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l. Il presente volume, terzo della serie Il, abbraccia il periodo compreso fra il 1 o luglio 1871 e il 30 giugno 1872, immedia,tamente successivo cioè al trasferimento della capitale e del corpo diplomatico da Firenze a Roma. La questione romana continua a rimanere al centro dell'azione del governo, dell'atteggiamento delle potenze e dell'opinione pubblica straniera. Problemi che erano stati messi in evidenza nel precedente periodo, come la difficile situazione interna spagnola dopo l'ascesa al trono di Amedeo di Savoia, continuano ad essere seguiti con particolare attenzione. Per quanto concerne il problema tunisino il volume documenta ancora le trattative e l'arbitrato relativi alla controversia con il Bey; mentre per Tripoli vengono posti in luce gli sforzi per ottenere la riforma delle capitolazioni. È in questo periodo inoltre che si colloca il progetto italiano per una colonia penitenziaria al Borneo. Numerosa infine la documentazione sull'orientamento delle potenze circa l'attività dell'Internazionale e i suoi collegamenti con i repubblicani ed internazionalisti italiani che vengono particolarmente seguiti dalle varie rappresentanze diplomatiche all'estero. 2. Il volume è prevalentemente fondato sulla documentazione conservata nell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri e precisamente sui seguenti fondi archivistici: a) Gabinetto e Segretariato Generale: Corrispondenza telegrafica in arrivo e in partenza; b) Carteggio confidenziale e riservato; c) Divisione • politica • : Registri copia-lettere in partenza, Rapporti in arrivo; d) Pratiche diverse trattate dalla Divisione politica . 3. L'Archivio della Legazione di Londra è stato utile per controllare i passi mancanti o di lettura incerta nonchè le date di trasmissione e di arrivo degli analoghi telegrammi conservati nei registri della Corrispondenza telegrafica. 4. Altri Archivi, soprattutto privati, hanno fornito un importante contributo per la compilazione del volume: l'Archivio Visconti Venosta, conservato a Santena; le carte Eredità Nigra, conservate presso l'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri; le copie delle carte Artom, conservate presso la Commissione Documenti Diplomatici. 5. Per le ricerche e il coordinamento dei documenti ho avuto la preziosa collaborazione del Prof. Francesco Bacino a cui va il mio particolare ringraziamento. Con lui desidero ringraziare vivamente le Dott. Emma !annetti e Emma Ghisalberti per la compilazione dell'apparato critico. Ringrazio infine il Signor Armando Renzopaoli per la solerzia con cui ha eseguito il suo lavoro. ANGELO TAMBORRA
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A BER· LINO, DE LAUNAY, A LONDRA, CADORNA, A MADRID, DE BARRAL, A PARIGI, NIGRA, A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, A VIENNA, DI ROBILANT, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, PATELLA
T. 1707. Roma, 2 luglio 1871, ore 17
Le Roi est arrivé ce matin. Il a été reçu chaleureusement par la population. Tranquillité complète en ville et au Vatican.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. 2590. Roma, 2 luglio 1871 (per. il 3).
Sarà noto all'E. V. l'unito indirizzo (l) che si dice mandato dalla Sezione Milanese della Internazionale al Comitato Centrale di Londra.
Il Prefetto di Milano ritiene non solo menzognera l'apposizione delle 2540 firme, ma mentiti pur anche i nomi dei firmatari Maldini, Giovacchini e Léon Dupont.
Prego la compiacenza dell'Onorevole mio collega Ministro degli Esteri a far praticare qualche ricerca, che forse non tornerà disutile, sull'esistenza all'estero di tali individui, tanto più che il nome del Giovacchini è ben noto a Londra.
Attenderò a suo tempo coi desiderati cenni il ritorno dell'unito numero dell'Opinion Nationale.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A CARACAS, VIVIANI
D. 11. Roma, 3 luglio 1871.
Ho ritardato di pochi giorni la spedizione dell'ultimo mio dispaccio, che porta la data del 23 giugno, per poter meglio conoscere qual seguito le Potenze intendono dare alle rimostranze collettive proposte dalla Germania, per ottenere che codesto Governo federale dia un esito soddisfacente a molti giusti richiami promossi presso di lui da vari stati europei nell'interesse dei loro connazionali.
Sono oggi in grado di trasmetterle copia (traduzione) delle istruzioni date dal Ministro degli Affari Esteri d'Inghilterra al rappresentante di S. M. Britannica in Caracas. È con particolare soddisfazione che ho riscontrato l'uniformità di idee esistente a questo riguardo fra il Governo inglese e noi. Le istruzioni date al Signor Middleton sono infatti in tutto conformi a quelle che
V. S. ha ricevuto e questa circostanza agevolerà a lei il compito che le venne affidato.
Non saprei rendermi esattamente conto del significato che Lord Granville ha voluto dare a quella parte delle sue istruzioni che si riferisce alla dichiarazione da stendersi in comune. Egli dice che, sebbene tale dichiarazione non dovrà essere troppo vaga, tuttavia non deve far cadere sopra tutti in generale la responsabilità dei richiami particolari. A me sembra che ciò sia conforme alle istruzioni che io le ho date il 23 giugno u. s. relativamente alle domande Bottaro e Miano, istruzioni che Ella è autorizzata ad interpretare nel senso di non discostarsi da quanto la maggioranza dei Rappresentanti esteri stimerà conveniente di fare per casi analoghi, senza impegnare però il R. Governo in una discussione che riuscirebbe molto difficile a sostenere. Con ciò voglio dire ch'Ella dovrà approfittare della circostanza attuale in cui i Rappresentanti delle principali potenze presenteranno una domanda collettiva per ottenere possibilmente il risarcimento di tutti i danni sofferti dai R. R. sudditi, salvo poi ad insistere più particolarmente e con maggiore impegno in favore di coloro che, anche secondo la lettera del trattato di commercio esistente fra l'Italia ed il Venezuela, hanno un diritto incontestabile di essere indennizzati.
(l) Non si pubblica.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3826. Vienna, 3 luglio 1871, ore 15,30 (per. ore 18).
Arrivé hier au soir. Reçu ce matin par le comte Beust. Très aimable accueil. Il m'a répété chaleuresement ce qu'il avait déjà dit à Curtopassi et à la délégation autrichienne à l'égard de l'ltalie. J'ai répondu que le roi et le Gouvernement appréciaient hautement initiative prise et attitude simpathique de l'Autriche. Quant'à la présence de Kubeck pendant le séjour du roi à Rome il me semblait qu'on devait regarder l'incident comme vidé.
IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 624/222. Londra, 3 luglio 1871.
In una conversazione avuta con Lord Granville l'ho trattenuto intorno agli affari della Cina, cui si riferisce il di Lei dispaccio del 1° giugno p. p. n. 21 Politico.
S. S. mi confermò i timovi che si avevano dagli Europei nella Cina, la comunicazione della Circolare di cui fa cenno l'E. V. nel predetto suo dispaccio, i preparativi militari nel Dispaccio stesso indicati, e che si facevano dai Cinesi.
A riguardo di ciò che avveniva nella Cina nelle relazioni degli Europei, accennò alla classe dei letterati siccome quella che più pareva agitarsi, ed indicò la quistione religiosa come la causa principale di questo movimento. In questo soggetto mi tenne un discorso analogo a quello fattomi dal Signor Hammond, e che ebbi a riferire all'E. V. col mio rapporto del 2 Marzo p. p. n. 127 Politico.
I Missionari Cristiani si ingerivano talvolta in affari estranei alle cose meramente religiose, e l'appoggio che negli anni passati avevano avuto, specialmente dalla Francia, ve li aveva incoraggiati. Il Governo Inglese li aveva avvisati che il suo appoggio sarebbe loro mancato ove con questo contegno avessero provocato delle complicazioni, ed il Signor Conte mi fece notare come l'Inghilterra fosse più di ogni altro Stato interessata in quel Paese. La Francia aveva domandato che certi capi degli ultimi deplorabili fatti avvenuti nella Cina, i quali erano stati puniti con pene leggiere, fossero decapitati; ma il Governo Britannico non era disposto a seguire la Francia su questa via.
Era poi vero che la Gran Bretagna aveva poderose forze in quei mari; ma il Governo non pensava a mandarvi dei rinforzi. Quanto alla libertà religiosa poi esistevano i Trattati i quali bastavano, nè essi potevano essere alterati da Circolari del Governo Cinese.
