha predisposto la tavola della segnatura archivistica dei documenti dei fondi dell’Archivio Storico-Diplomatico e la Dott.ssa Fabbricatore ha coordinato le ricerche per l’indice dei nomi. Inoltre, le Archiviste di Stato della Sezione hanno approntato l’indice sommario, collaborato alla redazione dell’apparato critico e predisposto il volume per la stampa.
I curatori devono inoltre ringraziare i ricercatori e docenti che hanno collaborato alle ricerche e alla revisione dei testi. Il Dott. Benedetto Zaccaria ha effettuato le ricerche presso l’Archivio Storico dell’Unione Europea e la dott.ssa Giulia Bentivoglio ha effettuato il controllo del fondo Gaetano Martino presso l’Archivio del Senato della Repubblica. La Prof. Valentina Sommella ha curato la revisione e collazione dei testi dei verbali delle riunioni del Comitato Intergovernativo editi nel volume di appendice. Il Dott. Andrea Liberatori ha collaborato alla revisione dei testi e alle ricerche storiche sui nomi del relativo indice.
Un particolare riconoscimento va al Dott. Vittorio Barnato del Ministero del-l’Economia e Finanze per aver costantemente sostenuto il progetto della nuova collana tematica, anche nei suoi aspetti tecnici innovativi legati alla digitalizzazione del materiale documentario, e all’Istituto Poligrafico dello Stato, ed in particolare ai funzionari Dott. Luca Fornara, Dott. Luca Sciascia e Dott. Alberto De Luca per la cura e la qualità dell’opera redazionale e tipografica di allestimento dei volumi.
I curatori hanno l’esclusiva responsabilità dell’impostazione del volume, della scelta dei documenti pubblicati e dei criteri dell’edizione, nonché della redazione dell’apparato critico e dell’Avvertenza. Le ricerche e la scelta del materiale sono state effettuate con criteri esclusivamente scientifici da parte dei curatori e con assoluta indipendenza.
Prof. Antonio Varsori
Prof. Francesco Lefebvre D’Ovidio
Norme editoriali
I documenti vengono presentati in edizione non diplomatica. Sono state rispettate le sigle, l’uso delle maiuscole, le denominazioni degli organi, delle cariche, ecc. dei testi originali. I documenti si pubblicano integralmente e senza apportare alcuna modifica od omissione. Le sottolineature nel testo sono state indicate con l’uso del corsivo.
I documenti sono presentati in ordine cronologico; per i telegrammi si considera l’ora della partenza. Nel caso di verbali di riunioni o di appunti in cui è contenuto il riassunto di una riunione o di un colloquio, il documento è stato inserito sotto la data in cui si è svolto il colloquio o la riunione, anche se la data di redazione del verbale o dell’appunto è successiva; quando il documento reca una data, questa è comunque indicata in nota. Per i riferimenti a documenti di data precedente al 2 aprile 1955 si è preferito non riassumerne il contenuto in nota poiché se ne prevede la pubblicazione nel volume che documenterà il relativo periodo storico.
I documenti delle Ambasciate o Legazioni sono considerati indirizzati al Ministero a meno che non risultino espressamente indirizzati al Ministro o ad altro funzionario. I documenti in partenza dalle Ambasciate o Legazioni sono attribuiti al titolare a meno che non risultino firmati da altro funzionario.
COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA COMUNEDELLA C.E.C.A., PELLA,CON IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DEL BELGIO, SPAAK
Appunto1. Bruxelles, 2 aprile 1955.
Il Ministro degli Esteri belga Spaak ha informato il Presidente Pella, in un colloquio avuto con lui a Bruxelles il 2 aprile 1955, che nella riunione del Consiglio speciale di Ministri della C.E.C.A. – che secondo le sue previsioni avrebbe dovuto riunirsi il 24 o 25 aprile al livello Ministri degli Esteri per nominare il nuovo Presidente dell’Alta Autorità2 – era sua intenzione proporre a nome del Benelux l’estensione delle competenze della Comunità alle altre fonti di energia (elettricità, petrolio, ecc.) ed ai trasporti.
Il Ministro Spaak ha aggiunto di aver intrattenuto al riguardo l’Ambasciatore di Gran Bretagna a Bruxelles il quale, informato il Foreign Office, gli ha risposto che il Governo di Londra aveva preso atto di questa intenzione. Spaak interpreta la risposta nel senso che Londra non costituisce un ostacolo, pur non volendo assumere atteggiamenti che possano apparire troppo avanzati.
Spaak ha concluso esprimendo il proposito di prendere nuovamente contatto con il Governo britannico prima della riunione, ed ha lasciato comprendere come, salvo una posizione contraria da parte inglese che non prevedeva dopo la prima risposta, fosse sua intenzione presentare senz’altro la proposta.
Il Ministro Spaak e il Presidente Pella sono rimasti alla fine d’accordo che quest’ultimo, al suo rientro a Roma avrebbe in via breve messo al corrente il Governo italiano del progetto di Spaak.
1 Trasmesso alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e L’Aja, alla Legazione a Lussemburgo e alla Delegazione presso l’O.E.C.E., a Parigi, con Telespr. 44/05339 del 9 aprile. Con tale telespresso Rossi Longhi, nel richiedere informazioni alle Ambasciate a Londra e a Parigi e alla Delegazione presso l’O.E.C.E. sugli orientamenti britannici e francesi circa l’iniziativa di Spaak, aveva anche comunicato: «D’altro canto da notizie apparse sulla stampa sulle dichiarazioni recentemente fatte dal Presidente Faure, risulta che il Governo francese avrebbe in animo di presentare in prosieguo proposte di ulteriore integrazione europea nel campo dei trasporti e dell’energia nucleare, senza peraltro precisare in quale quadro e con quali formule le proposte francesi potrebbero estrinsecarsi». Per le risposte vedi DD. 8, 9 e 10.
2 Il nuovo Presidente, René Mayer, venne nominato nella riunione dei Ministri degli Affari Esteri tenutasi a Messina dal 1° al 3 giugno: vedi Appendice documentaria, D. 1.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato 557/3491. Parigi, 4 aprile 1955.
Oggetto: Riconferma Monnet alla presidenza dell’Alta Autorità.
Riferimento: Telegramma n. 3099/c. di codesto Ministero2.
Al Quai d’Orsay, presso cui è stato effettuato un sondaggio nel senso indicato nel telegramma surriferito, ci è stato detto:
1) le dimissioni di Monnet3, avvenute in un clima interno certo totalmente diverso dall’attuale, hanno messo il Governo francese in una difficile situazione, dato che si ritiene, qui, almeno, che, in certe ipotesi, potrà essere assai difficile alla Francia di mantenere la presidenza della C.E.C.A. Non ci si fanno infatti illusioni circa la possibilità che la candidatura di Ramadier alla presidenza del Pool Carbone Acciaio possa essere accolta internazionalmente.
2) Le difficoltà che il Governo di Parigi ha dovuto superare con sforzo ben maggiore di quanto l’esito della votazione non lasci immaginare, per la ratifica da parte del Senato francese, dell’U.E.O., non permettono di supporre che esso, anche se favorevole (almeno per quanto riguarda il Ministro degli Esteri), ad ulteriori sviluppi in senso europeistico dell’Istituzione, possa proporre od anche accettare tanto più nel breve spazio di tempo che intercorre da oggi alla riunione del Consiglio dei Ministri del 23 aprile, un impegno di proseguire l’integrazione europea in senso sopranazionale nel settore dei trasporti e dell’energia.
Non si ritiene nemmeno, al Quai d’Orsay, che nelle prossime settimane si possa giungere ad una dichiarazione, anche di carattere meno impegnativo, che possa consentire a Monnet di ritirare le dimissioni da lui offerte.
3) In tali condizioni, il Governo francese ritiene che non resti altro se non di accettare, sia pure nella mutata situazione, le conseguenze del gesto impulsivo fatto a suo tempo da Monnet. Tutti gli sforzi francesi si dirigono ora nel trovare eventualmente un altro candidato, in sostituzione di Ramadier, che possa riunire intorno a sé tutti i suffragi dei vari paesi e che possa quindi, con probabilità di successo, essere designato alla presidenza della Comunità.
1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.
2 T. 3099/c. del 2 aprile 1955 di Rossi Longhi diretto alle Ambasciate a Parigi, Bonn, Bruxelles e L’Aja, con il quale veniva ritrasmesso il T. 4460/144 del 31 marzo da Strasburgo contenente il resoconto di un colloquio tra Monnet e Pella dello stesso giorno del seguente tenore: «Monnet ha detto oggi a Pella che momento è favorevole per ripresa europeista e che, a suo avviso, sarebbe possibile ottenere da Governi Comunità in prossima riunione Ministri Esteri impegno proseguire integrazione di tipo sopranazionale in settori trasporti ed energia. In tal caso, Monnet ha aggiunto, cadrebbero riserve da lui formulate ed egli sarebbe disposto restare presidenza Alta Autorità. Quanto a me non ho dubbi che Monnet oramai, solo che ciò sia decentemente spiegabile, desideri restare al suo posto. Ho invece serii dubbi su asserita possibilità ottenere impegno Governi nel senso indicato da Monnet. Mi risulta fra l’altro che integrazione del settore energia non sarebbe molto ben vista da americani. Personalmente ritengo che il massimo che si potrebbe forse ottenere in riunione Ministri Esteri è dichiarazione non impegnativa buone intenzioni sei Governi nei confronti nota iniziativa Assemblea Comune per studiare sviluppi integrazione nel campo energia e trasporti. Non credo sbagliarmi affermando che dichiarazione del genere, anche se piuttosto platonica, potrebbe essere sufficiente per dar modo a Monnet ritirare sue dimissioni. Mi sono espresso in tal senso con Presidente Pella il quale consulterà Spaak a Bruxelles circa sua eventuale iniziativa». In relazione al colloquio e alle osservazioni della Rappresentanza, Rossi Longhi chiedeva di effettuare opportuni sondaggi presso i rispettivi Governi per conoscere quanto risultasse e circa le eventuali reazioni in merito: «1. circa riconferma Monnet presidenza Alta Autorità; 2. circa integrazione sopranazionale settori trasporti e energia». Infine Rossi Longhi comunicava che il Ministro degli Affari Esteri, Martino, aveva accettato la data del 23 aprile per l’elezione del Presidente della C.E.C.A.
3 Il 10 novembre 1954 Jean Monnet, Presidente dell’Alta Autorità della C.E.C.A., annunciò che alla fine del suo mandato, il 10 febbraio 1955, non si sarebbe candidato per una riconferma.
IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
Appunto. Roma, 5 aprile 1955.
APPUNTO CIRCA LA MIA VISITA A BONN DEL GIORNO 28 MARZO 1955
Signor Ministro,
durante la giornata della mia permanenza nella capitale della Repubblica Federale Tedesca ebbi l’occasione di intrattenermi con colleghi parlamentari francesi, belgi, olandesi e germanici facenti parte del Gruppo di lavoro della Commissione costituzionale dell’Assemblea ad hoc1; inoltre il Cancelliere Adenauer volle molto cortesemente ricevermi un quarto d’ora prima dell’udienza collettiva concessa ai membri del Gruppo di lavoro.
Nel pomeriggio poi mi intrattenni abbastanza lungamente col Dr. Enrico von Brentano, la cui assunzione come titolare del Ministero degli Esteri sembrerebbe quasi certa ed ormai imminente.
Non posso che essere grato per la cordialità con cui il Cancelliere Adenauer volle sia pur brevemente intrattenermi, e per il vivo interesse dimostrato per la posizione dell’Italia nell’attuale momento politico.
Egli chiese informazioni circa il viaggio dell’On. Scelba in America e si espresse in modo particolarmente simpatico nei confronti del Ministro Martino richiamandosi a contatti con lui avuti in occasione della stipulazione dei Trattati di Parigi.
Ma a parte questa atmosfera di cortesia, meritano di essere sottolineate alcune note su cui il Cancelliere (nel colloquio privato o nella «conversazione» collettiva) si soffermò in modo particolare.
a) Durante il mio colloquio non esitai a porre al Cancelliere quelli che mi sembrano essere i termini essenziali del problema europeo: se sia possibile cioè una ripresa della politica di integrazione a sei nel quadro dell’Unione Europea Occidentale ossia nel quadro dell’Europa a sette.
Devo dire che la risposta del Cancelliere fu ottimistica e tuttavia evasiva. Egli non rispose direttamente all’interrogativo, se cioè la Gran Bretagna sia veramente disposta, anche dopo il «gran gesto» fatto colla sua adesione all’U.E.O., a dare la sua benedizione alla formazione nel quadro U.E.O. di un più ristretto nucleo continentale.
Il Cancelliere preferì esprimere la sua fiducia che l’Inghilterra a poco a poco finirà essa stessa per affiancarsi ai paesi continentali ai fini dell’integrazione: il Cancelliere insistette nel dire che non una ma parecchie volte il termine «integrazione» è contenuto nei Trattati U.E.O. e che questo rappresenta per l’Inghilterra un notevole impegno. Egli peraltro insistette nell’affermare che occorre sempre tenere presente la speciale posizione dell’Inghilterra nei confronti dell’Europa e degli altri paesi di lingua inglese.
In sostanza sembra non siano da attendersi per ora da parte germanica particolari iniziative nel senso di una ripresa di politica soltanto «continentale». Non credo cioè che almeno nel 1955, a ratifiche depositate, sorgerà in Germania un nuovo Schuman o un nuovo Pleven deciso a prendere delle nuove iniziative tipo C.E.C.A. o tipo C.E.D.
Evidentemente la lunga quarantena in cui si è tenuta la Germania e sopratutto il rigetto della C.E.D. da parte del Governo francese – il quale non ha tenuto conto alcuno dell’impegno convinto e battagliero con cui il Cancelliere ha portato in porto tempestivamente le ratifiche – influiscono sulla prudenza del Cancelliere. Prudenza, naturalmente, nei confronti della politica «continentale». Prudenza tanto più giustificata dato il peso crescente della Repubblica Federale nella valutazione del nuovo grande alleato europeo, la Gran Bretagna, col quale Adenauer vuole evidentemente stringere e non allentare i vincoli. E ciò implica per la Germania lo sforzo di non incrinare il quadro dell’alleanza a sette con un affrettato ritorno alla politica a sei.
b) Il problema della sorte del Gruppo di lavoro dell’Assemblea ad hoc (praticamente liquidato!) mi ha permesso di saggiare ulteriormente la posizione germanica nei confronti dell’unificazione europea. Si tratta di un sintomo, ma non senza significato.
Nella seduta di lunedì 28 del Gruppo di lavoro venne sostenuta, da parte belga e da parte olandese, la tesi che se il Gruppo di lavoro giustamente non può più dar luogo ad onere finanziario per i Governi, esso dovrebbe però giuridicamente sopravvivere per alcuni mesi ancora (senza spese) fin quando non avesse trasmesso in un certo senso la propria eredità politica ai nuovi organi destinati ad occuparsi del problema europeo.
Io stesso appoggiai questa tesi proponendo la vecchia formula del diritto successorio: «Le mort saisit le vif». In questo caso il vivo esiste o sta per venire in essere in quanto l’Assemblea Comune, con l’accordo del Presidente Pella, sta per istituire una Commissione speciale avente per scopo di studiare l’eventuale allargamento delle competenze della C.E.C.A. ed i relativi problemi giuridico-costituzionali che si porranno per la Comunità e per i sei Stati continentali aderenti.
Fu anzi lanciata l’idea che si esprimesse discretamente al Presidente Pella il desiderio che di tale Commissione facciano parte di diritto quei membri dell’Assemblea Comune che già avevano fatto parte del Gruppo di lavoro.
Questa soluzione avrebbe un evidente vantaggio: quello di mantenere l’iniziativa europeistica in mani parlamentari senza soluzione di continuità e con una certa unione personale tra il vecchio ed il nuovo organo parlamentare: salvando quindi la continuità della politica dei sei paesi rispetto all’originaria deliberazione del Lussemburgo (10 settembre 1952).
Questa tesi, per quanto sostenuta dai rappresentanti di tre dei cinque paesi presenti, non si tradusse in alcuna risoluzione concreta. Il Gruppo di lavoro chiuse la sua ultima seduta su un piano diverso ed attenuato. Rimase fermo cioè il concetto accettato naturalmente tanto dal Presidente dell’Assemblea Comune che dai Governi che qualora i Governi desiderassero servirsi degli uomini del Gruppo di lavoro per ulteriori studi in materia costituzionale europea, avrebbero provveduto volta per volta i mezzi per eventuali ulteriori riunioni del Gruppo stesso.
Con questo naturalmente l’iniziativa ritorna ai Governi: nulla cioè si è fatto di concreto per mantenere in vita il sistema nato il 10 settembre 1952 dalle dichiarazioni di Lussemburgo e che aveva condotto alla creazione dell’Assemblea ad hoc, al deposito del progetto di costituzione nelle mani dei sei Governi ed alle successive Conferenze di Baden Baden2, di Roma3 e dell’Aja4, ed alla sopravvivenza del Gruppo di lavoro come organo parlamentare riconosciuto, incaricato di stimolare gli sviluppi dell’Europa a sei.
E ciò nonostante che alcuni membri del Gruppo di lavoro particolarmente esperti in diritto avessero molto elegantemente svolto la tesi che la caduta della C.E.D. e la caduta conseguente dell’art. 38 non possa rappresentare lo svuotamento del mandato conferito all’Assemblea ad hoc il 10 settembre 1952: ma che tale mandato sussiste sempre in base a tale deliberazione in quanto essa si richiama essenzialmente alla volontà comune dei sei paesi di fondere e saldare i loro comuni interessi con o senza la C.E.D. e l’art. 38.
Aggiungo che i rappresentanti francesi presenti a Bonn sembravano sopratutto interessati alla prossima visita di Pinay ed al problema dei rapporti bilaterali franco-tedeschi, così che in certo senso francesi e tedeschi, per ragioni diverse, mi sono parsi concordi nel non ritenere ancora maturo un rilancio concreto della politica di integrazione continentale.
Ho ritenuto di dover segnalare la prudenza che mi è parsa emergere nel contegno germanico per quanto riguarda gli sviluppi della politica «a sei»: prudenza dovuta sopratutto al fatto nuovo e cioè al sorgere di una Germania sovrana, non sottomessa a organi sopranazionali, uguale in diritto ai sette paesi dell’U.E.O., più forte in linea di fatto dei cinque paesi continentali, e quindi assimilabile in linea di fatto piuttosto al nuovo grande alleato britannico che ai vecchi alleati continentali.
Se questa situazione spiega un certo nuovo corso della politica europea della Germania ciò non significa affatto che l’entusiasmo e la fede europeistica del Cancelliere siano diminuite.
Ed anzi egli si è espresso a favore del proseguimento della politica di unificazione europea con slancio e con convinzione giovanile.
Egli ha insistito sopratutto su due punti:
1) Egli ha detto che bisogna continuare a battere in breccia tutte le concezioni nazionalistiche: occorre che ogni paese si convinca sempre di più dell’impossibilità di vivere isolato e autarchico. Questo vale, egli ha detto, per tutti i paesi, anche per i più forti.
2) Egli si è lagnato (rivolgendosi agli europeisti) dell’insufficiente lavoro svolto in materia di conquista dell’opinione popolare. Ha precisato che forse in Francia non sarebbe avvenuto quello che è avvenuto se le organizzazioni federaliste avessero lavorato più efficacemente. Anche in Germania, egli ha detto, abbiamo un partito socialdemocratico, che pur essendo anticomunista non accetta l’idea federale. Senza contare i due forti partiti comunisti o para comunisti di Francia e d’Italia. Esprimendosi nei termini più caldi il Cancelliere ha promesso l’incoraggiamento del suo Governo a tutte le iniziative unificatrici.
Ho potuto riprendere questi temi nel colloquio avuto col Ministro von Brentano, al quale esposi certe inquietudini italiane e non italiane circa la possibilità che la Germania, avendo riacquistato la propria sovranità, tenti piuttosto di evadere dalla costruzione europea per spiccare più alti e più vasti voli come grande potenza mondiale.
Il Dr. von Brentano non ha escluso che vi siano in Germania uomini che, spinti da visioni strettamente economiche, guardino sopratutto ad una libera espansione economica tedesca al di là delle frontiere europee. Ma ha subito precisato che fino a che il Cancelliere Adenauer, ed egli stesso nella sua eventuale qualità di Ministro degli Esteri, avranno la parola decisiva nella politica estera tedesca mai permetteranno che la Germania si stacchi dai suoi alleati europei. «Noi sappiamo benissimo – egli ha detto – che una nostra politica estera puramente improntata a una visione “germanica” dell’economia, creerebbe delle difficoltà in Francia ed in Italia. Il giorno in cui in questi due paesi scoppiasse una grande crisi economica o politica noi ne saremmo colpiti in pieno, e non varrebbero a salvarci né gli interventi inglesi né gli interventi americani».
In secondo luogo il Dr. von Brentano ha precisato il poco favore germanico per le iniziative europee rivolte ad una integrazione per settore.
Devo qui dichiarare che nella discussione svoltasi dinanzi al Gruppo di lavoro nella mattinata era stato affrontato il problema delle nuove iniziative a sei concernenti per esempio l’integrazione del sistema dei trasporti e delle fonti di energia.
Evidentemente von Brentano pronunciandosi contro l’integrazione per settore alludeva sopratutto al «pool» degli armamenti.
Ma il suo pensiero, quale egli me lo ha espresso, investe un problema più generale: «La Germania – egli ha detto – non può più perdersi nei viottoli dei piccoli pool ristretti intesi soltanto a bloccare artificialmente lo sviluppo dell’economia tedesca a favore della meno sviluppata e meno competitiva economia francese».
Tuttavia, e questa ulteriore dichiarazione il von Brentano me l’ha fatta in termini che non esito a chiamare enfatici, in qualunque momento giungessero da parte francese o da qualunque altra parte delle proposte per una autentica, completa (se pur progressiva) integrazione economica dell’Europa continentale, intesa a creare un mercato unico, la porta sarebbe sempre spalancata da parte germanica perché l’iniziativa possa arrivare a buon fine.
Come si vede, in questi colloqui il problema dell’unificazione germanica era rimasto in ombra. Volli quindi accennarne con l’On. von Brentano. E mi è parso di comprendere che agli occhi dei tedeschi il problema dell’unificazione non è il solo problema nazionale che li tocchi e li commuova: vi è anche il problema delle frontiere orientali. Ed anzi forse nel sentimento tedesco vi è il dubbio che la Germania debba alla fine pagare l’unificazione con la liquidazione o almeno lo svuotamento del problema delle frontiere. Tuttavia von Brentano mi ha confermato che in nessun caso il Governo tedesco attuale compirà mai gesto alcuno che menomamente possa rappresentare un pericolo per la pace. Tutte le riserve del Governo tedesco e le sue aspirazioni, sono fondate sul presupposto che la guerra deve essere definitivamente bandita come mezzo per la soluzione dei problemi tedeschi.
Infine l’On. von Brentano mi ha dichiarato (avendo io discretamente portato il discorso sull’argomento) che non un solo nazista che abbia coperto posti di responsabilità nel vecchio regime, occupa oggi posti di responsabilità nella Germania Federale. Egli mi ha anzi pregato di inviargli il testo dei discorsi dei deputati comunisti italiani nei quali vengono indicati certi nomi e certi fatti. Egli mi ha assicurato di poter facilmente confutare ogni accusa trattandosi di slogan propagandistici diffusi in tutta Europa ad opera della medesima centrale.
Concludendo mi sembra di poter dire che la catastrofe del 30 di agosto (caduta della C.E.D.) potrà essere riparata, ma che le più serie difficoltà psicologiche si troveranno forse in Germania. È molto probabile che il Cancelliere Adenauer e i suoi collaboratori ancora una volta con la loro lealtà, abilità e forza di convinzione riescano a superarle! Ma certo non sarà facile per il popolo tedesco dimenticare gli avvenimenti dell’agosto 1954 e successivi sviluppi. Occorrerà veramente che la statura del Cancelliere Adenauer e la passione europea dei suoi collaboratori siano messe a disposizione di questo nuovo compito: quello di indurre il popolo tedesco a sacrificare ancora sull’altare dell’integrazione europea certi vantaggi che la sorte ha voluto che gli derivassero, almeno in parte, proprio dal rigetto della C.E.D.: e cioè la recuperata sovranità nazionale, l’autonomia militare, il rafforzamento politico e l’alleanza diretta da pari a pari colla Gran Bretagna (U.E.O.) e coll’America (N.A.T.O.).
Benvenuti
1 Ci si riferisce alla cosiddetta Assemblea ad hoc, organismo creato nel 1953 in attuazione dell’art. 38 del Trattato C.E.D. in vista dell’elaborazione della Comunità Politica Europea (C.P.E.). L’Assemblea era composta dall’Assemblea Comune della C.E.C.A. allargata ad altri membri.
2 Conferenza dei sei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Baden Baden dell’8 agosto 1953.
3 Conferenza dei Sostituti dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Roma del 22 settembre 1953.
4 Conferenza dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a L’Aja del 26 novembre 1953.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
R. riservato 566. Parigi, 5 aprile 1955.
Oggetto: Accordi di Parigi e integrazione europea.
Signor Ministro,
ratificati ormai gli Accordi di Parigi1 si pone la domanda: «What next?».
Non sono ancora riuscito a chiarire i retroscena della strana condotta di Parodi al Consiglio Atlantico, quando egli, a nome del Governo francese, ha posto – per il deposito effettivo della ratifica – il «préalable» di un accordo sul pool degli armamenti, per poi ritirarlo nel pomeriggio.
Conoscendo Parodi, escludo che abbia agito di sua iniziativa od abbia male interpretato le sue istruzioni. Ho qualche ragione di ritenere – pur non essendone matematicamente sicuro – che Faure, per ottenere la solidarietà di tutto il suo Ministero sugli Accordi di Parigi, sia stato ridotto a promettere a Palewski e C°. che avrebbe, in qualche modo, ritardata l’entrata in vigore effettiva degli Accordi stessi per dar tempo a delle conversazioni con l’U.R.S.S. Si è Faure ritirato perché gli bastava un gesto formale, o avremo qualche altra sorpresa ancora?
La situazione interna del Gabinetto è ancora estremamente tesa per strascichi e sospetti di una polemica durata per due anni e mezzo. Così per esempio non si riesce ad arrivare ad un accordo per la nomina né del Direttore Generale degli Affari Politici ed Economici, né del nuovo Ambasciatore a Bonn. Per tutti e due i posti ci sono in lizza dei candidati europeisti, antieuropeisti e neutri, e non si riesce ancora ad intendersi su nessun nome. Faure cerca di tenersi un po’ al di fuori della mischia; non so se abbia egli stesso deciso come gli conviene per la sua situazione di orientarsi.
Nel frattempo c’è una formula che circola in molti ambienti: bisogna rilanciare l’idea europea.
La Francia non sarebbe la Francia se, d’accordo in principio, i partigiani di questo rilancio non avessero ognuno la sua idea particolare in materia. Mi sembra comunque di poter individuare due correnti principali di pensiero:
1) C’è del buono nel Trattato di Parigi, cerchiamo quindi di realizzarne il massimo, sfruttando in senso integrativo tutte le possibilità che può offrire il pool degli armamenti, l’Assemblea, ecc.
2) Il Trattato di Parigi non offre nessuna possibilità effettiva di sviluppo in senso integrativo: bisogna quindi lasciarlo cadere – visto che non è stato possibile bocciarlo – lasciando correre il piano inglese e tentare il rilancio dell’idea europea per altre vie. Qui di nuovo le opinioni differiscono:
a) c’è chi vuole rilanciare l’idea europea cercando di far rivivere in qualche forma la Comunità Politica;
b) c’è chi vuole invece farla rivivere affidando alla C.E.C.A. nuove funzioni e nuove attribuzioni.
Tutte queste correnti e sottocorrenti hanno un comune denominatore, la sopranazionalità: il che vuol dire rilancio dell’Europa a sei, ossia senza l’Inghilterra.
Così come stanno le cose, non mi sembra molto probabile che, almeno in un avvenire prossimo, questo rilancio dell’idea europea avvenga attraverso iniziative governative francesi. Personalmente il pensiero di Pinay sembra stia evolvendo verso la formula 2-b), all’origine della quale è naturalmente Jean Monnet. Monnet e Pinay erano nemici: è stato Pinay che ha messo fuori Monnet dal Commissariato al Piano: Rueff li ha riavvicinati e adesso Pinay è sotto il fascino di Monnet: il risultato normale del contatto fra una persona di intelligenza media ed una molto intelligente. Ma Pinay non può da solo formulare delle proposte a nome del Governo francese, ed è ben difficile che egli possa, adesso, avere l’appoggio del Governo francese a delle proposte di questo genere.
È viceversa molto più probabile che qualche proposta venga fatta avanzare al Lussemburgo, attraverso quell’ottimo strumento che è l’Assemblea della C.E.C.A.: ne abbiamo già del resto una prima avvisaglia nel telegramma di V.E. n. 3019/c.2.
Ora mi permetterei di consigliare, da parte nostra, a tutti i livelli, sia quello governativo sia quello parlamentare, la massima prudenza di fronte a qualsiasi proposta che possa venire avanzata. E dicendo prudenza, non uso una forma diplomatica: bisogna fare molto attenzione prima di dire di sì: molto attenzione prima di dire di no: non prendere posizioni di punta: e non prestarsi a cavare castagne dal fuoco per nessuno. La situazione è troppo fluida.
Internazionalmente. Gli americani, in questi ultimi tempi, sono stati qui di una saggezza esemplare: si sono guardati bene dal fare il minimo gesto che potesse comunque compromettere quello che essi consideravano giustamente l’obiettivo n. 1, la ratifica degli Accordi di Parigi da parte del Senato: hanno solo fatto per la prima volta una cosa ragionevole: hanno pagato: un precedente interessante. Ma quali sono adesso le loro vere intenzioni?
Hanno gli americani accettato di vedere la loro politica europea messa in iscacco dagli inglesi, o non si ripromettono invece di prendersi, appena possibile, una rivincita, e di ritirar fuori l’Europa a sei, eliminando così il neo-leadership inglese?
Non è certo da Parigi che si può presumere di dire quello che è o sarà la politica americana, che del resto non manca spesso di contraddizioni: l’Ambasciata di qui è silenziosa. Non posso che constatare che, appena terminata la ratifica, i numerosi porta parola americani in Francia si sono tutti, e rumorosamente, messi in moto per il rilancio dell’Europa a sei: e ancora più lo sono tutti i francesi più notoriamente legati con gli americani. È un elemento questo che sarebbe, credo, opportuno cercare di approfondire, poiché è evidente che sarebbe perfettamente inutile che noi tornassimo a scaldarci per l’Europa a sei se gli americani se ne disinteressano: come sarebbe consigliabile che non ci accalorassimo troppo per l’Europa a sette, se gli americani sono contro.
Ma più fluida ancora è la situazione interna francese.
Tutta l’opposizione alla C.E.D. – e sarebbe assai delicato indagare fino a che punto anche la C.E.D. stessa – aveva come comune denominatore la speranza di riuscire ad evitare il riarmo tedesco: ora questa speranza è fallita. I francesi cominciano adesso a rendersi conto che, ratificando gli Accordi di Parigi, essi hanno perduta quell’arma comunque forte che avevano in mano, e che erano i loro diritti di potenza occupante. Se domani, d’accordo con gli americani, i tedeschi oltrepassassero i limiti del loro riarmo, la Francia non ha più una possibilità effettiva di ostacolarlo.
La veemenza stessa della campagna anti-C.E.D. aveva fatto perdere a molti il senso della realtà: adesso è un po’ come l’indomani di una sbornia: si comincia a pensare a quello che si è fatto: «une prise de conscience», come dicono qui. C’è della gente in Parlamento che si domanda se in fondo non abbia fatto male a prendersela tanto contro la povera Comunità di Difesa.
In altre parole, il Parlamento francese, con la «coerenza» che gli è abituale, comincia a risentirsi una certa vocazione europea.
Può essere questo un elemento positivo e confortante, per l’avvenire, ma solo a condizione di andarci molto piano.
La situazione è fluida, lo ripeto ancora una volta. Per quanto sia possibile in una situazione fluida formulare delle impressioni, la mia impressione è che se c’è una chance di riprendere l’idea europea, intesa come integrazione più o meno sopranazionale, questa può essere soltanto attraverso una ripresa graduale, tranquilla, realistica della Comunità Politica.
Non discuto i meriti della C.E.D.: essa è caduta e le minestre riscaldate sono sempre cattive. La polemica sulla C.E.D. è stata troppo violenta, aspra e personale in Francia: chi non l’ha vissuta ha delle difficoltà a rendersi conto di come essa abbia diviso profondamente il paese. Anche se ci sono oggi rimorsi e rimpianti, se il nome dovesse tornare fuori, direttamente od indirettamente, la polemica riprenderebbe alla più bella e saremmo rapidamente al punto di prima se non peggio di prima. Tanto che sono arrivato a domandarmi, seriamente, se questa prevenzione non si applichi anche a qualsiasi possibile sviluppo del pool degli armamenti, in senso sopranazionale.
Il piano di riprendere l’integrazione attraverso una estensione delle attribuzioni della C.E.C.A., per quanto attraente e pratico possa sembrare, rischia anche lui di sollevare qui una bufera. Ci sono anche delle persone che hanno suscitato delle passioni, pro e contro: una di queste, forse la prima, è, in Francia, Jean Monnet: e in Parlamento la maggioranza, attualmente, è contro di lui.
Perché si possa vedere cosa si può fare ancora, di concreto, in Francia bisogna che le passioni si calmino. E non si riuscirà a farle calmare se si insiste a ritirar fuori istituzioni o persone che sono state all’origine di questo scatenamento di passioni.
Per l’integrazione economica, sotto qualsiasi forma, la Francia non è matura: in qualsiasi settore la si voglia tentare, gli interessi lesi faranno bocciare al Parlamento qualsiasi progetto, magari anche firmato.
Invece sull’integrazione politica, in fondo, partiti e uomini, tranne i più marcatamente filocomunisti, non hanno preso posizione contro: qualche cosa si potrebbe fare senza mettere troppa gente nella necessità di contraddirsi.
Ma con molta calma e molta prudenza.
Ci sono, ripeto, mi sembra, alcuni sintomi di un possibile cambiamento di animus: ma se si vogliono forzare i tempi, si rischia di distruggere quello che potrebbe un giorno fruttificare.
Non cadiamo anche noi nell’errore di attribuire ad un solo uomo l’insuccesso della C.E.D.: che ce lo dicano i francesi, passi: è un comodo sistema per non riconoscere le proprie manchevolezze. Ma non ci facciamo prendere anche noi al giuoco.
La C.E.D. è fallita perché alla propaganda contro, i cedisti francesi non hanno saputo opporre una efficace propaganda pro: perché uomini e metodi non si sono mostrati efficienti. Anche qui è difficile, per chi non ha vissuto questo periodo in Francia rendersi conto dell’inerzia, dell’incapacità di cui hanno dato prova, salvo poche eccezioni, i leaders dell’europeismo francese, di fronte all’abilità della propaganda contraria. E questo giudizio negativo non è solo mio personale, è generale del rank and file dell’europeismo francese.
L’idea europea, ed anche l’idea di integrazione europea, potrà essere ripresa in Francia e con successo: ma dovrà essere ripresa da uomini relativamente nuovi, in ogni caso non certo da quelli che sono state le prime donne del tentativo fallito: anche qui vale la massima che le minestre riscaldate sono cattive …
Si tratta, per quello che concerne noi italiani, di vedere se vogliamo realmente salvare l’idea europea o prestarci invece alla propaganda personale di alcuni francesi di cui il meno che si possa dire è che non sono altrettanto popolari in Francia come lo sono all’estero.
Se quello che ci interessa è realmente l’idea europea, bisogna che adoperiamo la più grande prudenza e la più grande discrezione; che evitiamo a Strasburgo od a Lussemburgo di dar corda a delle mozioni sonore che non servono altro che a far drizzare le orecchie ad un’opposizione francese che non è affatto morta.
Dopo tutto noi siamo perfettamente giustificati nel dire ai nostri amici francesi europeisti che noi, gli italiani e gli altri, abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere; che, se fosse dipeso da noi, l’Europa a sei sarebbe già un fatto compiuto; che sono i francesi che hanno mancato. Che ci mostrino che c’è realmente qualche cosa di cambiato in Francia, che essi hanno realmente un seguito ed un’influenza in Parlamento, ed allora noi li seguiremo. Non è possibile che ci si aspetti da noi – intendo con questo non solo gli italiani, ma tutti – che siamo noi a fare in Francia il lavoro che i francesi non fanno. È arrivato il momento di mettere tante vedette colle spalle al muro ed obbligarle a fare.
Non vedo quale vantaggio effettivo avremmo, per esempio, impegnandoci a studiare una comunità, mettiamo, trasporti ed energia, arrivare magari fino alla firma di un accordo e poi vedercelo di nuovo respingere dal Parlamento francese. Potrà essere forse un’operazione personalmente spiacevole questa di smontare il bluff di certi europeisti francesi, ma di fronte alla prova che hanno dato mi sembra sia giunto il momento di farlo.
In sostanza, la questione reale intorno alla persona di Monnet si riduce a questo:
gli europeisti francesi, in casa loro, non sono riusciti a trovare un soldo per far cantare un cieco: vanno avanti perché sono finanziati da Monnet. Se a Presidente della C.E.C.A. fosse eletto Ramadier, non darebbe più un soldo per questa propaganda; se fosse eletto René Mayer – ed è a questo poi che mira in fondo Edgar Faure per calcoli suoi di partito radicale – ne darebbe, ma non a quelli che sono gli stipendiati di Monnet; li darebbe ad altri. È un terreno pericoloso: c’è troppa gente che sta dando la caccia a Monnet in questa materia: uno di questi giorni sarà colto con le mani nel sacco: ne verrà fuori un pasticcio di cui non si avvantaggerà né la C.E.C.A. né nessuno. Il caso Monnet è una questione delicata fra francesi: lasciamola risolvere a loro e non ci lasciamo invischiare con interventi esteri che non possono che far del male.
Per quanto riguarda poi le varie possibili iniziative di oggi e dell’immediato futuro, mi sembra che esse dovrebbero essere giudicate non per il loro valore di effetto o di presa di posizione, ma per la misura in cui esse si inquadrano nella nostra politica e sono suscettibili di giovare a questa nostra politica.
Mi sembra che il Governo italiano resti fermo nel desiderare l’integrazione europea su basi sopranazionali: è una soluzione che auspicherei molto volentieri anch’io, personalmente.
Spero però sia ben chiaro a tutti, ormai, che questa Europa sopranazionale non può essere che una Europa a sei, ossia senza l’Inghilterra e quindi, in una certa misura, contro i desideri e la politica dell’Inghilterra. Questo bisogna che sia ben chiaro: in altre parole, o noi rinunciamo al sopranazionale, o noi rinunciamo all’Inghilterra.
Noi avevamo accettato di rinunciare all’Inghilterra: è in Francia che questa idea è fallita. Fare l’Europa a cinque, senza la Francia, è impossibile. Ma per farla a sei, bisogna che la Francia, ossia il Parlamento francese, accetti adesso quello che non era disposto ad accettare sei mesi fa.
Ritornare uno dei propulsori dell’Europa a sei è – temo – tornare in una posizione di almeno marcata freddezza con l’Inghilterra. Se ci fosse, o quando ci sarà, una possibilità reale di fare una Europa integrata, per me, varrebbe ampiamente la pena di andare incontro ad un nuovo periodo di freddo con l’Inghilterra. Ma non mi sembra che valga la pena di guastare le relazioni coll’Inghilterra, rimesse un po’ a posto dopo tante difficoltà, se non abbiamo almeno una ragionevole certezza di riuscire a fare questa Europa.
Mozioni, progetti, iniziative, dichiarazioni di Ministri, è tutto quello che, spinti o spalleggiati dai francesi, abbiamo fatto negli ultimi tre anni. Hanno servito al più a precisare delle responsabilità: ma non è precisando colle responsabilità che si costruisce.
Dobbiamo quindi guardare ogni possibile iniziativa anche sotto un secondo punto di vista: serve questo a portare la Francia a riaccettare l’idea dell’Europa a sei o serve soltanto degli interessi personali?
L’idea europea è fallita qui, perché di propaganda se ne è fatta poca e male: è solo attraverso la propaganda fatta in Francia dai francesi che essa può essere rilanciata. Questo è quello che dobbiamo dire loro, a Strasburgo ed a Lussemburgo anche più che a Parigi, se vogliamo fare opera utile. Ed è soltanto se questa propaganda sarà fatta con risultati positivi che potremo pensare a qualche iniziativa concreta.
Purtroppo noi possiamo desiderare l’Europa, non bastiamo a farla. Ed in questa situazione delicata bisognerebbe, mi permetto di ripeterlo, andarci molto piano con iniziative nostre ed essere anche molto prudenti nel seguire iniziative altrui, a sfondo molto, troppo, di réclame personale.
La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio dovuto ossequio.
Quaroni
1 Gli Accordi di Parigi sulla Germania, firmati il 23 ottobre 1954, furono approvati dal Consiglio della Repubblica francese il 27 marzo 1955.
2 Riferimento errato: si tratta del T. 3099/c. del 2 aprile, per il quale vedi D. 2, nota 2.
IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 4765/200. Lussemburgo, 6 aprile 1955, ore …, 04 (perv. ore 7,45).
Oggetto: Estensione integrazione europea.
Ho avuto, a sua richiesta, colloquio con Monnet. Questi, ripetendomi in massima quanto già detto a Pella1, ha affermato esistere attualmente possibilità estensione integrazione a trasporti ed energia, per cui alcuni Governi sono decisi prendere iniziativa. Iniziativa dovrebbe, in occasione prossima riunione Ministri Esteri, condurre sei Governi ad assumere impegno politico (eventuale mandato di studio all’Assemblea Comune non sarebbe sufficiente), rinviando in sede tecnica approfondimento problemi.
Riunione Ministri Esteri dovrebbe, secondo Monnet, avere luogo immancabilmente prima della sessione dell’Assemblea Comune e non necessiterebbe grande preparazione, dato che decisione che Ministri Esteri sarebbero chiamati a prendere, come sopra accennato, sarebbe politica e non tecnica. (Stessa idea mi risulta è stata espressa da Spaak a Pella)2.
Gli ho risposto Governo italiano si mantiene fedele a «europeismo», ma che non era stato finora favorevole a integrazione per settori (risposta Monnet: si tratta di integrazione non di settori ma di servizi); ignoravo quindi pensiero V.E. in materia. D’altra parte anche riconoscendo opportunità non allarmare prematuramente settori interessati, sembravami indispensabile che Ministri Esteri in prossima conferenza non fossero presi di sorpresa e senza istruzioni loro Governi in tale importante materia.
Monnet mi ha dato ragione e mi ha detto avrebbe agito presso Spaak affinché questi facesse circolare in tempo utile suo pensiero su atteggiamento tedesco (vedasi mio telegramma n. 199)3. Monnet mi ha detto che Adenauer, da lui visitato tre giorni or sono, è favorevolissimo e imporrà sua volontà a Ministeri tecnici alquanto riluttanti.
1 Vedi D. 2, nota 2..
2 Vedi D. 1.
3 T. 4662/199 del 4 aprile, con il quale Cavalletti aveva comunicato la proposta tedesca di rinviare la Conferenza dei Ministri degli Esteri a data successiva alla sessione dell’Assemblea Comune.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DEL BELGIO, SPAAK,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
L.1. Bruxelles, 7 aprile 1955.
Mon cher Ministre,
Maintenant que le Traité de Paris est ratifié par les différents Parlements, je pense que l’heure est venue de régler la question posée par la démission de M. Monnet comme Président de la Haute Autorité de la C.E.C.A. et d’essayer de relancer l’idée européenne.
Dans mon esprit les deux choses sont d’ailleurs liées. Je crois qui M. Bech qui est actuellement Président du Comité des Ministres de la C.E.C.A., va proposer une réunion des Ministres des Affaires Etrangères à Luxembourg, pour la fin du mois ou pour le début du mois prochain2.
C’est, je pense, au cours de cette réunion, que nous devrons arrêter notre tactique commune.
Je crois que la meilleure solution serait de garder M. Monnet comme Président de la Haute Autorité. Toutes les combinaisons envisagées pour le remplacer se heurteront à de réelles difficultés. Il est évident cependant que M. Monnet ne pourra revenir sur sa décision que si un fait nouveau intervient. A mon avis, c’est ce fait nouveau qu’il faut créer. Il faudrait que les Ministres des Affaires Etrangères fassent savoir publiquement leur volonté de relancer l’idée européenne en étendant les compétences de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier.
Cette extension de la Communauté pourrait s’appliquer à l’ensemble des forces actuelles d’énergie (électricité, gaz et carburants) et aux moyens de transport (chemins de fer, navigation fluviale, transports routiers et aériens).
La mise en commun des efforts pour le développement de l’énergie atomique à des fins pacifiques pourrait également être confiée à une organisation qui dépendrait de la C.E.C.A.
Afin de réaliser cette extension, il me semble qu’il serait urgent d’organiser une conférence internationale où l’idée serait examinée en détail et dont le but serait d’ailleurs la rédaction d’un traité. La Présidence de cette conférence pourrait sans doute être confiée à M. Monnet dont l’expérience en la matière est réelle.
Si les Ministres des Affaires Etrangères pouvaient se mettre d’accord sur cette politique, ils pourraient en faire part à M. Monnet et lui signaler que sa démission n’est plus justifiée puisque c’est la politique que lui-même a préconisée qui va être poursuivie.
Si les choses pouvaient être réglées come je viens de l’indiquer, j’ai de bonnes raisons de croire que M. Monnet reviendrait sur sa décision et ainsi nous aurions reglé à la fois deux problèmes: celui de la Présidence de la Haute Autorité et celui de la relance de l’idée européenne.
J’espère très vivement que vous pourrez vous rallier à une pareille procédure. Je crois que le moment est venu d’agir avec fermeté. Le climat européen me paraît bon à la suite de la ratification du traité de Paris et nous devons, me semble-t-il, profiter de la chance qui nous est offerte. Si par malheur, nous la laissons passer, je crains fort qu’elle ne se représente plus jamais.
Je pense que mes Collègues de Benelux sont prêts à se rallier aux idées générales que je vous ai exposées. Malheureusement, les renseignements que je reçois d’Allemagne et de France sont moins encourageants. En Allemagne, il semble que M. Erhardt, Ministre des Affaires Economiques, soit hostile à cette conception de l’édification de l’Europe par secteur. Il préfèrerait la création d’un marché commun. A mon avis, les deux conceptions ne sont pas contradictoires. Je crains toutefois que l’hostilité de M. Erhardt ne rend la position du Chancelier plus difficile. Il me semble qu’en Allemagne, on cherche à gagner du temps. Je le regrette infiniment.
Du côté français, M. Pinay a bien voulu me marquer son accord général sur les idées que je lui ai exposées, mais il n’y a pas de doute qu’il rencontrera des difficultés à faire triompher au sein de son Gouvernement, et la renomination de M. Monnet, et la relance de l’idée européenne autour de la C.E.C.A.
Je crois cependant que si les pays de Benelux, appuyés par l’Italie, pouvaient prendre une initiative, celle-ci pourrait être couronnée de succès. Je ne sais pas si nous pourrions obtenir tout ce que je propose, mais nous pourrions cependant arriver à un compromis satisfaisant. Si nous ne parvenons pas à obtenir que M. Monnet reste à son poste, il sera, je crois, difficile de lui trouver un successeur et nous allons nous heurter à des obstacles difficiles.
J’ai mis l’Ambassadeur d’Italie à Bruxelles au courant de mes idées à ce sujet, et il vous en fera certainement rapport3.
Me rappelant des positions audacieuses et généreuses qui ont été prises, ces dernières années par le Gouvernement italien, j’espère, mon cher Ministre, que nous pourrons nous mettre d’accord sur la tactique à suivre aujourd’hui.
Veuillez agréer, mon cher Ministre, l’assurance de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués4.
Spaak
1 Firenze, Archivio Storico dell’Unione Europea (ASUE), Paul-Henri Spaak, PHS-06, Troisième mandat en tant que ministre des Affaires étrangères 1954-1958, fasc. PHS-281, Messine-Conférence (avril-mai 1955).
2 Vedi D. 14, nota 4.
3 Con T. 4826/57 del 6 aprile, non pubblicato.
4 Per la risposta vedi D. 13.
L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato […]1. Bruxelles, 18 aprile 1955.
Oggetto: Ripresa di progetti di integrazione europea. Piano Beyen.
Negli scorsi giorni tutta la stampa belga aveva dato notizia che i Governi del Benelux avrebbero l’intenzione di riprendere al più presto il Piano Beyen2 del 1952 di mercato comune europeo, basato su un’unione doganale ed una autorità europea tariffaria. Tale piano, che come si ricorda nella riunione di Roma del principio 19533 incontrò sopratutto l’opposizione francese, sarebbe riesumato e proposto agli altri Governi dell’Europa Occidentale, poiché il momento appare propizio per la ripresa di iniziative di integrazione europea.
Le agenzie di stampa, nel darne notizia, aggiungevano che il Governo belga era già d’accordo e che la nuova iniziativa porterebbe addirittura il nome di «Piano Spaak Beyen».
Successivamente, in fine settimana, i giornali belgi smentivano tuttavia tale notizia, pubblicando un comunicato piuttosto secco di questo Ministero degli Esteri che dichiarava non essere intenzione del Governo belga di proporre nell’attuale momento un progetto di integrazione orizzontale; si aggiungeva che sembra invece preferibile presentare nel quadro della C.E.C.A. delle proposte per l’integrazione di nuovi settori (energia elettrica, trasporti e forse energia nucleare).
Dato quanto precede, ho ritenuto interessante di appurare presso il Gabinetto di Spaak quale fosse il retroscena di queste contrastanti notizie: ci è stato detto, con preghiera di mantenere al riguardo ogni riservatezza, che effettivamente il Ministro olandese Beyen è tornato a caldeggiare il suo vecchio progetto di integrazione europea con mercato comune ed ha chiesto l’appoggio dei belgi per «rilanciare» l’idea. Spaak però vi è risolutamente contrario, almeno nell’attuale momento e pur conservando tutta la sua simpatia verso i progetti più ambiziosi di integrazione politica ed economica: egli ritiene che vi sarebbero scarsissime possibilità di ottenere il consenso degli altri «partners» e preferisce concentrare tutti i suoi sforzi sulla realizzazione dei tre nuovi settori da integrare tramite C.E.C.A. Si rende conto che già per questo programma molto più limitato le difficoltà da superare saranno notevoli e rischierebbero di diventare addirittura insuperabili se vi si aggiungesse il progetto olandese.
Come si vede, l’accordo tra i Governi del Benelux non è completo sulle possibilità di azione in campo europeistico, anche se gli scopi finali sono gli stessi: pare che sia sopratutto per questo motivo che la settimana prossima Spaak si recherà all’Aja per prendere contatti personali con Beyen4.
1 Numero di protocollo illeggibile.
2 Il piano Beyen venne proposto l’11 gennaio 1952 al Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. con un memorandum del Governo olandese.
3 Conferenza dei sei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Roma, il 24-25 febbraio 1953.
4 L’incontro fra Spaak e Beyen all’Aja ebbe luogo il 22-23 aprile 1955.
L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. 1976/9221. Londra, 18 aprile 1955.
Oggetto: C.E.C.A. Colloquio Pella-Spaak.
Riferimento: Telespr. di V.E. n. 44/05339 del 9 aprile corr.2.
Al Foreign Office ci è stato confermato che qui non si intendono sollevare difficoltà o creare ostacoli alla annunciata iniziativa del Ministro Spaak per l’estensione delle competenze della C.E.C.A. ai trasporti e alle altre fonti di energia.
Il funzionario competente ha però tenuto a dirci subito che ogni eventuale sviluppo in tale direzione non può minimamente impegnare il Governo britannico poiché i rapporti che lo legano alla Comunità attraverso l’accordo recentemente firmato riguardano solamente il settore del carbone e dell’acciaio e stabiliscono obblighi che vanno contenuti entro limiti ben definiti.
In realtà – a quanto è stato dato di rilevare dalla conversazione avutasi – l’idea del Ministro Spaak sembra sia stata qui vista con una certa sorpresa e non manchi di sollevare qualche perplessità. Il nostro interlocutore ha bensì detto di rendersi conto dell’importanza che hanno per la Comunità i problemi dei trasporti e della produzione di energia, ma ha più volte accennato al fatto che esiste già una organizzazione tra le competenti Amministrazioni dei trasporti di vari paesi europei e che per l’energia elettrica si sta già occupando l’O.E.C.E. Nel manifestare il timore che l’iniziativa possa quindi dar luogo a dei duplicati, il nostro interlocutore ha ventilato l’ipotesi che essa sia dovuta al desiderio di Spaak di convincere Monnet ad accettare il reincarico della presidenza dell’Alta Autorità offrendogli la possibilità di nuovi sviluppi nel campo dell’integrazione economica europea.
1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Parigi.
2 Vedi D. 1, nota 1.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato 633/3991. Parigi, 18 aprile 1955.
Oggetto: Problemi C.E.C.A.
Circa la C.E.C.A., in genere, e gli argomenti di cui al telespresso ministeriale n. 44/05339 del 9 corrente2, in particolare, ho detto a Massigli che da parte nostra si aveva la migliore buona volontà di favorire il Governo francese nella questione della presidenza della C.E.C.A., ma che, per farlo – specie in considerazione del fatto che era il nostro Ministro degli Esteri che presiedeva la riunione dei Ministri – bisognava che sapessimo quello che pensava il Governo francese: il che non era ancora il caso.
Massigli mi ha detto che mi era grato di questo passo perché se ne sarebbe servito per ripetere al suo Governo che era necessario che si decidesse: non poteva per il momento dirmi ancora il pensiero del Governo francese, ma solo darmi un certo numero di indicazioni, a titolo personale.
Dell’equivoco Ramadier era responsabile il Presidente Pella. Era stato lui stesso presente al colloquio Pella – Mendès-France, dove Pella aveva detto a Mendès-France che, in ordine di precedenza, i francesi che avevano le maggiori chances di essere accetti per la presidenza erano Robert Schuman, René Mayer e Ramadier. Sentito questo, per un complesso di ragioni che conoscevamo – e sulle quali ho del resto a suo tempo riferito –, Mendès-France si era pronunciato per Ramadier: ci si era poi dovuti render conto che questa candidatura non aveva nessuna chance. Come buon amico di Ramadier gli aveva scritto alcuni giorni fa per consigliarlo di ritirare la sua candidatura, e poteva assicurarmi che questo sarebbe avvenuto al più presto.
Vorrei aggiungere incidentalmente che bisognerà fare qui qualche cosa perché, a causa di questa vera o presunta conversazione con Mendès-France, il Presidente Pella si è attirato il risentimento di una parte considerevole – ed influente – dell’opinione politica francese, il che sarebbe meglio rimediare.
Quanto al resto mi poteva dire, confidenzialmente ma senza tema di essere smentito dai fatti, che Monnet non sarà il candidato del Governo francese. È dubbio anche se, ritirando egli le sue dimissioni, si possa avere la sua riconferma altro che a titolo temporaneo: ma in ogni modo, questo Governo francese non farà il minimo gesto, od aderirà a qualsiasi proposta destinata a facilitargli il ritiro delle dimissioni.
«Può essere – mi ha detto – che Pinay, sotto l’influenza di qualche suo amico, abbia qualche preferenza per Monnet, ma il Presidente Faure, che ha il polso del Parlamento e del Gabinetto in mano e che in questi affari decide lui, sa benissimo che il nome di Monnet fa vedere rosso a molti dei Ministri importanti e quindi non sarà mai lui ad appoggiarne la candidatura».
Mi ha confermato che il candidato di Faure è René Mayer, e che questi ha già accettato, adesso. «René Mayer – mi ha detto Massigli – ha fatto cadere Mendès-France con il suo discorso sull’Africa del Nord: sperava che questo discorso gli avrebbe aperta la via alla successione. Se in Francia può avergli fatto bene, questo discorso è stato disastroso per lui in Algeria e sa ormai che non sarà rieletto: cerca quindi di andarsene prima en beauté». Ci sono poi anche a favore di questa candidatura le ragioni cui ho accennato in un mio precedente rapporto. Del resto V.E. ricorda che René Mayer aveva, qualche tempo addietro, accettato di essere nominato giudice all’Alta Corte: si è poi ritirato, per le insistenze di alcuni suoi amici politici.
La candidatura di René Mayer ha molte chances di essere accettata dal Consiglio dei Ministri. È europeista, quindi sarà accettato dagli europeisti: i non europeisti lo accetteranno, pur di levar di mezzo Jean Monnet. Credo che qui Massigli abbia ragione: c’è da aggiungere anche che molti saranno felici così di togliere di mezzo un importante aspirante Ministro e Presidente del Consiglio.
Aggiungo, per quello che ci riguarda, che René Mayer ai suoi tempi – ossia non con il regime attuale della Banca – è stato molto legato con la Banca Commerciale: ha conservato un ottimo ricordo di questa sua associazione con noi: e tutte le volte che è stato Ministro o Presidente ho sempre potuto contare sulla sua amichevole collaborazione per le nostre questioni. È legato molto strettamente – anche per vincoli di parentela da parte della moglie – con la Banca Rothschild.
Comprendo che da parte nostra non si fosse entusiasti della nomina di Ramadier: ma non vedo per quale ragione, se effettivamente René Mayer sarà il candidato dei francesi, dovremmo preferire un’altra candidatura alla sua.
Per quello che riguarda le proposte fatte da Spaak all’On. Pella3, e di cui era al corrente, Massigli mi ha detto che il Governo francese, pur senza avere ancora preso delle decisioni in proposito, era favorevole a studiare le possibilità di agenzie, accordi, intese, o quello che si voleva in altri settori, per esempio elettricità e petrolî, come era stato proposto da Spaak. Nel suo discorso, Faure aveva del resto accennato ad una possibile integrazione europea nel campo dei trasporti e dell’energia nucleare. Ma il Governo francese, nel suo complesso, era contrario a che tutto questo venisse posto sotto l’egida della C.E.C.A.
Anche qui Massigli mi ha detto che non essendo intervenuta una decisione di Governo, non poteva darci che la sua opinione personale. Poteva essere che, per qualche cosa, Pinay potesse essere favorevole ad estendere le competenze della C.E.C.A., ma non vi era certo favorevole Faure, e non era certo possibile ottenere l’adesione del Gabinetto francese ad una proposta di questo genere. Ho del resto riferito io stesso a V.E. che la cosa mi pareva difficile.
Anche per quello che riguarda le proposte avanzate recentemente da Faure, sempre secondo Massigli le idee di Faure non sono ancora né chiare, né precise. Politicamente però egli ritiene che prima di fare qualche nuovo passo avanti serio in tema di integrazione europea bisogna in Francia, calmare la bufera che è stata sollevata dalla C.E.D. e dagli Accordi di Parigi: per cui egli intende scartare in principio qualsiasi proposta che sia suscettibile di far rinascere le vecchie polemiche.
Secondo Faure – è sempre Massigli che parla – la prima cosa che bisogna fare è quella di sfatare il numero sei: bisogna quindi studiare una serie di progetti integrativi che abbiano ognuno una sfera di azione differente. Parlandogli dei trasporti, per esempio, Faure gli ha detto che, in sé, un’integrazione dei trasporti è la più facile a fare, ma che sarebbe assurdo farla senza la Svizzera: si avrebbe quindi in questo caso un’integrazione, o qualche cosa di analogo a sette, ma senza l’Inghilterra. Viceversa, sempre secondo Massigli, Faure penserebbe che per l’integrazione nucleare bisognerebbe procedere a tre – Francia, Germania ed Italia – (questo è, del resto, come credo di averlo già segnalato, il pensiero di molti qui, dovrei dire di tutti quelli che si occupano seriamente della questione nucleare). Dopo qualche tempo, si potrebbe cominciare a vedere quali e quanti di questi organismi sono suscettibili di essere raggruppati sotto una specie di cappello comune.
A mia richiesta, mi ha detto che, evidentemente, il giorno in cui Monnet non ne fosse più il Presidente, e lasciato un po’ di tempo per far calmare gli animi, dei progetti di estensione dei poteri della C.E.C.A. potrebbero incontrare in Francia minore opposizione.
Circa l’atteggiamento inglese, Massigli, di fronte alle proposte Spaak, si è limitato a dirmi che Spaak è generalmente portato all’ottimismo e che, per esperienza fatta, non bisogna prenderlo troppo sul serio quando dice che gli inglesi – o gli americani – condividono il suo punto di vista.
A questo riguardo segnalo, ad ogni buon fine, una voce che qui corre con insistenza da qualche tempo: e cioè che Spaak avrebbe cessato di essere nelle buone grazie americane, come è stato per molto tempo: e che in genere le simpatie americane si starebbero spostando piuttosto dal Belgio verso l’Olanda.
1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.
2 Vedi D. 1, nota 1.
3 Vedi D. 1.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 5459/1131. Parigi, 19 aprile 1955, ore 16,45 (perv. ore 17,10).
Oggetto: Progetto Spaak.
Suo telespresso 44/05339 del 9 aprile scorso2.
Da primi sondaggi effettuati presso Segretariato e principali Delegazioni, risulta che in ambienti O.E.C.E. progetto Spaak di sollevare, a prossima sessione Consiglio Ministri della C.E.C.A., problema estensione sfera di competenza dell’Alta Autorità a questioni trasporti ed energia viene considerato come mossa di prevalente se non esclusiva natura politica. Si fa osservare al riguardo che, tra l’altro, progetto non sembra essere stato preceduto, nemmeno da parte suo autore, da adeguati studi economici, tecnici e giuridici.
Secondo quanto ha riferito un membro del Segretariato che ha recentemente accompagnato Armand in Germania, ambienti industriali e tecnici tedeschi giudicherebbero con freddezza propositi Spaak, pur non escludendo che Cancelliere Adenauer, considerandoli sotto angolo politico, possa essere di opinione diversa. D’altra parte, Sergent ha inviato in proposito un memoriale al Presidente Faure, e raccomandato vivamente ad Armand di ultimare entro data prevista del 10 maggio studio su problemi dell’energia in Europa (vedi mio telespresso 1224/519 del 15 marzo scorso)3.
Atteggiamento di altri paesi, non senza importanza nei settori dei trasporti e dell’energia, quali Svizzera, Austria e paesi scandinavi, risulta ispirato ad una certa diffidenza verso soluzioni che maturerebbero in istanze alle quali essi non partecipano.
Presso Delegazione britannica mi è stato detto che rapporto di Armand comprenderà anche trattazione questioni energia nucleare, tanto che egli si recherà nei prossimi giorni in Gran Bretagna per contatti con ambienti competenti; e mi è stato assicurato che Governo britannico è disposto discutere con altri paesi membri O.E.C.E. conclusioni ed indicazioni che emergeranno da rapporto, compresa parte dedicata ad energia nucleare sotto il profilo sua utilizzazione economica.
Colleghi inglesi hanno ricordato altresì che, analogamente a quanto avvenne nel passato per conferenze europee Ministri Trasporti ed organizzazione mercati agricoli, atteggiamento loro Governo rimane fermo nel senso che sede naturale per sviluppo cooperazione economica europea continui ad essere O.E.C.E.
Prova evidente dell’attenzione con cui inglesi seguono la questione è decisione del Presidente del Consiglio di convocare per 22 corr. riunione Capi Delegazione onde discutere tali problemi4.
Segue rapporto5.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con il numero di protocollo di sede 289.
2 Vedi D. 1, nota 1.
3 Vedi Avvertenza. Per il Rapporto Armand vedi D. 16, nota 4.
4 Vedi D. 16.
5 Vedi D. 12.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservatissimo 639/4041. Parigi, 19 aprile 1955.
Oggetto: C.E.C.A.
Ho poste a Pinay le stesse domande che avevo poste a Massigli2.
Pinay mi ha confermato che il Governo francese riconosce che la candidatura di Ramadier non ha più nessuna chance e, pur prevenendomi che nessuna decisione era stata presa in proposito da parte francese, mi ha parlato della candidatura di René Mayer.
Mi ha anche lui parlato delle difficoltà interne francesi che potrebbero provocare anche soltanto il fatto che Jean Monnet ritirasse le sue dimissioni; comunque, era fuori di questione che lo si potesse presentare come candidato del Governo francese.
A titolo personale, ho detto a Pinay che sarebbe però stato bene che il Governo francese facesse conoscere la sua decisione al più presto. Sapeva meglio di qualsiasi altro quale fosse la posizione personale di Monnet presso tutti i settori più profondamente europeisti: l’uomo poi aveva delle indiscusse capacità di manovratore. Mentre il Governo di Parigi non si decideva, Monnet si stava lavorando deputati e Governi, per cui, se si lasciava passare ancora del tempo, si sarebbe finito per creare una situazione poco gradevole per il Governo francese e suscettibile di provocare qui crisi interne a cui nessuno era interessato. Il Governo italiano, per esempio, non aveva ambizioni personali in materia di Alta Autorità, era desideroso di continuare ad andare d’accordo con i francesi, ma non poteva naturalmente accostarsi ad una politica francese che non era definita.
Pinay mi ha detto che della questione si doveva discutere in un Consiglio di Gabinetto ristretto che si sarebbe dovuto riunire un’ora più tardi: e che non avrebbe mancato di comunicarmene la decisione.
Ho però successivamente saputo da altra fonte che in questa riunione di Gabinetto si è parlato solo delle questioni tunisine3 e non della C.E.C.A.
Circa i progetti Spaak e Faure, Pinay mi ha detto che lui personalmente sarebbe stato favorevole ad aumentare, in qualche misura, la sfera di competenza della C.E.C.A., ma che doveva rendersi conto che, nella situazione attuale, non era possibile fare accettare una politica del genere né dal Gabinetto né dal Parlamento. La Francia era quindi favorevole a creare delle nuove forme di integrazione in nuovi settori, anche nuove agenzie, ma non poteva accettare che, per ora almeno, tutto questo fosse posto sotto l’egida della C.E.C.A.
Gli ho fatto osservare che, anche su questo punto, era necessario che il Governo francese si decidesse a definire il suo punto di vista. Potevo essere d’accordo con lui nel riconoscere che la Delegazione francese all’Assemblea della C.E.C.A. non era rappresentativa del Parlamento francese; ma essa c’era, prendeva accordi, si agitava, spingeva altri Governi a fare questo ed altro. Una chiara presa di posizione del Governo francese avrebbe potuto richiamare tutti ad una concezione più realistica delle possibilità francesi. Ma, nel frattempo, bisognava tener conto che c’erano dei francesi che parlavano a tutti di possibilità ben differenti. Questo poteva portare a delle orientazioni, a delle iniziative da parte di vari Stati. Sapevo benissimo che queste iniziative avrebbero poi naufragato di fronte al no del Parlamento francese; ma si sarebbero avute delusioni spiacevoli. E questo si sarebbe potuto e dovuto evitare uscendo da questa posizione di incertezza.
Pinay mi ha detto di rendersene conto, ma che da parte nostra si doveva anche tener conto della situazione del Governo francese che ha avuto ed ha tanti problemi difficili da affrontare e non può quindi trovare tempo per decisioni, egualmente importanti, ma non altrettanto pressanti dal punto di vista interno.
Da tutta la conversazione traspariva chiaramente l’imbarazzo personale di Pinay. In partenza, quando cioè è diventato Presidente del Consiglio, Pinay era troppo «sergente a Verdun» per poter essere realmente europeo. Poi, nella sua parentesi di disoccupazione, non so se per convinzione o per opportunismo, ha fatta una violenta conversione all’europeismo. Adesso si trova in una posizione difficile perché da una parte gli europeisti «ultra» e lo stesso Monnet contano su di lui: d’altra parte, lui, a meno che si decida a dimettersi, come accennano alcuni amici suoi, molto vagamente per ora, non può imporre le sue vedute ad un Governo che non resisterebbe ad una presa di posizione, diciamo, alla Monnet, e davanti ad un Parlamento che non ha una maggioranza europeista.
1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.
2 Vedi D. 9.
3 All’inizio del 1955 il Governo Mendés France aveva deciso di concedere l’indipendenza ai protettorati della Tunisia e del Marocco, divenuta effettiva dal 1956.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
R. 1793. Parigi, 19 aprile 1955.
Signor Ministro,
l’idea attribuita al Signor Spaak di proporre alla prossima Conferenza dei Ministri della Comunità Carbone e Acciaio1 una estensione della competenza della Comunità stessa al campo generale dell’energia e a quello dei trasporti non è stata accolta negli ambienti dell’O.E.C.E. con molto favore; piuttosto direi con scetticismo e con preoccupazione.
Questo era naturalmente da attendersi. In un organismo nel quale la maggioranza degli Stati che ne fanno parte non sono membri della C.E.C.A., non può ragionevolmente pensarsi che si manifesti favore a iniziative che concernono solo alcuni membri, in campi, come quelli dell’energia e dei trasporti, che sono di interesse generale. Nell’O.E.C.E. poi vi è necessariamente la tendenza a considerare i problemi nei loro aspetti tecnici, e a dare minore importanza a impostazioni politiche. L’iniziativa che si attribuisce al Signor Spaak solleva questioni assai complesse e assai gravi, quando essa venga considerata dal punto di vista tecnico, e d’altronde essa è troppo vaga e troppo nebulosa per poter essere studiata con obiettività. Appare soprattutto, come ho avuto già occasione di dire nel mio telegramma n. 1132, un’iniziativa politica, che non è stata preceduta da una approfondita disamina. Né giova certo a una favorevole disposizione degli animi l’argomento che l’allargamento delle competenze della C.E.C.A. è il solo modo col quale si potrà persuadere il Signor Monnet a mantenere il suo ufficio. Questa sembra essere una considerazione del tutto secondaria, ma che dovrebbe entrare nei ragionamenti circa la utilità o meno di promuovere un allargamento delle competenze della C.E.C.A.
Quanto nel modo di esprimersi i Delegati presso l’O.E.C.E. riflettano l’opinione dei loro Governi, e quanto loro giudizi personali, non sarebbe possibile dire. È poco verosimile che essi abbiano già ricevute istruzioni da parte dei loro Governi, che staranno ora esaminando questi problemi. L’iniziativa tuttavia del Presidente del Consiglio di convocare per venerdì (22 aprile)3 una riunione dei Capi delle Delegazioni per conoscere il loro pensiero non sarebbe stata presa da Sir Hugh Ellis-Rees se il Governo britannico non considerasse con serietà l’eventualità che il Signor Spaak dia seguito alla sua idea. Altri paesi, la Svizzera ad esempio, vedono probabilmente con preoccupazione una impostazione ristretta dei problemi dell’energia e dei trasporti, né il Delegato svizzero mi ha nascosto che a questa preoccupazione se ne associa un’altra: quella di accentuare le forze centrifughe che minacciano il rafforzamento e lo sviluppo dell’ O.E.C.E. Il che può essere particolarmente vero per la Gran Bretagna, dove l’entusiasmo per la cooperazione intraeuropea non è molto marcato, e potrebbe ulteriormente indebolirsi qualora questa cooperazione si accentuasse in campi nei quali la Gran Bretagna venisse a trovarsi esclusa.
Ma, ripeto, è soprattutto sotto gli aspetti tecnici che l’iniziativa Spaak suscita le maggiori perplessità, non vedendosi bene come sia possibile ridurre a unità problemi così diversi come quelli dei trasporti e delle varie forme di energia.
Per quanto concerne i trasporti, varie forme di cooperazione europea sono in atto. La più recente, come V.E. sa, è quella che si riassume nella Conferenza europea dei Ministri dei Trasporti, cui partecipano i Ministri di tutti i paesi continentali al di qua del sipario di ferro (incluse la Gran Bretagna, la Spagna e la Jugoslavia), e che si va esplicando in una serie di accordi di varia natura, anche finanziaria. Tali accordi, essendo per la maggior parte di portata tecnica ed amministrativa, non hanno bisogno di sanzione parlamentare. Sui risultati di tale attività questa Rappresentanza ha riferito con il recente rapporto n. 1713 del 15 aprile4, e di essa si occuperanno nei prossimi giorni il Comitato Esecutivo ed il Consiglio. Per quanto mi è lecito giudicare, mi sembra che sia stato compiuto un buon tratto di cammino: altre iniziative interessanti sono allo studio. Ma su questo punto V.E. potrà più sicuramente avere un preciso giudizio dal Ministro dei Trasporti.
Non è certo la preesistenza di questo organismo di cooperazione europea che può bastare a far escludere, in limine, l’opportunità che tale collaborazione sia intensificata sottoponendola a un’autorità sopranazionale. Certo i sei paesi C.E.C.A. hanno fra di loro, nel campo dei trasporti ferroviari stradali e acquei, relazioni più strette che con taluni degli altri paesi membri della C.E.T.M. (per esempio la Gran Bretagna, o la Spagna, o la Turchia). Può darsi che particolari intese sarebbero più facili a stringersi fra essi soli: così l’acquisto in comune di materiale rotabile o la standardizzazione di esso; o certe misure di coordinamento tra le varie forme di trasporti. Ma due punti mi sembra vadano attentamente considerati prima di prendere una decisione di istituire una specie di ministero unico dei trasporti per i sei paesi. Il primo riguarda l’assenza della Svizzera: paese per il quale passa la maggior parte delle grandi linee di collegamento ferroviario e stradale fra l’Occidente e il Sud-Est dell’Europa. È difficile vedere come un vero coordinamento dei trasporti continentali possa farsi senza la partecipazione attiva della Confederazione Elvetica: e il Governo svizzero non ha mai nascosto che non gli è possibile aderire alla C.E.C.A., proprio per il suo carattere sopranazionale. Forse questa difficoltà potrebbe aggirarsi con un accordo del tipo di quello C.E.C.A.-Regno Unito, se gli svizzeri entrassero in questo ordine d’idee, il che, da quanto mi ha detto il Delegato permanente svizzero, non mi sembra sia da attendersi.
Per quanto concerne l’energia, il discorso è più complesso, date le svariate forme di essa e delle sue fonti, che vanno esaminate una per una. La domanda che negli ambienti dell’O.E.C.E. si pone è la seguente: che cosa potrebbe fare in pratica un’autorità sopranazionale riguardo a ciascuna di esse?
Qui il punto fondamentale da tener presente è la natura dell’energia (salvo per quanto riguarda il carbone, che è già interamente nella competenza della C.E.C.A.) che è assai diversa da quella delle altre materie sottoposte alla Comunità di Lussemburgo. Le altre forme tradizionali di energia, che si tratterebbe di annettere alla C.E.C.A., non danno luogo, o perlomeno non daranno luogo per molto tempo, a intensi scambi intraeuropei, salvo che in casi marginali. Il compito della C.E.C.A. è stato finora quello di stabilire, garantire e conservare un mercato comune, in una vasta zona dell’Europa, del carbone, del ferro e dell’acciaio. In che senso si potrebbe parlare di un mercato comune delle altre forme di energia?
Elettricità: collegamenti e scambi di energia elettrica esistono già fra varii paesi; principalmente attorno all’arco alpino: essi sono stati stabiliti per accordi fra le varie società produttrici. Riguardano comunque una quantità minima rispetto a quella prodotta in Europa; e questo carattere marginale degli scambi sembra destinato a sussistere in un prevedibile futuro. Si può certo pensare a qualche grande lavoro in comune, da farsi con finanziamento «europeo» (alcuni ne avvengono già, per accordo di varii paesi e con parziale finanziamento della Banca Internazionale). Si deve però in questo caso prevedere che l’Alta Autorità possa desiderare applicare al kW elettrico il precedente del prelievo finanziario applicato alla tonnellata di carbone e di acciaio. Ciò mi porta a menzionare, per memoria, il problema delle tariffe, che finora il nostro Governo ha considerato di sua gelosa competenza: problema che esiste, naturalmente, anche per le altre fonti di energia.
Petrolio: non esiste fra i sei paesi della C.E.C.A. un commercio di petrolio grezzo, perché la produzione indigena europea è minima, anche se ci sono fondate speranze che essa possa aumentare. Il commercio del grezzo è, come a tutti è noto, nelle mani del cartello internazionale del petrolio: il prezzo di esso è più o meno identico in tutti i porti europei. Può anche essere più elevato del necessario: ma non si vede bene che cosa potrebbe fare al riguardo la Comunità. Per quanto riguarda il raffinato, vi è un certo commercio intraeuropeo, dai paesi che hanno una capacità esuberante di raffinazione a quelli che ne hanno scarsezza. Esso si svolge, a quanto so, secondo le normali regole commerciali, e con una concorrenza alquanto attiva, ma anch’essa più o meno diretta e calmierata dalle grandi Compagnie internazionali, alle quali appartengono molte delle raffinerie e delle reti di distribuzione. Si può concepire teoricamente un controllo europeo sui nuovi impianti di raffineria: l’O.E.C.E. ci si è provata, con scarso successo, talché la capacità di raffinaggio in Europa è già probabilmente esuberante; comunque sia, il petrolio non è, per ora, una merce europea, ma extraeuropea. Ed è sopratutto su questo punto che negli ambienti della Delegazione americana qui si insiste.
Gaz naturale: per quanto io sappia, la produzione in Francia e in Italia, anche se dovesse aumentare notevolmente, potrebbe esser tutta assorbita dai mercati nazionali: salvo qualche scambio marginale che potesse esser economicamente conveniente per ragioni geografiche (e che nel nostro caso riguarderebbe prevalentemente la Svizzera). In pratica, in Europa è questa una ricchezza che possediamo in grande quantità noi soli; le altre grandi fonti eventuali sono in Medio Oriente e in Africa del Nord: e cioè, ancora una volta, e per il giorno che diventeranno sfruttabili, extraeuropee.
Resta la nuova forma di energia, che è appena ai suoi albori anche nei paesi più sviluppati, e cioè l’energia nucleare. In questo campo è preminente la posizione del Regno Unito, il quale ha già vigorosamente intrapreso un’azione per lo sfruttamento economico di essa, come risulta dal «Libro bianco», che è stato oggetto di accurato esame e di favorevoli commenti da parte dei competenti uffici tecnici del Segretariato dell’O.E.C.E. È evidente che una cooperazione internazionale in questo settore senza la partecipazione o l’apporto britannico non avrebbe molto fondamento, e che più che altrove è viceversa indispensabile la presenza degli inglesi, se non altro per l’esperienza tecnica che essi porrebbero a nostra disposizione.
Come una possibile autorità sopranazionale nel campo dell’energia nucleare possa collegarsi e con la proposta Autorità Atomica Internazionale (Conferenza di Ginevra del prossimo agosto) e con la rete di accordi bilaterali in corso fra Stati Uniti e paesi continentali (ai quali probabilmente vanno le preferenze di Washington) e con il progresso della Gran Bretagna (e con il suo piano di fornire all’Europa materiale e macchinario) resta ancora da vedere, ed è evidente materia che va attentamente studiata. Ma vanno anzitutto studiate le effettive possibilità di un mercato comune europeo delle materie prime fondamentali (fissili e moderatrici), se esso fosse limitato ai sei paesi. Sarebbe da vedere se uranio e torio da un lato, grafite dall’altro (nonché la produzione di acqua pesante) siano cosa prevalentemente extraeuropea.
Se è difficile definire i termini del problema di un mercato comune dei paesi della C.E.C.A. per quel che riguarda il petrolio, non appare a prima vista neppure facile definirli per quel che riguarda le materie prime fondamentali per l’energia nucleare. Di qui la difficoltà di valutare la proposta Spaak in termini concreti, che si aggiunge alla difficoltà di concepire praticamente un organismo europeo destinato a disciplinare l’energia nucleare, senza la partecipazione della Gran Bretagna. Ma l’atteggiamento inglese sarà forse più chiaro dopo la riunione di venerdì3 e mi riservo di riferire.
Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.
Vitetti
1 La Conferenza dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. si sarebbe riunita dal 1° al 3 giugno 1955 a Messina (vedi D. 43).
2 Vedi D. 10.
3 Si riferisce alla riunione dei Capi Delegazione O.E.C.E. del 22 aprile 1955: vedi D. 16.
4 Non pubblicato.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DEL BELGIO, SPAAK
L. 44/06016/221. Roma, 22 aprile 1955.
Caro Ministro,
mi riferisco alla sua cortese lettera del 7 corrente2 e le assicuro di avere attentamente meditato le considerazioni che ella fa nell’intento di addivenire alla nomina del Presidente dell’Alta Autorità.
Ella mi fa presente altresì che sarebbe possibile raggiungere tale scopo se i Ministri degli Affari Esteri dei sei paesi, nella loro prossima riunione, fossero disposti a dichiarare la loro intenzione di estendere la sfera di competenza della C.E.C.A. ad altri settori.
Come ella sa, l’evoluzione della integrazione economica dell’Europa costituisce uno dei cardini della politica italiana e pertanto ogni sforzo tendente a forme più strette di cooperazione europea è sempre visto in Italia con il massimo favore.
Il Governo italiano considera pertanto con la maggiore simpatia, sul piano generale, uno sviluppo di tale cooperazione anche sulle linee da lei prospettate; non è peraltro ancora in grado di definire il proprio punto di vista su un problema così complesso come quello della estensione dei poteri di competenza della Comunità, specie per quanto concerne settori così tecnici, quali quelli delle fonti di energie e dei trasporti.
Mentre tengo ad assicurarla che, da parte mia, non mancherò di dedicare alla sua iniziativa tutta la mia attenzione, mi auguro che un più approfondito esame del problema possa consentirmi di precisarle, in un prossimo futuro, l’atteggiamento del Governo italiano.
Colgo l’occasione, caro Ministro, per inviarle i sensi della mia più alta considerazione.
Martino
1 Firenze, Archivio Storico dell’Unione Europea (ASUE), Paul-Henri Spaak, PHS-06, Troisième mandat en tant que ministre des Affaires étrangères 1954-1958, fasc. PHS-281, Messine-Conférence (avril-mai 1955).
2 Vedi D. 6.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
R. riservato 655. Parigi, 22 aprile 1955.
Oggetto: Estensione delle competenze della C.E.C.A.
Signor Ministro,
ho riferito a V.E. i punti di vista di Faure e di Pinay in materia di estensione dei poteri della C.E.C.A. (Telespr. ris. 633/399 e 634/404 del 18 e 19 aprile u.s.)1 e circa il suo Presidente. Evidentemente vi sono anche delle voci più apertamente europeiste nel Gabinetto: V.E. avrà potuto averne degli echi direttamente a Roma da Teitgen, che rappresenta l’ala estrema degli europeisti francesi.
Intanto Spaak e Beyen si muovono con dei piani vari: immagino che altri piani saranno preparati anche altrove in vista della prossima riunione dei Ministri degli Esteri al Lussemburgo. Ci sono poi tutti gli intrighi che si tessono intorno alla rielezione di Monnet.
Mi permetto di dire ancora una volta a V.E. che tutto questo mi sembra molto irreale, ma anche molto pericoloso.
Spaak, parlando con Pella2, sembrava avere avuto l’impressione che gli inglesi non fossero sfavorevoli ai suoi progetti di estendere la competenza della C.E.C.A. Non ho la pretesa di dire da Parigi quali siano realmente le reazioni inglesi: rilevo però che il collega Zoppi stesso mi sembra molto più riservato sull’argomento3: quello che è comunque certo è che, in sede O.E.C.E., gli inglesi si sono messi subito in movimento, con abilità ed energia, per silurare queste possibili iniziative. Può essere che ci sia in questo un certo elemento di concorrenza sezionale, ma comunque è un sintomo che non va trascurato.
Sarebbe già, questo dell’Inghilterra, un elemento che ci consiglierebbe, tra i vari organismi internazionali, una certa prudenza. Noi, o, per lo meno, una sezione del Governo italiano, sembra convinta della necessità di tenere in vita l’Unione Europea dei Pagamenti, e le conseguenti liberalizzazioni; sembra anche interessata a che resti in vita l’O.E.C.E. Ora non mancano delle tendenze inglesi a uscire dall’Unione Europea dei Pagamenti: se l’Inghilterra ne esce, è logico che l’Unione dei Pagamenti va per aria, e con essa la liberalizzazione e probabilmente l’O.E.C.E. Ora l’Inghilterra essendo sollecitata in direzioni contrarie, non so fino a che punto sia politico spingere verso altre integrazioni a tipo sopranazionale; questo potrebbe incoraggiare le tendenze isolazionistiche dell’Inghilterra.
Su questo argomento, con molta maggiore competenza di me, può riferire il collega Vitetti: per parte mia mi limito a segnalare che c’è contraddizione fra la corrente europeista ed il desiderio di mantenere in vita l’Unione dei Pagamenti. Le relazioni coll’Inghilterra, appena uscite da una lunga crisi, hanno bisogno di non essere troppo messe in crisi: tanto più in questo caso dove c’è un interesse preciso italiano, precedente il riavvicinamento, che può essere in causa.
Per parte mia ritengo mio dovere insistere su di un punto: checché ce ne possano dire certi francesi, tutto questo non può portare a nessun risultato pratico: la Francia non segue: nel vagliare il pro ed il contro, dobbiamo anche tener conto che è una politica votata allo scacco.
È una politica pericolosa anche sul piano interno francese.
Per il settore europeista italiano ed estero in genere, Mendès-France è stato una specie di bestia nera: non bisogna pensare che, caduto lui, la politica francese sia realmente chiarificata. Gli elementi negativi e torbidi permangono, non meno di prima.
C’è qualche cosa di sotterraneo che si va tramando qui, di cui non si riesce ancora bene ad afferrare le fila. Si parla di un possibile viaggio di Herriot a Mosca, il cui significato non sarebbe certo equivoco: persone di fiducia di Ollenhauer fanno continuamente la spoletta fra qui e Bonn e complottano con quello che c’è di più equivoco in Francia: si parla di possibile dichiarazione di incostituzionalità dei protocolli sulla Sarre, si parla di agitazione di piazza in Germania. In una parola, quelli che vogliono ancora trattare con la Russia, prima del deposito delle ratifiche da parte della Francia, non hanno ancora deposto le armi: si direbbe anzi che hanno fiducia che qualche cosa di nuovo possa impedirlo. Mi permetto di ricordare la strana uscita di Parodi al pool degli armamenti: c’è ancora e sempre qualche cosa sott’acqua che può darci delle sgradevoli sorprese.
Da parte nostra, ci si è rallegrati perché nel Gabinetto sono entrati Pinay, Schuman, e Teitgen: è esatto, ma ci sono anche Palewski e Koenig. Molti, e non tutti di sinistra, pensano qui che la situazione economica francese è ancora molto instabile, anche se sulla via del miglioramento: che basterebbe una serie di scioperi a catena, per rimettere tutto in questione, economia, bilancio, moneta: di qui a ritenere che si possa acquistare una certa pace interna avvicinandosi sulla politica estera alle idee sovietiche, non c’è che un piccolo passo da fare. Faure personalmente è incerto, equivoco forse: vuol restare al potere: cerca di tenere una difficile via di mezzo.
Le elezioni cantonali hanno dato alcune indicazioni interessanti: un certo riprendere degli M.R.P. in alcune regioni, un considerevole rafforzamento dei moderati, e sopratutto il crollo di quello che fu il gaullismo. Se questa tendenza politica si confermerà alle elezioni della primavera prossima, potremo avere una Camera francese con maggioranza europea: ed allora sarà possibile di fare molte cose: ma con questa Camera, e finché ci sarà questa Camera, mi permetto di ricordare che non c’è niente da fare. E non sono affatto sicuro che un riprendere della polemica pro e contro l’Europa, inevitabile se si marcia al Lussemburgo secondo le idee di Spaak, possa facilitare questa evoluzione, e non piuttosto il contrario.
Spaak, Monnet, certi nostri amici francesi, sono in perfetta buona fede, ma sono anche dei cattivi consiglieri. È grazie a loro che è stato montato il «fronte unico» di Bruxelles le cui conseguenze sono state disastrose: se si fosse trattato a Bruxelles, avremmo oggi e da qualche mese la C.E.D.
Oggi più o meno vorrebbero tentare la stessa cosa. Della Francia, del Parlamento francese abbiamo già fatta una certa esperienza, e questa esperienza dovrebbe servirci. Cosa crediamo: che forse il giorno in cui gli altri Stati si sono schierati dietro Monnet la Francia si inchinerà alla nostra volontà? O che se ci dichiariamo tutti in favore dell’estensione delle competenze della C.E.C.A. questo cambierà gli uomini del Governo e del Gabinetto francese? Già nella migliore delle ipotesi non si potrà che creare un’altra commissione di studio, che potrà fare un progetto che dovrà essere accettato dal Governo francese e ratificato dal Parlamento.
Allora? Il risultato potrebbe essere solo quello di tornarcene a casa e dire che abbiamo fatto fare un nuovo passo avanti all’idea europea, o che abbiamo messo la Francia davanti alle sue responsabilità. È quello che abbiamo ripetuto per quasi tre anni, alla fine di ogni riunione internazionale: e il risultato finale è stato che abbiamo portato al potere Mendès-France, fatto naufragare definitivamente la C.E.D. e fatto fare un passo indietro formidabile all’integrazione europea.
La questione di Monnet – che è poi anche la questione di Alphand, di Margerie e di tanti altri – è una questione interna francese: sarà meglio per tutti se la lasciamo risolvere ai francesi e tra francesi, senza interventi esteri. E prima di imbarcarci sull’estensione dei poteri della C.E.C.A., lasciamo che i francesi, tra francesi, creino le premesse, a casa loro, per poterlo fare.
La Francia è un paese nervoso, isterico, in preda ad una grave crisi, che reagisce male ad intromissioni straniere nella sua politica interna, tanto più se queste intromissioni sono anche intromissioni tedesche. Noi rischiamo di buttare la Francia nelle braccia dell’U.R.S.S. È una politica che alla lunga costerebbe cara alla Francia, ma che costerebbe cara anche a noi tutti.
Politica particolarmente rischiosa per noi: il periodo delle liti accanite franco-italiane non è poi tanto lontano. Ai fini pratici, litigarci per l’Europa è la stessa cosa che litigarci per motivi nazionalistici. E riaccendendo, sia pure per elevati motivi di integrazione europea, polemiche franco-italiane, o polemiche franco-tedesche, non si serve certo la causa dell’Europa.
Possiamo con questa politica far cadere il Gabinetto Faure: in sé non sarebbe una catastrofe: ma, ammettendo anche che il suo successore possa essere Pinay, su che maggioranza si potrebbe basare? Non ci sono altre maggioranze che l’attuale, fino alle elezioni: quindi, il successore di Faure non potrebbe fare una politica molto differente da quella di Faure se vuol restare al potere.
Mi permetto quindi di pregare V.E. ed il Governo italiano di voler essere molto prudenti e riservati alla prossima riunione del Lussemburgo4. Se non possiamo frenare gli altri, se non si ritiene opportuno di frenarli, per lo meno non ci lasciamo trascinare dagli altri. La saggezza, il realismo europeo ci consiglierebbero piuttosto di non cercare di andare più lontano di quello che ritengono di poter fare i francesi tranquilli. L’importante è di fare qualche passo, anche se modesto, e di non rischiare di buttare per aria quello che si è potuto fare.
La prego di credere, Signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.
Quaroni
1 Vedi DD. 9 e 11.
2 Vedi D. 1.
3 Vedi D. 8.
4 La sede del Lussemburgo per la Conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. fu poi «sacrificata» in favore di Messina, per dare «maggiore facilità» a Martino di parteciparvi, secondo quanto Bech avrebbe riferito a Cavalletti (T. 6884/267 del 13 maggio da Lussemburgo). La decisione era stata concordata in sede di Consiglio Atlantico (vedi D. 22).
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. segreto 656/4161. Parigi, 22 aprile 1955.
Oggetto: C.E.C.A. Conversazione con Faure.
Ho avuto un breve colloquio col Presidente del Consiglio sull’argomento C.E.C.A.
Circa le varie agenzie proposte da Spaak, mi ha detto di non avere difficoltà a prendere in considerazione dei nuovi settori di integrazione europea (ne aveva del resto proposti due, di nuovi, lui stesso, i trasporti e l’energia nucleare), ma di non potere, per ragioni governative e parlamentari, nemmeno prendere in considerazione che queste nuove integrazioni possano realizzarsi sotto forma di estensione dei poteri della C.E.C.A. Mi ha, per quello che concerne i trasporti, fatto presente, per esempio, la necessità di avere nella combinazione la Svizzera, altrimenti l’integrazione non avrebbe molto senso pratico.
Per quello che concerneva la presidenza della C.E.C.A., mi ha confermato il ritiro della candidatura Ramadier, aggiungendo che personalmente stava considerando la candidatura di René Mayer. Sia sull’una che sull’altra questione, mi ha detto che mi avrebbe visto la prossima settimana per parlarmi più a lungo delle sue idee. Per mia parte gli ho ripetuti gli argomenti che avevo già adoperati con Pinay2.
Dove però, prevedendo l’eventuale conversazione della settimana prossima, Edgar Faure è stato più che categorico è stato sull’argomento Monnet: «Non accetto in nessun caso che Monnet sia il Presidente della C.E.C.A.: se gli stranieri vorranno intrigare per impormelo, farò uscire la Francia dalla C.E.C.A.: perderò alcuni Ministri del mio Gabinetto, ma diventerò il Presidente del Consiglio più popolare di Francia».
1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.
2 Vedi D. 11.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
R. 1845. Parigi, 25 aprile 1955.
Signor Ministro,
come ho informato con mio telegramma n. 1291, ha avuto luogo il 22 corrente la riunione ufficiosa dei Capi delle Delegazioni, che il Presidente del Consiglio aveva convocato per uno scambio di idee sui problemi della cooperazione intraeuropea nel campo della energia e dei trasporti.
A convocare questa riunione Sir Hugh Ellis-Rees è stato indotto dalle notizie diffuse dalla stampa circa l’iniziativa che il Signor Spaak prenderebbe alla riunione del Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. di proporre un allargamento delle competenze di questa Comunità al campo più generale di tutte le fonti di energia, notizie che non hanno mancato di suscitare, come ho già riferito, una notevole perplessità e una certa preoccupazione negli ambienti dell’O.E.C.E., e, come è stato chiaro nelle dichiarazioni che Sir Hugh Ellis-Rees ha fatte nel corso della riunione di ieri, hanno indubbiamente preoccupato il Governo britannico. Questo ha voluto far conoscere, come ora si vedrà, in maniera precisa che esso era disposto a discutere con gli altri paesi d’Europa il problema della cooperazione in materia di utilizzazione economica dell’energia atomica, ma era disposto a farlo solamente in seno all’O.E.C.E. Con tale dichiarazione, il Governo di Londra ha inteso evidentemente prevenire i sei paesi della C.E.C.A. che, qualora il problema della cooperazione intraeuropea nel campo della energia atomica fosse impostato altrove, non potrebbe contarsi sulla cooperazione britannica, e avvertire i paesi estranei alla C.E.C.A. che la mancata cooperazione britannica non potrebbe imputarsi, in questa eventualità, alla Gran Bretagna, ma a quei paesi che avessero voluto sottrarre il problema dell’ energia atomica all’O.E.C.E. e stabilire una forma di cooperazione fra loro.
In questo intento, palese nel fatto stesso che egli ha convocato la riunione alla vigilia dell’incontro fra Spaak e Beyen2, Ellis-Rees ha avuto il pieno appoggio della Delegazione tedesca, e, come era da attendersi, quello dei Delegati dei paesi estranei alla C.E.C.A., in particolare di quello svizzero, il quale ha criticato aspramente la tendenza alla formazione di blocchi economici nell’interno dell’Europa Occidentale, blocchi che, egli ha sostenuto, lungi dal favorire la formazione di un sistema di progressiva cooperazione fra i paesi d’Europa, tendono a moltiplicare le barriere e a provocare in definitiva la disgregazione, non la integrazione economica dell’Europa.
Do ora qui un resoconto sommario della discussione, che è stata aperta da Sir Hugh Ellis-Rees, in qualità di Delegato del Regno Unito. Egli ha esordito ricordando le varie forme della cooperazione internazionale nel campo dell’energia nucleare, ed in particolare l’Agenzia dell’O.N.U. e la prossima Conferenza di Ginevra, delle quali il Regno Unito è «joint-sponsor»3. Il rapporto Armand4, ha continuato Ellis-Rees, non sarebbe completo se non considerasse anche questa forma di energia e le sue implicazioni economiche e commerciali per l’Europa. L’O.E.C.E. dovrà avere una accurata discussione su tale argomento, ed in essa il Regno Unito è pronto a partecipare pienamente («to play a full part»), perché ritiene che l’O.E.C.E. è il «fòro appropriato» per discutere tali problemi. È bene – ha concluso il Delegato britannico – che ciascun paese sia pienamente conscio di questo atteggiamento, anche in relazione alle notizie comparse sulla stampa. Per quanto riguarda specificamente i trasporti, Ellis-Rees ha ricordato l’esistenza della Conferenza europea dei Ministri, con uno Statuto autonomo ma che prevede i collegamenti necessari con l’O.E.C.E., come dimostra il suo primo rapporto annuale che verrà discusso al Consiglio entro maggio. Il Delegato britannico ha concluso con un accenno all’opportunità di evitare il ripetersi di quelle «dispute istituzionali» già avvenute nel passato, con evidente allusione ai precedenti del Pool Verde e degli stessi trasporti.
Il Delegato del Belgio è intervenuto a questo punto, per mettere in rilievo la grande importanza della dichiarazione fatta da Sir Hugh Ellis-Rees a nome del Governo britannico, circa le buone disposizioni del Regno Unito a partecipare a forme di cooperazione nel campo dell’energia atomica in sede O.E.C.E. Il Ministro Ockrent ha chiesto se tale cooperazione comprendesse anche gli investimenti per impianti e lo sfruttamento dell’energia atomica; a questa domanda Ellis-Rees ha risposto di non poter dare chiarimenti precisi, ma che dopo la discussione del rapporto Armand avrebbero potuto essere trattati all’O.E.C.E. tutti i problemi inerenti all’energia nucleare.