Lord Granville poi è di avviso che, tenendo la via dal suo Governo seguita, e principalmente mettendosi i Governi Europei d'accordo nella loro linea di condotta, ciò potrebbe bastare ad impedire ulteriol'li conflitti.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A BRUXELLES, BLANC, A LONDRA, CADORNA, A PARIGI, NIGRA, E A VIENNA, DI ROBILANT
T. 1709. Roma, 4 luglio 1871, ore 19.
Le roi est parti hier soir. Il a été profondément ému des démonstrations enthousiastes d'affection de la population. Aucun désordre, aucun cri contre le pape ou les cléricaux. Le pape est resté au Vatican, et parait avoir renoncé à tout projet de départ. Hier ses anciens employés et quelques membres de la noblesse lui ont présenté une adresse au Vatican. On m'assure qu'on n'a réussi à réunir qu'un nombre fort restreint d'individus. Les membres du corps diplomatique qui ont assisté aux fetes de Rome auront pu témoigner de l'attitude de la population et de la sincérité et spontanéité de son attachement à la monarchie.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3829. Parigi, 4 luglio 1871, ore 15,30 (per. ore 20,25).
Le caractère des élections françaises est en substance antilégitimiste et anticlérical.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1581. Parigi, 4 luglio 1871.
Tutti i risultati definitivi dell'elezioni completorie de' deputati all'Assemblea nazionale, ch'ebbero luogo il 2 corrente, non sono ancora conosciuti con precisione. Il Journal officiel d'oggi indica soltanto 58 elezioni come definitive. Nondimeno il risultato generale approssimativo non può più lasciare dubbio sul significato predominante delle elezioni del 2 luglio. Anzitutto questo significato è ricisamente sfavorevole alla causa degli imperialisti, un solo antico Ministro dell'Impero, il Signor Magne essendo riuscito eletto nel Dipartimento della Dardogna, mentre il Signor Rouher, il Principe Murat, il Signor Clément Duvernois furono respinti. Ma a quanto pare la grande maggioranza delle elezioni compite ha pure un senso generalmente anti-monarchico. Recò in molti sorpresa che i Dipartimenti abbiano questa volta dato considerevoli maggioranze alle liste dei repubblicani moderati, le quali nella Gironda, per esempio, passarono intiere con una media di 60 mila voti contro circa soli 18 mila dati al più favorito candidato conservatore. Il Generale Faidherbe ed il Signor Gambetta ottennero, per quanto si sa finora, tre elezioni ciascuno.
La città di Parigi accettò con poche ma significative modificazioni la lista dell'unione della stampa. In capo degli eletti figura con 122 mila voti (sopra
458.993 inscritti) il Signor Wolowski, già rappresentante nella Assemblea del 1848, professore di legislazione commerciale ed economica nel Conservatorio d'arti e mestieri. Il vescovo d'Angers, Monsignor Freppel ch'era tra i candidati dell'unione della Stampa non riuscì eletto. Esso ebbe poche migliaia di voti di più del Signor noquet, che si potrebbe all'incirca chiamare comunalista. Anche Parigi elesse il Signor Gambetta dandogli meglio di 94 mila voti.
Il risultato generale definitivo sarà probabilmente pubblicato appena dopodimani dal Journal Officiel.
IL VICE CONSOLE A BELGRADO, CAMPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 115. Belgrado, 4 luglio 1871 (per. il 19).
La concentrazione in diverse parti del Principato della milizia per le usuali manovre ha fatto si che questa fosse da diversi giornali interpretata come un preparativo ostile alla Turchia, e si parlasse già di una spedizione nella Bosnia, d'accordo col Montenegro: ora gli stessi diarii studiansi far credere volere i Reggenti indurre il Principe Milan ad abdicare per collocare sul trono di Serbia un principe russo, avant'ieri annunciavano essersi scoperta in Serbia una nuova cospirazione contro il Principe per cui la polizia aveva dovuto raddoppiare di sorveglianza; tutte queste sono false notizie divulgate dai Miletic e dai Stratimirovic nemici dichiarati di questo governo per discreditarlo e per suscitare degli imbarazzi. Io posso assicurare l'E. V. che simili notizie sono prive di fondamento e che la quiete la più perfetta regna nel Principato.
Ora sembra volersi questo Governo seriamente occupare della ferrovia che deve traversare la Serbia, e si attende il ritorno del Ministro della guerra, ed insieme dei lavori pubblici, il quale fu inviato a Berlino per l'ingresso trionfale, onde destinarlo come rappresentante della Serbia alle conferenze che avranno luogo a Vienna sulla congiunzione della ferrovia serba con quella della Turchia. Mi si fa pure credere che l'Agente austriaco di qui il quale ora trovasi in congedo, ritornerà munito di pieni poteri onde trattare con questo governo per la congiunzione fra la Serbia e l'Ungheria e per stabilire il luogo dove dovrà essere costruito il ponte che traversar deve il Danubio.
IL CONSOLE GENERALE A NIZZA, GALATERI DI GENOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 141. Nizza, 4 luglio 1871.
Facendo seguito al mio precedente di questa serie del 1° corrente (1), mi onoro di riferire a V. E. che il risultato delle elezioni politiche per la nomina dei due, fra i quattro, rappresentanti di questo Dipartimento delle Alpi marittime, che mancavano all'Assemblea di Versaglia, è contrario al partito, che ora piace chiamare • revisionista • (del plebiscito del 1860) e che fin qui s'intitolò • italiano separatista •. Se nelle prime elezioni all'Assemblea, i candidati del partito italiano della separazione ebbero un'immensa maggioranza di voti sopra i candidati variopinti francesi, la cosa è unicamente da attribuirsi a che i separatisti piò o meno repubblicani o realisti deponevano nelle urne
gli stessi nomi, mentre che i Francesi più discordi dispersero su molti individui i loro voti. I francesi alquanto ammaestrati dalle lezioni ricevute, questa volta concentrarono sopra minor numero di candidati i loro voti, e siccome il loro numero sulla totalità delle Comuni del Dipartimento è di gran numero superiore agli abitanti della Contea Nizzarda, riuscirono vincitori.
Nella città di Nizza però, ove i francesi si trovano in minoranza, i candidati revisionisti Avvocato Borriglione e Notaio Milon ebbero il sopravento sopra il Dottore Maure e l'ingegnere Lefèvre, entrambi ricchi impresari d'opere pubbliche candidati del partito repubblicano moderato, che si pretende abbiano sparso molto denaro, e che siano stati appoggiati dal Governo. Siccome in Nizza furono ammessi a votare circa duemila individui francesi, che a rigore non vi hanno stabile residenza, come i soldati, i marinai, gli impiegati e gli operai della ferrovia e simili, è evidente che se il partito revisionista o separatista fu battuto nel Dipartimento, trionfò moralmente a Nizza, e che con questo plebiscito mostrò il desiderio dell'annullamento del plebiscito del 1860.
I revisionisti hanno pur fatto professione di fede repubblicana, lasciando però intendere di anteporre il ritorno alla madre patria, il principio politico, ed i loro candidati ottennero, il Signor Borriglione 2919 voti, il Signor Milon 2593. Fra i candidati del partito repubblicano francese si portarono per il Signor Maure 2593 ed il Signor Lefèvre 2473. Ma questi ultimi si ebbero nelle Comuni al di là del Varo sui due primi una fortissima maggiore quantità di voti.
Al momento che sto scrivendo non si conoscono ancora i risultati delle votazioni di tutte le Comuni del Dipartimento. Mi riservo dunque a dare in calce le indicazioni totali dei voti avuti dai singoli principali competitori.
Quantunque l'agitazione sia stata assai viva, l'ordine pubblico non venne turbato, a meno però di alcune picchiate scambiate o solamente ricevute.
P. S. Sono ancora ignoti i risultati delle votazioni di parecchi Comuni, per cui non posso qui ora indicare la cifra totale dei voti acquisiti dai varii Candidati, ma ben si possono considerare avere riportato nuovamente la maggioranza i Signori Maure e Lefèvre, del partito repubblicano francese moderato.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Parigi, 7 luglio 1871.
Mi recai oggi a Versaglia dal Signor Thiers e dal Signor Giulio Favre. Mi premeva di comunicare ad entrambi le nuove che mi avete mandate di Roma relativamente al modo con cui la popolazione si comportò sia all'occasione dell'anniversario pontificio sia all'occasione dello arrivo e della partenza del Re. Mi premeva altresì di sapere se l'Assemblea si prorogasse e se prima della
proroga volesse avventurarsi in una discussione a riguardo delle petizioni episcopali in favore del Papa.
Andai prima da Thiers. Gli diedi le notizie e gli dissi che non risultava a voi che il Papa avesse i:l proposito d'andarsene da Roma. Thiers mi disse che i clericali francesi credono che il Papa se ne andrà. Egli mi ripetè a quest'occasione che egli non desiderava che il Papa lasci Roma, che la presenza del Papa in Francia sarebbe un imbarazzo pel Governo, che finora il Papa non fece in proposito nessuna domanda e nessuna entratura, ma che se il Papa si decidesse a venire in Francia, il Governo francese lo accoglierebbe e gli darebbe ospitalità in una delle città francesi, non però in Avignone in considerazione del pessimo stato dell'opinione pubblica in quella città ed in tutto l'antico contado pontificio. Il Signor Thiers mi disse ancora che se il Papa deve lasciare l'Italia ed andarsene in paese straniero, è desiderabile che venga piuttosto in Francia che altrove. A tutto ciò io non feci che una sola osservazione ed è che in nessun luogo il Papa si troverà cosi bene come al Vaticano sotto tutti i rapporti, e che l'ospitalità della Francia agli occhi di Sua Santità e dei Cardinali deve essere diventata meno desiderabile dopo le gesta del Comune e l'uccisione dell'Arcivescovo di Parigi.
Domandai, dopo ciò, al Signor Thiers se l'Assemblea fosse in procinto di prorogarsi per due o tre mesi, e se egli credeva che prima della proroga essa volesse avventurarsi in una discussione a proposito delle petizioni dei Vescovi. Mi rispose che diffatti l'Assemblea, dopo la votazione di alcune leggi vigenti e del bilancio attivo, si prorogherebbe probabilmente a novembre, ma che prima sarà forse inevitabile una discussione sulle petizioni episcopali.
Il Signor Thiers, vedendo l'impressione sgradevole che questo annunzio mi faceva soggiunse però subito che se la discussione aveva luogo egli avrebbe anzitutto sancito la questione territoriale. Eccovi presso a poco ciò che mi disse e ciò che dirà in sostanza all'Assemblea: • Io non mutai d'opinione. Fui contrario all'Ùnità d'Italia perchè prevedevo che da essa nascerebbe l'unità germanica. Ma ora che l'Italia è fatta, io riconosco il fatto compiuto e voglio serbar relazioni amichevoli con essa. Non accetto adunque la questione territoriale. Rimane la questione dell'indipendenza del Papa. Il Papa contribuisce a nominare i Vescovi in Francia ed esercita funzioni spirituali importanti ed elevate in Francia. Conviene quindi alla Francia ch'esso sia indipendente. Il Governo francese riconosce questa necessità dell'indipendenza del Pontefice; farà quanto dipende da lui perchè essa sia completa e garantita ed è pronta ad intendersi in proposito coi governi cattolici •.
Feci e sviluppai al Signor Thiers tre osservazioni. La prima è che io cre
devo utile a tutti di r,inviare a più tardi e dopo la proroga dell'Assemblea la
discussione sulle petizioni dei Vescovi, e ciò perchè gli spiriti saranno più tran
quilli e l'Assemblea stessa, ammaestrata e modificata dalle recenti elezioni, sarà
divenuta più calma. La seconda osservazione è che lo scopo che il Signor Thiers
si propone, quello cioè di assicurare l'indipendenza del Papa col concorso del
l'Italia e delle altre Potenze cattoliche, sarebbe in ogni caso più facilmente
ottenibile mantenendo buoni rapporti coll'Italia che avendone dei cattivi. Thiers
approvò questa considerazione e mi disse che la direbbe eventualmente alla Assemblea. La terza osservazione è che questo stesso scopo noi crediamo di averlo raggiunto colla legge della garanzia che abbiamo appunto comunicato recentemente al Governo francese. • Avete letto questa legge, domandai io al Signor Thiers, della quale vi mandai, a voi specialmente un esemplare? •. c Non ne ebbi ancora il tempo •. c Ebbene, soggiunsi, ve ne manderò un altro esemplare e vi scongiuro di leggere e di considerare attentamente questo documento prima che parliate all'Assemblea •. La conversazione fu interrotta dalla visita del Duca Nemours. Il Signor Thiers mi si mostrò sinceramente convinto della necessità di non dire o far nulla che possa compromettere le buone relazioni fra l'Italia e la Francia. I rapporti di Choiseul, che è arrivato, non hanno per nulla mutato nè le intenzioni né l'attitudine sua. Però nella discussione che avrà luogo all'Assemblea, se essa ha luogo, bisognerà aspettarsi ad un linguaggio oltrettanto violento quanto ingiusto verso di noi per la parte di molti oratori. Le violenze dell'Assemblea francese avranno un eco naturale nella nostra stampa, e vi sarà un'esacerbazione reciproca spiacevole. Per questa ragione principalmente ho domandato al Signor Thiers prima, e poi al Signor Favre di rinviare la discussione a più tardi. Intanto e per ogni buon fine io presi atto della dichiarazione del Signor Thiers che non ammetterebbe discussione sulla questione territoriale, sciolta dal fatto compiuto.
La conversazione che ebbi col Signor Favre si aggirò sullo stesso argomento. Delle cose dettemi da lui, due sono degne di nota. Egli mi disse che l'Austria non aveva ancora abbandonato l'idea d'una conferenza sulle garenzie pontificie e in secondo luogo mi disse che la Santa Sede s'era mostrata avversa ad ogni idea di conferenza e che aveva dichiarato che non accetterebbe nulla tranne il ripristinamento del potere temporale. Io dissi al Signor Favre che una conferenza senza base e senza nessuna probabilità di utile risultato era un'idea impossibile; che perchè questa idea non fosse assurda, perchè potesse diventar pratica ed utile, sarebbe necessario primo di fissare le basi della conferenza, secondo di assicurarsi che la Santa Sede accetterebbe l'arbitrato diplomatico su quelle basi. Ora, soggiunsi, le basi per parte nostra sono anzitutto che non si tocchi al programma nazionale che cioè non si metta in questione nè il plebiscito che distrusse il potere temporale e riuni Roma all'Italia, nè l'attitudine della formola di Cavour c Roma Capitale •. Queste basi che per noi sono una condizione sine qua non, sono respinte a priori dalla Santa Sede. Dunque la conferenza è una vana parola, almeno per quanto concerne la situazione del Papa. Il Signor Thiers convenne con me nella giustezza del valore di queste osservazioni. Egli è convinto, come lo siamo noi, che la conferenza per le guarentigie papali non riuscirebbe a nulla, se pure fosse possibile di riunirla. Ma soggiunse che non sarebbe in ogni caso inutile nè per noi nè per la Francia il far prova di buona volontà, e che perciò non credeva che convenisse di scartarne l'idea in certa guisa a priori. Del resto sia il Signor Thiers sia il Signor Favre constatarono meco il miglioramento fattosi in Francia nell'opinione pubblica rispetto a questa questione dopo ed in seguito alle recenti elezioni. Continuate dunque nel sistema di moderazione e di rispettosa attenzione verso il Papa, mantenete sovra ad ogni cosa la pubblica tranquillità in Roma ed atten
diamo con calma.