Il Delegato della Germania ha esordito confessando che, se si domanda per quali ragioni si manifesta una tendenza di integrare nella C.E.C.A. i settori dell’energia e dei trasporti, egli non sa dare una risposta. Pur dichiarando di non poter impegnare a questo stadio il suo Governo, ha ricordato le reticenze tedesche nei confronti delle integrazioni per settori, e la propensione del suo Governo a considerare invece l’insieme dell’economia, anche per evitare pericoli di «cartellizzazioni»; questo modo di pensare è condiviso d’altra parte dagli stessi industriali. L’Europa continentale non può rinchiudersi in se stessa, ma deve cercare di diventare competitiva con le altre aree; inoltre, le nuove forme di cooperazione recentemente stabilite, per esempio con la Jugoslavia e con la Spagna, soffrirebbero se la cooperazione si spostasse in un ambito più ristretto. L’Ambasciatore Werkmeister ha quindi criticato l’eventualità di integrazioni istituzionali limitate nel campo dell’energia e dei trasporti, per motivi tecnici. Il petrolio non è una produzione europea; il gas naturale è prodotto solo in alcuni paesi ed ha un assorbimento nazionale; per l’elettricità già vi sono i possibili limitati scambi commerciali ed i problemi delle tarifficazioni hanno implicazioni insopprimibili di bilancio interno. Quanto all’energia atomica, non era assolutamente concepibile che se ne occupasse un’organizzazione europea della quale non facesse parte il Regno Unito. Si tratta di settori che presentano problemi più economici che tecnici, ed è per questo che l’O.E.C.E. è la sede idonea per una stretta cooperazione, tenuto anche conto del fatto che diversi dei suoi membri non sono membri della C.E.C.A. Il Delegato della Germania ha concluso esprimendo il suo compiacimento per l’atteggiamento del Regno Unito, secondo il quale l’O.E.C.E. è il quadro in cui tali questioni debbono essere discusse.
Il Delegato della Svizzera ha ribadito la vocazione generale economica della Convenzione di Parigi istitutiva dell’O.E.C.E. Alcuni paesi considerano i problemi dell’energia e dei trasporti sotto un profilo politico più che economico, ma egli condivide invece le osservazioni formulate dal Delegato tedesco. Non si può cadere in contraddizione tra le diverse tendenze che si vanno manifestando: la convertibilità postula per definizione un sistema mondiale, mentre gli esercizi integrativi sono regionali. L’O.E.C.E. deve essere il mezzo per reintegrare l’Europa in un sistema mondiale. Si aggiunga che la collaborazione multilaterale è l’unico mezzo, per i piccoli paesi, di far sentire la loro voce, e che il moltiplicarsi delle integrazioni specifiche non fa che accrescere le barriere in un’Europa già troppo piccola. Gli esempi precedenti dei trasporti interni e dell’agricoltura sono significativi in tal senso, ed i Governi hanno dovuto persuadersi che non è possibile considerare separatamente i vari settori dell’economia senza provocare una vera e propria «disintegrazione materiale e geografica». Quanto ai trasporti, il Ministro Bauer ha dichiarato esplicitamente che il suo paese non sarebbe disposto a partecipare ad una «organizzazione dei trasporti terrestri sotto forma di integrazione». Parlando dell’energia, egli ha osservato che l’O.E.C.E. è l’unico organismo internazionale che ha in sé comitati che rappresentano i produttori ed i consumatori: vi è cioè un parallelismo tra economia e tecnica, che determina l’universalità dell’approccio dell’O.E.C.E. Quanto all’energia nucleare, infine, il Governo elvetico non ritiene possibile alcuna cooperazione senza la partecipazione «attiva e direttiva» del Regno Unito, e pertanto egli si compiaceva altamente della dichiarazione di Ellis-Rees.
Il Delegato dell’Austria ha dichiarato, a nome del suo Governo, di essere completamente d’accordo con quanto detto dal collega tedesco, ed ha ringraziato il Delegato del Regno Unito per l’importante dichiarazione fatta a nome del proprio Governo.
Il Delegato del Portogallo si è espresso negli stessi termini, ponendo vigorosamente l’accento sulla necessità di un’azione direttiva del Regno Unito in materia di energia nucleare e che l’O.E.C.E. tratti di queste questioni.
Il Delegato della Francia ha detto che, per quanto concerne il suo paese, il solo fatto reale sono le dichiarazioni di alte personalità, tra le quali il Presidente del Consiglio, sulla volontà di agire: la forma, il carattere, il quadro, il momento dell’azione sono ancora ipotetici e non può quindi parlarsene con cognizione di causa. La Francia, egli ha detto, non ha mai cessato di considerare «con fede e con speranza» l’azione dell’O.E.C.E., qual che sia l’azione degli altri organismi internazionali. Non vi sono opposizioni tra un metodo e l’altro: il Presidente Faure ha esplicitamente raccomandato «l’assenza di dogmatismo» per adattarsi alla rapida evoluzione delle situazioni. Il Delegato francese ha terminato dicendo che il suo Governo approva il lavoro che si svolge nell’O.E.C.E. e ritiene che esso debba essere continuato. In sostanza, il Signor Valery ha parlato brevemente e in maniera non molto chiara. Egli ha tenuto ad affermare la fiducia francese nell’O.E.C.E., ma non si è pronunciato in alcun senso circa l’opportunità o meno di affrontare in una sede o nell’altra i problemi dell’energia. Era evidente da quello che andava dicendo che non aveva istruzioni precise, e che nelle incertezze del suo dire si ripercuotevano le incertezze e divergenze che sono in seno al Governo francese.
Intervenendo a questo punto, e premesso che non avevo istruzioni, io mi sono limitato a ricordare le linee generali della nostra politica, e il favore che il Governo italiano ha sempre mostrato alle iniziative dirette ad attuare concretamente l’integrazione economica europea nelle forme più larghe possibili. Ho sottolineato, come avevano fatto gli altri Delegati, l’importanza che era da attribuirsi alla dichiarazione fatta dal Delegato inglese per quel che riguarda la parte che l’Inghilterra era disposta a prendere nella soluzione del problema della cooperazione economica nel campo dell’energia atomica.
Il Delegato del Belgio, riprendendo la parola anche a nome di quello dei Paesi Bassi, ha detto che al momento attuale gli accenni al piano Spaak-Beyen sono semplici echi della stampa, sui quali è difficile pronunciarsi anche perché si ignora quel che penseranno i Parlamenti. Egli però era in grado di assicurare che i Governi del Benelux non hanno intenzione di mutare il loro atteggiamento nei confronti dell’O.E.C.E., né di diminuire le manifestazioni di «interesse e di considerazione positiva» verso questa Organizzazione. Accennando infine al fatto che alcuni oratori precedenti avevano lasciato comprendere che, ove l’energia ed i trasporti fossero stati trattati anche in sede C.E.C.A., ne sarebbe risultato un indebolimento dell’O.E.C.E., il Ministro Ockrent ha viceversa detto di non essere d’accordo con questa tesi. Anzi, a suo avviso, buoni frutti potrebbero nascere dal così detto «pluralismo» e cioè dall’appartenenza dei paesi a diverse organizzazioni internazionali nello stesso tempo. Il risultato sarebbe stato una necessaria intersecazione delle sfere di competenza, che però poteva anche essere benefica.
Il Rappresentante degli Stati Uniti, dopo aver rammentato la parte attiva che il suo Governo svolge sia all’O.N.U. che con collaborazioni bilaterali nel campo dell’energia nucleare, ha assicurato che avrebbe riferito a Washington sulla discussione, prevedendo che il suo Governo ne sarebbe stato certamente molto interessato, anche perché esso è sempre disposto a discutere qualsiasi problema economico vitale per l’Europa.
Il Rappresentante del Canadà ha accennato alla posizione specifica del suo paese in materia di energia atomica, ed al fatto che esso è sempre pronto a cooperare alle discussioni che si svolgono nell’O.E.C.E.
Ellis-Rees, in qualità di Presidente, ha concluso il dibattito auspicando che Armand completi sollecitamente il suo rapporto e che esso dia luogo ad una approfondita discussione, anche sui suoi aspetti tecnici; ed invitando tutti i presenti ad informare i rispettivi Governi sul programma di lavoro dell’O.E.C.E., «in modo che qualsiasi decisione sia presa in piena cognizione di causa».
Dopo questi interventi la seduta è stata tolta. L’esame del problema sarà ripreso in sede di discussione del rapporto Armand, che sarà distribuito fra due settimane.
Non mi pare necessario, dopo quanto ho riferito sulla discussione, mettere in luce le conclusioni generali. Chiaro è che la Gran Bretagna è avversa all’idea di una estensione delle competenze della C.E.C.A., e pur di evitare una tale estensione è disposta a trattare il problema delle fonti di energia in sede O.E.C.E., spingendosi più innanzi di quanto non avesse fatto finora. È un fatto notevole.
Più notevole il pieno e deciso appoggio tedesco alla posizione assunta dalla Gran Bretagna. Per quanto il Delegato tedesco abbia premesso che egli parlava a titolo personale, e abbia forse nella forma accentuato l’avversione della Germania all’idea di estendere la sfera di competenza della C.E.C.A. e di procedere a integrazioni per settore, è difficile che egli abbia preso una posizione così decisa e precisa se a questo non fosse stato autorizzato dal suo Governo.
È anche, credo, da notarsi la maniera cauta con la quale si è espresso il Delegato del Belgio, il quale ha tenuto sopratutto a marcare l’interessamento persistente del Governo del Benelux nell’O.E.C.E., limitandosi a non escludere, ma neppure a sostenere, la maggiore utilità di soluzioni in altra sede e con metodi diversi da quelli dell’O.E.C.E. Anche qui non saprei dire quanto, almeno nella forma, il Delegato belga obbedisca a istruzioni ricevute o a sue inclinazioni personali. Certo egli è stato molto vago, e non ha dato la sensazione che il Signor Spaak abbia già deciso quale indirizzo dare alle sue idee. La marcata importanza che egli ha dato alla dichiarazione inglese ha dato la sensazione che in questa dichiarazione egli voleva rilevare un fatto nuovo del quale il suo Governo avrebbe indubbiamente tenuto il maggior conto. Ma, volendo tirare le somme, il fatto veramente rilevante è la decisa opposizione mostrata dal Delegato tedesco all’idea di estendere la competenza della C.E.C.A. ad altri campi. Questa posizione tedesca, se è proprio quella del Governo della Repubblica Federale (ma, ripeto, il Signor Werkmeister ha parlato con tanta decisione da doversi dubitare che egli esprimesse solo un giudizio personale), non contraddetta in realtà da quella francese, che dalle dichiarazioni del Signor Valery è apparsa indecisa e oscillante, ha suscitato in questi ambienti molte perplessità circa la possibilità che il «rilancio» dell’idea europeista possa farsi sulla base di una estensione della competenza della C.E.C.A. E, per ora, forse solo potrebbe dirsi che le intenzioni attribuite al Signor Spaak abbiano avuto il solo benefico effetto di far impegnare l’Inghilterra a una partecipazione a eventuali accordi per l’energia atomica con gli altri Stati europei.
Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.
Vitetti
1 T. 5705/129 del 22 aprile, con il quale Vitetti aveva comunicato le prime notizie circa la riunione dei Capi delle Delegazioni oggetto del presente rapporto.
2 Si riferisce all’incontro fra Spaak e Beyen all’Aja del 22-23 aprile 1955.
3 Ci si riferisce alla Conferenza al vertice di Ginevra fra i leader di Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Francia, tenutasi fra il 18 e il 23 luglio 1955.
4 Rapporto dal titolo «Quelques aspects du problème européen de l’énergie» preparato da Louis Armand, Presidente della S.N.C.F. dal 1955 al 1958, per l’esame in sede O.E.C.E. Sull’argomento vedi D. 32.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI
T. segreto 4198/c.1. Roma, 30 aprile 1955, ore 22,30.
Oggetto: Elezione Presidente Repubblica.
In talune previsioni e considerazioni di stampa straniera, concernenti elezione del Presidente Repubblica On. Gronchi2, si è voluto dare ad elezione stessa una speciale interpretazione quasi che essa potesse significare qualche perplessità di taluni ambienti parlamentari italiani circa linee di politica internazionale fino ad oggi costantemente seguite.
In relazione a quanto precede stimasi opportuno precisare seguenti punti:
1) tutta stampa italiana – come V.S. potrà rilevare da Ansa – è concorde nel porre in rilievo come Capo dello Stato sia al disopra e fuori combinazioni parlamentari e politiche.
2) Circostanza che, per elezione nuovo Presidente, abbiano questa volta confluito voti di partiti del tutto diversi tra loro, tra i quali il Democristiano, non significa affatto che partiti politici italiani che hanno approvato ratifica U.E.O., intendano modificare posizione da loro costantemente tenuta. Deve anzi precisarsi che stessa Democrazia Cristiana non intende prestarsi ad interpretazioni che possano fare immaginare suoi avvicinamenti a partiti di opposizione.
3) Protezione e difesa nostri interessi trovansi evidentemente nella riconferma della solidarietà occidentale che costituisce principale elemento per mantenimento pace e consolidamento possibilità coesistenza tra differenti raggruppamenti Stati.
1 Diretto alle Ambasciate a Washington, Parigi, Londra, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Ottawa, Atene, Ankara, Vienna, Madrid, Rio de Janeiro, Buenos Aires, Tokio, Berna, Belgrado e Mosca, alle Rappresentanze presso la N.A.T.O. e l’O.E.C.E., a Parigi, e presso l’O.N.U., a New York, e alle Legazioni a Lussemburgo, Lisbona, Copenaghen, Oslo e Stoccolma.
2 Giovanni Gronchi venne eletto Presidente della Repubblica il 29 aprile 1955.
L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 6180/88. Bad Godesberg, 30 aprile 1955, ore 1,50 (perv. ore 19).
Oggetto: Colloqui Pinay-Adenauer.
Nella prima giornata colloqui1, mentre esperti discutevano questioni più strettamente tecniche (collaborazione economica franco-tedesca; canale Mosella; rapporti economici franco-sarresi; questione Roechling) Pinay ed Adenauer hanno esaminato seguenti argomenti più generali:
1) possibilità distensione Est-Ovest;
2) preparazione Conferenza quattro potenze;
3) intendimenti tedeschi circa riunificazione Germania;
4) applicazione Accordo Saar;
5) intensificazione politica europeistica.
Su primi tre punti che non prevedevano se non scambi vedute generali si è facilmente raggiunta linea comune franco-tedesca.
Circa punto quarto si è d’accordo su organizzazione referendum, attribuzione diritto voto controllo, attribuzioni future Alto Commissario cui nome non è stato però fatto.
Circa punto cinque Pinay ha sostenuto sue idee circa estensione competenze C.E.C.A. a noti settori; Cancelliere si è in principio dichiarato d’accordo perché questione venga posta allo studio (rammento che ambienti tedeschi interessati si sono dichiarati contrari). Pinay ha anche proposto contatto permanente Ministri Esteri U.E.O. (e non solo C.E.C.A.) il che preciserebbe in forma più modesta quell’idea direttorio politico cui è stato di recente fatto cenno in notizie stampa.
Vedrò François-Poncet lunedì mattina2 e potrò riferire dopo aver udito impressioni ambedue parti3. Fin d’ora si può rilevare che francesi sono giunti qui con atteggiamento assai più elastico di quanto non era dato prevedere dopo ultime dichiarazioni Pinay in Parigi: d’altro canto, Adenauer sempre più conscio forza posizione tedesca sta avendo buon gioco per svolgere sua politica con crescente fermezza.
1 I colloqui fra Pinay e Adenauer si svolsero il 29-30 aprile 1955 a Bonn.
2 Il 2 maggio.
3 Vedi D. 19.
L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 6277-6299/92-94. Bad Godesberg, 2 maggio 1955, ore 12,30 (perv. ore 7,30 del 3)1.
Oggetto: Colloqui Pinay-Adenauer.
92. Mio 882.
Incontro Pinay-Adenauer terminato con accordo più soddisfacente di quanto non fosse atteso.
Per relazioni franco-tedesche:
1) si è raggiunta intesa affare Roechling attribuendo cinquanta per cento ciascuno due Governi. Questione era la più direttamente spinosa;
2) si è concordato che due Governi presenteranno medesima interpretazione dell’Accordo Saar a Parigi 10 maggio3, proponendo che plebiscito sia organizzato da U.E.O.; altre questioni relative nomina e poteri Alto Commissario nonché poteri Commissioni controllo risolte, persona Commissario non essendo stata ancora scelta. Accordi economici franco-sarresi non sono stati discussi;
3) si è stabilito Comitato culturale misto permanente nonché Comitato misto economico. Circa collaborazione economica riferisco per corriere.
Relativamente questioni generali ci si è dichiarati d’accordo che:
1) ai fini contropropagandistici debba farsi il possibile per trattare seriamente coi sovietici, sulla base di quanto esperti stanno preparando attualmente a Londra. A tale proposito riferisco per corriere;
2) Governo tedesco ha confermato linee propria politica (vedi miei rapporti 512 e 665 del 17 marzo e 4 aprile)4 e si è dichiarato d’accordo sulla necessità proporre un sistema sicurezza generale basato sul disarmo progressivo, smilitarizzazione talune zone ed accordi garantiti di non aggressione, giusta linee generali già riferite in precedenza. A tal proposito ho motivo ritenere che ove da parte sovietica fosse avanzata proposta neutralizzazione, Governo tedesco pur di respingerla giungerebbe persino a riconoscere che questione riunificazione potrebbe essere «accantonata»;
3) si è stabilito fomentare collaborazione europea sulla base più continui contatti fra Ministri. Si è anche concordato studiare estensione C.E.C.A. a questioni aeree, traffico e energia atomica pacifica. Circa tale materia compresa eventuale zona libero scambio Pinay erasi avanzato maggiormente secondo solito uso francese di abbondare in proposte del genere da smorzare in seguito. Adenauer è stato più riservato a causa posizione contraria ambienti tedeschi interessati. Permettomi rammentare che in fatto integrazione aerea esiste nostro piano presentato da On. Sforza a Strasburgo nel 19485;
4) si è deciso sostenere rinnovo presidenza Monnet accettando data primo giugno. (Cancelliere ha ormai ottenuto quanto si era proposto allorché aveva richiesto rinvio). Con ciò rispondo telegramma V.E. n. 76.
Aggiungo che Alta Corte Karlsruhe avendo promesso rendere suo responso 4 corrente, nulla opponesi ormai deposito ratifiche per 5 maggio.
94. Punti rimasti in sospeso nelle conversazioni Pinay-Adenauer sono, secondo quanto mi ha detto François-Poncet, i seguenti: questione riparazioni a favore Francia con affare Roechling; trattamento e votazione cittadini tedeschi espulsi da Saar; canalizzazione Mosella; trattative economiche franco-sarresi, per le quali tedeschi hanno dichiarato non essere ancora pronti discutere. Ciò stante François-Poncet prevede che Saar non ha cessato di costituire pericolo di future frizioni tra i due paesi.
Cancelliere è stato meno europeista di quanto francesi attendessero ed ha convinto Pinay che settori i quali potrebbero formare oggetto ulteriore integrazione europea potrebbero costituire altrettante agenzie specializzate parallele ma non necessariamente sottoposte ambito C.E.C.A.; ciò perché altre nazioni che non quelle partecipanti C.E.C.A. hanno vasti interessi e larghe possibilità in settori contemplati.
Nel caso in cui Monnet non volesse accettare reincarico trovando che C.E.C.A. non vedrebbe allargate proprie funzioni, i due Governi sono d’accordo nel proporre nomi René Mayer o Louvel.
Circa relazioni con Est, Cancelliere è partito dall’affermazione che presente atteggiamento sovietico è insieme conseguenza e sintomo di difficoltà interne e che, per tali motivi, alleati occidentali devono sfruttare al massimo congiuntura. Cancelliere fonda tale convinzione sul ristagno economia sovietica che sarebbe lungi dal corrispondere ai piani stabiliti nonché su crescenti pretenzioni e velleità cinesi nei confronti di Mosca.
François-Poncet ha poi precisato:
1) che tedeschi hanno evitato qualsiasi accenno a questione future frontiere;
2) che sistema sicurezza collettiva da loro illustrato si sta avvicinando alle idee laburisti e dei socialisti tedeschi poiché oltreché fondarsi su disarmo farebbe largo credito a patti di non aggressione garantiti collettivamente.
In conclusione Alto Commissario francese si è dichiarato soddisfatto dell’andamento dei colloqui «sopratutto perché essi si presentavano assai male prima di cominciare» ma non ha mancato di lamentarsi della rigidità che questa volta i tedeschi hanno mostrato in misura maggiore.
E poiché negli ambienti dell’Alta Commissione americana ci si è per contro lamentati di certe intransigenze francesi (i quali tra l’altro non hanno voluto rinunciare alla quota riparazione riguardante affare Roechling) da tale scontento reciproco si dovrebbe dedurre che l’accordo in sostanza è stato buono7.
1 La prima parte del presente documento (T. 92), partita alle ore 12,30, pervenne alle ore 17,35, mentre la seconda (T. 94), partita alle ore 19,25, pervenne alle ore 7,30 del giorno successivo.
2 Vedi D. 18.
3 Si riferisce alla riunione del Consiglio Direttivo dell’U.E.O. del 9-11 maggio 1955: vedi D. 22.
4 Per il primo documento vedi Avvertenza, il secondo non si pubblica.
5 Il piano di unione aerea europea fu presentato al Segretariato Generale del Consiglio d’Europa il 3 maggio 1951. Vedi I Documenti Diplomatici Italiani, serie undicesima, vol. V, D. 390.
6 Riferimento errato: si tratta del T. 4771/185 (Parigi) 47 (Bad Godesberg) del 30 aprile, con il quale Rossi Longhi aveva richiesto informazioni sulle posizioni francese e tedesca circa la riunione dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Lussemburgo, proposta da Bech per il 1° giugno, e la nomina del Presidente dell’Alta Autorità.
7 Con successivo T. 6471/96 del 5 maggio Grazzi aggiunse alcune precisazioni: «1. Relativamente a conferma Monnet, Cancelliere è stato molto più fermo che non Pinay il quale personalmente favorevole ha dato sua adesione di principio ma ha tenuto specificare che decisione relativa non può [non] essere sottoposta ad intero Gabinetto francese; 2. François-Poncet ha tenuto a far ricadere sui tedeschi la proposta che le nuove Agenzie specializzate non si identificassero con la C.E.C.A. Sembra invece che sia stata proprio la parte francese a proporlo».
L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. segreto 6304/85. Londra, 2 maggio 1955, ore 21,14 (perv. ore 7,30 del 3).
Mio 791.
Stamane ha avuto luogo ultima seduta Commissione ad interim U.E.O.2. È stato deciso che prima riunione ufficiale Consiglio abbia luogo sabato 7 corrente ore 22 presso Ambasciata britannica Parigi dopo pranzo fissato per ore 203. A tale riunione Ministri potranno essere accompagnati da altri due esperti in aggiunta quello invitato pranzo.
Programma lavori è stato fissato come segue:
1) elezione Presidente;
2) dichiarazioni inaugurali singole Delegazioni;
3) adozione ordine del giorno;
4) rapporto Commissione ad interim;
5) approvazione progetto Convenzione per Statuto Organizzazione;
6) nomina Segretario Generale;
7) nomina Direttore Agenzia controllo armamenti;
8) produzione e standardizzazione armamenti:
a) istituzione Comitato permanente armamenti;
b) rapporto Comitato esperti;
c) nomina Segretario Generale aggiunto incaricato dirigere Segretariato Comitato suddetto;
9) questioni relative accordo franco-tedesco per Saar;
10) questioni relative Assemblea:
a) organizzazione Assemblea;
b) organizzazione e data prima riunione;
11) altre eventuali nomine;
12) lingue ufficiali dell’Organizzazione;
13) altre questioni eventuali;
14) comunicato stampa.
Poiché è probabile che ordine del giorno non possa essere esaurito in unica riunione è prevista seconda riunione che tenendo conto agenda Consiglio N.A.T.O. potrebbe forse aver luogo pomeriggio martedì 10 corrente. Su proposta francese tale riunione avrebbe luogo Quai d’Orsay.
Per quanto riguarda varî punti ordine del giorno faccio presente quanto segue:
a) per elezione Presidente, inglesi si attendono che venga mantenuto sistema rotazione trimestrale attualmente in vigore secondo cui presidenza spetta ora Gran Bretagna cosicché a Presidente riunione Parigi dovrebbe essere designato Macmillan;
b) invio per corriere testo definitivo progetto convenzione per Statuto. Per firma che potrebbe aver luogo seconda riunione occorrerà considerare se sono necessari pieni poteri V.E.;
c) questione relativa funzionamento Agenzia controllo armamenti (mio 66)4 è stata risolta nel senso di attendere che direttore che verrà nominato richieda costituzione comitato ad hoc per esame questioni di cui trattasi;
d) circa Assemblea Delegazione britannica ha espresso avviso che almeno prima riunione inaugurale dovrebbe precedere e non seguire Assemblea Consiglio Europa fissata come noto dal 5 al 9 luglio. Non sembrando però ciò possibile causa Assemblea O.N.U. che si riunirà San Francisco 26 giugno occorrerà esaminare possibilità che lavori Consiglio e Assemblea U.E.O. si svolgano contemporaneamente con quelli Consiglio Europa;
e) Delegazione tedesca ha comunicato che Governo Bonn solleverà questione lingue ufficiali Organizzazione le quali finora erano solo inglese e francese.
Invio per corriere rapporto Commissione ad interim ed altri documenti allegati.
1 T. segreto 5967/79 del 27 aprile, con il quale Zoppi aveva anticipato alcune informazioni circa la riunione oggetto del presente telegramma.
2 Con Telespr. 2254/1055 del 3 maggio Zoppi riferì su questa riunione e trasmise l’ordine del giorno di quella del Consiglio dei Ministri prevista per il 7 maggio.
3 La riunione ebbe poi luogo nei giorni 9-11 maggio, vedi D. 22.
4 T. segreto 5497/66 del 19 aprile, non pubblicato.
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI1,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI
L. Roma, 6 maggio 1955.
Caro Pietro,
per tua utile informazione ti invio, qui allegata, copia di un appunto concernente i problemi sollevati dall’integrazione economica europea dei quali anche tu ti sei di recente occupato nei tuoi rapporti.
Su questi argomenti sarà tenuta una riunione a Parigi approfittando della presenza di S.E. il Ministro2.
Sarò costà domenica mattina, e poiché la riunione avrà luogo alle 10, ho pensato di spedirti l’appunto affinché tu ne conosca il contenuto per l’ora voluta.
Il documento, sul quale Rossi Longhi e Magistrati si sono dichiarati in massima d’accordo, non ha ancora carattere ufficiale e ti pregherei pertanto di volerlo considerare come riservato.
Credimi, caro Pietro, con tutta cordialità.
Tuo aff.mo
Attilio3
Allegato
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI
Appunto4.
INTEGRAZIONE ECONOMICA EUROPEA
1. È opinione diffusa nelle sfere di Governo dei paesi occidentali che superate tutte le difficoltà che si frapponevano allo scambio delle ratifiche dell’U.E.O. i tempi siano maturi per una ripresa in avanti del cammino integrativo in Europa. Alla necessità di perseguire questo obbiettivo per i suoi fini proprii, si aggiunge un elemento politico importante di tempestività in raffronto alle iniziative sovietiche in Europa Orientale e ancor più in Austria.
2. La determinazione dei Governi europei sull’obbiettivo di integrazione europea è di intensità diversa, come diversi sembrano i metodi menzionati, per una ripresa dell’azione. Sulla base delle informazioni sino ad oggi pervenute i Governi del Benelux sembrano i più dinamici tanto negli intendimenti che nell’approccio metodologico verso l’integrazione, il Governo tedesco più cauto forse nel metodo, quello francese diviso sia sul fondo che sul metodo, quello inglese sempre più cauto e pragmatico di ogni altro, ancorché non interamente negativo.
3. Le idee sinora affacciate sono, come è noto:
a) Ripresa dell’integrazione economica per settore, nel campo delle fonti di energia, (elettricità, petrolio, energia nucleare), e dei trasporti. L’idea è stata enunciata da Monnet in connessione con il problema della nomina del nuovo Presidente della C.E.C.A.
Quattro dunque dei sei paesi continentali, con finalità di consolidamento della Comunità e del metodo sopranazionale.
Questa idea è caldeggiata oltre che da Monnet e Spaak dal Governo olandese e lussemburghese; e sembra peraltro sollevare perplessità in Germania e forti resistenze in Francia; dell’atteggiamento inglese si parlerà più avanti.
b) Ripresa dell’integrazione economica globale oltre i limiti già raggiunti con la liberazione degli scambi O.E.C.E. Il metodo ora affacciato dai paesi Benelux è quello della costituzione di una zona di libero scambio europeo: è questo un modo di integrazione contemplato dalle norme del G.A.T.T. e segue, se pure in misura parziale, le linee del così detto piano Pella, presentato dal Governo italiano nel 1951 all’O.E.C.E., con la costituzione di un’area preferenziale.
Anche questa idea è proposta dai paesi del Benelux, che sono sempre stati con noi assertori della necessità della creazione graduale di un mercato unico europeo. Quadro geografico aperto e metodo intergovernativo tradizionale.
c) Ripresa generica politico-economica. Così si potrebbero indicare, senza poterle per ora meglio caratterizzare, le idee espresse da Faure in alcuni discorsi e da Pinay nei comunicati apparsi dopo gli incontri di Bonn di questi giorni. (Organo collegiale di Primi Ministri – e quindi strumento addizionale pragmatico di integrazione politica – integrazione per settore: produzione aeronautica, linee aeree, trasporti, ricerche e studi nucleari.
Quadro, sembra, U.E.O. aperto, metodo misto; intergovernativo per la parte politica, vago per il resto.
4. Una presa di posizione italiana sui problemi dell’integrazione sembra dovrebbe basarsi sulle considerazioni seguenti:
I. Integrazione orizzontale – idea costante da noi sostenuta per esigenze obbiettive strutturali italiane e per corretto fondamento economico. La proposta di zona di libero scambio si avvicina a questa esigenza.
II. Integrazione sopranazionale per settore l’abbiamo accettata solo per la considerazione politica di facilitare l’eliminazione del dissidio franco-tedesco (carbone-acciaio e difesa) e come strumento per iniziare la Comunità politica.
III. Non ci siamo mai opposti a progressi integrativi di settore non sopranazionale (Comitato Ministri agricoltura, Conferenza Ministri trasporti) purché inseriti organicamente in un quadro economico generale e in un’area più vasta geograficamente (O.E.C.E.).
IV. Dopo il rigetto in Francia della C.E.D. per le note ragioni si è dato vita ad una costruzione integrativa politica nuova, l’U.E.O., che unisce la Gran Bretagna al continente. È per lo meno affrettato svalutarne la portata e le possibilità di sviluppo, prescindendone nei nuovi piani di integrazione; ciò significherebbe riaprire subito un antagonismo continente-Gran Bretagna, fattore di disintegrazione anziché di unione. A questa esigenza sembra rispondere in parte la proposta franco-tedesca di organo politico dei Primi Ministri.
V. L’esperienza C.E.D., che ha polarizzato per due anni energie politiche preziose, dimostra che è quanto meno aleatorio prefiggersi costruzioni troppo ardite che possano essere scrollate dagli eventi sfavorevoli o respinte dai Parlamenti.
VI. L’integrazione europea si è avvalsa sinora dei meccanismi essenziali della liberazione degli scambi e della Unione Europea dei Pagamenti: in un prossimo futuro è assai probabile vengano compiuti da un certo numero di paesi europei dei passi ulteriori verso la convertibilità che possono avere ripercussioni non ancora valutabili sul regime degli scambi intereuropei. Interessa al massimo grado di vegliare a che nuovi orientamenti integrativi non abbiano per risultato di turbare la solidarietà esistente tra continente e Gran Bretagna.
VII. Qualsiasi iniziativa futura deve poter essere «digerita» dalla Francia poiché non è possibile fare l’Europa senza o contro la Francia. Ciò non vuol dire che si debba commisurare esattamente il passo dell’integrazione alla capacità di moto dei più retrivi settori francesi, ma neppure di quelli più aperti. In altri termini è consigliabile prefiggersi obbiettivi che siano un po’ più avanzati di ciò che sembra accettabile ai francesi ma non oltre.
VIII. Conviene all’Europa di avere un processo integrativo che non estranei completamente la Svizzera al processo: a questo ha provveduto sinora l’O.E.C.E. e gli accordi O.E.C.E.-C.E.C.A. nonché la Conferenza dei Ministri dei Trasporti.
Prossimamente un altro paese europeo alle nostre frontiere avrà una posizione analoga a quella della Svizzera e cioè l’Austria: è desiderabile che il processo integrativo europeo economico non abbia per risultato di precludere all’Austria una partecipazione di tipo svizzero.
IX. Conviene ricordare che l’Italia si incammina su un programma di sviluppo economico inteso a risolvere i problemi dell’occupazione e dell’equilibrio economico tra nord e sud, programma che postula un incremento del processo integrativo europeo in un’area geografica la più larga possibile. Poiché d’altro canto abbiamo polarizzato il favore del mondo esterno su questo nostro programma nel quadro dell’O.E.C.E. da cui abbiamo ricevuto e ci attendiamo ancora concreta assistenza, è nostro interesse contribuire al rafforzamento di questo organismo.
X. È interesse italiano che il processo integrativo europeo avvenga gradualmente e senza soste e senza esasperazioni di posizioni tra i paesi membri: in altri termini sembra che l’azione moderatrice naturale italiana possa svolgersi nel far sì che la Francia possa sentirsi incoraggiata nel processo da una azione italiana che l’affianchi sospingendola.
Posto che queste considerazioni siano fondate, quale atteggiamento potrebbe esser preso di fronte alle varie idee finora affacciate?
1. Riaffermare che il Governo italiano considera il progresso dell’integrazione europea come un obbiettivo fondamentale della sua politica e perciò è pronto ad esaminare con i paesi occidentali tutte le iniziative proposte;
2. per esigenze della sua struttura e del suo programma di sviluppo il Governo italiano ritiene che ci si debba indirizzare verso quei metodi che consentano di assicurare, nei limiti del possibile, la partecipazione del maggior numero di paesi europei;
3. il Governo italiano ritiene che, nel pragmatismo che deve guidare l’azione dei Governi europei verso l’obbiettivo dell’unità, le iniziative nuove di carattere integrativo abbiano a valersi di tutte le costruzioni sinora realizzate consolidandone le fondamenta (U.E.O., O.E.C.E., C.E.C.A.);
4. per la struttura economica dell’Italia, le forme integrative globali sono più conformi ai suoi interessi, come è stato ripetutamente affermato sia in sede O.E.C.E. col piano Pella, sia in sede di C.P.E. E pertanto l’iniziativa Benelux di una zona di libero scambio è considerata con vivo interesse dal Governo italiano che è pronto ad esaminarla nei suoi varii aspetti;
5. il Governo italiano non si rifiuta a priori di esaminare proposte integrative di settore nel contesto dei vari organismi esistenti e sempre che non si accrescano così gli squilibrii nel processo integrativo globale. Nell’assumere questa posizione il Governo italiano ha presente d’altra parte che talune fonti di energia sembrano avere caratteristiche particolari che mal si prestano ad assimilazioni con il carbone e l’acciaio e localizzazioni che esorbitano dal quadro geografico C.E.C.A. Sembra inoltre sia importante di non determinare interpretazioni negative nel prescegliere una data sede per l’approfondimento degli importanti problemi tecnici che queste integrazioni di settore comportano;
6. Questi primi orientamenti sulle posizioni italiane, tratti dalle considerazioni di carattere generale sopra enunciate e che dovranno essere fatte presenti in guisa di chiarimento nelle prese di contatto dei nostri rappresentanti nei paesi U.E.O. e O.E.C.E. mentre sono ben definiti per quanto concerne le proposte di integrazione globale, servono altresì a dimostrare come non si possa da parte nostra rispondere in maniera definita ai quesiti postici in tema di estensione dei poteri della C.E.C.A., prima di aver sceverato tutti gli aspetti tecnici della integrazione nei vari settori menzionati, e prima di aver valutato i possibili riflessi anche politici che un’azione in sede C.E.C.A. in ognuno di essi settori, sia suscettibile di provocare nei varii organismi di integrazione politica ed economica ai quali apparteniamo.
1 Delegato aggiunto per la Cooperazione Economica Europea, con il titolo di Ambasciatore.
2 Si riferisce alla riunione del Consiglio Direttivo dell’U.E.O. a Parigi, 9-11 maggio 1955: vedi D. 22.
3 La sottoscrizione è autografa.
4 Trasmesso da Soro agli stessi destinatari di cui al D. 1, nota 1, (Telespr. riservato 44/07387 del 17 maggio) con la seguente precisazione: «Il documento, che ha avuto l’approvazione di massima di S.E. il Ministro, ha carattere puramente indicativo e potrà essere oggetto di ulteriore elaborazione».
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI
Appunto riservato1.
APPUNTO SULLA RIUNIONE DEL CONSIGLIO ATLANTICO
E DEL CONSIGLIO DIRETTIVO DELL’UNIONE DELL’EUROPA OCCIDENTALE
(Parigi 9-11 maggio 1955)
Alla data in precedenza indicata, con la presenza dei Ministri degli Affari Esteri dei paesi alleati e sotto la presidenza del Ministro degli Affari Esteri di Grecia, Stephanopoulos, si è riunito a Parigi, nella sua sede del Palais de Chaillot, il Consiglio Atlantico.
Assente, per malattia, il Segretario Generale dell’Organizzazione, Lord Ismay, le cui non buone condizioni di salute fanno ormai prevedere non lontana la sua sostituzione nell’importante carica da lui ricoperta in questi anni.
La caratteristica principale della conferenza, alla quale non hanno partecipato i Ministri della Difesa e delle Finanze, è stata che essa ha preso, fin dal suo inizio, la fisionomia di riunione avente per scopo unicamente la discussione politica degli importantissimi problemi attualmente sul tappeto. Contrariamente, quindi, ai precedenti Consigli, non vi è stata trattata alcuna questione tecnica del settore organizzativo finanziario e militare.
Sulla riunione stessa, inoltre, hanno esercitato una grande e diretta influenza gli avvenimenti che, in perfetta concomitanza di tempo, hanno caratterizzato la prima decade del mese di maggio: dall’imminente firma del Trattato di Stato per l’Austria, all’invito dei tre «grandi» al Governo sovietico per prendere parte ad un incontro a livello dei Capi di Governo, alle conversazioni, infine, di Londra, nel quadro delle Nazioni Unite ed in merito alle possibilità di raggiungere un accordo sulla limitazione degli armamenti. Avvenimenti tutti che – è bene dirlo espressamente – si sono svolti e si svolgono sostanzialmente al di fuori, in certo modo, dell’Organizzazione atlantica per quanto questa sia stata messa, come si dirà in seguito, al corrente degli intendimenti di massima dei paesi che si sono assunti l’iniziativa e l’incarico della trattativa tra i due blocchi oggi esistenti nel mondo.
Una prima parola va detta sul fatto che l’avvenimento principale della riunione atlantica, ossia il definitivo ed ufficiale ingresso della Repubblica Federale Tedesca, si è svolto esattamente proprio mentre nelle strade di Parigi veniva celebrato il decimo anniversario della vittoria riportata dagli alleati, nel 1945, sulle forze della Germania. Così, mentre al Quartiere Generale Alleato di Marly veniva innalzata, alla presenza del Generale Gruenther e del Generale tedesco Speidel ed al suono del «Deutschland über Alles» (con la partecipazione, peraltro, della musica del 5° Reggimento Ussari britannico, appositamente inviata a Parigi) la bandiera germanica, per le strade della capitale francese sfilavano i cortei commemorativi e si deponevano fiori sulle lapidi dei Caduti: situazione alquanto anomala che però non ha dato luogo ad alcun incidente e ha anzi dimostrato un notevole equilibrio nell’opinione pubblica di Francia.
Sta di fatto che la Repubblica Federale Tedesca – come è apparso chiaramente anche dalle dichiarazioni fatte, a nome dei loro Governi, da tutti indistintamente i Ministri degli Affari Esteri – è entrata nell’Organizzazione atlantica con tutti gli onori e con notevole prestigio. La presenza, inoltre, del Cancelliere Adenauer, personalità, oramai, di primissimo piano sulla scena politica dell’Europa, ha dato alla seduta inaugurale un particolare significato. E le parole da lui pronunciate e nelle quali si è inteso vibrare quel concetto di «morte e trasfigurazione», caratteristiche dello spirito del popolo tedesco, destinato sempre a cadere ed a rialzarsi, non hanno mancato, per il tono di sincerità e di «buona fede» con il quale sono state dette, di provocare un generale consenso.
Esaurita la cerimonia dell’ingresso della Germania, la conferenza si è iniziata, secondo la tradizione, con l’esame del rapporto che il Segretariato Generale presenta regolarmente ad ogni riunione in merito all’andamento ed agli sviluppi della politica sovietica. E qui nessun commento di rilievo è stato fatto ad eccezione dell’abituale grido di allarme americano inteso sempre a porre in rilievo come non esistano tuttora indizi sicuri circa un capovolgimento delle intenzioni del Governo di Mosca e come, di conseguenza, sia necessario, per i paesi atlantici, il mantenimento della loro compattezza e della loro forza.
Si è poi passati alla discussione vera e propria dei problemi politici attualmente in sviluppo e che possono e devono formare oggetto della eventuale trattativa con il Governo sovietico: e cioè, in particolare, il problema della Germania, quello dell’Austria e quello della sicurezza in Europa. Tutte questioni, in realtà, tra loro – come ha opportunamente fatto rilevare il Rappresentante italiano, On. Martino – strettamente «interdipendenti» e che vanno, quindi, considerate quali formanti un complesso in sostanza indivisibile.
Questa fase, molto interessante, della discussione ha chiaramente dimostrato quanto si vadano facendo delicati, in seno all’Organizzazione atlantica, i rapporti tra i «tre grandi» e gli altri Stati i quali tutti si sentono in diritto ed in dovere, in vista della comune responsabilità e del comune pericolo, di poter dire tempestivamente la loro parola in merito alle grandi questioni oggi dibattute ed in primo luogo a quella, essenziale, della così detta «distensione».
Non poche, infatti, sono state, questa volta, nell’aula del Palais de Chaillot, le domande rivolte e le perplessità dimostrate dai Rappresentanti degli Stati che si sentono, in certo modo, esclusi dalla trattativa, e ripetute, di conseguenza, sono state le «assicurazioni» loro rivolte dai Ministri degli Esteri, e specialmente dal Segretario di Stato Foster Dulles, dei tre paesi destinati a trattare con l’Unione Sovietica. In modo particolare il Ministro degli Esteri del Belgio, Spaak, ha elevato, specialmente sul problema del Trattato per l’Austria, chiari interrogativi circa la necessità, per gli Stati europei, di conoscere con esattezza e tempestivamente i previsti termini di risoluzione di quel delicato problema europeo.
Concetti analoghi sono stati esposti dal Ministro On. Martino, il quale, nel chiaramente porre in rilievo la inscindibilità delle questioni oggi sul tappeto, ha indicato talune linee generali sul metodo che sarebbe augurabile vedere seguito nell’imminente trattativa.
«Noi sappiamo – egli ha detto – che lo scopo da noi perseguito è l’accettazione, da parte sovietica, del principio di un controllo reale, efficace e globale di tutti gli armamenti, siano essi convenzionali o non convenzionali, senza il quale tutti gli accordi che ci fosse dato concludere resterebbero lettera morta. Basandoci su questo principio mi domando se non si potrebbe insistere presso i russi sulle idee essenziali che già apparvero inserite nella Nota alleata del 29 novembre scorso, nel senso che gli accordi che regolano o che appaiono destinati a regolare i rapporti militari tra i paesi comunisti, non prevedono un sistema di limitazioni e di controlli analogo a quello che è stato stabilito, nell’ottobre scorso, con gli Accordi di Parigi. In ultima analisi, si tratta proprio di questo: l’adozione, dalle due parti della cortina di ferro, di un sistema di limitazioni equilibrate, volontarie e concordate, che si trova alla base dei trattati che istituiscono l’U.E.O.».
Circa poi la specifica questione dell’imminente conclusione del Trattato di Stato per l’Austria, lo stesso On. Martino nell’indicare come la ancora incerta e non definita posizione di neutralità dello Stato austriaco apra indubbi problemi, proprio nel quadro della N.A.T.O., di protezione e di sicurezza dei paesi con esso confinanti e quindi, in primo luogo, dell’Italia, ha aggiunto: «Gli interrogativi di oggi riguardano il carattere della neutralità austriaca, la portata ed i limiti della garanzia, individuale o collettiva, che sarà data dall’Unione Sovietica in un quadro di garanzia a quattro, gli impegni che saranno presi verso l’Austria dai paesi limitrofi, le ripercussioni, infine, e le conseguenze di carattere militare che deriveranno, per l’Occidente, dalla costituzione di una Austria neutrale secondo principii e garanzie che non ci è dato ancora conoscere chiaramente. Il Governo italiano, per quanto lo riguarda, è pronto ad impegnarsi al rispetto dell’integrità del territorio austriaco e della sua neutralità. Esso, inoltre, pensa che l’Austria neutrale dovrebbe essere libera di partecipare a qualsiasi organizzazione internazionale, attualmente esistente o che potrà essere creata: situazione che le permetterà di rinforzare la propria struttura e di collaborare, sotto il punto di vista politico, economico e sociale, con la nostra comunità occidentale».
Da tutto l’insieme della discussione è apparsa particolarmente chiara la preoccupazione di vedere assolutamente mantenuta, si ripete, l’unità atlantica destinata a costituire il mezzo più efficace e più potente per facilitare il successo di una eventuale trattativa destinata, comunque, a mantenere intatti i concetti di libertà e di democrazia dei paesi occidentali. Situazione evidentemente non facile in quanto che, specie in talune opinioni pubbliche dell’Occidente, il movimento distensivo auspicato e desiderato potrebbe tradursi in un veloce rilassamento e disgregamento del sistema difensivo che l’Organizzazione atlantica è riuscita, con molti sforzi e con molti sacrifici, a mettere in piedi.
Sull’argomento la definizione più felice è apparsa quella data dal Ministro degli Affari Esteri del Canadà, Pearson, il quale, dopo aver ricordato l’evoluzione che la N.A.T.O. sta compiendo nel considerare in certo modo esaurita l’antica formula della ricerca dell’equilibrio tra le necessità militari e le possibilità economiche e finanziarie di ciascun Stato alleato, ha indicato come la situazione attuale sia invece caratterizzata proprio dalla ricerca dell’equilibrio tra la necessità di rimanere forti riuniti e la possibilità di trattare con il blocco sovietico: quasi che il processo distensivo debba identificarsi con una diminuzione, si ripete, dello sforzo difensivo.
Sta di fatto che, per la prima volta, si è largamente parlato, in sede di conferenza atlantica, di possibilità di «limitazione degli armamenti» se non addirittura di formule di disarmo. E le notizie giunte da Londra proprio nell’ultimo giorno della conferenza e indicatrici di una certa buona volontà sovietica intesa a promuovere, con le idee avanzate dall’Ambasciatore Malik, la possibilità della creazione di un certo principio, di carattere pratico, atto a facilitare la limitazione degli armamenti per ciascuno dei maggiori paesi, sono state accolte con non piccolo interesse.
La seconda parte della conferenza è stata destinata ai rapporti fatti rispettivamente dal Rappresentante della Turchia, Zorlu, e dal Segretario di Stato americano, Foster Dulles, rispettivamente sulla situazione nel Vicino Oriente e sul conflitto di Estremo Oriente.
Con la prima di esse il Signor Zorlu, che è destinato ad assumere la carica di Ministro degli Affari Esteri del suo paese e che ha anche rappresentato la Turchia alla recente conferenza afroasiatica di Bandung, si è vivamente prodigato, con l’esposizione dei motivi che hanno consigliato la stipulazione del Patto di Bagdad, nel porre in rilievo i vantaggi da esso costituiti, per il rinforzamento della difesa anti-sovietica in una zona indubbiamente delicata, per tutto il complesso dell’Alleanza atlantica: esposizione che ha confermato ancora una volta come la Turchia si ritenga attualmente una delle maggiori «fedeli» dell’Organizzazione atlantica e come essa intenda rappresentare sempre più, con il consenso e l’appoggio degli Stati Uniti, una vera e propria «lancia spezzata» anti-sovietica.
Sul secondo punto il Segretario di Stato Foster Dulles che, nella sua esposizione sul problema di Formosa, ha usato termini molto elevati e tali da dare al suo discorso un carattere di particolare importanza, ha attirato l’attenzione dei presenti sulla complessità «mondiale» della questione che non va ridotta nei modesti termini geografici delle piccole isole Kemoy e Matsu ma va invece vista nelle sue conseguenze nel quadro del prestigio e della forza dell’intero Occidente nel latente conflitto con il comunismo cinese. Egli così, dopo avere anche polemizzato con il Ministro Spaak che aveva sollevato molti dubbi circa la figura morale e l’atteggiamento del Maresciallo Ciang Kai Scek, ha in un certo modo confermato come non esista un vero e proprio impegno formale americano per la difesa di quelle piccole isole (sempre che, naturalmente, non vi sia contemporaneamente un attacco armato comunista contro di esse e contro Formosa), ma sussista invece l’intendimento del Governo di Washington di non veder sopraffatta, nell’intero Pacifico, sul quale, tra l’altro, si affacciano grandi e sempre più importanti Stati della Confederazione americana, l’idea occidentale: in riassunto, quindi, i Rappresentanti alla conferenza atlantica hanno tratto l’impressione che il Governo di Washington intende rimanere fedele alla sua decisione di non accettare di vedere oggi estromesso da Formosa, dalla forza del Governo comunista di Pechino, il Governo nazionalista di quel Maresciallo cinese.
La conferenza atlantica ha, infine, preso brevemente in esame i rapporti destinati a crearsi tra la N.A.T.O. e l’U.E.O., che proprio ora inizia la sua vita e la sua attività. E qui problema principale è apparso quello della necessità di considerare fin da ora, in certo modo, quali debbano essere le questioni di carattere politico che, all’infuori della N.A.T.O., potranno essere discusse al tavolo del Consiglio Direttivo del nuovo organismo europeo: situazione che ha provocato un’interessante, anche se breve, discussione tra il Ministro Spaak ed il Cancelliere Adenauer, apparso, quest’ultimo, nettamente propenso a dare valore e contenuto politici all’U.E.O. che, per suo Statuto, è destinata del resto a trattare problemi di notevolissima importanza, quali quelli della limitazione degli armamenti, della Saar, ecc.
In conclusione, su questo problema dei rapporti tra le due Organizzazioni si è raggiunto un accordo di massima, inteso ad impedire la creazione di «doppioni» e di «accavallamenti di competenze» che porterebbero a confusioni e, sopratutto, darebbero ai paesi della N.A.T.O., che non sono contemporaneamente membri dell’U.E.O., la sensazione di essere praticamente estromessi dalla trattazione dei problemi europei.
L’esposizione di quanto sopra sta, si ripete, a confermare come l’Organizzazione atlantica stia passando dalla prima fase quinquennale del potenziamento dei suoi apprestamenti difensivi ad una seconda fase destinata a dare sempre più consistenza alla trattazione dei problemi politici di interesse comune. E qui, si ripete ancora una volta, è apparsa chiara l’intenzione dei paesi minori di non riconoscere interamente il valore morale e giuridico di un «direttorio» destinato ad agire per conto proprio e per propri scopi: situazione questa, non già teorica e ipotetica, ma già – come ha dimostrato l’odierno invito rivolto dai «tre grandi» al Governo del Maresciallo Bulganin – in stadio di esistenza e di applicazione.
Opportunamente, quindi, il comunicato finale della conferenza si è, nella sua frase conclusiva, così espresso: «I Ministri si sono felicitati dei metodi seguiti dal Consiglio che hanno loro permesso di esprimersi con piena libertà ed intera franchezza e di procedere così, in forma approfondita, ad un largo confronto dei differenti punti di vista. Queste discussioni stanno a dimostrare la solidarietà fondamentale della Alleanza e l’eminente valore del Consiglio nel quadro delle consultazioni politiche. Il Consiglio è deciso a continuare l’applicazione di tali metodi che permettono di orientare l’azione politica dei Governi membri secondo principi comuni».
Contemporaneamente alla conferenza atlantica si è svolta, dapprima nella sede dell’Ambasciata britannica ed in seguito nel palazzo del Quai d’Orsay e sotto la presidenza del nuovo Ministro degli Esteri del Regno Unito, Macmillan, la prima riunione dei Ministri che formano il Consiglio Direttivo dell’Unione dell’Europa Occidentale: riunione destinata principalmente a dare assetto e consistenza all’Organizzazione del Segretariato Generale ed agli organi principali del nuovo ente. Così si è velocemente provveduto alla nomina del Segretario Generale nella persona del diplomatico belga Goffin, del Direttore Generale dell’importante agenzia di controllo degli effettivi e degli armamenti nella persona dell’Ammiraglio italiano Ferreri, e dei Vice-Segretari Generali nelle persone del tedesco von Hetzdorf, del francese Christofini (destinato ad esercitare le sue funzioni in seno al previsto Comitato permanente degli armamenti) e dell’inglese Frazer2.
Nella seconda seduta il Consiglio ha poi deciso di assumere oramai le proprie responsabilità, secondo le proposte contenute nell’accordo franco-tedesco del 23 ottobre 1954, in merito all’organizzazione dei «referenda» che verranno tenuti nel territorio della Saar, e ha risolto alcuni problemi che ancora esistevano circa le condizioni di voto di quegli elettori e circa i poteri del futuro commissario europeo per la Saar stessa. Nessuna decisione invece è stata presa circa la nomina di quel commissario mentre, per la costituzione del Comitato Direttivo permanente dell’U.E.O., che ha sede a Londra è stato in linea di massima convenuto che, per il momento, ciascun paese resterà libero di provvedere, nei modi migliori, alla sua rappresentanza, servendosi, eventualmente, anche della presenza degli Ambasciatori residenti nella capitale britannica3.
Circa queste due importanti riunioni appare utile aggiungere qui appresso talune impressioni di carattere generale:
1. L’Italia ha svolto un’azione di equilibrio e, nello stesso tempo, di sostegno per la tesi destinata a dare al Consiglio atlantico ed all’U.E.O. pesi specifici rilevanti in merito agli sviluppi delle prossime e tanto significative trattative internazionali. Essa, che, tra l’altro, è destinata ad assumere, nel prossimo settembre, la presidenza annuale della N.A.T.O., non ha mancato di porre in risalto la necessità che non si creino, tra i membri dell’Alleanza, differenziazioni, declassamenti o comunque discriminazioni. In tale posizione ed a tale riguardo molto opportuna e tempestiva è apparsa la solenne dichiarazione fatta, proprio nei confronti dello Stato italiano, dal Segretario di Stato Foster Dulles e che, ripresa nel comunicato finale della conferenza, ha incontrato l’approvazione dei Rappresentanti di tutti gli Stati firmatari del nostro Trattato di pace del 1947 e membri dell’Organizzazione atlantica; dichiarazione che così suona:
«In occasione dell’entrata in vigore degli Accordi di Parigi, il mio Governo ritiene appropriato di ricordare quanto attiva e importante è stata la parte presa dall’Italia nel raggiungimento di tale ulteriore progresso verso una sempre crescente solidarietà europea ed atlantica.
Il mio Governo ha ripetutamente dichiarato che considera vari aspetti discriminatori del Trattato di pace con l’Italia come superati o non corrispondenti alla posizione della nuova Italia. Il mio Governo considera l’Italia un apprezzato alleato ed un membro libero ed uguale del consesso delle nazioni democratiche e amanti della libertà. È questo spirito che guida, e continuerà a guidare, il Governo degli Stati Uniti in tutte le sue relazioni con l’Italia».
2. Il Regno Unito, che si trova oramai alla vigilia delle importanti elezioni politiche per la Camera dei Comuni e ha visto, con l’accettazione da parte americana della tesi conciliante per l’invito all’Unione Sovietica, approvato il suo punto di vista, appare sempre più incline a svolgere azione di mediazione e di equilibrio: a tale scopo il Governo britannico sembra attribuire alla nascente U.E.O. notevole importanza nel senso che quel nuovo organismo, anche se privo di formule di sopranazionalità, potrà costituire un mezzo per dare maggiore consistenza all’importanza ed al peso dell’Europa Occidentale.
3. La Repubblica Federale Tedesca è entrata oramai, come si è visto, a vele spiegate nel consesso occidentale, e vi è entrata con notevole peso specifico e anche con l’apporto costituito da un uomo di Stato di alta statura europea quale è il Cancelliere Adenauer. Difficile è dire se esista tuttora in Germania l’antico, primitivo «spirito europeistico» o se viceversa il Governo di Bonn appaia, nelle attuali circostanze e mentre va apprestandosi al riarmo del suo paese, maggiormente propenso ad avvalersi, in seno alla N.A.T.O. ed all’U.E.O., e con un progressivo avvicinamento verso il Regno Unito, di collaborazioni atte ad inspirarsi ad un carattere maggiormente «nazionale». Sta di fatto che, anche nella questione dell’unificazione del territorio, quel Governo sembra volere oramai porre i problemi tedeschi sul tappeto di una generale trattazione europea e mondiale per potere sedere, in certo modo, nel collegio giudicante anziché essere oggetto dell’altrui giudizio. Naturalmente c’è da domandarsi con preoccupazione quali potranno essere domani, qualora l’ottantenne Cancelliere dovesse sparire, il gioco e l’atteggiamento dei diversi partiti politici tedeschi: ma per il momento resta il fatto – confermato dalla pratica, anche se velata, presenza germanica alle trattative dei «tre grandi» – che la Repubblica Federale ha assunto, si ripete, un’importanza molto notevole nel quadro europeo.
4. Il Governo di Washington appare sempre più al bivio fra la necessità di mantenere intatte e compatte le forze destinate ad opporsi alla pressione sovietica e quella di non apparire diretto e deciso avversario nelle iniziative che potessero portare ad una effettiva distensione nel mondo. Tutto l’atteggiamento del Segretario di Stato Foster Dulles, nelle riunioni parigine, è stato chiara testimonianza di una tale posizione: così egli da una parte ha ancora espressamente affermato che tra gli scopi principali delle future trattative sarà persino quello di favorire la «liberazione dei popoli tuttora sottomessi ad un giogo negatore dei valori della democrazia e della libertà», e dall’altra è stato il primo ad annunciare la decisione di compiere il grande passo innanzi dell’invito rivolto al Governo di Mosca.
5. La Francia, anche se sempre oberata dai suoi gravi problemi per le terre d’oltremare, finisce, in realtà per essere tuttora partecipante del «direttorio» del mondo occidentale: e ciò, anche per motivo di prestigio, non può non soddisfarla. Non per nulla, nella riproduzione cinematografica degli avvenimenti politici della settimana apparsa, ora, su tutti gli schermi della Francia, Parigi viene definita la «capitale del mondo occidentale». E anche con gli Stati Uniti qualche progresso, nella tanto difficile e spinosa questione indocinese, appare essere stato compiuto.
6. Il Canadà, anche per l’attiva partecipazione del suo Ministro degli Esteri, Pearson, alle discussioni atlantiche, appare destinato a dire sempre più una sua parola di notevole rilievo proprio nelle questioni di carattere mondiale, quali quelle della limitazione degli armamenti e della creazione dell’equilibrio delle forze.
7. I paesi del Benelux sembrano volersi avviare verso un «rilancio di politica europeistica» specie nel campo dell’integrazione economica fra i paesi continentali dell’U.E.O. Allo scopo, sopratutto per iniziativa del Ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, Beyen, è stato lanciato un primo documento destinato ad essere tra breve discusso in una conferenza dei paesi della C.E.C.A, da tenersi probabilmente, ai primi di giugno, in Sicilia4. In esso si fa chiara allusione ai nuovi settori che potrebbero essere oggetto di nuova azione integrativa e sopratutto alla opportunità di riprendere quegli esami economici che vennero praticamente interrotti alla caduta della C.E.D.
1 Datato Roma, 13 maggio.
2 La prima riunione del Consiglio dei Ministri dell’U.E.O. si tenne il 7 maggio 1955.
3 La seconda riunione del Consiglio dei Ministri dell’U.E.O. si tenne l’11 maggio 1955.
4 Vedi D. 43.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato 740/476. Parigi, 10 maggio 1955.
Oggetto: Movimento paneuropeo.
Siamo stati confidenzialmente informati che il conte Coudenhove-Kalergi, fondatore sin dal 1925 del «Movimento paneuropeo», avrebbe passato, qui, qualche giorno per scambiare delle idee con alcuni di questi uomini politici, circa la riforma del suddetto Movimento che, dopo una recente conferenza tenuta a Baden-Baden, cambierebbe di dirigenti ed assumerebbe il nome di «Movimento paneuropeo per la pace». L’ufficio centrale sarebbe composto di 22 eminenti personalità europee tra cui Le Troquer, ex Presidente dell’Assemblea nazionale francese, Paul van Zeeland, Karl Arnold oltre, naturalmente, il conte Kalergi che si ritiene, qui, un amico personale di Macmillan e strettamente legato alle sue vedute. Le suddette personalità sarebbero d’accordo sui seguenti punti:
1) Poiché la lotta per la Comunità Europea di Difesa ha alterato l’aspetto pacifico dell’ideale europeo rivestendolo di un aspetto militare che ha permesso ai comunisti di monopolizzare l’idea della pace, occorre trarre profitto dalle circostanze per dare consistenza al tema della coesistenza.
2) Il Movimento paneuropeo riconosce che non è possibile ottenere l’integrazione della Gran Bretagna nel sistema continentale. Desiderando dei legami più stretti fra il continente europeo e il Commonwealth, il Movimento sarebbe propenso all’integrazione di un’Europa federata nel Commonwealth.
3) È auspicabile una politica più generosa verso il mondo musulmano. Il successo dell’integrazione nel Consiglio dell’Europa dimostra che è possibile associare i Paesi arabi al sistema europeo non arrestandosi davanti a delle esitazioni puramente geografiche.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALLE AMBASCIATE A PARIGI, BONN, L’AJA E BRUXELLESE ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO
T. segreto 4096/c. Roma, 17 maggio 1955, ore 22,30.
Per Lussemburgo: Telegrammi di V.S. 271 e 2731.
Per tutti: Per varie considerazioni si è ritenuto che Consiglio Ministri C.E.C.A. abbia luogo 1° giugno a Messina (Taormina)2. Tale sede è stata concordata a Parigi in occasione Consiglio Atlantico fra Ministri Esteri paesi C.E.C.A.3.
Organizzazione conferenza è ormai in fase esecutiva e notizia è già di dominio pubblico.
Risulta che si starebbe contemplando spostamento riunione ad altra località, ciò che è necessario evitare.
Pregasi S.V. voler se del caso opportunamente rappresentare tale esigenza presso codesto Governo.
Solo per Lussemburgo: Telegrafato quanto sopra a Parigi, Bonn, L’Aja, Bruxelles4.
1 T. segreto 7087/271 e T. segreto 7089/273, pari data, con i quali Cavalletti aveva comunicato le informazioni giuntegli da più parti circa richieste di cambiamento della sede del Consiglio dei Ministri.
2 Vedi D. 43.
3 Vedi D. 22.
4 Per il seguito vedi D. 25.
IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. segreto urgente 7123/278. Lussemburgo, 17 maggio 1955, ore 21,40 (perv. ore 22,15).
Mio 2731.
Come da istruzioni telefoniche, mi sono immediatamente recato da Bech per fargli presente che eventuale scelta Roma invece Messina come sede conferenza non avrebbe rimosso impedimento V.E. per parteciparvi, dato che 1° giugno V.E. sarebbe impegnata Sicilia. Sarebbe quindi venuto meno gesto di cortesia che Ministro aveva voluto fare e V.E. sarebbe costretta a farsi rappresentare.
Bech mi ha risposto che per Messina si stavano addensando serie obiezioni da varie parti (mi ha accennato a Spaak) e che in tali condizioni soluzione migliore sarebbe rinvio conferenza al 15 giugno in altro luogo: egli proponeva quindi telegrafare ai Ministri in tal senso facendo sapere che V.E. non poteva accettare Roma 1° giugno.
Ho subito soggiunto che V.E. non essendo in questo momento a Roma gli avevo riportato reazioni più diretti collaboratori di V.E.; tuttavia, dato che si trattava di impegni personali di V.E., lo pregavo attendere riservandomi fargli conoscere al più presto (possibilmente domani) pensiero di V.E.
Ho insistito che non vedevo quali fatti nuovi si fossero verificati tali da modificare decisione presa dai sei Ministri pochi giorni fa, tranne che tale decisione fosse stata presa irriflessivamente, il che evidentemente non si poteva nemmeno pensare. Se difficoltà si erano rivelate a causa consultazione Alta Autorità su nomina Presidente consultazione a cui a mio avviso forse non si era pensato, ero sicuro potersi trovare procedura soddisfacente anche se conferenza si tenesse Messina.
Ho avuto impressione che Bech sia rimasto abbastanza convinto e che se V.E: desidera insistere per Messina a giugno Bech finirà per diramare inviti in tal senso. Prego V.E. volere cortesemente inviare istruzioni telegrafiche2.
1 Vedi D. 24, nota 1.
2 In risposta al D. 24, con T. segreto 7180/280 del 18 maggio, Cavalletti comunicò che Bech aveva desistito dall’idea di rinviare la conferenza e che aveva acconsentito ad inviare la convocazione per il 1° giugno a Messina.
IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, SORO,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI
Telespr. riservato 44/073881. Roma, 17 maggio 1955.
Oggetto: Memorandum paesi Benelux ai paesi C.E.C.A.
Si trasmette qui unito un progetto di memorandum dei paesi Benelux ai sei paesi della C.E.C.A. sullo sviluppo dell’integrazione economica europea, progetto che fu consegnato in via breve dal Ministro Spaak al Ministro Martino durante l’ultimo Consiglio Atlantico2.
L’argomento, com’è noto, formerà oggetto di discussione in occasione del prossimo Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. che avrà luogo a Messina il 1° giugno p.v.3.
Allegato
Memorandum. 8 maggio 1955.
1. Les Gouvernements de Belgique, du Luxembourg et des Pays-Bas croient le moment venu de franchir une nouvelle étape dans la voie de l’intégration européenne.
Ils sont d’avis que celle ci doit être réalisée tout d’abord dans le domaine économique.
Ils estiment qu’il faut poursuivre l’établissement d’une Europe unie par le développement d’institutions communes, la fusion progressive des économies nationales, la création d’un grand marché commun et l’harmonisation progressive de leur politique sociale.
Une telle politique leur paraît indispensable pour maintenir à l’Europe la place qu’elle occupe dans le monde, pour lui rendre son influence et son rayonnement et pour augmenter d’une manière continue le niveau de vie de sa population.
2. Le développement des activités de la C.E.C.A. a révélé la nécessité d’un élargissement du marché commun dans les domaines voisins du champ d’activité de cette organisation.
Les pays du Benelux estiment toutefois qu’un pareil élargissement ne pourrait réussir si une intégration économique générale n’était pas entreprise.
A. L’élargissement des bases communes de développement économique devrait s’étendre entre autres aux domaines des transports, de l’énergie et des applications pacifiques de l’energie atomique.
1. L’extension des échanges des marchandises et le mouvement des hommes appellent le développement en commun des grandes voies de communication qui ont fait jusqu’ici l’objet de plans nationaux séparés.
A cette fin un organisme serait chargé de l’étude en commun de plans de développement axés sur l’établissement d’un réseau européen de canaux, d’autoroutes, de lignes ferrés electrifiées et sur une standardisation des équipements: il aurait aussi pour mission de rechercher une meilleure coordination des transports aériens. (Pour la réalisation des objectifs énumérés ci-dessus, un fonds d’équipement des transports devrait être mis sur pied).
2. La mise à la disposition des économies européennes d’énergie plus abondante et à meilleur marché constituerait un élément fondamental de progrès économique.
C’est pourquoi toutes dispositions devront être prises pour développer les échanges de gaz, de courant électrique, propres à augmenter la rentabilité des investissements et à réduire le coût des fournitures.
On devrait étudier les méthodes de coordiner les perspectives communes de dé-veloppement de la consommation d’énergie et de dresser les lignes générales d’une politique d’ensemble, éventuellement par la création d’un organisme qui recevra communication des programmes nationaux et donnera un avis sur leur opportunité. Elle pourra provoquer l’établissement en commun de plans de développement pour l’ensemble des pays membres, de telle sorte que l’implantation des installations s’opère au mieux des possibilités économiques.
3. Le développement de l’énergie atomique à des fins pacifiques ouvrira à brève échéance la perspective d’une nouvelle révolution industrielle sans commune mesure avec celle des cent dernières années.
Les pays Benelux estiment qu’il faut créer une Autorité commune, à laquelle seront attribués la responsabilité et les moyens d’assurer le développement pacifique de l’énergie atomique sous réserve des arrangements spéciaux souscrits par certains gouvernements avec des pays tiers.
Ces moyens devraient comporter:
a) l’établissement d’un fonds commun alimenté par des contributions de chacun des pays participants et permettant de financer les installations et les recherches en cours ou à entreprendre;
b) le libre échange des connaissances et des techniciens, des matières premières, des sous-produits et des outillages spécialisés;
c) la mise à disposition, sans discrimination, des résultats obtenus et l’octroi d’aides financières en vue de leur exploitation;
d) la coopération avec les pays non membres, et l’assistance technique aux pays sous-développés.
B. 1. En ce qui concerne l’intégration économique générale les pays Benelux estiment qu’il faut tendre à la réalisation d’une communauté économique.
Cette communauté devrait être fondée sur un marché commun à réaliser par la suppression progressive des restrictions quantitatives et des droits de douane.
2. L’établissement d’une communauté économique européenne, dans l’esprit des Etats Benelux présuppose nécessairement l’établissement d’une autorité commune dotée des pouvoirs propres nécessaires à la réalisation des objectifs fixés.
D’autre part un accord devra établir:
a) la procédure et le rythme de la suppression progressive des obstacles aux échanges dans les relations entre les pays participants;
b) les mesures à prendre afin d’harmoniser la politique générale des pays participants dans les domaines financiers, économiques et sociaux;
c) un système de clauses de sauvegarde;
d) la création et le fonctionnement d’un fonds de réadaptation.
C. En ce qui concerne le domaine social les pays Benelux considèrent comme indispensables l’harmonisation progressive des réglementations en vigueur dans les différents pays, notamment celle relative à la durée du travail, la rémunération des prestations supplémentaires (travail de nuit, travail du dimanche et des jours fériés), la durée des congés et leur rémunération.
D. En rédigeant le present mémorandum, les pays Benelux se sont efforcés d’apporter une contribution à la solution des problèmes discutés entre les six pays de la C.E.C.A. lors de l’élaboration de la résolution de Luxembourg du 10 septembre 1952. Ils sont pleinement conscients de leur importance et de leur complexité. De multiples solutions se conçoivent pourvu que les buts à atteindre soient acceptés.
Les trois Gouvernements suggèrent en conséquence l’organisation d’une conférence chargée de
– procéder à l’étude et préparer des textes de traités organisant la poursuite des objectifs développés ci-dessus en matière de transports, d’énergie, d’énergie nucléaire et en matière de réglementation sociale en tenant compte des résultats déjà acquis à l’intervention de la C.E.C.A.
– procéder à l’étude et préparer des textes de traité fixant les conditions et le programme d’une intégration générale de l’économie européenne.
– procéder à l’étude et préparer des textes de traité dressant le cadre constitutionnel commun dans lequel devront être exécutées les tâches prévues ci-dessus.
Les pays Benelux estiment que cette conférence devra comprendre outre les six pays membres de la C.E.C.A., les pays qui ont signé avec la C.E.C.A. un traité d’association et la C.E.C.A. elle même.
Il y aurait lieu d’examiner l’opportunité d’y inviter les autres États membres de l’O.E.C.E., soit comme observateur, soit comme membres participants, et l’O.E.C.E. elle même.
Les traités envisagés devraient être ouverts à tous pays participants à la conférence.
1 Diretto alla Presidenza del Consiglio, ai Ministeri del Bilancio, Industria e Commercio e Commercio Estero, alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra e Parigi, alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi, e alla Legazione a Lussemburgo.
2 Vedi D. 22.
3 Vedi D. 43.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINOALLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., A PARIGI,E ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO
T. 5076/175 (Parigi) 130 (Lussemburgo). Roma, 21 maggio 1955, ore 23.
Oggetto: O.E.C.E. e C.E.C.A.
A riunione 24 maggio per definire posizione Governi circa questione energia1 ritiensi che da parte italiana possa essere assunto seguente atteggiamento: se in sede O.E.C.E. esiste reale intenzione iniziare studi concreti per utilizzo energia nucleare, in vista possibile cooperazione intereuropea, nulla in contrario. Ritiensi infatti che azione in sede O.E.C.E. non possa né debba costituire intralcio ad altre iniziative sei Governi C.E.C.A. su piani diversi.
A comitati esperti che eventualmente si costituissero, in sede O.E.C.E. a tale scopo, Alta Autorità richiede che venga consentita partecipazione di un suo esperto.
Da parte nostra nulla osta a tale partecipazione che appare legittima ed auspicabile nel quadro esistente accordi fra O.E.C.E. e C.E.C.A.
1 Vedi DD. 29 e 32.
IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 7448/288. Lussemburgo, 23 maggio 1955, ore 16,50 (perv. ore 17,30).
Oggetto: Lettera Monnet.
Monnet mi informa avere inviato V.E. e altri Ministri Esteri Comunità lettera in cui dopo aver ricordato ragioni che l’avevano indotto novembre u.s. presentare dimissioni e che Assemblea aveva espresso desiderio sua decisione fosse modificata, afferma che «dopo rilancio in corso non si comprenderebbe che egli non si dichiari di nuovo pronto partecipare direttamente sviluppo opera intrapresa, se Governi volessero confermare desiderio che parecchi di essi hanno già insistentemente espresso». Come si vede Monnet persiste nell’aggrapparsi sua poltrona.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 7486-7471/167-1681. Parigi, 23 maggio 1955, ore 21,05 (perv. ore 24)2.
Oggetto: Riunione Delegati C.E.C.A. presso O.E.C.E.
167. Ha avuto luogo questa mattina riunione privata Delegati permanenti presso O.E.C.E. sei paesi C.E.C.A. per stabilire atteggiamento comune da adottare verso progetto Armand3 e relative risoluzioni predisposte dal Segretariato. Atteggiamento assunto da Delegazioni è il seguente:
Delegato tedesco, premettendo di non avere istruzioni, ha tuttavia dichiarato che nuove eventuali forme integrazione per settore erano viste sfavorevolmente dal Ministro Erhard e incontravano ostilità associazioni economiche tedesche.
Orientamento francese favorevole a che O.E.C.E. prosegua studi su settore energetico in vista cooperazione, questa attività non pregiudicando, nel giudizio francese, altre iniziative in questo campo per le quali vi sarebbe libertà d’azione. Tale libertà d’azione verrebbe riaffermata dal Delegato francese solo se altre Delegazioni assumessero in Consiglio atteggiamento suscettibile pregiudicare iniziativa paesi C.E.C.A.
Delegato belga si è espresso nel senso che non si debba ostacolare prosecuzione studi in sede O.E.C.E. se maggioranza è favorevole alle risoluzioni proposte dal Segretariato, e solo se opposizioni e riserve fossero comunque manifestate da altri paesi O.E.C.E. egli le avrebbe appoggiate.
Atteggiamento olandese è stato invece caratterizzato da notevoli rigidità impostazione: approvare progetto Armand e al massimo principio che O.E.C.E. studi problemi materia energetica, ma evitare costituzione commissione energia.
Essendo frattanto pervenuto telegramma V.E. numero 1754 mi sono espresso in modo analogo a Delegato francese e belga, mettendo in rilievo che azione in sede O.E.C.E. non doveva costituire intralcio ad altre iniziative o pregiudicare libertà d’azione dei sei Governi.
Tutti i presenti poi, meno il Delegato olandese, si sono espressi in favore di un atteggiamento che non desse la sensazione di una presa di posizione dei sei paesi nel senso di voler ostacolare procedura di studio dei problemi energetici da parte dell’O.E.C.E. alla quale non si può contestare diritto di occuparsi di tale problema, mentre ogni sua eventuale iniziativa dovrebbe essere associata la C.E.C.A.
Seduta privata continua domani3.
168. Nella riunione di cui a mio telegramma numero 167 odierno Delegato belga ha detto che suo Governo era molto ansioso di assicurarsi formalmente che alla riunione di Messina5 i Ministri d’Italia, di Francia e di Germania non opponessero pregiudizialmente alla proposta del Benelux argomento che questione energia era oggetto studio da parte O.E.C.E. Nessuno dei presenti era evidentemente in grado di dargli tale assicurazione formale ma gli è stato detto che questa preoccupazione non appariva fondata. Essa sarebbe stata comunque portata da ciascuno di noi a conoscenza del proprio Ministro.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con i numeri di protocollo di sede 382 e 383.
2 La prima parte del presente documento (T. 167), partita alle ore 23,30, pervenne alle ore 24, mentre la seconda (T. 168), partita alle ore 21,05, pervenne alle ore 21,25.
3 Vedi D. 32.
4 Vedi D. 27.
5 Vedi D. 43.
IL MINISTRO CONSIGLIERE A PARIGI, TASSONI ESTENSE,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato 811/521. Parigi, 23 maggio 1955.
Oggetto: Francia e integrazione europea.
Le note recenti dichiarazioni di Pinay hanno dimostrato un certo timido ritorno del Governo francese – o di alcuni suoi settori – a idee di integrazione europea. Questa idea è tuttora qui l’oggetto di infiniti odii e di infiniti amori. I maggiori e più inflessibili avversari si trovano, a parte i comunisti, nel campo parlamentare gaullista. Si è persino visto il Deputato Vendroux, cognato del Generale De Gaulle, chiedere al Governo che faccia appello in Corte di Giustizia contro la decisione recentemente presa dall’Assemblea Generale del pool, di trovare nuove formule per estendere la propria competenza. I repubblicani sociali sono così sempre più furibondi ogni volta che appaia loro possibile una «relance» europea e qualche iniziativa francese al riguardo. Il «loro» Palewski è continuamente al lavoro per calmare i colleghi e per varare alcune formule che, come quella per un pool atomico, è europeista di apparenza e nazionalista di sostanza.
D’altra parte, lo scacco della C.E.D. non ha tolto speranza ai suoi sostenitori, spesso eccessivi e che hanno fatto più male che bene al loro ideale, e soprattutto certi esponenti del M.R.P. restano fedeli globalmente, e con rispettabile quanto confusa intransigenza di idee, al programma europeista integrale. Essi trovano, al contrario delle destre, che la Francia non coglie certe attuali migliorate possibilità per aiutare qualsiasi formula europeista soprannazionale. Al Congresso M.R.P. di Marsiglia un congressista, non dei minori, diceva: «Bisogna che Edgar Faure senta che noi non siamo soddisfatti». Tra i due estremi, opposizione appassionata e idealismo impaziente, Pinay intende inserire la propria azione. D’accordo con Faure, ha fatto tutto il possibile per lavorare Washington ai fini della prossima Conferenza a quattro. Pinay si propone, a quanto si ha ragione di credere, un’azione progressiva, metro per metro, settore per settore, verso un’intesa europea. Alcuni sviluppi di simile posizione potranno vedersi probabilmente a Messina, nel corso della prossima riunione della C.E.C.A.
Non so se questa posizione media di Pinay – che del resto risponde al carattere dell’uomo – sia presa con l’ambizione di essere anche un mediatore.
Ma il realismo di questa posizione non sminuisce il sentito interesse di Pinay per formule europee integrative: egli non era europeista prima, come è noto, e ora è un convertito senza le eccessività dei convertiti, ma con una solida credenza che in lui si accompagna al costante buon senso.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO
T. 5182/134. Roma, 24 maggio 1955, ore 22.
Oggetto: Nomina presidente Alta Autorità.
Suo 2911.
Calmes mi ha direttamente telegrafato testo comunicazione di Monnet a Presidente Bech. Ho risposto a Calmes nei seguenti termini:
«Ho ricevuto il vostro telegramma del 23 in risposta alla comunicazione del Presidente dell’Alta Autorità al Presidente Bech in data 21 maggio, prego di far sapere al Presidente Bech che la nomina del presidente dell’Alta Autorità verrà effettuata dai Ministri degli Esteri a Messina2 dopo consultazione con la Alta Autorità in conformità all’articolo 11 del Trattato e che la consultazione stessa potrà aver luogo, dopo un primo scambio di vedute fra i Ministri, attraverso i mezzi più appropriati e precisamente per telefono o telegramma».
1 T. 7476/291 del 23 maggio, con il quale Cavalletti aveva comunicato la richiesta di Bech di conoscere la posizione italiana circa la modalità della nomina del presidente della C.E.C.A.
2 Vedi D. 43.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T.7562/171. Parigi, 24 maggio 1955, ore 23 (perv. ore 24).
Oggetto: Rapporto Armand.
Consiglio ha esaminato oggi rapporto Armand, che è stato introdotto dall’autore. Discussione generale che ne è seguita è stata vaga e confusa, dato che evidentemente la maggior parte delle Delegazioni non avevano istruzioni precise. Delegati si sono limitati genericamente ad esprimere apprezzamento per opera di Armand e convinzione che problema della cooperazione europea nei settori energetici, e specie nel campo dell’energia termo-nucleare, di cui tutti riconoscono l’importanza, richieda ulteriori approfondimenti. Per ciò che riguarda proposta del Segretariato di istituire commissione per l’energia e gruppo di studio del Consiglio per l’energia termo-nucleare (vedi mio telespresso 2116/977 del 9 corrente)1 la prima, per quanto nessuno abbia manifestato opposizione in linea di principio è stata praticamente scartata, per il momento, da diversi Delegati almeno nella forma in cui il Segretariato l’aveva avanzata. Delegato dei Paesi Bassi ha infatti lasciato intendere di non poterla accettare, affermando che il suo Governo non ha avuto modo di esaminare a fondo diversi aspetti e applicazioni. Medesima posizione hanno assunto Delegati tedesco e belga, chiedendo al pari del collega olandese di potervi riflettere ulteriormente.
La proposta di istituzione di un gruppo di studio del Consiglio incaricato di suggerire forma e metodi cooperazione in materia di energia nucleare, ha ricevuto migliore accoglienza e varie Delegazioni si sono mostrate propense ad accettarla, malgrado perplessità svedesi su possibile interferenza con lavori Conferenza Ginevra.
In definitiva, su proposte del Presidente Ellis-Rees, il quale ha genericamente riaffermato importanza della materia e che O.E.C.E. è foro competente per trattarla, è stato deciso di rinviare i due documenti al Comitato Esecutivo2, per esame. Delegato belga ha suggerito che eventuali decisioni in merito vengano prese dal prossimo Consiglio Ministri3, per dare maggiore solennità e marcare importanza che paesi membri annettono a convocazione nel campo dell’energia. Questa proposta verrà presa in considerazione in sede di preparazione ordine del giorno sessione ministeriale.
1 Non pubblicato.
2 Vedi D. 39.
3 Il Consiglio dei Ministri dell’O.E.C.E. ebbe luogo il 9-10 giugno.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV
Processo verbale1.
RIUNIONE INTERMINISTERIALE
Il giorno 24 maggio c.a. alle ore 10, ha avuto luogo presso la Direzione Generale degli Affari Economici una riunione per procedere allo studio dei problemi inerenti all’estensione della competenza della C.E.C.A. ai settori dell’energia e dei trasporti.
Alla riunione, presieduta dall’Ambasciatore CATTANI, hanno partecipato:
- Ministro CARROBIO Dir. Gen. Affari Economici
- Comm. SILVESTRI Min.ro Industria e Commercio - D.G.A.G.
- Ministro GRILLO Dir. Gen. Affari Politici
- Dr. LA ROSA Min.ro Commercio Estero - D.G.A.C.
- Ing. CUTTICA Min.ro Lavori Pubblici
- Dr. SCAPACCINO Min.ro Agricoltura e Foreste
- Dr. CRAMAROSSA Alto Commissariato Sanità
- Dr. TAGLIARINI Min.ro Finanze – D.G. Dogane
- Dr. FLORE Min.ro Marina Mercantile - D.G. Pol. Trasp.
- Ing. PICCOLI Min.ro Lavori Pubblici
- Dr. CARBONE Segretario Piano decennale
- Dr. GUALTIERI Min.ro Industria e Commercio - D.G.P.I.
- Dr. FALCHI Dir. Gen. Affari Politici
- Dr. SPINELLI Dir. Gen. Affari Economici
- Dr. SOLARI BOZZI Dir. Gen. Affari Economici
CATTANI: Ho voluto incontrarvi prima della riunione che avrà luogo a Messina il 1° giugno2 per discutere insieme i problemi dell’estensione della competenza della C.E.C.A., non da un punto di vista politico ma da quello economico. La valutazione politica spetta agli uomini di Governo, a noi incombe solo il compito di fare apprezzamenti su questi problemi da un punto di vista tecnico, apprezzamenti che potranno servire di guida agli uomini politici.
Ai rappresentanti che intervengono oggi per la prima volta, tengo a far presente che siamo sempre in un campo preliminare poiché è da escludersi la possibilità che dagli scambi di idee tra i sei Ministri che si incontreranno a Messina si possa giungere al di là di una semplice valutazione.
Propongo di adottare, come schema della nostra discussione, l’esame di due punti distinti: anzitutto, analizzare i problemi inerenti all’energia ed ai trasporti, nel senso di una integrazione verticale in questo settore; in secondo luogo, esaminare le possibilità per giungere alla creazione di un mercato comune, cioè esaminare i problemi di una integrazione orizzontale.
Sulla base di quel che si è detto nella riunione del 20 aprile scorso, parlando delle singole fonti di energia (lasciando da parte il carbone, già di competenza dei sei paesi della Comunità) ci riferiremo sia all’elettricità, che al gas, al petrolio ed all’energia nucleare. A fianco di questi quattro settori, desidero ravvicinare anche il problema dei trasporti in generale e, in particolare, quello dei trasporti aerei.
Sul piano tecnico, nel discutere questi problemi, conviene esaminare anzitutto le realizzazioni già acquisite nel campo della cooperazione, in secondo luogo ciò che si ritiene desiderabile raggiungere e, in terzo luogo, analizzare i metodi che sembrano essere più appropriati per intensificare detta cooperazione. E cioè, se convenga orientarsi verso una cooperazione inter-governativa stretta o mista o supernazionale.
Iniziamo dal settore dell’elettricità. Quali realizzazioni sono state già acquisite? Cosa s’intende raggiungere? e con quali metodi?
CUTTICA: La nostra maggiore preoccupazione è rivolta ad avere un forte incremento della produzione poiché l’interesse principale della Nazione si rivolge appunto all’elettricità. La nostra produzione non è sufficiente, siamo coperti fino al 1957 e, solo scarsamente, fino al 1958. Nel 1955, almeno durante i primi cinque mesi, le costruzioni nuove si sono gradualmente fermate.
Il Ministero dei Lavori Pubblici è perciò favorevole ad intensificare gli scambi di energia elettrica. Per il momento, gli scambi di energia avvengono al di fuori di un controllo diretto del Ministero dei Lavori Pubblici. Essi, anche se non di notevole importanza, hanno luogo tra Società, direttamente. Il Ministero dei Lavori Pubblici si augura che questi scambi avvengano, per il futuro, con sempre maggiore intensità.
CATTANI: Esiste un organismo internazionale che regoli questi scambi?
CUTTICA: Esiste 1’«Associazione delle Grandi Reti».
CATTANI: Esiste però, in sede O.E.C.E., anche un altro organismo: la «Riunione dei produttori di energia elettrica», che non è un organo dell’O.E.C.E. ma ne è una filiazione. Ai Governi è concesso solo un «droit de regard» e di questo organismo si è abbastanza soddisfatti.
CUTTICA: Va tenuto presente che l’Italia è il solo paese nel quale l’energia elettrica costa di meno; e ciò non perché siano minori i costi di produzione, ma perché essa è pagata meno che negli altri paesi dell’Europa Occidentale.
CATTANI: È preferibile non sollevare problemi di ordine interno, in questa sede.
CUTTICA: Va tuttavia tenuto presente che, almeno durante questo ultimo quinquennio, la produzione di nuove fonti di energia elettrica in Italia è stata fortemente influenzata da questa politica di bassi prezzi.
La nostra attenzione si rivolge, d’altra parte, allo studio di nuovi sistemi ma non si ritiene che, almeno per un decennio, si possano ottenere risultati apprezzabili nell’applicazione dell’energia nucleare al settore dell’elettricità. Tuttavia, non si può escludere che i tempi possano essere accelerati.
La produzione delle nostre centrali idriche va avviandosi a saturazione (disponibilità di 10-15 miliardi kW/h.). Lo scambio di energia potrebbe, perciò, avvenire nel settore dell’energia elettrica di origine termica.
CATTANI: Concludendo, possiamo affermare che per il settore dell’energia elettrica è auspicabile l’interscambio e che è necessario aumentare la produzione in zone vicine al nostro paese.
SILVESTRI: Per ora si discute solo del problema delle disponibilità, ma il problema di mercato non è stato ancora sfiorato.
CATTANI: Per ciò che concerne gli scambi di energia esiste un organismo:l’«Unione dei produttori»: è un organismo paritario non autoritativo, è piuttosto un luogo di incontro e di ricerche.
Data questa situazione, quali metodi pensate siano più utili per giungere ad una più intensa cooperazione nel campo della produzione e dello scambio?
GUALTIERI: Desidero fare un passo indietro e ricordare gli impegni assunti a Ginevra nel quadro degli scambi occasionali di energia. È questo un genere di scambi a noi molto utile poiché permette ad alcune piccole industrie (per esempio quelle elettrochimiche), che lavorano a maggior ritmo in un determinato periodo dell’anno, di rifornirsi dell’energia necessaria alla loro produzione. Senza questi scambi occasionali queste piccole industrie morirebbero. L’instaurazione di un mercato comune, da questo punto di vista, risulterebbe dannosa.
CATTANI: Date queste caratteristiche, sembra si possa allora affermare che non esistono i presupposti per la creazione di un mercato comune nel campo dell’energia elettrica. Non sembra quindi che la supernazionalità sia necessaria.
GUALTIERI: Anzi, essa rappresenterebbe un gravissimo inconveniente!
CUTTICA: Esiste anche 1’«Associazione delle Grandi Reti» che lavora da anni con specifici compiti tecnici. Inoltre, esiste l’«Associazione produttori e consumatori di energia elettrica» con sede a Bruxelles, creata pochi mesi fa e presieduta ora da un italiano, l’Ing. Castellani. Infine, ricordo la «World Power Commission» che ha tenuto le sue ultime riunioni in Giappone, a Londra e negli Stati Uniti. Questa Commissione, che si riunisce annualmente, studia la situazione esistente e mette a fuoco i nuovi problemi che si presentano in questo campo.
CATTANI: Non possono coprirsi tutti gli aspetti del problema. Ricordo per esempio la collaborazione che avviene in un campo ristretto (Interalpen). Tengo a ricordare ciò perché tocca il problema dell’estensione geografica della collaborazione; ma, da un punto di vista tecnico, un campo sempre più vasto sarebbe auspicabile (Svizzera, Austria, e anche Jugoslavia) ma questo non è che un corollario.
SILVESTRI: Nel campo dell’energia elettrica, insomma, possiamo dire che il concetto della supernazionalità non si può applicare. Ed anzi, non solo nel campo dell’elettricità, ma anche per le altre fonti di energia.
CATTANI: Per il carbone però, si è raggiunta la supernazionalità!
SILVESTRI: Ma in questo modo si arriverebbe a supernazionalizzare tutta la vita economica del paese. Sarebbe necessario raggiungere prima il mercato comune generale e, di lì, la supernazionalizzazione anche delle fonti di energia.
CATTANI: Sì, ma noi esaminiamo ora il problema in un campo ristretto cercando di trovare elementi tecnici che possano rivelarsi utili allo studio di un’integrazione più generale.
Passiamo ora ad esaminare i problemi inerenti al gas ed al petrolio.
SILVESTRI: Occorre prescindere dal gas naturale per il quale lo scambio si rivela difficilmente realizzabile a causa dei costi troppo alti del trasporto. Per ciò che concerne il petrolio, come sapete, lo scambio è già in atto e l’eventualità di un mercato comune non ci darebbe grandi preoccupazioni.
CATTANI: Quindi, si può accettare l’idea di un mercato comune per il petrolio?
SILVESTRI: Sì. Ma subordinatamente a quanto avviene per le altre fonti di energia e cioè in un mondo economico già integrato.
CATTANI: È interessante notare che il progetto del Benelux non accenna al petrolio. Perché, a vostro avviso?
SILVESTRI: Forse perché i paesi del Benelux sentono con minore intensità questo problema, data anche la loro diversa struttura dell’industria petrolifera.
CATTANI: Si può concepire la possibilità di lasciare il petrolio al di fuori da questo programma di integrazione?
SILVESTRI: Certamente no. Teniamo presente però che anche i gas liquefatti hanno una grande parte nel nostro consumo.
CUTTICA: E aggiungo: se il gas naturale dovesse rimanere, come appare oggi, destinato alla produzione di energia elettrica, come distinguere, dal nostro punto di vista, fra petrolio e gas naturale? Un mercato comune dovrebbe prendere in considerazione ambedue queste fonti.
SILVESTRI: Ma il gas naturale per la produzione di vapore è ritenuto ormai un lusso e non si creano più industrie di questo genere. Un combustibile come il metano non può essere declassato per la fabbricazione di vapore. In Germania, il metano è già stato sostituito dalla lignite.
CATTANI: In tal modo, il gas naturale diventerebbe materia prima e, per ciò, materia di cooperazione internazionale, ma solo in regime di mercato comune.
Esaminiamo ora il problema dell’energia nucleare.
SILVESTRI: Non mi sembra vi sia molto da aggiungere a quanto è stato detto nel corso della nostra prima riunione. Esistono organismi internazionali di solo carattere scientifico e cioè creati con lo scopo precipuo di scambiare i risultati delle ricerche che si vanno via via effettuando, ma non esiste un organismo internazionale direttivo. Quanto a noi, abbiamo già in atto la costruzione di un reattore. Siamo inoltre aderenti ad un organismo che ha sede a Ginevra e ad un altro con sede a Stoccolma.
Qualora l’energia nucleare fosse applicata al campo dell’energia elettrica, l’interscambio sarebbe utile, anzi necessario; per il momento, però, non possiamo ancora superare la fase di una collaborazione nel campo strettamente scientifico, di ricerche di laboratorio.
GRILLO: Mi chiedo, tuttavia, se una cooperazione internazionale in questo campo non debba ritenersi subordinata ad accordi bilaterali del tipo di quello esaminato ieri. Se cioè la cooperazione nel campo dell’energia nucleare sia subordinata ad una qualche forma di accettazione da parte di paesi tra i quali viga una convenzione che regoli lo scambio di materie prime per gli studi atomici (per esempio, acqua pesante).
SILVESTRI: A me sembra che questo tipo di accordo abbia solo lo scopo di mettere in condizione altri paesi a proseguire lavori di ricerca nel settore dell’energia nucleare ma non a limitare o, comunque, influire su un qualsiasi programma di cooperazione in questo campo. Alla cooperazione si potrà giungere comunque; vi saranno, poi, alcuni paesi legati da accordi bilaterali (intesi come semplici accordi commerciali), regolanti l’approvvigionamento delle materie prime.
CATTANI: A me pare esistano due approcci a questo problema. O una intensificata collaborazione internazionale che acquisisca quanto nasce da accordi bilaterali (scambi reciproci di risultati di ricerche e scambio di suggerimenti per superare gli ostacoli nel campo economico e scientifico e su base intergovernativa); oppure, ed è questo forse un piano più ambizioso, si può ritenere che queste nuove forme di energia possano esercitare una tale influenza per cui si pensi che sia necessario legarsi in partenza in modo da adattare in comune le esperienze passate ai nuovi problemi che sorgono. Ciò, logicamente, dovrebbe portare ad una formale istituzione di carattere supernazionale.
È bene tenere presente la messa in comune di studi, mezzi finanziari, esperienze, etc. come primo stadio verso un’ulteriore integrazione.
CUTTICA: Un anticipo su programmi di collaborazione internazionale può essere utile per evitare che si vadano cristallizzando quelle tendenze monopolistiche già in embrione: alludo alla Gran Bretagna. Queste situazioni di monopolio, una volta affermatesi, si distruggono difficilmente.
CATTANI: Certamente, ma vi sono molti altri aspetti di questo problema. Tuttavia, ritengo sia auspicabile che domani, una autorità politica giungesse ad una collaborazione internazionale e supernazionale.
Affrontiamo ora, il problema dei trasporti. Abbiamo sempre udito una nota molto cauta da parte delle nostre Autorità. Esaminando il quadro delle realizzazioni acquisite, possiamo dire che i risultati non sono insoddisfacenti. Dopo aver discusso e studiato per anni, siamo giunti, l’anno scorso, alla creazione della «Conferenza europea dei Ministri dei Trasporti», la quale, direi quasi per antonomasia, non ha un campo ristretto. Si tratta di una collaborazione nel campo intergovernativo, non dipendente ma collegata con l’O.E.C.E. Sentiamo tuttavia viva l’esigenza di far di più non solo nel campo tecnico ma anche in quello politico. Non so se in questa materia convenga preferire una soluzione supernazionale. Non ne vediamo ancora la necessità assoluta e forse la soluzione di supernazionalità dei trasporti può essere concepita solo nel quadro di un’integrazione generale.
I francesi hanno già riflettuto su questo problema con riferimento alla loro navigazione fluviale. Si potrebbe esaminare la proposta Lemaire, tendente a creare un comitato di esperti indipendenti, che sia tra i Supplenti e la Conferenza dei Ministri dei Trasporti, con la funzione di dare nuovi impulsi, apportare nuovi suggerimenti etc. Una proposta così concepita sembra possa essere da noi secondata, visto che noi stessi, in seno alla Conferenza dei trasporti, proponemmo già la creazione di un comitato più dinamico che non si realizzò per l’opposizione dei piccoli paesi.