IL MINISTRO DEGLI ESTEHI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A L'AJA, BERTINATTI, A BERLINO, DE LAUNAY, A BERNA, MELEGARI, A LISBONA, OLDOINI, A LONDRA, CADORNA, A MADRID, DE BARRAL, A MONACO, GREPPI, A WASHINGTON, CORTI, ED AGLI INCARICATI D'AFFARI, AD ATENE, GALVAGNA, A COSTANTINOPOLI, COVA, A PIETROBURGO, MAROCHETTI, A RIO DE JANEIRO, GONELLA, E A STOCCOLMA, LITTA
D. (l) Roma, 8 luglio 1871.
La Loi du 13 Février 1871 sur le transfert de la capitale vient d'ètre mise à exécution. Le Gouvernement du Roi s'était abstenu d'inviter les membres du Corps Diplomatique à prendre part aux démonstrations de joie par lesquelles la Municipalité et la population Romaine ont voulu fèter cet événement. Néanmoins plusieurs Gouvernements ont donné à leurs Représentants l'ordre de suivre le Roi aussitòt qu'il aurait transféré à Rome sa résidence. C'est là un acte de courtoisie dont nous sommes d'autant plus reconnaissants qu'il a été tout-à-fait spontané. Veuillez donc, Monsieur le Ministre, ·exprimer au Cabinet de ... mes remerciements et l'assurer que ce bon procédé de sa part ne peut qu'augmenter les sympathies qui unissent l'Italie à la ... Rien ne peut en effet raffermir autant les bonnes relations entre les deux pays que cette démonstration publique d'amitié de la part du ... Nous sommes persuadés d'ailleurs que le compte rendu que le Ministre de ... a du adresser à son Gouvernement sur l'attitude admirable de la population Romaine n'a pu que le confirmer dans la conviction que la ville qui est désormais la capitale de l'Italie est tout-à-fait digne de ses nouvelles destinées. En effet l'ordre le plus complet n'a pas cessé de régner pendant que la population se livrait aux manifestations sincères de sa joie. Aucun cri malveillant, aucune démonstration n'a pu rappeler aux étrangers que des souvenirs de haine ou des sentiments de vengeance ayent survécu à 'l'établissement du nouvel ordre des choses. La liberté la plus complète a été laissée aux partisans de l'ancien régime de mettre au jour leurs préférences et leurs regrets. Ils en ont profité pour adresser au St. Père une adresse de dévouement. Naturellement personne n'a été inquiété en raison de ses opinions, et le public ne s'est pas meme aperçu de la divergence des sentiments de la minorité.
En vous signalant ces faits, je ne dois pas non plus négliger d'appeler votre attention sur la conduite admirable de la municipalité et des habitants de I!'lorence. S'oubliant elle-mème, la population de cette grande ville a témoigné de la manière la plus manifeste la grandeur de ses sentiments patriotiques. Peut-on demander une meilleure preuve de l'importance qu'avait pour l'Italie la question du transfert de la capitale, que la joie produite non seulement dans les autres villes de la Péninsule, mais à Florence mème par la solution donnée enfin à la seule question qui tenait encore en suspens l'achèvement
5 -Documenti dipLomatici -Serie II -Vol. III
de l'unité italienne? S.M. le Roi après avoir reçu à Florence, au moment meme où elle cesse d'y avoir sa résidence officielle, des témoignages précieux d'amour et de respect, après avoir été accueilli avec ces memes sentiments à Naples pendant sa visite à l'Exposition maritime, a été vivement ému de l'enthousiasme de la population romaine et de sa sage et noble attitude. Ces preuves d'attachement à la dynastie et au principe monarchique ont de nos jours une valeur dont on ne saurait assez apprécier l'importance pour le maintien de l'crdre et pour la prospérité de l'Italie.
(l) Il testo è r1p8rtato solo nel registro di dispacci a Berlino con il n. 49.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT
D. 2. Roma, 8 luglio 1871.
S. E. il Barone di Kiibeck venne alcuni giorni fa a farmi, dietro gli ordini di S. E. il Conte di Beust, la sua visita ufficiale a Roma, in seguito al trasferimento della Capitale avvenuto in obbedienza alla legge del 13 febbraio '71. Nel tempo stesso il Ministro d'Austria mi lesse un dispaccio con cui S. E. il Cancelliere dell'Impero Austro Ungherese lo incaricava di espormi le ragioni che avevano consigliato al Barone di Kiibeck di ritardare la sua partenza per Roma, finchè fossero finite le dimostrazioni di gioia con cui il Municipio e la popolazione romana avevano voluto festeggiare la venuta di S. M. il Re e l'insediamento del Governo.
Credo opportuno di far conoscere a Lei, Signor Ministro, affinchè ella possa, all'occorrenza, portarle verbalmente a notizia del Conte Beust, le ragioni che guidarono in questa circostanza il Governo del Re.
Il trasferimento della Capitale è un fatto di politica interna che ha necessariamente attinenza colla politica estera. Convinto però che questo fatto non avrebbe incontrato l'opposizione di alcuna potenza, io mi limitai a notificare al Corpo diplomatico che pel lo luglio il Ministero degli Esteri avrebbe cominciato a funzionare a Roma. L'Ufficio dei Cerimoniali di S.M. notificò del pari che dal 1° di luglio esso si sarebbe trovato a Roma dove S.M. avrebbe da quell'epoca in poi trasferita la sua residenza ufficiale.
Non fu mai mio pensiero d'invitare i membri del Corpo diplomatico ad assistere alle feste cui avrebbe dato forse occasione il trasferimento della Capitale. Queste feste non furono date dal Governo, ma dal Municipio di Roma e dalla popolazione Romana, ancorchè S.M. il Re avesse espresso per telegrafo il desiderio che le somme a tal scopo destinate fossero invece consacrate ad opere di beneficenza. Essendosi il Governo del Re limitato ad una semplice notificazione senza alcuno invito, esso non ha ragione alcuna di lagnarsi che alcuno dei membri del Corpo diplomatico, scostandosi dalla maggioranza dei suoi colleghi, abbia preferito per dei riguardi speciali di convenienza, di astenersi dall'assistere a queste manifestazioni di gioia delle popolazioni romane. Per quanto concerne l'Austria specialmente, le dichiarazioni spontanee fatte
lO
anticipatamente da S.E. il Conte Beust, dichiarazioni di cui io gli sono riconoscente e che ebbero senza dubbio una grande autorità sulle determinazioni degli altri Governi, toglievano fin da principio alle determinazioni susseguenti del Barone di Kiibeck ogni carattere men che amichevole. Ella potrà quindi assicurare S.E. il Conte Beust che quell'incidente non ha lasciato la minima traccia sfavorevole negli ottimi rapporti che esistono fra i due Governi. Certamente noi avremmo preferito che S.M. l'Imperatore d'Austria avesse potuto essere informato direttamente dal suo Ministro dell'ordine ammirabile che nelle manifestazioni popolari del 2 e del 3 luglio non si scompagnò dal più unanime entusiasmo.
Ciò nullameno noi confidiamo che il Barone di Kiibeck potrà rendere testimonianza della perfetta tranquillità che regna a Roma, della libertà completa d'opinioni di cui tutti vi godono e della quiete in mezzo alla quale i Ministri del Culto continuano ad esercitare le loro funzioni. Ed io mi compiaccio che S.E. il Barone Kiibeck sia stato autorizzato a prolungare alquanto il suo soggiorno qui, prima di partire pel suo congedo ordinario, giacchè io sono convinto che i rapporti che egli trasmetterà al suo Governo, saranno di tal natura da confermare S.E. il Conte Beust nella linea di politica così amichevole che egli ebbe ad esporre alle Delegazioni.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY
(AVV)
L. P. Roma, 9 luglio 1871.
Ho letto con molta sorpresa e con molto rammarico, nella sua ultima lettera confidenziale, le osservazioni che il Principe di Bismarck Le fece pervenire relativamente ad alcune pretese indiscrezioni che noi avremmo commesso a Vienna. Quella pessima diplomazia la quale consiste nel riferire a destra quello che si è udito a sinistra, e viceversa non è certamente nelle mie abitudini. Ma vi ha di più. L'indicazione che Ella mi riferiva, come Le era stata data, col suo telegramma del 15 e colla lettera del 15 scorso (l) era cosi vaga e indeterminata che io non vi avevo posto molta importanza, considerandoLa come uno di quegli avvisi che non servono ad altro che a consigliare una più attenta osservazione. Che uso discreto avrei io potuto fare di una simile indicazione presso il Governo austriaco, quand'anche avessi avuto il pensiero ed il cattivo gusto di farne un uso qualunque? Vi era qualche fatto, qualche prova, qualche indizio all'appoggio? E non essendovi, era evidente che, fosse fondato od infondato il sospetto, si sarebbe risposto negando, e non vi era altro risultato ad aspettarsi. Non potevo propormi altro scopo che quello
di porre qualche malumore fra il Gabinetto di Vienna e quello di Berlino. Allo stato attuale delle cose quale interesse ci avrei avuto? Se vi ha un interesse, sarebbe il contrario. Ad ogni punto di vista una simile comunicazione da parte mia sarebbe stata non solo sconveniente e indelicata, ma anche ridicola. Cerco di non accumulare nei miei atti tutti questi varii pregii. Cerco invano l'origine del sospetto che ha attraversato la mente del Principe Bismark e la cagione di questo disgustoso accidente. Le telegrafai che non sapevo vedervi altro che una infedeltà della posta. La cosa è sempre possibile, benchè, a dire il vero, sono piuttosto disposto a credere a qualche fortuita coincidenza che abbia sollevato a torto questo sospetto.