Accettato questo punto di vista si permetterebbe anche ad altri paesi, al di fuori della Comunità dei sei paesi, di farne parte. Spero che alla riunione di Messina i Ministri accettino il principio che nulla nasca come creazione ad uso esclusivo dei sei paesi ma piuttosto come una leadership di pensiero ed orientamenti che si estrinsecheranno poi in fòri già esistenti o di nuova creazione.
CUTTICA: (Mette a disposizione un elenco delle organizzazioni esistenti in questo settore). Il gran numero di queste organizzazioni non deve essere inteso come un sintomo di dispersione ma ciò è dovuto alla vastità stessa del campo ed ogni organizzazione apporta invece il proprio efficace contributo. Queste organizzazioni incontrano serie difficoltà di ogni ordine per giungere ad una completa cooperazione. Una delle principali consiste nella difficoltà di stabilire un canone unitario di valutazioni per quei problemi che presentino differenti aspetti (esempio: si deve costruire la strada che è più economica, più conveniente o meglio attrezzata?). Un mercato, comune, comunque, non è ancora pensabile soprattutto a causa delle difficoltà derivanti dalla mancanza di tariffe uniche.
CATTANI: Queste obbiezioni nascono ogni qualvolta si tenti di creare un mercato per beni ed utilità che, invece, non sono comuni.
CUTTICA: Le esperienze acquisite sono molto importanti: converrebbe non perderle di vista in una nuova regolamentazione. Se dagli ambienti politici si potrà ritrarre una qualche utilità per superare questi ostacoli, ciò gioverà molto ad incrementare la collaborazione nel campo dei trasporti e sono certo che saremo tutti d’accordo.
CATTANI: Quanto al problema dell’aviazione, intendo riferirmi ad una cooperazione nel settore dei trasporti e non della produzione. Il problema è da noi molto sentito come, del resto, lo è in Francia. Si tratta di vedere i limiti realistici ad una collaborazione in questo settore. Per il momento non posso che enunciare il problema.
(Flore interviene a nome del Ministero della Marina Mercantile per far presente che nessuna allusione è fatta in questi progetti ad una eventuale cooperazione nel campo della marina mercantile. Rappresenta anche gli inconvenienti derivanti sia dall’istituzione del Trattato della C.E.C.A., per ciò che concerne i trasporti di carbone che vengono ora effettuati per ferrovia, che dalla situazione creatasi nel campo dei traffici interni della Francia, una volta caduti gli alti prezzi sostenuti dal Governo. Mette altresì in luce gli inconvenienti che potrebbero derivare ad alcuni nostri porti il giorno in cui si dovesse giungere ad una unificazione anche tariffaria nel settore dei trasporti ferroviari.
L’Ambasciatore Cattani fa presente che questi problemi devono essere anzitutto studiati dai Ministeri tecnici competenti).
CATTANI: Veniamo ora a discutere dei problemi inerenti alla creazione di un mercato comune. Il Ministero del Commercio Estero ne è, già in parte, al corrente.
Voi sapete che un primo ed importante passo verso l’integrazione è già stato realizzato allorché furono abolite le restrizioni quantitative. Ma è necessario andare più avanti. I problemi sono innumerevoli e vanno dalle questioni tariffarie a quelle del commercio di Stato, agli aiuti all’esportazione, alle difficoltà inerenti al coordinamento delle politiche fiscali, monetarie ed economiche dei vari paesi. Questi problemi, già esaminati lo scorso anno, sono oggi riproposti dai nostri colleghi del Benelux. Mi sembra si possa affermare che l’atteggiamento politico del nostro paese è oggi identico a quello di allora: se, cioè, si intende procedere in una maniera graduale e ponderata, che investa l’aspetto dell’integrazione nel suo insieme, noi siamo tutti d’accordo.
Sorge, ovviamente, una serie infinita di problemi che non è il caso di esaminare in questa sede, prima cioè che si sia manifestata una ferma determinazione da parte degli ambienti politici dei diversi paesi europei a volerli risolvere. Possiamo per ora dire che la nostra preoccupazione, a voi tutti nota, consiste nel mantenere un equilibrio fra un mercato comune dei prodotti manufatti e di quelli agricoli. Ricordo anche che l’interesse dell’Italia consiste nel procedere ad una integrazione frontale pur non essendo alieni dall’accettare, in un primo momento, possibili forme di integrazione per settori; ma ciò, solo se abbiamo serie garanzie che questa integrazione frontale esiste e che si potrà un giorno sicuramente raggiungere, sia pure per gradi.
Viene spontaneo di chiedersi se sia questo il momento più favorevole. Possiamo constatare che all’entusiasmo dei paesi del Benelux non corrisponde, e per motivi diversi, un altrettanto grande entusiasmo da parte della Francia e della Germania. Qual è il miglior approccio in queste condizioni? Una integrazione intergovernativa o supernazionale? Quello supernazionale sarebbe, oggi, destinato a un netto insuccesso. La via giusta non sta neanche nell’approccio intergovernativo, poiché le difficoltà sorgono senza numero e può anche non essere interamente soddisfacente. La verità sta in qualcosa di intermedio, di difficile configurazione. Ciò potrà realizzarsi soltanto dopo mesi di attento e paziente lavoro. Non vi sono, d’altronde, precedenti negativi in questo campo: in sede O.E.C.E. vengono già adottate risoluzioni anche se tutte le parti non siano consenzienti.
SILVESTRI: Sono perfettamente d’accordo nel configurare una soluzione del problema che sia intermedia; si tratterà di approfondire in seguito i risultati ottenuti.
CATTANI: D’altronde, non si può iniziare alcun passo nella via dell’integrazione europea, prima che tutti non siano perfettamente consci che il cammino non è reversibile.
Vi ringrazio di essere intervenuti a questa riunione che ha servito a chiarire le nostre idee su alcuni aspetti particolari di questo importante problema. Torneremo a riunirci non appena sarà terminata la Conferenza di Messina.
1 Il documento non è datato.
2 Vedi D. 43.
L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 7741/113. Bad Godesberg, 26 maggio 1955, ore 19,25 (perv. ore 22,15).
Oggetto: Conferenza Messina.
Mio 1091.
Con corriere in arrivo Roma pomeriggio 29 trasmetto lettera del Cancelliere per il Presidente del Consiglio, qui consegnatami oggi.
In essa il Cancelliere riafferma il suo rincrescimento di non potersi recare Messina malgrado le insistenze che gli avevo fatto pervenire e con l’occasione formula l’invito per eventuale visita del Presidente e di V.E. in Germania2.
1 T. 7631/109 del 25 maggio con il quale Grazzi aveva comunicato: «Il Cancelliere mi ha fatto dire ieri sera che con suo grande dispiacere si vede costretto a rinunciare partecipazione riunione C.E.C.A., impegnato qui in preparazione legge militare e nelle conversazioni relative alla Conferenza a quattro. La Delegazione tedesca sarà presieduta da Hallstein … ».
2 Vedi D. 80. La visita di Segni e Martino a Bonn avvenne nei giorni 6-9 febbraio 1956: vedi D. 126.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV
Processo verbale1.
RIUNIONE INTERMINISTERIALE
Il 26 maggio alle ore 18, ha avuto luogo al Ministero degli Affari Esteri una riunione interministeriale per procedere all’esame dei problemi che verranno discussi dai sei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. nella prossima Conferenza di Messina (1° e 2 giugno)2.
Alla riunione, presieduta da S.E. il Ministro MARTINO, hanno partecipato:
- S.E. il Ministro VANONI
- S.E. il Ministro MARTINELLI
- S.E. il Sottosegretario BENVENUTI
- S.E. il Sottosegretario BATTISTA
- S.E. il Segretario Generale ROSSI LONGHI
- L’Ambasciatore MAGISTRATI
- L’Ambasciatore CATTANI
- Il Ministro MIGONE
- Il Ministro CAVALLETTI
- Il Dottor MALFATTI
- Il Dottor SPINELLI
S.E. MARTINO: L’imminente riunione di Messina non ha, come qualcuno ha osservato, soltanto un aspetto elettorale. Essa deve infatti servire:
a) a procedere alla nomina del nuovo Presidente dell’Alta Autorità in sostituzione di Monnet dimissionario, il quale ha fatto ora sapere che sarebbe disposto a restare.
Non sembra che vi siano però molte probabilità per lui in quanto il Governo francese non è disposto ad appoggiarlo. I candidati francesi sarebbero: Mayer e Louvel; per il primo vi è un accordo unanime; per il secondo esistono invece delle obbiezioni da parte tedesca;
b) a rilancio europeo. Gli olandesi insistono perché si faccia qualcosa in favore dell’integrazione europea, per ora nel campo economico e con caratteristiche simili a quelle della C.E.C.A. Esistono due differenti teorie al riguardo, una favorevole all’ampliamento dei poteri della C.E.C.A. (integrazione dell’energia e dei trasporti); l’altra, più ambiziosa, caldeggiata dal Ministro Beyen, intesa a realizzare un’integrazione più vasta mediante la creazione di un mercato comune che dovrebbe essere aperto anche ad altri paesi e non soltanto ai sei della Comunità. L’ attuazione del mercato comune risolverebbe in pratica molti problemi per addivenire all’integrazione economica.
Questi sono i veri scopi della prossima Conferenza di Messina.
Ambasciatore CATTANI: Dalle informazioni finora pervenute appare che vi sia un certo consenso fra i sei paesi della C.E.C.A. per cogliere questa occasione per riaffermare l’idea europeistica. Tale idea è però sentita in maniera più o meno intensa. Ritengo che per avere un orientamento più preciso occorra prima vedere come reagiranno i Ministri degli Esteri a Messina. Penso che la discussione finirà col vertere sul fatto che è necessario fare qualcosa e quindi occorrerà esaminare quale procedura debba essere seguita. Soltanto in un secondo momento si potrà quindi esprimere un avviso tecnico.
S.E. BATTISTA: Ritengo che sia opportuno che io chiarisca le impressioni da me riportate in varie conversazioni avute con Ministri e Parlamentari sia a Strasburgo che a Lussemburgo.
C’è chi sostiene che l’integrazione economica europea debba essere perseguita in forma supernazionale; altri per gradi e cioè prima un’autorità comune e poi, in un secondo tempo, autorità supernazionale. Vi è anche chi sostiene la teoria dei settori verticali (sistema C.E.C.A.). Secondo quanto mi risulta il Governo francese non accetterà la teoria della supernazionalità né quella di estendere i poteri della C.E.C.A. ad altri settori. In Germania esistono invece due tendenze, quella di Adenauer favorevole all’integrazione e quella di Erhard contraria. Quest’ultimo infatti ritiene che la Germania abbia ormai pagato il suo scotto e che ora debba essere completamente libera di perseguire la sua politica economica che gli consentirà, tra alcuni anni, di controllare i mercati europei. Data la personalità di Erhard questo punto di vista assume una notevole importanza.
I paesi del Benelux sono al corrente di ciò e si preoccupano che la Germania possa estraniarsi dal movimento europeista e sono quindi disposti ad effettuare qualsiasi accomodamento pur di tenere associata la Germania stessa.
Un’idea che potrebbe forse riscuotere un qualche successo è quella della creazione di una nuova autorità comune, ove i poteri dovrebbero essere esercitati collegialmente con decisioni che, in qualche caso, potrebbero essere adottate a maggioranza. Ho l’impressione che su di una nuova autorità comune si possa raggiungere un accordo; tale autorità dovrebbe essere qualcosa di intermedio tra l’O.E.C.E. e la C.E.C.A.
Circa il metodo da seguire per raggiungere l’integrazione economica europea, sono senz’altro convinto che il metodo migliore sia quello orizzontale. Il sistema verticale mi appare, d’altra parte, inapplicabile a settori – come per esempio i trasporti – che finiscono con l’incidere su tutta la vita economica del paese.
S.E. VANONI: Se ho ben capito finiremmo con l’avere in Europa tre differenti organismi e cioè O.E.C.E., C.E.C.A. e questa nuova autorità intermedia fra i sei paesi ed altri eventuali aderenti. Tale autorità opererebbe in senso orizzontale, ma che poteri essa avrebbe? Le decisioni dovrebbero essere adottate all’unanimità o a maggioranza? Questo è il punto essenziale.
S.E. BATTISTA: il nuovo organismo dovrebbe essere aperto a tutti i paesi e concentrare verso di sé i problemi dell’O.E.C.E. e successivamente potrebbe anche far fare qualche passo indietro alla C.E.C.A. Comunque però tale organismo dovrebbe avere poteri minori di quelli che ha attualmente l’Alta Autorità.
S.E. VANONI: Mi sembra che la proposta del Benelux presenti un punto particolarmente interessante quando propone di applicare all’Europa le cosiddette zone di libero scambio, con riduzioni daziarie e particolari facilitazioni.
Le esperienze che abbiamo fatto in seno all’O.E.C.E. non sono poi così negative come qualcuno dice: i paesi aderenti hanno fatto dei passi che da soli non avrebbero mai effettuati; l’aver raggiunto un livello di liberazione che presto salirà al 90 per cento è cosa di grande importanza. Ciò è stato possibile in quanto l’O.E.C.E. aveva delle disponibilità finanziarie mediante l’E.P.U. e gli aiuti americani.
Ambasciatore CATTANI: Il punto essenziale per noi è l’integrazione orizzontale; l’esame tecnico ed economico ci dimostra che l’integrazione per settori è un cammino che conduce verso un muro insormontabile. Il problema va quindi affrontato su ampie basi e cioè in senso orizzontale come avvenuto nell’O.E.C.E., ove, attraverso la liberazione degli scambi, abbiamo fatto un notevole cammino. Se vogliamo ottenere delle forme più impegnative ancora dobbiamo ricorrere alle zone di libero scambio. Per raggiungere tale obiettivo si deve applicare il metodo intergovernativo corretto dalla supernazionalità oppure no? Si potrebbe forse trovare una formula intermedia, tipo G.A.T.T. È necessario però fare molta attenzione circa il sistema di votazione e cioè se maggioritario o unanime; non sono infatti convinto che il sistema maggioritario possa essere da noi accettato. È difficile avere al riguardo un’opinione decisa; penso quindi che per noi la cosa migliore sarebbe determinare prima che siamo disposti a seguire il metodo orizzontale e studiare poi le vie per applicarlo. Occorre rammentare che l’O.E.C.E. ha potuto raggiungere determinati successi perché era rafforzata da disponibilità finanziarie. Mi sembra pertanto assai importante che, anche nel caso del mercato comune o di zone di libero scambio, si pensi alla formazione di fondi di riconversione. Più che il lato istituzionale, ha importanza il lato finanziario; penso quindi che la nostra idea direttrice debba essere quella di seguire il metodo orizzontale accompagnandolo con uno studio approfondito del lato finanziario.
S.E. MARTINO: Bisognerà vedere se a Messina ci troveremo d’accordo su tale punto, e poi si potrà pensare a convocare una conferenza più vasta ove noi sosterremmo l’integrazione orizzontale per arrivare al mercato comune.
Ministro CAVALLETTI: L’idea del rilancio europeo à stata accolta al Lussemburgo con molto entusiasmo anche perché si vedeva con essa la possibilità di rinvigorire la C.E.C.A. La situazione della C.E.C.A. è attualmente molto critica e l’Alta Autorità ha perduto molta della sua autorità. Per quanto ci riguarda, noi troviamo in sede C.E.C.A. la nostra migliore tutela proprio nel principio supernazionale, in quanto abbiamo abitualmente contro la maggioranza ponderata: abbiamo quindi interesse che la Comunità venga rafforzata.
Si potrebbe pensare che a Messina i sei Ministri degli Esteri riconfermino la loro fedeltà al trattato; un’affermazione del genere, anche se platonica, avrà sempre un certo valore. Si potrebbe anche ricollegarci alle recenti dichiarazioni dell’Assemblea la quale richiede che le norme del trattato, le quali si rivolgono ai disoccupati, vengano applicate con maggior forza e migliorate. Se nelle dichiarazioni che faranno i sei Ministri degli Esteri si potesse inserire un incoraggiamento per l’Alta Autorità a sviluppare la sua azione nel campo sociale, o, addirittura, a migliorare le disposizioni esistenti, ciò mostrerebbe l’intenzione dei Governi di interessarsi a fondo della C.E.C.A.
S.E. MARTINELLI: Nel progetto del Benelux vi è l’idea del rilancio del mercato comune; a tale principio diamo senz’altro la nostra adesione, ma vedo che in esso vi sono anche delle proposte di integrazione verticale. Mi preoccupa che tutto ciò possa portare ad un rallentamento dell’azione dell’O.E.C.E. nella cui utilità io credo. Nell’O.E.C.E. abbiamo già raccolto notevoli frutti ed altri ne coglieremo a breve scadenza. Sono quindi d’accordo che a Messina si rilanci l’idea europeistica ma sono contrario se si dovesse trattare di dare la nostra adesione ad integrazioni verticali. Unico campo potrebbe forse essere quello dell’energia nucleare.
Tenuto anche conto del problema della convertibilità, che meglio conosceremo dopo i risultati delle elezioni inglesi e dell’allargamento delle liberazioni, io dico: aderiamo al principio generale ma non impegniamoci troppo.
Ambasciatore MAGISTRATI: Perché il Benelux ha lanciato questa proposta attraverso la C.E.C.A. e non attraverso l’U.E.O.? Evidentemente perché la Gran Bretagna non è membro della C.E.C.A. ma lo è dell’U.E.O. L’Olanda ha lanciato l’idea proprio il giorno in cui i Ministri degli Esteri si trovavano riuniti a Parigi per l’U.E.O. Se la realizzazione dell’integrazione europea venisse confidata alla C.E.C.A., cosa resterebbe all’U.E.O.? Bisognerebbe concludere che a quest’ultima non resterebbe che la funzione militare.
S. E. MARTINO: A Parigi domandai a Beyen perché il rilancio europeo non venisse effettuato in sede U.E.O. ed egli chiaramente mi rispose che ciò non avveniva perché l’U.E.O. è controllata dall’Inghilterra.
Ambasciatore MAGISTRATI: C’è il settore dell’energia nucleare che potrebbe essere affidato alla C.E.C.A., ma sicuramente l’Inghilterra si opporrà e considererebbe ciò una mossa anti-inglese.
Ambasciatore CATTANI: Effettivamente se c’è un settore verticale che possa essere studiato è quello dell’energia nucleare. Desidero però ricordare che ultimamente l’O.E.C.E. ha fatto effettuare uno studio ad Armand sull’energia nucleare che necessita di essere approfondito; può l’O.E.C.E. continuare su tale via? Oppure occorre scartare l’O.E.C.E.? È opportuno che a Messina si esamini tale problema.
Cavalletti ha giustamente ricordato che è necessario rafforzare la C.E.C.A. Noi abbiamo interesse che ciò avvenga e penso che potremmo anche estendere alcune norme previste dal trattato, anche perché la Francia chiederà, forse, alcuni emendamenti per la parte che concerne la Saar. Occorre, comunque, mettere in evidenza che non desideriamo affatto indebolire la C.E.C.A. e nessuno degli organismi già esistenti.
Supposto che vi sia il consenso delle opinioni per esplorare l’opportunità di costituire un mercato comune, occorrerà tener conto delle preoccupazioni politiche esternate da Magistrati. Io considero la Conferenza di Messina come un motore necessario a riconsiderare i problemi insieme anche ad altri paesi. Bisogna quindi studiare la procedura da seguire ed il metodo suscettibile di riunire intorno ad un tavolo i Rappresentanti dei sei paesi e degli altri paesi che lo desiderino come anche degli organismi quali l’O.E.C.E. e la C.E.C.A. Penso perciò che si dovrebbe addivenire alla costituzione di una commissione di studio aperta a chiunque lo voglia, senza però creare nulla di grandioso e suscettibile, quindi, di dare delusioni.
S.E. BENVENUTI: Sono d’accordo con Cattani che non debba essere creato nulla di spettacolare. Non credo che a Messina potremo parlare di problemi tecnici e neppure della supernazionalità. Ma come termineremo la Conferenza? Si può dire sin d’ora che è importante vedere le conclusioni che figureranno in un comunicato-stampa. Io ritengo che non possiamo dire di no all’Assemblea su quello che ha chiesto e penso che su questo punto siamo tutti d’accordo. Occorrerà quindi procedere alla stesura di un documento che preveda la leadership dei sei paesi, la possibilità di altri paesi ed organismi di unirsi, al fine di studiare l’integrazione europea, richiamandosi a quanto già è stato fatto ed ai lavori dell’Assemblea Comune.
È necessario comunque dare l’impressione che i sei paesi della Comunità non sono inerti ma continuano il loro lavoro con la collaborazione di tutti.
Ambasciatore MAGISTRATI: Il gruppo di lavoro dell’Assemblea ha fatto uno studio per l’estensione del mercato comune e tale relazione è stata seguita da un delibera dell’Assemblea. Sarebbe assai strano che i sei Ministri non tenessero conto a Messina della delibera stessa.
S.E. MARTINO: Si può comunque trovare qualche maniera per dare soddisfazione all’Assemblea.
S.E. VANONI: In complesso sono abbastanza d’accordo sulla linea di condotta che si propone. Insisto però che non deve essere dimenticato il lato finanziario e che è sempre necessario inserire, a fianco di qualsiasi progetto, lo studio del problema della «pecunia». Qualsiasi problema d’integrazione orizzontale presuppone un problema finanziario. Vogliamo inserirlo? Oppure vogliamo trattarlo separatamente? Richiamo comunque la vostra attenzione sul fatto che debba essere accennato ad un fondo in comune.
Ambasciatore CATTANI: Proprio così. A difetto di un’autorità politica non esiste che il correttivo finanziario.
S.E. VANONI: I rapporti fra l’O.E.C.E. e i paesi membri funzionano bene perché si trova sempre il modo di poter prevedere a tempo il pagamento dei debiti.
Ambasciatore ROSSI LONGHI: Le preoccupazioni di Benvenuti sono fondate ed io penso che il rilancio andrà poco lontano, anche perché il rilancio Benelux è di origine olandese, il cui Governo si trova in difficile situazione politica. Non so fino a qual punto Beyen potrà impegnarsi.
Sottosegretario BATTISTA: Vi è comunque Spaak.
S.E. VANONI: Ricordiamoci che la C.E.C.A. non va indebolita.
Ambasciatore CATTANI: Si può richiedere che, se si addiverrà alla costituzione di un gruppo di lavoro, partecipi a questo un membro dell’Alta Autorità.
Sottosegretario BATTISTA: Non si potrebbe dire che il gruppo di lavoro si costituirà in ambito C.E.C.A.?
Ambasciatore CATTANI: Non credo che ciò sia possibile. Se ciò fosse, molti paesi non aderirebbero.
S.E. MARTINO: A Messina tratteremo il problema della fedeltà al trattato e poi procederemo agli studi per il rilancio. Siamo d’accordo?
S.E. VANONI: Sarebbe opportuno procedere alla preparazione di uno schema di comunicato.
S.E. MARTINO: Prepareremo tale schema.
La seduta è tolta alle ore 19,30.
1 Il documento non è datato.
2 Vedi D. 43.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
Appunto. Roma, 26 maggio 1955.
RIUNIONE SEI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI – MESSINA
In previsione dell’imminente riunione dei sei Ministri degli Affari Esteri, che avrà luogo a Messina (1° e 2 giugno)1, si richiama l’attenzione dell’E.V. sui seguenti argomenti che potrebbero servire di base alla Delegazione italiana nel corso delle discussioni.
I. Questione della Presidenza.
a) Persona. Il ritiro delle dimissioni fatte da Monnet nei giorni scorsi con lettera ai sei Ministri sembra debba mettere in imbarazzo il Governo francese, rendendo a questo meno facile un verdetto negativo per il reincarico di Monnet. Se le opposizioni di alcuni membri del Governo francese fossero insuperabili, candidati come René Mayer e Louvel non dovrebbero trovare un avviso contrario da parte degli attuali membri dell’Alta Autorità. In particolare per Louvel si è registrata una evoluzione favorevole negli ultimi giorni, sotto l’impulso dei membri dell’Alta Autorità di origine democratica cristiana o simpatizzanti.
Difficoltà, specie per Louvel, potrebbero provenire dal Governo tedesco che si è già in altre occasioni pronunciato in favore della rotazione della Presidenza, criterio del resto sostenuto anche dal Benelux. Quindi non è improbabile che una eventuale nomina di Louvel, o comunque di un francese, a Presidente sia accompagnata da una affermazione di principio in favore della rotazione, da applicarsi alla prossima occasione.
Per quanto ci riguarda, benché sia difficile opporsi ad un eventuale reincarico di Monnet se venisse accettato dai francesi, si dovrebbe in massima cercare di favorire una persona capace di dare un effettivo e realistico impulso alla C.E.C.A., senza dispersioni di energie altrove, come ha fatto finora Monnet. Sotto questo aspetto sia Mayer sia Louvel sembrano essere per noi accettabili.
b) Procedura. La nomina del Presidente deve avvenire in tre tempi: dopo la nomina del nuovo membro, designazione del nuovo Presidente (le due cose sono naturalmente connesse); consultazione (avviso non vincolante) dell’Alta Autorità; nomina definitiva del Presidente da parte dei Governi.
Da Messina la consultazione dell’Alta Autorità avverrà per telefono o per telegrafo.
Quanto precede fa pensare che sarebbe forse utile che la questione della Presidenza venisse discussa dai Ministri degli Esteri come primo punto dell’o.d.g., in maniera da avere tempo di ricevere la risposta dal Lussemburgo prima della chiusura della Conferenza, presumibilmente entro il 2.
c) Decorrenza della Presidenza. Secondo il trattato il nuovo Presidente deve essere nominato di due anni in due anni. Il fatto che il mandato di Monnet è spirato il 10 febbraio e che il successore sarà nominato solo il 2 giugno, pone il quesito se il nuovo Presidente sarà in carica, come sarebbe regolare, effettivamente per due anni oppure circa quattro mesi di meno. Quest’ultima alternativa creerebbe uno sfasamento sulla durata del mandato degli altri membri che hanno scadenze biennali.
Su tale questione i Ministri dovranno decidere.
II. Rafforzamento della C.E.C.A.
Indipendentemente dal rilancio in altri settori, sembrerebbe necessario che la Conferenza di Messina serva a rafforzare la C.E.C.A. ed in particolare l’Alta Autorità.
L’Alta Autorità, dopo il fallimento della C.E.D., ha dato preoccupanti sintomi di debolezza. Ciò è dovuto in gran parte all’atteggiamento di alcuni Governi (in particolare quello tedesco) che, lungi dal facilitare l’azione supernazionale dell’Alta Autorità, la ostacolano con interventi ed interferenze, occulte o scoperte, scalzandone il prestigio e l’energia.
L’interesse dell’Italia, come paese più debole della Comunità, è tutelato solo dal funzionamento normale del sistema stabilito dal trattato. Se il Consiglio dei Ministri nazionali dovesse prendere il sopravvento nella Comunità, o se i membri dell’Alta Autorità dovessero agire dietro i dettami dei rispettivi Governi, noi ci troveremmo costantemente di fronte a maggioranze ponderate a nostro sfavore.
Sembrerebbe perciò consigliabile che, in occasione della nomina del nuovo Presidente, si domandasse ai sei Ministri di riconfermare solennemente, prima di ripartire per nuove iniziative europeistiche, la volontà dei loro Governi di eseguire pienamente e lealmente gli impegni del Trattato C.E.C.A.
Per dare contenuto concreto ad una dichiarazione del genere sarebbe forse possibile chiedere che i Ministri vogliano rafforzare ed espandere l’azione dell’Alta Autorità in un settore, sempre beninteso carbo-siderurgico, in cui si sono notate deficienze e lacune e cioè nel settore sociale.
A tale riguardo ci si potrebbe ricollegare alla risoluzione dell’Assemblea Comune del 13 maggio scorso che, cosciente del problema, ha chiesto fra l’altro:
- una interpretazione più lata possibile del par. 23 della Convenzione (appunto nel senso da noi domandato per i nostri disoccupati);
- una estensione dei poteri dell’Alta Autorità anche al di là della stretta lettera del trattato per venire in soccorso dei disoccupati.
Sarebbe quindi assai utile che, in una maniera o in un’altra, la risoluzione dell’Assemblea venisse esaminata dalla Conferenza dei sei Ministri, direttamente con l’iscrizione all’o.d.g. o almeno incidentalmente. L’iscrizione all’o.d.g. potrebbe essere richiesta, se non si volesse agire direttamente, anche dal Presidente Pella al Presidente Bech: incidentalmente o nella discussione generale o, se il Memorandum Benelux2 fosse esaminato in dettaglio, nella discussione del punto c) del Memorandum stesso, o infine eventualmente nelle «questioni varie».
III. Integrazione europea.
a) L’esame tecnico dell’approccio per settori chiarisce che gli argomenti tecnici sono molto diversi fra di loro ancorché interconnessi. Pertanto un metodo integrativo, tipo quello seguito dalla C.E.C.A., non appare soddisfacente né appropriato;
b) il progetto dei paesi Benelux tiene conto di quanto sopra ed anche della chiara linea che abbiamo sempre seguito e cioè che possiamo spingerci un pochino oltre, verso qualche settore, se c’è, però, un legame più generale ed impegnativo su tutta l’economia.
Questa è sempre stata la nostra impostazione e, quindi, in linea di massima, possiamo seguire le argomentazioni proposte dal Benelux e cioè approccio orizzontale o congiunto;
c) il problema appare, comunque, molto complesso e, a tale stadio, sembra difficile poter andare al di là di espressioni di consenso e di principio. Ciò è dimostrato, del resto, dai precedenti lavori fatti dalla Comunità politica la quale ha discretamente approfondito i sistemi del metodo orizzontale (mercato comune).
Tutto ciò potrà, però, essere esaminato soltanto in sede appropriata ed in un secondo tempo, insieme allo studio delle caratteristiche dei settori cosiddetti verticali, al fine di ricercare quale sia il metodo migliore da seguire per addivenire ad una più stretta cooperazione;
d) alla prossima riunione di Messina si prevede che i paesi partecipanti assumeranno, a seconda anche delle diverse politiche seguite, tali atteggiamenti:
- i paesi del Benelux sosterranno, come rilevasi dal loro progetto, le idee più avanzate;
- l’Italia seguirà subito dopo, mostrando una certa moderazione;
- la posizione della Germania è tuttora incerta: si presume, però, che finirà con l’assumere un orientamento abbastanza favorevole;
- la Francia sarà probabilmente la meno entusiasta ma si ritiene che si limiterà a sollevare difficoltà generiche e a dare consigli di moderazione.
e) Appare, comunque, necessario non far nascere eccessive aspettative come accadde, a suo tempo, per l’Unione doganale franco-italiana, l’Unione a cinque (Finebel) e la Comunità politica.
Occorre, quindi, partire con moderati obbiettivi e con una prudente enunciazione di essi al fine di poter concretare un metodo di esame più approfondito attraverso la formula maggiormente appropriata che risulterà dalle discussioni;
f) i sei Ministri dovrebbero, comunque, accettare il principio che nulla nasca come creazione ad uso esclusivo dei paesi della Comunità ma, piuttosto, come una «leadership» di pensiero e di orientamenti che si estrinsechi, poi, in fòri già esistenti o di nuova creazione.
Ciò permetterebbe di associare agli studi un maggior numero di paesi e, particolarmente, la Gran Bretagna. È infatti nostra preoccupazione di non escludere da una qualsiasi forma di integrazione, paesi quali la Svizzera, l’Austria e la Spagna.
Naturalmente occorrerebbe associare la C.E.C.A. a tale attività, ma è necessario evitare di indebolire gli altri organismi esistenti e, particolarmente, l’O.E.C.E. dalla quale abbiamo già tratto e dovremo ancora trarre consistenti vantaggi.
Si allega, per opportuna conoscenza dell’E.V., l’unito appunto con gli elementi informatori determinanti emersi da una riunione interministeriale ad alto livello che ha avuto luogo presso questo Ministero il giorno 24 corrente3.
1 Vedi D. 43.
2 Vedi D. 26, Allegato.
3 Vedi D. 33.
LA DIREZIONE NAZIONALE DEL MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEOE IL CONSIGLIO DIRETTIVO DEL GRUPPO PARLAMENTARE ITALIANODEL MOVIMENTO EUROPEO
Promemoria. Roma, 26 maggio 1955.
PROMEMORIA PER I SEI MINISTRI DEGLI ESTERI DELLA C.E.C.A.RIUNITI A MESSINA IL 1° GIUGNO 1955
I sei Ministri degli Esteri degli Stati aderenti alla C.E.C.A. hanno dimostrato, con i propositi di allargamento delle competenze della stessa Comunità e in generale di «rilancio» dei progetti di unificazione europea, di sentire il bisogno di rispondere in qualche modo al profondo disagio che l’arresto del processo di costituzione di una comunità politica ha creato nell’animo di vasti strati della popolazione europea.
Tuttavia i federalisti europei sentono la necessità di segnalare la viva inquietudine che è in loro, e che è largamente condivisa dall’opinione pubblica, circa la idoneità delle misure di cui è stata fatta parola nella stampa, e che dovrebbero essere dibattute nella riunione di Messina, a placare effettivamente tale disagio.
È certamente desiderabile che la C.E.C.A., prima realizzazione europea, non venga messa in pericolo con una diminuzione dei suoi poteri o dei suoi caratteri sopranazionali o con l’estensione a paesi che non ne condividano i principi; ma è lecito esprimere il dubbio che, nell’aggravata situazione di cui l’abbandono delle proposte dell’Assemblea ad hoc è sintomo, essa abbia una vitalità istituzionale corrispondente alle profonde comunità d’interessi che stringono i sei paesi partecipanti.
Ogni ampliamento di competenza della C.E.C.A., che non avesse poi come corrispettivo una estensione della sua autonomia sopranazionale, si risolverebbe in grave pericolo per l’autorità e il funzionamento effettivo dell’istituzione.
È desiderabile che un mercato comune europeo venga costantemente sviluppato, con ogni possibile mezzo; ma se i mezzi considerati dovessero essere semplicemente quelli degli accordi bilaterali o multilaterali, essi condannerebbero ogni progetto alla sorte della fallita unione doganale italo-francese e lascerebbero aperta la via a una rinnovata lotta di ciascuno Stato contro tutti sotto la pressione di ogni avversa circostanza economica.
Sono purtroppo presenti alla memoria di tutti le iniziative unilaterali prese da alcuni Stati, per esempio in opposizione all’O.E.C.E.; e, prima, la decisione unilaterale britannica per la svalutazione della sterlina.
In queste condizioni, i federalisti europei riaffermano la loro convinzione che solo l’istituzione di una effettiva autorità politica sopranazionale possa dare efficacia all’allargamento di competenza della C.E.C.A. e alla creazione di un permanente mercato comune.
Gli interessi toccati dalle proposte che stanno dinanzi ai sei ministri sono effettivamente tanto vasti, hanno tali ripercussioni dirette e indirette sulla vita economica e sociale e sulla potenza e prosperità dei sei paesi interessati, che solo una delega definitiva di potere politico, che ne permetta l’effettivo esercizio in comune, può consentire di controllarli e di adeguatamente promuoverli.
I sei ministri hanno implicitamente riconosciuto le ragioni profonde da cui è animata l’opinione pubblica europea. Ma se essi intendono darle qualcosa di più di una soddisfazione di mera forma, che si risolverebbe in una profonda e forse definitiva delusione, essi devono chiamarla, attraverso libere elezioni, a determinare la natura e gli indirizzi della necessaria autorità politica.
I federalisti europei sentono quindi il dovere di ricordare che i popoli hanno sopra tutto bisogno di chiarezza e di corrispondenza effettiva tra i propositi e le istituzioni che debbono realizzarli. Ogni soluzione di apparenza lascerebbe l’Europa democratica divisa nella realtà effettuale economica, politica e sociale, di fronte alle grandi forze nuove che si affermano nel mondo. Né la C.E.C.A. può essere effettivamente salvata né la economia europea costituita all’infuori di questa cornice: la creazione di una autorità politica mediante appello all’elezione popolare.
IL SEGRETARIO A LUSSEMBURGO, BOBBA,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T.7768/303. Lussemburgo, 27 maggio 1955, ore 10 (perv. ore 11).
Oggetto: Conferenza Messina.
Mio n. 2981.
Con collaborazione Giretti ho potuto ottenere copia istruzioni del Gabinetto federale a Delegazione tedesca Conferenza Messina. Mentre trasmetto documento posta ordinaria, sembrami utile riassumerne principali punti per opera documentazione fase preparatoria codesto Ministero Esteri, documento rappresentando nuovo indirizzo organico atteggiamento tedesco circa integrazione europea a sei:
1) Si ritiene momento venuto per ulteriori passi integrazione europea con obiettivo libero mercato comune;
2) per trasporti, studi organizzazione rete europea canali, autostrade, linee ferroviarie elettriche, standardizzazione equipaggiamenti, migliore coordinamento traffici aerei, da affidarsi Consiglio dei Ministri C.E.C.A.;
3) studi e consultazioni per politica comune energia su casi risoluzione Consiglio dei Ministri C.E.C.A. del 13 ottobre 1953;
4) studi ed applicazione pacifica energia atomica esigono integrazione per cui si ritengono applicabili principi del Memorandum Benelux;
5) integrazione economica generale dovrebbe svilupparsi da basi già raggiunte O.E.C.E. e G.A.T.T. – non in contrasto con tali organizzazioni – con seguenti misure:
a) ulteriore progressiva liberalizzazione scambi di merci capitali servizi;
b) progressiva abolizione dazi;
c) fissazione regole leale concorrenza e non discriminazione;
d) misure transitorie e di adattamento;
e) fondi per investimenti produttivi in zone ove occorre eliminare contrasti sociali pericolosi;
6) istituzione di un organo consultivo permanente sotto responsabilità Consiglio dei Ministri C.E.C.A. con compiti di:
I) fissare regole per realizzazione obiettivi suddetti;
II) coordinare paesi membri in applicazione dette regole emettendo allo scopo raccomandazioni;
III) proposte istituzionali in corrispondenza ad avvenuti progressi integrazione;
7) istituzione Università europee e scambio giovani lavoratori per formazione professionale a scopo fare penetrare nella gioventù pensiero europeo;
8) si annette particolare importanza a servirsi per i nuovi compiti della già esistente organizzazione C.E.C.A.: organo consultivo funzionerebbe nel quadro Consiglio Ministri, compiti esecutivi sarebbero affidati, ove necessario, ad Alta Autorità;
9) dovrebbe essere indetta una conferenza fra i Governi, con intervento Alta Autorità, per preparazione trattato.
1 T. 7652/298 del 25 maggio, con il quale Bobba aveva comunicato le prime informazioni sulle proposte che la Delegazione tedesca avrebbe presentato alla Conferenza di Messina.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 8102/1831. Parigi, 1° giugno 1955, ore 17 (perv. stessa ora).
Oggetto: Cooperazione internazionale nel campo dell’energia.
Mio 1712.
Ieri ha avuto luogo la riunione del Comitato Esecutivo che ha esaminato i due progetti di risoluzione relativi alla cooperazione internazionale nel campo dell’energia (di cui ai miei telespressi 2116/977 del 9 maggio e 2424/1190 del 27 maggio)3 e eventuale iscrizione di tale questione all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri.
Sul progetto concernente l’istituzione del gruppo ristretto per lo studio preliminare del problema dell’energia nucleare la discussione è stata breve, tutti i Delegati essendo d’accordo per la sua istituzione. Il progetto è stato solo emendato per desiderio del Delegato britannico che ha voluto marcare carattere preliminare dello studio affidato a quel gruppo ed eliminare ogni allusione all’impegno preventivo degli Stati ad una azione comune.
Sulla risoluzione relativa alla istituzione della commissione dei problemi generali energia si sono rilevati notevoli dissensi, tanto circa la composizione della commissione ed i suoi compiti specifici, quanto circa l’opportunità di procedere fin da ora alla sua costituzione, opportunità che è stata contestata dal Delegato britannico. Egli ha sostenuto la tesi che convenisse procedere a tale costituzione solo dopo che la Commissione dell’energia nucleare ha compiuto i suoi lavori. Questa tesi palesemente dilatoria non ha trovato tuttavia consensi.
Il Delegato britannico ha sollevato anche obiezioni circa la proposta di iscrivere la questione energia all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri, proposta che come ho riferito è stata avanzata dai Delegati del Belgio e della Grecia. È stato palese che Governo britannico non è favorevole agli impegni di cooperazione di carattere più marcatamente politico quali risulterebbero da una deliberazione del Consiglio dei Ministri. Qualche esitazione è stata mostrata anche dal Delegato francese.
Dopo ampia discussione maggioranza si è orientata nel senso che questione venga portata al Consiglio dei Ministri, in termini generici, nel senso che Consiglio dovrebbe deliberare istituzione commissione incaricando Consiglio Sostituti di precisare composizione e termini del mandato.
Delegato britannico non si è mostrato del tutto avverso ad una tale soluzione. Nessuno dei Delegati presenti avendo precise istruzioni, si è deciso rimettere la questione al Consiglio che si riunirà venerdì mattina4. Prego telegrafarmi5 in tempo se non vi sono da parte nostra obiezioni per aderire iscrizione all’ordine del giorno nel caso che maggioranza Delegati sia favorevole.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con il numero di protocollo di sede 408.
2 Vedi D. 32.
3 Non pubblicati.
4 Il 3 giugno, vedi D. 41.
5 Vedi D. 40.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI,ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., A PARIGI
T. 5654/1921. Roma, 2 giugno 1955, ore 15,30.
Seguito suo 1832.
Sembrerebbe preferibile astenersi dal prendere posizione in attesa conoscere decisioni Conferenza Messina3.
Tuttavia se dovesse delinearsi unanimità favorevole da parte altri Delegati ad iscrizione nell’ordine del giorno del problema energia in linea generale V.E. potrà aderire facendo tuttavia presente che a nostro avviso problema stesso presenta diversi aspetti complessi sia per loro diversa distribuzione geografica sia per diversità delle fonti sia in ultimo per particolare competenza C.E.C.A. per cui riteniamo sarebbe stato più opportuno prima di trattare questione livello Consiglio Ministri procedere a studi maggiormente approfonditi. Nostra posizione sarebbe diversa qualora si volesse mettere all’ordine del giorno soltanto problema energia nucleare per cui siamo invece favorevoli fin da ora messa in comune mezzi finanziari, studi, esperienza.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con il numero di protocollo 246.
2 Vedi D. 39.
3 Vedi D. 43.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 8283/189. Parigi, 3 giugno 1955, ore 20,24 (perv. ore 21,30).
Oggetto: Cooperazione internazionale nel campo dell’energia.
Seguito mio 183 e telegramma ministeriale 1921.
Il Consiglio ha stamane discusso la procedura da seguire nelle questioni relative all’energia. Per quanto riguarda l’energia nucleare è stato deciso portare la questione al Consiglio dei Ministri proponendo che esso crei il previsto gruppo di studio. Quanto alla commissione per i problemi della cooperazione nel campo generale dell’energia, i Delegati belga e svizzero hanno fortemente insistito perché la questione fosse presentata al Consiglio dei Ministri, ma nessuna decisione è stata presa e l’esame di questo problema è stato rinviato a lunedì 6 corrente2.
1 Vedi DD. 39 e 40.
2 Con T. 8519/194 del 6 giugno Vitetti comunicò l’approvazione della proposta belga da parte del Consiglio O.E.C.E.
L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. 7119/1165. Bonn, 3 giugno 1955.
Oggetto: Atteggiamento tedesco nei confronti della C.E.C.A.
Il memorandum consegnato dal Sottosegretario Hallstein ai Ministri degli Esteri degli altri cinque paesi della C.E.C.A., a Messina1, ancorché reso noto al pubblico, nei suoi tratti essenziali, soltanto da poche ore, viene considerato generalmente come un’abdicazione formale all’europeismo di tipo «sovranazionale», in favore di quello federalistico o cooperativistico. L’atto non rinnega l’ideale della comunità europea, ma esprime una rinunzia a perseguirlo con il metodo degli organi supernazionali, sperimentato al Lussemburgo.
Il punto di vista, espresso nel memorandum, non è sensazionale e non è nuovo, esso esisteva anzi «in nuce» fin dai primordi del movimento per l’integrazione europea. Ho già più volte accennato alle critiche che la politica della C.E.C.A. ha incontrato e incontra in Germania, critiche tanto più serrate e radicali, quanto più sono venute a cadere le ragioni di natura politica, che avevano suggerito inizialmente al Governo di Bonn di schierarsi tra i fondatori ed i fautori della Comunità carbo-siderurgica.
Del resto, sotto certi aspetti, l’atteggiamento tedesco coincide singolarmente con talune tendenze manifestatesi in altri paesi: quelle – ad esempio – che hanno portato in Francia al declino di Monnet e alla sua sostituzione con René Mayer (europeista, sì, ma meno aperto a principi supernazionali); e nel Benelux alla revisione affrettata, in senso piuttosto federalistico, del noto poliedrico progetto.
Sono viceversa meno espliciti gli orientamenti tedeschi in merito al futuro programma di azione. La nota di Hallstein parla di una integrazione orizzontale, che si dovrebbe sostituire a quella verticale della C.E.C.A., ma i termini sono contraddittori e perfino equivoci.
La Comunità del carbone e dell’acciaio è virtualmente in crisi dal momento della caduta della C.E.D., essendo risultato evidente che essa non è capace di sostenersi in forma isolata e senza i necessari presupposti politici. Negli ultimi tempi la Comunità si è andata trasformando progressivamente in un organo collegiale: i membri tedeschi o hanno modificato il loro linguaggio, ovvero (quelli più compromessi in senso supernazionale, come Etzel) hanno fatto circolare voci di imminenti dimissioni. A Bonn si esclude che la Conferenza di Messina abbia potuto modificare o arrestare questa tendenza.
D’altra parte non meno incerto è l’avvenire degli istituti cosiddetti orizzontali (O.E.C.E. e simili), sui quali la Germania afferma di voler far convergere il peso del rilancio europeistico. La campagna per la convertibilità monetaria (cioè della stretta associazione dell’economia dell’Europa Occidentale con l’area del dollaro), nella forma e nei tempi di attuazione in cui è concepita attualmente, è già in fondo una rottura del fronte europeo. Essa avrebbe dovuto realizzarsi, in termini di ortodossia, alla chiusura del processo per l’integrazione europea, e non parallelamente ad esso.
Una corrente di opinione pubblica, molto vicina agli ambienti industriali, comincia ad affermare sottovoce che il fallimento dell’esperimento sopranazionale ha riportato l’Europa alle vecchie economie nazionali «tout court». È una corrente per ora isolata, probabilmente influenzata dagli attuali eccellenti rapporti tra Stati Uniti e Germania, che alimentano l’illusione di un’economia tedesca indipendente da quella del resto dell’Europa. Mi sembra però che sia opportuno tenerne conto.
1 Vedi Appendice documentaria, D.1, Annexe V.
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
Appunto riservato 852 segr. pol. Roma, 7 giugno 1955.
In attesa che l’Ambasciatore Cattani presenti la sua relazione ufficiale sulla Conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri dei paesi della C.E.C.A., tenutasi a Messina negli scorsi giorni1, si sottopongono a V.E. alcuni brevi commenti e talune impressioni colà riportate.
L’origine della Conferenza è molto lontana, dato che da non pochi mesi si parlava della necessità di una decisione collettiva in merito alle dimissioni presentate, e da ultimo ritirate, da Jean Monnet. La Conferenza ha assunto una particolare fisionomia a seguito della presentazione del «Memorandum» del Benelux2, in quanto con essa e per essa si è pensato di compiere, dopo una non breve parentesi, un nuovo «rilancio» in tema di politica europeista.
A questo fine – e per quanto in non piccoli strati delle opinioni pubbliche e negli ambienti giornalistici esista e sussista un indubbio scetticismo in materia – essa può dirsi discretamente riuscita. E ciò perché, bene o male, si è riparlato molto in questi giorni, in Europa, della necessità che i lunghi sforzi, in questi ultimi anni compiuti in tema di collaborazione europea tra i paesi continentali, non vadano del tutto perduti e servano, se non altro, per richiamare nuovamente l’attenzione su quei settori che appaiono maggiormente prestarsi a una più profonda integrazione. Scopo principale, anche se non confessato, dell’iniziativa del Benelux era, inoltre, quello di tenere legata in qualche modo all’Occidente europeo quella Germania che, nel suo sviluppo politico ed economico e domani anche militare, rischierebbe, qualora i legami venissero ad allentarsi, di assumere una posizione eccessivamente autonoma ed indipendente, che appare utile evitare.
L’avviamento di questa collaborazione «a Sei» è ora – e il comunicato ufficiale conclusivo della Conferenza3 ne fa chiara menzione – di carattere specificamente economico. I sei Governi, infatti, hanno ufficialmente espresso l’opinione che la nuova tappa sul cammino della costruzione europea debba essere realizzata innanzitutto nel settore economico. Da ciò una non piccola elencazione di possibilità, tra le quali (e questa è una interessante novità, anche se ammantata e circondata da non piccole riserve) quella relativa ai futuri impieghi dell’energia nucleare.
La C.E.C.A., che in questi ultimi mesi si é trovata in posizione di disagio, per non dire di crisi, a causa della situazione Monnet, può trovare, con la nomina del Presidente René Mayer, una certa maggiore consistenza e una nuova stabilità. Naturalmente sul famoso concetto della sopranazionalità esiste sempre (vedasi l’atteggiamento della Francia, il cui Governo, fino a che non si saranno avute nuove elezioni politiche, non è evidentemente in condizione di prendere coraggiose iniziative in tanto delicato argomento) una grande perplessità: ma, comunque, essa non è sparita del tutto dallo sfondo della collaborazione. La pronta accettazione delle dimissioni di Monnet (lo stesso Presidente Bech non ha mancato di sottolineare come cinque minuti di Messina siano stati, allo scopo, più decisivi che non sei mesi di discussioni al Lussemburgo!) ha costituito una affermazione del Governo di Parigi e un tale fatto dovrebbe costituire la premessa per una qualche migliore «buona volontà» da parte sua per l’avvenire in merito a questa non poco travagliata collaborazione europea.
Naturalmente resta sempre il problema di come debba svilupparsi la collaborazione britannica a questi sforzi continentali e, a Messina, tutti più o meno sono stati dell’idea che il Governo del Regno Unito debba essere associato ai lavori dei Sei e fin dal primo momento di questa rinnovata collaborazione. Situazione che non sempre è gradita a quei circoli più nettamente e rigidamente «europeisti» ai quali, tutto sommato, la collaborazione a sei in Europa sembrava una formula maggiormente efficace ai fini dello sforzo federalista.
I sei Ministri hanno formulato un «programma» e una «procedura» per i prossimi tempi ed hanno stabilito la costituzione di un gruppo di lavoro di Delegati governativi e di esperti, la cui azione sarà coordinata da un uomo politico (quasi certamente van Zeeland, se egli accetterà): poi si avrà qualche altra conferenza destinata, secondo il solito, a prendere nota dei risultati raggiunti e delle proposte avanzate in seno a quel gruppo di lavoro.
Tutto sommato, qualche passo in avanti è stato compiuto e, se non altro, si è dimostrato come l’Europa Occidentale continui nell’azione di collegamento e di coordinazione. Naturalmente non si può negare che questo accavallarsi di enti internazionali, dalla N.A.T.O. all’O.E.C.E., dall’U.E.O. alla C.E.C.A. produca nell’uomo della strada una certa confusione di idee e provochi non piccoli interrogativi. Se una parola, in merito, può dirsi è che, a quanto è dato vedere, i paesi europei si avviano a considerare la N.A.T.O. la vera e propria pedana per i collegamenti politici e militari, mentre l’O.E.C.E. e la C.E.C.A. dovrebbero vedere ad esse riservato il settore economico. Quanto all’U.E.O., di cui ancora non si vedono, né i contorni né il contenuto, dovrebbe dirsi che essa sia particolarmente destinata ad agire quale strumento di controllo in tema di armamenti, a mezzo delle sue Agenzie.
1 Per il verbale della Conferenza vedi Appendice documentaria, D. 1. La relazione di Cattani non è stata rinvenuta ma vedi D. 70.
2 Vedi D. 26, Allegato.
3 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.
NOTA UFFICIOSA1
[Roma 7 giugno 1955]2.
Alla domanda di un commento dei risultati della Conferenza di Messina il portavoce di Palazzo Chigi ci ha risposto:
È da attribuire senz’altro un valore positivo alla recente riunione internazionale tenutasi a Messina dal 1° al 2 giugno. I termini dell’accordo sono stati precisati nella Risoluzione finale di cui è stata data notizia per mezzo della stampa. Per la prima volta i sei paesi della C.E.C.A. si sono trovati d’accordo per la creazione di un mercato comune.
Dopo la caduta della C.E.D. l’anno scorso e la successiva creazione dell’Unione Europea Occidentale, era diventato urgente il bisogno di una ripresa del processo d’integrazione europea anche nel settore economico. Un’integrazione la cui incidenza anche nel settore politico è peraltro evidente. A tale scopo era necessario stabilire gli obiettivi da raggiungere ed i metodi appropriati per conseguirli.
La Conferenza di Messina, che tra l’altro col riunire i Ministri degli Affari Esteri dei sei paesi nell’estremo lembo meridionale dei territori coperti dalla C.E.C.A. ha dato una dimostrazione quasi fisica della solidarietà di intenti che unisce i sei paesi, ha stabilito tali obiettivi e metodi. Ha anche stabilito delle scadenze. Ha cioè soddisfatto quelle esigenze che allo stato attuale delle cose apparivano suscettibili di essere soddisfatte. Da qualche parte sono stati sollevati dei dubbi circa la maggiore o minore disposizione collaborativa di qualche paese. In realtà il compito dei sei Ministri degli Affari Esteri stava appunto nel determinare il settore; in estensione come in profondità, sul quale sarebbe stato possibile ottenere il consenso di tutti. Si trattava e si tratta di procedere avanti di conserva, ed è quindi naturale che si debba tenere conto di chi, caso per caso, abbia difficoltà da superare o chiarificazioni da operare. È dunque un ordine di marcia che è stato stabilito a Messina.
La Risoluzione finale non si è limitata per altro ad un generico accenno di obiettivi nonché della procedura atta a portarli a compimento. Essa ha colto, individuandoli, i punti principali dai quali il problema dovrà essere attaccato.
È così che, da un punto di vista generale, merita di essere messo in rilievo il paragrafo relativo allo sviluppo della energia atomica a fini pacifici che – secondo le parole della Risoluzione – apre, a breve scadenza, la prospettiva di una nuova rivoluzione industriale fuori di ogni confronto con quella degli ultimi cento anni.
Stabilito il principio che conviene studiare la creazione di una organizzazione comune, i sei Stati hanno riconosciuto di trovarsi in presenza di questo fattore nuovo e travolgente che li avvicina maggiormente, sia come obiettivo da raggiungere, sia come necessità che li preme.
Dal punto di vista più particolarmente italiano si possono rilevare la concretezza delle questioni fondamentali sull’ordine del giorno dei lavori futuri. Talune di esse sono particolarmente impegnative come ad esempio, l’adozione di metodi suscettibili di assicurare il coordinamento delle politiche monetarie dei paesi membri per la creazione e il mantenimento di un mercato comune.
È anche da rilevare l’idea nuova rappresentata dalla creazione di un fondo europeo di investimenti avente per scopo l’adattamento alle scosse del mercato comune nonché investimenti nuovi in relazione allo sviluppo delle regioni economicamente meno sviluppate.
Circa infine la partecipazione di altri paesi ai lavori preparatori della o delle conferenze tenute, la risoluzione prevede specificamente quella del Regno Unito. Tutte le indicazioni che si sono avute circa presunte estensioni ad altri paesi, sono semplici congetture.
Conferenza, dunque, con risultati positivi e promettenti. Lo sviluppo che le decisioni adottate avranno nei prossimi mesi consentirà di misurarne la portata effettiva.
1 Diramata da Palazzo Chigi alla stampa a commento dei risultati raggiunti dalla Conferenza di Messina.
2 Datato in base al telespresso di trasmissione del Servizio Stampa (n. 8/3069 del 7 giugno) a tutte le Rappresentanze diplomatiche, e per conoscenza alle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari Economici, con il quale veniva anche trasmesso il testo del comunicato ufficiale conclusivo della Conferenza di Messina (vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X).
L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI
L. 2997. Roma, 11 giugno 1955.
Caro Magistrati,
ti ringrazio per la tua lettera n. 827 del 4 giugno1 circa i lavori di Messina. Avevo già l’impressione che «nei limiti del possibile» tutto fosse andato bene. Concordo nelle tue valutazioni. La gestazione dell’Europa è assai più difficile del suo «ratto» o per lo meno non potrà essere rappresentata in un unico e semplice quadro come ha fatto il Veronese. La sua nascita sarà il frutto di un lento sviluppo di tutti questi organismi molti dei quali, una volta creati, non riusciranno più a scomparire e finiranno un giorno per coordinarsi. Conviene quindi proseguire nell’idea o nell’azione con l’empirismo che è proprio dell’era anglosassone in cui stiamo vivendo, se non vogliamo cadere in quella slava! Molto bene il concetto di associare il più possibile la Gran Bretagna senza spaventarla da un lato e senza chiederle sin da ora quello che, sappiamo, non può dare.
Quanto all’U.E.O. spero si possa essere più ottimisti e prevedere qualche sviluppo anche su piani diversi da quello del semplice controllo degli armamenti.
Credimi, con molti cordiali saluti.
Zoppi
1 Non pubblicato. La lettera era di contenuto identico all’appunto di Magistrati per il Ministro, vedi D. 43.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI,ALL’AMBASCIATA A BRUXELLES E ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO
T. 6101/77 (Bruxelles) 149 (Lussemburgo). Roma, 13 giugno 1955, ore 23,30.
Per Bruxelles: Telegramma di V.E. n. 1081. Ho telegrafato a Lussemburgo quanto segue:
Per Lussemburgo: Telegramma di V.S. n. 3152.
Per tutti: Ambasciata Bruxelles ha telegrafato che Spaak sarebbe lieto assumere presidenza Comitato Delegati governativi deciso recente riunione Messina3 e che questi contava sul nostro consenso.
Pregola pertanto far conoscere a Bech che S.E. il Ministro è favorevole eventuale candidatura Spaak.
Lascio a V.S. giudicare se non convenga suggerire a Bech che Spaak venga interpellato al riguardo sembrandoci opportuno che sia dato inizio senza indugio a procedura concordata Messina.
1 T. 9042/108 dell’11 giugno, diretto al Ministro degli Affari Esteri, con il quale Scammacca del Murgo aveva informato circa il desiderio espressogli da Spaak di ricevere l’appoggio italiano alla sua candidatura a Presidente del neoistituito Comitato Intergovernativo.
2 Con T. 8897/315 del 10 giugno Cavalletti aveva comunicato quanto dettogli da Bech sull’invito rivolto alla Gran Bretagna a partecipare al Comitato e sull’opportunità della nomina di Spaak alla Presidenza e di personalità politiche a Capi delle Delegazioni nazionali. Il 14 giugno (Telespr. 003453/549) aggiunse di aver riscontrato negli ambienti dell’Alta Autorità viva soddisfazione per la nomina di Mayer e qualche perplessità per il rilancio europeo che « … non è sembrato né sufficientemente vigoroso, né tale da dare effettivamente nuovo impulso alla C.E.C.A. Si tratta ancora di prime impressioni e ci si riserva di emettere ulteriormente un giudizio, quando si conoscerà con qualche esattezza la formazione del Comitato di studio, ma queste prime impressioni sono piuttosto pessimistiche … ».
3 Vedi D. 43.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI,ALLE AMBASCIATE A L’AJA, BRUXELLES, PARIGI E BONNE ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO
T. 6210/c. Roma, 16 giugno 1955, ore 24.
Oggetto: Rilancio europeo.
Ministro Beyen, Presidente turno Consiglio Ministri sei paesi C.E.C.A., ha pregato Ministri Esteri Comunità di procedere con ogni urgenza nomina Capo Delegazione per Commissione studio prevista Conferenza Messina.
Sembra converrebbe a nostro avviso ricercare un certo parallelismo composizione Delegazioni ed è per questo motivo che non procediamo senz’altro a notifica nomina per parte nostra.
Tenuto conto del mandato di questa Commissione a noi sembra sarebbe preferibile che Capi Delegazioni fossero alti funzionari. Se a questa formula non si potesse giungere d’accordo fra paesi membri, nostre preferenze sarebbero nel caso personalità indipendente universitaria (Prof. Alberto Giovannini) ovvero personalità politica (On. Benvenuti).
Pregasi far conoscere d’urgenza orientamenti al riguardo codesto Governo1.
1 Le Rappresentanze a L’Aja e Bruxelles risposero il 17 giugno rispettivamente con i TT. 9425/41 e 9472/111, non pubblicati; l’Ambasciata a Bonn rispose con il T. 9645/134 del 20 giugno, non pubblicato. Non è stata rinvenuta una risposta telegrafica da Parigi che, a seguito del T. 6623/C. (vedi D. 49, nota 2), comunicò che il Governo francese non aveva ancora preso una decisione in proposito (T. 9956/467 del 24 giugno); per le successive informazioni vedi D. 50. Per la risposta da Lussemburgo vedi D. 49, nota 1.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato 1929/602. Parigi, 17 giugno 1955.
Oggetto: Politica atomica francese.
Il Governo francese ha recentemente approvato un piano per l’utilizzazione dell’energia atomica, elaborato dall’Alto Commissariato per l’energia e presentato dal Ministro Gaston Palewski da cui il Commissariato dipende. Il piano stanzia per un triennio 100 miliardi di franchi.
La politica atomica francese non è stata inaugurata dal Governo Faure. Sin dall’immediato dopoguerra i francesi hanno imboccato per loro conto e con proprie risorse la via che gli americani e gli inglesi avevano già percorsa e, procedendo gradualmente e senza grande impiego di mezzi, sono riusciti a concludere la fase preliminare delle ricerche e delle applicazioni che costituiscono i presupposti necessari per la realizzazione di un programma atomico di largo respiro.
Le tappe più salienti di questa fase preparatoria sono: a) la creazione nel 1945 dell’Alto Commissariato per l’energia atomica (alle dipendenze del Consiglio dei Ministri), che si è dimostrato un eccellente organo di propulsione e di coordinamento delle ricerche scientifiche e delle iniziative pratiche; b) le ricerche geologiche che hanno portato alla scoperta di importanti giacimenti di uranio attorno al Massif Central ed il conseguente sfruttamento dei quattro giacimenti di Saint Priest vicino a Vichy, di Grury nel pressi di Autun, di Vendée vicino a Nantes e di La Crouzille vicino a Limoges; c) la costruzione di due piccole pile atomiche sperimentali: una a Chatillon di una potenza di 150 kW e l’altra a Saclay di 2 mila kW, che hanno reso grandi servizi alle ricerche; d) la costruzione a Le Bouchet di un impianto per l’estrazione del minerale dal materiale grezzo.
Come risultato di questi sforzi la Francia aveva già da qualche anno conseguito una produzione annua di uranio, che senza poter essere lontanamente paragonata alla produzione dell’Australia, del Congo Belga e del Canadà, era sufficiente per alimentare delle grandi centrali atomiche. La Francia era quindi preparata per affrontare la seconda fase della politica atomica: la fase della produzione del plutonio e della fabbricazione delle pile «Breeder» capaci di riprodurre la stessa quantità di combustibile nucleare che consumano, nonché della costruzione di grandi centrali per un’applicazione industriale su larga scala dell’energia atomica.
Il Governo Pinay nel 1952 fece votare dal Parlamento un piano quinquennale per il miglioramento delle attrezzature atomiche e lo sviluppo delle ricerche per l’applicazione industriale dell’energia. I risultati del piano non sono stati notevoli per gli esigui stanziamenti dei fondi assegnati all’Alto Commissariato (6 miliardi nel 1952, 9 nel 1953 e 10 nel 1954) e che di fronte ai formidabili mezzi destinati dagli Stati Uniti e, in misura minore, dalla Gran Bretagna agli stessi scopi, hanno lasciato la Francia in condizioni di evidente inferiorità. L’isolamento, del resto, in cui scienziati e tecnici francesi hanno dovuto svolgere le loro ricerche, non essendo accessibili i risultati conseguiti in questo campo dai paesi anglo-sassoni (l’accordo tra i paesi della N.A.T.O. per lo scambio d’informazioni è recentissimo), ha ritardato il pieno inserimento della Francia nella corsa per l’utilizzazione pacifica dell’energia che si è iniziata da circa un anno e mezzo.
Faure e Palewski hanno trovato una buona formula di propaganda nel lancio del nuovo programma atomico. Essi vogliono attribuirsi il merito di fronte ai francesi di avere capito che si è ad una svolta decisiva dell’era atomica e che è necessario da parte della Francia uno sforzo adeguato per partecipare attivamente alla nuova rivoluzione industriale che si va preparando.
Il piano annunciato dal Governo avrà, come si è detto, una durata triennale ed i 100 miliardi stanziati per lo sforzo atomico saranno così ripartiti:
- 15% per la produzione delle materie prime (minerali di uranio);
- 20% per gli studi e le realizzazioni sperimentali, come la produzione di una terza pila a Saclay azionata dal flusso di neutroni intensi e di reattori secondari;
- 15% per la produzione di materie di base per le pile ed i reattori: uranio, utorio ed acqua pesante. Si preannuncia al riguardo la creazione di un’importante industria francese dell’acqua pesante, di cui finora la Francia era deficitaria;
- 30% per la costruzione a Marcoule, nella Valle del Rodano, di due grandi centrali atomiche per la produzione del plutonio e dell’elettricità. La prima pila di Marcoule, che sarà pronta per il gennaio dell’anno prossimo, sarà principalmente destinata alla fabbricazione del plutonio, ma è stato deciso che essa produca anche in parte l’elettricità necessaria per il suo funzionamento: offrirà, quindi, il primo esempio francese di elettricità fornita attraverso la reazione atomica. La seconda pila di Marcoule, che dovrebbe essere inaugurata nel 1957, sarà di 100-150 mila kW di cui 30 mila circa saranno trasformati in elettricità e potranno essere in gran parte utilizzati per uso industriale.
Il 20% del piano sarà destinato alla realizzazione di prototipi di motori atomici per le costruzioni navali. Si prevede già la costruzione di un piroscafo che sarà capace di funzionare mediante un apparato-motore a energia nucleare e che dovrebbe rimpiazzare «L’Ile de France» e la «Liberté» quando, tra il 1959 ed il 1962, le due navi saranno ritirate dal servizio transatlantico.
Un interessante aspetto del piano è che esso prevede di fare delle grandi centrali atomiche degli arsenali militari di riserva. Benché gli scopi dichiarati del piano siano puramente economici, è prevista la possibilità di un adattamento degli impianti alla costruzione su larga scala di armi nucleari.
Naturalmente, spetta ai tecnici esaminare quali siano le prospettive del piano dal punto di vista delle realizzazioni concrete; e solo l’avvenire potrà dire se la Francia ha veramente imboccato la via che la porterà a divenire una grande potenza atomica. Sta di fatto, però, che la Francia precede già di molto la Germania e gli altri alleati continentali nel campo nucleare; ed il piano non è stato soltanto motivato da fini propagandisti o pubblicitari, ma vorrebbe rispondere ad aspirazioni ed esigenze che, da tempo, inquietano questo paese e che una seria politica atomica potrebbe, almeno parzialmente, soddisfare.
Un’analisi del nuovo programma atomico rivela indubbiamente l’influenza di queste aspirazioni e di queste esigenze.
Faure, nell’illustrare gli scopi fondamentali del programma, ha precisato anzitutto che esso mira «a correggere gli effetti del ruolo subalterno» in cui la Francia è stata confinata dopo le conquiste realizzate in campo nucleare dagli Stati Uniti e dall’U.R.S.S.
È evidente che la Francia vuole realizzare dei progressi atomici per valorizzare la sua posizione in seno all’Alleanza atlantica, specie nei riguardi della Germania.
I francesi non possono fare a meno di attribuire il sempre maggior accordo, nei fini e nei metodi, che negli ultimi anni si è sviluppato tra la linea politica americana e quella tedesca, alla più salda organizzazione industriale ed alla maggiore capacità militare che, rispetto a loro, garantiscono i tedeschi. Ritengono, però, che l’impiego dell’energia nucleare rovescerà i rapporti di forza e quando la Francia avrà conseguito, rispetto agli altri alleati del continente, la superiorità nel possesso del potenziale atomico, essa diventerà «l’alleato efficiente» su cui principalmente gli americani saranno costretti a contare. I rapporti fra Francia e Stati Uniti dovrebbero quindi passare, secondo la formula che i promotori del programma atomico non si stancano di ripetere, «da una fase di subordinazione ad una fase di collaborazione».
Riflessi particolari dovrebbe avere la politica atomica francese nei riguardi dei paesi dell’Unione francese. Poiché si prospetta già la «collaborazione» tra i paesi ricchi di energia nucleare ed i paesi africani ed asiatici (collaborazione che, tutto sommato, si tradurrà in una nuova forma di penetrazione economica occidentale), la Francia vuole evitare che le potenze anglo-sassoni diventino le fornitrici atomiche dei paesi dell’Unione francese e mirerebbe, per contro, a diventare la grande centrale nucleare di tutta l’Unione, per rinsaldare il suo prestigio e la sua influenza politica. Faure in proposito ha esplicitamente accennato al progetto di allacciare al programma atomico francese i paesi dell’Unione.
Sotto il punto di vista economico, il nuovo programma atomico risponde ad una esigenza specifica che è quella di supplire alle deficienze che la Francia presenta nei combustibili dell’energia naturale.
Ma è il problema fondamentale dell’economia francese che, con il lancio di una grande politica atomica, si vorrebbe affrontare. La struttura economica della Francia soffre di sclerosi cronica e dimostra di non potersi inserire nel circolo di un mercato comune europeo, o, addirittura, mondiale. Date le difficoltà che si sono presentate e si presentano per l’attuazione di programmi rinnovatori di politica economica, elaborati secondo gli schemi tradizionali, l’unica speranza che finisce per prospettarsi ai francesi è la partecipazione tempestiva alla nuova rivoluzione industriale, che potrebbe annullare di colpo le deficienze strutturali dell’economia francese rispetto ai livelli della concorrenza internazionale. Fra i promotori del programma atomico è diffusa la convinzione che la prosperità e l’efficienza economica di un paese dipenderanno principalmente, in un prossimo futuro, dai risultati raggiunti nell’applicazione dell’energia nucleare, ed è in questo settore che bisogna concentrare ogni sforzo se si vuole avviare il risveglio economico della Francia.
Fino a che punto la politica atomica francese è conciliabile con i recenti progetti di «relance» dell’Europa nel settore atomico?
I francesi non possono non ammettere che solo attraverso l’associazione del potenziale tecnico e industriale dei sei paesi della Conferenza di Messina1, è possibile realizzare delle condizioni di produzione dell’energia atomica non eccessivamente inferiori a quelle delle grandi potenze atomiche mondiali. D’altra parte la Francia ha già dei notevoli vantaggi iniziali che, con la realizzazione del piano triennale, dovrebbero tradursi in una netta supremazia, nel campo della produzione e dell’utilizzazione dell’energia, sugli altri cinque paesi. (I tecnici francesi hanno calcolato, per esempio, che la produzione annuale francese di plutonio potrà, alla fine del triennio, raggiungere 150 K° contro 3 K°½ che potrà conseguire la Germania). I francesi naturalmente vogliono garantirsi sin d’ora questa supremazia, specie nel riguardi di un probabile sforzo atomico tedesco. Sono perciò favorevoli, perché ne hanno bisogno, alla cooperazione a sei, ma vogliono che essa si realizzi attraverso un sistema che offre soprattutto alla Francia la possibilità effettiva di controllare i progressi atomici della Germania ed un eventuale riarmo nucleare tedesco.
È da domandarsi quale sarebbe la posizione della Francia se le si prospettasse la possibilità di risolvere il problema del controllo atomico della Germania, mediante sistemi di integrazione a più largo raggio di quello a sei, e che prevedessero la partecipazione dell’Inghilterra (es. O.E.C.E.) e anche dell’America.
Ora, uno degli scopi del programma atomico francese è quello di preparare l’indipendenza atomica della Francia dalle due potenze anglo-sassoni: verso di queste la Francia dà già l’impressione di aver assunto un prematuro ed anche irrealistico, atteggiamento di concorrenza.
Tuttavia, di fronte alla prospettiva di un sistema di cooperazione, europeo o atlantico, per la produzione e l’uso in comune dell’energia nucleare in cui intervenissero l’Inghilterra o l’America, la Francia si troverebbe costretta, per evitare l’isolamento atomico a tutto vantaggio della Germania, a partecipare al sistema e ad accettare l’inevitabile supremazia inglese o americana, sacrificando ogni ambiziosa aspirazione all’indipendenza atomica.
1 Vedi D. 43.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO
T. 6509/156. Roma, 21 giugno 1955.
In vista anche considerazioni contenute nel telegramma di V.E. n. 3321, ho designato S.E. Sottosegretario Benvenuti Capo Delegazione Comitato esperti istituito a Messina2.
Pregola provvedere alle conseguenti comunicazioni.
1 Con il T. 9471/332 del 17 giugno Cavalletti, nel segnalare che la scelta lussemburghese di nominare a Capo della Delegazione il proprio Rappresentante a Bruxelles rispondeva ad esigenze economiche, aveva aggiunto: « … permettomi segnalare necessità che Capo Delegazione italiana, data delicatezza nostri specifici lavori, sia persona tale da poter tenere testa a Spaak cui sistemi di presidenza – che ho visto all’opera da sei anni – sono tanto energici quanto spregiudicati, soprattutto quando prestigio sua persona è in giuoco … ».
2 Comunicazione di contenuto analogo venne inviata alle Ambasciate a Parigi, Bonn, Bruxelles e L’Aja da Cattani con il T. 6623/c. del 23 giugno.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
R. riservato 974. Parigi, 27 giugno 1955.
Oggetto: Conferenza di Bruxelles. Problema atomico.
Signor Ministro,
mi riferisco al mio telegramma n. 470 del 25 corr.1.
A V.E. non è certamente sfuggito che la decisione presa da Edgar Faure di ritirare la candidatura Gaillard e di sostituirlo con un alto funzionario alla direzione della Delegazione francese a Bruxelles ha anche un significato di fondo. Tanto più se si tiene conto che Gaillard era un europeista convinto, mentre, se l’alto funzionario dovesse essere Dejean, non sarebbe certo un entusiasta della sopranazionalità.
Come ho già riferito, la reazione francese all’accordo belga-americano sui minerali di uranio è stata generale e violenta. Evidentemente, qui si contava su di una più larga possibilità di accesso all’uranio belga per tutta l’attività atomica europea. Ma, sopratutto, si reagisce al fatto che il Belgio si è, con questo trattato, impegnato a non dividere con nessuno i segreti atomici che potrebbero essergli comunicati in base all’accordo stesso. Come è possibile, si dice qui, e anche con una certa logica, far partecipare ad una collaborazione atomica europea un paese vincolato da un accordo di segreto con un paese al di fuori di questo accordo? E ci si domanda, sopratutto negli ambienti europeistici, che giuoco fa Spaak il quale da una parte, fa dello zelo per una «relance» europea nel campo atomico e, dall’altra, firma un accordo contrario allo spirito della sua proposta.
Le obiezioni francesi sono indiscutibilmente giustificate: tuttavia, la violenza della reazione mi fa sorgere un po’ il dubbio che il Belgio, oltre che la ragione, abbia fornito un pretesto per far macchina indietro, anche sul settore atomico, in materia di integrazione.
I francesi hanno, bisogna riconoscerlo, lavorato molto più di tutti gli altri continentali in materia nucleare: ma hanno lavorato in silenzio. È solo relativamente di recente che l’anticipo atomico della Francia è diventato di pubblica ragione, ed un motivo di fierezza nazionale.
È una materia su cui è difficile pronunciarsi: il parere concorde è però che questo anticipo realmente ci sia, anche se è forse un po’ esagerato il dire che si tratta di un anticipo di quattro o cinque anni. Gli ambienti scientifici francesi aggiungono che, in una materia come questa, un anticipo anche di cinque anni non significa granché: ma non è lo stesso per. l’opinione pubblica. Tanto più che di questo successo atomico si sono valsi e si valgono tutti gli elementi anticedisti, come di un argomento per controbattere i loro avversari che sostengono adesso che, silurando la C.E.D., ci si è messi sulle spalle una Wehrmacht autonoma. Dovrebbe essere la superiorità atomica a rimettere la Francia in una posizione di vantaggio nei riguardi della Germania.
Slogan primitivo, e falso, come la maggior parte degli slogans nazionalisti, ma che prende facilmente in un paese, e sopratutto in un mondo parlamentare, malato e nostalgico di prestigio, ma incapace di procurarsi questo prestigio con una azione di governo seguita e seria.
Parlandomi dell’integrazione atomica, un illustre europeista francese mi diceva, qualche tempo addietro: «Si tratta di vedere adesso se la Francia saprà resistere all’illusione di potersi chiudere in questa sua superiorità». Temo che i fatti comincino a dimostrare che la Francia non sa resistere a questa illusione.
Lo stesso europeista Gaillard, qualche giorno addietro, quando ancora riteneva di andare lui a Bruxelles, mi ammetteva che sarebbe stato molto difficile fare accettare all’opinione pubblica francese un sacrificio dell’anticipo atomico francese sull’altare europeo, quando gli eventuali partners di questo pool non portano niente (alludeva allora al Belgio).
A questa reazione interna francese, si deve sommare secondo me, anche la reazione negativa inglese. Vitetti ha già riferito a V.E. la reazione negativa inglese alle decisioni di Messina manifestatesi senza molti veli in seno all’O.E.C.E.: in Francia, tutte le persone notoriamente legate all’Inghilterra, che non sono poche, hanno tutte reagito e subito, come nel caso della C.E.D. In questi ambienti, l’azione Benelux viene definita come un tentativo di uccidere l’U.E.O.: opinione questa in cui sono confermati dall’atteggiamento di tutti gli europeisti francesi i quali, come Beyen, non sognano altro che di uccidere l’U.E.O.
Non intendo qui entrare nel merito della questione: ritengo però mio dovere di ricordare a V.E. che, attualmente, per un rilancio europeo, su basi comunque sopranazionali, non c’è accordo nel Governo francese e non c’è maggioranza nel Parlamento francese. Questa maggioranza ci potrà essere forse un giorno, dopo le prossime elezioni, ma oggi non c’è.
L’opinione francese, sia nel campo scienziati, sia nel campo politico, per quello che concerne la parte atomica, sembra adesso orientata verso «accordi concreti» non bene precisati; ma è contraria a qualsiasi forma di costituzionalizzazione e vuole comunque estendersi anche al mondo scandinavo ed alla Svizzera. Credo che, in sostanza, anche su questo argomento, i francesi non sanno che cosa vogliono: esitano fra dichiararsi una specie di primo fra i piccoli atomici; o di ultimo fra i grandi: da una parte, non dispiacerebbe loro di fare con i continentali qualche forma di pool centrato intorno alla Francia, dall’altra sperano – credo – di poter un giorno avere dagli americani e dagli inglesi qualche informazione «classified» e vorrebbero poter mantenere il segreto di fronte ai terzi. Non sono del resto il solo paese sulla terra che non sa bene quello che vuole.
In generale, quindi, ed in particolare per le cose atomiche, la nostra Delegazione a Bruxelles bisognerebbe non si dimenticasse che la Francia continua a far parte dei Sei che vogliono l’Europa integrata, solo come ricordo dell’epoca in cui Schuman era Ministro degli Esteri; ed in cui i suoi compagni Ministri degli Esteri, e forse anche lui stesso, credevano che il Parlamento francese lo seguisse. Ma che in realtà essa è altrettanto sopranazionale quanto gli inglesi, almeno, ripeto, fino alle prossime elezioni che possono, ma non necessariamente debbono, cambiare la situazione interna francese.
Per cui se ci si contenta di cercare la collaborazione in forme non molto differenti da quello che si pratica in seno all’O.E.C.E., a qualche risultato la Conferenza di Bruxelles potrà arrivare: se ci si ostina invece a perseguire il miraggio sopranazionale non si farà proprio niente.
Detto questo in materia atomica, i francesi, a tutti i livelli ed anche in questi ultimi giorni, hanno ripetuto che con noi sono disposti a collaborare quando vogliamo.
Sono stato ben lieto di sapere dal Prof. Giordani che anche. noi in questa materia, abbiamo cominciato a fare qualche cosa: ed è evidente che, anche in questo campo, la sola maniera di contare è quella di fare: mi auguro quindi soltanto, nell’interesse del paese, che si diano a queste nostre attività i mezzi nazionali indispensabili per riprendere il molto tempo perduto. Con questa premessa, se una certa collaborazione con la Francia può essere utile a farci risparmiare tempo e danari, credo la possiamo avere.
I francesi sanno che in materia di applicazione pratica siamo considerevolmente indietro a loro: ritengono però – questo mi è stato detto a tutti i livelli politici e scientifici – che noi abbiamo in Italia della gente meglio preparata di loro per affrontare certi problemi scientifici. Sopratutto ritengono che noi possiamo un giorno, far tornare in Europa qualcuno del collaboratori di Fermi. È questa la contropartita che noi abbiamo nei riguardi dei francesi.
Perché V.E. abbia presenti tutti gli aspetti di questo problema, aggiungo che tutto quello che è atomico è qui saldamente nelle mani dello Stato, e sono tutti d’accordo nel volere che lo resti. Quindi, almeno allo stadio attuale, e per un lungo periodo, una collaborazione italo-francese in materia atomica non è possibile, come è stato accennato qualche volta da parte nostra, sotto forma di collaborazione fra industrie. Gli accordi debbono essere presi sul piano governativo.
Indipendentemente quindi da quelli che saranno i risultati della Conferenza di Bruxelles, mi sarebbe utile sapere quali sono le intenzioni del Governo italiano in materia di collaborazione italo-francese in questo campo. Le avances fattemi sono tante che qualche cosa bisognerà pure rispondere.
Secondo me, noi non dovremmo né buttarci a pesce in una collaborazione integrale che, probabilmente, sarebbe anche irrealizzabile, né fare troppo gli schizzinosi: andare avanti praticamente collaborando su cose concrete, estendendo la collaborazione là dove essa, oltre ad essere utile, è anche possibile; non allarmare i francesi in partenza, domandando loro troppo; procedere empiricamente; vedere cosa tutto questo può dare, in fatto, e regolarsi a mano a mano che la politica atomica nostra e la situazione generale si verranno sviluppando.
Le prego di gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.
Quaroni
1 T. 10029/470 con il quale Quaroni aveva comunicato l’intenzione francese di designare a Capo della propria Delegazione non un uomo politico ma un alto funzionario.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 10269/228. Parigi, 30 giugno 1955, ore 15,13 (perv. ore 19,30).
Oggetto: Commissione speciale energia.
Mio 2201.
Consiglio ha approvato ieri costituzione Commissione esperti per la cooperazione economica europea nel settore dell’energia.
Commissione sarà costituita da non più di sette membri altamente qualificati e particolarmente competenti negli studi dei problemi generali dell’energia in tutte le sue forme. I suoi componenti saranno scelti dal Consiglio su designazione paesi membri e Alta Autorità C.E.C.A. Assisteranno ai lavori in qualità osservatori Rappresentanti Stati membri e C.E.C.A., e potranno essere invitati Presidenti o Vice Presidenti dei Comitati verticali che si occupano di questioni energia.
1 Con T. 9935/220 del 24 giugno Vitetti aveva informato sulle discussioni nel Consiglio dell’O.E.C.E. circa la composizione e il mandato della Commissione speciale energia.
LA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E.AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 10379/2311. Parigi, 1° luglio 1955, ore 21,37 (perv. ore 23,20).
Oggetto: Comitato Bruxelles.
Riferimento mio 2232.
Delegato olandese Kruisheer ha indicato al Consiglio O.E.C.E. idee Ministri Spaak e Beyen circa veste e modo partecipazione Segretariato O.E.C.E. ai lavori Comitato Bruxelles. A loro parere Sergent o i suoi sostituti avranno pieno accesso al Comitato, parteciperanno attivamente ai suoi lavori anche per rappresentare idee O.E.C.E., e quindi potranno riferire al Consiglio. Proposta in tal senso verrà sottoposta da Spaak il 9 luglio3; dopo di che Segretariato O.E.C.E. riceverà invito ufficiale.
Ellis-Rees si è dichiarato soddisfatto sottolineare che membri Segretariato O.E.C.E. a Bruxelles dovranno essere partecipanti attivi e rappresentare pienamente interessi Organizzazione. Valery ha preso occasione per mettere rilievo che Bruxelles non deve essere intesa come creazione di un contraltare all’O.E.C.E., ma solo come tentativo di alcuni paesi di poter spingersi più lontano di quanto restanti paesi non siano disposti a fare.
1 Il documento non è firmato.
2 T. 9957/223 del 24 giugno con cui Vitetti aveva riferito circa le posizioni e gli orientamenti delle Delegazioni rispetto alla richiesta fatta al Segretariato O.E.C.E. di partecipare ai lavori del Comitato di Bruxelles.
3 Vedi D. 57, Allegato I.
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI
Appunto riservato1.
RIUNIONE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRIDELL’UNIONE EUROPEA OCCIDENTALE (U.E.O.)
E DEL COMITATO DEI MINISTRI DEL CONSIGLIO D’EUROPA
(Strasburgo, 4-5 luglio 1955)
La circostanza che il Consiglio d’Europa avesse preordinato per i primi giorni di luglio la riunione estiva del suo Comitato dei Ministri ha permesso che nelle stesse date, a Strasburgo, potesse adunarsi, a sua volta, il Consiglio Direttivo, a livello Ministri, dell’U.E.O.: come è noto, infatti, tutti e sette i paesi di questa ultima organizzazione internazionale sono membri del Consiglio d’Europa e si ha quindi una identità personale, in questa doppia rappresentanza, dei loro Ministri degli Affari Esteri.
Ad ambedue le riunioni, rispettivamente dirette, quella dell’U.E.O., dal Ministro degli Affari Esteri del Belgio, Spaak, e l’altra dal Ministro degli Affari Esteri di Islanda, Gudmundsson (per la prima volta, nella storia, un rappresentante di questo piccolo paese europeo ha presieduto un’importante riunione internazionale) l’Italia è stata rappresentata dal Sottosegretario per gli Affari Esteri, On. Benvenuti, a ciò delegato dal Ministro degli Affari Esteri, On. Martino.
Questa «settimana di Strasburgo» ha assunto un notevole significato sia per il numero e la qualità delle personalità europee convenute nella capitale di Alsazia, sia perché, nel suo corso, ha trovato la sua nascita effettiva una nuova Assemblea parlamentare internazionale, quella dell’U.E.O.2, che viene ora ad unirsi alle sue due sorelle più anziane, l’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e l’Assemblea Comune della C.E.C.A.: tutte e tre formate, in buona parte, come è noto, dagli stessi Rappresentanti dei Parlamenti dei paesi membri.
Così a numerosi Ministri degli Affari Esteri, tra i quali Pinay, Macmillan, Spaak, Beyen, Bech, Stephanopoulos, Unden, ecc. e, per la prima volta, von Brentano, si sono uniti numerosi parlamentari europei, tra i quali Guy Mollet, de Menthon, Morrison, Lord Layton, Boggiano Pico, Bettiol, Montini, ecc., i quali tutti si sono adoperati per dare, si ripete, alla «settimana di Strasburgo» rilievo e significato. E ancora una volta si è potuto constatare che questo tipo di incontri, anche se, per motivi che verranno in seguito esposti, non sempre riesce a raggiungere immediati e positivi risultati, pur tuttavia serve non poco a favorire contatti e conversazioni indubbiamente utili al fine di una maggiore cooperazione internazionale.
La riunione del Comitato dei Ministri dell’U.E.O. si è innanzitutto orientata, a norma del suo preordinato ordine del giorno e secondo quanto era previsto, su due argomenti che, almeno per il momento, appaiono essere alla base di questo primo periodo di attività del nuovo organismo: l’organizzazione dell’Agenzia di Controllo degli effettivi e degli armamenti, ed il problema del referendum per il territorio della Saar. Così il Direttore dell’Agenzia stessa, di nomina recentissima, Ammiraglio Ferreri, ha potuto attirare l’attenzione dei Ministri sui primi passi e contatti da lui compiuti presso i Governi interessati per l’assunzione del personale dirigente e per l’installazione dell’organismo a lui affidato. Sull’argomento si è notato una qualche tendenza dei Ministri stessi a preferire il concetto della qualità a quello del numero, nonché, quindi, a non appesantire, con soverchie e dispendiose assunzioni di personale, l’Agenzia che avrà però, secondo quanto, del resto, venne fissato negli Accordi di Parigi, oltre il Direttore, un Direttore Aggiunto e tre Capi Sezione.
Di maggiore ampiezza è stata la discussione in merito alla preparazione del primo referendum sulla Saar, sulla quale ha direttamente e personalmente riferito il parlamentare belga Dehousse, nominato Presidente della apposita Commissione internazionale formata dai Rappresentanti, oltre che del Belgio, del Regno Unito, dell’Italia (Ministro de Paolis), dei Paesi Bassi e del Lussemburgo. Questa Commissione ha già avuto, nei giorni scorsi, un primo contatto con il Governo sarrese per porre in chiaro ed approvare i testi definitivi delle leggi e dei regolamenti da esso Governo emanati in vista di quel referendum. I Ministri, a loro volta, nel dare il loro consenso all’azione iniziata, hanno stabilito di convocare nuovamente alla loro presenza i membri della Commissione, a Parigi, in occasione di una nuova straordinaria seduta del Comitato dei Ministri, prevista per il 15 luglio, e ciò per poter dare il loro assenso finale in modo che possa essere definitivamente fissata la data per il referendum, data che, come è noto, deve seguire di tre mesi il vero e proprio inizio dell’azione «in loco» della Commissione internazionale3.
Ma di ben più notevole interesse è stato il seguito della discussione – sempre in tema di Saar – costituito dalla richiesta dei Paesi Bassi intesa ad ottenere da parte di tutti i paesi dell’U.E.O. un nuovo documento internazionale che potrebbe essere o un vero e proprio protocollo aggiuntivo al Trattato di Parigi, oppure una dichiarazione esplicativa destinata a permettere giuridicamente ed ufficialmente l’assunzione, da parte del Consiglio Direttivo dell’U.E.O., dei compiti e delle responsabilità, per la Saar, indicati nell’Accordo franco-tedesco dell’ottobre 19554. Secondo il Governo dell’Aja, infatti – e questo potrebbe creare in Olanda notevoli difficoltà parlamentari – manca tuttora, si ripete, una certa base giuridica a tutta la materia considerata. Naturalmente ciascun paese ha la propria fisionomia costituzionale e diverse sono le responsabilità dei singoli Governi nei confronti dei propri Parlamenti in tema di ratifica di atti internazionali: gli altri Ministri quindi, nel rispondere al Signor Beyen, hanno fatto presente come essi, chi più chi meno, vengano a trovarsi in situazione diversa. Si è però deciso di porre allo studio un breve documento che probabilmente non comporterà la necessità di nuove discussioni parlamentari, ma permetterà allo stesso tempo di continuare nell’azione, già intrapresa dall’U.E.O., in merito al referendum ed al futuro assetto del territorio sarrese.
Come si vede si tratta qui, data anche la necessità di affrettare i tempi e di evitare nuovi dissensi e nuovi incidenti tra Francia e Germania sul delicato argomento, di questione di alta importanza alla quale il Comitato dei Ministri intende dedicare tutta la sua attenzione.
L’ultima parte dell’ordine del giorno conteneva un chiaro accenno alle questioni politiche di interesse comune: e ciò per iniziativa italiana avanzata, a Londra, in seno al Comitato Permanente, dall’Ambasciatore Zoppi, il quale, su istruzioni di Roma, aveva messo in rilievo come i Ministri degli Esteri dei sette paesi dell’U.E.O. non potessero, alla vigilia di riunioni internazionali di tanto grande importanza, non avere tra loro uno scambio di idee in merito ad una eventuale linea di azione comune.
Così è stato possibile al Rappresentante italiano, On. Benvenuti, compiere un intervento di indubbio rilievo, destinato ad essere ripreso in discussione, secondo i chiari affidamenti dati tanto dal Ministro degli Affari Esteri di Francia, Pinay, quanto da quello del Regno Unito, Macmillan, in occasione della nuova già accennata riunione di Parigi del 15 luglio.
In questo intervento il nostro Rappresentante si è, tra l’altro, così, testualmente espresso:
«L’U.E.O. rappresenta un’intesa regionale facente parte di un patto più vasto, egualmente regionale, il Patto atlantico. Per tale motivo, parimenti all’idea, affermatasi quotidianamente, per cui in nessun caso l’Alleanza atlantica potrebbe venire sacrificata nel corso dei negoziati con Mosca, dovremmo sempre ricordarci che non è possibile rinunciare all’U.E.O. che costituisce un complemento utile e valido della N.A.T.O. Le due organizzazioni internazionali appaiono quali due circoli distinti ma non separati dei quali il più piccolo è parte integrante del maggiore. Così qualsiasi accomodamento tra l’Est e l’Ovest che comportasse un indebolimento dell’U.E.O. non mancherebbe, contemporaneamente, di indebolire la N.A.T.O.».
Da tutto ciò viene che un sistema di sicurezza ben costituito dovrebbe essere concepito in maniera da salvaguardare gli interessi di tutti i nostri paesi. «Conseguentemente – ha aggiunto il Rappresentante italiano – vorrei sottolineare, fin da questo momento, che questi nostri stessi paesi dovrebbero partecipare ai lavori di qualsiasi futura conferenza o commissione di esperti che avesse il mandato di studiare i problemi della sicurezza collettiva».
Del resto, egli ha concluso, la eventualità che il sistema di controllo previsto in seno all’U.E.O. possa essere esteso al di là della cortina di ferro, in modo che quanto è stato oggi stipulato tra le Nazioni occidentali sia anche applicato domani tra l’Oriente e l’Occidente, costituisce un nuovo incoraggiamento per organizzare, con la più grande cura ed in ogni minimo dettaglio, il meccanismo atto a funzionare con perfetta efficacia e che possa così, nel caso, servire quale modello.
A questa chiara presa di posizione atta a costituire anche l’indicazione politica di un certo comune impegno perché, qualunque cosa possa avvenire nel corso dei prossimi contatti tra Est ed Ovest, l’U.E.O. non sia senz’altro sacrificata sull’altare dei tentativi per una distensione tra i due blocchi, hanno risposto, come si è sopra accennato, il Signor Pinay e il Signor Macmillan riconoscendo l’importanza dell’argomento e mettendo, al tempo stesso, in rilievo come, già in questa prima fase di contatti pre-ginevrini, gli alleati occidentali si stiano adoperando per «tenere nel gioco» gli Stati loro associati nella N.A.T.O. e nell’U.E.O.: buone disposizioni che dovrebbero trovare nuova e più definitiva applicazione nel corso degli incontri di Parigi del 15 e 16 luglio5.
Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha, a sua volta, anche se affrettatamente, preso in esame, sulla base di un ordine del giorno alquanto ampio, alcuni dei problemi quali la trattazione del rapporto presentato dal Rappresentante speciale per i rifugiati nazionali e per gli eccedenti di popolazione, Sig. Schneiter – attualmente Presidente dell’Assemblea Nazionale francese – e la futura «funzione» del Consiglio d’Europa, che si trovano attualmente sul suo tappeto.
Circa il rapporto Schneiter, che, come è noto, ha trovato nell’Italia uno dei suoi più convinti assertori e difensori, si è constatato una volta di più come esista e sussista, in realtà, il conflitto tra i paesi di emigrazione e quelli che vedono tuttora con sospetto i tentativi intesi a dare ampiezza e realizzazione ai progetti destinati a facilitare il libero scambio della mano d’opera. Così, su questo rapporto, mentre taluni paesi si sono mostrati propensi ad assumere nuovi impegni per la creazione di un fondo speciale destinato a facilitare il finanziamento delle iniziative europee in argomento, altri, e tra questi il Regno Unito, si sono mostrati soverchiamente preoccupati per la creazione e l’accavallamento di nuovi organismi che, secondo le critiche avanzate, altro non farebbero che indebolire l’azione degli organismi già esistenti: critiche alle quali lo stesso Sig. Schneiter ha, con notevole energia, risposto per porre in rilievo come, in realtà, oggi il problema dei rifugiati nazionali non trovi l’organismo internazionale al quale far capo.
In assenza, per il momento, di una definitiva decisione sull’interessante argomento, è lecito prevedere, in un prossimo avvenire, nuove prese di contatto intese a facilitare in qualche modo l’azione del Rappresentante speciale, il quale mostra di possedere, in una non facile atmosfera, una forza di carattere ed una volontà non comuni.
Circa la «funzione» del Consiglio d’Europa – questione veramente fondamentale per tutto l’avvenire dell’organizzazione di Strasburgo – si è nuovamente rivelata la preoccupazione dei paesi minori e periferici di rimanere fuori del gioco di quegli Stati europei che, specialmente oggi attraverso l’U.E.O. ed il progettato «rilancio europeista», si mostrano propensi a maggiori e più profonde cooperazioni ed integrazioni tra loro. Così alle parole del Ministro degli Esteri di Grecia, Stephanopoulos, che fin dallo scorso dicembre ebbe ad esporre un tale stato d’animo, ha fatto seguito questa volta una lunga e completa esposizione del Ministro degli Esteri di Norvegia, Lange, rivolta – in definitiva – a far convergere su Strasburgo e sul Consiglio d’Europa la nuova prevista fase di attività europea. Naturalmente, non sono mancate le repliche da parte degli altri e si è cercato, di comune accordo, di studiare i mezzi migliori per dare nuova vita ed energia anche al Consiglio d’Europa: e ciò, sopratutto, per venire incontro alle indubbie insofferenze ed agli interrogativi dei deputati dell’Assemblea Consultiva, i quali si sentono oggi destinati principalmente a studiare, senza fine, questioni di procedura anziché problemi di fondo quali quelli che si trovano attualmente sul tappeto internazionale.