Il Re è stato ricevuto a Roma con un indescrivibile entusiasmo. Sono, per conto mio, poco disposto ad esagerare queste manifestazioni, ma non potrò mai dimenticare lo spettacolo di quella folla immensa e plaudente che empiva le vie della città e si accalcava intorno al Re quando fece la sua entrata e passò la rivista. Me ne rimetto del resto ai rapporti che la diplomazia presente a Roma avrà fatto giungere ai rispettivi governi, poichè lo spettacolo fu tale da dare difficilmente luogo ad apprezzamenti diversi. Per me il pregio migliore di queste manifestazioni consistette nell'ordine dal quale furono accompagnate: nessuna dimostrazione sconveniente, nessun grido contro il Pontefice. L'entusiasmo stesso era patriottico, era nazionale, ma non era rivoluzionario. Questa tendenza rassicurante mi pare assai rimarchevole in tutte le classi della società romana. Al banchetto del Municipio, ove ebbi a prendere la parola, la mia voce fu coperta di applausi, eppure non parlai d'altro che di Re, di dinastia, di ordine e di rispetto al sentimento religioso. Non vi è che una cosa che possa spingere e che, in parte spinga anche attualmente lo spirito pubblico di questa città fuori delle vie della moderazione, -ed è il timore, l'inquietudine di qualche complicazione politica che metta in dubbio od in pericolo il risultato nazionale e le nuove sorti di Roma. L'inesperienza stessa ajuta ed aumenta questa inquietudine. Di mano in mano che il Umore di questi pericoli svanisce, che la fiducia dell'avvenire si consolida, scompare, nell'istessa proporzione, l'irritazione contro il Papato, e contro l'ordine di idee che si associa al Papato, cessa la lotta, e subentra il sentimento dell'ordine, della libertà, della tolleranza. Ogni minaccia di complicazioni politiche che allarmi il sentimento nazionale avrebbe per effetto immediato di risvegliare le passioni. Tutto quello che rassicura l'Italia nel compimento oramai raggiunto della sua unità politica è tutto a vantaggio delle idee d'ordine, del principio monarchico e delle tendenze di conciliazione. Ora che l'Italia ha realizzato tutte le sue aspirazioni nazionali ed è padrona dei suoi destini, il governo italiano sente, con un più completo sentimento della sua responsabilità, il dovere che gli incombe di rappresentare i principi d'ordine e di conservazione sociale.
Vi sono due grandi interessi solidali in oggi pei governi europei, la conservazione della pace, la tutela dell'ordine sociale. Ella sarà l'interprete fedele dei sentimenti del Governo ogni qualvolta avrà l'occasione di dichiarare che è questa la duplice base della nostra politica, e che noi non domandiamo meglio che di prendere il nostro posto fra quei governi che sentono ed affermano la solidarietà di questi due grandi interessi.
Sono stato, per tutti i riguardi, oltremodo lieto delle ultime istruzioni date al Conte Brassier in occasione della venuta del Re a Roma.
Quando io annunciai con una Circolare (l) che il Ministero degli Esteri sarebbe stato traportato a Roma pel ta luglio, tutte le Legazioni a Firenze mi annunciarono, senza eccezione, che avevano ricevuto l'ordine di seguire il Governo nella nuova capitale. Molti però dei Capi di missione erano sul punto di prendere i loro congedi di estate, e quindi non poteva essere veramente una quistione se essi o i loro Incaricati d'affari si sarebbero recati a Roma e in qual giorno vi si sarebbero recati. In seguito S.M. determinò di recarsi a Roma al suo ritorno dalla visita che aveva promesso di fare a Napoli per la esposizione marittima. La coincidenza dell'arrivo del Re col trasferimento della sede del Governo non poteva a meno di assumere l'aspetto di una inaugurazione e di una solennità, poichè certo non poterono evitarsi le accoglienze che la città avrebbe voluto fare al Re. In questo stato di cose io credei bene di non fare al corpo diplomatico alcun formale invito di recarsi a Roma, durante il soggiorno del Re, poichè vi potevano essere da parte di taluni delle suscettibilità, per non aver l'aria di associarsi ad una dimostrazione, e mi pareva poco dignitoso per noi l'esercitare una specie di pressione. Ciò non toglieva per altro che noi annettessimo un gran 'pregio alla presenza del corpo diplomatico in Roma in quei giorni. Questa presenza costituiva un successo politico, un riconoscimento di fatto dell'avvenimento che si compiva.
Il Ministro di Francia pure annunciandomi che la Legazione avrebbe seguito il Governo a Roma, mi fece sapere che egli avrebbe preso un congedo e che l'Incaricato di Affari sarebbe venuto a Roma dopo il Ministro d'Austria. II Barone di Kiibeck venne a rinnovarmi espressamente le assicurazioni di quella politica amichevole che l'Austria ha seguito verso di noi nella questione romana, mi ricordò che il suo Governo, in occasione del trasporto della capitale aveva pel primo dato delle istruzioni rese note a tutti, e che non erano state senza influenza sulle determinazioni degli altri Governi; mi aggiunse che per riguardi, di cui sperava che ci saremmo fatti capaci, egli aveva ricevuto l'istruzione di recarsi a Roma solo dopo le solennità che potevano aver luogo, prolungando però il suo soggiorno di qualche tempo, per mostrare che questi riguardi non alteravano la linea politica che in un sentimento amichevole verso l'Italia, il Governo austriaco aveva sino allora seguito. In tali condizioni la presenza del Conte Brassier di S. Simon a Roma durante il soggiorno di S.M. fu vivamente apprezzata dal Re, dal Governo e dal paese intero. Non so fino a qual punto il Vaticano sarà stato grato agli altri di un ritardo di 48 ore, ma certo l'Italia fu gratissima al Governo dell'Imperatore Guglielmo per la presenza a Roma del suo Ministro, che fu da noi considerata come un riguardo cortese verso il Re, ed una prova di amicizia data all'Italia. Il Conte Brassier, prima di partire da Roma, pel suo congedo, fu ricevuto in udienza particolare dal Re, e sarà stato in grado di informare il Suo Governo dei sentimenti di S.M. a questo riguardo. È d'uopo anche che io aggiunga che, in questa circostanza, il Conte Brassier, pure eseguendo puntualmente le sue istruzioni, si è condotto in modo da mostrare quanto gli stia a cuore la causa
dei buoni rapporti fra l'Italia e la Germania e da acquistargli nuovi titoli alle nostre simpatie. Il Re ha avuto di questo fatto la migliore impressione, ed io non ho bisogno di dirle l'utilità di questa impressione, per molte ragioni che Ella conosce al pari di me. Quanto al pubblico, l'impressione prodotta, specialmente in .confronto della condotta della Francia, fu così buona che, quando il Conte Brassier comparve in teatro, se non fosse stato un riguardo alla presenza del Re, avrebbe ricevuto un'ovazione. Non esito dunque a dire che questo fatto, se le disposizioni del Gabinetto di Berlino saranno anche in avvenire eguali alle nostre, segnerà una data nelle buone relazioni tra l'Italia e la Germania.