Altra chiara eco, del resto, di questa situazione di disagio, si è avuta in seno al Comitato Misto – formato, come è noto, in numero paritetico, da Ministri degli Affari Esteri e deputati all’Assemblea, e presieduto dal Presidente dell’Assemblea, Guy Mollet –, che ha anch’esso preso in esame questo basilare problema della «funzione» del Consiglio d’Europa. Tra l’altro taluni di questi deputati non hanno mancato di porre in rilievo come, ad esempio, i membri dell’Assemblea si siano trovati nella condizione di dover apprendere dalla pubblica stampa e non da comunicazioni dei Ministri, l’andamento e le risoluzioni della recente Conferenza di Messina nella quale, com’è noto, è stato dato l’avvio, in una cornice di rapporti economici, a quel «rilancio europeista» al quale si è sopra accennato.
Né soltanto questi sono stati i «cahiers de doléances» di taluni dei deputati ai quali non dovrebbero giungere neppure troppo soddisfacenti le dichiarazioni dello stesso Spaak, peraltro antico ed autorevole Presidente dell’Assemblea, e di altri Ministri nelle quali si è in certo modo fatto accenno alla circostanza che il Consiglio d’Europa dovrebbe sopratutto prendere in esame le questioni relative alla «cooperazione» europea lasciando praticamente ad altri enti internazionali la trattazione dei veri e propri problemi «politici»: distinzione che, effettivamente, è apparsa alquanto sottile e di non facile applicazione.
Sull’argomento, infine, e allo scopo di dare un qualche concreto seguito alla interessante discussione, si è portata avanti l’iniziativa di affidare ad una personalità di rilievo, estranea al Consiglio d’Europa (e si è con insistenza ripetuto il nome dell’antico Segretario Generale dell’O.E.C.E., Marjolin) il compito di compilare nei prossimi mesi un rapporto inteso a porre in evidenza tutti i risultati sino ad oggi raggiunti, in tema di cooperazione europea, nei differenti enti internazionali che di essa si occupano: rapporto che, in seguito, verrà esaminato dalla Assemblea Consultiva, in accordo con il Comitato dei Ministri, perché si possa addivenire alla formulazione ed alla discussione dei mezzi migliori per dare nuove e più concrete forme alla cooperazione tra gli Stati europei.
Un’altra battuta, indubbiamente sgradevole, e che non ha costituito certamente un esempio della buona volontà e della reciproca comprensione dei Governi dei paesi membri del Consiglio, è stata costituita dalla polemica sorta per la nomina del nuovo Segretario Generale Aggiunto dell’Organizzazione, a seguito delle dimissioni presentate dall’inglese Lincoln: polemica che, del resto, com’è noto, aveva già trovato il suo inizio allorché, al momento delle dimissioni del Vice Segretario, di nazionalità italiana, Caracciolo, si era fatta avanti la tesi della necessità di una rotazione, per nazionalità, nelle cariche direttive del Consiglio.
Questa volta al nome di un nuovo candidato di nazionalità britannica si erano affiancati quelli di un tedesco, di un greco e di un irlandese. Ma alla fine la candidatura britannica, per quanto ciò in realtà abbia costituito un duro colpo per la tesi della rotazione, ha finito per la terza volta per prevalere in seno al Comitato dei Ministri, con un certo strascico di critiche e di dissensi. Toccherà ora all’Assemblea Consultiva, a norma della consuetudine entrata in vigore, di dire la sua definitiva parola sull’argomento e tutto fa prevedere qualche altra battuta agrodolce nei riguardi di quello spirito di reciproca comprensione che dovrebbe essere una delle maggiori caratteristiche degli organismi internazionali.
Alla fine della riunione, però, tutti sono apparsi convinti della necessità di permettere al Comitato dei Ministri di terminare la sua sessione in un’atmosfera atta a permettere un nuovo passo in avanti, ritenuto assolutamente necessario, nel quadro della cooperazione tra tutti gli organi del Consiglio d’Europa: e così è stato deciso che, nel corso dei prossimi giorni, l’Assemblea Consultiva possa essere posta al corrente, a mezzo di appositi interventi, dai Ministri Pinay, Macmillan e Spaak, sugli ultimi sviluppi della politica internazionale, con particolare riguardo, anche, all’avviamento dell’U.E.O.
Alla breve esposizione dei lavori svoltisi in questi giorni a Strasburgo appare utile far seguire qualche considerazione e cioè:
1) L’U.E.O. appare aver trovato, per il momento, il suo «ubi consistam» ed il suo campo di lavoro sopratutto nei problemi relativi all’organizzazione del controllo degli armamenti tra i paesi occidentali e nella delicata trattazione della questione della Saar. Ciò per altro non impedisce che, come ha dimostrato l’attuale sessione e come taluni Ministeri degli Esteri appaiono in fondo disposti ad accettare, (occorre qui, ad esempio, non dimenticare che nell’attuale Quai d’Orsay, tanto il Segretario Generale Massigli, quanto il Direttore politico Croüy Chanel hanno per oltre cinque anni lavorato a Londra in seno all’antico Consiglio dell’organizzazione del Trattato di Bruxelles, oggi trasformatasi in U.E.O.) anche nell’U.E.O. le questioni politiche possano trovare ad un dato momento il loro tappeto di discussione.
2) Il Consiglio d’Europa appare aver raggiunto effettivamente – secondo la frase usata in questi giorni dal londinese «Times» – la sua «età critica»: si dovrà vedere cioè ora se esso sia destinato ad anemizzarsi oppure a trovare nuova linfa vitale. Non si può negare, infatti, che la creazione di sempre nuovi enti ed organismi internazionali, e persino di caratteristica del tutto europea quale l’U.E.O., non è destinata a rinforzare Strasburgo. Se è vero che in certo modo si tratta di una «scatola cinese» nella quale gli organismi, per numero di partecipanti, minori, sono destinati ad essere rinchiusi nei maggiori, è altrettanto vero che questi maggiori trovano, proprio nella loro costituzione, ragione di maggiore debolezza: caratteristica ad esempio la sempre attuale permanente riserva della Svezia nel Consiglio d’Europa, Svezia che, come si è visto anche in questi giorni, non ammette che questioni di carattere militare, indubbio appannaggio della U.E.O., possano essere toccate e trattate a Strasburgo.
3) Anche la stessa organizzazione «in loco» (Strasburgo, come sede, non è né Parigi né Londra né New York) comincia a dare, dopo sei anni, qualche segno di insofferenza e di nervosità, come si è visto nel suindicato «caso Lincoln» e nel fatto che, oramai, i1 Segretariato Generale dell’Organizzazione intende sempre più difendersi contro le immissioni di personale dall’esterno.
4) Cionondimeno, il fatto che a Strasburgo convengano – unico esempio in Europa –, più volte nel corso di un anno, esponenti autorevoli di tutti i Parlamenti europei, costituisce un elemento di cui non vanno sottovalutati né il significato né l’importanza. Si può cioè, a Strasburgo – e si potrebbe ancora di più nell’avvenire – creare un effettivo collegamento, in tema di trattazione di problemi di indubbio valore europeo, tra i Parlamenti nazionali e quelli internazionali, in modo da dare avviamento ad una maggiore reciproca conoscenza e comprensione.
5) La critica, apparsa evidente in questi giorni a Strasburgo, specialmente da parte di rappresentanti di taluni paesi, di veder sorgere e svilupparsi troppi enti e troppi organismi internazionali destinati tutti, con un accavallarsi di Comitati e Gruppi di lavoro, a trattare questioni più o meno similari, è indubbiamente giusta e giustificata. Ma occorre forse pensare che un tale sistema, anche se poco efficiente nelle contingenze del momento, può rappresentare una utile valvola per la quale trovano facile ed innocua esplosione non pochi malumori ed incomprensioni tra i paesi europei. E ciò, al fine del mantenimento e della conservazione di un periodo di favorevole atmosfera nel nostro continente, costituisce un elemento ed un risultato del tutto apprezzabili.
1 Il documento, datato Roma 6 luglio, fu trasmesso da Magistrati con L. riservata 1037, pari data, a Tassoni Estense.
2 Vedi D. 61.
3 Il 23 luglio venne fissata la data per il referendum nella Saar al 23 ottobre 1955.
4 Si riferisce all’accordo firmato a Parigi il 23 ottobre 1954.
5 Ci si riferisce agli incontri fra i leader americani, britannici e francesi in vista del vertice di Ginevra che si sarebbe aperto il 18 luglio.
IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 10685/364. Lussemburgo, 6 luglio 1955, ore 17 (perv. ore 19,50).
Oggetto: Integrazione europea.
In relazione prossimo inizio lavori Comitato «rilancio» Governo americano ha telegrafato a Ambasciata Bruxelles e a sua Delegazione qui che esso rimane favorevole all’integrazione europea e che vede con favore anche lo studio per la creazione della Comunità europea per l’energia atomica pacifica. In relazione a ciò il Governo americano tenderebbe soprassedere all’accordo bilaterale con la Germania previsto in conversazione del 10 giugno, preferendo eventualmente un accordo più vasto con la Comunità.
Mi viene spiegato qui dalla Delegazione americana che tale atteggiamento ha importanza perché significherebbe in Governo americano un’affermazione di tendenze europeistiche nei riguardi delle tendenze di mantenimento bilaterale degli accordi per l’energia atomica finora prevalenti per preoccupazione conservazione segreto.
IL CAPO DELLA DELEGAZIONEPRESSO IL COMITATO INTERGOVERNATIVO DI BRUXELLES, BENVENUTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 10970/1281. Bruxelles, 9 luglio 1955 (perv. ore 9,10 dell’11)2.
Oggetto: Riunione Bruxelles.
Comitato Intergovernativo creato da Conferenza Messina3 ha tenuto oggi sua prima riunione sotto presidenza Spaak. Delegazione francese era diretta da Gaillard, tedesca da Hallstein, olandese da Verrijn Stuart, britannica da Bretherton del Board of Trade.
È stata decisa istituzione di un «Comitato Direttivo» composto da Capi Delegazione, nonché di quattro Commissioni, ciascuna delle quali si suddividerà eventualmente in Sottocommissioni. Presidenza della Commissione mercato comune, investimenti e questioni sociali sarà assicurata dall’Olanda; della Commissione trasporti dall’Italia; dell’energia classica dalla Germania; dell’energia nucleare dalla Francia. È stato fin da ora deciso che l’Italia avrà anche presidenza Sottocommissione investimenti della Commissione mercato comune4.
Comitato Direttivo tornerà a riunirsi lunedì 185con partecipazione Presidenti quattro Commissioni per esaminare proposte che varie Delegazioni vorranno fare per messa in atto decisioni Messina. Commissioni cominceranno loro lavori a partire da mercoledì 20.
È stato richiesto che nominativo del Presidente Commissione trasporti sia notificato qui a Bruxelles entro lunedì 11 c.m. Pregherei interpellare Ministero Trasporti per tale designazione, tenendo presente che Presidente riveste in principio funzioni internazionali e che pertanto potrà essere persona diversa da Delegato italiano a detta Commissione6.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.
2 Manca l’indicazione dell’ora di partenza.
3 Vedi D. 43.
4 Vedi D. 57, Allegato I.
5 Vedi D. 62.
6 La nomina fu notificata a Bruxelles da Carrobio di Carrobio con T. 7613/91 del 15 luglio. La persona designata a presiedere il Comitato trasporti e lavori pubblici era il Prof. Nicola Laloni, Vice Direttore Generale del Ministero dei Trasporti.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZAPRESSO IL CONSIGLIO D’EUROPA, CITTADINI CESI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
R. 6501. Strasburgo, 10 luglio 1955.
Signor Ministro,
dal 5 al 9 luglio si è riunita l’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa.
Questa prima parte della sessione ordinaria del 1955, si è tenuta con ritardo rispetto alla data ormai tradizionale del 20 maggio, per dar soddisfazione al desiderio dei parlamentari britannici di non far coincidere i lavori di Strasburgo con il periodo delle elezioni generali in Gran Bretagna.
La riunione dell’Assemblea Consultiva ha coinciso, a Strasburgo, con la XVI sessione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (4-5 luglio), con la riunione dei Ministri della U.E.O. (4 luglio)2, e con la costituzione della nuova Assemblea parlamentare della U.E.O.3, intercalatasi nel corso stesso dei lavori dell’Assemblea Consultiva.
Questo insieme di incontri ha conferito un particolare rilievo alla «settimana europea» di Strasburgo.
I Ministri degli Affari Esteri britannico, francese, tedesco, olandese, belga, lussemburghese, greco, norvegese e svedese, oltre al Sottosegretario Benvenuti, hanno presenziato alle sedute dell’Assemblea Consultiva dedicate alla discussione dei problemi politici. I Signori Macmillan, Pinay, von Brentano e Lange sono anche intervenuti nella discussione, pronunciando discorsi di notevole portata. Una simile partecipazione di personalità di Governo, non ha avuto alcun riscontro nelle sessioni degli ultimi anni.
All’inizio di questa estate, l’Assemblea Consultiva si è trovata di fronte ad avvenimenti che hanno marcato la situazione internazionale in Europa e nel mondo: la costituzione della Unione Europea Occidentale, in sostituzione di quella parte della politica cedista che mirava in special modo alla soluzione del problema del riarmo tedesco e della difesa europea; la crisi dell’«europeismo sopranazionale», determinata dal rigetto della C.E.D.; i tentativi di «rilancio» europeo, che si profilano su una linea incerta fra la formula della integrazione (C.E.C.A.), e la formula della cooperazione (Consiglio d’Europa e O.E.C.E.); ed, infine, la distensione mondiale nella imminenza della Conferenza di Ginevra.
Tutti questi avvenimenti non potevano mancare di riflettersi nell’atmosfera di Strasburgo. La eccezionale fluidità della situazione internazionale si è tradotta in un senso palese di incertezza da parte dell’Assemblea Consultiva.
E in quanto questa può considerarsi l’organo parlamentare europeista più rappresentativo, l’incertezza dell’Assemblea denota esigenze di revisione e di aggiornamenti, che vanno facendosi strada poco a poco tra gli assertori della idea europea; tendenze a ripensare il significato politico di formule fin qui correnti nel vocabolario europeistico, «sopranazionalità», «integrazione», ecc.; in una parola, la necessità di fare il punto sia per quanto riguarda l’ulteriore sviluppo della politica a «sei» o a «sette», che l’avvenire del Consiglio d’Europa.
L’accusa che si suole muovere all’Assemblea Consultiva, di essere troppo «accademica», ed incline a teoricizzare i problemi, non si giustificherebbe dai dibattiti di questa sessione. Essa ha rivelato, al contrario, un notevole senso di realismo, registrando la complessità della situazione attuale in relazione alla politica europeista, sia nei suoi riflessi interni (processo di unificazione europea) che nei suoi riflessi esterni (rapporti con i paesi d’oltre cortina).
La presenza di dieci Ministri degli Esteri al dibattito politico del 6 luglio, ha suffragato la tesi che l’Assemblea rappresenti il fòro ufficiale della opinione parlamentare europea. Ancora maggiore è stato il significato di tale presenza alla vigilia dell’incontro di Ginevra, al quale avrebbero partecipato due dei Ministri comparsi davanti all’Assemblea.
Tanto il Signor Pinay che il Signor Macmillan hanno dichiarato che essi contavano di andare a Ginevra come «mandatari» dei paesi europei rappresentati al Consiglio.
Il Ministro degli Esteri francese ha completato il suo pensiero aggiungendo, in una frase molto felice ripresa dai giornali, che le potenze occidentali non avevano l’intenzione di fare a Ginevra «ni un marchandage de l’Europe ni un marchandage sur le dos de l’Europe».
La frase ha dato lo spunto a numerosi parlamentari, fra i quali l’On. Montini, di rievocare Yalta e fare osservare come non sia più oggi il tempo dei regolamenti europei concordati fra i «grandi» all’insaputa degli interessati.
Il Signor Pinay è passato successivamente a trattare la questione della organizzazione dell’Europa, rilevando, per quanto concerne l’ultima istituzione venuta alla luce, l’U.E.O., come gli scopi principali della medesima fossero quelli di concatenare gli sforzi di difesa dei vari paesi partecipanti, di stabilire una produzione in comune dei mezzi militari più importanti, e di assicurare il regolamento della questione sarrese.
Su un piano più generale, il Ministro ha aggiunto testualmente: «Come il Consiglio d’Europa resta aperto a tutti i paesi occidentali, così l’Unione occidentale può servire di esempio ad altre Nazioni». E ricollegandosi più avanti a questo accenno, a proposito del problema tedesco e della sicurezza europea, ha precisato: «Accordi conclusi sul piano regionale potranno aprire la strada ad accordi da concludersi su un piano interregionale, con la stessa equivalenza nelle obbligazioni e con la stessa certezza nelle garanzie. Allora, forse, la strada sarà aperta ad una partecipazione dell’Europa Orientale al grande progetto dell’Europa Occidentale». Analoga posizione ha preso sulla possibilità di definire un sistema di accordi interregionali, il Signor Morrison (ex Ministro degli Esteri nel Gabinetto Attlee).
In questo quadro già aperto a soluzioni più vaste, e di natura molto più affine alla «politica» tradizionale che a quella europeistica, gli accenni del discorso del Signor Pinay al processo di integrazione europea, di rigore a Strasburgo, sono stati pochi e molto generici.
Il Ministro degli Esteri britannico, a sua volta, dopo aver tracciato una storia dell’europeismo di Strasburgo, sopratutto dal punto di vista della conciliazione (diplomatica ancora prima che spirituale) tra la Germania e l’Europa, e del contemperamento di tutte le iniziative europeistiche in un più ampio quadro di cooperazione, ha trattato il tema dell’allargamento del Consiglio d’Europa, rifacendosi in primo luogo a quella che egli ha definito la funzione precipua dell’Assemblea, di realizzare il principio dell’«universalismo».
Egli ha osservato, a questo proposito, che «il Consiglio d’Europa è la sola organizzazione alla quale altri paesi che non fanno attualmente parte del nostro gruppo potranno forse aderire a poco a poco con il tempo e l’aiuto della Provvidenza». Di qui il Signor Macmillan è venuto a parlare della Jugoslavia, e si è chiesto se il Consiglio d’Europa non rappresenti un gruppo troppo stretto, se il «regolamento per la scelta dei nuovi membri suscettibili di essere ammessi, non sia troppo severo»; ed ha lanciato all’Assemblea l’idea di fare di tali problemi oggetto di studio.
L’idea è stata immediatamente raccolta. Su proposta del francese de Menthon, del belga Struye (socialista cristiano), dell’olandese Klompé e del tedesco Mommer (socialdemocratico), l’Assemblea ha deciso di incaricare la Commissione degli Affari Generali di «esaminare le condizioni nelle quali potrebbe essere eventualmente studiato un allargamento del Consiglio d’Europa».
Osservo per inciso che, dal punto di vista giuridico, a parte le necessarie modifiche agli articoli 3 e 4 dello Statuto concernenti le condizioni di ammissione, tale allargamento potrebbe concepirsi, secondo la prassi fin qui seguita, o sotto forma di ammissione di membri di pieno diritto, o di ammissione di membri associati, o di ammissione di semplici osservatori. (Quest’ultima è la attuale posizione dell’Austria, che ha un osservatore diplomatico, senza diritto di sedere al Comitato dei Ministri, e si fa rappresentare da parlamentari alle riunioni delle Commissioni dell’Assemblea). Come riferito con telegramma n. 38 del 9 corrente4, sono peraltro già allo studio nuove forme di associazione, che si impernierebbero sopratutto in riunioni miste al livello parlamentare.
Per tornare al dibattito instauratosi all’Assemblea su questo punto, Lord Layton ha fatto osservare come anche tra paesi democratici e paesi totalitari, «accordi ed una certa cooperazione» possano realizzarsi, e come, quindi, le Nazioni dell’Europa Occidentale possano, a rigore, arrivare ad intendersi con la Jugoslavia e la Spagna: ma, sopratutto come liberale, egli non si è nascosto le difficoltà di simili intese.
II conservatore britannico Boothby, sebbene in termini vaghi, è andato più in là. Egli ha dichiarato che, a suo parere, il «germe» della soluzione del problema degli Stati satelliti risiede nel Consiglio d’Europa.
Come si vede, una delle più importanti idee politiche emerse dal dibattito dell’Assemblea, è stata quella dell’allargamento del Consiglio, sia a scadenza ravvicinata, sul piano specifico dei rapporti con la Jugoslavia, sia, a più lunga scadenza, sul piano dei rapporti con i satelliti, e nel quadro più vasto, tracciato dal Ministro Pinay, comprendente un sistema non definito di accordi interregionali.
La domanda più pertinente che a proposito di tali nuove prospettive sia stata formulata, è quella dello stesso Lord Layton, alla quale egli ha dichiarato di non poter dare una risposta: «Il Consiglio d’Europa deve rimettere in causa le basi stesse sulle quali è fondato?».
L’allargamento del Consiglio fa temere, infatti, che venga diluito oltre misura il suo carattere europeistico, e trasformata la sua funzione in quella di strumento di una difficile cooperazione internazionale fra paesi appartenenti a regimi diversi. Ricordiamo che, dopo la caduta della C.E.D., e con la costituzione di una U.E.O. imperniata sui problemi militari (l’ha riconosciuto lo stesso Pinay), è in fondo al Consiglio d’Europa che era tornata, anche se in misura attenuata, l’iniziativa europeista.
Il Ministro degli Esteri della Repubblica Federale ha preso da parte sua, in un breve e conciso discorso, la difesa della «causa europea», di cui egli si è dichiarato ancora oggi assertore altrettanto convinto di quanto lo fosse stato da deputato.
Secondo von Brentano, «i metodi per arrivare (all’Europa unita) sono una questione non di dogma, ma di opportunità. Occorre andare avanti in ogni campo secondo i metodi e con i soci che si troveranno. Il Governo Federale tedesco approva pienamente la Risoluzione di Messina5».
L’allusione a Messina si giustifica alla luce di vari dubbi che erano stati emessi, sopratutto da parte di membri della Assemblea della C.E.C.A., nella recente sessione da questa tenuta a Strasburgo, circa l’indirizzo più o meno «sopranazionale» che avrebbe prevalso alla Conferenza dei sei Ministri degli Esteri.
Von Brentano ha tenuto a mettere in chiaro che, nel quadro del processo europeo, la sopranazionalità non è un dogma. Egli ha aggiunto tuttavia che il Governo di Bonn resta convinto della necessità di «istituzioni comuni» per raggiungere gli obbiettivi della integrazione economica e del mercato unico.
La verità è che gli europeisti più convinti hanno il vago timore che ci si sia allontanati a Messina, nella soluzione dei problemi del «rilancio», da quella che è stata fin qui considerata la ortodossia sopranazionale. Di qui le giustificazioni portate dagli stessi artefici di Messina, e tutte intonate a motivi di possibilismo.
Mentre, da una parte, il Consiglio d’Europa tende ad aprirsi verso l’esterno, in conseguenza delle nuove necessità della politica internazionale, dall’altra il processo di unificazione che faceva capo ad organismi come la C.E.C.A., muoventisi nell’ambito interno del Consiglio, si fraziona, una volta caduto il primato della soluzione sopranazionale, in una pluralità di indirizzi.
Dicevo, sopra, che l’Assemblea Consultiva ha dato prova di realismo in questa sessione: nel senso che essa ha capito come non fosse suo compito di «risolvere» alcun problema, ma soltanto di rendersi interprete di determinate istanze.
Una di queste istanze, ma non più la dominante, come nel passato, è stata quella della integrazione europea. La Sig. Klompé, nel rapporto presentato a nome della Commissione degli Affari Generali, ha ribadito tutti i noti «motivi» della integrazione.
Formalmente la fede europeista dell’Assemblea è uscita intatta. Ma da molte battute si è avuta l’impressione che i parlamentari «europei», almeno in parte, si siano rassegnati a riesaminare le proprie posizioni più intransigenti; a far passare in secondo piano l’obbiettivo politico della integrazione, che era alla base di tutte le iniziative nei settori specifici (difesa, carbone ed acciaio, ecc.), di fronte agli obbiettivi tecnici di una più stretta collaborazione negli stessi settori, non incompatibili con l’auspicata apertura verso altri paesi «meno europei».
Si è avuta l’impressione che i medesimi parlamentari si siano rassegnati a far passare il problema della riunificazione tedesca, se non prima di quello della sicurezza europea, certo prima del problema della «integrazione» dell’Europa Occidentale.
La riunificazione tedesca ha dato però lo spunto a ferme prese di posizione da parte di numerosi parlamentari, circa i limiti delle concessioni che si possono fare all’Unione Sovietica.
Sia l’inglese Morrison che il socialista francese Jacquet, che il liberale tedesco Becker, che il nostro Bettiol, hanno unanimamente concordato sul punto che una eventuale neutralizzazione della Germania riunificata, equivarrebbe alla neutralizzazione dell’Europa. Le potenze occidentali dovrebbero, dunque, essere ferme nel respingere tutte le proposte che in tal senso venissero fatte dall’Unione Sovietica.
L’On. Bettiol è andato più in là, affermando che già la neutralizzazione dell’Austria, rappresenta, dal punto di vista strategico, un pericolo per l’Europa.
Secondo quanto può desumersi dai discorsi pronunciati da Ministri e parlamentari sulla questione del futuro assetto europeo, l’unica soluzione possibile ed accettabile, indipendentemente dalle sorti della politica europeista di integrazione, sarebbe dunque quella di un sistema di accordi interregionali, al quale la Germania riunificata parteciperebbe come potenza «occidentale».
L’Assemblea Consultiva non doveva votare alcun testo a conclusione del suo dibattito politico. Il largo scambio di idee che ne è scaturito, è valso a giustificare quella funzione di fòro parlamentare europeo che il Ministro degli Esteri britannico le ha riconosciuto.
Anche il Presidente Guy Mollet ha reso atto ai Ministri del particolare significato della loro presenza sui banchi dell’Assemblea, il giorno stesso in cui questa ha cercato di rispondere alla sua vera vocazione «consultiva», nel quadro della collaborazione europea e alla vigilia della Conferenza di Ginevra.
Dal 7 al 9 luglio l’Assemblea ha proseguito i suoi lavori di «ordinaria amministrazione», occupandosi dell’esame del VI rapporto annuale dell’O.E.C.E., del rapporto del Rappresentante Speciale del Consiglio d’Europa per i profughi e la sovrapopolazione, del parere della Commissione degli Affari Generali sul funzionamento del Consiglio d’Europa, di questioni culturali e giuridiche, ecc.
Il Signor Bonnefous, Ministro francese delle Poste, e membro dell’Assemblea Consultiva, ha proposto, nella sua qualità di parlamentare, un piano per la creazione di una organizzazione europea in materia di comunicazioni postali, telecomunicazioni e televisione. L’organizzazione dovrebbe avere la doppia funzione di assicurare un regolare scambio di informazioni tra le amministrazioni nazionali, e costituire la sede di iniziative comuni per una più stretta collaborazione europea, nel campo postale, telefonico, ecc.
Esempio eloquente, questo, se ve ne fosse stato bisogno, della tendenza verso la «tecnicizzazione» spicciola della politica di unificazione europea.
Come da me anche riferito con il telegramma n. 39 del 9 corrente6, il Ministro del Commercio Estero belga, Signor Larock, presentando il rapporto dell’O.E.C.E., si è espresso in termini di costruttivo elogio sul Piano Vanoni, ed ha messo in risalto il realismo dei suoi obbiettivi, e l’importanza, non solo per l’Italia ma anche per l’Europa, di una sua piena attuazione.
Trasmetto con telespresso odierno n. 643/4187, i resoconti della sessione dell’Assemblea, e i testi delle risoluzioni, raccomandazioni e pareri da questa votati.
Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.
Cittadini Cesi
1 Copia di questo rapporto fu ritrasmessa da Cittadini Cesi a Quaroni con R. 655 del 12 luglio, con l’aggiunta delle seguenti considerazioni: «Hanno parlato all’Assemblea, in questa occasione, i Ministri degli Esteri britannico, francese, tedesco, olandese e norvegese. Partecipazione eccezionale per il nostro “Parlamento europeo”! Ho cercato di fissare alcune impressioni tratte dall’andamento del dibattito, sopratutto in relazione alle prospettive di un allargamento del Consiglio ed allo sviluppo della politica di unificazione».
2 Vedi D. 53.
3 Vedi D. 61.
4 T. segreto 10949/38 del 9 luglio, con il quale Cittadini Cesi aveva riferito sulla questione dell’associazione della Jugoslavia al Consiglio d’Europa e su come i Rappresentanti britannico e francese, propensi al suo inserimento, avessero ventilato la modalità di una riunione mista di una delegazione dell’Assemblea Consultiva con una dell’Assemblea balcanica.
5 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.
6 Manca nella raccolta telegrafica.
7 Non pubblicato.
IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, SORO,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI
Telespr. 44/102661. Roma, 12 luglio 1955.
Oggetto: Commissione Intergovernativa per l’integrazione economica europea.
Si trasmette, per opportuna conoscenza e documentazione di codesta Rappresentanza, il comunicato relativo alle decisioni prese nel corso della riunione del Comitato dei Capi delle Delegazioni tenuta a Bruxelles il 9 luglio u.s.
Si trasmette inoltre il testo della dichiarazione fatta dal Rappresentante del Governo Federale tedesco, Segretario di Stato Hallstein, all’inizio della predetta riunione.
Allegato I
SOMMAIRE DES DÉCISIONS
PRISES LORS DE LA RÉUNION DU COMITÉ DES CHEFS DES DÉLÉGATIONS
TENUE LE 9 JUILLET 1955 À 10 HEURES
1) Organisation du Travail.
a) Il est décidé de créer un Comité Directeur.
Composition: le Comité Directeur, placé sous la présidence de M. P.-H. SPAAK, comprendra les chefs des délégations nationales. Le Royaume-Uni sera représenté au sein de ce Comité.
Rôle: le Comité Directeur animera, dirigera, coordonnera et suivra de manière régulière le travail des Commissions. Il tiendra à cet effet des réunions fréquentes.
Il est convenu que le Comité Directeur se réunira le lundi 18 juillet 1955, à 15 heures. Les Présidents des Commissions participeront à cette réunion. A cette occasion, le Comité Directeur procédera à l’examen des propositions soumises par les délégations en ce qui concerne la mise en œuvre des décisions prises par la Conférence de Messine, et établira les premières directives à l’intention de chaque Commission. (Les propositions qui n’auront pu être présentées pour cette date seront examinées ultérieurement).
b) Il est décidé d’instituer les Commissions suivantes:
- une Commission du Marché Commun, des Investissements et des problèmes sociaux;
- une Commission de l’énergie classique;
- une Commission de l’énergie nucléaire;
- une Commission des Transports et des Travaux publics (en allemand: Verkehr und Verkehrswege).
En outre, il est décidé
- qu’une sous-commission des investissements et une sous-commission des problèmes sociaux seront créées dans le cadre de la Commission du Marché Commun, des Investissements et des problèmes sociaux;
- qu’une sous-commission des transports aériens sera créée dans le cadre de la Commission des Transports et des Travaux publics.
2) Mode et procédure de participation de la Haute Autorité de la C.E.C.A. et des Secrétariats généraux de l’O.E.C.E., du Conseil de l’Europe, ainsi que de la Conférence Européenne des Ministres des Transports. Il est décidé d’associer aussi étroitement que possible les organismes internationaux précités aux travaux de la Conférence. La Haute Autorité de la C.E.C.A. sera invitée à siéger au Comité Directeur avec voix consultative. Ses experts seront appelés à prendre part aux travaux des commissions et sous-commissions.
Il sera fait appel aux Secrétariats généraux de l’O.E.C.E., du Conseil de l’Europe et à la Conférence Européenne des Ministres des Transports, afin que l’expérience acquise par ces organisations puisse être pleinement utilisée tant par le Comité Directeur que par les commissions et sous-commissions.
3) Inventaire des organismes existants et des résultats obtenus. Il est décidé de charger le Secrétariat d’établir, pour la prochaine réunion du Comité Directeur, un inventaire des organismes existants et des résultats obtenus par eux dans les divers domaines visés par la Résolution de Messine.
4) Calendrier des travaux.
Le Comité Directeur se réunira le 18 juillet 1955 à 15 heures. Les Commissions devront être prêtes à commencer leurs travaux à Bruxelles le 20 juillet. Par la suite, les travaux se dérouleront, en principe, du mardi au vendredi de chaque semaine avec interruption du 6 août au soir au 22 août inclus.
5) Réunion ministérielle intérimaire.
Si une réunion a lieu à la Haye le 6 septembre 1955, le Président présentera à ses collègues un rapport verbal sur l’état d’avancement des travaux.
Allegato II
DECLARATION DE M. HALLSTEIN
REPRESENTANT DU GOUVERNEMENT ALLEMAND
À LA RÉUNION DES CHEFS DES DÉLEGATIONS AU COMITÉ
ISSU DE LA CONFÉRENCE DE MESSINE LE 9 JUILLET 1955
Monsieur le President, Messieurs,
Vous vous êtes réunis aujourd’hui pour discuter de l’organisation de la conférence et de sa procédure future. Permettez-moi d’essayer de contribuer au succès de ces efforts en faisant quelques remarques de principe qui ne touchent pas encore ces problèmes techniques.
Ces remarques on trait à l’esprit avec lequel le Gouvernement fédéral aborde la question de l’exécution de la résolution de Messine. Au fond le Gouvernement fédéral croyait avoir précisé son point de vue, sans équivoque possible, dans les déclarations de ses organes compétents et dans son mémorandum2. Mais nous ne sommes maîtres que de nos propres paroles; nous ne sommes pas maîtres des interprétations que leur donne l’opinion publique. Il ne faut peut-être pas trop s’étonner que dans la situation politique actuelle, où existent ou semblent du moins exister des possibilités d’évolution diverses, on rencontre, ça et là, l’interprétation fausse que le Gouvernement fédéral ne poursuit plus avec la même rigueur son ancienne politique visant l’intégration solide de l’Europe. Mais c’est précisément dans cette situation que je viens d’évoquer qu’une telle erreur ne doit pas subsister dans les esprits, et le Gouvernement fédéral désire faire tout ce qui est en son pouvoir afin qu’elle disparaisse partout et pour toujours. C’est dans ce but que le Ministre fédéral des Affaires Etrangères, Monsieur von Brentano, a fait une déclaration, mercredi, devant l’Assemblée Commune du Conseil de l’Europe à Strasbourg3. C’est dans ce but que Monsieur le Chancelier fédéral m’a délégué ici pour préciser encore une fois devant vous de façon claire et nette la grande ligne de la politique du Gouvernement fédéral. Cette ligne politique ne consiste pas seulement dans l’acceptation sans réserve de la résolution adoptée à Messine, mais encore dans la ferme volonté de donner, dans les limites du possible, la préférence à la solution européenne partout où se présenteraient des alternatives en vertu de cette résolution.
Comme je l’ai déjà déclaré à Messine, le Gouvernement fédéral est fermement convaincu qu’il faut reprendre l’idée de l’intégration en faisant un pas décisif, dès maintenant et dans le cadre dans lequel nous sommes réunis ici même. C’est là une nécessité économique, mais avant tout une nécessité politique.
Je répète ce que j’ai déjà dit à Messine à ce sujet. Il ne peut y avoir de véritable paix dans le monde sans un équilibre stable entre l’est de l’ouest. Cet équilibre n’est possible qu’avec une Europe unie et qui serait un poids dans la balance.
C’est sous l’aspect de cette nécessité politique, que le Gouvernement fédéral conçoit l’interprétation et l’exécution de la résolution de Messine.
Si nous nous en tenons à cet aspect, le malentendu selon lequel nos efforts iraient à l’encontre des aspirations poursuivies dans le cadre plus étendu des organisations du G.A.T.T. et de l’O.E.C.E., n’existe plus. Car à l’avis du Gouvernement fédéral ces aspirations purement économiques ont besoin d’être complétées sous l’aspect politique par les liens plus étroits que nous nous efforçons de nouer en vue de l’unification de l’Europe. Des deux sont nécessaires; d’une part l’établissement général de libres relations économiques dans un monde occidental libre; d’autre part la création d’une Europe unie sur le plan politique et qui deviendrait une partie intégrante de ce système du monde occidental libre. Les deux se complètent et se soutiennent l’un l’autre.
De même cet aspect politique à l’échelon européen nous donnera bien des fois un critérium pour juger des points de détail dont auront à s’occuper les experts. Eux également ne devront jamais perdre de vue qu’il ne s’agit pas seulement de savoir si telle ou telle solution serait préférable du point de vue économique ou technique mais aussi et avant tout si la solution contribue à l’unification de l’Europe telle que nous voulons la réaliser dans ce cadre-ci. Certes, une solution techniquement mauvaise est aussi sans valeur du point de vue politique. Mais souvent différentes solutions techniques vont s’offrir, où il restera à discuter si l’une est vraiment bien supérieure à l’autre. Dans tous ces cas il faudrait, avant tout autre, prendre en considération celle des solutions qui est susceptible de hâter et de raffermir l’intégration politique des États ici réunis.
Enfin, le respect de cet aspect politique européen que je viens de vous exposer – et j’amerais le souligner au nom du Gouvernement fédéral – constitue la clé pour l’interprétation de notre mémorandum et de notre prise de position. Il est par conséquent franchement absurde d’avoir parfois pensé que le Gouvernement fédéral s’était déclaré – en contradiction avec sa politique antérieure – en principe contre toute solution supranationale dans tel ou tel domaine. Je répète que ceci est une absurdité. Car comment peut-on poser l’unification de l’Europe comme postulat politique et en même temps se proposer de ne pas s’écarter de la conception de l’État national! Aucun organe allemand responsable n’a jamais songé à une telle absurdité. Même si par occasion l’idée d’une intégration dans certains domaines spécialisés a été considérée comme moins désirable, ce n’était pas parce qu’une telle intégration partielle eût paru trop européenne aux partisans de ce point de vue, mais au contraire parce que, à leur avis, les solutions envisagées étaient désavantageuses, voire nuisibles. Il est en effet inconcevable de bâtir l’unité de l’Europe en multipliant successivement, sans lien entre elles, les intégrations dans des domaines spécialisés, le charbon et l’acier d’abord, et ensuite les textiles, les machines-outils, etc. – ayant chacune son marché partiel spécial et sa propre Haute Autorité; et on n’est pas nécessairement un mauvais Européen si on le dit. On rend au contraire même service à l’idée d’une intégration européenne efficace si l’on maintient, ici encore, que cette idée est une idée politique, plus ample et visant un tout; et que ce que nous faisons, même les intégrations partielles là où elles sont nécessaires (p.ex. dans le domaine de l’énergie atomique), devra s’insérer dans cet ensemble.
Permettez-moi de vous illustrer brièvement cette conception en me référant aux détails du mémorandum allemand.
Pour ce qui en est du problème des transports et de l’énergie traditionelle, nous partageons ainsi qu’il ressort du mémorandum, essentiellement l’opinion exposée dans le mémorandum des États du Benelux; notamment en ce qui concerne les institutions, la question est, à notre avis, également encore en suspens. Quant au problème du domaine de loin le plus important des intégrations partielles, le domaine de l’énergie atomique, le Gouvernement fédéral était dès le début d’accord avec la conception exprimée dans le mémorandum du Benelux, à savoir qu’une organisation européenne avec des organes européens ayant le pouvoir de décision et des moyens d’action européenne est désirable et nécessaire.
C’est avec le même esprit que nous abordons le problème de l’intégration économique générale. Là encore, nous n’avons nullement rejeté l’idée d’organes supranationaux. Nous sommes, au contraire, d’avis qu’un véritable marché commun, ayant des règles communes, doit avoir sous une forme ou une autre des organes supranationaux communs, qui garantissent le respect de ces règles communes ainsi que leur fonctionnement. Si, dans notre mémorandum, nous n’avions pas dès le début proposé l’institution de tels organes, mais d’abord, l’institution d’un Comité consultatif, qui devait, par la suite, faire les propositions institutionnelles, il ne s’agissait là que d’une différence du méthode. Il semblait préférable que l’élaboration et l’adoption à l’unanimité des règles nécessaires pour le marché commun soient préparées d’abord par un Comité consultatif, qui aurait sous ce rapport à étudier les organes supranationaux nécessaires au fonctionnement de cette réglementation.
Le Comité consultatif n’était donc envisagé qu’à titre d’étape et non comme objectif final. S’il s’avèrait possible de rendre cette étape superflue par les progrès rapides de la Conférence, personne n’en serait plus heureux que nous.
Je suis arrivé à la fin de ce que j’avais voulu vous dire. A l’avis du Gouvernement fédéral, il s’agit, je le répète, de constatations évidentes. Mais à une époque aussi confuse et pleine de doutes, il n’était peute-être pas inutile de répéter que la République Fédérale poursuit son ancienne politique européenne et que c’est dans l’esprit de cette ancienne politique européenne quelle aborde la nouvelle phase de l’intégration.
1 Trasmesso alle Ambasciate a Londra, Parigi, Washington, Bonn, Bruxelles e L’Aja, alla Legazione a Lussemburgo, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E., a Parigi, e il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, e per conoscenza alle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari Economici.
2 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe V.
3 Vedi D. 56.
COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,CON L’AMBASCIATORE DEL REGNO UNITO A ROMA, CLARKE
Appunto riservato 1/27021. Roma, 12 luglio 1955.
S.E. l’Ambasciatore di Gran Bretagna, Sir Ashley Clarke, ha chiesto udienza a S.E. il Ministro che l’ha ricevuto alle ore 18,15.
L’Ambasciatore di Gran Bretagna ha iniziato il colloquio chiedendo quale fosse il nostro punto di vista sulla Conferenza di Ginevra2.
S.E. il Ministro ha rilevato che da parte del Governo italiano non si era favorevoli a concessioni sul problema della sicurezza collettiva. Anche per ciò che riguarda la riunificazione della Germania, quale presupposto per una distensione, occorreva tener presente che ciò poteva avvenire a condizione che la Germania non fosse neutralizzata, ma restasse un membro operante della Comunità atlantica.
Sir Ashley Clarke ha espresso il suo accordo sulle considerazioni di S.E. il Ministro, aggiungendo che esse erano condivise dal Governo britannico. Ha quindi chiesto se poteva essere informato circa il colloquio che il Pandit Nehru aveva avuto a Palazzo Chigi.
S.E. il Ministro lo ha brevemente messo al corrente circa il pensiero di Nehru sull’atteggiamento sovietico.
L’Ambasciatore di Gran Bretagna ha quindi chiesto se l’Italia sarebbe andata a Parigi con l’intenzione di sollevare problemi particolari. S.E. il Ministro ha rilevato che l’Italia avrebbe insistito sul concetto di sicurezza collettiva basato su garanzie reali e non semplicemente formali. Il Governo italiano avrebbe anche accennato alla questione della restituzione dei prigionieri di guerra ancora detenuti in Russia e nei paesi satelliti, questione che tanta eco aveva nel sentimento dell’opinione pubblica italiana.
Sir Ashley Clarke ha risposto di non essere informato su tale questione e che d’altronde il problema non presentava per l’Inghilterra lo stesso carattere di importanza e di urgenza, poiché pochi erano i prigionieri inglesi che dalla Germania erano stati trasferiti in Russia dopo l’avanzata delle truppe sovietiche. Egli riteneva tuttavia che era opportuno che da parte italiana si sollevasse la questione.
Circa i problemi di Estremo Oriente, l’Ambasciatore di Gran Bretagna ha detto di non ritenere probabile una loro inclusione nell’agenda della Conferenza di Ginevra.
Sir Ashley Clarke non si è dimostrato in complesso molto fiducioso sui risultati della Conferenza stessa; egli fra l’altro ha fatto osservare una strana coincidenza e cioè che ogni qualvolta una conferenza internazionale di una certa importanza stava per iniziarsi, essa era sempre preceduta dal verificarsi di azioni belliche in Indocina.
L’Ambasciatore di Gran Bretagna ha quindi chiesto a S.E. il Ministro le sue impressioni sul «rilancio» e se particolarmente fosse possibile raggiungere per quella via dei risultati apprezzabili.
S.E. il Ministro ha risposto che non si poteva realisticamente prescindere da certe difficoltà che si frapponevano alla integrazione europea, sia pure limitata per ora ai settori economici; occorreva tenere particolarmente presente in proposito l’atteggiamento talvolta non favorevole del Parlamento francese, come pure un certo raffreddarsi dell’entusiasmo europeistico della Germania. Tuttavia era necessario ed utile perseverare, poiché ciò che più importa è che l’ideale dell’unità europea rimanga vivo e, sia pure lentamente, conquisti la coscienza dei popoli.
L’Ambasciatore di Gran Bretagna ha osservato che il suo paese non era contrario all’unificazione europea, ma ciò che preoccupava l’Inghilterra era il costituirsi di organi sovranazionali ed i relativi problemi che la loro attività poteva creare. Quindi, pur partecipando alla riunione di Bruxelles, la Gran Bretagna non poteva nutrire un desiderio molto sincero di pervenire rapidamente a risultati concreti.
Nel congedarsi Sir Ashley Clarke ha pregato S.E. il Ministro di considerare le sue affermazioni come «informal».
1 Redatto da Aillaud e indirizzato alla Direzione Generale degli Affari Politici e, per conoscenza, alla Segreteria Generale.
2 Ci si riferisce al summit quadripartito di Ginevra.
IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERIE AL MINISTERO DELL’INDUSTRIA E DEL COMMERCIO
Telespr. 0036711. Lussemburgo, 12 luglio 1955.
Oggetto: Nuova presidenza dell’Alta Autorità.
La nomina di René Mayer ha suscitato, come è noto, negli ambienti interessati, aspettative e la speranza che il nuovo Presidente riesca a far risalire la china all’Alta Autorità, rifondendole energia e autorevolezza. Da parte di alcuni anzi, anche di certi organi della stampa (in Italia, «Il Sole») si è voluto di già registrare un miglioramento nel funzionamento dell’Alta Autorità.
In realtà queste valutazioni ottimistiche sembrano ancora premature. Certo il nuovo presidente ha tutte le qualità per riuscire nel suo compito, e le sue intenzioni, che egli mi ha riaffermato in un suo colloquio, danno bene a sperare. Certo René Mayer ha fatto ottima impressione alla Assemblea Comune, dove hanno brillato le sue qualità di grande parlamentare (qualità di cui era sprovvisto Monnet, sì che il paragone è andato tutto a vantaggio di Mayer). Tuttavia è ancora presto per tirare delle conclusioni.
Il decadimento dell’Alta Autorità è dovuto, come a suo tempo ho riferito, a ragioni multiple, congiuntura politica, atteggiamento dei Governi e della Corte, carenza della Presidenza ecc., ragioni interdipendenti e con reciproca influenza. Non si può dire ancora quale influenza potrà avere nella situazione complessa l’eliminazione di uno dei suddetti inconvenienti. Per dirlo, occorrerà vedere Mayer alla prova nei prossimi Consigli dei Ministri e, dato che l’Alta Autorità sarà in ferie nel mese di agosto, una visione chiara della nuova situazione non si potrà avere che in autunno.
Nel frattempo vi è però un miglioramento che non si sarebbe potuto sperare, se Monnet fosse rimasto al suo posto, ed è nell’atteggiamento del Governo francese, non solo nei confronti della Comunità carbosiderurgica ma, direi, anche nei confronti della politica integrativa europea in generale. Si è potuto, infatti, registrare a Bruxelles, in seno al Comitato del «rilancio», un atteggiamento molto collaborativo del Presidente della Delegazione francese, Gaillard, atteggiamento che non sarebbe stato pensabile se Monnet fosse stato ancora alla testa dell’Alta Autorità. Gaillard, fra l’altro, ha insistito perché all’Alta Autorità venisse fatto un posto particolarmente importante nei lavori del Comitato di Bruxelles, del cui Comitato direttore l’Alta Autorità è divenuta così membro di diritto.
Nello stesso tempo l’Alta Autorità, quasi a spianare la strada a una migliore collaborazione con la Francia, ha reso pubblico un suo studio sui risultati del mercato comune nei confronti della Francia, da cui si rileva che non solo, contrariamente a certe affermazioni, la Francia non è stata danneggiata dalla Comunità, ma, anzi, ne ha ottenuto considerevoli vantaggi.
1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Parigi.
IL MINISTRO CONSIGLIERE A PARIGI, TASSONI ESTENSE,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato 1069/6821. Parigi, 13 luglio 1955.
Oggetto: Francia ed integrazione europea.
La brevissima e piuttosto simbolica Conferenza di Bruxelles2 ha indubbiamente costituito un episodio di quel «rilancio» europeistico che, visto dalla Francia, rappresenta un effettivo miracolo ove si pensi a quella che era l’atmosfera dopo la sconfitta della C.E.D. al Parlamento francese. Direi che l’elemento principale di tale ripresa è Pinay con il suo buon senso e proprio per la sua «moderazione» nel volere si facciano passi solidi sul terreno dell’integrazione europea. Egli non spaventa nessuno, non è di quegli europeisti che vogliono tutto o nulla ed è l’espressione di una benevola posizione, non per questo meno attiva, di fronte alle possibilità progressive di integrazione.
Occorre tuttavia segnalare che, almeno a quanto si può giudicare da qui, la posizione francese a Bruxelles si è trovata tardiva e prudente di fronte a quella, ad esempio, del Benelux. Gaillard, tornato da Bruxelles, ha precisato che l’integrazione dell’Europa deve avvenire o settore per settore, oppure allargando progressivamente il già esistente mercato comune. Anzi, la formula francese è piuttosto la prima, perché la limitata esperienza del mercato comune ha fatto ritenere a molti ambienti politico-economici francesi che non convenga imporre sin d’ora formule uniformi ad economie che non sono ancora complementari.
Per quanto concerne i trasporti, i francesi ritengono, dopo Bruxelles, che le raccomandazioni della Conferenza dei Ministri dei Trasporti costituiscano una base d’intesa da perfezionare, ma che non sia possibile oggi andare utilmente al di là della standardizzazione del materiale, di programmi comuni per canali ed infrastrutture aeree, dell’unificazione di regolamenti. Ma nuovi provvedimenti comuni potrebbero essere presi circa l’aviazione civile, la ripartizione delle linee aeree, ecc., senza bisogno di un bilancio comune o di azione nel quadro costrittivo della C.E.C.A.
Per quanto riguarda l’energia, direi che i francesi vorrebbero fermarsi agli accordi tecnici già conchiusi; per il petrolio, c’è un’indubbia preoccupazione per la viva concorrenza delle raffinerie italiane e per la concorrenza, che rappresenterebbe, per il carbone francese, un grande sviluppo del consumo di prodotti del petrolio attraverso una comunità europea particolare. Ma accetterebbero, sembra, un mercato comune per i prodotti raffinati. Per il gas, molti ambienti sarebbero disposti ad istituire, nel quadro della C.E.C.A., ma senza estenderne le competenze, un organo di coordinamento. Analoghi organi di coordinamento potrebbero essere accettati, del resto, per energia elettrica e petrolio. Il Governo francese, a quanto si apprende indirettamente, sarebbe definitivamente favorevole alla creazione di un fondo comune per il finanziamento delle ricerche ed installazioni atomiche e per le altre formule concordate di massima, al riguardo, a Messina. Il fondo dovrebbe essere gestito da una comune autorità senza monopolio di acquisto delle materie atomiche di base (c’è, in questa idea, un retropensiero al Belgio, i cui recenti accordi atomici con Stati Uniti e Gran Bretagna hanno qui sollevato i noti malumori).
Queste sono voci correnti in interessanti ambienti della politica industriale, ma non c’è da scoraggiarsi, perché il rilancio europeistico, di cui parlavo, è, inspiegabilmente ma gradevolmente, in corso. Non c’è da farsi nessuna illusione: come dappertutto, il Parlamento e l’opinione pubblica francese sono estremamente mutevoli, ma per ora il corso è, per quanto lento, favorevole.
1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.
2 Vedi D. 55.
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE, LEGAZIONIE UFFICI CENTRALI
Telespr. 21/11501. Roma, 14 luglio 1955.
Oggetto: I sessione dell’Assemblea U.E.O.
Il 5 luglio u.s. l’Assemblea dell’U.E.O. ha tenuto a Strasburgo la propria seduta inaugurale2. L’Assemblea è composta, com’è noto, degli stessi rappresentanti presso l’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa dei sette paesi dell’U.E.O. ossia di 18 parlamentari per ciascuno dei seguenti paesi: Italia, Francia, Germania ed Inghilterra, 7 per l’Olanda, 7 per il Belgio e 3 per il Lussemburgo.
A questi 89 membri, si aggiungeranno i 3 parlamentari sarresi, che già fanno parte dell’Assemblea Consultiva, quando i cinque Stati U.E.O., non firmatari dell’Accordo franco-tedesco sullo Statuto della Sarre, daranno il loro consenso all’art. 3 lettera c) punto 2 dell’Accordo stesso che dispone in tal senso.
2) La seduta è stata aperta dal decano di età Sen. Boggiano Pico, il quale ha illustrato in una breve allocuzione le origini ed i compiti dell’U.E.O. nonché in particolare quelli della sua Assemblea.
Si è quindi proceduto all’elezione del Presidente adottando provvisoriamente le disposizioni del Regolamento dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa che prevedono il voto a scrutinio segreto. Peraltro, essendo stata presentata una sola candidatura, quella del «nazional liberale e conservatore» inglese Maclay, si è provveduto ad eleggerlo per acclamazione.
L’elezione di Maclay era scontata poiché egli si era posto in vista come relatore della Commissione degli Affari Generali dell’Assemblea Consultiva che aveva preparato il testo della Risoluzione 67, adottata 1’11 dicembre u.s., sull’organizzazione dell’Assemblea dell’U.E.O. Tale Risoluzione è stata presa come base dei lavori della Commissione ad interim dell’U.E.O. che – prima dell’entrata in vigore dei Protocolli istitutivi dell’U.E.O. – ha tra l’altro esaminato vari problemi relativi alla costituenda Assemblea.
Nella scelta di Maclay si è d’altronde anche tenuto presente l’opportunità di assicurare a ciascuno dei tre grandi gruppi in cui si dividono i parlamentari europeisti (democristiani, socialisti e liberali, termine impreciso col quale vengono indicati tutti coloro che non appartengono ai primi due gruppi) la presidenza di una delle tre Assemblee europee: infatti quella dell’Assemblea Comune è affidata al democristiano Pella e quella dell’Assemblea Consultiva al socialista Guy Mollet.
3) Successivamente sono stati eletti i seguenti sei Vice Presidenti:
Boggiano Pico - democristiano - Italia
Bichet - M.R.P. - Francia
Bohy - socialista - Belgio
Lütkens - social-democratico - Germania
Fens - popolare cattolico - Paesi Bassi
Schaus - liberale - Lussemburgo
In tal modo l’intero Ufficio della Presidenza viene ad essere composto di sette membri, uno per ogni Stato U.E.O.
4) Ha quindi preso la parola Spaak per leggere, nella sua qualità di Presidente di turno del Consiglio U.E.O., il messaggio del Consiglio stesso all’Assemblea. Egli ha fatto presente che l’U.E.O. contiene nei suoi testi immense possibilità e che tocca ai Ministri in Consiglio ed ai Rappresentanti in Assemblea di trasformarle in realtà; frattanto l’Unione deve affrontare due compiti precisi ed immediati: il controllo degli armamenti ed il controllo delle attività della Commissione europea per il referendum nella Sarre e del Commissario della Sarre. Su tutti questi problemi – egli ha detto – riusciranno gradite le osservazioni, le eventuali critiche e gli incoraggiamenti da parte dei parlamentari.
Nel messaggio venivano infine menzionati, a titolo indicativo, alcuni punti sui quali il Consiglio, criticando la Risoluzione 67 più su ricordata, ha inteso attirare l’attenzione dell’Assemblea. E precisamente è stato fatto conoscere che:
a) i Governi sono favorevoli alla completa indipendenza dell’Assemblea dell’U.E.O. anche se si utilizzino i servizi amministrativi del Consiglio d’Europa. Pertanto l’Assemblea deve avere il suo Segretariato totalmente distinto da quello dell’Assemblea Consultiva;
b) sono invece contrari all’idea di sottoporre all’Assemblea il bilancio annuale dell’U.E.O. prima della sua adozione da parte del Consiglio;
c) sono altresì contrari all’idea di concedere all’Assemblea la facoltà di convocare funzionari dell’U.E.O. per averne informazioni sulle attività in corso.
5) Da ultimo è stato deciso di affidare all’Ufficio della Presidenza l’incarico di mettere a punto delle proposte, da sottoporre all’Assemblea in una sua successiva seduta, relativamente alla nomina del Segretario ed alla costituzione di una commissione provvisoria d’organizzazione incaricata di elaborare il regolamento dell’Assemblea e di organizzare le varie commissioni.
6) Tra la prima e la seconda seduta l’Ufficio della Presidenza ha provveduto alla costituzione della predetta Commissione d’organizzazione sulla base di designazioni fatte dalle Delegazioni nazionali. Essa è risultata composta come segue:
Italia: Azara (democristiano), Montini (democristiano), Treves (social-democratico);
Francia: Charpentier (M.R.P.), Jacquet (socialista), Mutter (indipendente contadino);
Germania: Becker (liberal-democratico), Kopf (democratico), Schmid (social-democratico);
Gran Bretagna: Boothby (conservatore), Hutchison (conservatore), Thomson (laburista);
Belgio: Bohy (socialista), Struye (socialcristiano);
Olanda: van der Goes van Naters (laburista), Schmal (cristiano storico);
Lussemburgo: van Kauvenberg (socialista).
Molto più complesso ed in fondo improvvisato è stato il lavoro condotto dall’Ufficio della Presidenza per raccogliere i nomi dei possibili candidati al posto di Segretario dell’Assemblea. In definitiva, il nominativo che è sembrato avere maggiori probabilità di successo è stato quello di Sforzino Sforza, attualmente Capo di Gabinetto del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.
7) In aula, nel corso della 2ª seduta, la composizione della Commissione di organizzazione è stata approvata, malgrado alcune critiche sollevate dai liberali che si sono lamentati di non esservi sufficientemente rappresentati.
La questione della nomina del Segretario dell’Assemblea è stata invece fermata da una mozione del laburista inglese Morrison il quale ne ha proposto il rinvio alla prossima sessione «considerando l’importanza di una simile nomina per l’efficienza del lavoro dell’Assemblea» ed affinché l’Ufficio della Presidenza potesse presentare in merito, d’accordo con la Commissione d’organizzazione, un apposito rapporto.
In realtà è questo un ulteriore esempio delle difficoltà che si manifestano in seno alle organizzazioni internazionali ogni volta che si debba provvedere alla copertura di una carica: i singoli paesi infatti non dimostrano in proposito quel senso di solidarietà che sarebbe invece auspicabile.
8) Concludendo sembra che si voglia indirizzare la nuova Assemblea soprattutto verso la trattazione di alcuni specifici problemi diversi da quelli dell’Assemblea Consultiva e precisamente verso quelli relativi al controllo degli armamenti ed allo Statuto europeo della Sarre.
Non sembra, invece, che i parlamentari siano, in linea di massima, propensi alla costituzione di commissioni per i problemi culturali e sociali dato che già ne esistono di analoghe in seno all’Assemblea Consultiva.
La questione verrà ora messa allo studio della Commissione di organizzazione. Da parte nostra, pur tenendo sempre presente la necessità di evitare i doppioni, non vedremmo in questo caso con disfavore la costituzione di commissioni parlamentari distinte, dato che le stesse materie possono in pratica essere trattate in forma diversa in seno all’U.E.O. ed in seno al Consiglio d’Europa e soprattutto perché l’U.E.O. ha ereditato dall’organizzazione del Trattato di Bruxelles un Comitato culturale ed un Comitato sociale che funzionano in forma abbastanza snella ed hanno già svolto parecchio lavoro.
1 Diretto alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Belgrado, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Madrid, Ottawa, Parigi, Vienna, Washington, alla Rappresentanza presso la N.A.T.O., a Parigi, alle Legazioni a Copenaghen, Lisbona, Dublino, Lussemburgo, Oslo, Stoccolma, alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici, dell’Emigrazione, delle Relazioni Culturali e al Servizio Stampa.
2 Vedi D. 53.
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 11611/1331. Bruxelles, 20 luglio 1955, ore 18,30 (perv. ore 22,20).
Oggetto: Riunione Comitati.
In tre riunioni sotto presidenza Spaak, Comitato Direttivo ha discusso e definito termine mandato per quattro Commissioni tre Sottocommissioni che si riuniranno a partire da oggi.
Ampiezza mandato affidato a singole Commissioni varia secondo materia: per energia classica e trasporto, ad esempio, lavori della Commissione dovranno svilupparsi nel quadro iniziative già in corso da parte C.E.C.A., O.E.C.E. e C.E.M.T. Per mercato comune viene ripresa impostazione di massima che era stata data da Commissione economica della C.E.C.A., ma con maggiore rilievo a questione sociale e a fondo di investimento europeo. Per energia nucleare francesi hanno presentato progetto molto vasto2, mentre belgi si mostrano più cauti e conservativi. Per ciascuna Commissione direttive sono di larga massima e potranno essere modificate secondo svolgimento lavori. Atmosfera continua essere pienamente cooperativa, ogni Delegazione mettendo naturalmente accento su problema che la riguarda più da vicino. Per quanto ci concerne ci è stato dato atto della posizione speciale con cui Italia si presenta all’apertura di un mercato comune europeo; e specialmente da parte belga è stata sottolineata necessità sforzi congiunti diretti alzare tono economico nostra zona depressa. In quest’ordine di idee belgi si sono dichiarati favorevoli utilizzare fondo europeo di investimento anche per sviluppare regioni meno favorite; mentre francesi hanno mostrato loro preferenza per un fondo riabilitazione inteso correggere turbamenti provocati da apertura mercato comune e tedeschi non hanno celato loro esitazione ogni qualvolta si è parlato di fondo comune, salvo quello per energia nucleare.
Delegazione inglese ha persistito nel suo atteggiamento riservato salvo quando ha mostrato proprio disappunto verso proposta francese su coordinamento costruzioni aeronautiche europee e quando ha accennato a sua preferenza collaborare con gruppo inchiesta O.E.C.E. su energia nucleare piuttosto che con Commissione Bruxelles.
Comitato Direttivo verrà probabilmente riconvocato nella prima settimana agosto3.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.
2 Documento n. 15, presentato il 18 luglio al Comitato Intergovernativo dalla Delegazione francese, non pubblicato.
3 Vedi D. 71.
L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. 3725/18051. Londra, 21 luglio 1955.
Oggetto: Germania e U.E.O.
Gli Ambasciatori a Bonn e a Washington, nei loro più recenti rapporti, hanno giustamente messo in luce il processo di valorizzazione della posizione tedesca che è attualmente in corso.
Si tratta di un fenomeno che non può sorprendere e di cui ci eravamo resi conto prima ancora che la Germania entrasse a far parte del sistema occidentale: anzi all’indomani stesso della dichiarazione tripartita di Washington, che apriva la porta al riarmo tedesco.
Questi sviluppi della situazione germanica sono del resto nell’ordine naturale delle cose. Essi derivano dal prestigio militare che la sconfitta non ha offuscato e da fattori geografici che sono peculiari alla Germania. Noi abbiamo raggiunto la parità di diritti con un notevolissimo anticipo rispetto ai tedeschi anche se a costo di grandi sacrifici (che peraltro non sono stati risparmiati alla Germania), ed abbiamo, sopratutto, evitato il travaglio di una lunga occupazione militare e di una divisione del territorio nazionale. Purtroppo, però, neppure oggi siamo in grado di avvalerci di quei fattori di prestigio militare, di stabilità politica e di forza economica che hanno segnato invece la ripresa della Germania sul piano internazionale. Abbiamo poi avuto un altro svantaggio. Le nostre pendenze territoriali, anche se risolte (il che non si è ancora verificato per la Germania), ci hanno portato in contrasto con i nostri alleati. Al contrario, l’unità tedesca è un problema che, con maggiore o minore sincerità, alimenta comunque una costante solidarietà tra Bonn, Washington, Londra e Parigi. Nella soluzione della questione triestina e di quella coloniale non avemmo gli alleati con noi, i tedeschi nel problema della riunificazione li trovano con loro; il nostro legittimo nazionalismo ha indebolito per anni la nostra posizione internazionale, quello tedesco la rafforza ed è destinato a rafforzarla per molto tempo ancora.
Viene anzi fatto di pensare che, se la politica sovietica fosse veramente intelligente e lungimirante, si indurrebbe ad accettare l’unificazione tedesca anche alle condizioni poste dagli alleati perché il rischio di una Germania troppo forte potrebbe costituire il miglior stimolo per una intesa dell’Occidente con Mosca. (Ed è a questo del resto che pensa Eden quando parla di una garanzia quadripartita tipo Locarno). La Germania divisa può divenire invece un pegno nella lotta tra i due blocchi; ed offrirle la possibilità di giuocare sui due fronti.
In questo senso, le condizioni attuali rappresentano per la Germania di Adenauer un «optimum». Non è abbastanza forte per dar ombra agli alleati occidentali (ad eccezione, forse, della Francia), ma è abbastanza forte perché il suo contributo politico, geografico e, tra poco, anche militare possa rappresentare un fattore concreto e notevolissimo dell’equilibrio europeo.
È difficile prevedere che cosa uscirà fuori da Ginevra. Ma è certo che una sistemazione, quale che debba essere, non sarà il risultato di una miracolistica decisione al tavolo della conferenza e che la distensione, se ad essa si giungerà, sarà la conclusione di un processo lungo e laborioso. È nel corso di tale processo – e proprio in virtù di esso – che dobbiamo prevedere una continuata affermazione del prestigio e delle posizioni tedesche: e dobbiamo sopratutto prevedere che quella eventualità, ventilata dall’Ambasciatore Brosio, di una specie di «standing group de facto», con partecipazione della Germania si realizzi concretamente.
Né potremo far molto per evitarlo. Quando gli inglesi (e il linguaggio è analogo a Parigi e Washington) ci dicono non essere opportuno che alcuna decisione sulla Germania sia presa senza che Adenauer venga consultato, essi non ricorrono a formule di circostanza, bensì dicono qualcosa che risponde alla logica ed alla necessità obiettiva, poiché, ripeto, l’equilibrio europeo – ed in larga misura quello mondiale – dipendono da ciò che accadrà della Germania ed in Germania.
Se la crescente influenza tedesca è dunque un fatto positivo ed incontestabile non è detto che nulla possiamo fare per limitare le conseguenze e i rischi di questo processo di riqualificazione. L’Ambasciatore Grazzi pone l’accento sulla necessità di vitalizzare l’U.E.O. in quanto strumento della politica europea. Sono pienamente d’accordo con lui. Già il 5 maggio scorso (mio rapporto 2271/1061)2 scrivevo: «Quella (l’U.E.O.) mi sembra la migliore sede per un coordinamento della politica alleata nei riguardi dei problemi Est-Ovest. Tali problemi hanno il loro fulcro nella questione tedesca. Fino a quando la Germania era considerata paese occupato, Londra (al pari di Parigi e Washington) poteva logicamente sostenere che la questione tedesca rientrava preminentemente nelle responsabilità delle tre potenze. Ma adesso che la Germania è entrata nell’U.E.O., tutti i paesi membri di tale organizzazione possono pretendere di avere una voce in capitolo, se non altro perché l’avvenire tedesco incide direttamente sui piani politici e militari dell’Occidente di cui tutti sono ugualmente, anche se in diversa misura, responsabili. Su questo punto mi pare dovremmo cautamente insistere anche per evitare che nei massimi problemi internazionali ad un direttorio occidentale a tre se ne sostituisca uno a quattro: con l’aggiunta cioè della Germania».
Dal punto di vista della politica continentale e, particolarmente, nella legittima preoccupazione di mantenere un certo equilibrio tra le forze in Europa, l’U.E.O. presenta il notevole vantaggio di costituire un «club» ristretto in cui non soltanto il peso specifico dell’Italia può essere maggiore, ma altresì l’azione politica del nostro paese può farsi sentire in maniera più efficace e diretta. Intendo dire che la carta dell’unione europea può essere giuocata anche in funzione moderatrice del peso politico oltre che militare tedesco. Ora è appunto nella valutazione della funzione politica dell’U.E.O. che sussiste ancora notevole incertezza. Si era visto l’U.E.O. come lo strumento di ricambio dell’integrazione europea. Questa integrazione, per i noti motivi, segna ora il passo e da qualche parte si è, per conseguenza, portati a giudicare l’U.E.O. con meno interesse. Per noi invece – e non per noi soltanto – l’interesse politico deve essere tenuto quanto mai presente perché se l’integrazione rappresenterebbe il metodo più sicuro per tenere a freno la Germania, la cooperazione a sette può, «faute de mieux», rappresentare intanto un fattore efficace di moderazione.
Mi rendo conto che il punto debole di tale ragionamento consiste nel fatto che gli Stati Uniti non fanno parte dell’U.E.O. Ciò può trattenere taluni Governi dal condividere la nostra tesi, e la Germania, per parte sua, ha interesse a muoversi sulla piattaforma del N.A.T.O., più che su quella dell’U.E.O., per continuare a sviluppare, nella maggiore libertà offertale in quella sede, il dialogo con Washington. Ma noi dovremmo poter trovare, con opera persuasiva, appoggi proprio nel più ristretto circolo dell’U.E.O., in quanto se possiamo nutrire qualche apprensione per la crescente influenza tedesca, tale apprensione non si limita soltanto a noi. Gli stessi inglesi, che sono oggi pienamente solidali con gli Stati Uniti nell’appoggiare la politica di Adenauer, sono pur sempre molto sensibili ai pericoli di una eccessiva affermazione dell’influenza tedesca e avranno certo interesse ad un nostro fiancheggiamento nella delicata ricerca dell’equilibrio fra Francia e Germania.
Quale sia tuttavia l’azione da svolgere, noi non dobbiamo cercare risultati immediati o spettacolari e di prestigio. La nostra non può essere che un’azione cauta e paziente diretta per il momento a «fare le ossa» di questo giovane organismo che ancora non ha completato la propria struttura tecnica ed a mala pena sta sperimentando le proprie possibilità in campo politico. Quello che per il momento conta è mettere in moto la macchina, attivamente contribuendo a far sì che, sul piano pratico, si crei quel complesso di interessi e di legami nei quali realizzare i risultati a cui miriamo.
1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Bonn, Parigi e Washington.
2 Non pubblicato.
IL CONSIGLIERE DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., DUCCI1,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 11710/1342. Bruxelles, 22 luglio 1955, ore 12,35 (perv. ore 16).
Oggetto: Riunione Commissioni.
Tre delle quattro Commissioni si sono aggiornate a settimana prossima dopo primo scambio di vedute. Commissione energia nucleare è riconvocata per venerdì 29, entro mercoledì dovrà pervenire breve rapporto circa regolamentazione interna nel campo energia nucleare e circa accordo internazionale cui Italia è parte. Consiglio ricerche nucleari informato telegraficamente.
Su svolgimento lavori Commissione energia classica, che procedono con qualche esitazione essendosi riconosciuta opportunità subordinarli a andamento studi in corso presso C.E.C.A. e O.E.C.E., e su eventuale partecipazione altri nostri Delegati sessione che avrà inizio martedì3, riferirà verbalmente Dottor Sandulli. Commissione trasporti ha avviato lavori per compilazione inventari delle vie e mezzi di comunicazione di interesse europeo. Ogni Delegazione presenterà entro 15 agosto inventari per quanto riguarda proprio paese. Commissione ha anche deciso convocare per mercoledì 27 gruppo lavori (Santoni) per preparare un documento concernente investimento ed altri circa difficoltà transito frontiera, da esaminarsi giorno 28 da Commissione plenaria4.
1 Membro della Delegazione italiana al Comitato Intergovernativo.
2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.
3 Il 25 luglio.
4 Per il riepilogo dello stato dei lavori delle varie Commissioni al 31 luglio vedi D. 69.
IL CONSIGLIERE DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 11797/1371. Bruxelles, 23 luglio 1955, ore 11,40 (perv. ore 14,45).
Oggetto: Commissione mercato comune.
Dibattiti Commissione mercato comune si sono iniziati in atmosfera alquanto incoraggiante soprattutto se si (manca) l’ombra di una persistente opposizione francese di principio è scomparsa; e Clappier non (dico non) avuto difficoltà ad ammettere che ciò è dovuto migliorata congiuntura economica; olandesi sono receduti da loro rigida posizione a favore automatismo assoluto; tedeschi si mostrano assai cooperativi pur avendo insistito rigidamente che ogni progresso parziale verso mercato comune deve intendersi deficitario.
Su due punti è emerso accordo di massima: che gruppo Nazioni dovrà fin dall’inizio porsi in regola con G.A.T.T. e O.E.C.E. secondo uno dei sistemi consentiti (preferenza tedeschi, belgi, olandesi va a unione doganale piuttosto che a zona liberi scambi) e che quindi va stabilita data finale per restaurazione mercato comune.
Per superare le difficoltà circa rigido automatismo riduzione dogane e contingenti, belgi hanno proposto formula compromesso che ho inviato con Mattei. Secondo essa determinazioni successive tappe verrebbero affidate a conferenze periodiche Governi preparate da organi comuni; nel trattato verrebbero fissate alcune norme di massima che servirebbero di guida al ritmo ed alla misura dei progressi da conseguire. Tale sistema permetterebbe anche studiare la possibilità costruire ponte fra zona europea e Commonwealth.
È stata anche discussa tariffa comune e suo livello con abituale contrapposizione tra tesi Francia a favore tariffa elevata, anche per rafforzare posizione negoziati verso altre aree, e tesi Germania Benelux a favore basse tariffe. È stato comunque riconosciuto che termini G.A.T.T. tariffa non può essere superiore a media tariffe nazionali esistenti.
Da martedì a giovedì prossimo2 Commissione abborderà discussione altri punti contenuti nelle direttive armonizzazione politica economica, clausole salvaguardia. Spero ottenere presenza di Folco; pregherei considerare possibilità inviarmi anche Landriscina o altro esperto economico generale3.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.
2 Dal 25 al 27 luglio.
3 Per il seguito vedi D. 66.
IL CONSIGLIERE DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 12037/1391. Bruxelles, 27 luglio 1955, ore 20,50 (perv. ore 6,30 del 28).
Oggetto: Commissione mercato comune.
Commissione mercato comune riunitasi nuovamente 26 e 27 luglio ha esaminato problema relativo armonizzazione politica generale dei sei paesi. Ampio dibattito si è svolto sulle questioni connesse alla coordinazione dell’atteggiamento dei Governi paesi partecipanti riguardo problema del ritorno alla convertibilità.
In via generale si sono delineate due tendenze: una è dei Delegati Germania Belgio e Olanda che ritiene una divergenza temporanea delle politiche monetarie concernenti convertibilità non costituisca ostacolo per primo avvio mercato comune. Altra tendenza, sostenuta Delegato francese, vede nell’adozione convertibilità ostacolo importante sulla strada della creazione mercato comune.
Segretariato è stato incaricato preparare documento che sarà esaminato domani nel quale siano brevemente delineate possibilità tecniche di un primo avvio mercato comune in un sistema in cui alcuni paesi adotterebbero convertibilità delle loro monete e altri resterebbero inconvertibili, oppure in un sistema in cui si avessero paesi cui monete sarebbero convertibili in forme diverse2.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.
2 Vedi al riguardo D. 69.
IL PRESIDENTE DELL’ALTA AUTORITÀ DELLA C.E.C.A., MAYER,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
L. 31873. Lussemburgo, 29 luglio 1955.
Mon cher ministre et ami,
Je prie M. Cavaletti de vous faire parvenir cette lettre personnelle qui vous fera part de mes soucis concernant la ratification de notre Accord d’association avec la Grande-Bretagne1.
Vous réalisez certainement, comme moi, combien il serait désirable que cet accord fût actuellement en vigueur. Au moment où la Grande-Bretagne vient d’annoncer, pour dans quelques mois, des réductions très sévères de ses exportations de charbon, il eut été singulièrement utile que le Conseil d’association fût en fonction et que puissent s’y échanger les vues et s’y réaliser les consultations prévues par le Traité.
L’Italie, notamment, se trouve, dans mon opinion, puissamment intéressée à ce que les mesures puissent être prises d’un commun accord pour atténuer, dans toute la mesure du possible, les effets fâcheux et les perturbations pouvant résulter, dans l’approvisionnement de certains des pays de la Communauté, de la décision britannique.
C’est pourquoi je me permets d’intervenir à nouveau auprès de vous en ce qui regarde la procédure de ratification en Italie du Traité d’association avec la Grande-Bretagne. Puis-je me permettre de vous suggérer combien il serait désirable que la Commission des Affaires étrangères du Sénat puisse le rapporter aussitôt que possible devant cette haute assemblée, même si elle devait peut-être reprendre ses travaux quelques jours avant la rentrée parlementaire. Puis-je également vous demander s’il serait possible au Gouvernement de demander, lorsqu’il sera voté au Sénat, l’urgence pour le projet de loi à la Chambre des Députés.
J’espère que vous ne trouverez pas indiscrètes les indications qui précèdent et dont je me suis entretenu avec mon collègue et ami, M. Giacchero. Je vous demande de n’y voir que la preuve du souci permanent, qui est le mien, de faire avancer la réalisation d’un aspect très important de la coopération européenne à laquelle je sais que, comme moi, vous demeurez fidèlement attaché.
Je me réjouis à l’idée qu’il me sera possible de vous rendre visite à Rome, je l’espère au début du mois d’octobre, si cette époque vous convient. Et, dans l’attente de vos nouvelles, je vous prie d’agréer, mon cher ministre et ami, l’expression de mes très distingués et très cordiaux sentiments2.
Mayer
1 Il Trattato di associazione fra la C.E.C.A. ed il Regno Unito fu firmato il 21 dicembre 1954 ed entrò in vigore il 23 settembre 1955.
2 Per la risposta di Martino vedi D. 79.
IL MINISTRO CONSIGLIERE A PARIGI, TASSONI ESTENSE,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
R. riservato 1167/740. Parigi, 1° agosto 1955.
Oggetto: Dichiarazioni di René Mayer sulla C.E.C.A.
René Mayer, Presidente dell’Alta Autorità della C.E.C.A., ha esposto davanti a questi corrispondenti della stampa estera le sue prime impressioni, rientrando dal Lussemburgo.
Dopo aver esposto le buone condizioni nelle quali funziona la C.E.C.A. e l’autorità morale di cui gode presso i Governi, René Mayer ha espresso la sua assoluta convinzione che se i sei Governi che compongono attualmente la C.E.C.A. si fossero trovati soli, uno di fronte all’altro, nessuno dei grandi problemi che ha potuto risolvere l’Alta Autorità sarebbe stato abbordato.
René Mayer ha aggiunto: «È indispensabile, d’altra parte, che non ci si limiti a concepire la creazione di mercati comuni nel mondo, separabili gli uni dagli altri. Bisogna fare uno sforzo molto serio nel senso di un’apertura progressiva di un mercato comune generalizzato al mondo intero, anche se ci si dovrà arrivare per tappe successive e in forza di transizioni». Egli ha concluso affermando che per arrivare a questo risultato, occorre che tutti siano convinti che le tappe e la loro progressività siano lente ma sicure e che tutte le transizioni previste inizialmente abbiano un giorno a prendere fine.
IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, SORO,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI
Telespr. 44/11532/c.1. Roma, 2 agosto 1955.
Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.
Dalle segnalazioni fin qui pervenute dalla Delegazione italiana al Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina, lo stato di avanzamento dei lavori delle varie Commissioni in seno al predetto Comitato per il rilancio europeo a tutto il 31 luglio u.s. può riassumersi come segue:
Commissione del mercato comune, degli investimenti e dei problemi sociali. Nelle riunioni del 26 e 27 luglio ha esaminato il problema relativo all’armonizzazione politica generale dei sei paesi. Un ampio dibattito si è svolto sulle questioni connesse al coordinamento degli atteggiamenti dei Governi dei paesi partecipanti in merito al problema del ritorno alla convertibilità. In via generale si sono delineate due tendenze: una dei Delegati tedeschi, belgi e olandesi, che ritiene che una divergenza temporanea delle politiche monetarie concernenti la convertibilità non costituisce un ostacolo al primo avvio del mercato comune. Altra tendenza, sostenuta dal Delegato francese, vede, nell’adozione della convertibilità, un ostacolo importante sulla via della creazione del mercato comune.
Il Segretariato è stato incaricato di preparare un documento nel quale siano brevemente delineate le possibilità tecniche di un primo avvio del mercato comune in un sistema in cui alcuni paesi adotterebbero la convertibilità delle loro monete, mentre altri resterebbero in regime di non convertibilità oppure in un sistema in cui si avessero paesi con monete convertibili in forme diverse.
Il documento del Segretariato, redatto da Bertrand dell’O.E.C.E. e Dellouvrier della C.E.C.A., ha formulato conclusioni piuttosto pessimistiche, mettendo in rilievo che l’unica via di uscita è che i paesi convertibili aiutino i paesi a regime di non convertibilità a superare le accresciute difficoltà loro derivanti dall’istituzione del mercato comune.
Tedeschi e belgi, interessati evidentemente a che il problema non si ponga come necessaria scelta fra mercato comune e convertibilità, hanno insistito sull’opportunità di non arrestarsi a tali difficoltà. Il Delegato francese ha ribadito che la questione merita approfondito esame e che al momento presente non conviene scegliere né l’una né l’altra ipotesi. In questo è forse da vedere un atteggiamento tattico da sfruttare in seguito.
Per motivi diversi ma convergenti è stato quindi deciso di rinviare la discussione a fine agosto a meno che il Comitato Direttivo non voglia riprenderla il 2 agosto2.
L’atteggiamento della Delegazione inglese è stato in questa prima settimana molto cauto, ma non privo di qualche elemento di interesse. Ad esempio gli interventi di Bretherton sono stati intesi a ricordare che la realtà del mercato comune si incaricherà di superare molte difficoltà che ora si presentano su di un piano concettuale, piuttosto che a dare rilievo a ostacoli e perplessità.
Egli ha insistito sulle esperienze del Commonwealth, citandolo come esempio di associazione priva di organi istituzionali permanenti: osservazione che non è caduta nel vuoto dato che la parola sopranazionale sembra divenuta «tabù» nella Conferenza. L’apporto britannico nelle commissioni tecniche è stato quasi nullo.
Sottocommissione degli investimenti. Ha discusso mercoledì 27 luglio circa il fondo di riadattamento e giovedì circa il fondo comune degli investimenti. Sulla prima questione sono emerse tre tesi: una predominante concepisce il fondo di riadattamento sul tipo di quello C.E.C.A. in favore dei lavoratori; la tesi francese vuole aggiungervi soccorsi per le imprese colpite dall’apertura del mercato comune; la tesi tedesca tende a riportare tutto ad un fondo investimenti, con erogazioni dirette a creare occupazione stabile.
Circa il fondo investimenti sono state esaminate le modalità di costituzione ed i criterii di selezione dei finanziamenti. Ad eccezione dei tedeschi, i quali insistono su criterii bancari di redditività e sul ricorso del fondo al mercato dei capitali anche estraneo alla Comunità, è stato generalmente affermato che il fondo dovrebbe servire a finanziare anche le «infrastrutture» oppure progetti non immediatamente produttivi di reddito. Non si è giunti però sinora ad una formulazione generale della questione.
Commissione energia classica. In seno alla Commissione per l’energia classica, riunitasi il 26 luglio, i Delegati dell’Alta Autorità hanno ribadito la nota tesi dell’impossibilità di stabilire una politica carbonifera indipendentemente da altre forme di energia e quindi la necessità di estendere l’integrazione a tale settore.
I Delegati nazionali non hanno mostrato molto calore per tale richiesta, e la Commissione ha continuato ad esaminare quanto è stato fatto o meglio quanto non è stato fatto finora dagli organismi esistenti in campo internazionale. Le riunioni saranno proseguite nella settimana dal l° al 7 agosto.
Commissione energia nucleare. Nella riunione del 29 luglio ha rapidamente esaminato i rapporti preliminari delle varie Delegazioni ed ha invitato le stesse a fornire al più presto ogni possibile chiarimento supplementare circa la legislazione mineraria dei giacimenti di uranio, torio, berillio, zirconio e litio, le attrezzature scientifiche ed i reattori esistenti o in progetto, gli impianti per la produzione di acqua pesante, i regolamenti per la protezione dalle radiazioni, nonché le spese effettuate per le ricerche nucleari nel 1953 e 1954 e quelle previste per gli anni ’55 e ’56.
La Delegazione francese ha promesso di far pervenire, prima della prossima riunione prevista per il 6 di settembre3, un memorandum che dovrebbe servire di base alle discussioni sulle applicazioni industriali dell’energia nucleare e sulle possibilità tecniche di una azione comune in materia.
Commissione dei trasporti. Ha chiarito i termini del proprio mandato e, sotto l’efficiente guida del Presidente Santoni, ha concordato un piano di lavoro per l’esame del progetto presentato dal Signor Lemaire all’Assemblea Consultiva di Strasburgo per una nuova organizzazione in materia di trasporti, nonché di quello del Signor Kapteijn presentato all’Assemblea Comune della C.E.C.A.
Pur avendo avuto le prime riunioni soprattutto carattere di orientamento, sono state tuttavia adottate delle decisioni per quanto riguarda la compilazione di un inventario della consistenza delle strade, dei canali, delle linee elettrificate, della standardizzazione delle dotazioni, nonché dei progetti e programmi stabiliti in materia.
La Commissione ha ritenuto inoltre di iniziare la trattazione di qualche problema concreto e si è soffermata sulla questione della accelerazione e semplificazione dei trasporti alla frontiera e su quella degli investimenti. Ha quindi incaricato un Sottocomitato, la cui presidenza è stata affidata all’Italia, di compilare un elenco delle difficoltà che oggi intralciano il transito alle frontiere ed una nota relativa alle necessità ed alle realizzazioni in materia di investimenti nel settore dei trasporti da sottoporre poi alla Commissione del mercato comune.
Tutte le Delegazioni si sono trovate d’accordo sui seguenti punti:
- il settore trasporti è già in uno stadio avanzato della collaborazione internazionale soprattutto rispetto ad altre attività;
- gli organismi esistenti, ed in particolare la Conferenza europea dei Ministri dei Trasporti, sembrano poter ben rispondere alle esigenze attuali;
- se pure nuovi indirizzi politici, ed in particolare la creazione di un mercato comune, comporteranno nuovi atteggiamenti e nuovi strumenti di collaborazione, occorre molta prudenza nell’innovare;
- in ogni caso, dovranno essere accuratamente studiati i rapporti tra nuove eventuali organizzazioni e gli strumenti di collaborazione internazionale già esistenti;
- nel settore dei trasporti è più difficile che in altri settori restringere la collaborazione ad un numero limitato di paesi europei;
- tenuto conto dell’importanza e della complessità che vanno assumendo gli affari internazionali in materia di trasporti, occorre che la attività relativa sia sempre assiduamente seguita e coordinata in ogni paese. Spesso, infatti, i problemi sono stati affrontati e risolti, ma è mancata la base di attuazione ed il coordinamento fra quanto realizzato in seno alle diverse organizzazioni internazionali.
È stata decisa l’istituzione di una Sottocommissione poste e telecomunicazioni.
Sottocommissione dei trasporti aerei. Ha studiato la proposta francese di costituire una società per l’acquisto in comune di materiale di volo ed ha deciso di diramare in proposito un questionario alle società di navigazione aerea onde conoscere il loro avviso.
Il 2 agosto corrente si è riunito il Comitato di direzione, per esaminare i risultati dei lavori delle Commissioni e impartire, ove necessario, nuove direttive2.
1 Diretto alla Presidenza del Consiglio, ai Ministeri del Bilancio, Tesoro, Finanze, Difesa, Lavori Pubblici, Trasporti, Industria e Commercio, Lavoro, Commercio Estero, Poste e Telecomunicazioni, alla Confederazione Generale dell’Industria Italiana, al Centro Italiano Ricerche Nucleari, alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Parigi e Washington, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E, a Parigi, e presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, alla Legazione a Lussemburgo e per conoscenza alle Direzioni Generali dell’Emigrazione, degli Affari Politici e degli Affari Economici.
2 Vedi D. 71.
3 Vedi D. 83.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV
Appunto1. Roma, 2 agosto 1955.
Il Comunicato di Messina2, nella sua prima parte, mette in rilievo quali siano stati gli scopi che si sono prefissi i sei Ministri:
a) la nuova tappa da percorrere nella costruzione europea va ricercata nel settore economico;
b) l’unità dell’Europa va ricercata nello sviluppo di «istituzioni comuni», nella «funzione progressiva» delle economie nazionali, nella creazione di un «mercato comune» e nell’armonizzazione progressiva delle «politiche sociali»;
c) tale politica è indispensabile per conservare all’Europa il suo posto nel mondo, la sua influenza ed aumentare il livello di vita dei suoi popoli.
In altre parole, per realizzare gli obbiettivi politici fissati nel par. c), si è ritenuto unanimemente che la via da percorrere passa anzitutto nel dominio dell’economia ed i modi per tali realizzazioni sono stati concordemente indicati nel par. b).
Un primo risultato può quindi considerarsi raggiunto dalla Conferenza di Messina; le dispute che precedettero e seguirono il dibattito di ratifica della C.E.D. al Parlamento francese – se la unità europea potesse più opportunamente essere raggiunta per la via dell’integrazione politico-militare o per la via dell’integrazione economica – hanno trovato una risposta unanime dei sei Governi che hanno indicato il settore economico come quello più propizio al rapido realizzarsi di forme di unione più strette fra i paesi europei. Si è ritornati quindi all’idea ispiratrice dell’O.E.C.E. e della C.E.C.A.; è nella costituzione di legami sempre più stretti fra i diversi interessi economici nazionali, che si trova la maggior possibilità di costruire una base comune, sufficientemente solida, della costruzione europea.
Su questa base verrà a formarsi a poco a poco, in ragione della comunanza di interessi e della constatazione dell’aumento generale del livello di vita, la coscienza della necessità di istituzioni politiche comuni: per cui il metodo scelto dai Ministri, lungi dall’abbandonare gli obbiettivi finali dell’integrazione politica in generale, ha riconosciuto che, in considerazione della situazione obbiettiva attuale, la via più adatta e più promettente di frutti è quella che passa per l’integrazione economica.
La crisi di sfiducia che, di fronte a questo interrogativo – del cosiddetto «approach» – si era aperta col fallimento della C.E.D., è stata chiusa con la considerazione solenne del volere unanime dei sei Governi di procedere con concentrazione di sforzi in un’unica direzione.
Un secondo aspetto della crisi seguita al fallimento della C.E.D. era rappresentato dall’interrogativo – oggetto esso pure di infinite polemiche – se un’integrazione europea fosse possibile solo col metodo cosiddetto «sopranazionale» e anche col metodo della «cooperazione intergovernativa».
Non è questo il luogo per riassumere tutti gli argomenti dell’una e dell’altra parte, che indicavano rispettivamente nell’O.E.C.E. e nella C.E.C.A. i modelli della riuscita pratica del metodo da ciascuna auspicato. Quel che importa rilevare è che la Conferenza di Messina, anche se nel comunicato non ne è cenno espresso, sembra segnare un tentativo di superamento dell’alternativa finora posta in maniera rigida.
Nel corso dei dibattiti dei Ministri infatti è emerso abbastanza chiaramente che da un lato la scelta aprioristica dell’uno o dell’altro metodo rischia di far fallire gli sforzi unanimi, date le condizioni obbiettive dell’opinione pubblica e dei Parlamenti nei sei paesi, e dall’altro appare per il momento superflua, in quanto soltanto l’analisi delle condizioni di fatto esistenti nei singoli settori dell’economia permetterà di accertare le possibilità pratiche dell’adozione dell’uno o dell’altro metodo; in un secondo tempo, fatte le prime esperienze, sarà possibile passare dall’una all’altra forma, secondo il grado di integrazione effettiva raggiunta fra le economie nazionali e la necessità, dell’esperienza, di risolvere i conflitti mediante un potere superiore ed in qualche modo estraneo ai Governi nazionali.
Un terzo interrogatorio3 appare risolto dalla Conferenza di Messina: quello dell’estensione geografica dell’integrazione europea. Anche in questa materia sono noti i dibattiti fra i sostenitori della «grande Europa», anche se sono4 integrata, e della «piccola Europa» più integrata.
Tale dibattito si riferisce soprattutto alla partecipazione o conclusione5 della Gran Bretagna.
La Conferenza di Messina ha tracciato, sulla scorta delle esperienze fatte dalla C.E.C.A., una linea di soluzione, che potrebbe dare buoni frutti. L’invito a partecipare agli studi è stato esteso alla Gran Bretagna, che l’ha accettato; anche in questo problema saranno l’andamento degli studi, l’accertamento delle possibilità concrete di partecipazione o di associazione della Gran Bretagna alle nasciture forme di integrazione, l’esperienza dei primi risultati a fornire presumibilmente la risposta caso per caso.
Tali considerazioni valgono anche per gli altri paesi dell’Europa Occidentale, in particolare la Svizzera e l’Austria, geograficamente vicine ed economicamente interessate a tutte le trasformazioni in atto nei sei paesi.
Risolti in questo modo gli interrogativi di carattere generale che erano rimasti in sospeso, le polemiche succedute alla crisi della C.E.D. hanno perduto molto di vigore e un nuovo clima di collaborazione, di reciproca fiducia e buona volontà si è ristabilito.
Le decisioni sui singoli punti del problema che era posto alla Conferenza si ispirano ai principali esposti della Risoluzione finale della Conferenza e si possono riassumere in sintesi come segue:
Istituzione di un comitato di esperti, incaricato di studiare e preparare progetti di integrazione, più o meno spinti a seconda delle possibilità concrete, nel settore dell’energia classica, dell’energia nucleare a scopi pacifici, dei trasporti, dei problemi sociali, quali elementi base della creazione di un mercato comune. È stato infatti riconosciuto che la soluzione principale del problema di una integrazione economica si trova nell’istituzione del mercato comune, ossia nell’abolizione di tutte le barriere alla libera circolazione delle merci, dei capitali e della mano d’opera, le forze economiche dei sei paesi si troveranno così ad operare in condizioni di concorrenza, per quanto possibile libera, e attraverso la realizzazione del processo produttivo, si realizzerà un aumento della produttività e quindi del benessere generale. Come correttivo agli squilibri temporanei, che l’apertura del mercato comune potrà provocare, la Conferenza ha previsto la creazione di un fondo comune per gli investimenti di riconversione e per il riadattamento della mano d’opera licenziata.
Adottato tale metodo si è cercata anche la soluzione di un altro dibattuto problema: integrazione verticale o orizzontale: si sono messe allo studio le due soluzioni, nell’intento di farle, possibilmente, progredire insieme.
D’altra parte la Conferenza, con idea innovatrice nei confronti di quanto finora è stato fatto in campo internazionale, ha deciso che sia studiata la creazione di un fondo di investimenti europeo, che avrà lo scopo di sviluppare le possibilità economiche europee e le regioni meno favorite.
Deve essere sottolineato il carattere marcatamente «europeo» di tale nuova idea sotto un duplice aspetto.
L’unione degli sforzi nel campo finanziario sarà indirizzata verso lo sviluppo delle capacità produttive «europee», di quelle cioè che trascendono i limiti delle frontiere nazionali per espandersi su tutto il territorio comune. Non è chi non veda quale sia la portata politica di tale indirizzo, che tende alla creazione di vincoli fra gli interessi economici nei diversi paesi di tale ampiezza e profondità, che ben difficile diverrà lo scioglierli, mentre i ceti economici si troveranno condotti a ragionare ed operare in termini europei e non più di concorrenza fra economie nazionali. D’altro canto il compito di sviluppare le aree meno favorite imprime al fondo un carattere squisitamente politico; la possibilità di intervento a scopi non esclusivamente economici, ma anche sociali fa sì che il fondo possa, anche in mancanza di istituzioni europee sopranazionali, adempiere alla funzione propria del potere centrale nello Stato moderno, che è quella di scegliere operazioni di investimento che, non essendo dettate da obbiettivi di carattere strettamente economico a breve termine, non attirano l’attenzione degli operatori economici, ma rivestono un carattere di utilità più generale: quello di portare aree, il cui sviluppo economico è rimasto arretrato, al livello delle altre, redistribuendo il lavoro e la ricchezza più equamente mediante uno sforzo comune.
I sei Ministri infine hanno voluto provare all’opinione pubblica ed alle categorie interessate la loro ferma volontà di procedere sulla via tracciata, fissando senz’altro le scadenze cui hanno dato avvio.
Il 5-6 settembre si riuniranno per udire dal Comitato di esperti un rapporto sullo stato di avanzamento dei lavori6; il 1° ottobre si riuniranno di nuovo per esaminare le proposte finali che il Comitato avrà formulato7.
È stato quindi posto termine alla crisi dell’integrazione europea, che si era aperta col fallimento della C.E.D., e l’importante processo degli ultimi anni, tenendo a cercare, in ogni possibile direzione e forma, il modo di sboccare all’unione europea, è stato rimesso in movimento: con obbiettivi più limitati e possibilisti forse, ma ben individuati, con una concentrazione di sforzi che sembra garanzia di buoni frutti.
1 Trasmesso da Cattani alle Ambasciate a Parigi, Bonn, L’Aja, Bruxelles, Washington e Londra, alla Legazione a Lussemburgo e per conoscenza alle Direzioni Generali degli Affari politici e dell’Emigrazione (Telespr. 44/12096 del 12 agosto) con la seguente indicazione: « … Tale appunto è stato preparato per S.E. il Ministro a richiesta di un membro del Parlamento».
2 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.
3 Sic. Si intenda: interrogativo.
4 Sic. Si intenda: meno.
5 Sic. Probabilmente si intende associazione.
6 Vedi D. 85.
7 La successiva riunione dei Ministri degli Esteri ebbe luogo a Bruxelles l’11-12 febbraio 1956, vedi D. 132.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV
Appunto1.
Oggetto: Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina per l’integrazione economica europea.
Il 2 agosto u.s. ha avuto luogo a Bruxelles la riunione del Comitato di direzione del Comitato Intergovernativo, istituito nel corso della Conferenza di Messina per l’integrazione economica europea. Da parte nostra hanno partecipato, oltre al Presidente della Delegazione On. Benvenuti, l’Ambasciatore Cattani, il Ministro Cavalletti e il Consigliere Ducci.
Il Comitato Direttivo, presieduto dal Ministro Spaak, ha invitato i Presidenti delle quattro Commissioni e delle tre Sottocommissioni a riferire sull’andamento dei lavori di rispettiva competenza.
Commissione trasporti e lavori pubblici. In assenza del Presidente Prof. Laloni, ha riferito l’Ing. Santoni. Egli ha comunicato che è stato quasi completato l’inventario dei documenti ufficiali esistenti, al fine di stabilire una carta delle vie di comunicazioni d’interesse europeo e gli elementi fondamentali concernenti le caratteristiche tecniche e la potenzialità delle vie stesse.
Per quanto attiene ai programmi ed ai piani in corso di esecuzione, o in preparazione, l’ing. Santoni ha dichiarato che i membri della Commissione stanno preparando un inventario, per quanto possibile completo, che verrà trasmesso al Segretariato della Conferenza entro il 15 agosto p.v.
Circa l’esame del rapporto sul primo anno di attività della Conferenza Europea dei Ministri dei Trasporti (C.E.M.T.) e dei rapporti dei Signori Lemaire (C.E.C.A.) e Kapteijn (Consiglio d’Europa) sulla cooperazione europea in materia di trasporti, il relatore ha fatto presente che, data la complessità dei problemi da essi sollevati, si è resa necessaria una prima fase di orientamento; solo successivamente sarà possibile chiarire la posizione di ciascuna Delegazione nei confronti dei documenti predetti.
Non appena tale studio sarà concluso, verrà predisposto un elenco dei principali problemi da risolvere.
L’Ing. Santoni ha fatto infine osservare che l’analisi dei problemi concernenti l’armonizzazione dei trasporti potrà essere portata a termine soltanto quando si conosceranno le conclusioni a cui perverrà nel suo settore la Commissione del mercato comune; e ciò per la stretta dipendenza esistente tra il compito assegnato alla Commissione dei trasporti con la materia trattata dalla Commissione del mercato comune.
Al termine dell’esposizione dell’Ing. Santoni, il Presidente Spaak ha concluso lodando la Commissione per l’esauriente compilazione dell’inventario nonché per l’accurato esame della documentazione esistente, rilevando peraltro come avesse in questa prima fase accantonato l’esame dei problemi essenziali ed in particolare le questioni connesse con l’armonizzazione dei trasporti.
Il Presidente ha quindi invitato l’Ing. Santoni, nella sua qualità di sostituto del Presidente della Commissione, a dare nuove direttive ai membri della Commissione stessa, affinché siano in grado, per la prossima riunione del Comitato Direttivo, di avanzare proposte concrete sulla politica dei trasporti nell’ipotesi di una realizzazione del mercato comune.
Sottocommissione trasporti aerei. Il Signor Wegerdt (tedesco), Presidente della Sottocommissione dei trasporti aerei, ha riferito che, da parte francese, era stata proposta la creazione di una società internazionale per l’acquisto del materiale di volo. La proposta stessa era stata subito messa allo studio della Sottocommissione, ottenendo un consenso generale di massima. Il relatore ha pertanto suggerito al Comitato Direttivo l’opportunità di far subito diramare a tutte le compagnie aeronautiche interessate un questionario in merito alla costituzione della società stessa.
Nell’accogliere la proposta, il Comitato Direttivo ha quindi invitato il Segretariato a provvedere alla diramazione del questionario con preghiera alle società di far pervenire le loro risposte per il 25 agosto 1955.
Il Signor Wegerdt ha quindi riassunto alcuni studi effettuati dalla Sottocommissione in merito ai problemi delle «facilitazioni» ed alla «economia dei trasporti aerei».
Circa le «facilitazioni» si è limitato ad accennare ad alcuni problemi che potranno esser risolti soltanto in avvenire ed a seconda dello sviluppo che assumerà la cooperazione aerea e cioè: controllo unico sui passeggeri e le merci al luogo di sbarco; libera circolazione dei cittadini dei sei paesi su presentazione di una carta di identità; abolizione delle discriminazioni esistenti nel controllo traffico passeggeri fra i trasporti terrestri e quelli aerei.
Per quanto concerne l’«economia dei trasporti aerei» ha esaminato alcune possibilità di cooperazione tra i sei paesi nel settore degli scambi di rotte ed in quello della «canalizzazione» (scambio equipaggi) accennando ad alcuni possibili metodi che potrebbero essere adottati per ridurre i costi di esercizio delle linee aeree.
A tale riguardo i rappresentanti delle compagnie aeree sono stati invitati a compilare uno studio delle correnti di traffico esistenti fra i sei paesi sulle quali potrebbe esser utile iniziare la canalizzazione e lo scambio di rotte.
Al termine dell’esposizione, il Presidente Spaak si è felicitato per l’andamento dei lavori della Sottocommissione per i trasporti aerei ed ha invitato i rappresentanti dei vari Governi a sollecitare dalle compagnie aeree pronte risposte al questionario che è stato ad esse diramato dal Segretariato della Conferenza.
Commissione per l’energia classica. Il Presidente della Commissione per l’energia classica, Signor Heesemann, ha fatto una circostanziata relazione sull’andamento dei lavori della sua Commissione.
Egli ha precisato che è già stato proceduto ad un approfondito esame degli studi finora effettuati dalla C.E.C.A. e dall’O.E.C.E. ma che non era ancora in grado di presentare al Comitato Direttivo dei risultati definitivi in quanto gli studi stessi non sono ancora stati completati.
Il Signor Heesemann ha richiamato quindi l’attenzione dei Delegati sulla necessità che ciascun paese predisponga un «bilancio dell’energia» impostato su basi e caratteristiche uniformi. Egli ha inoltre sottolineato che, per quanto concerne i problemi economici dell’energia (carbone, petrolio, gas ed elettricità), occorre considerare i vari settori come un tutto inseparabile.
Alla luce dei lavori compiuti, i problemi essenziali che si presentano sono i seguenti:
- politica energetica generale;
- struttura dell’approvvigionamento di energia;
- bilancio dell’energia;
- basi legali ed amministrative dell’economia energetica nei diversi paesi (organizzazioni);
- regime fiscale dei diversi tipi di energia;
- regime doganale (esterno);
- modi di fissazione dei prezzi;
- struttura dei prezzi;
- sicurezza dell’approvvigionamento (importazioni dei paesi terzi);
- copertura del fabbisogno in periodi di maggior richiesta;
- struttura e problemi del mercato nell’economia energetica;
- valorizzazione delle sorgenti di energia;
- importanza del fattore «salario» per la politica in materia di energia e concorrenza dei tipi di energia;
- utilizzo razionale dell’energia;
- sana concorrenza tra le diverse fonti di energia;
- investimenti.
Per quanto riguarda gli investimenti nel settore dell’energia, il relatore ha fatto presente che potranno esser studiati soltanto in relazione ai risultati a cui perverrà la Sottocommissione per gli investimenti, mentre i problemi istituzionali saranno affrontati solo al termine dei lavori al fine di ottenere la migliore armonizzazione delle esigenze tecniche con quelle politiche.
Commissione per l’energia nucleare. In assenza del Presidente Armand ha preso la parola il Signor Guillaumat (francese) il quale ha dichiarato di aver ricevuto dai sei paesi membri della C.E.C.A. e dal Regno Unito una circostanziata relazione sulla situazione nel campo dell’energia nucleare.
I documenti verranno presi in esame dalla Commissione alla fine della Conferenza di Ginevra per l’energia atomica.
Il Signor Guillaumat ha promesso che nel corso della Conferenza suddetta i Delegati dei paesi interessati si scambieranno le loro idee in merito al rapporto da presentare al Comitato Direttivo.
Il Presidente Spaak, prendendo atto della dichiarazione, ha pregato il Signor Guillaumat d’iniziare nuovamente i lavori non appena terminata la Conferenza di Ginevra.
Commissione per il mercato comune. Il Delegato olandese Linthorst-Homan, in assenza del Presidente Prof. Verrijn-Stuart, ha riferito circa l’operato della Commissione.
Egli ha esordito facendo una lunga esposizione in merito alla unificazione del regime doganale, ed è passato poi ad esporre i sistemi che, per raggiungere tale obbiettivo, sono stati posti allo studio della Commissione. Essi sono:
a) tariffa doganale comune fra i paesi partecipanti (unione doganale);
b) conservazione delle tariffe esistenti con l’istituzione di meccanismi intesi ad evitare la deviazione dei traffici (zona di libero scambio).
Secondo alcune Delegazioni sarebbe in un primo momento più opportuno addivenire all’istituzione di una «zona di libero scambio» per giungere poi, attraverso determinate tappe, all’«unione doganale» vera e propria.
La Commissione ha tuttavia fin d’ora affrontato l’esame della questione del livello della tariffa comune. Su tale problema alcune Delegazioni hanno sostenuto la necessità di fissare un livello tariffario comune elevato, mentre altre si sono mostrate partecipi della tesi contraria.
Ambedue i sistemi comportano vantaggi e svantaggi: sarebbe pertanto opportuno orientarsi verso un tipo di tariffa media che sarebbe, fra l’altro, conforme alle disposizioni del G.A.T.T.
Il relatore ha poi fatto cenno allo studio, attualmente in atto, concernente i fattori suscettibili d’influire sul libero gioco della concorrenza.
A tale riguardo è stata raccolta una notevole documentazione sulla base degli studi già effettuati dalla C.E.C.A., dall’O.E.C.E. e dalla Comunità Politica Europea, nonché in base a quelli condotti per la preparazione della Carta dell’Avana.
Il Vice-Presidente ha poi ricordato che è stato affrontato, ma non ancora risolto, il problema della coesistenza di paesi convertibili ed inconvertibili in seno al mercato comune.
Un vivo elogio è stato rivolto all’Alta Autorità per la presentazione di una nota sull’«integrazione economica generale», nota che dà un apporto sostanziale agli studi per la preparazione di un mercato comune.
Lo stesso Presidente Spaak, nel ringraziare il relatore della Commissione, ha pregato questi di prendere come base dei suoi prossimi lavori la suddetta nota.
Sottocommissione per gli investimenti. Il Presidente della Sottocommissione, Prof. Di Nardi, ha fatto un’ampia esposizione sui lavori svolti dalla Sottocommissione in materia di fondo per gli investimenti e di fondo di riadattamento.
Circa il primo punto ha dichiarato che è in corso l’inventario della documentazione esistente in materia d’investimenti ed in particolare di quanto è stato fatto dalle organizzazioni internazionali (C.E.C.A., O.E.C.E., etc.).
Ha quindi precisato che gli studi della Commissione sono orientati nel seguente modo:
a) esame degli obbiettivi che dovrebbero essere raggiunti mediante la costituzione di un fondo di investimenti. Essi potrebbero essere:
1. finanziamento di progetti aventi per scopo lo sviluppo delle regioni meno favorite degli Stati partecipanti;
2. finanziamenti di determinati progetti che presentino un interesse di carattere europeo;
3. facilitazione del movimento dei capitali.
b) ricerca delle risorse da destinare alla costituzione del fondo:
1. mediante contributi degli Stati membri;
2. mediante prestiti degli Stati membri;
3. con ricorso al mercato dei capitali.
c) funzionamento del fondo:
1. organizzazione del fondo stesso;
2. forma giuridica;
3. regolamentazione a cui verranno sottoposti i progetti per il finanziamento.
Il Prof. Di Nardi ha quindi fatto presente che alcune Delegazioni concepiscono, in linea di massima, il fondo come una banca europea che faciliti gli investimenti nell’area della Comunità, concedendo prestiti ad interesse ed attingendo le sue risorse dal libero mercato dei capitali. Egli ha fatto presente che se tale tesi dovesse essere adottata, il fondo finirebbe per finanziare soltanto iniziative private trascurando così un settore, la cui rilevante importanza è stata esplicitamente riconosciuta dal Comunicato della Conferenza di Messina, e cioè quello delle infrastrutture di interesse generale le quali, pur non dando profitti immediati comportano, a lungo termine, un aumento della produttività che si ripercuote nei vari settori dell’economia.
Sarebbe pertanto necessario che il fondo avesse anche la funzione di finanziatore delle infrastrutture al fine di poter operare come correttivo alle disuguaglianze di sviluppo economico che sarebbero accentuate dall’apertura del mercato comune.
Circa il «fondo di riadattamento» il Presidente della Sottocommissione ha dichiarato che, sia pure con l’opposizione di una Delegazione (tedesca), sembrava prevalere la tesi secondo cui il fondo stesso avrebbe dovuto essere destinato a soccorrere gli operai costretti alla disoccupazione dall’apertura del mercato comune.
La Delegazione francese ha poi fatto presente che il fondo dovrebbe essere utilizzato anche per concedere aiuti diretti alle imprese che verranno colpite dall’apertura del mercato comune.
Sottocommissione per le questioni sociali. Il Presidente della Sottocommissione Signor Doublet (francese) ha dichiarato che è in atto lo studio della documentazione esistente in seno alla C.E.C.A., all’O.E.C.E., ed al Consiglio d’Europa, nonché di quella preparata in occasione dei lavori per la Comunità Politica Europea. Quindi ha esposto le basi del suo programma di lavoro che concernono:
a) libera circolazione delle persone;
b) armonizzazione dei modi di formazione dei salari diretti ed indiretti, compresi i salari per il personale femminile;
c) armonizzazione progressiva dei regolamenti nazionali in vigore;
d) armonizzazione dei regimi esistenti in materia di previdenza sociale.
Il Signor Doublet ha affermato che un apporto sostanziale ai lavori della Sottocommissione sarà dato dai risultati che si otterranno a Strasburgo, da parte del Consiglio d’Europa il quale sta da tempo studiando la materia. Egli pertanto riterrebbe opportuno attendere il completamento di tali studi prima di esporre delle proposte concrete.
Il Ministro Spaak ha obbiettato che, pur ritenendo utile che la Sottocommissione si avvalga dell’esperienza delle altre organizzazioni internazionali, era tuttavia necessario che essa approfondisse per suo conto il problema e presentasse, non più tardi della fine di agosto, le sue proposte.
Il Signor Doublet ha assicurato che la Sottocommissione farà il possibile per completare i suoi studi entro il termine fissato.
1 Diretto da Bobba agli stessi destinatari di cui al D. 69, nota 1, con Telespr. 44/12579 del 23 agosto.
IL MINISTRO CONSIGLIERE A PARIGI, TASSONI ESTENSE,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato 1171/744. Parigi, 2 agosto 1955.
Oggetto: Direttive della politica francese sulla cooperazione atomica europea.
Riferimento: Seguito ris. 1133/7161.
Come era da aspettarsi, le dichiarazioni di Palewski al giornale «Le Monde» sulla cooperazione atomica hanno urtato la suscettibilità dei Ministri dell’M.R.P. Subito dopo l’intervista, questi ultimi hanno chiesto a Faure che il Governo precisi, una volta per sempre, la sua posizione di fronte al programma di Messina.
La «chiarificazione» è avvenuta nel corso di una riunione di un Comitato interministeriale, alla quale hanno partecipato Faure, Pinay, i Ministri dell’M.R.P., Palewski e Gaillard, il Capo della Delegazione francese al Comitato di Bruxelles.
Dopo una discussione in cui Palewski ha calorosamente difeso la sua tesi dell’autonomia dei singoli programmi nazionali, e Henry Teitgen2 ha sostenuto la necessità di una organizzazione superstatale che controlli tutte le iniziative atomiche dei paesi membri, il compromesso si è raggiunto su una formula che, almeno in principio, sembra soddisfare le istanze europeiste e che, se non altro, ha avuto l’immediato effetto di far ritirare al Presidente del Gruppo parlamentare dell’M.R.P., Robert Lecourt, un’interpellanza contro il Governo.
La dichiarazione finale del Comitato interministeriale afferma che «il Governo resterà fedele alla sua politica di costruzione dell’Europa, ma attraverso tappe prudenti e graduali». Questa cauta concessione all’europeismo dei repubblicani-popolari è stata necessaria per mantenere unita la compagine governativa. Ma un sistema superstatale, come quello prospettato da Teitgen, oltre a non avere alcuna probabilità di essere approvato dal Parlamento francese attuale, è diventato irrealizzabile – tra i sei paesi che avevano aderito al programma di Messina – dopo la conclusione del nuovo accordo atomico tra i belgi e gli americani.
In pratica, quindi, la politica atomica francese continuerà a seguire la direttive tracciate da Palewski e dai suoi amici dell’Alto Commissariato, e che Faure e Pinay, del resto, condividono.
Infatti, il memorandum per la creazione di una «agence» atomica europea, proposto in questi giorni dal Governo francese come base di discussione per la Commissione di Bruxelles3, riproduce esattamente il progetto che Gaillard ha già presentato nella riunione del Comitato di direzione e che, come ho accennato nel mio precedente rapporto, è stato impostato sugli stessi criteri enunciati da Palewski nell’intervista al «Monde».
Non è difficile prevedere quale sarà la reazione belga di fronte a questo nuovo contributo francese alla «costruzione graduale dell’Europa»!
1 Del 25 luglio, non pubblicato, avente il seguente oggetto: «Intervista di Palewski al giornale “Le Monde” sulla cooperazione atomica internazionale. Orientamenti della politica francese».
2 Pierre-Henri Teitgen.
3 Vedi D. 62, nota 2.
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 12402/1491. Bruxelles, 3 agosto 1955, ore 19,53 (perv. ore 24).
Oggetto: Riunione Comitato Direttivo.
Riunione 2 agosto del Comitato Direttivo2 ha servito, oltre che a esaminare stato lavori delle varie Commissioni, a mettere in più giusta luce compito e scopo finale Conferenza Bruxelles. È infatti naturalmente emerso da dibattiti, ed è stato più volte sottolineato da Spaak, che elemento fondamentale inazione che caratterizza lavori in corso è studio possibilità di addivenire ad accordo su costituzione mercato comune. Nei settori tecnici ed in quelli sociali, qualora non si adotti tale angolo visuale, possono infatti ottenersi solo accordi natura limitata, e che è discutibile non siano più facili ad aversi in organismi internazionali più vasti. Ciò che interessa accertare a Bruxelles è quale politica trasporti, energia, investimenti ecc. debba adottarsi per avviare e consolidare mercato comune.
Ciò non esclude affatto studio alcuni programmi concreti e particolari; sono naturalmente questi che stanno maggiormente a cuore a Delegazione francese che ha nuovamente chiesto approfondimento sue proposte in materia fondo stradale, società di navigazione aeree per traffico intercontinentale, progetti [ ... ]3 e Bonnefous. Nessuna discussione si è avuta in materia energia nucleare, in attesa risultati Conferenza Ginevra.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.
2 Vedi D. 71.
3 Parola illeggibile.
IL CAPO DELL’UFFICIO IV DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI
Telespr. 44/122661. Roma, 16 agosto 1955.
Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.
COMMISSIONE DEL MERCATO COMUNE
Con riferimento al telespresso circolare n. 44/11532/c. del 2 agosto u.s.2 si trascrivono qui di seguito ulteriori particolari circa i lavori della Commissione per il mercato comune del Comitato Intergovernativo per il rilancio europeo.
Nella prima riunione del 22 luglio sono state discusse le misure tendenti a facilitare l’unificazione progressiva del regime doganale nei riguardi dei paesi terzi3. Il Segretariato ha in seguito riassunto le discussioni in apposito documento pubblicato con il numero 56.
Allorché il documento n. 56 è stato distribuito, il Rappresentante francese ha sottolineato di ritenere praticamente impossibile l’instaurazione iniziale di «una zona di libero scambio» destinata a trasformarsi in una «unione doganale e economica».
Nel corso della discussione sul livello della tariffa doganale comune il Delegato olandese ha accennato ad uno studio compiuto nel 1953 dalle Autorità del suo paese per stabilire un confronto fra il livello della tariffa doganale del Benelux e quello dell’insieme dei paesi C.EC.A. I risultati di tale studio sono stati poi diramati nel documento n. 90.
Il Capo della Delegazione italiana ha fatto presente che sarebbe forse opportuno se da parte nostra si provvedesse ad un analogo confronto fra il livello della tariffa doganale italiana e quello degli altri paesi della Comunità Europea Carbone e Acciaio.
In relazione a tale suggerimento si pregano i Dicasteri del Commercio con l’Estero e delle Finanze di voler compiacersi esaminare una tale eventualità.
Nei giorni 26, 27 e 28 luglio la Commissione del mercato comune si è nuovamente riunita per l’esame delle questioni relative alla armonizzazione delle politiche economiche, commerciali e monetarie4.
Allo scopo di coordinare la discussione, il Presidente ha elaborato un breve documento (n. 58) nel quale i problemi appaiono divisi in due grandi settori e cioè:
a) problemi connessi al coordinamento delle politiche monetarie;
b) problemi connessi all’armonizzazione della politica economica generale al fine di creare lo condizioni di una equa concorrenza all’interno del mercato comune.
La discussione si è iniziata intorno al problema della possibilità o meno di iniziare un processo integrativo tra paesi che seguono diversi atteggiamenti nei riguardi della convertibilità delle loro monete.
I Rappresentanti dell’O.E.C.E. e della C.E.C.A. hanno sottolineato in una nota (doc. 81) che in tal modo verrebbero a sorgere una serie di difficili problemi. Da un lato quelli derivanti dal fatto che in caso di adozione della convertibilità da parte di alcuni paesi partecipanti, oppure in caso di adozione di differenti tipi di convertibilità, si avrebbero differenti livelli di liberalizzazione verso l’area del dollaro. È prevedibile infatti che vi sarebbero dei paesi che all’atto della dichiarazione della convertibilità libererebbero completamente o quasi le loro importazioni dall’area del dollaro.
Un secondo ordine di problemi sorgerebbe poi per le questioni connesse al regolamento dei pagamenti internazionali.
I Delegati tedeschi, appoggiati anche da quelli belgi e olandesi, hanno dichiarato che divergenze temporanee nelle politiche monetarie, non devono costituire un ostacolo pregiudiziale all’avvio ed all’eventuale progresso del mercato comune.
Essi hanno sostenuto che progressi verso il mercato comune possono essere compiuti anche nell’attuale situazione, senza dovere preliminarmente coordinare l’atteggiamento dei paesi partecipanti verso la convertibilità. D’altra parte, essi hanno aggiunto, esiste un Gruppo ministeriale di studi per la convertibilità in seno all’O.E.C.E., che ha già raggiunto un notevole accordo su una serie di principi che dovranno presiedere all’adozione della convertibilità. Inoltre, è stata prevista la creazione di un Fondo Monetario per permettere ai paesi che non potranno passare immediatamente alla convertibilità di mantenere la liberalizzazione degli scambi fino a che saranno in grado di adottarla.
In sostanza, hanno concluso i Delegati tedeschi, pur se sembra necessario un accordo circa gli obiettivi finali, la politica monetaria non può essere temporaneamente diversa per quanto riguarda l’adozione o meno della convertibilità.
I Delegati belgi hanno approvato la tesi tedesca ed hanno aggiunto che il coordinamento delle politiche monetarie potrà aver luogo più facilmente attraverso un esame comune e regolare dei problemi connessi alla politica dei cambi. Ciò potrebbe attuarsi attraverso frequenti contatti tra i Ministri delle Finanze e tra i Governatori delle Banche Centrali dei paesi partecipanti.
I Delegati belgi hanno auspicato la creazione di un comitato ad alto livello che vegli acché sia mantenuto in atteggiamento comune nei confronti della convertibilità e del problema dei cambi.
In materia il Rappresentante francese ha invece sostenuto una tesi opposta ed ha espresso in vari interventi il desiderio che lo studio del coordinamento e dell’armonizzazione delle politiche economiche e finanziarie sia fatto partendo dall’ipotesi attuale di non convertibilità delle monete. Egli ha dichiarato di temere che l’adozione della convertibilità rappresenti un ostacolo importante a sostanziali progressi verso la realizzazione del mercato comune ed ha aggiunto che nel caso di adozione della convertibilità da parte di certi paesi partecipanti, potranno aversi serie ripercussioni anche sulla politica di abolizione delle restrizioni quantitative.
È stato fatto rilevare che in regime di convertibilità sarà difficile dispiegare le stesse energie per una liberalizzazione degli scambi.
D’altra parte il Rappresentante francese ha notato che è difficile esaminare i vari problemi che si porranno in una ipotesi di adozione della convertibilità, in quanto non si sa tuttora quale reale significato avrà nei differenti paesi partecipanti questo vocabolo. È inoltre difficile prevedere quali saranno le ripercussioni economiche e nel settore dei pagamenti che si avranno in caso di un ritorno a tale regime.
I problemi di una coesistenza tra paesi con moneta convertibile e paesi con moneta inconvertibile in regime di mercato comune sembrano dunque ai francesi ancora più gravi di quelli che si porranno in seno all’O.E.C.E. Essi hanno espresso il timore che gli squilibri esistenti aumenteranno qualora non [si] svolga una politica comune nei riguardi dell’adozione della convertibilità. I paesi con moneta non convertibile dovrebbero probabilmente ricorrere a sempre più numerose misure di salvaguardia, per poi trovarsi innanzi al fatto di non poter continuare il processo di unificazione del mercato.
In sostanza si tratta di rispondere a questi due quesiti:
a) Le situazioni economiche attuali dei sei paesi partecipanti non sono forse troppo diverse per permettere un atteggiamento comune nei riguardi dell’adozione della convertibilità?
b) L’avvio ed i progressi verso il mercato comune in un sistema in cui coesistano paesi convertibili e paesi inconvertibili accrescerà o no le difficoltà e le disparità già esistenti?
La Commissione per il mercato comune ha poi affrontato l’esame di una seconda serie di problemi: quelli relativi all’armonizzazione delle politiche generali al fine di stabilire condizioni di equa concorrenza all’interno del mercato comune.
Il Presidente, nel documento di lavoro presentato alla Commissione, aveva ordinato in tre categorie i settori nei quali esiste una possibilità o necessità di armonizzazione:
a) settori in cui la coordinazione è necessaria per permettere l’inizio del processo di creazione del mercato comune (tasse indirette e tassi di cambio);
b) settori in cui la coordinazione è necessaria durante il periodo transitorio per mantenere o per fare progressi verso una completa realizzazione del mercato comune (incidenza del finanziamento della sicurezza sociale; incidenza della fiscalità; misure e pratiche che falsano il gioco della concorrenza e politica dei trasporti);
c) settori in cui la coordinazione è necessaria allorché sarà realizzato il mercato comune.
In sede di discussione generale, il Delegato francese ha sottolineato la necessità di armonizzare, per quanto possibile sin dall’inizio, le misure fiscali, i sistemi di sicurezza sociale ed il livello dei salari. Disparità in questi settori concorrerebbero, infatti, a creare degli oneri sui quali l’imprenditore non può agire.
Egli ha aggiunto che è prematuro dividere i settori nei quali è necessaria una armonizzazione in differenti categorie. Tale divisione dovrebbe essere fatta alla fine degli studi sulle possibilità di armonizzazione.
La Commissione non ha esaminato i problemi connessi all’armonizzazione indicati al punto a), tasse indirette e tassi di cambio.
L’esame dei problemi di cui al punto b) è stato rinviato alle rispettive Sottocommissioni.
Si è avuto invece uno scambio preliminare di idee sui problemi che si pongono per l’armonizzazione delle misure e delle pratiche che falsano il gioco della concorrenza.
Il Segretariato è stato incaricato di preparare per la successiva riunione un documento nel quale saranno esposti i risultati raggiunti e gli studi fatti in materia da altri organismi internazionali. Nel frattempo il Rappresentante dell’Alta Autorità ha trasmesso alla Commissione del mercato comune una nota sull’integrazione economica generale secondo la esperienza fatta in seno alla C.E.C.A.
L’interessante documento si divide in quattro parti:
- la prima, in cui è indicato il significato del mercato comune e le condizioni della sua realizzazione;
- la seconda, in cui sono analizzate le conseguenze della limitazione attuale del mercato comune a due settori ed i mezzi impiegati fino ad oggi per sormontare tale limite;
- la terza, in cui sono descritte le soluzioni che si sono sviluppate in seno alla C.E.C.A. e che potrebbero avere una portata generale;
- la quarta, in cui sono delineate le nuove misure che sembrano doversi adottare per passare da un mercato comune limitato ad un mercato comune generale.
Un altro documento (n. 80) è stato rimesso alla Commissione da parte della Delegazione belga. Esso riguarda un piano di riduzione delle tariffe doganali e propone una formula di compromesso in merito al livello della tariffa doganale comune.
Van Tichelen autore del piano propone che, nel dichiarare al G.A.T.T. l’intenzione di stabilire, alla fine di un periodo da determinarsi, una tariffa comune non più elevata della media delle attuali tariffe nazionali, si faccia esplicita riserva della possibilità di adottare una tariffa più elevata qualora da parte degli Stati terzi non si siano ottenuti adeguati compensi.
La formula, secondo il suo autore, presenterebbe il vantaggio di mantenere per vari anni aperto il negoziato tariffario con il Regno Unito e con gli Stati Uniti. L’autore stesso esprime tuttavia qualche dubbio circa l’accettabilità da parte del G.A.T.T. della riserva formale da lui proposta.
La Delegazione olandese ha a sua volta presentato un documento (n. 115) contenente una decisione del Comitato dei Ministri del Benelux sul problema dell’armonizzazione delle politiche agricole.
Il documento riflette l’esperienza dei tre paesi in materia.
I lavori della Commissione per il mercato comune sono stati ripresi il 2 agosto.
È continuata la discussione sui problemi che si pongono in rapporto alle misure ed alle pratiche che falsano il gioco della concorrenza. In merito il Segretariato ha prodotto il documento n. 97 nel quale sono stati raccolti i risultati raggiunti e gli studi fatti in proposito da altre istanze internazionali.
Dopo uno scambio di idee generali, la discussione si è basata sull’annesso I del citato documento, cioè sulle formule 8 e 9 del Rapporto della Commissione economica della Conferenza di Parigi del 1954 per la C.E.P.
Tutti i Delegati hanno sottolineato – ed i nostri Rappresentanti si sono associati a queste dichiarazioni – come le formule concordate in seno alla Commissione economica della Conferenza di Parigi, coprano abbastanza esaurientemente l’argomento relativo alle misure e pratiche che falsano il gioco della concorrenza.
Secondo tali formule sarebbero incompatibili con il mercato comune:
1) le misure delle Autorità pubbliche che falsano il gioco della concorrenza;
2) le misure e le pratiche che falsano il gioco della concorrenza nel settore delle relazioni commerciali private.
I nostri Delegati hanno chiesto che nell’eventuale documento finale siano inclusi i problemi posti dalla concorrenza tra paesi membri nelle loro esportazioni verso paesi terzi ed il problema delle misure da prendere per far fronte alle pratiche che falsano la concorrenza o che paesi terzi impiegano nei confronti del mercato dei paesi membri.
Nell’eventuale documento finale dovrebbe essere inclusa, inoltre, una dichiarazione tendente a prevedere delle eccezioni alle varie interdizioni elencate e la procedura di esame per stabilire la determinazione ed il trattamento delle misure e delle pratiche proibite. Per quanto riguarda questi due punti si potrà tener conto anche dell’art. 67 del Trattato C.E.C.A.
I Delegati francesi hanno dichiarato che il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune può essere falsato anche da distorsioni derivanti da differenze in materia di imposte, di contributi sociali ecc.
Essi hanno inoltre ricordato che il concetto di lealtà tra concorrenti deve essere integrato dal concetto di equità dei punti di partenza. L’argomento non è stato approfondito e sembra che varie Delegazioni abbiano delle riserve su questa impostazione.
Al termine della discussione il Segretariato è stato incaricato di esaminare la possibilità di preparare un documento che, basandosi essenzialmente sulle formule 8 e 9 della Commissione economica della Conferenza di Parigi, tenga conto delle varie osservazioni fatte nel corso delle due ultime riunioni.
Nella riunione del giorno 4 agosto la Commissione ha iniziato la discussione dei problemi relativi alle clausole di salvaguardia.
I vari problemi esaminati potrebbero dividersi in tre categorie:
a) clausole di salvaguardia per far fronte a difficoltà di carattere generale (ripercussioni sull’attività produttiva generale di un paese);
b) clausole di salvaguardia per far fronte a difficoltà di carattere particolare (ripercussioni sull’attività economica di una regione o di un settore produttivo);
c) clausole di salvaguardia per far fronte a difficoltà di bilancia dei pagamenti.
Sono state esaminate, inoltre, le eventuali procedure di esame per autorizzare un paese interessato a derogare o sospendere le misure adottate. Infine, è stato discusso se il ricorso alle clausole di salvaguardia debba essere permesso per il periodo iniziale, transitorio o finale del processo di integrazione economica.
È stata generalmente ammessa la possibilità di ricorso a clausole di salvaguardia in caso di difficoltà di carattere generale, nell’eventualità cioè di gravi ripercussioni sull’attività economica di un paese e in caso di difficoltà di carattere particolare. Nei vari interventi è stato implicitamente riconosciuto che dovrebbe essere possibile poter ricorrere in tali casi anche al ripristino di restrizioni quantitative e all’aumento di tariffe doganali, ridotte in seguito all’inizio del processo di integrazione.
Per quanto riguarda il ricorso a clausole di salvaguardia per far fronte a difficoltà di carattere particolare, il Rappresentante dell’O.E.C.E. ha desiderato rilevare che in caso di difficoltà particolari i paesi membri dovrebbero essere incoraggiati piuttosto a fare uso di sovvenzioni dirette in favore dei settori colpiti, che a ricorrere all’impiego di strumenti che provocano ripercussioni e distorsioni economiche di carattere generale, quali le restrizioni quantitative e l’aumento delle tariffe doganali.
Le sovvenzioni dirette alla produzione avrebbero il vantaggio di essere limitate alle industrie colpite, di essere soggette ad una continua pressione per la loro abolizione e, infine, se ne potrebbe sapere il costo. Il Delegato italiano Dr. Di Falco ha sottolineato, tuttavia, che l’erogazione di sovvenzioni può presentare difficoltà di bilancio e di carattere politico.
Per ciò che concerne il ricorso a clausole di salvaguardia in caso di difficoltà dalla bilancia dei pagamenti totale di un paese, durante le discussioni sembra si sia delineata una tendenza a voler includere questo argomento tra i problemi posti dall’armonizzazione delle politiche economiche, finanziarie e monetarie.
Tale punto di vista è stato soprattutto appoggiato dalla Delegazione tedesca e dalla Delegazione belga, le quali hanno sostenuto che, alle difficoltà di bilancia di pagamenti, debba ovviarsi attraverso il rimedio preventivo dell’armonizzazione delle politiche generali economiche. Inoltre, simili difficoltà di carattere generale rivestirebbero un aspetto speciale, in quanto il ricorso a clausole di salvaguardia in tali casi richiede una armonizzazione con le misure già esistenti in questo settore in seno all’O.E.C.E. ed al G.A.T.T.
È da notare, tuttavia, che sia il Delegato tedesco sia il Delegato belga non hanno escluso il ricorso a clausole di salvaguardia per motivi di bilancia di pagamenti. Occorre ricordare, infatti, che la Delegazione belga aveva avuto alla Conferenza di Parigi del 1954 in tema di elaborazione del progetto di trattato per la Comunità Politica Europea un atteggiamento più rigido.
Il Delegato britannico ha sottolineato l’importanza che nell’applicazione delle clausole di salvaguardia siano osservati principii simili a quelli esistenti in sede O.E.C.E. In tale applicazione cioè:
a) non dovrebbe esser fatta nessuna discriminazione tra i paesi membri;
b) il ricorso alle clausole di salvaguardia non dovrebbe provocare difficoltà altrimenti evitabili (unnecessary troubles);
c) dovrebbero essere rispettati gli impegni già contratti.
Da varie parti è stato rilevato che il problema della procedura ha per il ricorso alle clausole di salvaguardia [sic].
Alcuni Delegati hanno dichiarato che la procedura per esaminare i casi in cui la clausola di salvaguardia è invocata deve essere rigida.
Il Delegato inglese ha aggiunto che un buon sistema di procedura è più importante di una elencazione dei casi in cui debba esser previsto il ricorso alla clausola di salvaguardia. Egli si è inoltre richiamato all’utile esperienza fatta in seno all’O.E.C.E.
Anche il Rappresentante francese ha appoggiato i membri della Commissione che avevano sottolineato l’importanza del sistema di procedura. Egli ha, tuttavia, desiderato notare che nell’elaborazione del sistema deve tenersi conto più della pressione morale che esso può esercitare e meno della sua rigidezza.
A questo fine, egli ha suggerito, a titolo personale, di esaminare la possibilità di creare un sistema che preveda differenti fasi di esame o differenti istanze.
Il Delegato belga ha mostrato una certa simpatia per questa proposta e si è espresso in favore della creazione di organi permanenti che presiedano all’armonizzazione delle politiche e che rendano l’armonizzazione obbligatoria.
È stato ribadito che solo nel caso in cui l’armonizzazione si riveli inadeguata dovrà essere permesso il ricorso alla clausola di salvaguardia. Prima tuttavia dovranno essere impiegati tutti i mezzi di armonizzazione preventiva.
Alla fine del dibattito sulle clausole di salvaguardia – dibattito che ha avuto un carattere preliminare – il Segretariato ha presentato il documento di lavoro n. 132.
Esso dovrebbe costituire contemporaneamente una specie di pro-memoria dei lavori svolti e un ordine del giorno per i lavori futuri.
Un primo scambio di idee sul documento ha rivelato tuttavia la sua incompletezza, soprattutto per quanto riguarda il paragrafo 4 a pagina 3. Il Segretariato dovrà perciò presentare un nuovo documento di lavoro per la prossima tornata che avrà inizio il 29 agosto p.v.
Per i Dicasteri più direttamente interessati si allegano le copie dei documenti di lavoro della Commissione per il mercato comune5.
1 Trasmesso agli stessi destinatari di cui al D. 69, nota 1.
2 Vedi D. 69.
3 Vedi D. 65.
4 Vedi DD. 66 e 69.
5 Non pubblicati.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato 1291/8311. Parigi, 19 agosto 1955.
Oggetto: Cooperazione atomica europea.
La Conferenza atomica non è ancora finita e già qui se ne vogliono trarre le prime conclusioni: un po’ troppo presto, di fronte alla mole ed alla complessità dei problemi che si stanno affrontando a Ginevra.
L’esposizione commerciale «atome pour la paix» avrebbe rivelato una superiorità dell’Inghilterra su tutti gli altri paesi (Stati Uniti compresi) per quanto concerne la varietà e la qualità delle applicazioni industriali dell’energia atomica, ed avrebbe, per contro, messo in rilievo che i risultati conseguiti dai cinque paesi che si sono legati alla Francia nel programma di Messina, sono ancora piuttosto modesti. Anche le prime «rivelazioni» fatte dai Delegati avrebbero confermato i grandi progressi degli inglesi.
Il problema, quindi, di agganciare l’Inghilterra in un sistema di cooperazione comune si presenta già per i francesi nella sua piena attualità: non è, perciò, una mera coincidenza se proprio in questi giorni, in certi ambienti vicini ai ministri gaullisti, si è cominciato a parlare con una certa insistenza dell’opportunità che la Francia si orienti decisamente verso una soluzione O.E.C.E. di cooperazione atomica.
Le ragioni addotte a sostegno di questo nuovo punto di vista sembrerebbero anche plausibili. Anzitutto, vi è da considerare che la Gran Bretagna ha dato all’O.E.C.E. certe assicurazioni di cooperazione, in campo atomico, che non sarebbe disposta a rinnovare, malgrado la sua presenza ai lavori di Bruxelles, ad altri tipi di organizzazione europea.
In secondo luogo, l’O.E.C.E. è già, da tempo, in funzione e, senza che siano necessari altri trattati, sarebbe in grado di avviare e sviluppare la cooperazione atomica attraverso le sue procedure abituali: sul piano commerciale, per il libero accesso alle risorse minerarie, per l’attuazione di un sistema di non discriminazione e di prezzi equi, ecc. ecc. L’O.E.C.E. potrebbe già elaborare dei programmi comuni, sperimentali ed industriali, e costituire un fondo speciale per questi programmi; potrebbe promuovere la formazione di imprese industriali, finanziate da tutti o da parte dei paesi membri, per determinate produzioni in comune (come la separazione degli isotopi di uranio, la produzione dell’acqua pesante, ecc.); potrebbe, perfino, offrire la procedura ad hoc, come è avvenuto con la Conferenza dei trasporti, per la costituzione di «gruppi» di paesi membri più strettamente legati da forme di cooperazione più spinte.
Tutte queste iniziative, secondo i sostenitori della soluzione O.E.C.E., rientrerebbero, più o meno, nell’attività normale dell’organizzazione, e dei semplici accordi tra i Governi potrebbero bastare per realizzare gradualmente la cooperazione, senza che sia necessaria la stipulazione di un nuovo trattato da sottoporre alla ratifica dei Parlamenti. E poiché il Parlamento francese sembra costituire l’incubo di quanti aspirano alla «relance» europea, questo ragionamento, piuttosto semplicistico, mirerebbe a presentare un’alternativa migliore della Conferenza di Bruxelles per sabotare, sostanzialmente, il programma di Messina.
Data l’insistenza di queste voci e la loro provenienza (non si dimentichi che un Ministro gaullista dirige la politica atomica francese), si è ritenuto opportuno sondare presso il Quai d’Orsay se effettivamente sia in preparazione, da parte francese, qualche brusco cambiamento di rotta che farebbe naufragare i tentativi, in corso a Bruxelles, di realizzare la «relance» europea in campo atomico.
Il Capo dell’ufficio competente del Quai d’Orsay, interpellato in proposito, ha tenuto a dichiarare che queste «dicerie» non rispecchiano per nulla il punto di vista dei Ministri responsabili, e che la Francia, pertanto, resterà fedele al programma di Messina e continuerà a partecipare ai lavori di Bruxelles con intenzioni sinceramente costruttive. Naturalmente, ha aggiunto, il Governo francese non è legato, per quanto concerne la cooperazione atomica, a «nessuna formula dogmatica» (è l’espressione cara a Faure), ed è disposto a dare il suo contributo a qualsiasi altra iniziativa, anche promossa attraverso l’O.E.C.E., che possa raggiungere lo scopo. In ogni caso, però, è da escludere che la Francia si presenti a Bruxelles con una soluzione O.E.C.E. come «programme de secours» da sfoderare alla prima occasione.
Il nostro interlocutore ha ammesso che la Francia avrebbe grande interesse, dal punto di vista tecnico, ad ottenere la collaborazione dell’Inghilterra. Si è lasciato però sfuggire che al Quai non si fanno alcuna illusione che l’Inghilterra abbia effettivamente l’intenzione di partecipare ad un programma europeo di ricerche, di scambi di segreti tecnologici, di realizzazioni industriali, di finanziamenti di iniziative comuni. L’Inghilterra, secondo l’opinione prevalente al Quai, concepirebbe la cooperazione da un punto di vista strettamente commerciale, come lo strumento idoneo per eliminare le misure restrittive con cui i paesi del continente sono o saranno costretti a difendere lo sviluppo dei loro programmi nazionali.
Gli inglesi, in altre parole, attraverso un mercato comune per gli scambi di «equipment» per le centrali atomiche, degli altri prodotti industriali nucleari e delle materie prime, vogliono trovare sbocchi per l’industria atomica inglese ed avere libero accesso, a parità di costi, alla produzione di uranio e di altri combustibili nucleari degli altri paesi. È il solito principio per cui il più forte industrialmente ha bisogno del mercato libero per affermare la sua supremazia.
L’interesse inglese per l’O.E.C.E. si spiegherebbe in quanto questa organizzazione, per la sua stessa struttura e per l’esperienza già fatta in altri campi, sarebbe già in grado di diventare una specie di «stanza di compensazione» dei prodotti e delle materie prime atomiche dei singoli paesi, apprestando il necessario sistema per superare gli ostacoli di natura fiscale e valutaria.
Date queste specifiche aspirazioni inglesi (di cui un primo indizio sarebbe una recente decisione del Governo britannico di sovvenzionare le esportazioni private di «equipment» e prodotti nucleari), la Francia non può condizionare alla partecipazione inglese la sua adesione ad un sistema di cooperazione, tanto più che questa, secondo le intenzioni francesi, dovrebbe estendersi anche al campo industriale, finanziario ed agli scambi dei segreti tecnologici (tutti settori ove l’Inghilterra difficilmente vorrebbe collaborare). Una soluzione O.E.C.E. verrebbe, prima o poi, influenzata dalle direttive inglesi; quindi la Francia non avrebbe un interesse particolare ad abbandonare, per tale soluzione, il programma di Messina.
Nei riguardi di questo programma, «la politica francese è, e resterà, quella che Gaillard sta sostenendo a Bruxelles» (cioè – come si desume facilmente da un semplice confronto letterale tra il testo dell’intervista di Palewski al «Monde» e quella del progetto Gaillard – la politica che hanno tracciata i ministri gaullisti d’intesa coi dirigenti del Commissariato per l’energia atomica)2. Il nostro interlocutore, dopo questa precisa affermazione, ha, tuttavia, cercato di dimostrare come tale politica sia perfettamente conforme agli ideali europeistici che hanno ispirato (di fronte al pericolo della crisi governativa minacciata dai repubblicani popolari) la nota dichiarazione del Comitato interministeriale presieduto da Faure. Infatti, secondo l’interpretazione del Quai, la «relance» europea non escluderebbe, in principio, che la cooperazione, piuttosto che essere limitata ai Sei, sia aperta ad altri paesi che possano apportare un effettivo contributo sul piano tecnico e produttivo. Inoltre, l’autonomia dei singoli programmi nazionali – che è uno dei punti fermi delle proposte francesi a Bruxelles – potrebbe anche implicare il «coordinamento» di questi programmi da parte dell’«Agence» atomica comune (a dire il vero, il progetto Gaillard prevede questa possibilità soltanto per le ricerche sperimentali!). Attraverso l’attività di coordinamento, l’Agence potrebbe realizzare, sempre secondo il Quai, l’unità voluta dagli europeisti. In quanto al problema delle materie prime, il Governo francese sarebbe, in linea di massima, per l’attribuzione all’Agence europea del diritto di priorità di acquisto della produzione di uranio di tutti i territori d’oltremare dei paesi membri, ma poiché l’accordo belga-americano è un dato di fatto da cui non si può prescindere, si dovrebbe cercare di risolvere la questione attraverso una formula di compromesso coi belgi o, qualora neanche questa fosse possibile, di far partecipare alla cooperazione altri paesi europei (es. Portogallo) che risultano assai ricchi di uranio.
In sostanza, le direttive sono sempre quelle enunciate da Palewski; soltanto che il Quai cerca di conferire ad esse un crisma europeistico per conciliarle, in un certo senso, con le nostalgiche aspirazioni dei Ministri dell’M.R.P.
Sembra che, nel Governo francese, l’unità di indirizzo, in questo campo, si sia finalmente raggiunta con uno strano sistema: Teitgen e Schuman impongono le loro formule per le dichiarazioni collegiali, più o meno platoniche, del Gabinetto; e Palewski e Guillaume impongono, per contro, i loro obiettivi per la concreta azione governativa. La diplomazia francese deve servirsi di quelle formule per far raggiungere questi obiettivi.
Così, l’europeista Gaillard difende a Bruxelles il programma dei Ministri gaullisti, presentandolo come l’ultima edizione del programma di Messina.
1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.
2 Vedi D. 72.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO VI,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI
Telespr. 46/125481. Roma, 22 agosto 1955.
Oggetto: Rapporti fra O.E.C.E. e Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.
Circa l’argomento in oggetto la nostra Rappresentanza presso l’O.E.C.E. a Parigi ha segnalato in data 9 agosto u.s. quanto segue:
«Al termine della prima fase dei lavori del Comitato Direttivo della Conferenza di Bruxelles, non mi sembra inutile dare qualche cenno sull’andamento dei rapporti tra esso e l’O.E.C.E. durante tale fase.
Torno a ricordare, innanzi tutto, che i risultati della Conferenza di Messina erano stati accolti, in un primo tempo, con una certa diffidenza negli ambienti O.E.C.E. e specie nelle Delegazioni di alcuni paesi estranei all’iniziativa. Non fu privo di significato il fatto che, nella sua agape oratoria del 10 giugno, il Cancelliere Butler collegasse il nome di Messina a reminiscenza di riesumazioni («archeological excavations», egli disse); al che il Ministro olandese Beyen rispose argutamente che si sarebbe dovuto piuttosto pensare a Scilla e Cariddi e ai terremoti.
Durante le discussioni svoltesi al Consiglio per decidere il seguito da darsi all’invito di Calmes (v. documento C(55)157 allegato al telespresso sopra citato)2, il presidente Ellis-Rees fu anche lui piuttosto riservato, giungendo a dire che il Segretario Generale avrebbe dovuto partecipare ai lavori di Bruxelles come una specie di «ambasciatore» dell’Organizzazione. L’idea contenuta in questo accenno non ebbe naturalmente successo, e dopo le dichiarazioni del collega olandese a nome dei sei paesi, di cui ho già informato codesto Ministero, fu accolto il principio che si sarebbe trattato piuttosto di una cooperazione sul piano tecnico, pari a quella di altri organismi internazionali. Cosicché, quando giunse l’invito formale di Spaak, Sergent poté rispondere positivamente menzionando l’approvazione unanime del Consiglio.
La nostra Delegazione alla Conferenza di Bruxelles non ha certo mancato di riferire anche sulla partecipazione del Segretariato dell’O.E.C.E., che si è concretata nella presenza di uno dei segretari generali aggiunti (Colonna) e nell’assistenza di altri funzionari (in particolare Bertrand della Direzione economica, molto apprezzato al Sottocomitato investimenti e durante le discussioni sul mercato comune) ai dibattiti di tre delle quattro Commissioni (esclusa cioè quella per l’energia atomica).
Nel frattempo, anche alcuni Delegati presso l’O.E.C.E., i quali in un primo momento si erano mostrati alquanto preoccupati o scettici, si andavano rendendo conto che Bruxelles, lungi dal rappresentare un doppio impiego o un pericolo, poteva essere considerato un eventuale utile complemento dell’O.E.C.E., specie dopo che gli accordi per stabilire il regime dei pagamenti e degli scambi intraeuropei al momento del passaggio alla convertibilità dimostravano come occorresse prepararsi alla ricerca di nuovi metodi e nuove forme per rafforzare e materiare la cooperazione economica intraeuropea.
Tuttavia, in linea di fatto, l’azione di collaborazione del Segretariato dell’O.E.C.E. a Bruxelles non è stata sempre molto agevole. Lo prova il fatto che, mentre ci si è avvalsi, ogni qual volta lo si è ritenuto utile, della collaborazione tecnica dei funzionari dell’O.E.C.E., questi non sono stati, viceversa, ammessi in Comitato Direttivo. La circostanza è stata rilevata al Castello della Muette, tanto che in data 1° corrente il Signor Sergent ha indirizzato una lettera al Presidente Spaak, per esporre la situazione e chiedere quali fossero le sue intenzioni.
A fine mese, quando verranno ripresi i lavori dei Sei, occorrerebbe raggiungere una qualche intesa onde permettere al Segretariato dell’O.E.C.E. di continuare a prestare la sua opera senza che essa possa dar luogo a critiche o recriminazioni. In proposito, mi è stato detto che al Presidente Spaak è stata data facoltà di decidere, volta per volta, se e come l’O.E.C.E. debba partecipare ai dibattiti del Comitato»3.
1 Diretto agli stessi destinatari di cui al D. 57, nota 1, ad eccezione della Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi, e della Direzione Generale degli Affari Economici. Il documento reca una firma illeggibile.
2 Il documento recava evidentemente un riferimento che è stato omesso nella ritrasmissione.
3 Per il seguito della questione vedi DD. 107 e 111.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
R. segreto 1358. Parigi, 30 agosto 1955.
Oggetto: Politica italiana. U.E.O.
Signor Ministro,
nei loro interessanti rapporti sulla situazione dopo Ginevra, i colleghi Zoppi e Grazzi hanno sollevato alcune questioni concernenti la politica italiana1.
Per quello che riguarda una maggiore partecipazione italiana alla «grande» politica che si va svolgendo bisognerebbe, secondo me, distinguere:
1) sul piano delle conversazioni bilaterali, ossia attraverso il normale tramite diplomatico, noi possiamo dire quello che vogliamo, e quando lo vogliamo: bisogna solo che prendiamo l’abitudine di farlo, come la si aveva un tempo. Se le nostre idee saranno sagge ed opportune, abbiamo anche qualche chance che siano accolte: dovremo solo rassegnarci alla perdita della paternità;
2) potremo anche, col tempo e colla pazienza, riuscire ad ottenere una qualche maggiore partecipazione collettiva degli atlantici minori, allo shaping della grande politica. Tenendo però presente che il limite nec plus ultra è la misura della partecipazione dei minori, nel 1946, alla Conferenza della pace per l’Italia: ossia discussione sì, ma impossibilità di alterare le grandi decisioni prese dai Quattro.
In realtà però, se noi siamo onesti verso noi stessi, non è soltanto questo quello che noi vogliamo: noi vorremmo «far parte» dei Grandi e che gli altri minori atlantici ne restassero fuori.
Ora questo non lo otterremo mai. Non lo otterremo dai nostri alleati, i quali, forse, se lo potessero, escluderebbero dal gruppo dei Grandi la Francia, ma non sono certo disposti ad ammetterci degli altri. Nemmeno la Germania: non ci lasciamo abbacinare da certe apparenze: la Germania viene consultata più di noi – un po’ a parte – perché è in fondo della sua sorte che si parla e perché serve darsi l’aria di consultarla per dire di no ai russi. Voglio vedere poi se sarà consultata il giorno in cui i Grandi decideranno invece di dire di sì.
Ma lo otterremo anche meno da Mosca. Se c’è qualcuno che tiene alle gerarchie delle potenze, e ci tiene con la spietatezza del nouveau riche, è proprio la Russia: bisogna aver visto una volta che cosa sembra l’Italia agli occhi russi per rendersene conto.
Può essere che un giorno, per motivo di propaganda od altro, la Russia si faccia campione dell’opportunità di allargare il cerchio delle discussioni: ma allora sarà perché ci vuole tirar dentro la Polonia, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia o che so io ancora: ottenere che la Russia consenta a promuovere l’Italia, sola o quasi sola, alla posizione di Grande, questo, prego V.E. di credermi, è fuori questione.
Che le destre italiane abbiano preso posizione per reclamare una più diretta partecipazione ai futuri negoziati, era da aspettarselo. L’Italia sta evolvendo lentamente ma fatalmente verso le grandi riforme: la destra cerca, come sempre ha fatto in questi casi, di sviare l’attenzione del Governo e dell’opinione pubblica da questi grossi problemi, che sono anche i veri problemi dell’Italia, facendo appello a delle impostazioni nazionalistiche.
Lo stesso fanno certi settori di sinistra, contrari, come le destre, ma per differenti ragioni, a certe riforme.
È un’opposizione quindi che è vano sperare di soddisfare perché è in mala fede: più che cercare invano di soddisfarla, si potrebbe invece cercare di indirizzare meglio l’opinione pubblica media: far capire, per esempio, che per il prestigio dell’Italia è molto più nocivo non aver niente da dire alla Conferenza atomica che il non far parte della Conferenza di Ginevra.
Comunque il mio dovere, ritengo, è quello di non indurre in errore il Governo italiano: è solo per questo che tengo a precisare ancora una volta quello che, secondo me, si può ottenere e quello che non si otterrà mai.
Tutti e due i miei colleghi sembrano ritenere che le migliori possibilità per un’azione ed una valorizzazione dell’Italia, si possano trovare nel settore dell’U.E.O.
Non discuto la questione in sé: è giustissimo, in seno all’U.E.O. noi siamo, in partenza, fra i Grandi – meno che nella C.E.D., ma comunque lo siamo: si è sempre i grandi di qualche cosa.
Quello che mi domando è se sia nelle nostre possibilità il fare qualche cosa di serio per utilizzare l’U.E.O.
Noi diciamo, unendoci al coro atlantico che siamo arrivati alla distensione ed a Ginevra perché abbiamo realizzato l’U.E.O. nonostante le minacce sovietiche. Mi domando se, a parte il suo valore propagandistico, questa affermazione è esatta. I russi hanno fatto tutto il loro possibile, magari con un po’ meno di convinzione che nel caso della C.E.D., per evitare che l’U.E.O. fosse ratificata: hanno fatto l’errore di far balenare chissà quali conseguenze tragiche in caso della ratifica dell’U.E.O. – è sempre un errore, sia che lo facciano i russi, sia che lo facciano gli americani, quello di fare la voce grossa quando poi in fatto non si farà gran che. Adesso, cercano di fare il loro possibile per evitare che l’U.E.O. diventi una realtà. E non è affatto escluso che ci riescano.
L’U.E.O. è essenzialmente, come la C.E.D., il riarmo della Germania. Ora, come ho spiegato in un mio altro rapporto, il riarmo della Germania mi sembra già sospeso: con questo restano sospese agenzie di armamenti, agenzie di controllo e tante altre belle cose.
Se realmente il riarmo della Germania sarà sospeso, come io penso – di fatto, naturalmente, non di diritto – ciò vorrà dire che gli americani lo avranno accettato sia in omaggio allo spirito di Ginevra, sia per l’impossibilità di portar gli altri, e forse gli stessi tedeschi, a restare nelle linee dell’U.E.O.
Resta il settore non militare: l’U.E.O. come istituzione suscettibile di sviluppi nel senso dell’integrazione europea.
Su questo argomento bisogna fare una premessa: una politica europea anche edulcorata, come quella che permetterebbe l’U.E.O., è una politica in netto contrasto colle idee russe. Il fatto che nell’U.E.O. l’elemento militare sia meno presente che nella C.E.D., non cambia molto: la Russia è contraria, è stata contraria e sarà sempre contraria a qualsiasi forma di integrazione dell’Europa Occidentale, anche la più melliflua. Potrebbe forse solo cambiare il giorno in cui di questa Europa facessero parte anche i satelliti: non ne sono del tutto sicuro, ma certo, senza i satelliti, qualsiasi forma di integrazione europea sarà attivamente ostacolata dalla Russia. Non ci facciamo illusioni: essere antieuropeo non significa necessariamente essere filo-russo: ma essere europeo significa, agli occhi di Mosca, essere antirusso ed anticomunista.
Agli occhi russi è più sopportabile essere atlantici che essere europei. Perché l’alleanza atlantica è ancora, primariamente, una alleanza militare, quindi temporanea: un’integrazione europea, una volta fatta, è invece definitiva.
Ora, detto questo, mi pongo la domanda: chi ci seguirebbe sulla via di una valorizzazione, come che sia, dell’U.E.O.? I miei colleghi potranno dire quali probabilità esistono nei paesi di loro competenza: per quello che riguarda la Francia, non posso che rispondere negativamente.
A Messina od altrove si può parlare quanto si vuole di integrazione europea, di agenzie specializzate: possiamo creare tutte le commissioni di studio che vogliamo. Ma non ci dimentichiamo che, quando queste commissioni dovranno partorire degli accordi, ci incontreremo con il solito ostacolo: il Parlamento francese.
Mi permetto qui di ripetere quello che ho già detto a V.E. molte volte: al Parlamento francese non c’è maggioranza per nessun piano europeo di grande portata, sia che si tratti del settore militare, sia che si tratti del settore economico. Il Parlamento francese li rifiuterà, perché gli interessi francesi organizzati sono sufficientemente forti politicamente per impedire che quello che potrebbe essere nocivo ai loro privilegi venga accettato. Ma lo rifiuta anche, come è stato nel caso della C.E.D., perché la maggioranza al Parlamento francese è convinta che la politica di integrazione europea è una politica che rende impossibile od almeno difficile quella politica di distensione che è il sogno di tutti i francesi.
Non è una politica ragionata: c’è troppa gente qui che è convinta che per sé tutto andrebbe benissimo in Francia o nel suo Impero, ma alla base di tutte le difficoltà ci sono solo gli intrighi stranieri: e vede nella distensione la speranza appunto di essere lasciata in pace.
È difficile fare delle previsioni sulle future elezioni: ma mi sembra estremamente poco probabile che ci sia un cambiamento d’animus talmente forte da mandare al potere una Camera orientata sugli ideali di Robert Schuman. Sono solo delle crisi gravissime, interne o semi-esterne che potrebbero convertire la Francia.
L’U.E.O. può ritornare di attualità, e quindi essere valorizzata, se e nella misura in cui si diluisce lo spirito di Ginevra. Se lo spirito di Ginevra perdura – e perché perduri bisognerà mettere l’U.E.O. nella naftalina – tutto questo è al di fuori della zona di nostra possibile influenza.
Per cui la valorizzazione dell’U.E.O., nelle circostanze attuali, può essere una speranza, non una politica. Noi possiamo seguirla, aiutarla, perfezionarla se ed in quanto i maggiori di noi lo vogliono: se non lo vogliono, se vanno per una altra strada, non siamo certo noi che possiamo portarli a volerlo.
Il fatto di aver creduto, contro ogni evidenza, che si potesse realizzare la C.E.D., di essersi fatti gli apostoli di una politica che esisteva solo nella nostra immaginazione, ci ha portati a delle complicazioni, anche interne, di cui non riusciamo a liberarci. E la C.E.D., almeno, aveva in tutto i1 mondo dei partigiani entusiasti e fanatizzati. L’U.E.O. non ha nemmeno questo.
Siamo in un momento in cui tutte le assise della politica internazionale, di cui abbiamo fatto parte, sono scosse. Sono il primo a deplorarlo ed a paventarne le conseguenze. Il mondo occidentale, piuttosto che vincere lottando, preferisce suicidarsi in una nuvola di illusioni, pur di essere lasciato in pace per qualche tempo.
Siamo a suo tempo stati presi anche noi – e vittime sul piano diplomatico almeno – in un altro periodo di «accordo ad ogni costo» subito dopo la guerra: sono stati i russi e solo i russi ad aver ragione delle illusioni americane.
Purtroppo, in questo momento, temo, la diplomazia italiana non può far altro che osservare e seguire il corso degli eventi: non sappiamo dove si va: non sappiamo che bestialità faranno domani i nostri alleati od i nostri avversari. È per questo che, in questo periodo, fino a che non sarà più chiaro dove si va, o dove si crede di andare, per me non c’è altro da fare che starcene tranquilli, nel nostro angolo, a vedere: ogni iniziativa che può sembrare ottima oggi, rischia di essere fuori posto domani.
La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio.
Quaroni
1 Non pubblicati, sull’argomento si veda comunque il D. 63.
IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 14051/156-1571. Bruxelles, 1° settembre 1955, ore 15,05 (perv. ore 19).
Oggetto: Commissione per l’integrazione europea.
Mio telegramma n. 155 odierno2.
Rothschild che ho visto oggi mi dice che Spaak è ansioso di evitare che a Noordwijk3 i Ministri si impegnino in discussione di fondo circa lo sviluppo e i limiti d’integrazione europea alla luce dei lavori di Bruxelles. Tale preoccupazione, che ho riscontrato anche negli ambienti delle varie Delegazioni e del Segretariato, si fonda sul fatto che il Governo francese è sufficientemente diviso dalla crisi nord-africana per poter dare a Pinay istruzioni riservate e meditate sulle questioni europee.
Spaak ritiene che bisogna dare fiducia a Pinay circa il ritmo che i francesi possono sopportare in materia di integrazione. È in base a quanto il Ministro francese dirà martedì4 a suoi colleghi che si potrà quindi cominciare a vedere chiaro sui futuri lavori: e in particolare che Spaak possa sperare convocare conferenza all’inizio del 1956 e di formulare trattato prima delle elezioni francesi. In queste prospettive converrà anche fissare data finale dei lavori di Bruxelles che a Messina si erano previsti per primi ottobre. Tecnicamente lavori potrebbero concludersi, se non per il 1°, per 15 ottobre circa. Spaak si rende conto che le discussioni prolungate fra gli esperti, a questo stadio, accumulano più difficoltà e riserve di quanto ne sciolgano. Tuttavia egli sarà incline al rallentamento del ritmo dei lavori di Bruxelles e magari a non fissare loro dei limiti precisi, se Pinay lo preferirà.
Che cosa si potrà fare da gennaio a maggio 1956 non è in questa ipotesi ben chiaro: ma forse si potrebbe negoziare qualche accordo di settore, in uno di quei pochi campi tecnici che a Bruxelles appaiono offrire qualche residua promessa. I lavori degli esperti a Bruxelles segnano infatti probabilmente la fine all’illusione presagita integrazione per settori.
Per l’energia nucleare Rothschild mi ha confermato che Spaak sacrificherà la posizione di privilegio belga solo sull’altare del mercato comune. Non farà tuttavia probabilmente condizione sine qua non della partecipazione dei territori d’oltremare al mercato comune. Nel frattempo i belgi vogliono affrontare il problema dell’eventuale utilizzazione a fine militare da parte di qualche Nazione del pool uranio messo in comune.
Mi è stato detto che dopo Ginevra tuttavia i belgi sono meno convinti del valore delle informazioni tecniche loro promesse dall’accordo americano, ed i francesi – anche Perrin – meno sicuri della possibilità di raggiungere da soli il livello dello sviluppo dell’industria nucleare dei grandi paesi.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.
2 T. 13975/155 del 31 agosto, con il quale Ducci aveva comunicato: «Commissione energia nucleare convocata per 5 settembre ore 15. Prego informare Professori Giordani ed Ippolito».
3 Conferenza dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Noordwijk, del 6 settembre 1955: vedi D. 85.
4 Il 6 settembre.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL PRESIDENTE DELL’ALTA AUTORITÀ DELLA C.E.C.A., MAYER
L. 1/3525. Roma, 1° settembre 1955.
Caro Presidente ed amico,
rispondo alla sua lettera relativa alla ratifica da parte dell’Italia del Trattato di associazione della Gran Bretagna alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio1.
Perfettamente convinto della necessità di accelerare le procedure parlamentari nei singoli Stati facenti parte della Comunità ho provveduto nel mio paese a che fossero prese tutte le possibili misure atte ad accelerarne il corso.
Sono ora in grado di poterle comunicare che lo strumento è stato perfezionato con la firma da parte del Presidente della Repubblica e che esso verrà immediatamente trasmesso2.
Ho appreso con vivo piacere dalla sua lettera del suo progetto di una visita a Roma nei primi giorni del prossimo mese di ottobre.
Sarò ben lieto in tale occasione di poter avere con lei quegli scambi di vedute che così fecondi di realizzazioni si sono dimostrati in altre occasioni.
La prego di voler credere, caro Presidente ed amico, all’espressione dei miei sentimenti i più cordiali.
Martino
1 Vedi D. 67.
2 Vedi D. 90, nota 2.
COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,CON L’INCARICATO D’AFFARIDELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA A ROMA, STRACHWITZ
Appunto riservato. Roma, 1° settembre 1955.
L’Incaricato d’Affari di Germania, Rudolf Strachwitz, ha chiesto di vedere S.E. il Ministro per riferirgli un messaggio del Ministro degli Esteri tedesco; egli è stato ricevuto alle ore 11,30.
Il Signor Strachwitz ha iniziato la conversazione esprimendo il rammarico del Ministro von Brentano per il rinvio del viaggio a Bonn del Ministro degli Esteri italiano, rinvio che, come è noto, fu dovuto alla crisi politica. Ora, tuttavia, il momento sembrava di nuovo propizio per una visita dell’On. Martino nella capitale tedesca ed egli quindi aveva l’onore di rinnovare, a nome del Ministro von Brentano, l’invito di visitare Bonn se possibile nei giorni 21, 22 e 23 ottobre p.v. e cioè prima della Conferenza N.A.T.O. che verrà tenuta in relazione alla riunione di Ginevra tra i Ministri degli Esteri di Gran Bretagna, di Francia, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica.
S.E. il Ministro ha risposto ringraziando per il cortese invito e dicendosi molto lieto di incontrare il Ministro degli Esteri germanico. Ha ricordato all’Incaricato d’Affari tedesco che, in occasione del primo invito, questo era stato esteso anche al Presidente del Consiglio ed ha quindi chiesto se S.E. Segni si intendeva incluso per la prossima visita.
Il Signor Strachwitz ha precisato di avere solo il nome dell’On. Martino nella comunicazione ricevuta dal Ministro von Brentano, ma ha subito aggiunto di ritenere che una visita del Presidente Segni sarebbe stata molto gradita e quindi si sentiva di affermare che l’invito comprendeva anche il Presidente del Consiglio.
Il Ministro Martino ha allora detto che prima di poter dare una risposta per quanto riguardava la data proposta per la visita, era necessario che egli si consultasse con il Presidente del Consiglio. Si riservava di ritornare sull’argomento con il Signor Strachwitz non appena avrebbe avuto ogni elemento utile per poter dare al Ministro degli Esteri germanico una conferma dell’accettazione italiana1.
1 Per il seguito vedi D. 98.
IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 14153/1631. Bruxelles, 2 settembre 1955, ore 19,50 (perv. ore 3,15 del 3).
Oggetto: Conferenza Ministri Esteri C.E.C.A.
Relazione che il Ministro Spaak farà a suoi colleghi sui lavori Bruxelles esporrà in dettaglio risultati singole Commissioni. In una visione sintetica può dirsi che bilancio prima fase Conferenza è positivo per quanto riguarda prima individuazione elementi costitutivi e tappe del mercato comune, negativo quanto a integrazione sezionale. Già da ora infatti sembra evidente che quasi nessuno dei vari pools proposti da fautori approccio per settori incontra favore esperti. Se Commissione ente autonomo occupa suo tempo a filosofare su definizione politica energetica comune, Commissione trasporti terrestri ha messo cortesemente in disparte piano Lemaire, e Sottocommissione aeronautica progetto di società internazionale. Anche piano P [...] non pare destinato sorte migliore.
Commissione energia nucleare: è da dirsi che essa si trova davanti problemi molto più seri; avere limitato sua riunione prossima settimana – dopo sospensione un mese – ad un solo pomeriggio, ne è in certo senso un riconoscimento.
Reazione negativa esperti a vari progetti non ha forse riguardo a certe esigenze politiche che potrebbero consigliare dare ancora spago tentativo fare Europa un pezzo per volta, ma indubbiamente conforta posizione di chi come noi è sempre stato favorevole a mercato comune generalizzato. Mi sembra che anche questo sia elemento positivo in quanto permetterà a tempo opportuno chiarire un equivoco tuttora persistente.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.
L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
Appunto riservato 11. Bruxelles, 2 settembre 1955.
Oggetto: Riunione del Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. a Noordwijk2.
A proposito della prossima riunione del Consiglio dei Ministri della C.E.C.A., che si terrà all’Aja (Noordwijk) il 6 settembre corrente, sotto la presidenza di Beyen, ho chiesto stamane a Spaak quali fossero il suo pensiero e le sue idee circa il proseguimento dei lavori del Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina e circa l’ulteriore corso delle proposte e delle conclusioni che da esso sarebbero uscite.
Il Ministro degli Esteri belga mi ha detto:
1) All’Aja si potrà procedere soltanto a un breve esame dello stato attuale dei lavori delle varie Commissioni, ed egli si limiterà a farne una esposizione di carattere generale. Sarebbe prematuro, ed anche inopportuno, di scendere a disamine più particolari e approfondite e di troppo accelerare i tempi; anche perché le difficoltà del Governo francese si sono aggravate in conseguenza della crisi del Nord-Africa e dei dissensi che essa ha riacutizzati nel paese, nel Parlamento e in seno allo stesso Gabinetto. Non conviene quindi mettere Faure e Pinay (nonostante la loro buona volontà, ed anzi appunto per questo) in maggiore imbarazzo, a rischio di dare ai loro oppositori maggiore esca e forse anche un pretesto per mettere una buccia sotto i piedi del Presidente del Consiglio creando su questo terreno il diversivo di una eventuale crisi ministeriale. L’«atteggiamento reticente» della Delegazione francese in questa ultima settimana sembra a Spaak assai indicativo in tale ordine di idee.
2) Per il seguito dei lavori, Spaak ritiene che si potrebbe stabilire la data del 15 ottobre p.v. quale termine per i lavori preliminari delle Commissioni, dopo di che si potrebbe riunire il Comitato Direttivo per la redazione del Rapporto generale. In tal modo si arriverebbe ai primi di novembre. Per il 15 di novembre, o forse anche per la fine di detto mese, potrebbe essere indetta una riunione dei Ministri per l’esame del Rapporto generale e per studiare la 2ª tappa dei lavori.
In tale riunione, secondo Spaak, potrebbe essere decisa la convocazione di una Conferenza dei Ministri della C.E.C.A. per la fine dell’inverno o anche a primavera, col compito di prendere le intese conclusive e di stabilire gli eventuali progetti di accordi. La detta Conferenza, secondo Spaak, dovrebbe svolgersi durante le elezioni francesi. Nel suo concetto, tale congiuntura faciliterebbe il compito di Faure e di Pinay nel senso che eviterebbe ad essi difficoltà di ordine parlamentare e li renderebbe con ciò meno vincolati nella loro azione durante i lavori, con la prospettiva di trovare una Camera «meno difficile» a elezioni ultimate. Non so se i calcoli di Spaak, ispirati certo alla sua consumata esperienza parlamentare, siano del tutto valevoli nel caso in ispecie e data la complessità e le innumerevoli correnti di contrasto che agitano il mondo politico francese. Non gli ho taciuto perciò qualche riserva, specie per quanto si riferisce all’incognita dei risultati delle nuove elezioni francesi.
A proposito della anzidetta Conferenza dei Ministri, Spaak ha aggiunto di aver avuto notizia che il Governo italiano aveva confidenzialmente suggerito che essa potrebbe essere convocata a Roma. Egli è pienamente favorevole a tale suggerimento, e mi ha assicurato che vi darebbe il proprio appoggio.
1 Trasmesso con Telespr. riservato 3883 del 5 settembre al Ministero degli Affari Esteri e per conoscenza alle Ambasciate a Londra, Parigi, Washington, Bonn, L’Aja e alla Legazione a Lussemburgo. Ad esso erano allegati i seguenti appunti, relativi ad un colloquio di Scammacca del Murgo con Spaak: 1) Riunione del Consiglio dei Ministri della C.E.C.A a Noordwijk; 2) Sarre; 3) Conferenza dei Quattro Ministri degli Affari Esteri a Ginevra; 4) Distensione Est-Ovest – U.E.O., N.A.T.O. – Germania; 5) Viaggio Spaak a Roma e New York».
2 Vedi D. 85.
IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI
Appunto. Bruxelles, 5 settembre 1955.
STATO DI AVANZAMENTO DEI LAVORI DELLE COMMISSIONI1
Commissione del mercato comune.
Il metodo di lavoro adottato è stato di compiere anzitutto una generale ricognizione del terreno; nella seconda fase (che è in corso) la Commissione ha affrontato più direttamente i grandi gruppi di problemi (tariffari, di salvaguardia, di armonizzazione, ecc.).
Le principali divergenze, oltre che su taluni punti tecnici, vertono sul ritmo che dovrebbe presiedere alla progressiva instaurazione del mercato comune, e sui metodi per limitare i rischi e le perdite derivanti dall’apertura dei mercati nazionali.
Il più pericoloso préalable francese (quello dell’armonizzazione delle «condizioni iniziali» prima o contemporaneamente alla stesura di un accordo sul mercato comune) viene mantenuto nell’ombra, rimanendo tuttavia sempre disponibile per essere usato come mezzo di pressione o addirittura per giustificare un rifiuto.
Un mutamento importante rispetto agli scorsi anni è che la Commissione affronta i problemi con spirito pragmatico e senza pregiudizi di sorta. Non si tenta di definire un mercato comune ideale, tutte le difficoltà e gli ostacoli del quale siano superati in anticipo. I modelli si cercano piuttosto nel Benelux e nel Commonwealth; la querelle des institutions è quasi totalmente assente.
Sottocommissione degli investimenti (Pres. Prof. Di Nardi).
Ha fatto un buon lavoro e presentato un primo rapporto. Sono state superate alcune difficoltà iniziali, come p.e.:
- i francesi richiedevano solo un fondo di riadattamento, i tedeschi solo un fondo d’investimenti;
- i tedeschi pensavano al fondo di investimenti come a una banca, e non a un istituto per finanziare lavori d’infrastrutture e miglioramento.
La posizione tedesca, e entro certi limiti quella del Benelux, sono però sempre ispirate alla comprensibile cautela di chi dovrà essere fornitore piuttosto che beneficiario di risorse.
Il problema di quale ammontare dovrebbero e potrebbero avere le risorse dei due fondi non è stato ancora sfiorato.
Sottocommissione dei problemi sociali.
Ha anch’essa presentato un primo rapporto, nel quale la posizione della Francia è alquanto isolata. Le altre Delegazioni non sono infatti inclini ad attribuire la stessa importanza alle cosiddette «distorsioni sociali» (differenze sui salari, sugli oneri di sicurezza sociale, sulle ore di lavoro, ecc.); benché ammettano che esse dovranno essere corrette nel corso del periodo di progressiva instaurazione del mercato comune.
Per quanto riguarda la libera circolazione delle persone, il rapporto preliminare non è cattivo, ma è stato chiesto alla Sottocommissione di meglio precisare i tempi ed i metodi della progressiva instaurazione di tali libertà. Un utile lavoro è stato compiuto dal Gruppo sulle persone non salariate, presieduto dal Terzo Segretario Bettini.
Commissione dell’energia nucleare.
È quella che si è riunita meno frequentemente (23 luglio, 29 luglio, 5 settembre). Si è finora limitata a raccogliere materiale sulla situazione di diritto e di fatto dell’energia nucleare (leggi, accordi internazionali, istituti pubblici, ricerche scientifiche, relazioni industriali) nei vari paesi. Gli elementi raccolti sono di valore ineguale, e ne occorrerebbero altri se si dovesse passare a qualcosa di concreto.
La Delegazione francese ha preparato un interessante documento per indicare in quali campi dell’utilizzazione industriale dell’energia nucleare sarebbe proficua o perfino indispensabile una collaborazione europea. I principali sono:
- metallurgia dell’uranio;
- ufficio europeo delle misure nucleari;
- produzione di acqua pesante (Larderello?);
- estrazione dell’elio;
- separazione del boro e del litio;
- costruzione di prototipi di reattori industriali;
- separazione dell’uranio 235 (prima che siano disponibili grandi quantità di plutonio in U.S.A. o in Europa);
- laboratori di ricerca tecnologica;
- centri di formazione scientifica e specializzata.
La Commissione non ha ancora iniziato l’esame di tali proposte. In riassunto, la Commissione ha terminato soltanto la prima delle quattro fasi di lavoro prescrittele, quella dell’inventario.
Commissione dell’energia classica.
Si è riunita abbastanza assiduamente ma non si può dire che abbia ottenuto risultati molto soddisfacenti o comunque proporzionati alla mole di lavoro svolto.
Praticamente tutto quello che si è fatto sinora consiste nell’esame delle iniziative appena abbozzate dall’O.E.C.E. e dalla C.E.C.A. in materia di energia e nella stesura di una lista di sedici problemi «da esaminare» ma, che certo non potrebbero essere risolti in questa sede, presupponendo indagini, anche di carattere statistico, approfondite e molto ampie.
L’impressione complessiva che si ricava dall’attività di questo settore è che il lavoro – forse anche per difetti inerenti al mandato – proceda piuttosto lentamente e senza grande mordente.
Quanto alla parte del mandato riferentesi alle linee di un programma comune di investimenti in materia energetica ed al problema istituzionale, essa non è stata ancora affrontata e probabilmente non lo sarà mai date le difficoltà intrinseche di tale impostazione.
Commissione dei trasporti (Pres. Prof. Laloni).
Ha lavorato molto assiduamente e, nel complesso, in modo abbastanza soddisfacente.
Dopo una prima fase, in cui la Commissione ha dovuto superare una certa difficoltà di orientamento dovuta forse ad una non perfetta comprensione dell’indirizzo generale della Conferenza, essa ha ora affrontato il compito assegnatole.
Ancora in corso è l’inventario della rete delle comunicazioni d’interesse europeo nonché quello dei programmi in corso di sviluppo.
Il rapporto della Conferenza europea dei Ministri dei Trasporti, così come i rapporti Lemaire e Kapteijn, che, a termini del mandato dovevano essere esaminati in vista della eventuale formulazione di proposte, non hanno incontrato grande favore tra gli esperti che hanno finito sommessamente per accantonarli. E ciò poiché l’andamento delle discussioni in sede di Commissione, riflesso dell’impostazione generale della Conferenza, ha imposto l’esigenza di spostare piuttosto l’indagine verso l’individuazione dei problemi che, in questo settore, solleverebbe l’applicazione del mercato comune.
Sottocommissione dei trasporti aerei.
Specie tenendo conto dell’ampiezza, forse eccessiva, delle direttive impartite, i risultati finora ottenuti non sono molto incoraggianti.
Erano state avanzate tre proposte concrete: una per la costituzione di una società per l’acquisto del materiale aeronautico; un’altra mirante alla creazione di una società comune per lo sfruttamento di talune linee transcontinentali; una terza, volta a ricercare i metodi per la standardizzazione del materiale di volo per incoraggiare la costituzione di un’industria aeronautica europea.
Per diversi motivi, tutti questi progetti non hanno incontrato gran favore da parte della Commissione. Le varie compagnie aeree interessate sono state consultate sia riunendone gli esponenti in un apposito gruppo di lavoro, sia interpellandole per iscritto come è accaduto per la proposta costituzione di una società per l’acquisto del materiale aeronautico.
Nel complesso non sembra che in questo settore ci si possano aspettare progressi sensibili anche se qualche risultato potrebbe forse essere conseguito nel campo delle facilitazioni ed in quello dell’economia del trasporto aereo.
Per tali problemi sono costituiti due appositi gruppi di lavoro ai quali la Delegazione italiana ha presentato alcune proposte costruttive.
Sottocommissione delle poste e telecomunicazioni.
È stata costituita con l’incarico di esaminare il rapporto del Ministro francese Bonnefous e di studiare le possibilità di applicazione ai sei paesi ed eventualmente ad altri. Tale compito è stato esaurito in due giorni.
Tutti i problemi sono stati raggruppati in tre categorie:
a) questioni che potrebbero ostacolare la creazione del mercato comune;
b) questioni la cui soluzione non sarà possibile che dopo la creazione del mercato comune;
c) questioni attualmente allo studio o in corso di realizzazione e la cui realizzazione può prescindere dalla creazione del mercato comune.
È in preparazione un documento conclusivo impostato su queste linee2.
1 Del Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina.
2 Vedi D. 84.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV
Appunto1.
COMITATO DIRETTIVO
(seduta del 5 settembre)
Nelle due sedute del 5 corrente, il Comitato Direttivo ha ascoltato i rapporti dei Presidenti delle diverse Commissioni e Sottocommissioni in merito all’andamento dei lavori.
Come risulta dal progetto di sommario delle decisioni (Doc. 230), il Comitato ha approvato il metodo di lavoro, inaugurato per prima dalla Commissione del mercato comune e successivamente seguito anche da altre Commissioni e Sottocommissioni (energia classica, energia nucleare, investimenti), metodo che consiste nel redigere un questionario dei problemi sollevati dal dibattito e nel chiamare successivamente le Delegazioni a rispondere ai vari quesiti.
Il sistema offre – a comune avviso – il vantaggio di ottenere la migliore individuazione dei diversi problemi e di chiarire conseguentemente l’atteggiamento delle Delegazioni riguardo ad essi. Ciò che consentirà ai Ministri degli Affari Esteri di avere una realistica base di valutazione per le loro decisioni definitive.
Nel documento sopra citato, la data fissata per il deposito delle conclusioni da parte delle Commissioni è indicata nel 15 ottobre p.v.
Il periodo intercorrente tra il 15 ed il 31 (data fissata dai Ministri a Noordwijk)2 sarà utilizzato per l’esame e gli eventuali ritocchi dei singoli rapporti in modo da consentire, a partire dal 31 ottobre, l’inaugurazione della nuova fase di lavoro consacrata alla stesura del cosiddetto «rapporto d’insieme» sull’attività del Comitato Intergovernativo.
Secondo quanto è sinora previsto, la compilazione del rapporto d’insieme sarà affidata ad un apposito Comitato di redazione che avrà cura, nel documento finale, di enunciare i vari problemi sollevati dal mandato conferito agli esperti dalla Conferenza di Messina, ed indicare 1e soluzioni sulle quali esiste un accordo nonché quelle eventuali per le quali si sarà manifestata una divergenza di opinioni.
Nella prossima seduta del Comitato Direttivo, fissata al 3 ottobre p.v.3, salvi altri argomenti che potranno essere aggiunti da qui fino ad allora, i Capi delle Delegazioni esamineranno i rapporti finali preparati dalla Sottocommissione per i trasporti aerei e da quella per le poste e telecomunicazioni. Nella stessa sessione sarà decisa anche la procedura da seguire dopo il 31 ottobre, per la stesura del rapporto d’insieme.
Per i Dicasteri più direttamente interessati si allega copia del documento n. 230 sopra menzionato4.
1 Diretto agli stessi destinatari di cui al D. 69, nota 1, con l’aggiunta del Ministero dell’Agricoltura e Foreste, della Banca d’Italia, della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori e dell’Unione Italiana del Lavoro, con il Telespr. 44/14367 del 27 settembre. Il documento fu redatto successivamente al 6 settembre 1955.
2 Vedi D. 85.
3 Vedi D. 94.
4 Non si pubblica.
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI
Appunto riservato1.
APPUNTO SULLA RIUNIONE DEI SEI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI
DEI PAESI CHE FORMANO LA C.E.C.A.
(Noordwijk-Olanda – 6 settembre 1955)
I sei Governi dei paesi che formano la Comunità del Carbone e dell’Acciaio hanno tenuto fede alla procedura fissata nella «Risoluzione» di Messina dei primi di giugno2 nella quale si faceva esplicita menzione della opportunità che i loro Ministri degli Affari Esteri si riunissero prima del 1° ottobre 1955 per prendere conoscenza dei rapporti, di carattere provvisorio, preparati dal Comitato dei Delegati governativi che, come è noto, ha trovato da due mesi la sua residenza a Bruxelles sotto la direzione del «coordinatore politico» e Ministro degli Affari Esteri del Belgio, Signor Spaak.
Così alla data del 6 settembre e sotto la presidenza del Presidente di turno, Ministro degli Affari Esteri dei Paesi Bassi, Beyen, ha avuto luogo la prevista riunione allo scopo specifico, oltre che di conoscere i risultati fino ad oggi raggiunti, di impartire le istruzioni necessarie per la continuazione dei lavori, sempre a norma della suaccennata «Risoluzione» di Messina.
Sono stati presenti tutti i Ministri degli Affari Esteri ad eccezione di quello della Repubblica Federale Tedesca, von Brentano, trattenuto a Bonn per la preparazione del viaggio del Cancelliere Adenauer a Mosca, e sostituito a Noordwijk dal Segretario di Stato Hallstein. Per l’Italia, il Ministro degli Affari Esteri, On. Martino, accompagnato dall’On. Benvenuti, Delegato italiano nel Comitato di Bruxelles. Assente, invece, e per quanto tempestivamente invitato, il Regno Unito, il cui Governo aveva preferito, in accordo con quello di Washington, far pervenire, pochi giorni prima della riunione, al «coordinatore» Spaak una sua comunicazione intesa a porre in rilievo i caratteri attuali dell’azione europea di cooperazione economica con particolare riguardo alla necessità che lo sviluppo dei lavori del Comitato di Bruxelles potesse avvenire parallelamente ed in armonia con quelli che da tempo vanno svolgendosi principalmente nella cornice dell’O.E.C.E. di Parigi.
L’ordine del giorno della riunione era, e non poteva essere altrimenti, piuttosto limitato e quasi interamente basato sul primo rapporto del Ministro Spaak. E questi lo ha svolto con una certa ampiezza ma mantenendosi sempre, ed esclusivamente, nel campo procedurale, senza entrare in una esposizione delle tesi già affiorate a Bruxelles nella prima fase applicativa della «Risoluzione» di Messina. Così egli ha esaurientemente indicato l’organizzazione e l’intelaiatura del Comitato di Bruxelles che, come è noto, si è suddiviso in: a) Commissione dei trasporti e dei lavori pubblici, con una Sottocommissione per i trasporti aerei; b) Commissione per l’energia classica; c) Commissione per l’energia nucleare; d) Commissione per il mercato comune, con una Sottocommissione per gli investimenti ed una Sottocommissione per le questioni sociali.
Tutte queste Commissioni hanno già svolto una serie di indagini dirette sopratutto a «fissare» i termini dei vari problemi anche alla luce e con la scorta di quanto è stato fino ad oggi compiuto, in quei settori, dalle varie organizzazioni economiche internazionali esistenti: naturalmente esse non hanno mancato di cominciare ad osservare il problema della composizione e delle funzioni degli organi che dovessero essere preposti alla futura applicazione delle decisioni che venissero raggiunte.
Il Ministro Spaak si è dimostrato, nel complesso, soddisfatto di questa prima fase di lavori pur non tacendo come – e d’altra parte non poteva essere altrimenti – non tutte le Commissioni abbiano proceduto di pari passo e come le difficoltà incontrate nei vari settori siano state diverse per numero e per intensità. Egli inoltre, e sopratutto, ha ripetutamente illustrato il concetto «informatore» che, secondo i suoi intendimenti, dovrebbe essere alla base di tutto il lavoro degli esperti convocati a Bruxelles. Questi, cioè, dovrebbero avere una piena e completa libertà di esposizione e di fissazione dei problemi e delle soluzioni adatte a risolverli, senza alcuna preoccupazione di carattere politico o di altra natura inquantoché, una volta formulato il previsto rapporto generale che dovrà concludere e riassumere l’azione del Comitato, saranno poi i singoli Governi ad emettere, in sede politica, i loro giudicati e ad assumere le loro piene responsabilità.
Questa tesi, evidentemente, non sempre potrà trovare, specialmente per taluni settori, a cominciare da quello, del tutto nuovo, dell’energia nucleare, facile applicazione. Essa, infatti, ha già sollevato, nella stessa riunione di Noordwijk, una prima reazione, per lo specifico e delicato settore dell’agricoltura, proprio da parte del rappresentante del Lussemburgo, Presidente Bech, il quale si è mostrato subito molto preoccupato del fatto che la responsabilità del suo Governo potrebbe, in pratica, essere già compromessa da un atteggiamento soverchiamente indipendente degli esperti di Bruxelles.
All’esposizione procedurale del Ministro Spaak ha fatto seguito una discussione i cui punti principali e maggiormente interessanti sono stati:
1) l’intervento del Rappresentante italiano, On. Martino, il quale ha messo bene in chiaro come tutto il lavoro del Comitato presieduto dal Ministro Spaak debba sempre più svolgersi con lo scopo e sulla base della formazione di un «mercato comune» tra i paesi interessati. La circostanza che, come hanno dimostrato i lavori preparatori fino ad oggi eseguiti, i mezzi per il raggiungimento di tale mercato possano essere anche diversi nell’intendimento dei vari paesi (tariffa doganale comune destinata a creare una vera unione doganale, oppure conservazione delle tariffe esistenti con l’istituzione di meccanismi intesi ad evitare la deviazione dei traffici con la creazione di una zona di libero scambio) non deve far perdere di vista il vero e proprio scopo dell’azione intrapresa dai sei Governi. In altre parole l’integrazione verticale per settori deve cedere il passo dinanzi alla integrazione orizzontale destinata, anche se con le opportune graduazioni e gli opportuni temperamenti, a creare nell’Europa Occidentale effettive e solide fondamenta per il processo generale integrativo.
A Bruxelles, quindi – ha concluso il Rappresentante italiano – bisognerà che gli esperti, a qualunque Commissione essi appartengano, abbiano sempre e costantemente dinanzi agli occhi questa «direttiva» di marcia: tesi che ha riscosso, peraltro, l’approvazione degli altri Ministri degli Affari Esteri.
2) L’intervento del Rappresentante della Repubblica Federale Tedesca, Hallstein, il quale ha, con parole molto esplicite, voluto dissipare quei dubbi circa l’avviamento «europeista» che, secondo taluni, sarebbero apparsi, in questi ultimi tempi, nelle sfere direttive germaniche. Così egli, nell’ammettere come in Germania siano esistite ed esistano tuttora polemiche in tale campo, ha affermato che esse riguardano unicamente il metodo ma non il fine da raggiungere, inquantoché tutti (e qui Hallstein ha fatto addirittura esplicitamente il nome del Ministro dell’Economia Erhard) desiderano proseguire l’azione intrapresa da anni e diretta a facilitare, proprio ai fini politici di dare all’Europa Occidentale un contenuto ed un valore sempre maggiori anche nei confronti del mondo sovietico, il processo integrativo economico e politico: dichiarazione, questa, che, proprio al momento stesso della partenza del Cancelliere Adenauer per le conversazioni di Mosca, è apparsa degna di notevole attenzione.
La seconda parte della riunione è stata dedicata ad altre questioni procedurali in merito ai termini di azione e di tempo per la continuazione dei lavori del Comitato di Bruxelles. Così è stata, fra l’altro, decisa una maggiore partecipazione dell’Alta Autorità della C.E.C.A., mentre al Ministro Spaak è stato dato l’incarico di prendere gli opportuni contatti per vedere attraverso quale autorità – probabilmente un Ministro del Comitato dei Ministri della C.E.C.A. – potrà avvenire, nel prossimo futuro, una presa di contatto espositiva con l’Assemblea Comune della C.E.C.A. stessa. Altra parola, infine, è stata fatta in merito alla nota raccomandazione n. 72 adottata, nello scorso luglio, dall’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e nella quale si indicava l’opportunità che i risultati dei lavori del Comitato preparatorio di Bruxelles venissero portati a conoscenza di quell’Assemblea.
A conclusione della riunione, che è durata soltanto poche ore, è stato emesso un comunicato nel quale si dichiara che i Ministri, nel riconoscere con soddisfazione l’opera fino ad oggi compiuta dal Comitato di Bruxelles, sia in merito alla creazione di un mercato comune, e sia per una maggiore integrazione nel campo dei trasporti ed in quelli dell’energia nucleare e dell’energia classica, hanno riaffermato l’intera e completa adesione dei loro Governi alla politica e agli obiettivi che vennero già definiti a Messina. Il comunicato stesso, inoltre, in merito alla procedura per la prosecuzione dei lavori, ha fissato al 31 ottobre (e cioè posticipando di un mese la data prevista a Messina) la presentazione, da parte degli esperti di Bruxelles, delle conclusioni della loro azione, dimodoché il Rapporto finale possa, nel più breve tempo possibile, dopo quella data, essere portato a conoscenza dei Governi interessati perché questi, a loro volta, possano prendere le loro decisioni. A Messina, infatti, era già stata prospettata la necessità della convocazione futura di una o più conferenze intese a favorire l’elaborazione di trattati e di accordi in merito alle materie già oggetto dello sforzo diretto all’integrazione economica europea.
La riunione di Noordwijk si presta ad alcune considerazioni e cioè:
1) il Governo francese, che è stato rappresentato alla riunione dal Ministro Pinay, accompagnato da una imponente anche se taciturna Delegazione, è apparso voler sempre inspirare la propria azione a quella estrema cautela che è stata la sua caratteristica in tutto il travaglio integrativo degli ultimi anni. La posizione della Francia è, infatti, oggi caratterizzata sempre più da una posizione interna politica e parlamentare estremamente difficile e complessa, ma al tempo stesso da una prosperità economica di indubbia importanza, e tale da provocare dubbi e interrogativi circa la convenienza di battere nuove strade economiche. Non per nulla, proprio nella vigilia immediata di Noordwijk, il Ministro delle Finanze, Pflimlin, aveva annunciato a Strasburgo che in un solo anno la produzione industriale francese è cresciuta di ben l’11%.
Nulla esclude, naturalmente, che domani, e cioè dopo le prossime e non lontane elezioni politiche, la Francia possa affrettare la sua marcia (nei corridoi di Noordwijk si è anche accennato alla possibilità di una non lontana presentazione, da parte francese, di un «piano» inteso a promuovere una unione doganale europea, sempre naturalmente a lunga scadenza) ma, per il momento, troppi sintomi fanno prevedere che il Governo di Parigi manterrà, si ripete, la sua circospezione e la sua diffidenza in merito ad applicazioni e realizzazioni ritenute intempestive e troppo drastiche.
2) Il Governo di Bonn, come si è già sopra accennato, appare rendersi pienamente conto dei dubbi che in Europa sono effettivamente sorti, negli ultimi tempi, circa la sua volontà «europeista» quale era stata immaginata ai tempi della C.E.D. e della C.E.P. E cerca di dissiparli, per quanto è possibile. Naturalmente gli sviluppi e gli eventi dei prossimi mesi permetteranno agli altri paesi di giudicare con maggiore esattezza in merito agli effettivi intendimenti germanici. Sta di fatto, comunque, che il Governo di Adenauer desidera apparire, tuttora, «ortodosso» in tema di collaborazione occidentale europea.
3) Nei paesi del Benelux si nota qualche diversità di impostazione in merito al «rilancio europeista» intrapreso a Messina: situazione, questa, che è apparsa abbastanza chiara nell’atteggiamento assunto dal Presidente lussemburghese Bech che, si può dire per la prima volta, si è molto chiaramente ed ampiamente espresso per indicare le sue gravi preoccupazioni nel settore dell’agricoltura. Ciò nondimeno, gli intendimenti del Belgio e dell’Olanda appaiono tuttora concordi per rappresentare un elemento positivo ai fini di quel «rilancio».
4) La «Carta di Messina» si va effettivamente rivelando come un atto internazionale di notevole ed interessante carattere, inquantoché essa, in un momento molto delicato della politica europea, ha rappresentato, ai fini sopratutto dell’integrazione economica, un punto di ancoraggio ed una pedana di partenza degni, si ripete, di attenzione. Essa si è dimostrata valida e vivente anche all’indomani della Conferenza di Ginevra. E ora, senza esagerarne le possibilità di sviluppo ai fini della politica generale, quella Carta appare sempre più un efficace correttivo a quei troppo rapidi sbandamenti o addirittura deviazioni che la situazione degli ultimi mesi, in tema di cooperazione europea, avrebbe potuto far temere. A ciò si aggiunge la circostanza, di carattere pratico, che queste ripetute riunioni dei Ministri degli Affari Esteri dei paesi occidentali europei, del tipo di quella di Noordwijk, appaiono sempre destinate a permettere e facilitare utili scambi di idee anche su altre questioni di comune interesse, oppure in merito ad interessi particolari tra Stato e Stato.