Ella può dunque, caro Conte, essere contento dell'opera sua. Il voto pel Gottardo, la venuta a Roma del Conte Brassier sono un ottimo principio che si tratta ora di coltivare e di svolgere. Ella non dubiti che applicandosi a rendere sempre più amichevoli e più proficui i rapporti fra i due paesi, la sua condotta e i suoi sforzi risponderanno alle nostre più sincere disposizioni. Gli attuali nostri rapporti con la Francia sono abbastanza rassicuranti. Il Governo del Signor Thiers ci dichiara che esso si pone sul terreno dei fatti compiuti, pure tenendosi obbligato ad una più grande riserva che non gli altri Governi. Forse il risultato delle ultime elezioni fa sì che il Signor Thiers si crede legato da riguardi minori verso il partito clericale. Inoltre la Francia non è per qualche tempo in grado di gettarsi nelle avventure e di far nulla di serio contro l'Italia. Certo però la Francia non ci può perdonare la nostra neutralità durante la guerra: simpatie non ve ne sono o assai scarse e tiepide, e la questione romana si aggiunge alle altre cause come un elemento di malumore e di irritazione. In questo stato di cose noi siamo decisi a porre la più grande moderazione nei nostri rapporti colla Francia, a evitare le questioni di dettaglio, a mostrarci costantemente benevoli, a rimanere insomma sempre dal lato della ragione. Ma nel tempo stesso mancheremmo al nostro dovere non prendendo le debite precauzioni. Queste precauzioni consistono nell'organizzare e nel preparare seriamente le forze del paese per difenderci contro gli attacchi di cui possiamo essere un primo oggetto, nello acquistarci amici in Europa, e nel predisporre le migliori alleanze possibili con quegli Stati che sono al pari di noi interessati a che la Francia, una volta ricostituite le sue forze, non abbia la tentazione di farne la prova contro un nemico più debole della Germania, eome un'utile preparazione prima di tentare contro questa ultima la rivincita della guerra del 1870.
Ciò che può essere cosa probabile è ehe il Governo francese creda giunto il tempo per prendere presso gli altri Governi l'iniziativa di intelligenze e di accordi diplomatici intorno alla questione romana. Ella conosce già, Signor Conte, qual'è il modo di vedere del Governo su questo argomento e sui progetti di conferenze che furono posti innanzi altre volte. Se però desiderasse di avere in proposito maggiori schiarimenti ed ulteriori istruzioni, non ha che a farmene un cenno. Frattanto è bene rimanere informato delle comunicazioni che il Governo francese può aver fatto in questi giorni o può fare, e del carattere di queste comunicazioni.
Non ho altro, per ora, ad aggiungere a questa lettera anche troppo lunga.
Comprendo il dispiacere che Ella ha passato vedendo ritardata la promozione
del Cavalier Tosi, perchè conosco l'interesse che Ella porta alla nostra carriera diplomatica e a quelli fra i suoi subordinati nei quali riconosce un merito incontestabile e degno di essere incoraggiato nell'interesse della cosa pubblica. !VIa mi conceda di dirle che Ella sarebbe alquanto ingiusto verso di me se ponesse in dubbio il valore che hanno sull'animo mio le sue raccomandaziom e i suoi consigli. Nulla mi è più grato che di assecondare le sue raccomandazioni, e perchè giungono da lei e perchè so che sono dettate da un vivo zelo e da una sicura esperienza del servizio diplomatico. Appena potrò fare qualche cosa pel Cavalier Tosi, nessuno ne sarà più lieto di me, mi è però d'uopo che l'occasione si presenti perchè possa ricompensare i meriti di questo distinto gio
vane senza offesa dei diritti altrui e senza ingiustizia.
Destinando il Conte Litta a Berlino ho provveduto a quanto Ella mi chiedeva. Cercherò inoltre di dare al più presto possibile, un'altra destinazione al Signor Bojani.
(l) Cfr. serie II, vol. II, nn. 518 e 523.
(l) Cfr. serie II, vol. II, n. 487
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY
D. 216. Roma, 10 luglio 1871.
S.E. le Ministre de l'Empire d'Allemagne a bien voulu m'entretenir confidentiellement d'une dépeche de S.A. le Pr.ince de Bismarck (l) relative à l'organisation de l'association Internationale des ouvriers, et aux dangers dont elle menace l'ordre social. S.A. pense avec raison que tous les Gouvernements sont également intéressés à se défendre contre cette formidable organisation. Le Prince Chancelier propose dans ce but que tous les Gouvernements se communiquent réciproquement les données qu'ils ont sur le nombre des adhérents de l'Internationale, leurs projets et leurs moyens d'action. Le Prince de Bismarck pense qu'il serait également utile de déclarer que les crimes ou délits
• Pour se rendre compte du but final de l'Internationale et des ses ramifications dans les dlfférents pays, il suffit de se rappeler, qu'à l'occasion du Congrès dit de la Ligue de Paox, tenu à Berne en 1868, avec l'assistance de Garibaldi, cette assemblée résolut de mettre dans tous les pays à l'ordre du jour la question des classes ouvrières et "déshéritées "· n en resulta une fomentaticn continuelle soutenue par l'Internationale et qui s'est manifestée en Italie p. e. dans l'émeute de Pavie en Mars 1870, dans le brigandage en Calabre et les agitation3 en Sicile. De plus après le 18 mars passé, un grand nombre des Garibaldiens qui avaient r>ris en France les armes contre les troupes allemandes, se firent remarquer ouvertement comme partisans de la Commune de Paris. Il est évident que la rentrée de ces individus en Italie, ne fera que redoubler leur activité occulte, tendant à soutenir et à propager leurs idées subversives. Le but final de toutes ces agitations différera suivant les pays, mais il aura cela de commun, qu'on opère partout contre et au détrlment de l'ordre des choses et des Gouvernements existants. Il s'ensuit que tous les Gouvernements sont entre eux solidaires vis à vis de telles raenèes, qui, toutes les fois qu'elles triomphent momentanément dans un état, affaiblissent en méme temps sensiblement l'autorité de tous les autres Gouvernements.
Si le Gouvernement partage cette manière de voir, le Gouvernement Impérial proposerait de procéder à ce sujet à un échange ultérieur d'idées. Il s'agirait, selon lui, de se communiquer réciproquement les données obtenues sur l'étendue et les affiliations de l'organisation socialiste, et après cela d'adopter préalablement comme principe, que les attentats à la vie et à la propriété, comme on les a vu se manifester à Paris, appartiennent à la catégorie des crimes communs et non des crimes politiques •·
commis par les associés de l'Internationale seront envisagés comme des crimes ordinaires et punis en conséquence.
.Je vous prie de remercier, comme je l'ai fait d'ailleurs moi-meme par l'entremise du Comte Brassier, S. A. le Prince de Bismarck de cette communication. L'intéret commun de tous les Gouvernements de se prémunir contre cette vaste organisation subversive est hors de contestation. En ce qui le concerne, le Gouvernement du Roi a déjà donné des ordres et pris toutes les mesures préventives qui étaient compatibles avec nos institutions. Tout récemment la Chambre des députés et le Sénat ont voté à grande majorité des dispositions législatives qui donnent au gouvernement une plus grande latitude pour la défense de l'ordre, et le maintien de la sécurité des personnes et des propriétés.
Les recherches attentives de notre Ministre de l'Intérieur n'ont fait découvrir en ce qui regarde l'Italie que des traces presque insignifiantes de l'association Internationale. Cette association est en effet nombreuse et puissante surtout dans les grands centres industriels, parmi les grandes agglomérations d'ouvriers. L'Italie dont l'industrie est surtout agricole n'offre donc que peu d'éléments à la propagation des idées socialistes et communistes dont le triomphe est le but de l'association Internationale. Néanmoins il est vrai que cette organisation est comme un noyau autour du quel pourraient se grouper tous les hommes qui aspirent à la destruction de l'ordre social. La tranquillité dont l'Italie jouit à présent, et qui est la conséquence naturelle de la solution satisfaisante donnée aux questions nationales, les preuves d'attachement à la dynastie données tout récemment au Roi et à la famille Royale nous font espérer que les tentatives mazziniennes ou socialistes n'auraient désormais aucun succès. Toutefois le Gouvernement ainsi que je viens de dire, a pris et ne cessera de prendre ses précautions: une société peu nombreuse qu'avait applaudi aux oeuvres de la Commune de Paris a été dissoute, ses papiers ont été mis sous séquestre. Une enquete a été ouverte sur une adresse publiée par un journal français et qui aurait été souscrite à Milan. L'enquete a démontré que les trois signataires sont absents de l'Italie et que les 2542 signatures inconnues ne sont qu'une farfanterie. Mais bien que le danger ne nous paraisse pas en ce moment ni grave ni imminent, il suffit qu'il existe pour que le Gouvernement ait à s'en préoccuper. Nous acceptons donc avec empressement la proposition de S. A. le Prince de Bismarck en ce qui concerne l'échange réciproque des renseignements regardants l'organisation et les projets de l'Internationale. Quant à la déclaration à émettre au sujet des crimes et délits dont elle serait le prétexte, je n'ai qu'à vous rappeler, M. le Ministre, que nous avons été les premiers à déclarer à la France que nous étions disposés à appliquer les conventions d'extradition aux auteurs des homicides et des incendies dont Paris a été le Théatre. Nous sommes disposés à renouveler cette déclaration soit vis-à-vis de l'Allemagne, soit vis-àvis de toute autre puissance. A mon avis cela pourrait suffire pour parvenir au but qui se propose le Prince Chancelier. Veuillez, M. le Comte, faire parvenir au Cabinet de Berlin cette communication, et me faire connaitre la suite qui pourra etre donnée à l'initiative que S. A. a prise avec tant de sagesse (1).