5) Naturalmente qualche equivoco può essere creato dal fatto che queste riunioni dei sei Ministri degli Affari Esteri non sono, sotto il profilo giuridico e statutario, riunioni del «Comitato dei Ministri della C.E.C.A.», organo specifico di quella Organizzazione, ma sono invece riunioni dei Ministri degli Affari Esteri dei paesi che formano la C.E.C.A.: situazione questa che, ad un certo momento, potrebbe far sorgere interrogativi anche di natura parlamentare, in merito all’autorità ed alla potestà della C.E.C.A. in tema di «rilancio europeista». Ma, qualora, come è augurabile, effettivi passi in avanti potranno essere compiuti nel campo dell’integrazione economica non dovrà essere difficile trovare, ad un certo momento, anche gli opportuni accorgimenti, riprendendo cioè quella azione che aveva permesso di vedere profilarsi in seno alla progettata e poi mancata Comunità Europea di Difesa, una Comunità Politica Europea3.
1 L’appunto, datato Roma 10 settembre, venne trasmesso da Magistrati a Quaroni con L. riservata 1339, pari data. Per il verbale della riunione vedi Appendice documentaria, D. 2.
2 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.
3 Vedi anche D. 88.
IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 14405/521. L’Aja, 7 settembre 1955, ore 11,25 (perv. ore 13,20).
Oggetto: Conferenza Ministri C.E.C.A.
Consiglio dei Ministri Esteri ha ascoltato rapporto Spaak su primi risultati lavori Comitato Brusselle. Ministri Esteri hanno approvato organizzazione e metodo lavori. Su mia proposta, appoggiata da Spaak e da Hallstein, Ministri hanno precisato che esperti delle varie Commissioni e Sottocommissioni devono affrontare problemi di settore solo in funzione però dell’instaurazione di un mercato comune generalizzato.
Sia per difficoltà tecniche intrinseche al lavoro esperti, sia per nota situazione francese, Ministri hanno deciso che Commissioni concluderanno loro studio entro fine ottobre e che Comitato Direttivo presenterà rapporto d’insieme non appena possibile dopo tale data. Si è rimasti intesa che Ministri torneranno a riunirsi probabilmente verso fine di novembre per prendere conoscenza delle grandi linee di tale rapporto. Esso verrà successivamente sottoposto ad esame dei Governi e un’ulteriore riunione Ministri a data da stabilirsi entro i primi mesi dell’anno 1956 deciderà dell’eventuale convocazione della Conferenza per stesura del trattato.
Prego comunicare quanto precede Presidente Segni.
Parto oggi per Londra.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a L’Aja.
COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,CON IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERIDEL REGNO UNITO, MACMILLAN
Verbale segreto1. Londra, 9 settembre 1955.
SUNTO DELLE CONVERSAZIONI CHE HANNO AVUTO LUOGO IL 9 SETTEMBRE 1955NELLA SEDE DEL FOREIGN OFFICE TRA IL MINISTRO MARTINOE IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, SIGNOR MACMILLAN
Al colloquio assistevano da parte italiana oltre a S.E. il Ministro, l’Ambasciatore Zoppi e il Ministro Migone. Macmillan era assistito dai Sig. Caccia, Ward, Pink, etc. Il colloquio che faceva seguito ad una colazione offerta nell’abitazione del Ministro degli Esteri alle citate persone, ebbe inizio alle ore 15,30 ed ebbe termine alle 17,30.
Macmillan dà il benvenuto. Ritiene utile l’occasione per uno scambio d’idee, anche agli effetti dell’opinione pubblica italiana, le cui reazioni nel momento attuale gli sono ben note.
Il Ministro Martino espone in sintesi tale stato d’animo. Il pubblico italiano si preoccupa effettivamente di vedere esclusa l’Italia da trattative che la concernono ormai direttamente, dato che il problema della Germania ha cessato di rappresentare un interesse preminentemente alleato per divenire, con quello delle relazioni con l’Est, d’interesse europeo. La posizione geografica poi della Germania giustifica particolari preoccupazioni da parte nostra.
Una soddisfazione a queste correnti di opinione pubblica potrebbe essere trovata nella partecipazione diretta dell’Italia ai lavori della Commissione delle Nazioni Unite per il disarmo.
Non si nasconde che in realtà quello che si desidera in Italia – sia ciò giustificato o meno – è la partecipazione diretta alle discussioni che dovrebbero decidere a Ginevra della sorte dell’Europa2. Si rende conto che non è facile la nostra inclusione, ma si domanda se non si potrebbe escogitare una formula che risulti soddisfacente per tutti.
A questo punto il Ministro cita il comunicato di Ginevra che lasciava prevedere la possibilità che altri paesi fossero associati ai lavori dei Grandi (e non si nasconde che l’allusione concerneva evidentemente la Germania). Secondo quanto Foster Dulles aveva detto a Magistrati questo principio avrebbe potuto fornire anche per noi certe possibilità.
Passa poi a parlare della questione dell’ammissione dei nuovi membri che verrà portata alla prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Si pone quindi il problema dell’ammissione dell’Italia e fa presente che se anche una sola ammissione vi fosse, il Governo italiano verrebbe a trovarsi in una situazione ben delicata se l’Italia non figurasse tra i prescelti.
Per rispondere a queste esigenze che non sono soltanto italiane, sarebbe inoltre forse opportuno dare più peso all’attività che può essere svolta in seno alla N.A.T.O. e alla U.E.O. L’atmosfera di Ginevra aveva mostrato la tendenza dell’opinione pubblica, almeno in Italia, verso un diminuito interesse in queste organizzazioni. Si potrebbe pensare a qualche iniziativa o a qualche riunione sulla base dell’art. 2 dello Statuto del N.A.T.O. per porre riparo a questo inconveniente?
Il Ministro Martino ammette di non poter essere ottimista sui prossimi incontri dei Grandi. Gravi questioni vi saranno certamente discusse ma non risolte. A più forte ragione occorre cogliere l’occasione per valorizzare gli enti sopra citati. Questa valorizzazione è più che mai necessaria dato lo stato dell’opinione pubblica in Italia.
Macmillan si rende perfettamente conto delle difficoltà del problema nel suo insieme. Illustrerà come è vista la situazione in Gran Bretagna.
Lo spirito di Ginevra è certamente pericoloso perché crea la sensazione che essendosi realizzata una distensione apparente non occorrono gli sforzi che sarebbero invece necessari per raggiungere quella effettiva.
È molto più difficile in questa nuova atmosfera convincere il contribuente che sono tuttora necessarie delle spese militari, ecc. Cita la favola di La Fontaine del vento e il sole.
D’altra parte è certo che se si riesce a mantenere un certo equilibrio anche in questo campo, Ginevra avrà offerto il notevole vantaggio di poter dare luogo alle discussioni. Anche in Gran Bretagna si parla di apertura a sinistra (dell’apertura a sinistra aveva fatto cenno il Ministro Martino per quanto concerne l’Italia); ma si sa bene che apertura a sinistra vuol dire aprire la porta ai comunisti. Dobbiamo d’altra parte renderci conto che anche l’U.R.S.S. deve far fronte a dei problemi analoghi, ciò che può in un certo qual senso riequilibrare la situazione. Da tutto l’atteggiamento della Delegazione sovietica a Ginevra ci si poteva rendere facilmente conto quanto i russi – e probabilmente tutti gli strati della popolazione sovietica – fossero felici di essersi liberati dell’incubo di Stalin. Per i negoziatori sovietici era certo una liberazione non essere più terrorizzati a distanza dal dittatore nel modo di portare le trattative. Kruschev ebbe a spiegare che anche la Russia si trovava ora nella necessità di dover provvedere alla formazione di un governo di gabinetto e c’era in Russia un’opinione pubblica con la quale i governanti sovietici dovevano fare i conti.
Un sintomo che un cambiamento del genere, sia pure in misura assai limitata, si era verificato, consisteva nel fatto che degli occidentali potevano ora recarsi in Russia. Ma sarebbe ancora più desiderabile che dei russi vengano in Occidente perché ne rimarrebbero colpiti, ed era verosimile che maggiori scambi di uomini e di idee potessero influire favorevolmente.
Esiste indubbiamente nel presente stato di cose un grave pericolo per le nostre popolazioni, ma le condizioni attuali dell’Unione Sovietica fanno pensare ad un certo equilibrio.
Il Governo britannico si recava a Ginevra con il piano di insistere al massimo per ottenere la riunificazione della Germania. Certo era legittimo di dare un giusto peso al bisogno russo di sicurezza. Non si avevano peraltro speranze di notevoli progressi, né in un campo né nell’altro, in occasione di questo prossimo incontro.
A questo punto conveniva osservare, prosegue Macmillan, che il nostro problema principale non è tanto quello delle informazioni che effettivamente ci scambiamo, per quanto utile ciò possa essere, quanto il tener debito conto delle reazioni dell’opinione pubblica. Ci si rendeva conto a Londra dello stato di disagio in cui si trovavano i Governi dei paesi aderenti alla N.A.T.O. che non partecipavano direttamente alle discussioni di Ginevra.
Egli, Macmillan, si proponeva di dare maggior rilievo alla prossima riunione del Consiglio Atlantico e dedicare a questa riunione il tempo necessario per un più approfondito scambio di idee, cosa di cui non avrebbe mancato di prendere nota la stampa. Egli si rendeva conto altresì che agli effetti dell’opinione pubblica italiana era importante sottolineare il rango e l’importanza dell’Italia di fronte agli altri membri della N.A.T.O. Si domandava se sarebbe stato di qualche utilità dare maggiore importanza alla U.E.O. D’altra parte già troppo numerose sono le organizzazioni internazionali, né è facile ridurne il numero perché certi paesi fanno parte di una organizzazione e altri paesi dell’altra.
Macmillan si domandava che cosa si potesse immaginare per provare all’opinione pubblica italiana che maggiore è il peso dell’Italia. Vediamoci intanto più spesso tra Ministri degli Esteri dei due paesi in modo di fornire alla stampa più frequenti comunicati. Ciò darà almeno l’impressione della considerazione che il Governo britannico ha dell’Italia.
Per quanto concerne l’ammissione dell’Italia nelle Nazioni Unite l’Italia può contare sul massimo appoggio da parte britannica. Macmillan credeva di poter giungere fino ad assicurarci che il Governo britannico sarebbe contrario all’ammissione di qualunque paese se non fosse ammessa l’Italia.
Zoppi osserva che il pericolo esisteva che l’Austria fosse ammessa anche a esclusione dell’Italia, date le clausole del recente Trattato.
Caccia e Pink osservano che la posizione dell’Austria non è più forte di quella dell’Italia, in quanto il diritto a far parte delle Nazioni Unite deriva in ambedue i casi dal Trattato di pace ed è analogamente formulato.
Macmillan osserva che evidentemente i russi possono votare per l’Austria e votare contro di noi.
Pink non si nasconde che questa possibilità esiste. Ad evitare inconvenienti si potrebbe chiedere che le elezioni avessero luogo nell’ordine cronologico delle domande.
Macmillan replica che forse nello spirito di Ginevra i russi hanno modificato il loro atteggiamento nei nostri confronti in questo specifico argomento.
Risponde alla domanda già posta dal Ministro Martino dicendo che l’Italia potrebbe essere chiamata a far parte della Commissione per il disarmo mediante cooptazione anche senza essere membro delle Nazioni Unite. In tal caso peraltro è possibile che i russi chiedano l’ammissione della Cina.
Il Ministro Martino replica che la Cina è membro dell’Organizzazione. I russi fanno infatti questione quale dei due Governi, se quello comunista o quello nazionalista, debba essere riconosciuto legittimo rappresentante della Cina.
Macmillan ritiene che migliore soluzione è evidentemente quella di assicurare l’ammissione dell’Italia. Il voto dovrebbe avere luogo molto prossimamente. Se per un motivo qualsiasi tale ammissione non avesse luogo, parlerà con Foster Dulles perché si venga chiamati a far parte della Commissione del disarmo.
Macmillan conclude la sua esposizione dicendo che è veramente difficile calcolare che cosa stia accadendo. Bisogna intanto evitare che l’eventuale abolizione della guerra atomica non abbia ad incoraggiare aggressioni con armi convenzionali di guerra. Chiede poi di essere informato di quanto è accaduto a seguito degli incontri di Messina.
Il Ministro Martino spiega quali furono questi accordi e il funzionamento delle Commissioni e Sottocommissioni di Bruxelles. Illustra i risultati dell’incontro del giorno 6 corrente all’Aja3 e si dice molto lieto nell’avere appreso che gli osservatori britannici siano stati molto attivi con suggerimenti e altre forme di collaborazione, in seno alle Commissioni e Sottocommissioni del Comitato Intergovernativo presieduto da Spaak.
All’Aja si è constatato che sussistono difficoltà pur essendoci trovati di fronte ad un incoraggiante inizio. Dà altri dettagli sul tipo di queste difficoltà ed osserva che i Ministri hanno constatato la necessità di procedere lentamente perché il Parlamento francese non dispone oggi di una maggioranza favorevole all’integrazione europea. Si impone quindi di attendere il risultato delle elezioni francesi. Il problema dell’integrazione europea è invece molto sentito in Italia. È ovvio, secondo il Ministro Martino, che qualsiasi cosa si faccia in tale sede, occorrerà sempre che ciò avvenga in pieno accordo con la N.A.T.O., perché risolvere il problema del mercato comune non significa ancora avere risolto quello più essenziale della difesa comune.
Macmillan chiede quale sia stato l’atteggiamento della Delegazione germanica all’Aja.
Il Ministro Martino risponde citando le dichiarazioni fatte da Hallstein e da Pinay3. Concludendo, egli non crede che le difficoltà del problema possano consentire un rapido risultato, ma qualche progresso parziale gli parrebbe possibile.
Il Ministro Martino passa poi a parlare della possibilità che venga rivolto ai governanti italiani l’invito di recarsi a Mosca. Mette al corrente Macmillan di quanto ha recentemente comunicato Di Stefano al riguardo. Gradirebbe conoscere l’opinione del Foreign Secretary su questo argomento.
Macmillan esprime il suo pensiero nel senso di una estrema cautela, giacché non si può evitare in modo assoluto qualche contatto.
Ritiene che sarebbe molto meglio ottenere che i sovietici vengano per primi a Roma.
Poiché il Ministro Martino gli ha detto che Bulganin sosterà a Roma nel suo passaggio per il Medio Oriente, sarebbe opportuno fare in modo che questa sua sosta risulti chiaramente la conseguenza di un nostro invito ufficiale. Allora ci sarà possibile, qualora ci pervenisse l’invito da parte sovietica, ritardare al massimo la nostra visita a Mosca. Sembra naturale infatti che questi scambi di cortesie non si succedano immediatamente.
Macmillan ritiene che con questa procedura il viaggio a Mosca dei membri del Governo italiano potrebbe essere rimandato all’autunno del 1956.
Caccia riferendosi ad una parte della conversazione di Macmillan, osserva che il Consiglio dei rappresentanti permanenti della N.A.T.O. tratta tutte le questioni, incluse quelle politiche che verranno discusse a Ginevra. Quindi già esiste una vera e propria consultazione tra i paesi che fanno parte dell’Organizzazione.
Il Ministro Martino replica che le riunioni ordinarie del Consiglio dei rappresentanti permanenti della N.A.T.O. non hanno nessuna eco nella pubblica opinione e pertanto non riescono a dare soddisfazione alcuna. Sono necessarie dunque le discussioni a livello Ministri.
Macmillan a sua volta commenta che l’ultima riunione del Consiglio dei Ministri della N.A.T.O. era stata ottima per l’atmosfera e il contenuto delle discussioni. Come ha già detto, quella che precederà immediatamente l’incontro di Ginevra dovrà avere ancor maggiore importanza.
Del resto a Ginevra l’Italia, come anche la Germania, manderà nuovamente dei suoi osservatori. Si potrebbe dare maggiore rilievo agli incontri che i Ministri dei tre grandi avranno con costoro.
Zoppi suggerisce che abbia luogo a Ginevra al momento della chiusura della Conferenza un incontro dei cinque Ministri degli Esteri (i tre grandi più Italia e Germania).
Caccia suggerisce invece che a Ginevra abbia luogo in quella occasione una riunione dei Ministri degli Esteri della N.A.T.O. Sembrando che una riunione del genere non possa avere luogo in un paese neutrale, viene suggerita Evian come sede dell’incontro.
Migone riprendendo il suggerimento fatto da Zoppi osserva che dal punto di vista dell’opinione pubblica italiana un incontro di tutti i Ministri degli Esteri della N.A.T.O. non avrebbe la stessa ripercussione di un incontro a cinque.
Macmillan torna a ripetere che vuol comunque assolutamente aiutare l’Italia in queste sue attuali difficoltà. Studieranno la cosa. Si rende conto che in vista delle prossime elezioni amministrative cui ha fatto cenno il Ministro Martino bisogna aver fatto qualcosa. Ciò corrisponde del resto anche ad un interesse britannico.
Il Ministro Martino chiede a Macmillan se abbia delle informazioni sulla situazione del Vicino Oriente.
Macmillan ritiene la situazione pericolosa ma non irreparabile. Finora le due parti hanno dato appunto l’impressione di trarsi indietro per evitare, quando ve ne era il pericolo, che le cose potessero precipitare irrimediabilmente.
In questi ultimi giorni sembra essersi verificato un miglioramento e le proposte di Foster Dulles non sarebbero state troppo mal ricevute dagli arabi.
Il Ministro Martino chiede se risulta al Foreign Office che vi siano state interferenze egiziane nei recenti incidenti in Nord Africa.
Macmillan ritiene che in misura ridotta ciò possa essersi verificato. Le frontiere fra 1’Egitto e il Nord Africa hanno caratteristiche tali da renderle praticamente incontrollabili.
Passando a questioni di minore importanza Macmillan ringrazia il Governo italiano per le indennità testé accordate a titolo grazioso a cittadini britannici che avevano subito danni all’epoca delle dimostrazioni per Trieste.
Dà quindi lettura dell’accluso comunicato stampa4 che viene approvato.
1 Il verbale non è firmato, probabilmente venne redatto da Migone che, come risulta da un foglio di trasmissione datato 13 settembre, lo inviò a Magistrati.
2 Ci si riferisce agli incontri a livello dei Ministri degli Affari Esteri dei quattro «Grandi» decisi in occasione del summit di Ginevra.
3 Vedi D. 85.
4 Non pubblicato.
LA SEGRETERIA GENERALE
Verbale riservato1. Roma, 12 settembre 1955, ore 17,45.
RIUNIONE DEI DIRETTORI GENERALI PRESIEDUTA DAL SEGRETARIO GENERALE
Sono intervenuti:
- l’Ambasciatore GHIGI
Direttore Generale del Personale
- l’Ambasciatore MASCIA
Direttore Generale Emigrazione
- il Ministro FRACASSI
Direttore Generale Somalia
- il Ministro MIGONE
Capo di Gabinetto
- l’Ambasciatore MAGISTRATI
Direttore Generale Affari Politici
- il Ministro GIUSTINIANI
Capo Servizio Stampa
- il Ministro CARROBIO
Capo Servizio Economico Trattato
- il Ministro ROBERTI
Capo del Servizio del Cerimoniale
- il Prof. TOSCANO
Capo Ufficio Studi e Documentazione
- il Consigliere DE NOVELLIS
Vice Direttore Generale Relazioni Culturali
- il Dott. Enrico CARRARA
AMBASCIATORE MAGISTRATI: Premette alcune indicazioni sui precedenti della Conferenza dell’Aja2. Essa è una conseguenza della Conferenza di Messina. Dopo il fallimento della C.E.D., dopo la crisi dell’europeismo, venne creata 1’U.E.O. che, nell’inverno scorso, dette i suoi primi vagiti. Nella primavera successiva uno dei Governi della Comunità ritenne opportuno fare un nuovo tentativo di integrazione europea, sotto il profilo economico. L’idea era una vecchia idea olandese, dibattuta sin da quando il processo integrativo era alle sue origini. Noi lo avevamo visto politico, gli olandesi sempre economico. Questi, in aprile, presentarono un progetto e, riprendendo le fila, promossero la riunione di Messina. Vi è un equivoco in partenza che, se non corretto subito, potrebbe dar luogo a degli spiacevoli sviluppi. La cornice delle riunioni dei sei Ministri degli Esteri è la Comunità Carbone Acciaio. Il Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. in quanto tale, però, non ha mai avuto l’incarico di promuovere l’integrazione in altri settori che non fossero quelli del carbone e dell’acciaio. Per ragioni pratiche i Ministri si sono serviti del Segretariato della C.E.C.A. che dapprima è stato loro prestato, poi si è reso indispensabile. Conseguentemente si parla di riunioni di Ministri della C.E.C.A., ciò che non è esatto. Ci potrebbe pertanto essere chiesto in Italia quale è il motivo per cui la C.E.C.A. si occupa di queste cose e chi sia a darle tale potestà. Particolare interessante è che ora la carta da lettere usata è intestata: «Consiglio dei Ministri degli Affari Esteri dei paesi che fanno parte della Comunità Carbone ed Acciaio».
A Messina, riavviandosi il processo di integrazione europea, si produsse una Carta di notevole interesse. Si disse quali erano i settori che dovevano riprendere la strada della integrazione e per far ciò si dette incarico ad un gruppo di esperti di considerare il problema e di fare dei rapporti interinali. Per dare poi al tutto la spinta politica si creò un coordinatore politico nella persona di Spaak, persona capace ed europeista di vecchia data.
Nel Comitato di Bruxelles noi siamo rappresentati dall’On. Benvenuti, da alcuni colleghi e da esperti. Il lavoro è suddiviso nelle seguenti Commissioni:
- Commissione per i trasporti, con accanto una Sottocommissione per i trasporti aerei;
- Commissione per la energia classica;
- Commissione per la energia nucleare;
- grande Commissione per il mercato comune. Era infatti sul mercato comune che l’antico lavoro si era accentrato come sta a dimostrare la presentazione dei piani Pella e Stikker, quando si era parlato delle tariffe doganali e della zona preferenziale europea. Accanto a questa una Sottocommissione per gli investimenti ed una Sottocommissione per i problemi sociali.
I Comitati hanno lavorato discretamente. Hanno naturalmente tratto profitto dagli studî effettuati da dieci anni a questa parte in sede O.E.C.E., G.A.T.T., ecc. Il loro compito è stato quello di prendere l’essenza dei lavori precedenti e di coordinarli.
Il compito specifico della riunione dell’Aja è stato quello di prendere conoscenza della prima relazione di Spaak. A Messina si era detto che, prima del 1° ottobre (data alla quale Spaak avrebbe dovuto presentare il suo rapporto finale), i Ministri si sarebbero riuniti: come infatti si sono riuniti sotto la presidenza del Presidente di turno Ministro Beyen. Spaak ha fatto una brillante esposizione, senza entrare però nelle questioni di fondo ma toccando solo la questione di procedura ed evitando accuratamente di riferire sulle posizioni assunte dagli esperti nazionali, ciò che avrebbe necessariamente comportato una discussione di merito. Ha proposto di dare per il futuro istruzioni agli esperti di agire più liberamente ed indipendentemente per fare alla fine un rapporto completo sulle possibilità di integrazione europea. È stata questa la sola nota di immaginazione del suo rapporto, che ha dato poi adito a taluni interventi, primo fra i quali quello negativo del collega del Benelux Bech, evidentemente preoccupato del settore agricolo del suo paese. Bech ha chiesto chiarimenti sulla proposta Spaak ed ha aggiunto che se essa fosse stata approvata sarebbe stato meglio (come era stato immaginato in un primo momento a Messina) che gli esperti fossero stati degli estranei anziché degli esperti nazionali. La risposta di Spaak è stata piuttosto evasiva, limitandosi egli a dire che avrebbe preferito dare maggiore libertà agli esperti, anziché assoggettarli ad istruzioni nazionali rigide.
Spaak ha aggiunto che non era possibile completare il rapporto finale per il 1° ottobre ed ha chiesto di posticiparne la presentazione. A queste punto è intervenuto il Ministro degli Esteri italiano Martino. Egli si è detto persuaso della necessità di evitare un rinvio sine die che facesse apparire, di fronte alla pubblica opinione, come abbandonato nel tempo il risultato di Messina. Ha chiesto quindi che si precisasse la data del rinvio, da lui suggerita per il 31 ottobre: su questo punto si è raggiunto l’accordo.
Il rapporto sarà firmato da Spaak e dai Presidenti delle Commissioni, tra i quali ci sono due italiani. Al momento della presentazione, i Governi saranno invitati a dire se è giunto il momento di convocare una conferenza generale, che potrebbe eventualmente aver luogo nel corso della primavera prossima.
Da notare in particolare l’assenza a L’Aja dell’Inghilterra. Nonostante la esplicita menzione fatta a Messina sulla opportunità della sua presenza, il Governo del Regno Unito ha ritenuto opportuno limitare la sua partecipazione ad una comunicazione simile ad altra americana intesa a porre in rilievo la necessità che i lavori si svolgessero in armonia con quelli di altre organizzazioni, prima 1’O.E.C.E.
Durante la brevissima riunione, esauritasi nel corso di una giornata, si sono avuti due interventi interessanti: il primo dei quali quello del Ministro degli Affari Esteri italiano è stato notevole per la sua impostazione. Premesso che il lavoro delle Commissioni, che studiano i settori, deve essere in funzione del mercato comune, in quanto da esso condizionato, il Ministro Martino ha espresso l’avviso che dette Commissioni si devono orientare decisamente in tale senso. In tanto è utile studiare il problema dei trasporti in quanto questo può essere utile al mercato comune. Analogamente per l’energia nucleare, il Ministro Martino ha in sostanza ripreso l’antica tesi italiana favorevole alla integrazione orizzontale, in contrasto con quella verticale. Non è da dimenticare che l’Italia ha aderito alla C.E.C.A. soltanto per dare l’avvio a quel movimento che, secondo i nostri intendimenti, doveva culminare nella comunità politica.
Le strade che si sono profilate per il cammino da percorrere sono quella dell’avvicinamento delle tariffe doganali, per raggiungere poi un’unica tariffa nei confronti di terzi e quella della creazione della zona preferenziale. Di fronte a questo il Ministro Martino ha chiarito che a noi interessa non il mezzo ma il fine e che lo scopo dei lavori deve rimanere il raggiungimento del mercato comune.
Il secondo intervento non tecnico bensì politico è stato quello di Hallstein. Egli ha smentito decisamente le voci circa il diminuito interesse del Governo tedesco alla integrazione europea dopo il fallimento della C.E.D. Il Governo tedesco non ha nessuna intenzione di ritirarsi. Coraggiosamente Hallstein ha fatto dei nomi. Erhard è accusato ad esempio di volere soltanto rafforzare il complesso nazionale tedesco e di trascurare il mercato comune europeo: Hallstein si è dichiarato autorizzato a smentire categoricamente tali voci ed ha aggiunto che il rafforzamento di questa Europa è intanto valido in quanto si erge nei confronti del mondo sovietico. Una dichiarazione di questo genere, proprio alla vigilia della partenza di Adenauer per Mosca, è sicuramente indicativa.
La Delegazione francese, presentatasi numerosissima, ha nel complesso taciuto. Si è mostrata d’accordo nel perseguire i fini dell’integrazione, ma con l’aria di dire: «andiamoci piano». Ciò si giustifica da un lato considerando il momento politico e parlamentare, così difficile, che la Francia attraversa; dall’altro l’ottima fase economica che registra un incremento dell’11% nella sua produzione industriale. In queste condizioni non è facile per i francesi, proprio alla vigilia delle elezioni, presentare delle innovazioni economiche. Ciò nondimeno l’europeista Pinay non si è mai opposto ad alcuna iniziativa, dichiarandosi in linea di massima d’accordo.
Il Benelux, sia pure con qualche rifrazione specie nel settore agricolo (l’intervento Bech è stato sopra ricordato) ha tenuto sempre un atteggiamento decisamente favorevole all’avviamento dell’integrazione.
È stato stabilito che, dopo il rapporto, si vedrà dove e come lanciare l’idea della conferenza che dovrà essere aperta e non limitata ai Sei.
Utile sopratutto è da considerarsi la Conferenza per l’occasione che ha dato ai Ministri di vedersi e sentirsi. Erano tutti infatti presenti ad eccezione di von Brentano, sostituito dal Segretario di Stato, Hallstein.
SEGRETARIO GENERALE: Chiede quale accoglienza abbia avuto la dichiarazione di Hallstein e quale ricettività positiva abbia trovato nei Ministri degli Esteri. In poche parole: ne sono rimasti contenti? I fatti starebbero a provare esattamente il contrario di quanto Hallstein ha detto e sono questi fatti che hanno fatto diffondere l’idea che la politica economica tedesca fosse antieuropeista.
AMBASCIATORE MAGISTRATI: Precisa che la Delegazione italiana è rimasta persuasa fino ad un certo punto, ma che nell’insieme la dichiarazione di Hallstein sembra avere ottenuto un certo successo, pur senza poter egli dire se abbia o meno convinto i Ministri degli Esteri presenti.
AMBASCIATORE MAGISTRATI: Accanto ai problemi tecnici della Conferenza ci sono stati i contatti con il ministro Pinay sui nostri problemi particolari.
1) Ammissione alle Nazioni Unite. Ci stiamo avvicinando a settembre, epoca in cui avrà luogo l’Assemblea delle Nazioni Unite. Il problema delle ammissioni è sul tappeto e ciò ci interessa da vicino.
2) La presenza dell’Italia nei consessi e nelle conversazioni internazionali è argomento che ci sta molto a cuore, specie nel settore limitazioni degli armamenti.
3) L’interpretazione che viene data in Italia all’art. 2 del Patto atlantico, concernente lo sviluppo dei settori economico e sociale, con sbocco finale nella Comunità atlantica, ci interessa tuttora.
Il Ministro Martino ha detto a Pinay che i nostri rapporti con la Francia ci davano titolo per chiedere che cosa essa intendesse fare nel caso in cui noi non venissimo ammessi nelle Nazioni Unite. Su questo l’Ambasciatore Magistrati ricorda la teoria del Ministro Martino circa la nostra parità con gli Stati satelliti. Il Preambolo del Trattato di pace è analogo sia per noi che per loro. Ma il Ministro Martino sostiene che la differenza esiste e consiste nel fatto che, mentre le nostre carte sono state riconosciute valide dai votanti (soltanto il veto sovietico ha impedito il nostro ingresso), per i satelliti non c’è stato bisogno di nessun veto perché essi non hanno mai raggiunto i voti necessari nel Consiglio di Sicurezza.
Pinay è stato molto esplicito ed ha detto che tutto questo lo interessava relativamente: l’Italia deve essere il primo paese ad entrare nelle Nazioni Unite. Se avvenisse altrimenti la Francia eserciterà il suo diritto di veto. Ci si è chiesto il perché di una posizione così decisa da parte dei francesi. La Francia in effetti non ha nessun interesse di vedere aumentare il numero dei membri delle Nazioni Unite in questo momento e tanto meno di vedere aumentare il numero dei membri anticolonialisti. Per questa volta quindi, sia pur per ragioni ben diverse, gli interessi francesi ed italiani collimano perfettamente.
Sul secondo punto il Ministro ha detto a Pinay che taluni lavori, che si svolgono senza la nostra partecipazione, ci interessano particolarmente. La questione ha già fatto oggetto di studio e non è escluso che il Sottocomitato dei cinque per il disarmo veda la opportunità di ingrandirsi con paesi aventi notevoli forze armate. Tale proposta potrebbe andare al Comitato e quindi in Assemblea. Nel caso in cui ciò avvenisse sarebbero i francesi disposti ad appoggiare una simile proposta? La risposta di Pinay è stata del tutto affermativa (vale la pena ricordare che Pinay e successivamente Macmillan hanno precisato che, nel caso in cui si risolvesse favorevolmente la questione dell’ingresso alle Nazioni Unite, il secondo punto cadrebbe da sé).
Circa il terzo punto (art. 2 del Patto atlantico), i francesi hanno ripetuto il loro interesse ad ogni iniziativa che venisse presa ed hanno, in linea di massima, assicurato il loro appoggio, qualsiasi fosse la sede in cui venisse presentata. Infine ha espresso la sua preferenza che tutto quanto da noi detto fosse messo per iscritto, ciò che è stato fatto. Il perché di questa richiesta deve forse trovarsi nel bisogno che Pinay ha sentito di presentarsi eventualmente a Faure con un pezzo di carta in mano, atto a dare alla Francia un argomento di più per opporsi a troppe ammissioni alle Nazioni Unite ed al tempo stesso atto a mostrare quale aumento di prestigio la Francia otterrebbe in Italia se fosse costretta dagli eventi a porre il suo veto ad altre ammissioni nelle Nazioni Unite ove l’Italia non fosse ammessa. E questo, probabilmente, dovrebbe avvenire prima della sua partenza per le Nazioni Unite.
SEGRETARIO GENERALE: Prima di aprire la discussione chiede al Ministro Migone di proseguire la relazione sul viaggio del Ministro Martino a Londra3.
MINISTRO MIGONE: Dopo avere messo in rilievo che la caratteristica principale dell’arrivo del Ministro Martino a Londra è stata la tinteggiatura politica che si è voluta dare da parte degli inglesi ad una visita che ufficialmente era limitata alla Mostra aerea di Farnborough, descrive vivacemente l’atmosfera della manifestazione aerea, i voli degli apparecchi, le esibizioni degli elicotteri, e così via.
La cosa forse più significativa del viaggio è stato l’invito a pranzo del Premier Eden che ha dato la temperatura della cordialità nei nostri confronti. Secondo quanto il Ministro gli ha detto, la conversazione è stata più che amichevole ed ha toccato tutte le questioni che potevano avere un interesse per l’Italia. Il Ministro Martino ha avuto modo di farsi eco del malessere diffuso in Italia perché il nostro paese è tenuto fuori dai consessi e dalle discussioni relative al futuro dell’Europa.
Il Ministro Macmillan ha offerto una colazione al Foreign Office cui hanno partecipato da parte nostra, oltre il Ministro, l’Ambasciatore Zoppi, lui stesso e da parte inglese Caccia, Ward e Pink. Alla colazione ha fatto seguito un incontro formale al Foreign Office nell’ufficio del Ministro degli Esteri, durato oltre due ore. Il Ministro Martino ha ribadito la sua preoccupazione per il malessere dell’opinione pubblica italiana: ha proposto l’inclusione dell’Italia nella Commissione per il disarmo delle Nazioni Unite, ed ha auspicato il reperimento di una formula che faccia partecipare l’Italia direttamente ai lavori dei quattro grandi. Ha infine ripetuto l’interesse italiano ad entrare nelle Nazioni Unite.
La reazione di Macmillan è stata molto favorevole. Egli ha detto che si rende conto delle legittime aspirazioni italiane e si è chiesto cosa si possa fare per venire incontro ad esse. Ha suggerito frequenti incontri italo-inglesi e frequenti comunicati che diano l’impressione di una stretta collaborazione e consultazione anglo-italiana. Per la Commissione del disarmo, ove una procedura particolare si rendesse necessaria nel caso in cui l’Italia non fosse ammessa nelle Nazioni Unite, la Gran Bretagna proporrà la cooptazione di altri paesi interessati alla questione e, in un secondo momento, presenterà il nostro nome. Circa l’ammissione nelle Nazioni Unite Macmillan ha ribadito per la Gran Bretagna quanto Pinay aveva detto all’Aja per la Francia, e cioè che il Governo britannico si sarebbe opposto ad una qualsiasi altra soluzione che non comportasse l’ingresso dell’Italia. Si sarebbe orientato a favore della tesi canadese favorevole all’ammissione dei 17 Stati.
Circa la partecipazione dell’Italia alla sistemazione dell’Europa, Macmillan ha dichiarato che si proponeva di dare maggior rilievo alla prossima riunione del N.A.T.O. a Parigi, e che si era riservato un maggior tempo libero proprio per dare alla stampa la sensazione della partecipazione del N.A.T.O. alle discussioni preparatorie alla Conferenza di Ginevra. Era suo vivo desiderio che l’Italia e la Germania inviassero a Ginevra degli osservatori.
A questo punto, dopo che da parte nostra era stato fatto notare che la reazione della stampa italiana all’invio di osservatori, che erano restati fuori della porta, era stata quanto meno divisa e che molto più opportuna sarebbe stata una riunione a cinque (tre grandi più Italia e Germania) alla chiusura della Conferenza, da parte inglese venne accennato alla possibilità di riunire i Ministri degli Esteri del N.A.T.O., eventualmente ad Evian, al termine della Conferenza.
Non era da escludersi, si è aggiunto, da parte inglese, che in un secondo tempo una partecipazione più diretta dell’Italia possa essere contemplata, ma bisognava andare cauti per evitare un eventuale risentimento degli altri paesi del N.A.T.O.
Il Ministro Martino chiese quindi al Ministro Macmillan quali sarebbero state le eventuali reazioni inglesi di fronte ad un invito che ci venisse rivolto dai sovietici di recarci a Mosca. Il Ministro, dopo aver fatto cenno ai rapporti dell’Ambasciatore Di Stefano, aggiunse che Bulganin potrebbe forse passare per Roma prossimamente, nel corso di un suo viaggio e che naturalmente verrebbe fatto oggetto di quelle cortesie che spettano ad una persona del suo rango. A questo punto il Segretario Generale precisa quali sono state le istruzioni date a Di Stefano sull’argomento.
Macmillan si è chiesto se non fosse questa una buona occasione per fare valere il passaggio di Bulganin come visita ufficiale mediante un precedente invito formale, il che ci avrebbe consentito di rimandare la restituzione della visita alle calende greche (suggerendo l’autunno del 1956).
Delle osservazioni importanti sono state fatte da Macmillan circa le reazioni post-ginevrine. Aperture a sinistra ci sono anche in Inghilterra e sono pericolose perché aprono la porta al comunismo. Inoltre a furia di parlare della necessità di evitare la guerra atomica, vi è pericolo che la guerra convenzionale, agli occhi dell’opinione pubblica divenga auspicabile. Si poteva forse ritenere che i russi avessero a casa loro le nostre stesse difficoltà. Egli aveva avuto l’impressione a Ginevra che i governanti sovietici fossero sollevati dalla sparizione di Stalin, non solo per la fine del suo regime, ma anche per l’alleggerimento che a loro derivava quali negoziatori. Kruscev aveva poi detto che si presentava per il futuro la necessità che anche in Russia si costituisse un governo di gabinetto ed aveva aggiunto che anche nell’U.R.S.S. si doveva tener conto di un’opinione pubblica.
SEGRETARIO GENERALE: Invita il Prof. Toscano a parlare circa l’ammissione dell’Italia all’O.N.U.
PROF. TOSCANO: Osserva, relativamente a quanto detto dall’Ambasciatore Magistrati, circa la differenziazione della posizione italiana da quella dei satelliti che in effetti la posizione è diversa, ma limitatamente. È vero che nel Consiglio di Sicurezza l’Italia ha raccolto una larga maggioranza, che, ove non vi fosse stato il veto sovietico, le avrebbe consentito di essere portata in Assemblea. È anche vero che i satelliti non hanno raggiunto questa maggioranza e pertanto non si è dovuto fare ricorso a veti per impedire la trasmissione delle loro candidature all’Assemblea, ma, giuridicamente, i preamboli dei trattati di pace nostri e dei satelliti (alcuni Governi dei quali erano già comunisti al momento della sottoscrizione dei trattati in questione) sono identici. Pertanto il mancato raggiungimento della maggioranza raggiunta dall’Italia si deve al fatto che molti dei 22 Stati firmatari dei trattati di pace e membri del Consiglio di Sicurezza i quali avevano riconosciuto ai paesi satelliti il diritto di entrare nell’O.N.U., non hanno poi votato a loro favore, venendo quindi meno ad un impegno preso e commettendo dunque un atto illecito. Tiene quindi a fare una precisazione su quanto dettoci da Pinay: la sua promessa avrebbe un valore assoluto se la candidatura dell’Italia fosse la prima ad essere esaminata dal Consiglio di Sicurezza. (Come è noto i sovietici hanno sostenuto la teoria del «package», mentre gli americani sono sempre stati favorevoli all’esame caso per caso). Ora poiché la prima candidatura è quella dell’Ungheria, cosa potrebbe fare Pinay? Porre il suo veto a tutti sin dall’inizio, senza sapere se la nostra candidatura sarà accettata o meno, o non porlo, e vedere, ad esempio, l’Ungheria entrare all’O.N.U., mentre noi potremmo esserne esclusi?
Bisogna quindi arrivare al «package deal» convincere cioè gli americani ad arrivare ad un accordo preventivo. Ciò che è sopratutto interessante nelle dichiarazioni di Pinay, è che egli abbia promesso di mettere eventualmente il veto ai candidati di Bandung. Il problema quindi è il seguente: è nostro interesse entrare all’O.N.U.? Se sì, dobbiamo convincere amici ed alleati a fare il «package deal». Circa il nostro interesse, alle molte considerazioni già fatte in proposito, bisogna aggiungere ora che nell’attuale clima di distensione le Nazioni Unite hanno cessato di essere unicamente una palestra di propaganda, ma sono divenute altresì un importante punto di incontro al quale è nostro vivissimo interesse essere presenti. Inoltre, di fronte al problema delicato della salvaguardia dell’integrità e della indipendenza dell’Albania che in questi giorni tanto ci assilla, una delle poche cose che possiamo fare è precisamente quella di agevolarne l’ingresso nelle Nazioni Unite.
Noi siamo tenuti a realizzare questo nostro interesse, perché dobbiamo tener presente che la nostra opinione pubblica può ad un certo momento rendersi conto degli svantaggi che comporta la nostra esclusione.
Per concludere è necessario indurre gli americani a rivedere la loro posizione. Da uno studio recentemente fatto, risulta che, anche se tutti i 21 candidati entrassero alle Nazioni Unite, gli Stati Uniti ed i paesi amici potrebbero sempre disporre della maggioranza dei due terzi.
Possono gli Stati Uniti mutare il loro passato atteggiamento, in tema di ammissioni? A ben vedere ciò non comporterebbe concessioni sostanziali nella loro politica, tanto più che non implicherebbe il riconoscimento della Cina comunista. C’è anche nell’opinione pubblica americana una certa evoluzione e se la distensione è particolarmente interessante per l’U.R.S.S., neppure gli Stati Uniti possono o presumibilmente intendono ritornare di colpo alla guerra fredda. Le elezioni sono prossime: l’opinione pubblica americana è stata positivamente colpita dal fatto che a Ginevra Eisenhower apparentemente abbia svolto un ruolo così importante di pacificatore.
Di concessioni vere e proprie, in questo clima di distensione, non se ne faranno molte: una delle poche, che, senza compromettere questioni di fondo, consentirebbe di mantenere in vita la politica della distensione, potrebbe precisamente essere data da un’intesa in tema di ammissioni di nuovi membri nelle Nazioni Unite. Un nostro atteggiamento fermo nei confronti del «package deal» potrà forse dare i suoi frutti. L’interesse italiano oggi non è più soltanto negativo (cioè nessuna ammissione senza di noi) esso è anche positivo, vale a dire deve mirare a tendere al nostro ingresso nelle Nazioni Unite. Ciò non potrà realizzarsi che facendo abbandonare l’esame caso per caso ed adottare il «package deal».
MINISTRO FRACASSI: Rileva che, dopo le chiare esposizioni dell’Ambasciatore Magistrati, del Ministro Migone e del Prof. Toscano, gli viene logica una domanda: esiste realmente un interesse italiano ad essere ammessi nelle Nazioni Unite? Questo problema non è nuovo perché è stato dibattuto fin dal 1945. La risposta è ovvia, specie ora che la nostra linea politica è ben definita. Ciò posto bisogna fare un passo avanti e chiederci se vale la pena di fare un grosso sforzo diplomatico per raggiungere questo obiettivo. Tutti i presenti hanno partecipato, nel corso della loro carriera a consessi internazionali ed hanno una buona esperienza in questo campo. Si sa che dietro le quinte ogni paese continua con tenacia e talvolta con asprezza a perseguire i proprî interessi nazionali. Quindi, quando si va a questi consessi internazionali, si ha sempre una doppia faccia, quella che si mostra intorno al tavolo e quella che si mostra invece al di fuori delle sale di riunione.
A suo avviso quando si parla di interesse ad essere ammessi nelle Nazioni Unite bisogna tener presente che forse non ci conviene dimostrare un desiderio troppo vivo perché si rischia poi, una volta ammessi, che ci sia dato, come concessione, quello che gli altri Stati hanno ottenuto senza sforzi da molti anni.
PROF. TOSCANO: Osserva circa l’azione diplomatica che se non la avessimo cominciata in tempo non saremmo oggi garantiti contro l’eventualità di altri ingressi, ipotesi quest’ultima che potrebbe dare luogo a reazioni psicologiche negative. Il nostro è un paese che guarda molto alla forma e molto meno alla sostanza: va da sé che, una volta entrati, seguiteremo a perseguire anche i nostri interessi. Uno dei mezzi atti ad attenuare quel latente malcontento diffuso in Italia, circa la nostra limitata partecipazione alle grandi decisioni di politica internazionale potrebbe proprio essere dato dal vedere sui giornali la notizia che un Delegato italiano parla all’Assemblea delle Nazioni Unite.
È nostro preciso interesse, quasi un dovere, perseguire tutto quello che consente di alleggerire la pressione dell’opinione pubblica laddove essa potrebbe indebolire la popolarità dell’Alleanza.
SEGRETARIO GENERALE: Osserva che la posizione assunta e ribadita dal Prof. Toscano è molto decisa. Si chiede però se l’ingresso dell’Italia all’O.N.U. rafforzi realmente l’Occidente. A suo avviso un simile ingresso nel quadro dell’interesse occidentale, è un elemento di limitato rilievo: si chiede anche se dal punto di vista italiano, tale ingresso costituisca veramente un nostro grosso interesse ovvero abbia per noi soltanto un interesse limitato. Conviene quindi decidere se tale interesse meriti che venga da noi affrontata una grossa battaglia che comporta il rischio di quelle reazioni dell’opinione pubblica che non potrebbero mancare in caso di insuccesso.
Attualmente non può dirsi che la nostra opinione pubblica si preoccupi troppo del fatto che non facciamo parte dell’O.N.U.
Tiene poi a riprendere la tesi sostenuta dal Ministro Martino (e soltanto perché di essa egli è anche in parte responsabile) diretta a differenziare la nostra posizione da quella dei satelliti. Ritiene infatti che la tesi per cui la posizione dell’Italia e quella dei satelliti vadano differenziate possa essere sostenuta. Il voto contrario ai satelliti dato dagli Stati occidentali al Consiglio di Sicurezza è stato un voto e non un veto: anche i russi al Consiglio di Sicurezza hanno votato contro di noi. Ma ciò malgrado noi abbiamo raggiunto un certo traguardo, che i paesi satelliti non sono mai riusciti a raggiungere. In sostanza se la nostra candidatura non è andata all’Assemblea, ciò lo si deve soltanto al veto sovietico, laddove la candidatura dei satelliti è venuta meno perché essi non sono mai riusciti ad ottenere la maggioranza qualificata nel Consiglio di Sicurezza, ottenuta invece da noi malgrado il voto sovietico contrario.
Il fatto che il Prof. Toscano non ritenga che l’ingresso dei satelliti all’O.N.U. non faccia perdere all’Occidente la maggioranza qualificata è una sua opinione molto rispettabile ma che non è condivisa dagli americani. Quindi prima di impegnarci in un’azione a fondo per una universalità indiscriminata dobbiamo considerare prima di tutto se tale azione non finirebbe per avere altro risultato che quello di metterci gratuitamente contro quella che è la politica ufficiale e dichiarata degli Stati Uniti.
In questa situazione a suo avviso è più opportuno non affrontare questa battaglia anche perché, come ha accennato sopra, se, dopo esserci impegnati a fondo, noi non entrassimo all’O.N.U. si sconterebbe inevitabilmente una reazione di opinione pubblica, oggi inesistente, che non potrebbe che essere anti-occidentale. E allora in un paese come il nostro, con le elezioni amministrative alle porte, quali potrebbero essere le reazioni dell’elettorato, se non quelle di rendere responsabili i partiti di maggioranza, di non essere riusciti ad ottenere dagli alleati neppure l’ingresso alle Nazioni Unite?
Quello che è stato fatto e che dobbiamo continuare a fare è di rappresentare nel modo più fermo agli alleati che non potremmo mai tollerare per la nostra dignità e per le immancabili gravi ripercussioni che non potrebbero mancare nella nostra opinione pubblica, che un qualsiasi altro paese venisse ammesso all’O.N.U. qualora noi ne dovessimo continuare a rimanere esclusi.
A una obiezione del Prof. Toscano circa la necessità di svolgere una azione diplomatica segreta, fa presente che la stampa viene a conoscere praticamente tutto quello che facciamo.
In linea generale ritiene poi opportuno che prima di prendere o subire iniziative distensive convenga attendere di vedere quello che succederà a Ginevra a ottobre. Sino ad allora dobbiamo cercare di resistere ad ogni apertura, in attesa di vedere quale sarà il reale svolgimento degli eventi. Il prestigio indubbiamente è una cosa importante: ma non si può determinare la nostra azione politica soltanto sulla base del prestigio, senza che vi sia anche un contenuto sostanziale: non dimentichiamo quanto Macmillan ha detto a Londra.
PROF. TOSCANO: Ritiene che la nostra aspirazione al «package» non significhi necessariamente prendere posizione contro gli americani, perché se così fosse gli inglesi si troverebbero da tempo in questa condizione. D’altra parte, lungi dal volerle indebolire, è proprio per rafforzare le posizioni dell’Alleanza occidentale che egli suggerisce di battere la sola strada che, a suo avviso, potrebbe portare al nostro ingresso nelle N.U. Egli infatti ritiene che la nostra opinione pubblica non mancherà di rimproverare ai nostri alleati ed in particolare agli Stati Uniti un nuovo eventuale insuccesso della nostra candidatura.
SEGRETARIO GENERALE: Ribadisce quella che è la posizione che noi abbiano assunto nei confronti della ammissione, quale è stata da ultimo espressa dal Presidente Segni in Parlamento. Noi siamo in favore della universalità delle Nazioni Unite ma non stiamo a chiedere con la mano tesa di essere ammessi. Considereremmo peraltro non amichevole da parte dei nostri alleati se essi consentissero ad una discriminazione a nostro danno.
Circa lo studio fatto dal Prof. Toscano, senza volerne mettere in dubbio la fondatezza, non può non ripetere che gli americani sono giunti a diverse conclusioni, perché è proprio il timore di perdere la maggioranza qualificata che determina il loro atteggiamento, timore giustificato da un possibile slittamento di taluni gruppi di paesi, come per esempio il gruppo dei Paesi arabi.
PROF. TOSCANO: Rileva che distensione ed adozione del principio dell’universalità nelle ammissioni alle Nazioni Unite sono questioni che non vanno necessariamente legate insieme. Basta pensare che la cosiddetta teoria dell’universalità è sorta in piena guerra fredda.
SEGRETARIO GENERALE: Rileva che, se noi insistiamo nel fare un «package» indiscriminato la nostra azione non potrebbe non essere considerata distensiva.
AMBASCIATORE MASCIA: Ricorda i precedenti delle nostre domande di ammissione e l’avviso espresso dagli esperti sulla possibilità che l’Assemblea decidesse anche senza il voto del Consiglio di Sicurezza. Ma a quell’epoca americani, inglesi e francesi ci dissero che non potevano seguirci su quella strada perché la maggioranza non è automatica ma varia a seconda delle questioni. Gli americani non ammettono il «package» proprio per queste ragioni. Come voteremmo infatti noi in determinate circostanze, sul Marocco o su Israele ad esempio?
PROF. TOSCANO: Circa la questione giuridica della procedura da seguire per l’ammissione, questa è stata ormai da tempo risolta. Insiste nel dire che la nostra assenza sarebbe comunque controproducente in futuro. Anche se, una volta entrati nelle N.U., difficoltà di scelta di posizione non mancherebbero in determinate votazioni, avremo però sempre dinanzi a noi per orientarci un faro, che sarà costituito dall’atteggiamento degli americani. Una politica diretta ad evitare nel modo più assoluto qualsiasi scelta equivarrebbe ad un totale abbandono di ogni nostra funzione. D’altra parte, per essere conseguente con le sue preoccupazioni relative alla situazione nella quale verremmo a trovarci una volta entrati nelle N.U., il Ministro Mascia dovrebbe proporre non già di imprimere un carattere blando alla nostra azione diplomatica, ma proporre il ritiro della nostra domanda di ammissione giacché potremmo trovarci ad essere ammessi anche per circostanze di politica generale estranee a detta nostra azione.
AMBASCIATORE MAGISTRATI: Riprendendo l’intervento del Ministro Fracassi spiega quali sono a suo avviso i motivi per cui, oggi, la nostra ammissione nelle Nazioni Unite presenti un nuovo interesse.
1) Austria. Quando si parlò della garanzia si convenne che il modo migliore per assicurargliela sarebbe stato l’inquadramento dell’Austria all’O.N.U. Si ebbe allora un certo risveglio in Italia e si sentì qualche nervosità negli ambienti parlamentari, più che nella pubblica opinione. Non bisogna dimenticare che Gonella, nella sua relazione, qualificò di «intollerabile» la nostra posizione di fronte all’O.N.U. Per quanto ci concerne direttamente non possiamo passare sopra al fatto che la critica al Governo in questo settore suonerebbe come critica al Ministero degli Affari Esteri.
2) Risultato della Conferenza di Bandung, con le nuove proposte di ammissione.
3) Trattazione di determinati problemi che, per ragioni diverse, hanno imboccato la strada delle Nazioni Unite.
Su questi tre fatti si è risollevato in Italia il problema della nostra ammissione. Personalmente è convinto che se nessuno entrasse, tutto andrebbe bene (formula Pinay). Comunque come Ministero degli Esteri, noi non ci possiamo disinteressare della questione, sopratutto per il fatto che ci sono talune candidature che toccano da vicino la suscettibilità di certe sfere della nostra opinione pubblica, la Libia per esempio. Ricorda da ultimo che per la nostra natura, così come oggi discutiamo sull’ammissione, domani discuteremo, ove ammessi, sulla nostra aspirazione ad entrare nel Consiglio di Sicurezza, e così via.
MINISTRO FRACASSI: Riprendendo il suo intervento precedente, precisa di avere premesso che esiste senza dubbio un nostro interesse ad entrare nell’O.N.U. Ma si è chiesto sino a che punto convenga impegnare la nostra azione e la nostra responsabilità, proprio in funzione delle reazioni del Parlamento. A suo avviso, se presentiamo di nuovo la nostra candidatura, dobbiamo presentarla con la certezza assoluta di essere ammessi.
SEGRETARIO GENERALE: Conclude la discussione ribadendo la propria convinzione che non sia opportuno fare della nostra ammissione nelle Nazioni Unite una questione predominante e determinante della nostra politica estera e che si debba andare molto cauti prima di esporci ad eventuali reazioni parlamentari e dell’opinione pubblica, che, in caso di insuccesso, non potrebbero che tradursi in posizioni propagandistiche antioccidentali.
1 Trasmesso con Telespr. 4/353/c. del 20 settembre alle Ambasciate a Bonn, Parigi, Londra, Washington, alle Rappresentanze presso il Consiglio Atlantico e presso l’O.E.C.E., a Parigi, presso l’ O.N.U., a New York, e per conoscenza alla Direzione Generale degli Affari Politici.
2 Si tratta della Conferenza tenutasi a Noordwijk il 6 settembre, vedi D. 85
3 Vedi D. 87.
IL CAPO DELL’UFFICIO IVDELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI
Telespr. 44/135691. Roma, 12 settembre 1955.
Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.
COMMISSIONE MERCATO COMUNE
Alla ripresa dei lavori le discussioni in seno alla Commissione del mercato comune si sono imperniate su di un documento di lavoro presentato dalla Delegazione belga, documento che contiene in forma di questionario, un elenco dettagliato dei problemi che si porranno per l’inizio, il funzionamento e la realizzazione del mercato comune (doc. 158).
Il Presidente del Comitato Intergovernativo che ha presenziato alla riunione del 31 agosto dopo aver ricordato che la decisione politica circa la instaurazione del mercato comune era in principio già stata presa dai Ministri degli Esteri a Messina, ha invitato la Commissione ad affrontare ormai le reali difficoltà e a tentare di conciliare le eventuali divergenze fra le varie posizioni nazionali o intellettuali.
Nonostante la esitazione del Delegato francese è stato deciso di accettare il sistema di lavoro proposto dai belgi invitando le altre Delegazioni a precisare la loro posizione.
Delle proposte di aggiunta o emendamento sono state presentate dalle Delegazioni tedesca e olandese (doc. 164 e 162).
La Delegazione italiana ha ritenuto anch’essa opportuno presentare una proposta di aggiunta al documento belga, al fine di permettere un migliore chiarimento della nostra posizione sul problema del sistema di salvaguardia (doc. 163). Tale sistema non dovrà infatti rimediare unicamente alle eventuali difficoltà che si produrranno in conseguenza dell’apertura del mercato comune ma anche permettere lo sviluppo armonico dell’economia italiana. Pertanto, secondo la concezione esposta dalla Delegazione italiana, le clausole di salvaguardia dovrebbero poter essere invocate da quei paesi le cui condizioni di partenza sono meno favorevoli.
Sempre al fine di chiarire meglio il pensiero su questo argomento una seconda proposta di aggiunta al questionario belga è stata fatta per sottolineare la importanza di prevedere nel sistema di salvaguardia non solo clausole derogatorie, ma anche clausole sospensive, che permettano al paese che si trova in condizioni economicamente meno favorevoli, nella fase iniziale di creazione del mercato comune, di differire l’applicazione di talune misure adottate.
La stampa finanziaria britannica ha dimostrato per la ripresa dei lavori di Bruxelles un maggiore interessamento al quale ha fatto seguito una più attiva partecipazione dei Delegati del Regno Unito alle questioni trattate alla Conferenza: in particolare dalla Commissione del mercato comune e dalle Sottocommissioni per le questioni sociali e per le poste e telecomunicazioni.
Il Delegato inglese alla Commissione del mercato comune è intervenuto con frequenza nei dibattiti dimostrando che le Autorità britanniche hanno profittato della sosta per approfondire i vari aspetti dell’integrazione economica europea e che ne seguono con interesse le vicende.
Bretherton ha naturalmente tenuto a sottolineare che le opinioni da lui espresse sono tacitamente precedute dalla proposizione condizionale «se il Governo britannico decidesse di partecipare al processo di integrazione europea ... ». Resta però il fatto che i britannici hanno già pronte alcune formule per il caso che tale ipotesi si verificasse. Un esempio particolarmente interessante è stato dato da Bretherton, allorché è stato discusso il problema della forma che dovrà avere il mercato comune, se esso cioè dovrà assumere la fisionomia di una unione doganale o di una zona di libero scambio.
Il Delegato britannico ha dichiarato, a questo proposito, che il Regno Unito potrebbe più facilmente partecipare a una iniziativa che fosse limitata alla creazione di una zona di libero scambio.
La partecipazione inglese sarebbe ancora più facile, se fosse accantonato non solo per il periodo transitorio, ma anche per il periodo finale, l’obbiettivo dell’unione doganale.
Nelle sedute del 30 e 31 agosto u.s. la Commissione ha discusso dei problemi tariffari connessi con la formazione e la realizzazione del mercato comune, seguendo il questionario belga sopra ricordato.
Avendo la Commissione rinviato la risposta alla domanda se la creazione del mercato comune chiedeva soltanto la soppressione delle restrizioni quantitative oppure anche la eliminazione di restrizioni valutarie, di diritti doganali, delle discriminazioni nel campo delle tariffe di trasporto, dei cartelli e dei doppi prezzi, in quanto la formulazione della domanda è sembrata troppo vasta, si è passati all’esame del punto II.
Sono state cioè affrontate le sei questioni sulle quali il documento belga ha inteso articolare i problemi di carattere doganale, e successivamente altre due questioni proposte dalla Commissione stessa e precisamente:
a) il problema delle restrizioni quantitative verso paesi terzi;
b) il problema della distorsione del traffico.
È stato concordato che le risposte date dalle varie Delegazioni a tali quesiti dovevano essere considerate come prime reazioni ai problemi segnalati, e che sarebbe stato affidato alle successive riunioni il compito di una messa a punto di esse come pure il tentativo di avvicinare i vari punti di vista espressi.
Si riportano qui di seguito le sei domande del citato documento belga con il pensiero delle varie Delegazioni manifestato nel corso delle discussioni:
I. Quelles méthodes préconisez-vous pour la réduction des droits de douane à l’intérieur du marché commun? (d’une manière générale, ou différenciée par secteur; automatique ou souple; écrétement par priorité des tarifs élevés).
A fronte del metodo, suggerito dalla Delegazione italiana per un automatismo «souple», legato a decisioni collegiali da prendere di volta in volta, vi sono state altre proposte.
La Delegazione olandese ha dichiarato che la sua preferenza andava all’automatismo puro, giacché questo solo, a suo parere, avrebbe costituito un efficace stimolo a che i Governi ed i settori produttivi nazionali collaborassero alla realizzazione del mercato comune.
Tale preferenza, tuttavia, non le avrebbe impedito di esaminare con intendimento favorevole, qualunque altra proposta meno rigida, alla condizione che questa si dimostrasse tale da permettere il raggiungimento metodico dello scopo finale.
Essa inoltre ha chiesto che nell’esercizio della riduzione graduale dei dazi fosse tenuto particolare conto dei dazi così detti eccessivi e di quelli così detti bassi. Per i primi, ha suggerito una decapitazione preventiva o un tasso di riduzione più forte, per i secondi ha prospettato la possibilità che la loro riduzione seguisse un ritmo più lento.
La proposta della decapitazione dei dazi così detti alti non è sembrata molto ortodossa ed infatti è stato obiettato che la riduzione di un dazio, in base ad una percentuale fissa, colpisce in misura proporzionalmente maggiore i dazi alti che quelli bassi e che tale graduale successiva riduzione conduce alla fine ad una parificazione dei dazi alti a quelli bassi fino al punto in cui tutti e due saranno uguali a zero.
La richiesta, invece, di dare un ritmo più lento alla riduzione dei dazi così detti bassi non ha sollevato commenti.
La Delegazione inglese ha preso una posizione che si ispira all’evidente preferenza del suo Governo per un piano quanto più possibile elastico e che lasci la più larga discrezionalità. La percentuale di riduzione fissata dovrebbe essere applicata dai Governi dei sei paesi in base a propri criteri discrezionali sottomettendo alcuni settori ad una riduzione maggiore, altri ad una minore, alla condizione però che ad ogni tappa risulti una riduzione media su tutta la tariffa pari a quella stabilita.
Infine vi è stata una proposta tedesca, poi riportata nel doc. n. 178 qui allegato2, che si ispira al piano di riduzione tariffe studiato dal G.A.T.T. (antico Piano Pflimlin). Nel loro documento, i tedeschi dichiarano di voler coordinare i vantaggi di un certo automatismo a quelli di una certa elasticità nella procedura.
Essi suggeriscono la suddivisione di comune accordo della tariffa in un numero non troppo piccolo di gruppi merci, di natura analoga, in modo che l’abbassamento dei dazi possa essere applicato al maggior numero di merci possibile (i tedeschi hanno suggerito due gruppi o poco più; i francesi hanno espresso una preferenza per un numero molto maggiore). Per ciascuno di questi gruppi occorrerebbe stabilire l’incidenza media dei dazi, da calcolare sul movimento di un dato anno, scelto di comune accordo e sulla base dei dazi effettivamente percepiti ed il valore dell’importazione effettuata. L’abbassamento dovrebbe essere effettuato in tappe, in base a percentuali da fissare, in misura uguale per tutti i gruppi di merci ed in modo che la soppressione completa dei dazi coincida con la data fissata per la creazione dell’unione doganale. Il tasso di riduzione per le varie merci all’interno di ciascun gruppo dovrebbe essere fissato da ogni Governo prima dell’inizio di ogni tappa e le decisioni dei Governi dovrebbero essere, in principio, armonizzate fra loro. A tal fine i Governi dovrebbero consultarsi, prima di ogni tappa, circa le disposizioni che intendono adottare e inoltre per giustificare il ritardo eventualmente frapposto nella riduzione di qualche dazio.
La complessività di tale piano non permette ancora alcun commento. Esso richiede, in ogni caso, ulteriori precisazioni, che verranno certamente fornite dalla Delegazione proponente allorché la Commissione tornerà ad esaminarlo.
II. Quelles méthodes préconisez-vous pour la suppression des restrictions quantitatives et autres barrières équivalentes?
Circa la soppressione delle restrizioni quantitative le Delegazioni italiana e belga hanno messo in evidenza che una riduzione dei dazi mal si concilia con la permanenza di tali restrizioni e delle sovvenzioni alle esportazioni. Queste, perciò, dovranno essere abolite o all’inizio della riduzione dei dazi oppure, per motivi da esaminare, durante le prime tappe della formazione dell’unione doganale.
Tale principio dovrà valere anche per le restrizioni affini, come il commercio di Stato, le pratiche amministrative, ecc.
La questione delle restrizioni quantitative ha richiamato il problema del settore agricolo e delle difficoltà che incontrerà la produzione di questo settore allorché dovrà rinunciare a tale mezzo di protezione.
Il rappresentante dell’O.E.C.E. e la Delegazione tedesca si sono mostrati del parere che l’integrazione agli effetti del settore agricolo dovrebbe essere studiata a parte, dato che la graduale riduzione dei dazi e dei contingenti si rivela, in questo caso, una arma inadeguata e non corrispondente. Tale opinione è stata respinta dalla Delegazione olandese. Essa giudica il diverso trattamento tra industria e agricoltura, che si vorrebbe in tal modo introdurre, psicologicamente dannoso e controproducente agli effetti della formazione del mercato comune in quanto potrebbe distogliere gli agricoltori dal compiere la parte di sforzo che spetta loro. Per la Delegazione olandese il sistema di salvaguardia dovrebbe essere sufficiente a risolvere il problema di questo settore.
III. Quel délai final assignez-vous pour la réalisation des objectifs prévus aux 1) et 2)?
Le Delegazioni del Benelux hanno sostenuto che un termine di 10 anni sembrava adeguato e che la rigidità di tale termine poteva essere corretta, anticipandolo o ritardandolo, in base ad una decisione unanime dei Governi. La Delegazione italiana, nel dichiarare che pur non avendo istruzioni definitive a questo riguardo [sic], mentre quella francese ha proposto che non venisse fissato alcun limite perché l’indicazione di esso avrebbe potuto causare reazioni sfavorevoli nell’ambiente produttivo del suo paese e aumentare le difficoltà che il suo Governo doveva sormontare.
IV. Faut-il prévoir un rythme et des étapes intermédiaires précises pendant la période transitoire précédant l’établissement du marché commun?
Le Delegazioni del Benelux e della Repubblica Federale ritengono che anziché stabilire tappe annuali, sia più proficuo fissare un numero minore di tappe pluriennali. In particolare esse hanno voluto fermare l’attenzione delle altre Delegazioni sul numero di tre tappe, in cui, nella prima dovrebbe essere raggiunta la riduzione del 40% e nella seconda e nella terza due successive riduzioni del 30%.
Da parte della Delegazione italiana e francese non si è respinta tale proposta; si è però insistito sull’opportunità che l’adozione della percentuale di riduzione successiva venga stabilita dopo una consultazione fra i Governi interessati sul grado di armonizzazione raggiunto. La Delegazione tedesca ha inoltre richiamato l’attenzione sulla necessità di studiare il problema preliminare che pone la fase di «démarrage» del mercato comune.
V. Considérez-vous que le marché commun prendra la forme d’une Union Douanière ou d’une zone de libre-échange, telle qu’elles sont définies à l’article XXIV du G.A.T.T.:
a) pendant la période transitoire;
b) pendant la période définitive?
Tutti sono d’accordo che nella fase definitiva il mercato comune dovrà prendere la forma doganale ad eccezione della Delegazione del Regno Unito la quale ha tenuto a segnalare che per il suo paese potrebbe essere più facile entrare a far parte di una «zona di libero scambio» che in una unione doganale, per il fatto che la prima permetterebbe di mantenere una tariffa doganale nazionale, mentre la seconda no.
Per quanto questo accenno riterrà, in seguito, certamente tutta l’attenzione della Commissione, per un esame più approfondito di esso, la proposta ha suscitato, come prima reazione, qualche perplessità a causa delle maggiori difficoltà di carattere tecnico che la creazione di una tale zona fra sette paesi comporterebbe.
È da notare, in ogni modo, che la creazione di una zona di libero scambio, auspicata da parte inglese non sarebbe in armonia con la Decisione di Messina, in cui si parla espressamente (al punto B-a) «de l’unification progressive du régime douanier à l’égard des pays tiers» e quindi si esclude il mantenimento per un tempo indefinito delle tariffe nazionali.
Circa la fase transitoria, la maggior parte delle Delegazioni ha manifestato il parere che la zona dei paesi partecipanti venga considerata e definita, agli effetti giuridici, come «zona di libero scambio» in quanto questo istituto sarebbe, secondo la definizione data dal G.A.T.T., più corrispondente all’esercizio da intraprendere.
VI. A quel niveau s’établira éventuellement le tarif commun vis-à-vis des pays tiers?
La Delegazione italiana ha dichiarato che l’esigenza del G.A.T.T. di una tariffa comune che, nel suo insieme, non abbia una incidenza generale più elevata di quella che avevano i dazi dei territori dell’unione doganale prima della formazione di questa, poteva rappresentare un’utile base per i negoziati da svolgere agli effetti della formazione di tale tariffe. Tale punto di vista che è stato sostenuto anche dalla Delegazione tedesca non è stato condiviso né dalle Delegazioni del Benelux né da quella francese, per motivi tra loro opposti.
Le Delegazioni del Benelux rifiutano il criterio del G.A.T.T. in quanto troppo benevolo e tale da condurre alla formazione di una tariffa troppo elevata o comunque tale da influire sul costo della vita delle loro popolazioni.
La Delegazione francese, invece, ha sostenuto che la formazione del mercato comune è un’operazione di tale importanza che essa non coincide e va molto al di là dei due istituti previsti dal G.A.T.T., cioè l’unione doganale e la zona di libero scambio e quindi i paesi del mercato comune non dovevano essere tenuti a rispettare quel massimo di dazi che il G.A.T.T. fissa nel principio ricordato dalla Delegazione italiana.
La dichiarazione francese, rimasta senza eco, ha suscitato, anzi, reazioni sfavorevoli generali, non solo come era da attendersi, da parte delle Delegazioni dei paesi del Benelux ma anche da parte dei Rappresentanti dell’O.E.C.E., della C.E.C.A. e del Consiglio d’Europa. Questi ultimi hanno sottolineato che se, in principio, l’O.E.C.E. e il G.A.T.T. sono favorevoli alla formazione di una unione doganale, questo riconoscimento è legato alla condizione che tali unioni non contribuiscano alla formazione di grossi mercati a tendenza autarchica, ma ad aree economiche con migliore efficienza produttiva.
La Delegazione italiana e olandese hanno ricordato che anche la tariffa comune richiede un’applicazione graduale e che quindi questa dovrà essere studiata e messa in applicazione durante lo stesso periodo transitorio.
A queste domande, la Commissione ha voluto aggiungere due altre che richiamano in effetti altri problemi connessi con la formazione del mercato comune.
La prima riguarda il regime delle restrizioni quantitative verso i paesi terzi. Tutte le Delegazioni si sono dimostrate d’accordo che tale problema non esisterà in pratica allorché il mercato comune sarà stato formato, ma che invece si porrà in forma grave e dovrà essere perciò risolto nel periodo transitorio.
L’adozione del principio di una graduale coordinazione delle politiche commerciali dei paesi partecipanti verso i paesi terzi è sembrata a tutti indispensabile. Quali metodi dovranno essere adottati per tale scopo, non sono stati, però, indicati.
A giudizio della Delegazione tedesca, e del Rappresentante della C.E.C.A., la necessaria accettazione, all’inizio del processo di unificazione, del diverso grado di liberazione degli scambi applicato dai singoli paesi partecipanti potrà essere fonte di inconvenienti e in particolare causa di distorsione del traffico. Tale circostanza comporterà necessariamente l’adozione di regole comuni per eliminare tale distorsione.
Il problema della distorsione del traffico di cui all’ultima domanda, viene creato dall’esistenza contemporanea di una tariffa interna e di varie tariffe esterne con livelli daziari differenti, nonché dal diverso grado di liberazione degli scambi. Tutte le Delegazioni si sono mostrate convinte che occorrerà stabilire una regola comune, la quale dovrà basarsi: a) sull’adozione del certificato di origine che garantisca in modo inequivocabile la provenienza e l’origine delle merci dai paesi membri; b) sulla scelta del criterio che dovrà definire chiaramente il grado di lavorazione che un dato prodotto deve aver subito in uno dei paesi della futura comunità perché venga considerato originario della zona ed abbia quindi diritto al trattamento preferenziale.
Il Presidente della Commissione del mercato comune redigerà, col Segretariato, un documento di sintesi della discussione svoltasi in materia tariffaria, che servirà di base agli ulteriori dibattiti. Esso probabilmente verrà diramato nel corso delle settimane prossime, e preso in esame nella terza decade di settembre.
In attesa di tale documento riassuntivo si trasmettono alle amministrazioni più direttamente interessate i documenti sinora pubblicati.
Si fa riserva di convocare quanto prima una riunione interministeriale per un riesame dell’intera questione del mercato comune onde poter fornire alla nostra Delegazione a Bruxelles le istruzioni per il proseguimento dei lavori in seno alla Commissione.
1 Trasmesso agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.
2 Non pubblicato.
L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. 4864/23771. Londra, 26 settembre 1955.
Oggetto: Deposito strumento ratifica dell’Accordo tra la C.E.C.A. e il Regno Unito.
Riferimento: Mio telespr. n. 4738/2322 del 19 settembre u.s.2.
Il Foreign Office ha comunicato che, in conformità a quanto previsto dall’art. 13 dell’Accordo firmato a Londra il 21 dicembre 1954 fra il Regno Unito e la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, lo strumento di ratifica da parte della Repubblica Federale di Germania è stato depositato a Londra il 23 settembre. Poiché tutti gli strumenti di ratifica sono stati ora depositati, l’Accordo suddetto è entrato in vigore alla stessa data del 23 settembre.
Allegato
[IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI DEL REGNO UNITO, MACMILLAN,]ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI
L. M 602/1213. Londra, 23 settembre 1955.
Sir,
I have the honour to inform you that the instrument of ratification of the Federal Republic of Germany of the Agreement concerning the relations between the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland and the European Coal and Steel Community signed in London on the 21st of December, 1954 was deposited with the United Kingdom Government in the forenoon of Friday, the 23rd of September, and that, all other instruments of ratification of the Agreement having already been deposited, the Agreement entered into force in accordance with paragraph (3) of Article 13 thereof on that day.
The High Authority of the European Coal and Steel Community has been informed, and similar notes are being sent to the diplomatic representatives in London of other States members of the European Coal and Steel Community.
I have the honour to be, with high consideration, Sir, Your obedient Servant.
1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Lussemburgo.
2 Con il quale Theodoli aveva comunicato che il Foreign Office, ricevuta la ratifica da parte italiana dell’Accordo tra Regno Unito e C.E.C.A., l’aveva depositata il giorno 9 settembre.
3 La lettera è sottoscritta per conto di Harold Macmillan. La firma in calce non è stata identificata.
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE
Telespr. urgentissimo 44/145231. Roma, 29 settembre 1955.
Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.
COMMISSIONE DEL MERCATO COMUNE
Direttive per la Delegazione italiana. La Delegazione italiana presso la Commissione del mercato comune del Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina ha compilato un appunto, che qui sotto si trascrive, in materia di problemi tariffari, per cui la Delegazione stessa necessita di direttive per il proseguimento dei lavori.
Data l’urgenza di trasmettere a Bruxelles tali direttive, si pregano quelle Amministrazioni che sono più direttamente interessate ai problemi in discussione di voler far conoscere al più presto possibile, e comunque non oltre il 6 ottobre p.v. se intendano intervenire, in tal caso specificando il nominativo del loro rappresentante, ad una riunione che si terrà presso la scrivente Direzione Generale il giorno 10 ottobre alle ore 10, al fine di concordare gli elementi da comunicare alla Delegazione italiana.
APPUNTO
«La Commissione del mercato comune ha condotto un esame dei problemi tariffari, in base al quale il Segretariato, dopo tutte le ulteriori discussioni che saranno ancora necessarie, redigerà un documento che costituirà la sezione del rapporto finale che tratterà di tali problemi.
Data l’importanza della questione e poiché varie sono state le tesi esposte, si segnala la necessità di un suo attento esame, specie sui seguenti punti che richiedono l’adozione di una scelta.
I. Periodo di tempo per formare il mercato comune.
La maggioranza degli esperti ha dimostrato una preferenza per un periodo di dieci anni; la stessa maggioranza non ha rifiutato, in sostanza, il correttivo, proposto dalla Delegazione belga, che tale limite di tempo possa essere modificato, ulteriormente, da una decisione collettiva.
La Delegazione italiana, che ha accettato la proposta di un tale correttivo perché le sembrava aderente alla realtà, non ha preso una posizione ferma su un numero di anni piuttosto che un altro.
Se, ad uno stadio ulteriore della discussione, la soluzione di questo problema verrà ritenuta indispensabile (ciò che sembra probabile dato che essa costituisce una esigenza non solo di alcuni paesi, come la Germania e i paesi del Benelux, ma anche delle norme del G.A.T.T.), si chiede di conoscere se da parte della Delegazione italiana si possa accettare il periodo di dieci anni, da prolungare secondo la proposta belga, oppure propendere fin da ora per un periodo maggiore.
II. Riduzione dei dazi all’interno della comunità.
Tre sono stati i sistemi suggeriti:
1) automatico, con la possibilità di far ricorso alle clausole di salvaguardia;
2) sistema “souple”, in cui le tappe dovranno essere determinate e di volta in volta collettivamente, con l’impegno del rispetto del termine finale;
3) sistema di riduzione all’interno di dati gruppi di prodotti secondo il criterio indicato dal Piano Pflimlin-G.A.T.T.
Da parte della maggioranza delle Delegazioni (salvo, per il momento, quella olandese e quella italiana) si é manifestato un interesse a concentrare le discussioni e ad approfondire lo studio del terzo sistema. Data tale circostanza, si desidera conoscere se da parte nostra si debba prendere posizione contraria o meno su tale sistema dando, invece, una preferenza ad uno degli altri due – specialmente il primo – o ad una combinazione di essi.
Inoltre, occorrerà conoscere se invece di una riduzione annuale dei dazi, non sia preferibile ricorrere a riduzioni per gruppi di anni; così per es. attuare una riduzione del 40% dopo i primi quattro anni e del 60% successivo in due tappe di tre anni o più l’una.
III. Eliminazione delle restrizioni quantitative negli scambi fra i paesi partecipanti.
La Delegazione italiana si è dichiarata in favore di una soppressione delle restrizioni quantitative all’interno del mercato comune mediante un metodo proprio, senza rimettersi all’azione dell’O.E.C.E. Questo perché la contemporanea riduzione dei dazi doganali richiede uno stretto parallelismo fra le due azioni, non necessario in seno all’O.E.C.E. D’altra parte sembra conveniente non distaccarsi da tale principio affinché il problema del settore agricolo venga comunque inquadrato nel meccanismo generale del mercato comune: per quanto si debba tener conto che anche in questa sede si tende da parte di altri a voler trattare specificatamente i problemi particolari del settore agricolo nell’intento di consentire un diverso ritmo di liberazione per detto settore.
IV. Tariffa comune esterna.
La dichiarazione riportata nel rapporto che “tutti gli esperti, ad eccezione di uno solo, si sono dimostrati favorevoli per una tariffa bassa” non corrisponde all’effettivo andamento delle discussioni. Da parte nostra si è sostenuta l’idea di una “tariffa media” simile a quella prevista dall’art. 24 del G.A.T.T. Essa è stata accolta da tutti gli altri esperti, salvo, per il momento, le ben note reticenze francesi.
Circa l’adozione della tariffa comune, la Delegazione italiana ha dichiarato essere favorevole ad un’attuazione di essa fatta progressivamente e per tappe entro il limite finale fissato.
V. Politica commerciale dei paesi partecipanti al mercato comune già realizzato rispetto ai paesi terzi.
La Delegazione italiana e tutte le altre Delegazioni hanno convenuto sull’opinione che il mercato comune realizzato comporta: delle liste comuni di liberazione, una coordinazione nella negoziazione degli accordi commerciali e, ulteriormente, degli accordi di commercio unici, negoziati congiuntamente dagli Stati partecipanti con i terzi paesi.
Si gradirà conoscere, per quanto riguarda i primi due punti, quali soluzioni potranno essere sostenute da parte italiana e, per i punti successivi, se la linea finora seguita debba o meno essere mantenuta.
Bruxelles, 23 settembre 1955».
1 Trasmesso agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.
IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 15897/1891. Bruxelles, 30 settembre 1955, ore 10,30 (perv. ore 11,30).
Oggetto: Riunioni.
Riunione 3 ottobre Comitato Direttivo2 ha carattere interlocutorio dato che nessuna Commissione ha terminato suoi lavori; unici elementi sostanziali di discussione saranno due note trasporti aerei (trasmesse con mio telespresso 90/98 del 26 corrente)3 e rapporto Sottocomitato poste e telecomunicazioni (mio telespresso 65/64 del 10 corrente)3 con aggiunte in corso redazione in riunione odierna.
Comitato Direttivo ascolterà inoltre breve relazione orale Presidente altra commissione; Di Nardi indicherà maggiori punti di controversie sussistenti in materia investimenti per offrire possibilità intervento a Delegato italiano.
Riunione a parere Segretariato dovrebbe avere termine entro pomeriggio lunedì4. Scambio di vedute confidenziali su procedura per confermare rapporto d’insieme avrà luogo a colazione offerta da Spaak ai soli sei Capi di Delegazione, senza inglesi né osservatori altri organismi.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.
2 Vedi D. 94.
3 Non rinvenuto.
4 Il 3 ottobre.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO
R. riservato personale 15361. Parigi, 30 settembre 1955.
Oggetto: Riunione di Garmisch.
Signor Ministro,
penso possa esserle di qualche interesse avere delle impressioni sulla riunione di Garmisch. Come è noto a V.E., trattasi di una specie di forum, dove tutti intervengono a titolo assolutamente privato: il suo interesse è rappresentato dalla tradizione, ormai stabilita, di una grande franchezza di espressione e di discussione.
1) Rapporti con la Russia.
L’atteggiamento degli americani è risultato un po’ dubbio ed esitante: da una parte essi continuano a ritenere che i cambiamenti della politica sovietica debbono essere considerati sopratutto come un cambiamento di tattica, dall’altra la maggior parte di loro sembrano ritenere che c’è qualche cosa che sta cambiando in profondità in tutto il sistema russo, per cui si può effettivamente pensare che, in un periodo più lontano, ci si possa trovare di fronte ad una Russia ben più comprensiva dell’attuale.
Il linguaggio che ho sentito, su questo argomento, mi ricorda stranamente – anche perché si tratta in parte delle stesse persone – il linguaggio che si teneva nel ʼ44 e nel ʼ45, quando gli americani cercavano di dimostrare, anche allora, che la Russia era cambiata o stava cambiando. Orientamento pericoloso perché – la sua conseguenza logica essendo che si deve fare il possibile per incoraggiare queste evoluzioni interne – esso può costituire un eccellente pretesto per gli americani per giustificare qualsiasi cedimento da posizioni già tenute per fermissime.
Per il momento, si insiste molto da parte americana sulla necessità di non cedere nulla d’essenziale: ma si insiste parimenti sull’opportunità di intensificare gli scambi di visite, in tutti i settori e sotto tutte le forme, sempre coll’idea di far breccia nella cortina di ferro.
Da parte inglese, si è insistito piuttosto sulla necessità di negoziare, senza scoraggiarsi, proponendo sempre nuove formule e mostrando sempre di prendere in seria considerazione qualsiasi proposta che venga presentata dai russi; e cercare di approfondire qualsiasi elemento costruttivo che ci si possa trovare.
Da qualche elemento laburista è stato accennato ad una curiosa linea di pensiero. Si è insistito sulla necessità di continuare a parlare della liberazione dei paesi satelliti, aggiungendo però che, ai fini di rendere la cosa accettabile, o per lo meno presentabile, ai russi, si dovrebbe dire loro che, contro libere elezioni nei paesi satelliti e loro sganciamento dal blocco comunista – è stato specificato che solo una liquidazione del regime comunista sarebbe da considerarsi come soddisfacente – saremmo disposti a prendere in considerazione lo sganciamento dell’Europa Occidentale dal N.A.T.O., e naturalmente l’abbandono delle basi americane.
Da parte tedesca si è sopratutto insistito perché le trattative tra Est ed Ovest non venissero fatte a spese della Germania.
In genere un ambiente di ottimismo un po’ eccessivo, secondo me.
Questo stesso generale ottimismo si è riflesso sulla questione della riunificazione della Germania. Mentre nessuno ha mostrato di credere ad un possibile successo immediato, si è generalmente avuta un’impressione di maggiore fiducia a più lunga scadenza.
2) Articolo 2 del N.A.T.O.
Da parte americana ci si è mostrati molto reticenti, per non dire negativi. Si è tenuto in ogni modo a dire, in maniera più che esplicita, che, se per approfondimento dell’art. 2 si intende – il che è poi la realtà – una maggiore larghezza di aiuti americani nel settore civile, allora non c’è assolutamente da sperarci.
C’è stato sull’argomento molto spreco di parole poiché, effettivamente, nemmeno i più spinti, i canadesi, quando si trattava di scendere dalle enunciazioni di principio ai fatti, avevano delle proposte concrete da fare.
Il pensiero della maggioranza sembrava piuttosto orientato nel senso di dire che era in fondo bene che il N.A.T.O. restasse quello che era, ossia un’organizzazione prevalentemente militare: che era certo bene che si continuasse a sviluppare la parte politica estera del N.A.T.O. stesso. Ma che, per quello che riguardava i problemi economici ed economico-sociali, era molto meglio servirsi per il loro sviluppo degli altri organismi esistenti, e specialmente dell’O.E.C.E.
3) Rilancio europeo.
Da parte americana si è tenuto a mettere in rilievo che l’interesse americano per l’integrazione europea non era affatto diminuito dopo il riarmo della Germania: se si taceva da parte di Washington, era sopratutto perché dopo l’esperienza della C.E.C.A. ci si chiedeva se delle prese di posizioni aperte da parte degli Stati Uniti avevano una buona od una cattiva influenza. La risposta europea è stata, in maggioranza, che un’azione diplomatica americana sarebbe stata sempre opportuna: quanto a manifestazioni pubbliche, sarebbe stato opportuno scegliere una forma adeguata. I tedeschi, da parte loro, hanno tenuto ad assicurare che sono europei come prima.
La discussione, mercato comune e agenzie specializzate, è stata riservata al settore europeo: gli americani sono stati generalmente a sentire, limitandosi ad osservare, a più riprese, che, a loro avviso, questa lotta fra vari sistemi minacciava di degenerare in posizioni ideologiche e che sarebbe stato molto meglio per l’Europa di avere, in questo campo, più realismo, più empirismo e meno ideologia.
Gli americani hanno risposto unanimemente coll’affermativa quando è stato chiesto loro se avrebbero accettato delle tariffe preferenziali intereuropee durante il periodo transitorio, necessariamente lungo, precedente il mercato comune.
Forse è stato sotto questa influenza americana che il dibattito si è orientato piuttosto nel senso che mercato comune e agenzie specializzate non si debbono escludere l’un l’altro: che il cammino verso il mercato comune è necessariamente lungo, difficile e lento: e che, in attesa, non bisognerebbe rifiutare delle agenzie speciali quando esse si manifestino utili e realizzabili.
Specialmente marcata è stata la tendenza generale ad insistere sulla necessità di procedere al più presto alla creazione di una agenzia per l’energia nucleare. Da parte americana è stata fatta un’esposizione interessante sulle complicazioni e sui costi di tutta l’attrezzatura nucleare, e sulla sciocchezza quindi dei paesi europei di voler procedere ognuno per conto proprio. È stata sottolineata la necessità di fare presto, prima che dei vested interests si siano cristallizzati intorno ai processi atomici.
Alcuni britannici ritengono che non sarebbe impossibile che anche l’Inghilterra aderisse a qualche forma di agenzia atomica.
In conversazioni private, essendo stata sollevata la questione di possibili difficoltà, dell’ultimo momento, da parte del Parlamento francese, è stata generale la conclusione che, nel campo economico e sopratutto nel campo nucleare, bisogna che si tenga presente anche la possibilità di andare avanti senza la Francia.
La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio.
Quaroni
1 Trasmesso da Quaroni a Grazzi con L. riservata personale 1537, pari data.
IL CAPO DELLA DELEGAZIONEPRESSO IL COMITATO INTERGOVERNATIVODI BRUXELLES, BENVENUTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 16168-16175/194-1951. Bruxelles, 4 ottobre 1955, ore19,45 (perv. ore 20,30)2.
Oggetto: Riunione Comitato Direttivo. Proposte di Spaak circa metodo lavori.
194. Ieri nel pomeriggio riunitosi Bruxelles Comitato Direttivo presieduto da Ministro Spaak. Corso riunione Presidenti quattro Commissioni e Presidente Sottocommissione trasporti aerei hanno fatto esposizione su lavori effettuati ed è stato quindi deciso che Comitato Direttivo terrà prossima riunione 7 novembre. Per trasporti aerei è stato approvato documento 271 (telespresso 90/88 del 26 settembre scorso)3 ed è stata lasciata facoltà sei Governi trasmettere o meno documento stesso a compagnie aeree. Dopo esposizione su documento 275 per sfruttamento itinerari intercontinentali (telespresso suddetto) Delegazione francese ha presentato memorandum su creazione Società europea costruzioni aeronautiche. Memorandum dovrà formare oggetto esame Sottocommissione e rendere necessaria per prossima riunione partecipazione altro nostro esperto per costruzioni aeronautiche. Ho fatto comunque presente che Risoluzione Messina non contemplava problema costruzioni aeronautiche. Per Commissione trasporti, energia nucleare, e Sottocommissione poste e telegrafi è stato preso atto lavori effettuati.
Presidente della Commissione energia classica in sua esposizione ha fatto presente se non venisse creato fondo investimento comune, dovrebbe crearsi fondo specifico per energia classica.
Ho rilevato che se non vi sarà fondo comune investimento non ci sarà mercato comune e quindi trattasi di problema differente da esaminare in altra sede. Inoltre Delegazione francese ha presentato nuovo memorandum in cui in sostanza pro-pone confidare Alta Autorità, assistita da Comitato consultivo speciale, fonteenergia.
Presidente mercato comune ha riferito su lavori effettuati sottolineando che esistono ancora divergenze particolarmente su taluni aspetti dei problemi: doganali, livello tariffe esterne, concorrenza, bilancio pagamenti, armonizzazione e distorsione. Ha riferito infine sui rapporti Sottocommissioni investimenti e problemi sociali.
195. Spaak in colloquio confidenziale con sei Capi delle Delegazioni ha fatto seguenti proposte circa metodo lavori che sono state accettate: tutti rapporti Commissioni e Sottocommissioni saranno presentati 15 ottobre; Comitato Direzione si riunirà ultima volta 7 novembre e anche tutti partecipanti potranno tale occasione esprimere critiche e suggerimenti su rapporti predetti. Dopo che Comitato Direzione si scioglierà e redazione rapporto finale verrà affidata a soli Capi delle Delegazioni sei paesi (accompagnati se richiesto da un collaboratore) i quali lavoreranno su avanprogetto che Spaak ha acconsentito preparare.
D’altra parte Spaak ha invitato Capi delle Delegazioni riunirsi ufficiosamente 19 e 20 ottobre per prendere visione rapporti Commissione nucleare energia classica, trasporti aerei onde iniziare preliminari scambi di idee circa rapporto finale tali materie.
Nel colloquio confidenziale di oggi, Gaillard a mia richiesta ha ammesso avere approntato nuovo documento su mercato comune, documento però che egli non poteva ancora presentare attendendone approvazione suo Ministero degli Affari Esteri. Gaillard si riserva distribuirlo quanto prima ma non per 15 corrente. Egli non ha voluto precisare contenuto documento ma ha detto esso rappresenterebbe primo impegno conclusivo in materia.
Osservo che maniera procedere francese è perlomeno anormale perché documento potrà essere esaminato solo in Comitato della cooperazione 7 novembre senza nessun preliminare esame da parte Comitato tecnico.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.
2 La prima parte del presente documento (T. 194), partita alle ore 19,45, pervenne alle ore 20,15, mentre la seconda (T. 195), partita alle ore 19,50, pervenne alle ore 20,30.
3 Non rivenuto.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato 1547/993. Parigi, 4 ottobre 1955.
Oggetto: Cooperazione atomica europea. Atteggiamento inglese.
Da fonte abitualmente bene informata risulterebbe che il Governo britannico avrebbe notificato al Signor Armand, Presidente del Sottocomitato per l’energia nucleare alla Conferenza di Bruxelles per l’integrazione europea, che l’Inghilterra non intenderebbe dare la propria adesione all’«Agence Atomique» europea, qualora venisse costituita, e contribuire al finanziamento di un programma comune europeo in campo atomico.
La decisione inglese (sulla quale, del resto, nessuno qui si è mai fatto illusioni) verrebbe giustificata col fatto che una stretta partecipazione inglese a un sistema europeo intralcerebbe la realizzazione dei piani, già da tempo preparati, per lo sviluppo dei risultati raggiunti dalla Gran Bretagna in campo nucleare, e specialmente dei piani tracciati in comune con il Canadà e l’Australia.
La notizia, sulla quale si fa riserva di sentire il Quai d’Orsay, non ha nulla di sensazionale e confermerebbe il punto di vista del Quai d’Orsay (sul quale si è riferito con telespresso ris. 1291/831 del 19 agosto u.s.)1 circa l’atteggiamento inglese in materia di cooperazione atomica europea.
Gli inglesi sono poco proclivi a legarsi a un programma comune di realizzazioni tecniche e industriali e di scambi di segreti tecnologici: l’unica forma di cooperazione che possono accettare è quella commerciale, che apra nuovi sbocchi ai prodotti dell’industria atomica inglese. D’altra parte, negli ambienti vicini ai ministri gollisti circola insistente la voce che Sir John Cockrost, nel suo recente viaggio in Germania Occidentale, avrebbe fatto concrete offerte ai tedeschi di reattori nucleari inglesi e avrebbe proposto un limitato scambio di informazioni circa gli sviluppi dei nuovi metodi tecnici adoperati per la reazione.
Si profilerebbe, quindi, una cooperazione anglo-tedesca per l’uso pacifico dell’energia atomica. Qui, tuttavia, non intendono drammatizzare. Si sa bene che l’Inghilterra non è disposta a sbilanciarsi in materia di scambio di segreti industriali in questo campo (Sir John Cockrost l’ha anche esplicitamente dichiarato a Ginevra), e certamente non comprometterebbe la propria superiorità tecnica e produttiva con inopportune rivelazioni alla Germania.
Le «avances» inglesi vengono piuttosto interpretate come l’espressione di una politica commerciale decisa, pur di raggiungere i suoi obbiettivi, ad orientarsi verso tutti i possibili acquirenti: oggi è la volta dei tedeschi; domani sarà la volta degli stessi francesi.
1 Vedi D. 75.
L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, BROSIO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. 14572/4072. Washington, 4 ottobre 1955.
Oggetto: Colloqui tra von Brentano e Governo americano.
Riferimento: Mio telegramma del 1° ottobre 19551.
Faccio seguito al mio telegramma citato per fornire a codesto Ministero ulteriori informazioni a completamento di quelle già inviate con il telegramma predetto sugli incontri tedesco-americani di Washington.
Dalle notizie raccolte da varie fonti, sia americane e sia tedesche, mi sembra di poter caratterizzare gli incontri in questione come degni di rilievo per l’impostazione avvenire dei rapporti di questo paese, e dell’intera N.A.T.O., con il Governo della Germania Occidentale. Né ciò deve stupire se si pensa che i colloqui avvenivano poche settimane dopo gli incontri di Mosca e in connessione con la preparazione di quella seconda riunione di Ginevra di cui nessuno più oggi si nasconde qui le asperità.
I documenti che ho già trasmesso a codesto Ministero indicano come il Governo americano abbia tenuto a sottolineare la solidificazione del rapporto tra la Germania di Bonn e le tre potenze occidentali, in relazione al riconoscimento del Governo di Pankow. Ciò facendo, il Segretario di Stato, nel venire incontro alle pressanti richieste di von Brentano, ha anche adottato una linea di azione del tutto consona con le intenzioni che mi risultano essere andate qui prendendo piede alla vigilia del nuovo difficile incontro di Ginevra: potenziare cioè al massimo il complesso atlantico e a eventuali nuovi allettamenti inconsistenti e al tentativo di perpetuamento dello «status quo» da parte dell’U.R.S.S. opporre un solido fronte che induca il Governo sovietico ad un «ripensamento» della propria linea politica. Per questo non deve essere stato difficile a Brentano ottenere la dichiarazione che è stata diramata per riconfermare gli impegni del dopoguerra assunti dalle quattro potenze, compresa 1’U.R.S.S., e per contestare la legittimità del riconoscimento di Pankow, come richiesto dalla Delegazione tedesca fin dall’inizio delle conversazioni di New York e di Washington.
Collegato con la questione del riconoscimento della Germania Occidentale, è subito emerso nelle conversazioni stesse anche il problema di Berlino. Brentano ha da parte sua illustrato i pericoli insiti nelle potenziali minacce delle autorità comuniste della Berlino Orientale, le quali, attraverso il controllo che esse possono esercitare sulle autostrade e sugli altri mezzi di comunicazione, potrebbero facilmente attuare un blocco parziale o completo della Berlino Occidentale. Sia da parte americana e sia da parte tedesca ci si è trovati di accordo nel riconoscere la estrema pericolosità di una simile situazione, in cui la Berlino dell’Ovest e gli occidentali potrebbero trovarsi costretti a dover discutere con il Governo di Pankow. Mosca potrebbe infatti artatamente lasciar libere le autorità di Berlino Est di perseguire una tattica ricattatoria, costringendo gli occidentali a un colloquio diretto con la Germania Orientale. Gli americani, secondo quanto ci è stato anche detto al Dipartimento, hanno fatto presente che le maggiori responsabilità incombevano ora al Governo di Bonn e ciò sia perché era, per quanto possibile, da evitarsi il sorgere di un qualsiasi incidente tra forze alleate e forze di polizia della Germania Orientale, e sia perché se il Governo di Pankow possedeva gran parte delle chiavi della città di Berlino, i tedeschi della Berlino Ovest erano fornitori di prodotti essenziali per la parte orientale della città e in quanto tali, in grado di esercitare concrete rappresaglie, perseguendo, se del caso, una guerra economica in miniatura contro la Berlino dell’Est. Secondo il Dipartimento di Stato, la gamma dei prodotti che la Berlino Ovest sta fornendo alla Berlino Est è tale e risponde a tali perentorie necessità del settore Est della città, che gli occidentali possono ancora contare su un notevole margine di manovra e di controblocco. Naturalmente, gli americani, nel raccomandare che fin d’adesso il Governo di Bonn e le autorità di Berlino Ovest si preparino alla eventualità di rappresaglie, ha anche assicurato che, nel caso sia necessario attuarle, il Governo americano si associerà a una simile azione, confidando che anche gli altri paesi alleati agiscano analogamente. Ciò che insomma è da prevedersi è che, se dalla parte Est si manifesterà qualche segno di intenzioni di iniziare una politica di blocco, dalla parte Ovest dovrebbe attuarsi subito qualche rappresaglia di controblocco ad indicare l’intenzione degli occidentali di non voler soggiacere ad alcuna minaccia. Secondo quanto dettoci dai tedeschi, Brentano avrebbe replicato da una parte rilevando che il Governo di Pankow verosimilmente non prenderà iniziative se non per pressioni e consigli di Mosca, e dall’altra assicurando comunque che il Governo di Bonn prenderà opportune precauzioni per il perseguimento di un’azione di controblocco che eventualmente si rendesse necessaria.
Come ho segnalato con il mio telegramma citato, si è anche parlato, tra americani e tedeschi, del problema della unificazione europea. Brentano si è riferito al crollo della C.E.D. come a un avvenimento che aveva profondamente turbato il Governo di Bonn, ma che comunque non era valso a distoglierlo da una politica intesa a favorire al massimo il processo di integrazione europea. Alla richiesta di Brentano volta a conoscere il pensiero americano, Dulles ha risposto esprimendo la soddisfazione del suo Governo per tale intenzione tedesca e manifestando l’intenzione di favorire al massimo tutte quelle manifestazioni che tale processo potessero facilitare. Ci è stato anche detto che da parte americana si è voluto marcare in particolare l’interesse al rilancio intrapreso nella Conferenza di Bruxelles, anche per contrapporre tale fermo desiderio americano a quella freddezza e avversione che risulta qui allignare nei circoli industriali tedeschi su tale tema, e in particolare nel settore dell’integrazione atomica.
I problemi dell’integrazione europea hanno dato facile gioco a Dulles per attaccare a fondo la questione del riarmo tedesco.
È questo l’argomento in cui, secondo i nostri informatori, si sono verificate le esortazioni più pressanti da parte americana e le più forti difese da parte tedesca.
Dulles ha chiesto a Brentano di avere assicurazioni che il riarmo della Germania Occidentale procederà senza ulteriore ritardo. Egli ha fatto presente che il riarmo della Germania è una necessità vitale per la N.A.T.O. e potrà costituire un utile contrappeso a quei conati di slittamento verso riduzioni delle spese militari che stanno ormai affiorando in vari paesi occidentali.
Il Segretario di Stato ha infine fatto rilevare a Brentano che solo attraverso una concreta azione di riarmo la Germania potrà partecipare in linea fattiva a quella organizzazione occidentale che costituisce per la Germania stessa l’unico «ambiente» in cui essa potrà adeguatamente potenziarsi e trovare in linea definitiva il suo «ubi consistam» politico.
Secondo i funzionari del Dipartimento, le insistenze di Dulles sono state motivate dalla ormai ricorrente constatazione che vi è da parte tedesca una tendenza al traccheggiamento in tema di riarmo e comunque una intenzione di impostare in bilancio somme considerate del tutto inadeguate. L’ammontare di 9 miliardi di marchi annuali corrisponderebbe infatti, secondo i calcoli qui effettuati, all’incirca a un 5% del reddito nazionale e quindi a una percentuale quasi irrisoria se si considera la ripresa economica e la situazione di benessere generale raggiunta dalla Germania Occidentale nel dopoguerra, tra l’altro a spese anche dell’Erario americano. In particolare si giudicano qui con severità le intransigenze del Ministro delle Finanze Schaeffer e l’opera corrosiva che egli svolge nell’ambito del Governo tedesco per evitare maggiori impegni finanziari. Si ha anche l’impressione che le esitazioni tedesche corrispondano in fondo alla solita politica del non pronunciarsi in attesa di conoscere, in via concreta, quale potrà essere l’integrale contributo americano. D’altro canto, il Governo americano non intende precisare l’ammontare complessivo dei propri contributi quali sono resi possibili dagli armamenti già accantonati e dalle impostazioni attuali di bilancio, se prima il Governo di Bonn non avrà chiaramente espresso le sue intenzioni. È su questo circolo vizioso che si sono imperniate le discussioni di questi giorni ed è a causa di esso che le esortazioni di Dulles sembrano avere avuto un particolare calore.
Per fare il bilancio di tali conversazioni, mi sembra si possano formulare i seguenti commenti:
1) le conversazioni sono apparse alla Delegazione tedesca abbastanza soddisfacenti, pur non avendo essa mancato di notare con un certo disappunto che Dulles ha posto maggiore insistenza e calore nel parlare della necessità del riarmo tedesco di quanto non abbia fatto in merito al problema della unificazione della Germania;
2) Brentano è certamente piaciuto agli americani per l’insistenza con cui egli si è richiamato in ogni momento alla necessità dell’unità e fermezza del mondo occidentale e con cui egli ha scetticamente parlato della campagna di pace sovietica;
3) si è avuto l’impressione, confermata anche dalle assicurazioni pubbliche che Brentano ha creduto di dare dopo il suo discorso al National Press Club (vedi mio telespresso odierno n. 14570/4070)2, che egli era uscito dai colloqui alquanto preoccupato per l’atteggiamento di fermezza adottato dagli americani nel chiedere un maggiore dinamismo in tema di riarmo.
Vorrei formulare ora alcune considerazioni a carattere conclusivo, in relazione anche allo scambio di idee avuto al Dipartimento di Stato in rapporto alla situazione determinatasi dopo l’incontro di Mosca. A parte quelli che possono essere stati i paludamenti dei comunicati stampa ufficiali o delle dichiarazioni dei «portavoce», sta di fatto che i tedeschi sono usciti da Mosca alquanto scossi e sotto il peso di un cedimento psicologico. È ormai convinzione generale qui che Bulganin e Krhushchev hanno usato nei confronti dei loro interlocutori, un trattamento di notevole durezza, lasciando chiaramente intendere, almeno fino all’ultim’ora, che il Governo sovietico non era disposto né a venire a patti, né ad accordare alcuna considerazione alle aspirazioni della Germania Occidentale verso l’unificazione, cercando invece di avvalorare nei tedeschi l’impressione che da parte del Cremlino si intendeva tutto sommato tenere un atteggiamento di distaccata indifferenza nei confronti della Germania di Bonn. È pur vero che gli incontri si sono risolti con la ripresa delle relazioni diplomatiche e che, in quanto tali, essi hanno potuto segnare un punto all’attivo del Cancelliere. È anche vero però che il tutto è avvenuto in un’atmosfera di isolamento antagonistico e che tali circostanze non hanno mancato di lasciare un’impronta sul Cancelliere e sul suo seguito. A discorrere con i funzionari del Dipartimento, si sarebbe indotti a pensare che i pericoli insiti in una ripresa di rapporti bilaterali tra Mosca e Bonn e nelle possibilità di «giri di waltzer» da parte della Germania Occidentale, non sono qui oggi più temuti. Dulles si è invece fatto forte della situazione intervenuta dopo Mosca per porre in rilievo con i tedeschi l’importanza che ha per la Germania di Bonn un dinamico, onesto e fattivo inserimento nel complesso della N.A.T.O. La riunificazione sarà ovviamente la bandiera per cui in via ufficiale le Delegazioni occidentali si batteranno a Ginevra, ma, essendo già scontato l’insuccesso di un’azione avente tale miraggio, gli americani cercano di prendere già le loro precauzioni ributtandosi su un potenziamento della N.A.T.O. Ciò è ormai apparso chiaro dalla cura con cui essi cercano ora di aumentare le informazioni e i contatti nell’ambito dell’Organizzazione atlantica e mi sembra anche confermato dalla vigoria con cui ci è stato detto che Dulles ha parlato ai tedeschi esortandoli alla più ferma associazione con la N.A.T.O. stessa. È questo un punto che mi è sembrato opportuno recare all’attenzione particolare di codesto Ministero perché esso mi sembra offrire la chiave dell’evolvere del pensiero americano nell’attuale congiuntura e dare anche qualche utile spunto per i contatti che potranno aversi a Bonn in occasione della prossima visita di S.E. il Ministro. Appunto in relazione a tale visita, non abbiamo mancato di richiedere agli americani di tenerci il più possibile informati dell’andamento dei problemi di interesse tedesco-americano per quei riflessi che essi potranno avere sui nostri rapporti con il Governo di Bonn e nell’ambito della N.A.T.O.
1 T. segreto 16047/679, con il quale Brosio aveva comunicato quanto appreso dal Dipartimento di Stato circa le conversazioni tedesco-americane.
2 Non pubblicato.
IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. segreto 16294/470. Lussemburgo, 6 ottobre 1955, ore 18,45 (perv. ore 19,40).
Oggetto: Incontro Faure-Adenauer.
Riassumo le informazioni che ho potuto avere sull’incontro Faure Adenauer:
a) Conferenza Ginevra. Piena identità di pensiero su:
1) completa sfiducia circa le intenzioni russe;
2) impossibilità di riunificazione della Germania (l’uscita della Germania dalla N.A.T.O. non sarebbe sufficiente all’U.R.S.S. che esigerebbe invece il completo smantellamento della N.A.T.O.);
3) l’inaccettabilità della creazione di zone smilitarizzate in Europa;
4) necessità di cautele per l’opinione pubblica ovunque propensa ad illusioni.
b) Viaggio Mosca. Adenauer ha felicitato Faure per l’aggiornamento del suo viaggio. Le impressioni di Adenauer sul suo soggiorno a Mosca sono:
1) insufficienza risultati esperienza sovietica (grave crisi in agricoltura);
2) ottusa albagia dei dirigenti sovietici che persistono nella convinzione del prossimo crollo dell’economia capitalistica.
c) Saar. Concordanti franco-tedeschi che 40% popolazione è a favore Statuto europeo, 40% contraria, 20% incerta. In reciproca sincerità intenti fare riuscire plebiscito si è voluto emanare un comunicato che, evitando le accuse di indebite interferenze, possa influenzare il predetto 20%. A tale scopo si sono fatte da parte francese notevoli concessioni sia in comunicato congiunto (garanzie per rispetto carattere e affinità popolazione saarrese) sia in dichiarazione unilaterale opportunamente concordata (relativa Trattato di pace).
d) Milizia internazionale per la Saar. Perdurando opposizione Adenauer, non si è raggiunto accordo.
e) Rilancio europeo. Adenauer ne ha nuovamente sottolineato la necessità; Faure ha ammesso di aver avuto nel passato qualche perplessità; ora egli però è pienamente convinto e disposto ad incoraggiarlo al massimo se resterà al potere.
Superfluo aggiungere che Faure è apparso estremamente preoccupato della situazione ed ha sinceramente ammesso di avere voluto incontro Lussemburgo per motivi politica interna. Ho avuto informazioni di cui sopra in parte da Bech in parte da partecipanti alle conversazioni.
L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. 13454/2060. Bonn, 6 ottobre 1955.
Oggetto: Visita a Bonn del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Affari Esteri.
Riferimento: Mio rapporto n. 13033/1973 del 28 settembre u.s.1.
Ho telegrafato in data odierna che da parte del Governo Federale sembra non vi siano difficoltà per il rinvio della visita di V.E. e del Presidente del Consiglio a data da concordare all’inizio di novembre.
In attesa della risposta definitiva informo che dai primi contatti avuti a livello uffici dell’Auswärtiges Amt è emerso quanto segue:
Il Governo Federale è lieto che l’invito rivolto al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri italiani sia stato accolto2. La loro venuta a Bonn permetterà al Cancelliere di prendere con gli uomini di Governo italiani quei contatti personali che nella sua opinione sono indispensabili per una migliore comprensione tra i popoli e per favorire l’apporto comune alla politica di intesa e di integrazione europea. Il Cancelliere infatti ha vivamente deprecato di non aver potuto recarsi a suo tempo a Messina e quindi anche per questo motivo vede nella visita la possibilità di riparare al mancato incontro di allora.
Il Governo Federale è anche lieto di poter cogliere l’occasione della visita per esprimere al Governo italiano e personalmente al Ministro Martino il proprio apprezzamento per la politica europeista svolta e in particolare per le sue recenti dichiarazioni, in sede di discussione del bilancio degli Affari Esteri, sul problema della riunificazione tedesca. Tale problema nonché quello della sicurezza dovrebbero formare oggetto di scambi di idee nell’incontro di Bonn.
Il Cancelliere si propone anche di intrattenere i Ministri italiani sulle proprie impressioni riportate da Mosca nonché esaminare la situazione quale si presenterà dopo la Conferenza di Ginevra.
In merito ad argomenti di carattere più propriamente bilaterale si hanno all’Auswärtiges Amt le seguenti idee di massima:
Accordo di amicizia, commercio e navigazione. Sulla base di quanto convenuto nel novembre 1954 a Monaco dai Direttori Generali Corrias e von Maltzan in seno alla Commissione mista governativa italo-tedesca, il Governo Federale ha ultimato in questi giorni la compilazione di un progetto di accordo di amicizia, commercio e navigazione. Detto progetto si basa sugli analoghi accordi italo-americano e tedesco-americano. Esso, a quanto mi è stato comunicato, regolerebbe anche alcune questioni di stabilimento. Secondo le idee dell’Auswärtiges Amt tale progetto di accordo potrebbe venire rimesso al Ministro degli Esteri italiano in occasione della sua presenza a Bonn, e di esso potrebbe venir fatta menzione nel comunicato finale della visita.
Questioni economiche. Si pensa che esse non dovrebbero formare oggetto di discussione tanto che, mi è stato detto, la Delegazione italiana potrebbe anche non comportare esperti economici. Rilevo a tale proposito che vi è invece da parte nostra interesse ad ottenere una presa di posizione politica che possa modificare a nostro favore l’atteggiamento che i Ministeri tecnici hanno da tempo assunto su varie questioni che a noi interessano, e che appare difficile orientare sul piano amministrativo verso soluzioni a noi favorevoli.
Scambi culturali. Si vorrebbe trarre motivo dalla visita per dare ad essi nuovo impulso e vigore. In particolare dovrebbe venire portato a termine il testo attualmente in fase finale di discussione per l’accordo culturale. Da parte nostra si potrebbe trarre occasione per avanzare le due proposte di cui al mio appunto relativo alle questioni culturali, trasmesso con telespresso n. 12898/1969 del 27 settembre u.s.3.
Stampa. Infine all’Auswärtiges Amt, dove ci si rende conto dello scarso rilievo che gli avvenimenti italiani e l’apporto italiano alla politica mondiale trovano nella stampa tedesca, si pensa che l’argomento dovrebbe far oggetto di scambio di idee, essendo il Governo Federale desideroso di fare quanto è in suo potere per migliorare la situazione in questo settore4.
1 Preparatorio della visita in argomento, con cui Grazzi aveva fornito chiarimenti e precisato gli scopi che la visita avrebbe dovuto avere nelle aspettative tedesche.
2 Vedi D. 80.
3 Con tale telespresso Grazzi aveva riassunto una serie di questioni generali e specifiche dei rapporti italo-tedeschi che avrebbero dovuto essere affrontate in occasione della visita. Per quel che concerneva le questioni culturali, in particolare, egli aveva tra l’altro suggerito di proporre al Governo tedesco la creazione di un Istituto tedesco di studi italiani e l’inserimento dell’insegnamento della lingua italiana nelle scuole medie.
4 Sulla visita a Bonn vedi DD. 113, 117 e 126.
IL CONSIGLIERE DELLA RAPPRESENTANZAPRESSO L’O.E.C.E., MACCOTTA,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 16389/300. Parigi, 7 ottobre 1955, ore 19,21 (perv. ore 21,55).
Oggetto: Gruppo lavoro Consiglio.
Mio 2981.
Nicolaides mi ha detto, nelle capitali sino ad ora visitate, il Gruppo del Consiglio per l’energia nucleare ha avuto riunioni delegazioni con i Rappresentanti qualificati dei rispettivi paesi, ottenendone ampie informazioni sui punti indicati nel memorandum trasmesso con telespresso 3055/1655 del 7 luglio scorso2.
Le informazioni così raccolte, pur non impegnando i Governi, sono tali da permettere al Gruppo di formarsi una visione sufficientemente esatta della politica dei paesi in materia energia nucleare. Inoltre, in ciascuna capitale il Gruppo è stato ricevuto, alla fine contatti, da un membro del Governo.
È sino ad ora impressione di Nicolaides che non manchino nel quadro dell’O.E.C.E. possibilità cooperazione effettiva nel settore dell’energia nucleare, senza che ciò interferisca con le iniziative in corso a Bruxelles, che hanno carattere ed ambito territoriale diversi.
D’altra parte, interlocutori svedese e svizzero hanno ribadito a Nicolaides che i loro Governi non sono disposti ad aderire a formule che nascessero da Bruxelles a causa «sottintesi sopranazionali» che, secondo loro, animerebbero quella Conferenza.
Circa data visita, Nicolaides propone, dati altri impegni, che Gruppo giunga a Roma lunedì 17 mattina ed abbia incontri con nostri rappresentanti nel pomeriggio ed in tutta giornata successiva. Pregasi telegrafare benestare3.
1 T. 16268/298 del 6 ottobre, con il quale Maccotta aveva informato che Nicolaides avrebbe iniziato da Roma l’avvio dei contatti con i paesi membri della C.E.C.A. ai fini della preparazione del rapporto da presentare al Consiglio per l’energia nucleare.
2 Non rinvenuto.
3 Cattani rispose (T. 10814/326 del 10 ottobre) comunicando che il Gruppo sarebbe stato ricevuto dal Comitato nazionale per le ricerche nucleari il giorno 19.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato 1620/1050. Parigi, 17 ottobre 1955.
Oggetto: Iniziativa di Jean Monnet per la costituzione di un Comitato per gli Stati Uniti d’Europa1. Stampa parigina. Reazioni negli ambienti politici francesi.
Monnet, si sa, non è uomo da rassegnarsi all’inazione; né, tanto meno, può ammettere che si costruisca l’Europa senza di lui o, come insinuano i suoi avversari, nonostante lui. Nessuna meraviglia, quindi, se mentre procede a Bruxelles lo studio dei vari problemi connessi alla realizzazione del programma di Messina, Monnet ritorna clamorosamente alla ribalta per mobilitare partiti e sindacati a favore di questo programma.
Tutti, anche i nemici di Monnet, riconoscono, però, che questa nuova iniziativa europeistica è di portata di gran lunga superiore a quelle intraprese dai vari movimenti che hanno finora, nobilmente ma sconsolatamente, perseguito il grande ideale. I partiti, i cui capi (seppure a titolo personale) hanno dato la loro adesione al nuovo Comitato di azione, hanno raccolto, si fa osservare, nelle ultime elezioni dei rispettivi paesi, la maggioranza dei seggi parlamentari e dei suffragi. I sindacati operai, i cui dirigenti partecipano alla costituzione del Comitato, contano un totale di 10 milioni di iscritti. Se il Comitato saprà assolvere il suo compito essenziale che è quello di realizzare l’unità di azione delle organizzazioni politiche e sindacali per il perseguimento degli obbiettivi europei, la forza di penetrazione della nuova iniziativa e la sua influenza sull’azione dei Governi interessati saranno notevoli.
Nell’impostare il programma per il nuovo Comitato, Monnet ha fatto tesoro, in certo senso, del fallimento della C.E.D.: per superare i contrasti che questa ultima aveva scatenato ed allargare la base delle adesioni, egli ha, realisticamente, posto l’accento sulle istanze economico-sociali dell’europeismo, eliminando «l’ipoteca militare» che gravò sul destino della C.E.D.
Il primo importante risultato di questo rinnovato programma europeo è l’adesione del partito socialdemocratico tedesco. «Per la prima volta gli amici di Ollenhauer accettano di partecipare con quelli di Adenauer ad un’iniziativa comune in materia di politica estera, osserva il “Monde”. È un fatto capitale per la Germania, che avrà delle ripercussioni fuori della Germania».
Anche in Francia l’accoglienza degli ambienti socialisti e, in genere, dei gruppi democratici di sinistra è stata assai favorevole e si riflette nei commenti piuttosto calorosi della stampa. «Populaire», «Franc-Tireur», «Combat» dedicano ampio spazio alla costituzione del Comitato, mettono in rilievo il valore dell’adesione socialista, illustrano i punti del piano Monnet (realizzazione per tappe graduali del programma di Messina con l’istituzione di una Comunità atomica europea e di un Mercato Comune europeo; attribuzione alla C.E.C.A. dei poteri necessari per lo sviluppo di un’azione sul piano sociale) che legittimano pienamente quest’adesione. In particolare, si fa notare come la collaborazione della S.F.I.O., del Partito socialdemocratico tedesco e dei sindacati socialisti elimina la prospettiva di un’«Europa clericale» che per il passato aveva suscitato la diffidenza di certi ambienti socialisti e radicali contro le iniziative europeistiche.
Il deciso orientamento a sinistra che Monnet ha seguito nella scelta del Comitato di azione dimostra, inoltre, che il nuovo movimento europeo sarà ispirato alle esigenze di una moderna politica sociale. «Il socialismo europeo è deciso a giocare un ruolo propulsivo nel rilancio dell’Europa», ha dichiarato Guy Mollet al «Monde», «Cedisti e anti-cedisti, commenta con entusiasmo “Franc-Tireur”, hanno ritrovato l’unità per costruire economicamente l’Europa e indirizzarla verso la democrazia sociale. Finalmente, unita nell’azione, la sinistra europea è chiamata a svolgere una funzione decisiva nella battaglia che si sta per sostenere per un vero rilancio dell’Europa».
Naturalmente, a commenti tanto «lirici» non si abbandona la stampa di destra la quale, in genere, non dà molto rilievo all’evento. Un violento attacco di «Information» rivela, peraltro, le apprensioni degli ambienti industriali e finanziari che sostengono il giornale e che, certo, non si sentono di condividere i nuovi progetti di Monnet. Tuttavia anche negli ambienti di destra si riconosce il maggior realismo su cui è impostato il nuovo programma europeo e l’importanza e il numero delle adesioni che ne dovrebbero assicurare il successo. Del nuovo spirito di concretezza che anima l’iniziativa è, del resto, prova, secondo alcuni giornali d’informazione, l’intenzione di Monnet di promuovere la stretta collaborazione con la Gran Bretagna per l’esecuzione dei nuovi piani d’integrazione europea.
In un interessante commento, Roger Massip si sofferma sul «Figaro» sulle ripercussioni favorevoli che il nuovo piano Monnet avrà per l’accettazione dello Statuto europeo nel referendum sarrese: «gli avversari dello Statuto europeo in Sarre, scrive Massip, affermano che l’idea europea è morta e che il regime proposto per il loro paese è già anacronistico. Il nuovo piano Monnet infliggerà loro una smentita tanto più netta in quanto, raccogliendo l’adesione dei socialisti e dei sindacati tedeschi, imprime un nuovo slancio al rilancio dell’Europa».
Tuttavia, di fronte all’euforia generale, negli stessi ambienti favorevoli ai programmi di integrazione europea si avanzano alcune riserve. Vi è, ad esempio, chi si domanda se la forza che al nuovo movimento si ritiene derivi dall’adesione di correnti fino a ieri in contrasto fra di loro, non costituirà, a lungo andare, la vera sua debolezza. La partecipazione di gruppi ed ambienti di netta tendenza neutralista, la stessa pubblicità che giornali come il «Monde» e «Combat» stanno dando all’iniziativa dimostrerebbero che le idee non sono sufficientemente chiare e che sotto la formula dell’europeismo si vorrebbe conciliare quello che politicamente appare inconciliabile. Di europeismo vi sono varie forme: vi è quello della terza forza e della «equidistanza», che dovrebbe servire da giustificazione al neutralismo; vi è quello filo-atlantico, che considera la costruzione dell’Europa in funzione della difesa comune contro il blocco comunista e della necessità di potenziare, ed anche valorizzare, 1’apporto dei paesi dell’Europa Occidentale a questa difesa. Si ha un bel dire che nel superamento della C.E.D. si può realizzare «l’union sacrée» degli europeisti; sta di fatto che la C.E.D. pose apertamente sul tappeto dei problemi (politici ed anche militari) che, se si vuol attuare seriamente l’unità europea, finiranno prima o poi col ripresentarsi e che peseranno sul destino della nuova organizzazione lanciata da Monnet. È possibile che Ollenhauer, deciso avversario del riarmo tedesco, vada sempre d’accordo con Guy Mollet, partigiano invece di questo riarmo, o che l’azione concreta di Monnet soddisfi i repubblicani popolari francesi e riscuota nello stesso tempo il consenso di quanti oggi, attraverso il giornale di Beuve-Méry, plaudono al nuovo europeismo? Il successo del piano Monnet rispetto ai precedenti tentativi europeistici sarebbe, dopo tutto, assicurato, secondo queste critiche, dal perpetuarsi di un equivoco: se l’equivoco viene chiarito, in un senso o nell’altro, sfuma l’entusiasmo di una buona parte degli aderenti e, quindi, il loro stesso appoggio.
Tali critiche vengono dai sostenitori del piano Monnet confutate con l’argomento che se l’idea centrale da realizzare è la costruzione dell’Europa, è per questa idea che si devono mobilitare le forze politiche e sindacali e risvegliare l’opinione pubblica. Tutti sono d’accordo che l’integrazione europea deve attuarsi per tappe graduali e che la tappa meno difficile è quella economica, specie per quanto riguarda un’organizzazione comune in campo nucleare. Non si può rinunciare a perseguire assieme il programma minimo solo perché vi sarebbero dissensi nella realizzazione, ancora purtroppo lontana, del programma massimo. Preoccuparsi sin d’ora della funzione che l’Europa unificata dovrebbe avere nei confronti delle relazioni fra Est e Ovest significa frapporre degli ostacoli non necessari allo stesso processo iniziale di unificazione.
A parte queste polemiche che dimostrano, in ogni caso, la vitalità dell’idea e l’interesse che il nuovo programma ha destato in questi ambienti, è generale l’opinione che un successo del piano Monnet avrebbe notevoli ripercussioni sullo scacchiere politico francese e sulle relazioni fra i vari partiti. Si comincia già a prospettare la possibilità che attraverso il sistema degli apparentamenti, venga a costituirsi con le prossime elezioni una vera e propria «maggioranza europea», che raggruppi tutte le forze politiche che aderiscono all’iniziativa Monnet e sia capace di fronteggiare stabilmente in Parlamento l’opposizione comunista e nazionalista. Le previsioni si spingono al punto da attribuire a Christian Pineau più «chances» di quanto non ne ebbe nello scorso febbraio per la formazione di un Gabinetto «europeista», da lui presieduto e sostenuto da quella maggioranza.
Si tratta di ipotesi azzardate o di aspirazioni ambiziose, ancora non giustificate dalla realtà, e contro le quali sarebbe, comunque, facile obbiettare che l’eventuale maggioranza europea, risultante dall’unione di gruppi che concepiscono l’europeismo in maniera differente, sarebbe altrettanto eterogenea quanto qualsiasi maggioranza attuale e non sfuggirebbe, pertanto, ai contrasti interni e alla corrosione del «trasformismo» di moda.
Una conseguenza immediata del successo del piano Monnet potrebbe essere, invece, l’isolamento del partito comunista e il fallimento definitivo dei tentativi in corso (specie per opera della sinistra radicale) per la ricostruzione di un fronte popolare. Vi sarebbe sempre l’incognita, davanti a un’alleanza elettorale sottoscritta dal Comitato centrale della S.F.I.O. con gli altri partiti europeistici, dell’atteggiamento delle Federazioni provinciali socialiste in cui, come si è già segnalato, si nota da tempo una certa tendenza, alimentata dal cosiddetto «spirito di Ginevra», a apparentarsi con i comunisti. Comunque, il pericolo dell’isolamento per questi ultimi esiste, tanto è vero che la loro stampa («Humanité» e «Libération») l’ha subito avvertito, criticando aspramente sotto questo profilo il piano Monnet. Per «Humanité», infatti, «con la nuova iniziativa si tratta, in sostanza, di risuscitare sotto la bandiera degli Stati Uniti d’Europa gli apparentamenti per le prossime elezioni. Si tratta, innanzi tutto, di rinsaldare l’alleanza tra il partito socialista e l’M.R.P., partito tipico della reazione, cioè di lanciare un uomo come Pinay, che sarebbe anche lui un apparentato».
È da domandarsi quali sono state le reazioni degli ambienti ufficiali e fino a che punto il programma di Monnet può conciliarsi con le direttive finora seguite dalla politica francese in materia di integrazione economica europea. Per quanto concerne il Mercato Comune si sa che queste direttive, con tutta la buona volontà che la Francia vuol dimostrare a Bruxelles, sono condizionate ad ostacoli di natura obbiettiva (diversità di «strutture» produttive, di sistemi fiscali e sociali) che non possono purtroppo superarsi immediatamente. Per quanto concerne la cooperazione atomica che, secondo il programma di Monnet (confermato, del resto, dalle dichiarazioni di Monnet al «Monde»), dovrebbe essere il primo obbiettivo da raggiungere, la Francia, in conformità ai criteri fissati da Palewski e dal Commissariato per l’energia atomica, ha sostenuto finora la tesi dell’autonomia dei singoli programmi nazionali e della costituzione di una «Agence» atomica europea, con poteri limitati alla realizzazione di programmi sperimentali e industriali comuni ed all’acquisto ed alla distribuzione delle materie prime.
Per contro Monnet (chi non lo sa?) è per un’organizzazione superstatale che assuma il controllo e la direzione di tutte le iniziative del settore economico in cui si effettua la cooperazione; nella sua lettera-programma, inviata ai Capi di partito ed ai sindacati, egli accenna espressamente, del resto, alla necessità che gli Stati deleghino certi loro poteri ad appropriate «istituzioni federali». Per accettare i criteri sostenuti da Monnet, il Governo francese dovrebbe, quindi, rivedere l’impostazione data finora alla sua politica di cooperazione atomica, così come è stata presentata a Bruxelles. Non è forse una mera coincidenza che Monnet, per lanciare il suo programma per la comunità atomica europea, abbia aspettato le dimissioni di Palewski e degli altri Ministri gollisti che, nel Gabinetto francese, costituivano il principale ostacolo alla realizzazione dei piani di «europeismo integrale». Dato che il nuovo Ministro che si occuperà delle questioni atomiche non è stato ancora designato (si parla di July, ma la conferma non è ancora avvenuta) e dato, anzi, che il pericolo di crisi dell’intero Governo non è stato ancora scongiurato, una previsione non è ancora possibile circa la tesi (favorevole o contraria all’autorità superstatale) che prevarrà con il successore di Palewski. Non v’è dubbio, in ogni caso, che il settore atomico sarebbe sottoposto ad un’«Agence» specializzata poiché tutti, René Mayer per primo, sono d’accordo che in tale settore un’estensione dei poteri della C.E.C.A. non è da prendere neanche in considerazione.
All’ufficio competente del Quai parlano con simpatia dell’iniziativa Monnet. La parola d’ordine del Quai è oggi: «collaborazione sincera alla realizzazione del programma di Messina, graduale europeismo»; due punti che, nella loro enunciazione generica, coincidono con le direttive tracciate da Monnet al suo Comitato di azione (è noto che Pinay tiene ad attribuirsi il merito del «rilancio dell’Europa» su basi più realistiche, e che peraltro sta attraversando un periodo di perfetto idillio coi Ministri e i dirigenti dell’M.R.P.).
Ma il programma di Messina può attuarsi in forme diverse e si sa che, per quanto concerne l’elaborazione di piani precisi che definiscano, tra l’altro, i programmi comuni da realizzare e i poteri dell’«Agence» atomica, l’influenza che esercita il Quai è molto relativa: finora esso si è limitato a dare un crisma formale e un colorito europeistico ai progetti elaborati dall’Alto Commissariato e presentati da Palewski al Gabinetto.
Sarebbe interessante sentire, perciò, le reazioni del Commissariato all’iniziativa di Monnet; e, al riguardo, mi riservo di riferire in un prossimo telespresso2.
1 Dopo aver lasciato la presidenza dell’Alta Autorità della C.E.C.A., tra il luglio e l’ottobre del 1955, Jean Monnet aveva dato avvio all’iniziativa destinata a creare il Comitato d’Azione per gli Stati Uniti d’Europa, un gruppo di pressione composto da uomini politici, sindacalisti, ecc. di vari paesi europei.
2 Vedi D. 104.
IL CAPO DELL’UFFICIO IVDELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE
Telespr. 44/157351. Roma, 22 ottobre 1955.
Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.
COMMISSIONE MERCATO COMUNE
Circa i lavori della Commissione per il Mercato Comune la Delegazione italiana al Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina ha riferito in data 23 settembre quanto segue:
«Si trasmette per opportuna conoscenza, il documento di lavoro n. 264 in merito ai problemi relativi al mantenimento dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti per i paesi partecipanti al Mercato Comune.
Il documento suddetto è stato redatto sulla base delle prime discussioni intervenute e deve formare oggetto di ulteriore esame, inoltre dovrà essere emendato in alcuni punti che non rispecchiano esattamente la posizione assunta da alcune Delegazioni nel corso delle riunioni.
La Commissione ha riconosciuto che l’equilibrio della bilancia dei pagamenti dei paesi partecipanti è condizione essenziale per la creazione e la conservazione del Mercato Comune, ma che potrebbero sorgere delle difficoltà per il mantenimento dell’equilibrio stesso, sia in conseguenza della creazione del Mercato Comune, sia a causa delle modifiche delle correnti di scambio che potrebbero sopravvenire nelle relazioni economiche con i paesi terzi. Pertanto i paesi partecipanti al Mercato Comune, pur adottando, come principio generale, l’obbligo di praticare una politica intesa a mantenere l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, dovranno, ad avviso della Commissione, approfondire quali siano i mezzi mediante i quali sia possibile mantenere l’equilibrio. Ciò comporta lo studio della tecnica monetaria e finanziaria da seguire e delle istituzioni che dovranno presiedere al coordinamento ed all’adozione dei mezzi d’armonizzazione che verranno ritenuti necessari.
Il documento di cui trattasi, a pag. 3, punto 5, non sottolinea sufficientemente l’atteggiamento di alcune Delegazioni in merito alla “irreversibilità del Mercato Comune” una volta che questo sia stato raggiunto. Infatti mentre la Delegazione belga ha fermamente sostenuto tale principio, altre Delegazioni fra cui la nostra, si sono mostrate assai perplesse circa l’adozione del principio dell’irreversibilità e non hanno escluso la possibilità, una volta raggiunto il Mercato Comune, di dover nuovamente ricorrere, nel quadro dei sistemi di salvaguardia, alle restrizioni quantitative. D’altra parte tale punto è stato più ampiamente discusso durante l’esame delle clausole di salvaguardia per cui riferisco con telespresso a parte.
Il primo mezzo a cui uno Stato potrebbe ricorrere per eliminare il proprio squilibrio della bilancia dei pagamenti sarebbe quello dell’aggiustamento del tasso di cambio. Ma ciò comporterebbe una svalutazione, le cui conseguenze non sono facilmente prevedibili e potrebbero comportare un grave perturbamento non solo nello Stato colpito dallo squilibrio ma anche negli altri Stati associati. Pertanto, pur non escludendo che si possa in taluni casi, ricorrere a tale drastico mezzo, occorrerà, possibilmente, agire attraverso altri interventi come: nella politica del credito, nella politica dei salari, o mediante mezzi fiscali. Inoltre la Commissione ha riconosciuto il principio che gli Stati associati dovranno dare il loro concorso allo Stato che si trova in difficoltà e ciò potrà venire mediante:
a) crediti a breve termine;
b) aumento delle importazioni;
c) intervento del Fondo d’investimenti.
Tutto ciò presuppone però la creazione di un meccanismo di armonizzazione pienamente efficace, e che preveda le difficoltà che possano sorgere e, nello stesso tempo, assicurare la possibilità di adottare i mezzi necessari ad eliminarle.
Quasi tutte le Delegazioni hanno messo l’accento sulla necessità di un tale meccanismo. Secondo un primo scambio di idee, esso dovrebbe essere così costituito: un “organo di carattere permanente” con alle sue dipendenze un “comitato consultivo”, composto di funzionari competenti, un “comitato dei Governatori delle banche centrali degli Stati associati” ed un “comitato ministeriale”.
Tale organo dovrebbe procedere ad un esame continuativo della situazione monetaria degli Stati partecipanti ed avrebbe il potere di rivolgere raccomandazioni agli Stati stessi ed, in taluni casi, di prendere decisioni obbligatorie. Circa quest’ultima facoltà alcuni esperti hanno già formulato delle riserve. È evidente, comunque, che tale soluzione “istituzionale” andrà riveduta alla luce delle risultanze finali dei lavori, definita in maniera unitaria e complessiva.
Si fa infine presente che il Segretariato, nel redigere il rapporto, non ha fatto cenno alla posizione assunta da alcune Delegazioni in merito al mantenimento dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti nel periodo transitorio e come per alcuni Stati possa essere necessario, prima di arrivare al Mercato Comune, ricorrere a particolari clausole di salvaguardia quando la loro situazione economica faccia prevedere difficile, se non impossibile, il raggiungimento dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti».
E in data 26 settembre quanto segue:
«I giorni 20 e 21 settembre, la Commissione ha affrontato il problema delle configurazione da dare all’istituto della salvaguardia. Tale istituto sorge dalla previsione che non sarà sempre possibile che le riduzioni graduali delle difese della produzione, richieste dalla formazione del mercato comune, possano riprodurre quei meccanismi di adeguamento spontaneo, come pure che l’azione condotta per una contemporanea armonizzazione e reciproca coordinazione delle varie economie possa essere sempre sufficiente.
L’opinione prevalente della Commissione è stata che un tale istituto doveva essere considerato nel quadro e in funzione dell’azione di armonizzazione delle economie e che perciò il ricorso ad esso doveva essere temporaneo ed eccezionale ed essere riservato quindi a quei soli casi per i quali tale azione si fosse rivelata inadeguata. Inoltre che il ricorso alla deroga poteva essere ammesso non solo per rimediare ma anche per prevenire degli squilibri come pure per permettere di correggere (specie all’inizio del processo di formazione del mercato comune) situazioni difficili preesistenti.
Si sono distinti, poi, i casi, in cui un paese può essere costretto ad invocare una deroga, in quelli di carattere particolare, riguardanti un settore produttivo od una regione ed in quelli di carattere generale attinenti alla bilancia di pagamenti ed inoltre se tali casi si producono nel periodo transitorio della formazione, cioè, dell’unione doganale od in quello in cui l’unione è già formata.
a) Per quanto riguarda gli squilibri produttivi in un settore o in una regione si è ammesso che, nel periodo transitorio, si poteva fare ricorso alla clausola di salvaguardia che permettesse di sospendere il processo di riduzione sia dei dazi che dei contingenti. Però, mentre da parte olandese, tedesca e belga si è accettato solo il principio della sospensione della riduzione dei dazi dei contingenti, da parte italiana, invece, si è fatto presente che, per casi gravi, non si poteva escludere anche la necessità della reintroduzione delle restrizioni quantitative qualora queste fossero state, in precedenza, eliminate.
Per il periodo definitivo, la maggioranza delle Delegazioni si è dimostrata della convinzione che non era più concepibile a quello stadio un ricorso a tale clausola la quale comportava la reintroduzione di dazi e di contingenti già scomparsi.
Se una tale eventualità fosse permessa, il mercato comune già formato ne risulterebbe pregiudicato. Interventi per proteggere un dato settore od una data regione potevano essere necessari ma questi avrebbero dovuto essere realizzati adottando, mediante un’azione solidale dei paesi partecipanti, altre misure.
Da parte della Delegazione italiana si è dichiarato che, pur condividendo lo spirito che animava le altre Delegazioni, la reintroduzione di restrizioni quantitative poteva, a suo giudizio, rivelarsi necessaria qualora, esperite tutte le altre formule di collaborazione, queste non avessero potuto dare il risultato preconizzato.
b) Per quanto riguarda gli squilibri della bilancia dei pagamenti di un paese partecipante, gli esperti belgi e tedeschi ritengono che questi devono essere affrontati dall’azione congiunta di tutti i paesi formanti il mercato comune, nel quadro del processo di armonizzazione economica e finanziaria che dovrà essere condotta a tale scopo. Tuttavia essi, insieme a quelli delle altre Delegazioni, ammettono che, nel periodo transitorio, un paese possa, in casi gravi, mantenere o reintrodurre per un periodo di tempo limitato restrizioni quantitative per le importazioni provenienti dai paesi della comunità.
Per il periodo definitivo, invece, i belgi e i tedeschi escludono che per fronteggiare uno squilibrio nella bilancia dei pagamenti di un paese si debba far ricorso alla reintroduzione nel commercio fra i paesi partecipanti sia dei dazi che dei contingenti, dato che questi non farebbero che interrompere lo sviluppo della integrazione delle economie dei sei paesi. L’azione congiunta e solidale nei riguardi del paese che attraversa una congiuntura meno favorevole sembra il mezzo più appropriato.
Gli esperti italiani e olandesi invece, non escludono che in casi gravi di deficit crescenti della bilancia dei pagamenti si possa determinare la necessità di fare ricorso alla clausola di salvaguardia per poter reintrodurre provvisoriamente delle restrizioni quantitative.
Riassumendo: l’opinione generale si è rivelata favorevole a che prima di far ricorso alle deroghe consentite dalle clausole di salvaguardia si debbano esperire tutti gli altri mezzi che la solidarietà fra i paesi della futura comunità può offrire.
La divergenza consiste nel fatto che da parte di qualche Delegazione si tiene a non impedire che nei casi più gravi si possa far ricorso alla reintroduzione di restrizioni quantitative (Delegazione italiana ed olandese nel caso di squilibrio della bilancia di pagamenti; Delegazione italiana, nel caso di una regione o di un settore da riequilibrare) qualora non si siano raggiunti risultati soddisfacenti nell’esperire gli altri mezzi di collaborazione. Naturalmente la reintroduzione delle restrizioni quantitative è legata all’osservanza della procedura che verrà stabilita nella deroga.
Per evitare che di un tale istituto venga fatto un uso eccessivo ed improprio, la Commissione si è dichiarata d’accordo che il futuro trattato doveva indicare i limiti che avrebbero dovuto essere rispettati dai paesi partecipanti. Essi si possono così riassumere:
1) esistenza o minaccia di danni fondamentali e persistenti;
2) obbligo da parte del paese interessato di presentare un piano in cui devono essere indicate le misure che intende prendere per correggere le cause che hanno motivato la deroga richiesta;
3) approvazione da parte degli altri paesi della deroga;
4) fissazione del limite di tempo per cui la deroga è concessa».
Il 23 settembre è stato pubblicato il documento n. 276 che reca alcune proposte di emendamento al documento 245 relativo al problema delle distorsioni.
Nella riunione del 29 settembre si è discusso in seno alla Commissione per il mercato comune il problema istituzionale. Alcuni Delegati hanno premesso di esprimersi a titolo personale: ciò che era quanto mai vero nel caso del Delegato italiano e probabilmente di quello francese, quasi certamente no nel caso degli altri i quali hanno pronunciato elaborati interventi.
In merito la Delegazione italiana in data 30 settembre ha riferito quanto segue:
«Un primo elemento emerso dalla discussione è che quasi nessuno ama affidare decisioni in materia di mercato comune a maggioranze semplici o qualificate, salvo in casi procedurali e comunque ben specificati. In difetto di autorità sopranazionale le preferenze vanno all’unanimità o, come per il Benelux, a una combinazione delle due. Anche i metodi giurisdizionali, come il ricorso all’arbitrato, hanno i loro fautori per casi particolari.
I Delegati del Benelux hanno con varie graduazioni tentato di conciliare il mantenimento di sovranità nazionali in certi campi con instaurazione di organi sopranazionali in altri. Quanto al Delegato italiano egli ha delineato a titolo strettamente personale un sistema che movendo da quello classico tipo O.E.C.E. introduce fra Consiglio di Ministri e complesso Segretariato-Comitati un organo collegiale permanente formato da poche alte personalità indipendenti, con funzioni di conciliazione, propulsione, consiglio ed eventualmente arbitrato: ad esso man mano andrebbero delegati più vasti poteri, anche di decisione. Tale concezione, non lontana da quella esposta dall’Ambasciatore Cavalletti nel suo rapporto del 9 agosto2, è risultata corrispondente quasi in tutto alla tesi formulata con ricchezza di particolari dal Delegato tedesco.
Questa tesi per così dire italo-tedesca è stata accolta con vivo interesse dai francesi, con simpatia dagli inglesi, con riserbo dal Benelux, con disappunto dai rappresentanti dell’Alta Autorità. Si suggerisce che essa formi oggetto di attento studio nella versione tedesca della quale sarà rimesso un largo sunto, e che mi sembra possa ad un certo momento fornire un terreno di incontro, se si deciderà di lasciare alla forza stessa delle cose di imporre col tempo alle opinioni pubbliche e parlamentari l’inevitabile passaggio a forme sopranazionali; e altresì avere il vantaggio di non fornire agli inglesi un troppo facile pretesto ideologico per motivare il loro rifiuto di partecipare alla costruzione europea».
La posizione assunta dalle varie Delegazioni in materia istituzionale è stata raccolta ed illustrata nel documento n. 313 pubblicato il 7 ottobre 1955.
Sempre in materia di mercato comune la Delegazione italiana ha riferito in data 24 settembre che secondo informazioni raccolte nell’ambiente della Conferenza, alcuni alti funzionari francesi hanno predisposto un «progetto di istruzioni» nel quale vengono fissati, per le principali questioni, il limite massimo cui il Governo francese ritiene di potersi spingere e ciò che esso intenderebbe assicurarsi per dare la sua adesione eventuale al trattato per il mercato comune.
Alcuni aspetti di tale progetto non sarebbero nemmeno troppo restrittivi; i francesi accetterebbero per esempio il sistema tedesco (già Pflimlin) di riduzioni tariffarie per settori purché i settori fossero numerosi. Le richieste francesi in materia di armonizzazione delle politiche monetarie e sociali sarebbero invece più rigide.
Il progetto costituirebbe comunque un insieme unitario e verrebbe presentato come base organica di discussione.
In un rapporto del 30 settembre la Delegazione ha riferito che:
«Il Delegato francese ha confermato al Dott. Di Falco di sperare che il progetto di cui sopra, già approvato di massima da Pflimlin, sia sottoposto da Pinay al Consiglio dei Ministri entro la prima metà di ottobre. Qualora ciò avvenisse la posizione francese sarà esposta da Gaillard al Comitato Direttivo il 21 ottobre. Tesi fondamentale del documento è che, pur ammettendo la opportunità di un piano generico per la realizzazione progressiva del mercato comune entro il periodo di tempo prestabilito in linea di massima, sarebbe irreale ed astratto fare delle previsioni precise sul ritmo di attuazione dall’inizio sino alla fine delle diverse misure richieste. Più realistico dal punto di vista tecnico economico e più presentabile all’opinione pubblica ed ad ogni particolare sarebbe un programma basato sull’impegno di applicare certe misure nei diversi settori per singole tappe di durata limitata, ad esempio tre o quattro anni; tale programma essendo suscettibile di revisione e riaggiustamento nelle tappe successive sulla base dell’esperienza fatta. I francesi sostengono che è nell’interesse comune di mettere in moto un processo e in piedi un’organizzazione che non abbia rigide caratteristiche per lunghi periodi, ma siano dotati di adeguata elasticità per adattarsi alle contingenze economiche e politiche.
Altra tesi fondamentale è che l’armonizzazione delle politiche economiche e sopratutto di quelle sociali debba costituire fin dall’inizio un elemento essenziale del processo di attuazione del mercato comune.
Questa è la formula di cui i francesi attualmente si servono per sfuggire all’accusa di voler imporre condizioni preliminari. L’accordo in materia di salari, sicurezza sociale ecc. dovrebbe cioè essere parte integrante del trattato sul mercato comune con applicazione progressiva sin dall’inizio».
La Commissione del mercato comune ha finito i suoi lavori il 13 ottobre. Il rapporto finale è stato approvato senza tuttavia che vi sia stata una accurata revisione ed un ulteriore approfondimento dei problemi in esso contenuti.
Si rimettono per i Dicasteri più direttamente interessati le copie dei documenti citati più sopra e si fa riserva di rimettere, non appena possibile, copia del rapporto finale.
1 Trasmesso agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.
2 Non rinvenuto.
IL CAPO DELL’UFFICIO IVDELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE
Telespr. 44/171051. Roma, 17 novembre 1955.
Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.
MERCATO COMUNE
Si trascrive per opportuna conoscenza ed informazione quanto ha riferito in data 9 novembre il Presidente della Delegazione italiana presso il Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina, On. Lodovico Benvenuti, circa l’argomento in oggetto:
«In un breve amichevole colloquio ho illustrato a Spaak i punti fondamentali sui quali l’Italia intende battersi in tema di Mercato Comune. Devo dire subito che le reazioni del mio interlocutore sono state in complesso positive.
Ho premesso che la nuova proposta Spaak-Uri relativa al metodo delle riduzioni tariffarie ha trovato in linea di massima favorevole accoglienza da parte dei nostri tecnici; ho aggiunto che l’Italia sarà sempre attivamente “collaborativa” per realizzare il rispetto integrale delle norme di concorrenza; che anche il problema delle tariffe esterne ci trovava disposti a soluzioni ragionevoli.
Ho rilevato anche che i tre punti del memorandum francese relativi alle convenzioni di lavoro presentavano delle difficoltà ma che essi non avrebbero tuttavia costituito per noi dei punti di “rottura” salvo ad evitare artificiosi aumenti dei costi di produzione.
Ho spiegato infine che in materia agricola, da trattarsi nel quadro del Mercato Comune e non separatamente, taluni aiuti e protezioni avrebbero necessariamente dovuto essere mantenuti e ciò per un periodo da determinarsi sulla base dell’esperienza di alcuni anni.
A questa prima parte del mio esposto Spaak rispose:
a) mostrando una certa propensione a non abbattere le tariffe esterne sostenendo, in polemica con gli olandesi, che la caduta dei costi interni come conseguenza dell’applicazione del Mercato Comune, avrebbe consentito senza inconvenienti una tariffa esterna relativamente alta;
b) che le questioni “sociali” impostate dai francesi col problema delle distorsioni non lo persuadevano interamente e che egli già aveva fatto presente il diritto di altri paesi a presentare a loro volta in compensazione le loro eventuali distorsioni (per esempio: imponibili di mano d’opera ecc.), e che per quanto concerne l’agricoltura gli pareva giusta la nostra esigenza di non enucleare il settore dal Mercato Comune e quindi dal gioco delle contropartite.
Dopo di che Spaak mi ha invitato a esporre i punti più “duri”, alcuni dei quali – feci presente – sono per noi “punti di rottura”.
Ossia:
a) Coordinazione monetaria e creditizia. Su di essa Spaak si è detto d’accordo aggiungendo che sarebbe stato bene se nel frattempo i paesi rispettassero l’accordo di Bretton Wood, richiamando al riguardo il caso della sterlina. Ho risposto che l’autonomia, anzi l’autarchia in materia monetaria potrebbe avere conseguenze in ben altra direzione nel corso del processo di creazione del Mercato Comune. Su questo argomento Spaak si è riservato di inviarci un ulteriore documento.
b) Emigrazione. Spaak è rimasto impressionato dalla cifra modesta (20.000 unità all’anno) della nostra emigrazione stabile in Europa. Si è dichiarato d’accordo sull’aumento sin dall’inizio del decennio per due ordini di ragioni. Anzitutto per il fatto che non si tratta di cifre favolose ed in secondo luogo per il motivo che il Piano Vanoni prevede un andamento demografico nel decennio che, verso la fine, renderà meno acuto il nostro problema della mano d’opera. Ha però aggiunto che, a suo avviso, l’ostacolo per una immediata, massiccia immigrazione italiana risiedeva nell’effetto depressivo che essa avrebbe potuto esercitare sui salari con vantaggio del padronato, effetto peraltro attenuato dall’azione dei sindacati e dalle convenzioni collettive. Secondo Spaak – per tranquillizzare i sindacati dei paesi di immigrazione – occorrerebbero delle clausole di salvaguardia operanti solo nel caso di “troubles” ribassisti sui salari. Ho replicato che la questione può essere studiata, restando in ogni caso escluse eventuali clausole di salvaguardia che contemplassero il diritto di respingere in patria i lavoratori già regolarmente emigrati.
c) Abolizione delle restrizioni quantitative. Ho dichiarato che era assolutamente impensabile che l’Italia potesse anche solo ritoccare le sue tariffe all’inizio del processo di integrazione se contemporaneamente non si fosse proceduto ad una ulteriore e concreta tappa di “liberazione” dei contingenti. Riprendendo la discussione della sera prima ho mostrato al mio interlocutore le tabelle dell’O.E.C.E. riguardanti il commercio di Stato (Francia 34%) ed ho ricordato che un progetto serio di liberazione graduale avrebbe “ab initio” dovuto considerare come contingentate le merci sottoposte al commercio di Stato. Spaak ha aderito in linea di principio, richiamando in materia la proposta Uri di allargamento dei contingenti.
d) Zone depresse e piano di sviluppo. Ho infine sollevato in pieno il problema particolare dell’Italia, delle sue zone depresse e del piano di sviluppo. È questo il punto sul quale il consenso di Spaak è stato particolarmente caloroso e senza riserve. Ho fatto presente che l’Italia intende affrontare la rinascita del Mezzogiorno depresso senza ricorrere al tipico mezzo tecnico d’altri tempi, ossia alla protezione; che non solo essa non chiede protezioni per l’incipiente industrializzazione meridionale, ma che anzi è disposta ad abbassare le sue tariffe. Ho ricordato che la più sicura e necessaria conseguenza dell’industrializzazione e di una politica anti-depressione consiste nell’aumento delle importazioni. I nostri “partners” avranno quindi il vantaggio di un sempre più largo ed aperto mercato italiano. Ciò vale ampiamente lo sforzo che chiediamo alla comunità, ossia prestiti non “grants”, ma prestiti sicuri, in misura cospicua, ai quali deve corrispondere un cospicuo fondo europeo di investimenti. Ho accennato, come ordine di cifre, al fondo monetario europeo. Spaak mi ha dichiarato che se è sempre stato restio ed avaro in sede O.N.U. in materia di contributi alle zone depresse, ciò ha fatto col “background” di riservare tutte le forze politiche ed economiche europee alla comunità europea, alle sue zone depresse ed in particolare all’Italia. Ha aggiunto che oggi occorre far comprendere a tutti che il problema del “piano italiano” non interessa solo l’Italia, ma l’Europa intera e che lo sforzo che ciascun paese sarà chiamato a fare lo farà anche nell’interesse proprio.
Concludendo Spaak si è mostrato preoccupato per gli sviluppi psicologici della situazione tedesca: il recente atteggiamento tedesco in materia nucleare denuncia un rincrudimento di pressioni autarchiche con tutte le conseguenze relative.
Bisogna quindi – ha concluso Spaak – fare l’Europa e subito».
1 Trasmesso agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E, VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. riservato urgente 0020. Parigi, 18 novembre 1955.
Oggetto: Gruppo di lavoro del Consiglio sull’energia nucleare: contatti con le Autorità tedesche.
Riferimento: Telespresso urgente di questa Rappresentanza n. 0017 del 4 novembre 19551.
Riassumo di seguito le informazioni direttamente fornitemi circa i contatti avuti dal Gruppo di lavoro sull’energia nucleare a Bonn con i Rappresentanti del Governo tedesco e con quelli dell’industria privata.
I. CONVERSAZIONI CON I RAPPRESENTANTI DEL GOVERNO TEDESCO
Con i Rappresentanti del Governo non è stata trattata la maggior parte dei problemi tecnici che sono stati invece oggetto di conversazioni con i Rappresentanti dell’industria.
Sono stati discussi i seguenti problemi tecnici:
1. Scambi. Secondo i tedeschi, essendo il settore dell’energia nucleare un settore nuovo, dovrebbe essere facile evitare distorsioni e protezionismi.
2. Legislazione. Le Autorità tedesche sono in favore di un’armonizzazione delle legislazioni nazionali concernenti la sicurezza. Ciò è soprattutto importante per quel che concerne i materiali radioattivi. È stato dichiarato che la legislazione dovrebbe coprire tanto il campo dell’energia nucleare che quello della sicurezza. In Germania si sta per ora preparando una legge concernente l’energia nucleare.
3. Questioni finanziarie. Secondo le Autorità tedesche il finanziamento della ricerca generale dovrebbe essere di competenza dello Stato. Al finanziamento della ricerca applicata, invece, dovrebbe partecipare anche l’industria privata. Per quanto riguarda la creazione di un fondo comune di ricerca, le Autorità tedesche ritengono che ciò sarà inevitabile. Ugualmente, sarà necessario costituire un’organizzazione comune centrale per la collaborazione nel settore dell’energia nucleare.
4. Problemi istituzionali. I membri del Gruppo di lavoro hanno avuto un ampio scambio di idee con i Rappresentanti del Governo tedesco sui problemi istituzionali. Da quanto segue, appare chiaro che il Governo tedesco ha un punto di vista diverso da quello manifestato dai Rappresentanti dell’industria privata (v. parte II). Il Sig. Ophuels, premesso che il lavoro dell’O.E.C.E. in questo settore non debba essere ostacolato da iniziative regionali più ristrette, ha confermato che l’integrazione dei sei paesi C.E.C.A. può essere inserita nel quadro più vasto dei diciassette paesi O.E.C.E. Vi sono tuttavia vantaggi e svantaggi in ognuno dei due metodi di lavoro. Il sistema adottato a Bruxelles avrebbe portato ad un’integrazione più stretta. D’altra parte, il metodo O.E.C.E. ha parecchi vantaggi, in quanto la soluzione del problema dell’energia nucleare non è legata ad altri problemi e non è richiesta la ratifica per iniziative in questo settore. Il problema è ancora allo studio. Egli ha dichiarato di aver ricevuto istruzioni dal Governo tedesco di non fare opposizione alla trasmissione del rapporto della Commissione dell’energia nucleare al Comitato Direttivo, ma di riservare la posizione del suo Governo tanto al livello tecnico che su quello politico. Il Dr. Ophuels si è dichiarato d’accordo con il Gruppo, in particolare per quanto concerne la possibilità di servirsi dell’O.E.C.E. come una piattaforma per la collaborazione tra i Sei e i Diciassette. Egli ha inoltre sottolineato che l’iniziativa presa a Bruxelles non ha un carattere dirigista. Infatti, si può creare un’Autorità supranazionale senza necessariamente svolgere un’azione di carattere dirigista. Il Dr. Dahlgrum ha dichiarato, da parte sua, che i tedeschi, pur rimanendo membri fedeli dell’O.E.C.E., non possono rinunciare alla partecipazione ad iniziative tendenti ad un’integrazione europea.
II. CONVERSAZIONI CON I RAPPRESENTANTI DELL’INDUSTRIA PRIVATA
Le conversazioni avute con i rappresentanti dell’industria tedesca si sono concentrate su due serie di problemi: problemi tecnici e problemi istituzionali.
a. problemi tecnici
1. Formazione di tecnici. Secondo i tedeschi, sarà utile uno scambio di studenti e professori. All’inizio, tuttavia, la Germania dovrà reclutarne ed ospitarne più che inviarne all’estero.
2. Scambio di informazioni e brevetti. Scarse sono le informazioni sulla produzione di minerale, in quanto le risorse di materie prime si trovano soprattutto nella parte della Germania Orientale. Sono pronti a dare informazioni sulla produzione della Germania Occidentale. È stato ricordato che in Germania vi è una scarsità delle fonti tradizionali energetiche. Tra l’altro, è necessario importare carbone, nonostante la lunga tradizione di paese esportatore. Lo sviluppo dell’energia nucleare è quindi di enorme importanza, pur prevedendo un lungo periodo di tempo per la sua realizzazione. L’industria tedesca è favorevole ad uno scambio di brevetti su basi le più libere possibile nel settore dell’energia nucleare. Lo scambio di brevetti è di consuetudine nell’industria tedesca, anche nelle sue relazioni con l’estero. Si vorrebbe, tuttavia, che tale scambio avvenisse su basi commerciali, senza carattere di obbligatorietà.
3. Creazione in comune di laboratori per ricerche e saggi di materiale non radioattivo. È in questo settore tipico in cui può svolgersi una cooperazione internazionale. Esiste già un’esperienza a questo riguardo, in quanto società tedesche hanno svolto già lavori di ricerca per paesi esteri i quali in cambio hanno fornito attrezzature, materie prime ed informazioni tecniche. Tale cooperazione potrebbe trovare nell’O.E.C.E. un quadro particolarmente adatto, in quanto una struttura supranazionale non è ritenuta adatta a questo scopo. L’industria privata tedesca si oppone inoltre al monopolio di Stato internazionale in questo settore.
4. Materiali ausiliari (acqua pesante, litio, berillio, ecc.). L’industria privata tedesca è in favore di un libero mercato delle materie prime nucleari e di un libero scambio di informazioni. Tali attività dovrebbero essere esercitate dall’industria privata e non tramite un’organizzazione di distribuzione centralizzata.
5. Trattamento del metallo irradiato (diffusione). L’industria privata tedesca ritiene che la cooperazione internazionale potrà svolgersi fruttuosamente in questo settore, dati i considerevoli investimenti e l’energia elettrica necessaria per la creazione di un impianto di diffusione. Per quanto riguarda la trasformazione del minerale in metallo, la collaborazione internazionale può risultare necessaria solo per i piccoli paesi. L’industria germanica è in favore della cooperazione europea in questo campo, purché essa non abbia un carattere obbligatorio.
6. Produzione ed utilizzazione di isotopi. L’industria tedesca è in favore di un mercato comune nel settore dell’energia nucleare; ma devesi sottolineare che tale atteggiamento riguarda esclusivamente l’Europa ed il settore dell’energia nucleare. Infatti, l’industria privata tedesca non è favorevole ad un libero scambio con certi paesi dell’Europa Orientale e con gli Stati Uniti, a causa della scarsità di valuta forte.
7. Produzione e standardizzazione di attrezzature speciali. È stata sottolineata l’importanza della standardizzazione delle attrezzature e la necessità di intraprendere tale opera fin da questo momento.
8. Costruzione e sfruttamento in comune di centrali nucleari. L’industria tedesca è favorevole a tale tipo di collaborazione, che del resto è già in atto nel campo dello sfruttamento di impianti idroelettrici confinari.
9. Regolamentazione e legislazione. L’industria privata tedesca è favorevole ad un coordinamento delle regolamentazioni e legislazioni concernenti i problemi di sicurezza. Inoltre, i principi informatori delle legislazioni nazionali concernenti il settore nucleare dovrebbero essere comuni a tutti i paesi.
10. Questioni finanziarie. L’industria tedesca preferirebbe un finanziamento separato di progetti concreti, affinché ogni paese possa prendere parte a tali progetti secondo i suoi interessi. Un fondo comune internazionale farebbe sorgere difficili problemi per quanto riguarda la distribuzione delle risorse tra i vari progetti. Nel settore della ricerca, tuttavia, si potrebbe prendere in considerazione la creazione di un fondo comune. Inoltre, dovrebbe esserci un piccolo bilancio comune per l’amministrazione della cooperazione nel settore dell’energia nucleare.
b. problemi istituzionali
L’industria privata tedesca è favorevole in principio al metodo della cooperazione internazionale e non a quello che porterebbe alla creazione di una autorità sovranazionale.
Il settore dell’energia nucleare è un settore nuovo ed è difficile dire quale direzione prenderà il suo sviluppo. È quindi prematuro creare un’Alta Autorità in questo momento.
I rappresentanti dell’industria tedesca hanno ripetuto a varie riprese che il metodo dell’O.E.C.E. ed una cooperazione del tipo praticato da anni in seno all’Organizzazione parigina è la soluzione preferibile nel settore dell’energia nucleare.
Le informazioni di cui sopra vanno considerate, per il momento, come riservate e confidenziali.
1 Non pubblicato.
L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERIE ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., A PARIGI
Telespr. riservato 1799/1146. Parigi, 25 novembre 1955.
Oggetto: Orientamenti del Commissariato per l’energia atomica sulla cooperazione europea. Seguito.
Riferimento: Seguito telespresso n. 1726/1114 dell’11 corrente1.
Il Commissariato parte da due presupposti: 1) alla Francia non conviene rinchiudersi in un sistema di cooperazione atomica a sei che non consenta la partecipazione di altri paesi europei ad alto livello industriale o ricchi di uranio; 2) alcuni punti importanti del programma tracciato a Bruxelles, per i quali la Francia ha particolare interesse (come la produzione industriale in comune, attraverso la separazione isotopica, di combustibili nucleari) potrebbero essere soltanto realizzati nell’ambito dei Sei di Messina, dato che gli altri paesi che fanno parte dell’O.E.C.E. non sembrano, almeno per ora, disposti a legarsi a forme di cooperazione così strette.
La soluzione del problema della cooperazione dovrebbe essere impostata, secondo il Commissariato, su entrambi questi presupposti e potrebbe essere raggiunta, come l’articolo di Drouin sul «Monde» ha messo bene in luce, tanto attraverso le trattative in corso a Bruxelles (almeno se si concretassero in un sistema conforme alle aspirazioni francesi), quanto con l’iniziativa prospettata dall’O.E.C.E.
Da un canto, infatti, è possibile formare a Bruxelles un sistema a sei che permetta la successiva partecipazione di altri Stati: in tal caso i Sei dovrebbero soltanto costituire il primo nucleo dei paesi europei che si legano in una forma di cooperazione permanente, un nucleo suscettibile di allargarsi ad altri paesi a mano a mano che, in relazione ai progressi economici e tecnici conseguiti, aumenta la sua «forza di attrazione». L’adesione dei terzi paesi potrebbe, poi, concretarsi in una loro piena partecipazione, a parità di diritti e doveri con i Sei, all’organizzazione comune, oppure potrebbe essere limitata a determinati punti del programma comune e regolata da convenzioni particolari.
Questa interpretazione, non certo molto ortodossa, del programma di Messina (che l’articolo del «Monde» attribuisce genericamente «agli esperti di Bruxelles») è chiaramente ispirata al principio dell’«europeismo aperto» e riflette, quindi, più il punto di vista dei tecnici francesi che l’opinione concorde delle Delegazioni che partecipano ai lavori di Bruxelles. Comunque è la sola interpretazione che il Commissariato, decisamente ostile ad un’organizzazione a sei di carattere «comunitario» sembra disposto ad accettare.
D’altra parte, l’O.E.C.E. ha la struttura adatta per «graduare» la forma di cooperazione alla fede europeistica dei diversi membri, in maniera che, nel quadro di una collaborazione generale di tutti i quindici Stati (collaborazione, per forza di cose, limitata), possano sussistere dei sistemi di cooperazione più spinta tra Stati disposti ad impegnarsi reciprocamente nella realizzazione di determinati programmi comuni, che gli altri paesi non vogliono sottoscrivere. Il «Monde» giustamente osserva che l’art. 14 della Convenzione dell’O.E.C.E. renderebbe possibile la formazione, in seno all’O.E.C.E., di questi gruppi ristretti, legati da «carte» particolari: il nucleo dei Sei di Messina potrebbe così, anche nell’ambito dell’O.E.C.E., perseguire per proprio conto tutti gli obiettivi che sono stati proposti a Bruxelles per Euratom e potrebbe inoltre «agganciare» l’Inghilterra, la Svizzera, i Paesi scandinavi, ecc. con accordi speciali per l’esecuzione in comune di quei progetti in cui anche questi paesi sono interessati.
Per evitare inutili interferenze, una scelta tra l’iniziativa in corso a Bruxelles e quella che intende intraprendere l’O.E.C.E. diventa però, prima o poi, necessaria. Dato che i lavori di Bruxelles procedono già da mesi, mentre vere e proprie trattative non sono state ancora iniziate per un programma di cooperazione nell’ambito dell’O.E.C.E., sarebbe logico insistere nell’iniziativa già in corso qualora attraverso di essa cominciassero a profilarsi delle prospettive concrete di riuscita. Al Commissariato, tuttavia, non sembrano tanto convinti che queste prospettive si siano già aperte a Bruxelles. Gli esperti francesi fanno al riguardo presente che, sebbene la Commissione per l’energia nucleare abbia raggiunto un accordo di massima sul progetto (ancora vago, peraltro, in molti punti essenziali) per Euratom, le intenzioni di alcuni Governi e di alcuni ambienti industriali non sono ancora chiare, né è stato finora possibile valutare il preciso contributo che ciascun paese è disposto ad apportare sul piano tecnico e produttivo.
La critica principale che i dirigenti del Commissariato fanno ai lavori preparatori di Bruxelles, almeno per quanto concerne il settore nucleare, è che essi sono stati troppo influenzati da argomenti politici mentre il loro scopo era e doveva restare essenzialmente tecnico. I problemi politici e istituzionali relativi all’organizzazione comune, le polemiche pro e contro l’autorità superstatale sono certo molto importanti, ma trovano una giustificazione soltanto se si tratta di dare una forma politica e giuridica ad un sistema di cooperazione atomica già tecnicamente definita nelle sue linee fondamentali.
Tutte le volte che la Delegazione francese ha chiesto dei dati concreti sulla partecipazione di ciascun paese ai programmi industriali comuni, ha affermato uno dei dirigenti del Commissariato, «i tedeschi si sono messi a parlare di istituzioni».
Naturalmente questa riluttanza di alcune Delegazioni ad impostare il problema sul piano tecnico ed economico trova la sua spiegazione nel fatto che gli ambienti industriali dei rispettivi paesi sono decisamente contrari al «dirigismo» che si ritiene verrebbe ad instaurare l’organizzazione comune, e poco proclivi, perciò, ad appoggiare l’iniziativa ufficiale di Bruxelles. Non soltanto l’industria privata tedesca, come ormai generalmente noto, ma anche quella belga sono, stando agli esperti francesi, contrarie all’organizzazione euratomica. Ora, si fa qui rilevare, i Governi di Adenauer e Spaak, poiché si atteggiano a campioni della «relance» dell’Europa, dovrebbero logicamente trovare il sistema per indurre gli industriali del loro paese a collaborare al programma d’integrazione europea: altrimenti è inutile insistere su questo programma. Per quanto in particolare concerne il campo atomico, dovrebbero essere capaci d’imporre nei loro paesi un ordinamento che disciplini i compiti dell’industria privata in funzione delle iniziative atomiche governative (un dirigente del Commissariato ha rivelato che Strauss ha chiesto informazioni dettagliate sull’ordinamento francese, ma naturalmente non si può prevedere fino a che punto intenda o possa farlo introdurre in Germania).
Un altro fattore negativo per la realizzazione del programma di Messina resta sempre per i francesi l’atteggiamento belga in materia di uranio (ovviamente i belgi, rovesciando le posizioni, potrebbero dire lo stesso per l’atteggiamento finora assunto dai francesi). Nel progetto approvato dalla Commissione per l’energia nucleare di Bruxelles, viene (con una certa prudenza!) prospettato che l’organizzazione euratomica abbia non solo la priorità di acquisto del minerale sulla produzione dei paesi membri, ma anche altri rilevanti poteri che giungono fino alla facoltà di adottare misure restrittive, nell’impiego dell’uranio, anche nei confronti delle industrie dei paesi produttori, qualora un razionamento, per così dire, della quantità complessiva sia reso necessario dall’andamento del ciclo produttivo. Dato che la maggior parte dell’uranio prodotto nel Congo resta vincolato per gli americani, difficilmente gli industriali belgi saranno disposti a dare la loro adesione ad un progetto che sottopone al controllo dell’organizzazione comune la quantità di produzione nazionale disponibile. Quando Spaak dichiara che potrà far accettare questo sacrificio all’industria belga soltanto se l’integrazione europea sarà realizzata in tutti i settori economici, implicitamente viene a rinnegare il principio, caro a tutti gli europeisti, che l’integrazione deve cominciare proprio nel campo atomico. D’altra parte, aggiungono gli esperti francesi, finché i belgi non comunicano il quantitativo di uranio prodotto nel Congo e, quindi, l’ammontare della parte disponibile in base all’accordo con gli americani, mancano i dati obiettivi necessari per stabilire con precisione, in un accordo formale, entro quali limiti debba esplicarsi l’azione dell’organizzazione comune per assicurare l’equa distribuzione e l’unità di prezzo del minerale.
Se si tiene conto anche delle restrizioni che l’accordo [belga]-americano pone al Governo belga in materia di scambi di segreti tecnologici, si arriva alla conclusione (cui da tempo i francesi sono giunti) che la libertà d’azione dei belgi, nonostante l’europeismo di Spaak, è talmente vincolata da quell’accordo che la possibilità stessa di una loro partecipazione alla cooperazione atomica dipende dall’atteggiamento che gli Stati Uniti intendono assumere verso il programma di Messina. Un dirigente del Commissariato ha apertamente dichiarato che quando si rimprovera ai tecnici francesi la loro tendenza all’europeismo aperto, non si considera che la convenienza per la Francia di una soluzione a sei dipenderebbe principalmente da quei due fattori, uranio belga ed organizzazione industriale tedesca, che costituiscono proprio le incognite del problema della cooperazione, dal momento che ancora non è possibile accertare in che misura potrà utilizzarli un’organizzazione comune.
A questo punto è logico domandarsi se il contributo che invece la Francia potrebbe apportare al sistema euratomico potrebbe spingere tedeschi e belgi verso un atteggiamento più conciliante. Ora, il libero accesso alla produzione di uranio francese (che, se pur sufficiente per l’attuazione del piano atomico triennale, costituisce, sul piano mondiale, addirittura un’entità insignificante) non interessa per nulla i belgi e non rappresenta neanche una prospettiva vantaggiosa per gli stessi tedeschi, i quali possono ottenere il minerale dagli Stati Uniti, data la politica commerciale che gli americani hanno di recente inaugurata in questo campo, ad un prezzo inferiore allo stesso costo di produzione francese. All’infuori del minerale, il principale contributo dei francesi potrebbe consistere nella loro più avanzata esperienza tecnica e nell’attrezzatura che già la Francia possiede per studi e ricerche. Ma il programma atomico francese è stato, fino ad oggi, impostato sulla costruzione di centrali, più o meno imponenti, che funzionano con reattori a neutroni lenti, quel tipo cioè di reattori su cui la Conferenza di Ginevra ha fornito a tutto il mondo abbondantissimi dati, che gli americani, peraltro, sono disposti ad integrare con informazioni più dettagliate purché si stipuli con loro un accordo bilaterale.
I tedeschi, quindi, potrebbero ottenere dagli americani quel minimo di «cooperazione tecnica» che è necessario per realizzare, in un tempo relativamente breve, quello che i francesi, operando nel periodo di isolamento atomico, hanno potuto conseguire attraverso dieci anni di ricerche e di lavoro: il problema, quindi, per i tedeschi sarebbe solo finanziario. I belgi, poi, possono sin da ora utilizzare i sistemi ed i procedimenti di una tecnica molto più progredita di quella «standard», attraverso il loro accordo con gli americani.
Sono queste preoccupazioni (che i tecnici francesi non osano interamente confessare, legati, come sono, al postulato nazionalistico della superiorità atomica della Francia sugli altri Cinque di Messina) che inducono i dirigenti del Commissariato a concludere che il destino del programma di Messina è nelle mani degli Stati Uniti.
Per il Commissariato, questa non è una speranza ma una semplice constatazione di fatto (forse anche spiacevole): esso ritiene che gli Stati Uniti hanno non solo nell’accordo belga-americano, ma, in genere, nella loro stessa politica commerciale in questo settore gli strumenti per scoraggiare od accelerare la realizzazione dell’organizzazione euratomica. Se l’interesse americano per l’integrazione europea si fosse risvegliato al punto da indurre gli Stati Uniti ad adottare una politica preferenziale verso l’organizzazione euratomica nel suo insieme, allora sarebbero superate le diffidenze e le riluttanze degli ambienti tecnici ed industriali e l’opera dei Governi dei sei paesi verrebbe facilitata.
Stando ad un’informazione fornita da un funzionario di quest’Ambasciata americana, sembra che gli Stati Uniti siano al massimo disposti a non firmare per ora un accordo bilaterale atomico con la Germania per non incoraggiare l’opposizione dell’industria tedesca al programma atomico di Messina, ma non intendano, data l’esperienza della C.E.D., dare un appoggio diretto alle iniziative in corso per la «relance» europea, fino a quando esse non raggiungeranno dei risultati concreti.
Per quanto concerne l’O.E.C.E., se è vero che questa organizzazione offre la possibilità di attuare nel proprio ambito dei programmi minimi e dei programmi massimi di cooperazione atomica, è pur vero che il successo dell’iniziativa che si va prospettando dipenderebbe in massima parte dall’atteggiamento inglese.
Se gli inglesi vogliono servirsi della cooperazione soltanto come strumento di espansione commerciale e per il resto si fanno promotori delle solite forme di cooperazione «accademica», l’iniziativa, qui si ritiene, viene a perdere molto del suo valore.
Per concludere, il punto di vista del Commissariato nei riguardi tanto del programma di Messina quanto di quello che va prospettando l’O.E.C.E., potrebbe riassumersi in questa affermazione del Sig. G. Renou, Vice Direttore per le relazioni estere: «La chiave del programma atomico di Messina deve cercarsi a Washington, la chiave di una cooperazione attraverso l’O.E.C.E. deve cercarsi a Londra».
Nel frattempo il Commissariato resta in posizione di prudente attesa, continuando a partecipare ai lavori di Bruxelles per difendervi il principio dell’europeismo aperto.
1 Riservato, indirizzato al Ministero degli Affari Esteri e, per conoscenza, alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E. a Parigi, con il quale Quaroni aveva fornito le prime informazioni circa la questione oggetto del presente documento.
IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BADINI CONFALONIERI,ALLE AMBASCIATE A L’AJA, BONN, BRUXELLES,PARIGI E LUSSEMBURGO
Telespr. 44/177511. Roma, 26 novembre 1955.
Oggetto: Comitato Intergovernativo di Bruxelles per l’integrazione europea. Energia nucleare.
Riferimento: Seguito telespresso n. 44/17106 del 17 novembre 19552. Telegramma di codesta Ambasciata n. 5573.
Questa Ambasciata di Gran Bretagna ha fatto conoscere a questo Ministero, col memorandum che si acclude in copia, la posizione del Governo britannico nei riguardi del problema suindicato.
Il documento riassume e conferma ufficialmente le linee dell’atteggiamento inglese, quali si erano venute man mano chiarendo nel corso dei lavori di Bruxelles. Da parte inglese è stato inoltre fatto presente verbalmente che la determinazione di non entrare nell’Euratom dipende sopratutto da considerazioni militari e non è quindi da ritenere che l’una o l’altra soluzione istituzionale potrebbe avere l’effetto di modificare l’atteggiamento britannico.
L’atteggiamento italiano – in linea generale favorevole alla costituzione dell’Euratom nel quadro del Mercato Comune generalizzato – per quanto concerne il problema della collaborazione in seno all’O.E.C.E. si può riassumere come segue.
Com’è noto l’O.E.C.E., dopo aver inviato una missione di studio nei diversi paesi membri (Nikolaides) sta ora esaminando le possibilità che si offrono, a termini dell’art. 14 del suo Statuto, per una collaborazione in materia di energia nucleare da effettuarsi nel quadro dell’O.E.C.E. stessa.
Da parte italiana si ritiene che l’O.E.C.E. non possa offrire, per la sua stessa costituzione, uno strumento sufficiente a raggiungere il grado di integrazione che si desidera in materia nucleare, e in particolare ad assicurare in paesi europei una larga disponibilità di minerali e combustibili nucleari.
Una volta costituito l’Euratom, si dovrà considerare in che modo possa stabilirsi una più generale collaborazione fra tale gruppo e gli altri paesi europei. Nulla esclude, anzi è possibile, che tale collaborazione possa esercitarsi nel quadro o sotto l’azione dell’O.E.C.E., soprattutto per quanto concerne gli scambi di informazioni, la messa in comune di ricerche tecniche ecc.
Non sembra, d’altronde, che la recente presa di posizione inglese escluda la speranza che una volta che l’Euratom sia costituito e funzioni, possa realizzarsi una collaborazione diretta colla Gran Bretagna mediante accordi del tipo di quello stipulato fra C.E.C.A. e Gran Bretagna4.
Le Rappresentanze in indirizzo, salvo l’Ambasciata in Lussemburgo che vi ha già provveduto3, sono pregate di far conoscere le reazioni dei Governi presso i quali sono accreditate circa il memorandum inglese.
Allegato
Roma, 16 novembre 1955.
MEMORANDUM
Il Governo di S.M. britannica riconosce che esiste un forte impulso verso una cooperazione multilaterale in Europa nel settore dell’energia nucleare e che, nel contempo, una qualche forma di collaborazione europea eviterebbe una duplicazione di sforzi. Esso desidera pertanto collaborare nei limiti dei propri mezzi.
Il Governo di S.M. non intende ostacolare la creazione dell’Euratom ove i paesi partecipanti alla Conferenza di Messina decidano che ciò risponde ai loro interessi. Tuttavia il Regno Unito non entrerà nell’Euratom. Il Regno Unito sarebbe disposto a concludere un accordo separato con tale organismo, ma non sarebbe parimenti disposto a porre automaticamente su di una base multilaterale i suoi accordi bilaterali con i singoli paesi della Conferenza di Messina.
D’altro canto, il Gruppo di lavoro dell’O.E.C.E. potrebbe avere intenzione di raccomandare – a differenza della Conferenza post-Messina – un sistema elastico di cooperazione multilaterale che potrebbe comprendere paesi a differenti stadi di sviluppo. Il Gruppo di lavoro proporrà probabilmente che nell’ambito della organizzazione venga lasciato adito ad accordi specifici o per scopi specifici fra gruppi di paesi, accordi che non dovrebbero essere vincolanti nei riguardi di altri paesi in seno all’organizzazione stessa, né soggetti al loro veto.
Quale principale paese europeo in materia di energia atomica, e in virtù della propria speciale posizione nell’O.E.C.E., il Regno Unito è pronto, nei limiti dei propri mezzi, a collaborare ad un programma di questo genere in sede O.E.C.E.
1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Washington, Londra, Ottawa, Atene, Ankara, Vienna, Berna e Oslo, alle Rappresentanze presso la N.A.T.O. e l’O.E.C.E., a Parigi, alle Legazioni a Dublino, Lisbona, Stoccolma e Copenaghen e alla Direzione generale degli Affari Economici.
2 Non rinvenuto. Riferimento per tutte le Ambasciate in indirizzo ad eccezione di Lussemburgo.
3 T. 19002/557 del 21 novembre, con il quale Cavalletti aveva riferito circa la reazione del Governo lussemburghese al memorandum inglese riportando l’opinione di Bech che riteneva « … più che mai urgente e necessaria l’integrazione europea a carattere sopranazionale anche e particolarmente nel campo atomico». Il riferimento a questo telegramma è solo per l’Ambasciata a Lussemburgo.
4 Firmato a Londra il 21 dicembre 1954, vedi D. 90.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV
Appunto1.
RESOCONTO DELLA RIUNIONE DEL 1° DICEMBRE 1955DEI CAPI DELLE DELEGAZIONI AL COMITATO INTERGOVERNATIVOCREATO DALLA CONFERENZA DI MESSINA
I Sigg. Benvenuti (Italia), Gaillard (Francia), Ophuels (Germania), Snoy (Belgio), Verrijn Stuart (Paesi Bassi) e Schaus (Benelux) si sono riuniti a Bruxelles il giorno 1° dicembre, sotto la presidenza del Ministro degli Esteri belga Spaak.
Scopo della riunione era la discussione della prima serie di documenti – già in possesso delle nostre Amministrazioni interessate – redatti dal Sig. Spaak (con l’aiuto dei Sigg. Uri, von der Groeben e Guazzugli) in preparazione del rapporto finale sul Mercato Comune da presentare ai sei Ministri degli Esteri dei paesi membri della C.E.C.A.
2. Documento di lavoro n. 1 (Struttura del trattato). Non ha sollevato particolari commenti. Sia da parte italiana che da parte olandese si è tenuto a mettere in rilievo che il concetto di una prima tappa nel processo di stabilimento del Mercato Comune (tappa che nel trattato dovrebbe essere definita nei suoi particolari) è subordinato a quella dell’irreversibilità dello sviluppo del Mercato Comune. La gravosa opera di riconversione delle economie nazionali per renderle adeguate a un Mercato Comune generalizzato non verrebbe intrapresa con fermezza e coraggio se non vi fosse la sicura convinzione che il processo si svilupperà, al di là della prima tappa, fino allo stabilimento di un Mercato Comune per quanto possibile completo.
L’opinione è apparsa condivisa dagli altri Delegati, se anche con moderato calore da parte del Delegato francese. Ad avviso di quest’ultimo, la medicina del Mercato Comune non può essere somministrata al suo paese ed al suo Parlamento che in quantità opportunamente dosate. Il Delegato francese ha tuttavia escluso che i Parlamenti possano essere chiamati a riconsiderare il trattato al termine della prima tappa; ma ha insistito che, a compenso di ciò, largo posto sia fatto all’istituzione di una assemblea parlamentare comune che possa guidare e controllare lo svolgimento del processo di integrazione.
3. La discussione sul documento di lavoro n. 2 (Metodo per la soppressione dei diritti doganali) si è portata piuttosto sugli aspetti tecnici del sistema.
Gaillard (Francia) ha criticato il metodo di raggruppamento delle voci doganali secondo il tasso, proponendo di adottare invece i gruppi della nomenclatura del Gruppo studi doganali di Bruxelles, che sta per essere approvata. La tesi francese non è stata però accolta, essendo l’altro sistema di più facile esecuzione.
Circa l’opportunità di dare al sistema una maggiore o minore rigidità (ciò che potrebbe ottenersi aumentando o diminuendo il numero dei raggruppamenti) i Delegati del Benelux si sono dichiarati contrari ad un metodo che lascia troppa latitudine ai Governi nazionali. Si è quindi ventilata la possibilità di aumentare il numero dei gruppi (da 1% a 2,5%, da 2,6% a 5%, ecc.) e di limitare la facoltà dei Governi di associare i gruppi, due a due, all’accoppiamento dei gruppi estremi (ad es.: 1-2,5% = 47,5-50%). Per la riduzione dei diritti proibitivi, i quali avrebbero quindi una ponderazione uguale a zero, era stato proposto di correggere il sistema mediante l’applicazione del tasso di riduzione, concordato anche alla media aritmetica dell’insieme delle posizioni doganali. Uri avanzava la nuova proposta di stabilire l’obbligo di ridurre ogni diritto al di sopra del 25%, di almeno la metà della riduzione prescritta per ciascun gruppo. Tale idea non incontrava però il favore del Delegato francese, a cui avviso una simile norma avrebbe allarmato anzitempo gli ambienti interessati.
Veniva anche sollevata la questione della base di partenza: e cioè, se essa dovesse trovarsi in uno o più anni di referenza (la maggioranza è stata in favore di un periodo triennale, da spostarsi di anno in anno); e se si dovesse tenere conto della tariffa effettiva applicata per decisione unilaterale o di quella legale. In genere i Delegati si sono dichiarati propensi a prendere per base i diritti effettivamente applicati, salvo quelli introdotti per situazioni di fatto temporanee.
Sulla questione posta dall’On. Benvenuti circa l’atteggiamento da tenersi da parte dei sei paesi del G.A.T.T. nel prossimo gennaio, il barone Snoy (Belgio) ha espresso, a titolo personale, avviso contrario all’opportunità che i sei paesi si concedano in anticipo riduzioni doganali che verrebbero automaticamente estese a tutte le parti contraenti. Della questione – che è di notevole importanza – dovrà discutersi fra i sei Governi prima della riunione del G.A.T.T.
4. Il documento di lavoro n. 3 (Tariffa verso i paesi terzi) ha dato luogo a una netta presa di posizione da parte di Verrijn Stuart (Olanda), a favore di una tariffa esterna inferiore al plafond consentito dal G.A.T.T. (tariffa comune non superiore nella sua incidenza generale alle differenti tariffe cui si sostituisce). Il Delegato olandese ha messo in rilievo la grave difficoltà politica di fronte a cui si troverebbe il suo Governo accettando di sostituire alla sua attuale bassa tariffa una tariffa elevata anche su certi prodotti di base (ha citato il grano e l’alluminio). Tale sostituzione causerebbe non solo un aumento del costo della vita, ma ridurrebbe il margine di concorrenzialità dell’industria olandese su mercati terzi.
Sono state fatte da varie parti, al Delegato olandese, le obiezioni del caso: mettendo in rilievo fra l’altro che l’annunciare da parte dei sei paesi la rinuncia al plafond consentito dal G.A.T.T. equivarrebbe a gettar via una carta importante per l’inevitabile negoziato con i Governi dei paesi terzi (Stati Uniti e Gran Bretagna). Non è stato possibile vincere la resistenza del Delegato olandese: egli avrà tuttavia nei prossimi giorni contatti con Spaak e con i suoi consiglieri, per ricercare una formula di compromesso. Altre due questioni minori sono state sollevate a proposito del documento n. 3. La prima è se il Mercato Comune debba essere esteso – fino dal periodo transitorio – anche alle merci non originarie dei paesi membri. È stata ricordata in proposito l’eccezione francese alle regole del Trattato C.E.C.A.
La seconda questione, sollevata da Snoy (olandese)2, riguardava i diritti consolidati verso paesi terzi, e il rischio che, venendo essi rialzati per instaurare una tariffa comune ne conseguano sanzioni da parte di essi. Gli eventuali negoziati dovranno quindi essere condotti a sei.
5. Un altro vivace dibattito si è svolto sul documento di lavoro n. 4 (Metodo per la soppressione dei contingenti). Già in apertura di discussione Uri, a seguito dei contatti avuti con la nostra Delegazione, dichiarava che il documento era da rifare, prendendo per base del sistema l’allargamento progressivo dei contingenti, da iniziarsi già nel primo anno del trattato, senza attendere gli sviluppi della procedura O.E.C.E. Per i contingenti nulli egli proponeva l’obbligo di aprire dei contingenti equivalenti a una percentuale della produzione interna, aumentabile ogni anno, o alla media delle importazioni intraeuropee divisa per abitante. Favorevoli invece all’idea di affidarsi totalmente, per lo meno per una prima tappa quadriennale agli auspicati sviluppi dell’operazione O.E.C.E. si dichiaravano Gaillard e Spaak: quest’ultimo, presumibilmente, per agevolare le relazioni fra l’esercizio di Bruxelles e i paesi membri della sola O.E.C.E. (Spaak tornava dal suo viaggio a Londra). Non è stato difficile al Delegato italiano, appoggiato da Snoy e da Uri, dimostrare che non si potrebbero da un lato imporre le riduzioni tariffarie secondo un sistema a sei, lasciando d’altro canto a un organo esterno il compito di fissare il ritmo delle riduzioni da apportare alle restrizioni quantitative. Qualsiasi sistema che non convogliasse di pari passo e i diritti doganali e i contingenti verso l’abolizione, rischierebbe di frenare l’intero sviluppo dell’operazione. Infatti i Governi sarebbero indotti a ridurre i dazi su prodotti non liberati, rinviando la liberazione agli ultimi anni dell’esercizio, e ottenendo anche la possibilità di dare un ritmo lento alla riduzione dei diritti doganali su prodotti liberati; con la conseguenza che verso la fine dell’esercizio ben poco si sarebbe ottenuto, sia nell’uno che nell’altro settore, e in particolare nei prodotti più sensibili.
È stato quindi deciso che il documento n. 4 verrà completamente rifatto; ma è quanto mai probabile che su questo argomento continueranno ad aversi forti resistenze da parte francese.
6. Il documento n. 5 (Agricoltura) non è stato posto in discussione perché non sono state ancora completate le consultazioni previste (Uri lo ha discusso con il Ministro Mansholt, ma non ancora con Papi). Comunque il documento verrà esaminato in prima linea – come già comunicato – da un gruppo composto da esperti di Mercato Comune ed esperti agricoli, che si riunirà verso la metà del dicembre o più probabilmente all’inizio del gennaio.
7. Anche sul documento di lavoro n. 6 (Istituzioni) il dibattito non è sceso al disotto della superficie. Notevole che Ophuels (Germania) abbia dichiarato di non poter esprimere per ora che le sue simpatie personali per il sistema proposto.
Spaak ha ribadito la sua convinzione che non sia possibile amministrare, e anche meno portare a termine, il processo di stabilimento del Mercato Comune senza l’istituzione di un organismo dotato di autorità propria e di responsabilità comune. La tendenza presente è di mettere l’accento sui poteri arbitrali, ancor più che esecutivi, di cui tale organismo dovrebbe essere dotato: in questo senso ha insistito anche Gaillard, richiamandosi ai tribunali americani sulle intese industriali. Si evita tuttora di dare all’organismo comune il nome di Alta Autorità, e si parla – in prima approssimazione – di una magistratura, per la quale il Delegato lussemburghese ha rinfrescato il ricordo storico della pretura romana, che aveva poteri giudiziari ed esecutivi. Ma su tutta la questione delle istituzioni è venuta a gravare l’ombra delle prossime elezioni francesi.
8. In considerazione delle quali, è stato deciso che il Comitato dei Capi Delegazione aggiornasse i suoi lavori alla metà di gennaio. Nell’intervallo il Ministro Spaak e i suoi collaboratori, che dovranno rivedere i documenti discussi nell’ultima sessione, faranno pervenire ai loro colleghi altre formule di lavoro: sull’armonizzazione delle politiche sociali ed economiche, sul sistema di salvaguardia, sulla libera circolazione delle persone, capitali e servizi, e sul fondo di investimenti e di riadattamento. (Su questi due ultimi soggetti, una prima discussione si è avuta già in una riunione di esperti tenutasi il 28 novembre, sulla quale si riferisce a parte). Altri documenti di lavoro riguarderanno l’integrazione nei settori dell’energia nucleare, dell’energia classica e dei trasporti. Allo stato attuale delle previsioni, i Capi Delegazioni dovrebbero terminare l’esame di tali documenti e del testo del rapporto finale nella seconda metà di febbraio: così da permettere la riunione dei Ministri degli Affari Esteri per la fine di febbraio o per l’inizio di marzo. Tale riunione potrebbe avere luogo a Bruxelles, la presidenza di turno spettando al Ministro belga; ma sembra che Brentano gradirebbe di poterla tenere a Bonn3.
1 Trasmesso da Ducci con Telespr. 44/18264 del 6 dicembre agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.
2 Sic. Si intenda: belga.
3 La riunione ebbe luogo a Bruxelles l’11-12 febbraio 1956, vedi D. 132.
IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
T. 19872-19934/356-3571. Parigi, 7 dicembre 1955, ore 14 (perv. ore 2 dell’8)2.
Oggetto: Riunione privata dei Capi delle Delegazioni.
356. Ellis-Rees ha convocato ieri sera una riunione del tutto confidenziale e privata dei Capi delle Delegazioni per uno scambio personale di idee sui problemi in corso di trattazione all’O.E.C.E. All’inizio della riunione egli ha fatto tuttavia una lunga dichiarazione destinata in modo specifico ad esporre il punto di vista del Governo britannico sui progetti dei sei paesi e sui lavori di Bruxelles. Trasmetto per corriere un resoconto particolareggiato di quanto egli ha detto e della discussione che ha seguito3. Qui do intanto i punti essenziali.
Il Governo britannico – egli ha detto – ha voluto qualche tempo per riflettere sui problemi sollevati dalla iniziativa dei sei paesi. Lo scopo perseguito dai sei paesi è uno scopo politico: essi vogliono giungere ad una forma di unità politica attraverso il metodo della integrazione economica. Nel perseguire questo obiettivo i loro progetti vengono necessariamente ad intrecciarsi con l’opera che svolge l’O.E.C.E. Il Governo britannico non è stato mai contrario al progetto di una maggiore unificazione tra i sei paesi. Di quello che i sei paesi ora intendono fare il Governo britannico non è esattamente informato, ma pare chiaro che è intenzione dei sei paesi di stabilire un mercato comune ed una organizzazione per la energia atomica. Il processo per giungere a questo sarà verosimilmente lungo, ma vi può essere ragione di temere che si possa venire ad un regime discriminativo che attenterebbe agli sforzi contro la discriminazione compiuta in seno all’O.E.C.E., ed in definitiva potrebbe provocare la divisione dell’Europa in due campi, con inevitabile indebolimento e dissolvimento dell’O.E.C.E. Governo britannico considera che O.E.C.E. sia strumento necessario di cooperazione e non potrebbe vedere che con preoccupazione suo scardinamento. Vi deve essere un modo, e certo vi è, di conciliare interessi e obiettivi che sono in discussione a Bruxelles con quelli generali dei paesi O.E.C.E. Questo non può farsi in sede bilaterale, ma può farsi proprio in sede O.E.C.E. Governo britannico desidera perciò che in questa sede si cerchi la conciliazione di questi interessi. Cancelliere dello Scacchiere propone quindi che la questione venga iscritta all’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei Ministri, per il quale egli propone la data del 10 febbraio. Ellis-Rees è poi passato a parlare dell’energia atomica per riaffermare che Gran Bretagna è pronta, entro i limiti delle sue possibilità a cooperare alla soluzione di questo problema in sede O.E.C.E.