(l) Cfr. l'appunto confidenziale rimesso dal Brassier a Visconti Venosta, il lO luglio:
(l) Analogo dispaccio, in italiano, venne inviato in pari data, con il n. 322, al Nigra.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3832. Vienna, 10 luglio 1871, ore 6,10 (per. ore 9,10).
J'ai présenté ce matin en audience particulière mes lettres de créance à l'empereur. Accueil on ne peut plus aimable. J'ai exprimé à S. M. l'assurance de la plus sincère amitié dont le roi m'avait chargé, ainsi que le désir de voir toujours davantage ressérrés les liens de tout genre qui unissent les deux couronnes et les deux pays. L'Empereur a répondu assurant de la parfaite réciprocité de ses sentiments ainsi que de sa conviction bien sentie de l'intéret pour les deux nations du maintien de cet accord. A plusieurs reprises S. M. m'a répété que le choix de ma personne lui était particulièrement agréable.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERJ, VISCONTI VENOSTA
R. 1585. Parigi, 12 luglio 1871 (per. il 15).
S. E. il Signor Giulio Favre m'ha diretto in data di jeri la lettera che mi pregio di mandar qui unita all'E. V. in originale. Il Ministro Francese degli Affari Esteri dopo aver segnalato, in questa lettera, • le continue eccitazioni alle quali la stampa ed anche uomini politici d'Italia ricorrono col ripetere ad ogni occasione che la Francia prepara un movimento e forse una spedizione in favore del potere temporale del papa • dichiara calunniose queste voci e colpevoli quelli che le propagano. • La Francia, prosegue il Signor Giulio Favre, respingerebbe in un modo assoluto ogni entratura che le fosse fatta nello scopo di sollevare la questione del potere temporale. Essa non vuoi proteggere che l'indipendenza personale e la libertà spirituale del Sommo Pontefice e ben lungi dal portar così nocumento alle sue relazioni amichevoli coll'Italia, essa le fortifica poichè s'associa alla sua regola di condotta •. Il Signor Giulio Favre si duole quindi che nulla siasi fatto per dissipare questt spiacevoli impressioni ed osserva che, se è bene informato, il Governo del Re sembrerebbe dare esso stesso un pegno alle opinioni esaltate attivando armamenti e specialmente fortificando Civitavecchia con una certa ostentazione. La lettera conchiude: • Non può essere pensiero del Governo della Repubblica il criticare menomamente le misure militari o strategiche che l'Italia crede dover prendere nell'interesse della sua sicurezza. Ma siccome voi sapete che questa sicurezza non fu mai minacciata da noi, vi prego di far osservare al Gabinetto Italiano che l'inopportunità di questi armamenti può essere pericolosa e ch'e~:sa tende ad intrattenere un'irritazione che gli uni e gli altri noi dobbiamo sforzarci di calmare • .
l?
Sottometto il contenuto di questa lettera all'E. V. e La prego di pormi in grado di rispondere il più presto che sarà possibile al Signor Giulio Favre. In regola una comunicazione di questa natura avrebbe potuto molto meglio essere fatta verbalmente e per mezzo della Legazione di Francia in Italia. Ma non credo che sia il caso di dare qui un'importanza qualunque alla questione di forma. La sostanza della lettera tocca ad un ordine d'idee ben altamente importante. Anzi tutto devo rendere qui piena testimonianza dello spirito amichevole e conciliante che la dettò al Signor Giulio Favre, il quale in tutte le conversazioni che ebbi l'onore d'avere con lui si mostrò costantemente animato d'un sincero sentimento di conciliazione e d'un vivo desiderio di mantenere relazioni amichevoli fra l'Italia e la Francia. In secondo luogo è specialmente degna di nota l'affermazione esplicita ed assoluta che la Francia non ha nessuna intenzione di promuovere la restaurazione del potere temporale e che respingerebbe ogni entratura che le fosse fatta nello scopo di sollevare questa questione. È la prima volta che il Governo Francese, presieduto dal Signor Thiers, s'esprime in un documento scritto e per l'organo del Ministro degli Affari Esteri, così apertamente sul potere temporale, o per parlare più correttamente sulle intenzioni della Francia in ordine ad una tale questione. In generale le domande di spiegazioni intorno ad armamenti, fatte da una ad un'altra Potenza, sogliono precedere le gravi complicazioni di guerra e le ostilità. Nel caso presente, se non m'inganno a partito, esse potranno dar luogo ad uno scambio di dichiarazioni reciproche che avranno invece per effetto di allontanare ogni pericolo di conflagrazione, di chiarire la situazione e di far scomparire ogni malinteso sulla reciproca attitudine dell'Italia e della Francia.
.ALLEG.\TO
FAVRE A NIGRA
Versailles, 11 juillet 1871.
Votre attention aura sans doute été éveillée par les excitations continuelles auxquelles la presse et quelques hommes politiques d'Italie ne cessent d'avoir recours contre la France, répétant à toute occasion que nous préparons un mouvement, peutetre une expédition, en faveur du pouvoir temporel du Saint Père. Nul mieux que vous, Monsieur le Ministre, ne sait combien de pareils bruits sont calomnieux, combien sont coupables ceux qui les propagent. Je vous ai trop de fois exposé notre politique pour que vous ayez à cet égard le moindre doute. La France repousserait d'une manière absolue toute ouverture qui lui serait faite dans le but de soulever la question du pouvoir temporel. Elle ne veut protéger que l'indépendance personnelle e la liberté spirituelle du Souverain Pontife et loin de porter par là atteinte à ses relations amicales avec l'Italie, elle les fortifie puisqu'elle s'associe à votre règle de conduite. J'ai donc lieu de m'étonner que rien ne soit fait pour dissiper ces facheuses impressions. Si je suis bien informé, votre Gouvernement s'y abandonnerait lui-meme et semblerait donner un gage aux opinions exaltées en activant ses armements et notamment en réparant avec une certaine ostentation les fortifications de Civita Vecchia sur lesquelles il piace des canons de gros calibre. Il ne peut étre dans la pensée du Gouvernement de la République de critiquer en quoi que ce soit les mesures militaires ou stratégiques que vous croyez devoir prendre dans l'intérét de votre séourité. Mais comme vous savez fort bien que cette sécurité n'a jamais été n1enacée par nous, je vous prie de vouloir bien faire remar
quer au cabinet ltalien que l'inopportunité de ces armements peut étre dangereuse et qu'elle tend à entretenir une irritation que, les uns et les autres, nous devons nous efforcer de calmer.
Convaincu de votre loyal bon vouloir, comme je sais que vous comptez sur le mien, je prie V. E. de me faire part de la réponse que cette communicatìon provoquera.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 848. Berlino, 15 luglio 1871.
J'ai communiqué confidentiellement au Secrétaire d'Etat la dépéche que
V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser en date du 10 de ce mois, n. 216 (1). Il s'empressera d'en donner connaissance à l'Empereur et Roi.
En attendant, M. de Thile m'a remercié de cette intéressante communication, et il est entré dans quelques détails sur les dispositions rencontrées par le Cabinet de Berlin chez les Puissances auxquelles il avait fait des ouvertures, analogues à celles dont le Comte Brassier de St. Simon s'était rendu l'organe auprès de notre Gouvernement.
Lord Granville s'était montré disposé, en principe, à concourir par un échange de vues à s'éclairer mutuellement sur les menées et les moyens d'action de l'association internationale. Quant à une déclaration ayant pour but de s'engager à envisager et à punir, comme crimes ou délits ordinaires, les crimes ou délits commis par les Membres de cette Société, le Cabinet Anglais estime que c'est là une question très délicate, de la compétence des Tribunaux bien plus que de celle du Gouvernement. Au reste, Lord Granville ne semblait pas attribuer à l'Internationale, pour ce qui concernait du moins l'Angleterre, une bien grande portée et une propagande dangereuse. Ses doctrines subversives y trouvent peu d'écho; ses adeptes y visent moins au renversement de l'Etat, qu'à une amélioration du sort des ouvriers, de la classe prolétaire.