Poiché nessuno dei Delegati aveva avuto prima sentore della dichiarazione che Ellis-Rees avrebbe fatto, in discussione che è seguita non sono state espresse che opinioni di carattere personale, riservando ciascun Delegato posizione del suo Governo.
Il primo a prendere la parola è stato Delegato tedesco che a titolo personale si è felicitato che questione venisse posta all’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei Ministri.
357. Delegato tedesco ha aggiunto che suo paese favorirà tutti gli sforzi dell’O.E.C.E. pur sperando che i sei paesi possano andare più lontano. Ha parlato poi Delegato belga spiegando ampiamente le ragioni e gli obiettivi della decisione di Messina e negando carattere esclusione discriminatorio del programma dei sei paesi i quali – egli ha detto – sono pronti ad accettare la collaborazione di altri Stati. Ha insistito poi particolarmente sul concetto che un’azione dei sei paesi non può portare a indebolimento dell’O.E.C.E. né questo potrebbe essere in alcun modo nei loro interessi.
In senso sostanzialmente opposto si è espresso Delegato elvetico. Egli ha detto che la Svizzera non farà mai nulla per intralciare intesa politica dei sei paesi per mezzo integrazione economica. Vi sono comunque conseguenze inevitabili che vanno calcolate alle quali gli altri paesi non possono essere indifferenti. La sua tesi è stata che azione dei sei paesi poteva benissimo essere svolta in sede O.E.C.E., mentre l’iniziativa Messina ha pregiudicato la possibilità di sviluppi dell’O.E.C.E.
Degli altri Delegati nessuno è entrato molto in questioni di fondo. I Delegati dell’Irlanda, dell’Austria e del Portogallo hanno tuttavia marcato il loro accordo con il Delegato svizzero. Quelli dei Paesi scandinavi hanno espresso il convincimento che iniziative particolari dovranno svolgersi nel quadro dell’O.E.C.E. valendosi dell’art. 14. Tutti, riservando l’atteggiamento del loro Governo, hanno riconosciuto utile che la questione sia portata al Consiglio dei Ministri. Solo il Delegato francese ha fatto presente che, data la situazione politica francese, egli non sarebbe stato in grado di far conoscere che cosa il futuro Governo avrebbe deciso né circa l’iscrizione della questione all’ordine del giorno né circa la data indicata da Ellis-Rees per la riunione del Consiglio dei Ministri.
Per mio conto, mi sono limitato a far osservare, in contraddittorio con quanti avevano affermato che l’iniziativa di Messina avrebbe potuto essere presa in seno all’O.E.C.E., che questa era una questione retrospettiva e non rilevante ai fini di una soluzione pratica dei problemi posti dal Delegato britannico. Né si poteva giudicare degli effetti della iniziativa di Messina parlando sin da ora di discriminazione prima di conoscere i risultati delle discussioni in corso tra i sei paesi. Come gli altri, riservando beninteso l’atteggiamento del Governo italiano, ho detto che mi sembrava utile una discussione.
Il Delegato degli Stati Uniti è intervenuto per ultimo. Egli ha ricordato il favore che ha sempre mostrato il suo Governo per la causa e gli sforzi che si compiono sulla via dell’integrazione e della unione supernazionale. Anche egli ha richiamato l’attenzione sulla necessità di non formulare giudizi senza una base sicura di fatti, parlando fin da ora di discriminazione e di divisione, poiché è possibile che unione dei sei paesi possa funzionare nel più largo sistema di cooperazione dell’O.E.C.E.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con i numeri di protocollo di sede 733 e 737.
2 La prima parte del presente documento (T. 356), partita alle ore 14, pervenne alle ore 15,15, mentre la seconda (T. 357), partita alle ore 0,10, pervenne alle ore 2 del giorno 8.
3 Vedi D. 114.
LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE
Telespr. 44/183801. Roma, 7 dicembre 1955.
Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.
STATO DI AVANZAMENTO DEI LAVORI DELLA CONFERENZA DI BRUXELLES SUL RILANCIO EUROPEO
L’imminenza delle elezioni politiche francesi ha imposto una pausa ai lavori della Conferenza di Bruxelles sul «rilancio europeo». La presente nota2 intende fornire un bilancio dell’andamento dei lavori iniziati – come è noto – nei primi giorni del luglio 19553.
Il primo periodo della Conferenza ha visto all’opera un certo numero di Commissioni e Sottocommissioni di esperti, a ciascuna delle quali è stato affidato l’incarico di studiare le varie possibilità di integrazione economica europea (orizzontali e verticali) indicate dalla Risoluzione di Messina4.
Questa fase dei lavori ha presentato un certo interesse politico, perché essa ha valso a sgombrare un terreno da alcune pregiudiziali. Si è visto subito, infatti, che un allargamento delle competenze della Comunità carbone e acciaio alle altre fonti di energia classica (petrolio, elettricità, gas naturale) non offrirebbe un reale compenso alle difficoltà politiche e parlamentari che sarebbero da superare per revisionare il Trattato Schuman. Egualmente, nel campo dei trasporti interni, è risultato che il quadro dei sei paesi della C.E.C.A. è geograficamente troppo ristretto per un efficace e valido coordinamento delle politiche nazionali in materia di trasporti.
Questi dati tecnici, confortati dall’avviso dei vari esperti, hanno rafforzato la tesi di quei Governi che, come il nostro, hanno costantemente dichiarato la loro perplessità a forme di integrazioni cosiddette verticali, che non si iscrivessero nel più largo quadro di una integrazione economica generale. Tale tesi fu anche sancita, in larga massima, dai Ministri degli Esteri riuniti in settembre a Noordwijk5.
Il progresso dei lavori è stato anche assai limitato in taluni sottosettori cui la Conferenza di Bruxelles ha allargato la sua indagine. Per le poste e telecomunicazioni è stato discusso un progetto di unione europea ristretto ai sei paesi: non senza dubbi sulla sua effettuabilità tecnica e finanziaria. Nel settore dei trasporti aerei, sotto il pertinace impulso della Delegazione francese, sono stati affrontati due progetti di interesse comune. Il primo, per la costituzione di una società europea di costruzioni aeronautiche, non ha passato lo stadio di un primo scambio di vedute, il secondo, per la costituzione di una società europea per la gestione delle linee transcontinentali e per l’acquisto in comune del materiale di volo, ha urtato contro l’ostilità delle stesse compagnie aeree esistenti nei vari paesi. Le più prospere di esse, quale la KLM olandese, hanno apertamente mostrato, passando contratti con società americane per la fornitura di aerei a reazione, di voler continuare sulla strada della libera concorrenza.
2. Più fruttuoso è stato il lavoro compiuto dalle Commissioni negli altri due grandi campi di indagini: il mercato comune generalizzato e l’integrazione nucleare.
Sul primo punto la competente Commissione ha rimesso al Comitato Direttivo un rapporto alquanto dettagliato e che, dal punto di vista tecnico, costituisce indubbiamente un progresso sugli analoghi lavori svoltisi sullo stesso soggetto a Parigi nel primo semestre 1954.
Su buona parte però degli argomenti in discussione, gli esperti non sono riusciti a concordare una posizione unanime. Ciò ha confermato quanto si conosceva per esperienza: e cioè, che i dibattiti fra esperti si arrestano prima o poi su posizioni che non possono essere cancellate se non da decisioni in sede politica. Né questa realtà era del tutto ignota agli esperti stessi, i quali si sono astenuti dall’approfondire il dibattito sull’argomento più prettamente politico, quello delle istituzioni.
3. La Commissione che ha compiuto maggiore cammino verso un accordo unanime è stata quella per l’energia nucleare. In questo campo la novità della materia e le non numerose pregiudiziali di fatto e di diritto hanno permesso la stesura di un rapporto nel quale vengono delineate le grandi linee di un sistema di integrazione dell’attività dei sei paesi nel campo nucleare, detto Euratom. Anche qui, tuttavia, si è posto, all’ultimo momento, un problema di scelta politica.
4. Come si ricorderà, la Conferenza di Messina aveva affidato al Ministro Spaak il compito di farsi coordinatore e propulsore dei lavori in corso di svolgimento a Bruxelles. Il Sig. Spaak ha eseguito tale mandato con l’ardore e con la costanza che gli sono propri. È da riconoscersi che egli ha dedicato a quest’opera molto del suo tempo e moltissime delle sue energie. Terminata, in maniera non del tutto soddisfacente, la fase di lavoro della Commissione, il Ministro Spaak ha assunto in proprio la responsabilità della continuazione e – se possibile – della conclusione dell’esercizio, mediante una procedura che non era stata prevista a Messina e che ha dimostrato di poter dare buoni frutti.
Spaak ha infatti chiamato presso di sé due consulenti speciali: Pierre Uri, che fu già il braccio destro di Monnet e che è uno dei Direttori dell’Alta Autorità della C.E.C.A., e un membro della Delegazione tedesca, von der Gröben. Ad essi sono stati poi aggiunti il Dott. Guazzugli del Segretariato Generale della C.E.C.A., nonché il barone Snoy Segretario Generale del Ministero degli Affari Economici belga. A tale ristretto gruppo di persone, che si riunisce molto frequentemente sotto la presidenza di Spaak, è stato affidato il compito di elaborare una serie di formule di compromesso sulle varie materie controverse. Tali formule, di cui il merito va principalmente al Sig. Uri, vengono portate a conoscenza dei Capi delle sei Delegazioni nazionali, che le discutono nel corso di riunioni ufficiose. Spesso le formule innovano completamente sui risultati cui gli esperti erano giunti; assai spesso esse vengono corrette e modificate in base alle discussioni dei Capi Delegazione e ai contatti e alle consultazioni del Sig. Uri con vari ambienti, e particolarmente con la Delegazione italiana.
5. Tale tipo di procedura aveva cominciato a portare i suoi frutti, quando è stato interrotto dallo scioglimento del Parlamento francese. Esso – ci si augura – potrà venire ripreso a metà gennaio: il calendario che Spaak si è proposto prevede che questa seconda fase dei lavori possa essere completata a metà febbraio o al più tardi alla fine di tale mese. Per questa data dovrebbe essere pronto il rapporto finale che i Capi Delegazione sottoporrebbero ai Ministri degli Esteri. Questi ultimi, a termini della Risoluzione di Messina, dovrebbero decidere sulla opportunità di convocare una o più conferenze per concludere i trattati che darebbero veste di impegno giuridico internazionale all’integrazione economica europea. Sembra probabile che tale decisione non verrebbe presa dai Ministri degli Esteri a presentazione del rapporto, ma dopo un congruo periodo di studio di esso e di consultazioni dei rispettivi Governi e degli ambienti interessati.
6. Non vale la pena di nascondersi che le difficoltà che restano da superare, nonostante la migliore buona volontà dei Capi Delegazione e il fattivo impulso del Ministro Spaak non sono poche.
In materia di energia nucleare lo sviluppo più favorevole è stata la decisione da parte del Governo belga di mettere a disposizione di Euratom l’intera quantità dell’uranio congolese residuato dall’accordo con gli U.S.A. e l’Inghilterra. Quale sia effettivamente tale quantità (un decimo della produzione del Congo fino a tutto il 1957, e un quarto dal 1958 al 1960) non è noto ufficialmente, la produzione totale del Congo non essendo mai stata rivelata pubblicamente.
Uomini politici ed esperti belgi sostengono tuttavia che essa è più che sufficiente per gli sviluppi che l’industria nucleare potrà avere in Europa nel prossimo quinquennio. Si mette in rilievo il notevole sacrificio che il Belgio compie nel mettere a disposizione dei suoi cinque partners tale quantità di uranio, invece di servirsene in prima priorità per i suoi bisogni (grazie alla collaborazione tecnica che il Belgio ha potuto assicurarsi dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra). Più volte anche Spaak ha sostenuto che il suo paese avrebbe dovuto compiere tale sacrificio soltanto «sull’altare dell’Europa»: intendendo con ciò legare l’offerta belga di materie fissionabili alla costituzione di un mercato comune. Più recentemente tale posizione è apparsa attenuata: nel senso che il Governo belga sarebbe anche disposto a stipulare il trattato Euratom prima che venga raggiunto un accordo sul mercato comune. Ciò che può apparire realistico se non si vogliano accumulare le difficoltà della trattativa per il mercato comune a quelle che già ha nel suo seno il negoziato per Euratom.
Infatti (e anche lasciando da parte le obiezioni degli ambienti industriali belgi) la situazione è tutt’altro che chiara in Francia e in Germania. In Francia – astrazione fatta di coloro che sono nemici di un Europa a sei, e forse anche a sette – la decisione è tuttora aperta fra gli elementi politici che vedono in Euratom una possibilità di controllare l’industria tedesca, sfruttandone le capacità a beneficio comune, e gli elementi tecnici che vorrebbero mantenere una larga libertà di iniziativa e che hanno piuttosto gli occhi sulla collaborazione cogli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
In Germania assistiamo ad una serrata offensiva da parte dell’ambiente industriale contro un progetto che viene accusato di «dirigismo sopranazionale»: nella quale offensiva si mescolano e il desiderio di non vedere intralciata la libertà di azione dei grandi gruppi industriali da parte del Governo, per il tramite di Euratom, e la coscienza di ciò che l’industria tedesca potrebbe fare da sola, purché si assicuri l’aiuto americano.
Tale posizione di ostilità ad Euratom ha trovato un punto d’appoggio nella nomina a Ministro per l’energia nucleare del Sig. Strauss, legato alla grande industria chimica. Finora non sembra che il Cancelliere Adenauer abbia avuto la possibilità o il tempo di mettere decisamente a tacere tali opposizioni: e il rapporto della Commissione nucleare è andato ai Capi Delegazione senza essere ufficialmente indossato da quella tedesca.
È probabilmente a Washington che andrà cercata la maniera di superare le reticenze francesi e tedesche.
Una dichiarazione americana che escluda accordi bilaterali riservando la collaborazione tecnica degli Stati Uniti ad una agenzia comune europea metterebbe termine a molte esitazioni. L’esperienza della C.E.D. deve però avere reso assai cauti gli americani in materia ed è possibile che essi non vogliono dichiararsi decisamente in tal senso prima di avere constatato una larga misura di accordo tra gli europei stessi.
7. Anche per quanto concerne il mercato comune le difficoltà vengono dal campo francese e da quello tedesco. Note sono le difficoltà che qualsiasi Governo francese dovrà superare per fare inghiottire al suo Parlamento un vero mercato comune europeo, perché valga la pena di dilungarcisi. Lo sforzo costante del Delegato francese Gaillard (il quale in materia è certo en flêche sui suoi colleghi parlamentari) è stato quello di lasciare quanto mai fluida la regolamentazione mediante la quale dovrebbe progressivamente stabilirsi il mercato comune: così da lasciare aperta la strada a frequenti revisioni del trattato, e a lunghi periodi di indugio. Posizione questa che naturalmente non è sempre accettabile dalle altre Delegazioni preoccupate piuttosto di iniziare in buona fede una riconversione delle loro economie, che non debba più a un certo momento avere seguito.
Gli interlocutori tedeschi sono apertamente assai più favorevoli ad un mercato comune europeo, possibilmente svestito da ogni impronta dirigistica preferenziale. Per [la Germania] lo stabilimento di un mercato unificato in Europa è considerato certo vantaggioso, ma a due condizioni: che esso non tagli fuori la Germania dal resto del mondo nel quale essa intende spaziare con i suoi commerci; e che esso non costi alla Germania, in aiuti e compensi agli altri partners (sviluppo del Mezzogiorno in Italia, aiuti all’agricoltura francese, ecc.) più dei benefici che essa può ritrarne. Estremamente cauto è ad esempio l’atteggiamento tedesco in materia di risorse da mettere a disposizione del fondo di investimenti europeo (la proposta Spaak-Uri è per l’equivalente di un miliardo di dollari): atteggiamento che è in netto contrasto con quello preso da Spaak al Parlamento belga, quando egli ha ribadito la priorità da darsi allo sviluppo delle zone depresse europee prima che a quelle dei paesi sottosviluppati degli altri continenti.
Ma, in materia di mercato comune, e fatte salve talune difficoltà di dettaglio sorte con le altre Delegazioni, sarebbe già possibile intravedere la struttura di un trattato, se le prossime elezioni francesi daranno una sufficiente indicazione della possibilità di vararlo al Parlamento di Parigi.
Secondo gli umori politici che a quel momento prevarranno, sarà possibile fare dei passi avanti anche sulla questione delle istituzioni che è finora rimasta molto indietro, sia pure con un generico consenso alla necessità di un organismo dotato di poteri autonomi (sopratutto arbitrali) e di un campo di responsabilità propria a garanzia del processo di progressivo stabilimento del mercato comune, e quale auspicabile ponte verso comuni istituzioni politiche.
1 Diretto agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.
2 La nota non è firmata ed è datata Roma, 6 dicembre.
3 Vedi D. 55.
4 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.
5 Vedi D. 85.
L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, BROSIO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERIE ALLE RAPPRESENTANZE PRESSO L’O.E.C.EE PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, A PARIGI
Telespr. 17675/4775. Washington, 8 dicembre 1955.
Oggetto: Integrazione atomica europea.
Come noto a codesto Ministero, gli Stati Uniti, manifestando un rinnovato interesse ad una ripresa dell’idea integrativa europea, si sono ripetutamente dichiarati disposti ad appoggiare la formazione di un pool atomico europeo ove questo fosse diretto a promuovere una maggiore integrazione dell’Europa Occidentale. Allo scopo di avere ogni utile informazione sull’evolvere del pensiero americano abbiamo nuovamente intrattenuto i funzionari competenti del Dipartimento in proposito.
I nostri interlocutori hanno ribadito con marcata enfasi che qualsiasi iniziativa diretta a favorire una sempre maggiore integrazione europea non può che trovare il favore del Governo americano. Questo si rende tuttavia conto che la questione deve essere affrontata e risolta unicamente dagli europei sulla base dei numerosi elementi e dati di fatto politici, economici, sociali e storici, la cui valutazione esatta deve essere lasciata a loro. L’esperienza della C.E.D. ha d’altra parte insegnato agli americani che certe pressioni, in campo europeo, possono produrre effetti contrari a quelli sperati.
In questo ordine di idee, gli Stati Uniti pur avendo una manifesta preferenza per una soluzione del problema dell’energia atomica secondo una formula analoga a quella – se non addirittura nel quadro – della C.E.C.A., si rendono conto che esistono già organizzazioni di carattere cooperativo quale 1’O.E.C.E., della cui esperienza sarebbe difficile privarsi in un esperimento di sfruttamento dell’energia atomica su base europea. Il Dipartimento ha tenuto pertanto a sottolineare in modo particolare, che nella opinione americana, vi è la possibilità per una fruttuosa collaborazione in questo campo tra le forme integrative e quelle cooperative secondo le linee che d’altra parte sono già state indicate anche dal Governo italiano nel corso delle riunioni di Brusselle.
In un esame dei vari aspetti della questione con riguardo agli altri paesi partecipanti che abbiamo fatto successivamente con i noti interlocutori, ci è stata confermata l’evoluzione in senso favorevole all’Euratom che si nota attualmente in Francia dopo le perplessità e le diffidenze dei mesi scorsi e alle quali non era estraneo il timore di veder sparire, in un pool atomico europeo, i vantaggi sperati dai francesi come conseguenza degli studi e degli investimenti già fatti per lo sviluppo dell’industria atomica1. Comunque, anche per gli americani, tale atteggiamento doveva in gran parte essere considerato come uno degli aspetti delle reazioni francesi di fronte al problema tedesco. Sembra tuttavia che in Francia ci si stia persuadendo che qualunque iniziativa destinata a legare sempre più permanentemente la Germania all’Europa Occidentale e all’Organizzazione difensiva atlantica, quale sarebbe indubbiamente una forma integrativa dello sfruttamento dell’energia atomica, sia di gran lunga preferibile ad una situazione che lasciasse il potenziale tecnico ed industriale tedesco libero di disporre senza controlli di una fonte di energia dell’imponenza di quella atomica.
Anche agli americani consta che dietro a un atteggiamento ufficiale tedesco favorevole alla costituzione dell’Euratom, stiano molte difficoltà e riserve che l’iniziativa solleva negli ambienti industriali della Germania Occidentale.
Si tratta di atteggiamenti teorici, nonché di tattica e strategia economica. I primi, che si risolvono in definitiva in illusioni pericolose, si riferiscono all’impostazione liberale dell’ attuale economia tedesca, per cui quegli industriali pensano di poter ricavare maggiori vantaggi da un mercato libero che non da uno «comune» dell’energia atomica e sostengono – più o meno in buona fede – che qualsiasi controllo statale o sopranazionale sia superfluo.
Da un punto di vista tattico e strategico, la tesi degli industriali tedeschi sarebbe poi quella di evitare controlli e discriminazioni, assicurando così all’industria tedesca quei vantaggi a cui essa per il suo livello di sviluppo di tecnica ritiene di poter aspirare.
Per quanto riguarda l’atteggiamento britannico, ci è stato detto che l’Inghilterra ha, a suo tempo, comunicato il suo desiderio di non impegnarsi in un sistema integrativo europeo, pur non escludendo la possibilità di una associazione del tipo di quella già conclusa per quanto concerne la produzione del carbone e dell’acciaio.
Da parte americana, si considera con tranquillità tale atteggiamento anche perché esso non costituisce una novità da parte britannica ed era perciò, in un certo senso, atteso.
Ci si rende conto a Washington che gli impegni che la Gran Bretagna ha oltre oceano, anche per il fatto di dover attingere a riserve di uranio situate non in territorio di dominio diretto, ma in quelli dei paesi del Commonwealth, spiegano, entro certi limiti, l’atteggiamento di riserva mantenuto nei confronti del movimento integrativo europeo dell’atomo. A questi motivi di carattere politico si aggiunge, come avviene per i francesi e a molta maggior ragione, il timore di perdere i vantaggi acquisiti da vari anni nel progresso dell’industria atomica. In questa sono state infatti investite considerevoli somme di denaro che, se l’atomo potesse essere venduto su un mercato libero, potrebbero dare maggiori frutti che non se esso dovesse essere offerto su un mercato comune.
In ogni caso si ritiene che il pragmatismo britannico consiglierà l’adozione di quelle forme, quali l’associazione del tipo adottato per la C.E.C.A., che, per ora, rispondono meglio alle varie esigenze mondiali ed europee della politica inglese.
Nel considerare tutti gli aspetti del problema, i nostri interlocutori hanno voluto attirare anche la nostra attenzione sulle conseguenze e sulla portata di carattere militare che può avere lo sviluppo dell’energia atomica per scopi pacifici. Il Governo americano si rende ben conto che un uso ed una disponibilità incontrollata del materiale fissionabile, come pure il passaggio dalla cessione di reattori di ricerca a quelli di reattori di energia produttori di plutonio, possano risultare in pericolo se incognite nella costruzione di armi atomiche, da parte di paesi stranieri, che potrebbero sconvolgere l’attuale distribuzione delle forze in Occidente.
Il Dipartimento ci ha lasciato intendere che su questo punto è oggi concentrata l’attenzione degli esperti americani: non è da escludersi anzi che proprio alla complessità di tale studio e di tali decisioni sia da attribuirsi la maggiore lentezza e cautela che si va sperimentando da parte delle case americane nei contatti con quelle estere in tema di reattori di potenza. Comunque il Dipartimento di Stato si augura che, nella eventuale costituzione di un pool atomico, destinato a favorire lo svilupparsi di questo ramo dell’industria in Europa, non venga trascurato questo aspetto del problema e vengano, fin da ora, studiate e messe in atto tutte le misure possibili di controllo atte a prevenire un abuso delle riserve di plutonio.
A questo riguardo, i nostri interlocutori hanno espresso l’avviso che potrebbe essere di grande interesse e utilità se i paesi membri dell’Euratom eseguissero un attento studio comparativo delle legislazioni rispettive e di quella americana, allo scopo di addivenire ad un opportuno coordinamento e possibilmente alla emanazione di provvedimenti analoghi.
Abbiamo osservato da parte nostra che era certamente interesse italiano e dei paesi del gruppo europeo di conoscere in dettaglio la legislazione americana e, più che quella esistente, le eventuali intenzioni di modifiche e di adattamenti che potrebbero manifestarsi nell’ambito della Atomic Energy Commission. A questo riguardo è possibile che nei prossimi giorni si abbia una riunione con la Commissione stessa.
Abbiamo quindi accennato ai nostri interlocutori alla notizia di recente annunziata da Hollister, secondo la quale il Governo americano era pronto a costituire un centro di studi e di ricerche atomiche in Asia quale contributo allo sviluppo di quel settore. Circa tale centro, sulla cui ubicazione non è stata ancora presa una decisione e su cui gli americani mantengono un imbarazzato riserbo (non sarebbe da escludere che tale riserbo fosse determinato da un «fiasco» sperimentato con gli indiani e dalla conseguente incertezza della scelta tra due paesi come Filippine e Ceylon), i nostri interlocutori hanno fatto osservare che esso avrebbe dovuto essere incaricato dell’addestramento di studenti e di scienziati ancora in stadio iniziale di preparazione.
È apparso chiaro, d’altra parte, che non si contemplerebbe qui una iniziativa americana per la costituzione in Europa di un centro analogo, dato lo stadio più avanzato di progresso raggiunto dagli europei nel campo della fisica nucleare. Ci è stato invece detto che, non appena si fosse costituito l’Euratom, l’Amministrazione avrebbe l’intenzione di farsi parte diligente per ottenere che il Congresso modifichi la legislazione vigente in materia atomica, allo scopo di permettere la concessione all’organizzazione integrata di quegli aiuti e di quell’assistenza, anche nel campo degli studi, delle ricerche e dell’addestramento, che sono previsti ora soltanto sulla base di accordi bilaterali.
Si è comunque approfittato della conversazione per riferirci alla possibile intensificazione dei rapporti nel campo atomico, tanto dal punto di vista dell’addestramento scientifico, quanto da quello dello scambio di informazioni più riservate, come ad una possibile via da percorrere nell’ambito dell’art. 2 del Patto atlantico.
È ovvio tuttavia che gli americani, in questa fase iniziale di formazione dell’Euratom, non desiderino sovrapporre idee o iniziative che possano frustrare quell’azione intrapresa dai sei paesi europei, che dovrebbe portare alle realizzazioni di integrazione europea nel campo atomico tanto auspicate in questo momento dal Governo americano.
1 Vedi D. 104.
COLLOQUIO DEL DIRETTORE GENERALEDEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,CON L’AMBASCIATORE DEL REGNO UNITO A ROMA, CLARKE
Appunto. Roma, 12 dicembre 1955.
APPUNTO PER S.E. IL MINISTRO
È venuto stamani a vedermi Sir Ashley Clarke per fare comunicazioni identiche a quelle fatte a Parigi dal suo collega Sir Hugh Ellis-Rees alla riunione di Capi Delegazioni della O.E.C.E. (vedasi telegramma di Vitetti n. 356)1.
Sir Ashley Clarke in sostanza mi ha dichiarato che il Governo britannico, nella sua responsabilità di presidente dell’O.E.C.E., e per tener conto di preoccupazioni che gli sono state avanzate dai vari Governi membri dell’O.E.C.E., ritiene che sarebbe giunto il momento di esaminare e di discutere all’O.E.C.E., al prossimo Consiglio di Ministri, i progetti di stretta cooperazione economica fra i sei Governi partecipanti ai lavori di Messina e di Bruxelles, al fine di far sì che gli obiettivi di raggiungimento di un mercato comune europeo, o di altre costruzioni a ciò connesse, siano confrontati ed eventualmente riconciliati con gli obiettivi presi in comune in sede O.E.C.E. e particolarmente nel campo degli scambi e dei pagamenti. Il Governo britannico pensa che non si dovrebbe far sì che la costruzione dei Sei possa indebolire o minare i risultati finora ottenuti nel cerchio più vasto dell’O.E.C.E.
Si ha anzi la sensazione in Gran Bretagna che il fatto che da parecchi mesi siano in corso lavori tra i Sei, ha già avuto effetti non favorevoli sulla esecuzione degli obiettivi dell’O.E.C.E., da parte di qualche Governo partecipante ai lavori di Bruxelles (Francia).
Ho preso atto di quanto comunicato da Clarke e l’ho assicurato che ne avrei riferito senza indugio a V.E.
Come prima reazione, beninteso, a carattere personale, e ispirata alle direttive date da V.E., ho fatto presente quanto segue:
È sempre stata costante preoccupazione del Governo italiano che la collaborazione dei sei Governi, enunciata nel programma di Messina, costituisse un apporto importante per la cooperazione in Europa e, come tale, un fattore di rafforzamento dell’O.E.C.E. stessa e cioè della cooperazione con i membri del cerchio più largo in Europa.
Il Governo italiano si è reso conto che qualche inconveniente poteva nascere dalla troppo prolungata discussione tecnica tra i sei Governi per la definizione degli obiettivi per un mercato comune.
V.E. infatti nella riunione di Noordwijk dell’ottobre2 aveva esercitato pressioni molto chiare per una conclusione dei lavori.
Se non è stato possibile andare più svelti, ciò è in dipendenza della crisi francese. Ma intenzione nostra e di altri Governi dei Sei è di concludere i lavori preparatori appena vi sia un Governo francese nel prossimo gennaio. Sulla sostanza delle preoccupazioni degli altri Governi membri dell’O.E.C.E. e cioè che genere di mercato europeo si abbia intenzione di realizzare, chiuso o aperto, la posizione italiana è sempre stata di mirare ad un rafforzamento dell’economia europea in stretta connessione però con le altre economie europee, con le quali è connessa.
Ho aggiunto che mentre sono incline a pensare che il Governo italiano non veda nessun inconveniente nell’avere una discussione in sede O.E.C.E. degli obiettivi comuni dei sei paesi in campo economico, mi sembrava di dover aggiungere, sempre a titolo personale, che una tale discussione non potrebbe essere fruttuosa se non quando una prima bozza di conclusioni ferme sia stata raggiunta a Bruxelles dai sei Governi. Mettere questo argomento all’ordine del giorno del Consiglio di Ministri dell’O.E.C.E., se questo avesse luogo il 10 febbraio, non avrebbe portato a nulla di molto utile in quanto la discussione non avverrebbe soltanto fra i sei Governi e gli altri membri dell’O.E.C.E., ma anche tra gli stessi Sei, se fra di essi non vi fossero ancora intese preliminari.
In tal caso una insistenza britannica a discutere prematuramente questi problemi avrebbe potuto correre il rischio di essere interpretata come un freno al raggiungimento di un orientamento comune tra i Sei.
1 Vedi D. 107.
2 Vedi D. 85.
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., A PARIGI
T. segreto 12981/3921. Roma, 13 dicembre 1955, ore 15,30.
Oggetto: Rilancio europeo e O.E.C.E.
Suoi 356 e 3572.
È pensiero anche nostro che, quando decisioni dei sei Governi interessati avranno avuto modo di essere precisate sulla base dei lavori tuttora in corso a Bruxelles, sarà utile avere uno scambio di idee in sede O.E.C.E. sia per mettere al corrente altri Governi linee generali azione europeista, sia per stabilire necessari collegamenti in relazione alle regole di carattere generale vigenti nella Organizzazione. È tuttavia da domandarsi se una discussione prematura possa condurre a utili risultati e pertanto ci sembra che decisione per iscrizione all’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei Ministri non possa essere presa ora, ma piuttosto in prosieguo di tempo quando lavori Bruxelles saranno giunti a stadio più avanzato.
1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con il numero di protocollo 504.
2 Vedi D. 107.
IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI
Appunto riservatissimo1.
APPUNTO SULLA RIUNIONE MINISTERIALE DEL CONSIGLIO ATLANTICO
E SULLA RIUNIONE DEL CONSIGLIO DIRETTIVODELL’UNIONE DELL’ EUROPA OCCIDENTALE
(Parigi 14-16 dicembre 1955)
Secondo la consuetudine di fine d’anno e sotto la presidenza del Presidente di turno, Ministro degli Affari Esteri di Islanda, Signor Gudmundsson – che poi, nel corso delle discussioni, ha praticamente ceduto la presidenza stessa al Segretario Generale, Lord Ismay – il Consiglio Atlantico si è riunito, nel Palais de Chaillot, alla data prevista del 15 dicembre 1955.
Alla riunione, che ha avuto carattere plenario ed alla quale hanno partecipato Delegazioni particolarmente numerose, l’Italia è stata rappresentata dal Ministro degli Affari Esteri, On. Martino, con il quale erano il Ministro della Difesa, On. Taviani ed il Sottosegretario per il Bilancio, On. Ferrari Aggradi.
Dopo aver preso visione, anche qui secondo la prassi oramai abituale, del rapporto compilato dal Segretariato Generale dell’Organizzazione sull’azione da questa compiuta nel periodo intercorso tra il 1° maggio ed il 30 novembre, il Consiglio ha iniziato lo studio compiuto, dagli organi competenti, tanto sul coordinamento dell’azione dell’Alleanza quanto sugli sviluppi della politica sovietica negli ultimi mesi. E tale studio ha permesso una discussione generale di carattere politico, sviluppatasi poi in una riunione ristretta alla quale hanno partecipato i Ministri degli Affari Esteri.
In essa i Rappresentanti dei vari Stati hanno posto in risalto le conclusioni che è lecito trarre dagli importanti sviluppi politici degli ultimi mesi culminati con il non felice esito della seconda Conferenza di Ginevra.
Tra gli altri il Ministro On. Martino ha messo in particolare rilievo come Mosca, rimanendo fedele al dogma dell’universalità del comunismo e continuando una sua politica di disturbo tanto in Europa quanto negli altri continenti, vada oramai nettamente orientandosi verso una azione economica e psicologica altrettanto pericolosa di quella militare: azione alla quale occorre, da parte dell’Alleanza atlantica, controbattere efficacemente e negli stessi settori prescelti da Mosca favorendo quindi tutti quei metodi e quei sistemi atti – primo tra tutti, per quanto concerne il nostro continente, l’integrazione europea – a impedire la disgregazione interna dei paesi interessati. In altre parole se i problemi di ciascun paese dovessero essere considerati quali locali e non già generali, si produrrebbe una deformazione di prospettiva capace di favorire, in forma definitiva, la nuova azione intrapresa dall’Unione Sovietica: azione di cui gli ultimi e più clamorosi episodi sono costituiti dai rapporti diretti e personali che i dirigenti di Mosca stanno successivamente prendendo con tutti i paesi del settore asiatico. Situazione, questa, che necessita uno sforzo coordinato dei paesi del mondo libero in merito a tutti i problemi politici ed economici con una organica ed efficace coordinazione di tutte le loro grandi forze politiche, tecniche ed industriali, finanziarie e di mano d’opera. Soltanto così l’Alleanza atlantica potrà rivolgere a tutti i paesi, e particolarmente a quelli non sufficientemente sviluppati, un messaggio di effettivo interessamento ed incoraggiamento per impedire il loro progressivo inglobamento nel blocco avversario.
Il Consiglio è poi passato ad esaminare in dettaglio le importanti questioni di carattere più propriamente militare concernenti tanto la «revisione annuale» per il 1955 nella quale le necessità di difesa vengono, come è noto, considerate alla luce delle possibilità economiche e finanziarie di ciascuno dei paesi alleati, quanto i rapporti relativi ai progressi compiuti dall’Organizzazione nel coordinamento della protezione militare atlantica.
Tutti questi documenti sono apparsi, proprio perché nel quadro degli sviluppi della strategia e delle applicazioni delle armi nuove nei confronti di quelle convenzionali, particolarmente interessanti. Tra l’altro il Comandante in Capo dello S.H.A.P.E., Generale Gruenther, ha personalmente illustrato al Consiglio gli intendimenti ed i piani del Comando stesso in merito alla formazione di un nuovo sistema di avvistamento e di protezione antiaerea in tutta la zona europea con la sua divisione in quattro speciali settori coordinati a mezzo di un organismo centrale.
Tra tali questioni militari è apparsa di primaria importanza e significato quella costituita dalla necessità di una revisione completa dei cosiddetti «piani di Lisbona» e ciò sia per le avvenute trasformazioni, strategiche e tattiche, del dispositivo di difesa nel nostro continente a causa degli avvenimenti politici in esso recentemente verificatisi, sia per la conseguente maggiore importanza assunta da taluni dei settori medesimi, quali il Mediterraneo: situazione questa che aveva già fatto oggetto di una iniziativa italiana avanzata e sviluppata nel corso della riunione dei Ministri della Difesa tenutasi a Parigi nello scorso ottobre.
Così il Ministro italiano della Difesa, On. Taviani, nel ritornare su questa iniziativa, ha potuto fare approvare dal Consiglio una decisione di massima per la quale, tra l’altro, viene stabilito che, a mezzo di un esame collettivo, sarà dato di identificare quei casi nei quali – sempre allo scopo del rafforzamento della difesa in taluni settori considerati di particolare interesse generale – uno sforzo comune, anche di carattere finanziario, dovesse rendersi necessario.
L’ultima parte della riunione è stata infine dedicata alla discussione, richiesta da parte italiana, in merito ad una maggiore e più efficace attuazione delle norme e degli intendimenti contenuti nell’articolo n. 2 del Patto atlantico, relativo, come è noto, agli sviluppi di una coordinazione fra gli alleati nei settori culturale, economico e sociale per il raggiungimento di un migliore regime di vita delle popolazioni dei singoli paesi.
Questo argomento era già stato trattato altra volta e fin dai tempi della Conferenza atlantica di Ottawa del 1951, ma, forse anche a causa della urgente ed improrogabile polarizzazione dell’attività atlantica sulle necessità del potenziamento della difesa militare, non aveva mai trovato la sua giusta impostazione e la sua effettiva valorizzazione, con un conseguente minore interessamento, da parte delle pubbliche opinioni, nei confronti della creazione di una vera e propria comunità atlantica atta ad affrontare tutti i problemi della vita collettiva e non già soltanto quelli di natura specificamente militare.
Oggi – come ha fatto subito osservare il Ministro On. Martino, che, nell’illustrare i motivi della necessità della discussione stessa, ha ad essa dato inizio – i termini del conflitto fra i due blocchi vanno spostandosi, probabilmente anche a causa di un relativo raggiunto equilibrio di forze e particolarmente per i tremendi pericoli insiti in una guerra guerreggiata, verso settori importantissimi nella vita civile. Si sta cioè passando ad un periodo di «competitive coexistence» nel quale le iniziative politiche, economiche e di propaganda sono destinate a moltiplicarsi come proprio sta a dimostrare, in questi giorni, lo sforzo che l’Unione Sovietica sta compiendo non soltanto nei riguardi di paesi asiatici ma oramai anche del Medio Oriente e, in certa parte, dell’Africa. La contromanovra alleata non può quindi non svolgersi proprio prendendo lo spunto da una valorizzazione della collaborazione prevista e contemplata nell’articolo n. 2 del Patto.
Ora – ha continuato l’On. Martino – se nel campo della consultazione politica ed anche in taluni settori della propaganda collettiva qualche progresso è stato effettivamente compiuto, poco è stato fatto per una effettiva ed efficace collaborazione economica e sociale. Sembra così giunto ora il momento di dare maggiore considerazione alle capacità tecniche, finanziarie e di lavoro dei paesi alleati sia per venire, in una proiezione di carattere esterno, in soccorso ai paesi sottosviluppati, sia per raggiungere un effettivo rafforzamento della collaborazione economica nell’interno dell’Alleanza. Su questo ultimo punto, e per quanto concerne specificamente l’Europa, occorre che i paesi maggiormente interessati si adoperino per raggiungere al più presto possibile un accordo per la creazione di un mercato comune in Europa, e per svolgere un’azione collettiva diretta a permettere lo sviluppo delle zone economicamente deboli che si trovano in seno all’Alleanza. Lo stesso studio compiuto dagli organi della N.A.T.O. in merito agli sviluppi paralleli delle economie del blocco atlantico e del blocco sovietico, mostra chiaramente quale sia il pericolo rappresentato da un accrescimento molto rapido del potenziale economico delle zone che fanno capo a Mosca: da ciò la constatazione della necessità di compiere qualsiasi sforzo per profittare delle capacità di produzione fino ad oggi non sufficientemente sfruttate e che effettivamente esistono nei nostri paesi. In una parola, alla nozione dell’alleanza deve, in effetti, corrispondere la nozione della indivisibilità della stabilità economica.
Le argomentazioni fatte presenti dal Ministro On. Martino sono state poi ampiamente riprese e confermate dal Ministro degli Affari Esteri dei Paesi Bassi, Beyen, al quale si sono associati altri Rappresentanti in modo che alla fine è stato possibile, questa volta, espressamente e specificamente indicare, nel comunicato finale della riunione, il riconoscimento da parte del Consiglio Atlantico della necessità, in vista della recente evoluzione della situazione internazionale, di una maggiore stretta collaborazione tra gli alleati sulla base prevista dall’art. 2 del Trattato: il Consiglio Permanente di Parigi studierà ora e metterà in azione le misure ritenute utili a tale scopo.
Di notevolissimo interesse è stata, questa volta, anche la compilazione di tale comunicato finale, affidata specificamente dal Consiglio ai Ministri degli Affari Esteri del Belgio e della Repubblica Federale Tedesca, Spaak e von Brentano, e ciò dato il carattere di notevole rilevanza politica che il Consiglio stesso ha voluto dare ad un simile documento. In esso, infatti, dopo la constatazione del rifiuto sovietico manifestatosi a Ginevra di venire davvero ad un accordo in merito tanto alla riunificazione, a mezzo di libere elezioni, della Germania, quanto all’istituzione di un efficace sistema di controllo degli armamenti e persino alla creazione di un libero scambio di informazioni e di persone tra i popoli dell’Unione Sovietica e quelli del mondo libero, si afferma nettamente la volontà dei paesi atlantici di vedere nel Governo di Bonn il solo governo libero e legittimamente costituito della Germania stessa.
Il comunicato inoltre, nel fare accenno alle recenti iniziative e dichiarazioni definite «provocatorie» dell’Unione Sovietica in merito al Medio Oriente ed all’Asia, dichiara che una tale tattica, parallela al continuo accrescimento della capacità militare dei Soviet, è destinata a sollevare nuovi problemi e a costituire una nuova «sfida» contro il mondo libero. In conclusione gli alleati dichiarano che la N.A.T.O. resta il fondamento non rimpiazzabile della sicurezza delle quindici Nazioni alleate e che soltanto attraverso di essa si potrà dare fine all’antico sistema per il quale le Nazioni, rimanendo isolate, erano destinate ad essere soggiogate, l’una dopo l’altra, da un gruppo «dispotico» quale quello sovietico.
La riunione atlantica è stata preceduta da altra, ad essa in certo modo collegata, del Consiglio Direttivo dell’Unione dell’Europa Occidentale tenutasi, sotto la presidenza del Ministro degli Affari Esteri dei Paesi Bassi, Beyen, nel Quai d’Orsay nel pomeriggio del 14 dicembre.
Per tale riunione non era previsto un vero e proprio ordine del giorno. Ma essa si è rivelata non poco interessante in quanto che il Ministro degli Affari Esteri del Belgio, Spaak, che, come è noto, è il «coordinatore» dell’attività prevista dagli accordi di Messina per il rafforzamento e l’unicità dell’azione economica tra i sei paesi europei che formano la C.E.C.A., ha ritenuto opportuno mettere nettamente sul tappeto l’interrogativo se effettivamente esista – come vari indizi, in questi ultimi tempi, hanno fatto supporre – una vera e propria riserva britannica nei confronti di un progettato e auspicato mercato unico europeo tra i sei paesi continentali. Sensazione, questa, destinata evidentemente a creare preoccupazioni ed inquietudini tali da praticamente infirmare lo sviluppo e la conclusione dei lavori degli speciali Comitati formatisi, a quello scopo, a Bruxelles.
Il Ministro degli Affari Esteri del Regno Unito, Macmillan, chiamato tanto direttamente in causa, ha fornito alcune specificazioni, rievocando tutta l’azione svolta dal Governo di Londra, proprio per difendere e potenziare l’Europa, all’indomani stesso del crollo della C.E.D., e facendo presente come Londra non intenda svolgere alcuna ingerenza nei confronti dei lavori di Bruxelles. Egli però non ha mancato di aggiungere come l’U.E.O. fosse rimasta, in quanto tale, estranea agli accordi di Messina. Ora – egli ha continuato – il Regno Unito è stato spesso accusato, in questi ultimi decenni, di aver fatto troppo tardi udire la propria voce in merito agli sviluppi delle situazioni internazionali. Questa volta esso non intende pronunciare alcuna «condanna» circa gli sviluppi di una «Europa a sei» ma esso mancherebbe al suo dovere se non facesse tempestivamente giungere un suo avvertimento (warning) in merito ai pericoli insiti nel voler creare una speciale e particolare situazione economica in un solo settore dell’Europa con evidenti danni tanto nei confronti di altri paesi quanto delle organizzazioni internazionali, prima tra tutte l’O.E.C.E., oggi esistenti. La creazione, quindi, di un mercato comune limitato a sei paesi non potrebbe non sollevare problemi che devono essere tempestivamente, ed in antecedenza, attentamente studiati e considerati.
A queste argomentazioni ed osservazioni hanno controbattuto specialmente, oltre lo stesso Spaak, Beyen e l’On. Martino facendo tra l’altro presente come le preoccupazioni affiorate tanto nel Governo del Regno Unito quanto in seno all’O.E.C.E. sembrino ingiustificate specie anche perché appare ben difficile considerare le eventuali conseguenze dei lavori di Bruxelles prima che questi siano stati effettivamente conclusi. A Bruxelles tanto il Regno Unito quanto l’O.E.C.E. sono del resto rappresentati da speciali loro osservatori e cio renderà possibile una ulteriore tempestiva consultazione.
Il Consiglio Direttivo ha poi preso in esame il delicato problema della entità delle forze militari dei singoli paesi componenti l’U.E.O. nel quadro ed in merito alle limitazioni stabilite negli accordi costitutivi di Parigi, e ha deciso di incaricare i Rappresentanti permanenti, residenti a Londra, di stabilire una procedura atta a permettere, ogni anno, di pronunciarsi in merito alla pianificazione delle forze concernenti le unità poste, da parte degli Stati membri dell’U.E.O., sotto il comando degli organi della N.A.T.O.
Ultimo argomento trattato al Consiglio è stato quello relativo alla formazione ed al funzionamento della Agenzia di controllo degli armamenti, costituita, a norma degli stessi accordi di Parigi e che appare avere incontrato, in questi ultimi tempi, talune difficoltà dovute sopratutto al fatto che non pochi dei paesi interessati appaiono tuttora privi delle disposizioni legislative interne atte a facilitare, in pratica, il suo effettivo funzionamento.
Dopo una esauriente esposizione fatta dal Capo della Agenzia, Ammiraglio Ferreri, si è svolta una discussione diretta a considerare la convenienza di una pronta entrata in funzione dell’organismo. Il Rappresentante italiano, On. Martino, nel porre in rilievo tutti i motivi politici che consigliano, anche ai fini di una eventuale nuova ripresa di contatti con l’Unione Sovietica in merito ai sistemi ritenuti migliori per un effettivo controllo degli armamenti, tale inizio, ha insistito perché i paesi dell’U.E.O. non dessero l’impressione di praticamente mettere in sordina un efficace sistema di autocontrollo, quale quello previsto dall’Agenzia. Alla fine è stato, di comune accordo, stabilito che l’Agenzia stessa potrà alla data del 1° gennaio 1956 iniziare effettivamente la sua azione di studio e di comparazione sulla base dei documenti informativi che, su sua richiesta, le verranno forniti dai singoli Stati dell’Unione. In un secondo periodo, che deve augurarsi prossimo, essa passerà all’effettivo controllo a mezzo di visite ed ispezioni «in loco».
Le due riunioni, e particolarmente quella del Consiglio della N.A.T.O., si prestano, a seguito ed a riassunto delle interessanti discussioni in esse avvenute, a talune osservazioni e considerazioni.
1. L’Organizzazione atlantica è indubbiamente passata, negli scorsi mesi, ed a causa delle perplessità sorte in merito agli sviluppi della cosiddetta «distensione», attraverso un periodo non facile vuoi di carattere psicologico vuoi, conseguentemente, di carattere organizzativo. Ora i giochi sono stati fatti e hanno dimostrato come in realtà si sia passati ad una nuova impostazione di «guerra fredda» con conseguente necessità di una revisione e di un rafforzamento dei piani dell’Alleanza. A questo proposito l’imponenza della riunione alla quale, come si è sopra già accennato, le Delegazioni hanno partecipato in numero inusitatamente considerevole, ha dimostrato la «ripresa» dell’attività atlantica. E la vivacità dei termini e degli argomenti contenuti nel comunicato finale ha voluto essere, nei confronti delle pubbliche opinioni, una prova provata delle rinnovate possibilità di reazione dei paesi atlantici alla cosiddetta nuova «sfida» sovietica.
2. Di quanto sopra gli americani non hanno potuto, naturalmente, non compiacersi e il Segretario di Stato Foster Dulles non ha mancato, in compenso, di dare assicurazioni per il mantenimento, la prosecuzione e forse anche l’intensificazione degli aiuti militari ai paesi dell’Alleanza ritenuti in condizione di maggiore necessità.
3. Tutte le informazioni fornite dai singoli Rappresentanti – e particolarmente da quelli degli Stati presenti alle Conferenze di Ginevra nonché dal Ministro canadese Pearson recatosi, come è noto, negli scorsi mesi a Mosca – hanno concordato nel far ritenere come il Governo sovietico, convinto forse dei pericoli di una guerra combattuta, si sia nettamente orientato per l’istituzione di un «interludio di pace» nel quale esso, sicuro di una vittoria dei principi comunisti a più o meno lunga scadenza, conta poter svolgere in numerosi settori e particolarmente presso i cosiddetti paesi neutrali un’azione intesa a facilitare la disintegrazione dell’Occidente: niente, quindi, riunificazione della Germania se non a prezzo di una sua progressiva comunistizzazione.
4. Il problema tedesco, come è apparso chiaramente nel corso della discussione politica accentratasi intorno ad alcune importanti dichiarazioni fatte dal Ministro degli Esteri von Brentano, resta tuttora al centro dell’attenzione della N.A.T.O. Il Rappresentante di Bonn ha, a tale proposito, riaffermato la netta convinzione del suo Governo – e ciò anche ai fini della sua solidità nei confronti della propria opinione pubblica – di voler rimanere fedele all’Alleanza occidentale chiedendo però in cambio una rinnovata condanna ed ostracismo del cosiddetto Governo di Pankow. In altre parole un qualsiasi tentennamento occidentale porterebbe, secondo von Brentano, a conseguenze molto gravi sulla compagine tedesca. E tale concetto ha ribadito il Segretario di Stato Hallstein nell’esporre la situazione oggi regnante a Berlino.
5. I paesi alleati, nel prendere conoscenza degli sviluppi del Patto di Bagdad2 quali esposti dal Rappresentante della Turchia, hanno mostrato di volere aprire bene gli occhi su quanto avviene nel Medio Oriente e in taluni altri Stati asiatici. Tra l’altro il Ministro degli Esteri di Francia, Pinay, ha fatto allusione alla creazione, da parte occidentale, di un «piano» da lanciarsi nel quadro delle Nazioni Unite, a favore dei paesi di quel settore.
6. I dubbi e le perplessità, esistenti in taluni paesi europei, circa i veri intendimenti del Regno Unito nei confronti della cosiddetta «Europa a sei» sono usciti, dalle riunioni di Parigi, piuttosto confermati in quanto che, questa volta, si è avuto un abbastanza esplicito «avvertimento» britannico, al quale si sono naturalmente associati specialmente i Paesi scandinavi, inteso a far comprendere come il mantenimento e l’efficienza dell’O.E.C.E., nella quale, come è noto, il Regno Unito svolge funzioni preminenti, siano ritenute condizioni essenziali e pregiudiziali per la collaborazione economica. Evidentemente è questo un campo ed una situazione degni della maggiore attenzione. Da parte italiana è stato comunque esplicitamente fatto presente come l’attività ed i lavori intesi a permettere progressivamente la creazione di un mercato comune limitato, per ora, ai sei paesi ma naturalmente aperto a quanti volessero parteciparvi, saranno continuati fino all’auspicato raggiungimento dell’accordo. Si tratta, nel caso dell’integrazione europea, di una vera e propria «idea forza» che, specie nei paesi come l’Italia aventi una forte opposizione comunista, appare suscitare, specie in taluni settori della gioventù, interesse ed attrazione.
7. Nella riunione della N.A.T.O. è stata fatta questa volta, e per iniziativa portoghese, chiara parola della opportunità che un giorno la Spagna possa entrare a far parte dell’Organizzazione in quanto ritenuto elemento importante nel quadro politico e militare della reazione alleata alle mosse sovietiche nel Medio Oriente e sulle coste mediterranee. Ma qui l’opposizione dei Paesi scandinavi, Norvegia dapprima e Danimarca in seguito, è stata chiara e precisa in quanto che i loro Rappresentanti hanno esplicitamente affermato come il regime di Madrid non possa essere considerato dalle loro opinioni pubbliche quale atto a confermare, con la sua partecipazione alla N.A.T.O., il «carattere democratico» dell’Alleanza: atteggiamento questo che può sembrare contraddittorio con l’approvazione, data proprio negli scorsi giorni, dagli stessi Paesi scandinavi, all’ammissione della Spagna alle Nazioni Unite, ma di cui occorre comunque tenere debito conto.
1 Il documento è datato Roma, 19 dicembre 1955.
2 Ci si riferisce all’alleanza politico-militare fra l’Iraq e la Turchia, siglata il 24 febbraio 1955 e alla quale avevano successivamente aderito l’Iran, il Pakistan e la Gran Bretagna.
L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. 69/3. Bonn, 2 gennaio 1956.
Oggetto: Viaggio dell’On. Presidente del Consiglio e dell’On. Ministro degliAffari Esteri a Bonn.
Con telespresso n.12898/1969 del 27 settembre 19551, trasmisi a codesto Ministero una serie di appunti in relazione alla visita del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Affari Esteri allora prevista per il mese di ottobre.
Poiché nel frattempo molti avvenimenti si sono prodotti ed altri sono venuti man mano modificandosi rispetto alla situazione descritta negli appunti stessi, ritengo opportuno aggiornare questi ultimi di maniera che V.E. possa avere al momento della sua venuta qui, un quadro più esatto tanto circa lo stato dei rapporti italo-tedeschi, quanto circa le reazioni germaniche in merito a questioni più generali.
Gli appunti inviati nel mese di settembre, si dividevano come segue: questioni dirette italo-tedesche (A. Alto Adige, B. Lavoratori, C. Rapporti economici, D. Rapporti culturali); questioni particolari (Caso Kappler, Restituzioni, Rapporti fra ANSA e DPA); questioni generali (Interpretazione dell’alleanza; Integrazione europea; Riunificazione tedesca; Patti di sicurezza e rapporti con l’Est).
Le questioni particolari sono rimaste all’incirca quelle che erano all’epoca in cui i precedenti appunti vennero redatti; quindi l’aggiornamento di essi (allegati a, b e c) ha comportato solo limitate modifiche: credo del resto che scarse saranno le possibilità di trattare gli argomenti relativi.
Le questioni più specificatamente italo-tedesche hanno invece subito modificazioni anche sostanziali: e perciò trasmetto qui uniti i Promemoria nn. 1, 2, 3 e 42, i quali le riprendono alla luce dei rapporti odierni fra il nostro paese e la Germania.
Per quanto infine riguarda le questioni generali, credo utile riassumere il mio pensiero in un Appunto unico che prende quindi il n. 53.
Allegato
PROMEMORIA N. 5
I
La questione che avevo segnalata per prima tra quelle da sollevare in occasione della visita, e cioè l’interpretazione dell’alleanza tra i due paesi nel quadro dell’alleanza generale, è restata all’incirca quella che era allora descritta. Direi anzi che essa si è acutizzata, nel senso che presenta oggi un’importanza maggiore, in vista dell’eventualità che o per pressione dell’opinione pubblica o per allettamenti sovietici, il Governo tedesco possa un giorno venir indotto a trattare direttamente con l’Est, ossia o con Mosca o con il Governo della Repubblica Democratica Tedesca o con ambedue.
In tal caso, è evidente che i rischi che potrebbero correre gli alleati relativamente ad una modificazione dell’atteggiamento tedesco nei rispetti dell’alleanza generale risulterebbero ancor più gravi di quanto non fossero in precedenza. Tali rischi possono essere connessi con due eventualità: o che la Germania, per addivenire alla sua riunificazione, esca dall’alleanza occidentale, indebolendo così tutto il sistema di difesa del mondo libero ed avviandosi in tal modo verso la strada della neutralizzazione o quanto meno di una terza forza fra i due blocchi contendenti; oppure che essa richieda modifiche sostanziali dei Trattati di Parigi, tali da alterarne profondamente la portata e il contenuto.
Tralascio volutamente la terza e più grave eventualità, e cioè che per inconsulti atteggiamenti la Germania possa spingere ad una situazione tale dalla quale non vi sia altra via d’uscita se non quella di un conflitto.
Rammenterò invece che in questo momento di profonda delusione a seguito dell’insuccesso della Conferenza di Ginevra, e a motivo dell’intransigenza sovietica, si assiste in Germania ad un lento riscaldarsi dell’opinione pubblica, la quale, se dapprima indifferente alla questione della riunificazione, poco a poco, e spinta dal successo ottenuto nel plebiscito della Saar nonché dal rapido benessere che si afferma nel paese, è indotta ad occuparsi sempre maggiormente dell’avvenire nazionale, avocando in certo modo a sé quello che era rimasto fino ad ora un problema ristretto ad alcune classi politiche, problema che del resto queste ultime trattavano non già a sé stante bensì come materia di gioco nella politica di opposizione a quella del Cancelliere.
Si assiste perciò ad alcuni tentativi, prevalentemente sostenuti da una frazione dei liberali e da ambienti protestanti, affinché si giunga ad avvicinarsi alla tesi sovietica in quanto essa proclama che la riunificazione tedesca è materia da trattarsi direttamente fra tedeschi anche se appartenenti a due Governi così diversi come quelli dell’Ovest e dell’Est. L’idea di un Comitato o di un Parlamento pantedesco va prendendo piede, purché esso (nell’erronea idea dei sostenitori) possa consistere di una rappresentanza proporzionale e non paritetica delle due popolazioni. E’ chiaro che una volta posti su questa strada, i rapporti fra Germania Occidentale e Orientale scivolerebbero fatalmente nelle trattative dirette con l’URSS in quanto essa è la potenza che di fatto detiene la chiave della riunificazione o della separazione del paese.
Perciò, non appena inoltrati su questo cammino, i tedeschi potrebbero trovarsi di fronte a richieste sovietiche che sarebbe loro difficile respingere, in quanto l’opinione pubblica, già tendente di per sé stessa al neutralismo, si rifiuterebbe di rinunziare ad una riunificazione ormai intraveduta, unicamente per salvare il riarmo inserito «à l’avance» nel quadro dell’alleanza occidentale.
Ecco perché sembra opportuno chiarire con il Governo federale quali dovrebbero essere i rapporti che debbono intercorrere tra alleati, di maniera che a nessuno di questi sia consentito procedere ad atti positivi o sottrarre, in maniera negativa, alla conoscenza altrui fatti e tendenze che potrebbero coinvolgere in maniera gravissima l’avvenire di tutti. Sarebbe conveniente in altre parole far presente che gli alleati, e quindi anche noi, dobbiamo essere informati e presentiti di tutti quelli che possono essere gli sviluppi della politica germanica sulla quale ormai fa pernio la politica generale.
Può essere che impegni del genere siano già stati presi da parte tedesca in sede N.A.T.O.; ma non mi sembrerebbe ciò malgrado inopportuno che essi venissero richiamati alla luce in occasione della visita, e che i governanti tedeschi udissero dalla bocca dei governanti italiani quale importanza noi annettiamo a che una politica di alleanza comune sia e permanga veramente tale, ponendo fine, per quanto possibile, a quella divisione tra alleati maggiori ed alleati minori che per forza di cose la Germania ha sin qui praticato.
Ciò tanto più, in quanto i tedeschi non mancheranno certo di domandare agli uomini di stato italiani: un rinnovato impegno a non riconoscere, neppure indirettamente, il Governo di Pankow; un costante appoggio alla tesi tedesca (oggi tesi ufficiale fino a quando non sia passibile di pratiche modificazioni) essere cioè indissolubile il problema della riunificazione da quello della sicurezza; nonché, infine, un generico ma continuo appoggio italiano ai fini della riunificazione, da far valere in qualunque occasione, sia collegiale sia bilaterale. Parrebbe perciò ovvio che se impegni od affidamenti ci vengono chiesti, anche da parte nostra si chiedano affidamenti ed impegni corrispondenti, anche se per noi è più facile concedere i primi e per i tedeschi più difficile consentire ai secondi.
II
Già nell’appunto redatto in settembre scrivevo che «il Cancelliere sente che gli occorre un solido piedistallo e che questo piedistallo può trovarsi anche in una forma di unificazione europea». Questa tendenza del Cancelliere è uscita rafforzata dalla delusione di Ginevra. Egli ritiene infatti che per ancorare la Germania all’Ovest, e per difendere i tedeschi contro loro stessi e magari loro malgrado nei rispetti dei pericoli insiti nell’espansionismo proprio di questa nazione, è indispensabile che si crei un contrappeso per impedire l’eventuale scivolamento del paese tanto verso un isolazionismo nazionalista quanto verso il mondo dell’Est.
Per tale motivo, il Cancelliere ed il Governo hanno in questi ultimi tempi rafforzato i loro atteggiamenti europeisti, ed hanno moltiplicate le loro affermazioni a tale riguardo, non solo all’interno del paese ma anche in occasione delle più recenti riunioni internazionali. Direi anzi che essi si affrettano in tale direzione, quasi temendo che il tempo o le circostanze possano sfuggir loro ed impedire di raggiungere lo scopo. Conviene quindi a noi di approfittare di questo stato d’animo e di tale possibilità, anche perché essa potrebbe anche essere l’ultima che ci si presenti in tal senso.
Non occorre d’altro canto dimenticare che mentre il Governo è decisamente indirizzato, almeno per il momento, verso l’integrazione europea, le forze economiche del paese vi oppongono per contro una seria resistenza. Ed è ovvio. L’espansione tedesca da un lato è tale, e dall’altro l’esperienza subita nella C.E.C.A. è anche tale, da indurre gli industriali tedeschi a desiderare di far da soli. Questo contrasto tra opinione delle classi dirigenti economiche ed il Governo si manifesta in special modo in due settori: l’Euratom ed il mercato comune circa il quale sta lavorando il Comitato di Bruxelles.
Potrà dirsi, in relazione al primo problema, che le recenti dichiarazioni del Signor Dulles le quali escluderebbero una diretta collaborazione bilaterale degli Stati Uniti con i differenti paesi europei in materia atomica, dovrebbero costituire una remora molto forte ai tentativi tedeschi di isolare questo paese da una collaborazione comune in campo atomico. Ma ciò non toglie che la creazione della Commissione presieduta dal Ministro Strauss, le ingenti sovvenzioni stabilite in bilancio per le ricerche atomiche, nonché il progresso scientifico tedesco (che nella sola fisica possiede oggi ben quattro Premi Nobel viventi) rende più difficile l’avvicinamento della Germania ad un atteggiamento comune europeo. Occorrerà pertanto vincere delle resistenze, o quanto meno contrastare le tendenze centrifughe che si manifestano in Germania in tale materia, collegando anche la questione atomica con l’integrazione europea generale, e quest’ultima con tutto il sistema di sicurezza del mondo libero. Per il quale ultimo sarebbe impossibile lottare contro un avversario come l’URSS soltanto nel settore militare, in cui gli altri alleati sarebbero chiamati a dare tutta la loro forza ed a giocare l’esistenza nazionale, senza che l’alleanza riceva in altri settori quei correttivi che soli possono influenzare il benessere di tutti e quindi il rafforzamento intrinseco dell’alleanza stessa.
Ma è da ritenere che fra l’idea di Spaak (pool atomico supernazionale della C.E.C.A.) e le idee inglesi (collaborazione paritetica in seno all’O.E.C.E.), gli ambienti interessati tedeschi propendano tuttora per quest’ultime.
Quanto al mercato comune, gli industriali tedeschi temono che si ripresenti il caso della C.E.C.A., nella quale i contributi prelevati sulle ricche industrie tedesche sono stati in gran parte spesi a beneficio di industrie più povere, quali le nostre. Si potrà forse dare assicurazione ai governanti tedeschi che le nostre richieste in materia di fondi di integrazione europea non mirano ad ottenerci sovvenzioni del genere e che siamo disposti ad esaminare caso per caso con loro se e quale collaborazione diretta possa essere sviluppata allo scopo di impedire un troppo acuto dislivello tra i vari rami delle due produzioni.
Inoltre non può farsi astrazione dalle idee estremamente liberali del Ministro Erhard, il quale sostiene (e sostenne anche a Roma) che il mercato comune non dev’essere chiuso e concedere ai partecipanti facilitazioni reciproche maggiori di quelle che sarebbero riservate al mondo esterno. È chiaro che se tali idee venissero mantenute «in toto» nessun trattamento preferenziale potrebbe venir stabilito fra i partecipanti ed ancor meno un’unione doganale completa.
Non sono da qui in grado di avanzare suggerimenti di quanto possa venir chiesto o proposto in materia di integrazione sopratutto per controbattere le tendenze di Erhard: solo gli uffici del Ministero possiedono gli elementi necessari. Ma ho ritenuto opportuno porre in risalto tanto il momento favorevole per richieste del genere presso il Cancelliere ed il Ministro degli Esteri, quanto le difficoltà di fondo che continuano a sorgere, in modo che da parte nostra si possa controbattere presso i governanti l’impressione che questi possono anche involontariamente risentirne, o avanzare delle proposte atte a facilitare lo sviluppo di quanto da noi desiderato.
Certo, se potessimo presentare qui delle idee, anche di massima, concrete, e avanzare delle proposte precise, ciò sarebbe opportuno, data anche la mentalità tedesca che occorre sempre agganciare a qualcosa di specifico.
III
Gli ultimi due appunti inviati in settembre concernevano rispettivamente la questione della riunificazione e delle frontiere tedesche, l’uno, e l’altro l’orientamento tedesco in fatto di patti di sicurezza e di distensione col mondo orientale.
Gli avvenimenti intercorsi dal settembre ad oggi inducono a ritenere tali appunti come superati, dato che la Conferenza di Ginevra, lungi dal portare ad un progresso, ha condotto ad un regresso (ma insieme ad una chiarificazione) sia della situazione generale che della questione tedesca propriamente detta.
Tuttavia molte delle considerazioni esposte allora valgono ancora adesso, con l’avvertenza che: in fatto di riunificazione, se l’atteggiamento ufficiale del Governo tedesco non ha cambiato, l’opinione pubblica, assente allora, sta dando segni di progressivo interessamento; e che in fatto di patti di sicurezza e di distensione, se l’atteggiamento governativo è rimasto, anzi è divenuto più ortodosso di quello che non fosse alcuni mesi or sono, è probabile che lo svolgimento ulteriore degli avvenimenti possa condurre ad un riesame del punto di vista tedesco, tanto che esso si indirizzi in futuro verso una eventuale revisione dei patti militari quanto che esso abbia ad orientarsi verso sistemi di sicurezza di fatto tendenti alla formazione di un blocco di terza forza, il quale se anche non si identificasse con la neutralizzazione del paese potrebbe avvicinarvisi.
È tuttavia troppo presto per considerare praticamente tali eventualità più di quanto non sia già stato fatto in precedenza; tanto più che nel corso della prossima visita è da ritenersi per sicuro che i governanti tedeschi le scarteranno e negheranno recisamente, anche se il discorso vi fosse portato da parte dei governanti italiani.
È quindi opportuno cercare di approfittare di questo momento che intercorre fra atteggiamento governativo rimasto per ora fermo e probabile mutamento che potrà verificarsi nell’opinione pubblica e che potrebbe condurre in un prosieguo di tempo a modificazioni progressive della linea politica di questo paese. Dico approfittare di questo momento, perché, come ho accennato in materia di collaborazione europea, questo periodo o questa occasione potrebbero essere le ultime.
La più recente manifestazione internazionale dopo l’insuccesso di Ginevra si è svolta durante la riunione della N.A.T.O. lo scorso dicembre. Sia per garantire agli alleati la fedele osservanza della linea politica fin qui seguita, o sia per agganciare i rappresentanti americani al fine di evitare che scavalcando la Germania essi potessero considerare la possibilità di accordi diretti con l’URSS, sta di fatto che in quell’occasione il Governo tedesco ha in un certo senso investito la N.A.T.O. dell’intera questione germanica, in tal modo manifestando l’intendimento tanto di voler collaborare il più strettamente possibile con detta organizzazione quanto di volerla al massimo valorizzare.
In questa linea il Governo tedesco è dunque parallelo con l’atteggiamento del Governo italiano il quale, così giustamente, intende ed insiste perché l’alleanza militare non continui ad essere unicamente tale, ma anzi perché essa estenda i suoi compiti e le sue finalità a due settori: 1) la formazione di una politica comune tra i vari paesi aderenti all’alleanza; 2) l’applicazione estensiva dell’articolo 2 del Patto atlantico.
Su queste due direzioni si troverà il Governo tedesco consenziente, e converrà impegnarlo in tal senso, ancora una volta.
È infatti ovvio il nostro interesse a far sì che la politica generale venga dibattuta nel foro nel quale anche la nostra voce è udita con autorevolezza, evitando colloqui o decisioni a quattro che sostanzialmente ricostituirebbero un direttorio di potenze europee dal quale il nostro paese rimarrebbe estraneo. Anche per quanto riguarda l’art. 2, il nostro interesse è così evidente che non v’è da spendere parole per rammentarlo.
Tuttavia conviene osservare che allorché noi siamo i soli o per lo meno i principali attori a sollevare l’avvenire di tale articolo e a spronare gli alleati verso il compimento delle promesse ivi contenute, ci troviamo in evidenti condizioni di inferiorità, in quanto siamo tosto supposti di parlare, sia come «zona depressa» dell’intera Europa, sia come paese che intende sopratutto esportare una manodopera esuberante.
Pertanto, se invece di continuare ad essere noi la pattuglia di avanguardia di tale tendenza potessimo spingere i tedeschi ad assumersi essi questa parte, o quanto meno a marciare di conserva con noi, credo che la nostra posizione sarebbe facilitata e che i risultati che ci auguriamo di conseguire sarebbero forse raggiungibili con maggiore facilità.
Cosa può proporsi ai tedeschi in questo senso ? Esito a dare una risposta, perché mi mancano troppi elementi, e rischierei di scrivere cose banali o non pratiche. È però mio compito attirare l’attenzione su questa possibilità e pregare gli uffici del Ministero di voler esaminare se e quali proposte o richieste di indole concreta potrebbero essere sottoposte e discusse in occasione della visita, al fine di poter basare su di esse un’azione ed un lavoro comune.
Comunque, anche un semplice accenno nel comunicato finale circa la identità di vedute dei due Governi su questa particolare questione e sul loro comune intendimento di farsi parti diligenti per vederla realizzata, costituirebbe un passo in avanti che potrebbe avere il suo peso sugli altri partners dell’alleanza.
IV
È da domandarsi quali potranno essere le domande che alla loro volta i tedeschi potranno presentare agli uomini di stato italiani. Per quanto riguarda gli impegni circa la riunificazione e la sicurezza, ho già accennato in precedenza.
Per quanto concerne altre questioni, ritengo che i tedeschi non mancheranno di rivolgere ai colleghi italiani precise domande sui seguenti punti:
a) Da che cosa dipende la scarsa stabilità dei Governi italiani?
Occorre rammentare che la Costituzione tedesca è tale, per cui il Cancelliere è assicurato per tutta la durata della legislatura dell’appoggio della maggioranza precostituita e che in caso di frantumazione di quest’ultima, egli non abbandona la carica se la maggioranza prima di rovesciarlo non abbia indicato e votato il nome del successore. La stabilità che consegue da un tale sistema rende difficile alle classi politiche tedesche di comprendere perché paesi come la Francia e come l’Italia, i quali intendono il regime democratico in maniera diversa, siano sottoposti a crisi successive dovute al modificarsi a breve scadenza di maggioranze talvolta occasionali.
Inoltre, non va neppure dimenticato che il Parlamento tedesco non conosce un frazionamento dei partiti politici analogo al nostro. Due sono i partiti maggiori, il democristiano ed il socialista, mentre quelli minori (Liberali, Profughi-Rifugiati e Partito Tedesco) o fanno parte della coalizione governativa o rappresentano scarse frazioni nel numero dei votanti parlamentari. Un tale sistema si avvicina a quello inglese dei due grandi partiti, ed ignora quali siano le conseguenze che la votazione proporzionale produce in un paese come il nostro, il quale ha inoltre più vivo il senso della lotta politica e sopratutto quello del personalismo. Infine, se l’azione comunista prende oggi un certo piede in Germania attraverso le agitazioni sindacali e nelle votazioni dei consigli di fabbrica, un partito comunista esiste in Germania solo sulla carta e non ha in Parlamento alcun seggio; di maniera che non riesce facilmente comprensibile ai governanti tedeschi perché i Gabinetti italiani sono costantemente sotto la minaccia di agitazioni comuniste e perché i socialisti, invece di esercitare un’opposizione parlamentare normale, sono legati con i primi da un patto di azione che con essi sostanzialmente li identifica.
b) Esistono modificazioni nella politica italiana?
Il Cancelliere, tanto legato anche personalmente alla memoria di De Gasperi, non mancherà di interessarsi per sapere se i Governi italiani che han succeduto al di lui ultimo Gabinetto, si considerino ancora gli eredi della sua politica.
Se in fatto di direttive internazionali una tale domanda potrebbe risultare strana, lo sarebbe meno se invece si riferisse all’indirizzo interno di «centro che va a sinistra» pur mantenendosi centro.
A tal proposito occorre però notare che, sotto la spinta dell’infiltrazione comunista che il Cancelliere teme e che ha posto in risalto anche recentemente, e in vista anche del lievitare di scontenti sociali cui si sta assistendo in Germania, il Governo Federale mette molto l’accento, per l’anno testé aperto, su una politica sociale più attiva. È quindi probabile che tendenze italiane più aperte oggi verso tale direzione siano ora più apprezzate qui di quanto non lo sarebbero forse state mesi or sono.
c) Quali sono le prospettive della lotta comunista in Italia e quali i progressi o i regressi del comunismo?
A questo argomento il Cancelliere è sempre stato particolarmente sensibile. Lo è più ancora oggi, in quanto una infiltrazione comunista nelle masse operaie a fini prettamente sindacalisti si sta già profilando nel suo paese, ed in quanto l’istallazione di una Rappresentanza sovietica condurrà anche qui alla forzata collusione di rappresentanti coperti dall’immunità diplomatica con gli agitatori che essi sapranno fomentare nel paese. È quindi probabile che verranno rivolte delle domande precise: se le iscrizioni al partito comunista sono in regresso o meno, se esiste una alleanza politica tra i partiti di estrema sinistra ed i sindacati e con quali mezzi la controbattiamo; se nei consigli di fabbrica i comunisti sono in regresso o in progresso e quale azione è stata esperita al riguardo, e simili.
Il dare impressione agli uomini politici tedeschi che si è in Italia decisi a fare una politica sociale aperta, ma allo stesso tempo a stringere le fila di difesa contro le infiltrazioni e contro le agitazioni comuniste, sarà il miglior sistema per guadagnarsene la stima e la fiducia, e quindi l’appoggio in tutte le questioni internazionali. Per contro insistere sul pericolo di una espansione comunista in casa nostra, ai fini di indurre i governanti tedeschi ad un’azione più decisa o in fatto di europeismo o in materia di resistenza all’Est, condurrebbe a risultati opposti.
1 Vedi D. 98, nota 3.
2 Non pubblicati.
3 Per il seguito vedi DD. 117 e 126.
IL PRIMO SEGRETARIO DELLA RAPPRESENTANZAPRESSO L’O.E.C.E., UNGARO,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI
Telespr. 00011. Parigi, 2 gennaio 1956.
Oggetto: L’O.E.C.E. ed i lavori di Bruxelles. Punti di vista britannico e olandese.
Per opportuna informazione di codesta Rappresentanza si trasmette in allegato:
1) testo delle dichiarazioni fatte dal Rappresentante permanente britannico, Sir Hugh Ellis-Rees, in una riunione dei Capi Delegazione del 6 dicembre scorso2;
2) testo delle dichiarazioni di risposta fatte dal Delegato dei Paesi Bassi, sig. Kruisheer, nella successiva riunione dei Capi Delegazione che ha avuto luogo il giorno 20 dello stesso mese.
Allegato I
For personal informationof Heads of Delegations
RECORD OF A STATEMENT BY SIR HUGH ELLIS-REES CHAIRMAN OF THE COUNCIL OF O.E.E.C.
TO HEADS OF DELEGATIONS AT AN INFORMAL MEETING ON TUESDAY, DECEMBER 6, 1955
My intention in arranging this informal meeting was to have an intimate discussion about the future of O.E.E.C. and how that future may be affected by the work which was initiated by the Messina Conference.
I am aware that there has been a certain amount of unsettlement and anxiety about the future of our work and economic co-operation in Europe, and perhaps some impatience that we have not had this kind of discussion before. It has also been impressed upon me that the attitude of the United Kingdom is of special significance, because its economic links with Europe are important and because the holder of the Chair of the Organization is expected to give a lead. No doubt all will have recognized that this is something which cannot be hurried and plenty of time has to be allowed for mature reflection. But I think we can with advantage turn our minds to this question today, and it falls to me as Chairman to initiate a discussion, and to put certain considerations before you.
The meetings which started at the Messina Conference six months ago have been going on all the summer in Brussels. The United Kingdom was asked to send a representative to meetings of the Preparatory Committee and the O.E.E.C. in common with other international organization was asked to send an observer. I have had the advantage of drawing upon their experience, as well as many informal discussions with our colleagues here who represent the «Six» countries. If they disagree with what I am saying, they will no doubt tell us afterwards.
The first point I want to make is that it has been clear from the Messina communique, and from subsequent discussions and statements, that the objectives of the «Six» countries are primarily political. There were political objectives in the formation of the Coal and Steel Community, and in the attempts to create a European Defense Community and a European political Community. The Messina initiative attempts to reach the objective of closer political unity of federation through economic integration and the main manifestation of this is in the project to form a Common market. There are, of course, a number of other specific projects for which integration was advocated at Messina, including the development of nuclear power, conventional energy, transport and so on.
The second point is that it was obvious from the Messina communique the pursuit of the studies could lead to overlapping and duplication with work of O.E.E.C. and others; and the United Kingdom, both in its formal communication to the «Six» Governments and through its representatives in Brussels, has constantly pointed to the need to avoid such duplication. This has also been stressed by our Secretary General while attending the meetings of the Preparatory Committee. But I am less concerned with what has been happening during the last four months than I am about what is going to happen in future. I should say here and now that the United Kingdom has never opposed or discouraged in any way the move by the Six towards greater political unity, and nothing I say now should be construed in a different sense. What I do say is that one cannot deal with this problem in isolation when economic means are selected to secure the political end.
My third point is that we cannot yet be certain what problems will confront us, because the reports of the Preparatory Committee to the Six Foreign Ministers are still in preparation, or if they have been completed, their content is unknown, and the Ministers who attended the Messina Conference will have to meet to decide what their recommendations are to be. Incidentally it should be noted that neither the representatives of the United Kingdom nor of the O.E.E.C. took any part in the drawing up of the reports. But I think that we can be certain that there will be a problem and that we are entitled to assume for the purposes of our own reflections, in O.E.E.C., that the formation of a Common Market among the «Six» countries and the creation of an institution to deal with atomic energy will be contained in the recommendations in the report which the Ministers have to consider. There will be no doubt other recommendations in which we are interested but we shall come to these later.
As regards any proposal which may emerge from the discussion in Brussels about the creation of a Common Market in Europe, Member Governments can only define their attitude when the definite proposal emerges. There is no need for me to dwell on the special difficulties which this kind of proposal presents to the United Kingdom, in view of its relationship with, and obligations to, the members of the British Commonwealth. You are no doubt all familiar with them, as such difficulties have been stressed before when schemes for integration or preferential areas have been discussed in days gone by. Nothing that has emerged from Brussels so far has in any way removed these difficulties.
My purpose, however, this afternoon, is not so much to define an attitude to what we imagine certain proposals may turn out to be, as to reaffirm the interest of the United Kingdom in this Organization, in which it is our privilege to hold the Chair, and in promoting economic cooperation in Europe as a whole through O.E.E.C.
It is perhaps helpful if we remind ourselves of the situation in Europe with which we are all concerned. O.E.E.C. is not, as some recent commentators seems to imagine, an obscure and isolated community of experts. It is a conference of 17 member countries, who, with the assistance of their expert advisers, meet in perpetual session and are bound by a most far-reaching Convention to which all Member Governments have adhered. We have the United States and Canadian Governments in close association with us. One can realize the force of what membership means when we discuss whether or not a new member can adhere to the Convention. We do not represent any sectional or departmental interest. I am an Ambassador who represents the views of Her Majesty’s Government, and I am responsible to them for decisions taken in their name. If the Chancellor of the Exchequer or another British Minister comes here, he is speaking for the Government. We are not just an institution, we are the chosen instrument by which the Government work in co-operation and have been gradually strengthening the bonds between us over the seven years of our existence, reinforcing the economy of Europe, increasing the standards of living of our peoples and thereby serving the political ends of the free world. We have with these ends in view, tried to expand trade in the vast area which we represent and externally also, and make it free from restriction. We have been working towards a larger multilateral system of trade and payments in close association with the British Commonwealth and the United States. We have new candidates for membership knocking at the door. Who could say that the future is unpromising? If the Governments are willing, we can attain our objectives.
I have seen it said recently that O.E.E.C. has gone as far as it can go; that it was all very well in its time, but now its useful life is coming to an end. I have also read in an article that nothing concrete or dynamic can be achieved under a system of inter-governmental co-operation: the person who wrote this did not, of course, understand what has been happening in Europe. The agreements which we forged for ourselves last July would put a lie to any statement that we have reached an end of our usefulness or ability to progress, or that nothing could be achieved through co-operation. Member Governments showed what could be achieved by these methods only a few months ago.
Now, within this group of countries there are six from which there have merged ideas of closer relationships between themselves, a political unity or federation which they hope may be achieved through economic integration, and we have to consider whether these exclusive interests can be reconciled with the wider interests of O.E.E.C. We are fully alive to the arguments for promoting political stability in Western Europe by economic integration and even to the long-term economic arguments in terms of the more efficient use of resources which can be adduced in favor of encouraging the idea of a European Common Market. I think it is open to argument whether, in view of the difficulties facing this group, which are well known to us all, they would achieve their targets any quicker than O.E.E.C. might do through other methods. But this is not the time or the place for such an argument. I am working on the assumption that this method of attaining the political unity which they are seeking is not in question. None the less, the European Common Market as is now envisaged would be an exclusive group; and it is probable that if an agreement were to be signed tomorrow the period required for setting it up might be as long as ten or fifteen years. It goes without saying that the subjects with which the creation of a Common Market is concerned, are to a large extent identical with problems with which O.E.E.C. is concerned: the liberalization of trade, tariffs and the removal of other barriers to trade, free movements of manpower, harmonization of economic policies and so on. The difference is that whereas we have been working to adopt general principles of freer trade and payments on the widest possible basis, the creation of a European Common Market as now envisaged would be an exclusive grouping and as at present advised it might take the form of a discriminatory bloc. The period required for setting it up would be very long, and during that period there is a risk that there would be a growing measure of discrimination which would undo the work which has taken place in O.E.E.C. in reducing discrimination.
The danger in all this is that if we do not pay careful attention to the probable evolution of these plans, so far from leading to a greater integration of Europe, we may be faced with a division of Europe into two camps. The threat of such a division in the field of payments last summer helped to spur us on to finding a way of preventing it.
What seems essential to the United Kingdom is that the intimate co-operation on the broadest scale through O.E.E.C., which has been so effective in what it has achieved in the past seven years and which brings closer together all countries of Western Europe should be continued and strengthened. I have heard it said that we should, in O.E.E.C., remember that what is happening at Brussels is purely of a political character, the inference being that it is something which cannot affect us. This inference cannot be accepted. What, I ask you, would the political consequences be if this Organization were to be brought to an end? The trouble is that since it has been successful and has not taken steps, to assert itself in the councils of nations, it is taken for granted. But if there were any treat that it would collapse and leave nothing in its place, as far as many Members are concerned that would be an event of great political significance.
If the main concentration of economic work by six important members is carried out for their exclusive interests and the work of the whole group is secondary so far as they are concerned, this Organization is bound to be weakened. An Organization of this kind, if greatly weakened and frustrated, would disintegrate. I have heard it said that this would not matter greatly. I think it would matter a great deal and I take it that we are all agreed on this.
If this is recognized by all Member countries, I am sure that a way can be found of reconciling the interests of some who wish, through integration, to have even closer ties.
How can we handle this? We cannot, I think, take the experience of the last few months as a precedent. It is quite inadequate that O.E.E.C. on issues of this kind should merely send an observer to the Working Committees of the group, or supply it with information. We have had no consultations between the varying interests where consultations are obviously essential.
As the Six countries are naturally entitled to discuss among themselves how they can achieve their political objectives, I could not suggest that they discontinue them or hold them under the auspices of O.E.E.C. I do not think that this would be reasonable or practical at present. But I do suggest that the situation demands that the relationship between the Messina initiative and O.E.E.C. should be discussed between all the interested parties in the O.E.E.C. forum: so that instead of our sending observers, who, although as competent as could be found for the purpose, are not principals in a discussion, the movement should be reversed and the representatives of the Six in O.E.E.C., who do act as principals, should represent the views of that group.
Then again, the kind of problem that the evolution of a Common Market will create for the members of O.E.E.C., who are not in the Common Market does not appear susceptible to a satisfactory solution by bilateral agreement or Councils of Association between the Common Market and each of the O.E.E.C. Members outside. That is why it seems to me that general understanding progressively worked out through O.E.E.C. would be more appropriate and profitable.
It is clearly impossible for this Organization to pause in its work or to change direction for an undetermined period, while we wait to see whether or not this initiative will be successful. We cannot neglect the work which our Convention and the acts of our Council require us to perform. We cannot have a repetition on a much broader scale of what happened during the arguments with the Green Pool when no agricultural work of any importance was performed in this Organization while the institutional problem was being argued. This is impossible. Rather does it seem that the Six countries themselves should, with all the concentration and genius which they possess, make their program fit into the broad co-operation of O.E.E.C., so that we do not lose the broader objective in searching for the narrower. I wish to inform you that in pursuance of these ideas the Chancellor of the Exchequer will be proposing that this subject should be placed on the agenda of the next Ministerial Council in February, when we would hope that the Ministers of the Six countries would discuss with their colleagues how the reconciliation can be brought about.
This is why I have raised this problem in a general way this afternoon. I have tried to avoid falling into the trap, of which M. Valery warned us come months ago, of making the issue one of black or white within this Council which has for so long worked in harmony. But I feel it my duty to draw attention to the dangers of the continuance of a separate initiative going its own way without co-ordination with this Organization. I feel, and in this I am expressing the views of Her Majesty’s Government, that the position of O.E.E.C. as the major instrument of economic co-operation on an all-European basis, is something which we must preserve in full strength and in good heart, otherwise it will not succeed. But it must inevitably be weakened if it does not at an early date take full cognizance of the problems which I have put before you. For this reason I hope that you will support me in my suggestions that we should be bringing our minds to bear on these problems and prepare the way for Ministerial discussions in two months’ time.
There is one issue on which I have not yet touched, and that is in regard to nuclear energy; and this will, if I understand the plans aright, be coming before us before Christmas. Here again we must await the report of the Working Party before discussing the substance? Professor Nicolaidis may wish to tell us what progress they are making and how they see the timetable. I am hoping to see the report completed before Christmas for a first reading and discussion in the Council. There would then have to be a closer scrutiny of the proposals in order that recommendations might be put before Ministers in February. I mentioned this because it will bring to a test the possibility of reconciling the special interests of some with the general interests of all. This particular case is, of course, not on all fours with the Common Market, because many Member countries outside the Six are equally interested in securing European collaboration in the field of nuclear energy. There will be some proposals from the Brussels Preparatory Committee, and most of us do not know what those proposals will be, or what the recommendations of our own working party will be. We shall therefore have to postpone our substantial discussion till later. But if my understanding of what the Working Party has in mind is correct, it is a plan which would allow Member countries within O.E.E.C. to collaborate or not to collaborate for specific purposes, depending on their needs and resources. That is to say, on some questions collaboration between the 17 countries might be feasible and sensible; on others there might be various groups, but all under the broad umbrella of O.E.E.C. This would be the kind of scheme the United Kingdom would support in principle, and we should be prepared to collaborate in a program of this kind in O.E.E.C., so far as our resources permit, and we should hope that everyone else would be able to do the same.
I think that I have now said enough, and I hope that it will be clear to you that the United Kingdom puts great store in the continued efficiency and usefulness of O.E.E.C. and is alive to the responsibilities which it accepted in being elected to the Chair.
Allegato II
RECORD OF A STATEMENT BY THE REPRESENTATIVE OF THE NETHERLANDSTO HEADS OF DELEGATIONS AT AN INFORMAL MEETING ON TUESDAY DECEMBER 20TH, 1955
Mr. Chairman,
I would like to refer to the meeting of Heads of Delegations we had on the 6th of December, during which you made an important statement with regard to the relationship between the O.E.E.C. and the work which was initiated by the Messina Conference.
As you indicated that the views you expressed were those of the U.K. Government, my Government has felt the desirability and the need to give their reaction to your statement at this early stage.
In the first place it should be pointed out that the following observations are strictly limited to the aspects of the problem dealing with the common market, with the exclusion of matters relating to nuclear energy. It is unfortunate that these two problems are in our discussions often linked so closely together. Although they are, of course, related, in a very general sense, in our view they should be better considered separately, as the problems with which we are confronted in the field of nuclear energy are in many respects fundamentally different from those of the common market. Introducing a common market raises problems of economic and social policy arising from the abolition of trade impediments – problems which will not confront us in connection with a common approach to nuclear matters. On the other hand, the common approach to nuclear matters has many technical and also political aspects entirely of its own. Nuclear energy matters will be discussed in detail at the forthcoming ministerial meeting and it is felt premature to deal with this matter in this statement.
With regard then to the problem of the common market my Government have some difficulty in understanding the extreme anxiety which was expressed in your statement and they find it also difficult to follow many of the arguments which have been put forward.
At the basis of your statement, Mr. Chairman, there are three assumptions which I am sorry to say, seem completely unwarranted.
The first is that the Messina Conference was prompted primarily by political considerations.
The second is that the action of Messina is destructive to the strength and the future of O.E.E.C.
The third is that the six of Messina are striving to form an exclusive and discriminatory group.
The first assumption, Mr. Chairman, shows a misapprehension of the intentions which lead the six governments to adopt the Messina resolution. The Messina resolution intended to coordinate and reinforce the efforts towards close economic cooperation in Europe. It aimed at convening a conference or conferences of governments which would establish such close cooperation. However, as it could not be expected that such a conference or conferences should lead to practical results without a thorough preparation, the Messina conference decided the creation of a preparatory meeting of experts under the leadership of a political personality. It did not seem practicable to organize this preparatory work in too wide a group. It was therefore decided to limit the group of countries participating in this work to the six Messina countries, inviting the United Kingdom to share in the work and to invite a number of international bodies to join the work as observers. In this way it was thought that the widest possible use could be made of available experience, that duplication of work could be avoided and that the implications of any proposal which might be put forward for all the countries participating in those organizations would be considered. Nothing was decided at Messina about the institutional aspects of the problems nor about the countries who would be considered as natural participant to any form of cooperation to be studied or proposed, or, for that matter, to any conference of Governments to be convened to take action on proposals originating from the work of the preparatory Committee.
All economic cooperation has political overtones and the political importance of close economic cooperation in Europe will not be denied by anybody. But to say that the Messina resolution was, in fact, an attempt of six countries to achieve political unity or federation by way of economic cooperation is a gross misstatement which is all the more surprising because all I say now has been explained by the Netherlands Minister of Foreign Affairs in the Council of O.E.E.C. immediately after the Messina Conference.
Nothing in the work of the Messina Conference can therefore considered to be destructive to O.E.E.C. Your statement seems particularly unjust in view of the fact that the Governments of the six countries have always adhered full heartedly to the work of the O.E.E.C. and have done all they possibly could to strengthen the O.E.E.C. and to assure its useful existence in the future. If – as a consequence of the work at Brussels – a common market in the six countries would gradually be established, there is no valid reason to assume that such common market would obviate, hamper or destruct the existence or usefulness of O.E.E.C. As to the statement that the six of Messina are striving to form an exclusive group, nothing has been done or said by the six to justify such a statement.
In this connection I would like to remind you of the text of the Messina Resolution, which explicitly leaves open the question to which Governments will be invited to participate in the Conference of Governments. A decision with regard to this will be taken at a later stage.
Moreover it has always been made clear from the beginning that the results of the Brussels Conference will be open to everybody. There is no question here of exclusiveness.
A word should also be said about the so called discriminatory character of a common market, a point which also was emphasized in your statement. One should be very careful with the use of the word discrimination which has an unpleasant flavor. If it is meant that the creation of a common market as envisaged by the six is an incentive to discrimination, then I may remind the Council that Article 5 of our Convention actually goes so far as to encourage member countries of this Organization to commit the sin of discrimination when it advocates that they should bend together to form customs unions.
This is precisely and exactly the objective of Brussels and these efforts are therefore completely in conformity with the objectives of our Organization as laid down in the Convention. It is the purpose of the six to do away with discrimination in a larger degree than has been possible up to now in Western Europe. I believe that the traditional policy of the Benelux countries form a guarantee that they will not allow discrimination in the form of protection to crop up between the Brussels group and non-members. It might be of interest to draw a parallel with the development of Benelux, where the three countries within O.E.E.C. have proved that they do not intend to hamper foreign trade. Moreover, just as in the case of Benelux, the non-participating countries will enjoy all advantages that a larger integrated market offers to their exports.
It is always hazardous to work with analogies, but it is tempting to remind the Council of the strong opposition of the International Monetary Fund against the establishment of the European Payments Union. The arguments put forward at the time by the I.M.F. were of similar nature as the arguments we find in the statement you made at our informal meeting on the 6th of December. If these arguments would have triumphed I think none of us will deny that this would have been not only highly detrimental to the development of intra-European trade and payments, but also to this development in the world as a whole.
These, Mr. Chairman, are the observations my Government would like to draw to your attention and to the attention of my colleagues for consideration and reflection. I sincerely hope that these observations may help to bring to an end the unfortunate atmosphere of rivalry and competition which exists between our Organization and Brussels. We believe that there is no reason for this. If Brussels succeeds, which my Government sincerely hope it will, this need not result in any weakening of our Organization of which my Government will continue to be an active member with a positive and cooperative attitude. You yourself, Mr. Chairman, have said: «If Governments are willing, we can attain our objectives». My Government would like to leave no doubt as to their willingness to attain the objectives of O.E.E.C.
1 Diretto alle Ambasciate a Ankara, Atene, Belgrado, Berna, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Lussemburgo, Madrid, Oslo, Ottawa, Parigi, Vienna e Washington, alle Rappresentanze presso il Consiglio Atlantico a Parigi e presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, alle Legazioni a Copenaghen, Dublino, Lisbona e Stoccolma e, per conoscenza, alla Direzione Generale degli Affari Economici (riferimento per la D.G.A.E.: « Foglio n. 1558 del 29/12/1955 di codesto Ministero»).
2 Vedi D. 107.
L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Telespr. 196/1071. Londra, 9 gennaio 1956.
Oggetto: Cooperazione nel campo dell’energia atomica. Atteggiamento britannico di fronte a iniziative Euratom e O.E.C.E.
Si è preso lo spunto dall’avvenuta pubblicazione del rapporto O.E.C.E. sulle possibilità di azione nel campo dell’energia nucleare, nonché da recenti notizie di questa stampa che fanno chiara allusione alla preferenza dimostrata dagli inglesi al progetto O.E.C.E. in confronto all’Euratom, per prendere qualche contatto al Foreign Office, a livello uffici, al fine di conoscere il pensiero degli ambienti responsabili circa le ragioni che orienterebbero il Governo britannico a favorire, in materia, una impostazione anziché un’altra.
Premesso che una cosa sono le intese tecniche fra la United Kingdom Atomic Energy Authority e gli organismi similari di altri paesi – intese frequenti, per non dire continue, e illustrate nell’ultima parte del rapporto annuale dell’Ente britannico, trasmesso a codesto Ministero col foglio n. 5657/2782 del 10 novembre u.s.2 – e un’altra cosa sono gli accordi intergovernativi, di cui si vuol parlare qui, è da rilevare che l’atteggiamento inglese parte da questi presupposti generali:
1) la considerazione che, in fatto di energia nucleare, ci si trova ancora in fase sperimentale: per cui è prematuro, se non pericoloso, prendere impegni e fare progetti troppo precisi; e ciò non soltanto per il noto motivo che non si riesce a separare il campo delle applicazioni civili da quello militare, che involve problemi di difesa e di sicurezza, ma anche perché un eccesso di coordinamento non porterebbe necessariamente ad un più rapido progresso;
2) il fatto che l’ordine di grandezza dei fondi, assegnati e disponibili per la ricerca e la sperimentazione, è ad un tempo modesto – nei confronti degli Stati Uniti – e ingente nei riguardi di altri paesi: il che porta alla necessità