C'est dans cet ordre d'idées, que Lord Granville s'est expliqué vis-à-vis du Comte de Bernstorff. M. de Thile paraissait croire qu'un tel langage équivalai't presque à une fin de non-recevoir, opposée à la démarche du Gouvernement Impérial.
Le Comte de Beust avait fait bon accueil. Il avait seulement exprimé le désir de recevoir des renseignements aussi complets que possible, sur l'organisation, sur le chiffre des adhérents, etc. etc. On s'est empressé de transmettre à Vienne toutes les données parvenues ici à cet égard. Depuis lors, M. de Beust n'en a plus parlé au Général de Schweinitz.
M. Thiers a dit au Comte de Waldersee qu'une telle question méritait un sérieux examen, et qu'il se réservait de lui donner une réponse.
Relativement à la Russie, comme ces ouvertures sont dues en partie à sa propre initiative auprès du Prince de Bismarck, elle attache une haute importance à ètre informée de la marche de cette affaire.
M. de Thile ne m'a fourni aucun nouvel aperçu sur les affiliations de l'Internationale en Allemagne, mais la presse officieuse ne se fait pas faute d'en signaler les périls. A son avis, les socialistes et communistes allemands ne diffèrent pas des socialistes et des communistes français. Ils n'hésiteraient pas à agir, s'ils le pouvaient, absolument comme leurs amis de France. Quant à leur force numérique, il ne faut pas l'évaluer d'après les chiffres qui figurent sur les listes des membres des diverses fractions. Ce ne sont là que les cadres, dont le prolétariat forme l'armée. Leurs ressources pécuniaires sont assez considérables, gràce surtout aux cotisations.
L'instruction, le service militaire obligatoire, et l'habitude de la discipline, sont indiqués comme un remède à cette maladie sociale. De telles institutions existent en Allemagne, et cependant les Lassalliens, les Bebel, etc., se sont déclarés avec effronterie et impudence les alliés des fanatiques de la Commune parisienne. Ce fait prouve que le remède n'est pas souverain et infaillible. Tant il est vrai que, si la culture morale ne marche pas de pair avec le développement intellectuel, il en résulte un défaut d'équilibre qui peut amener, là où il se manifeste, les mèmes faits exécrables, que ceux dont la France nous a offert le spectacle. Les meneurs n'attendent que l'heure proprie.
(l) Cfr. n. 15.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 243. Tunisi, 15 luglio 1871 (per. il 20).
S. A. il Bey cui sta sommamente a cuore l'instituzione dei tribunali misti, la quale formò già argomento di precedente corrispondenza, mi ha scritto per transmettermi un progetto di organamento dei medesimi, poco dissimile da altro già comunicato anteriormente all'E. V.
Desidera che questo progetto del quale troverà qui unita copia insieme a quella della traduzione della nota (l) che la accompagnava, possa essere preso in considerazione dall'E. V. per servire come punto di partenza ad ulteriori studii e trattative. Infatti l'amministrazione attuale della giustizia nelle contestazioni fra europei ed indigeni, oltre ad essere la precipua causa dei conflitti che insorgono ad ogni tratto fra il Governo locale ed i Consolati, è un serio ostacolo allo svolgimento degli interessi delle colonie, segnatamente della italiana, la prima per numero e ricchezza, stante la sfiducia regnante nelle transazioni coi mori ora che la buona fede si va fra loro perdendo; e che ricorrendo al Bardo non è dato sempre avere una soluzione equa e pronta delle vertenze.
Per la considerazione sovr'espressa il progetto del Governo tunisino, a causa sovratutto delle molte sue lacune, potrebbe unicamente servire di punto di partenza ad un completo regolamento giudiziario; astenendomi quindi dal farne un esame critico, mi basterà solo accennare la impossibilità di applicare di pianta un codice europeo in questo paese (intendo il codice civile, chè per il commerciale non vi sarebbero i medesimi inconvenienti), la sconvenienza per molte ragioni di far sedere i Consoli Generali come giudici d'appello, il silenzio sulla parte essenzialissima dell'esecuzione delle sentenze.
Anche l'Avvocato Mario Simeoni avea compilato fino dal 1867 un progetto di riforma giudiziaria del quale, dietro sua richiesta trasmetto a V. E. un estratto, non senza notare per altro che anche questo se è meno incompleto di quello del Governo tunisino, è però ben !ungi dal potersi considerare come adeguato allo scopo.
I miei colleghi di Francia e d'Inghilterra coi quali ci siamo scambiate le nostre idee, scrivono nell'istesso senso ai loro governi riconoscendo pur'essi la necessità di addivenire di comune accordo ad un componimento che meglio assicuri la distribuzione della giustizia ai nostri amministrati (1).
(l) Non pubblicate
IL CAPO GABINETTO DI VITTORIO EMANUELE II, AGHEMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Torino, 15 luglio 1871.
Mi pregio accompagnare a V. E. come Le ne ebbi a fare promessa, la copia di lettera di Ginevra che l'E. V. mi mostrò desiderio di conoscere.
ALLEGATO
Genève, 26 juin 1871.
Monsieur le Comte,
J'ai reçu de Florence, je ne sais si c'est à vous que je dois cette gracieuseté
les deux énormes volumes contenant la discussion de la loi des garanties au Sénat et à la Chambre des Députés. Cette discussion fait honneur à la Tribune Italienne par son étendue, sa profondeur, et par un caractère particulier de solennité qui prouve que les pouvoirs publics d'Italie, ont voulu sérieusement garantir l'indépendance spirituelle du Souverain Pontife.
Cette grande discussion mériterait d'ètre plus connue au dehors pour calmer l'agitation qu'on s'efforce de provoquer aujourd'hui contre l'Italie, et je compte en reproduire les principaux traits dans une étude que je prépare.
Je ne sais pas si l'Italie est exactement informée de ce qui se passe en France. Le mouvement de l'opinion publique est réellement inquiétant, et on pourrait prévoir des complications si le Gouvernement Français ne met pas quelque baton dans les roues. Vous connaissez sans doute dans quelles proportions s'est faite l'agitation des adresses au Pape à l'occasion de la 25ème année de son Pontificat.
Il y en a plus de deux millions de signatures en France. Mais, quoique dans ces adresses il soit beaucoup QUestion de rétablissement du Pouvoir temporel, elles peuvent étre néanmoins considérées comme parfaitement légitimes en raison de leur destination. On peut y voir simplement l'expression de la piété filiale des populations :oans dessein bien arrété d'agression pour l'Italie.
Mais à ce pétitionnement inoffensif en a succédé un autre qui prend un caractère politique et international. Les Evéques de France signent et font signer des pétitions à l'Assemblée Nationale pour mettre en demeure le Chef du Pouvoir exécutif. L'Archevéque de Rouen a commencé avec ses quatre suffragants d'Avranches, de Bayeux, de Sèze et d'Evreux. Ils invoquent le traité de Zurich qui disentils: • a vait explicitement stipulé le respect de la Monarchie Pontificale •. Ils demandent à l'Assemblée nationale • de protester contre la violation des traités et contre les attentats commis envers le Chef de l'Eglise Catholique • puis ils la supplient • d'inviter le Gouvernement à se concerter avec les puissances étrangères afin de rétablir le Souverain Pontife dans les conditions nécessaires à sa liberté d'action et au Gouvernement de l'Eglise Catholique •.
Les cinq Evéques de la Province ecclésiastique de Bourget sont ensuite venus avec leur pétition rédigée à peu près dans les memes termes que la précédente. Ils demandent aux représentants de la France de • protester contre la violation du traité de Zurich et contre les attentats commis contre le Souverain Pontife, et d'inviter le Chef du Pouvoir exécutif à se concerter avec les puissances étrangères afin de rétablir le Souverain Pontife. Enfin l'Archevéque de Cambrai et l'Evéque d'Arras font une description émouvante des dangers qui environnent Sa Sainteté et demandent à l'Assemblée Nationale de protester contre le Gouvernement du Roi de Sardaigne qui, disent-ils, nous doit le pouvoir dont il abuse, d'une manière aussi ingrate qu'injuste contre l'Auguste captif du Vatican. Il est probable que tous les Evéques de France apporteront successivement à l'Assemblée Nationale leur pétition pour le rétablissement de la Souveraineté temporelle. Mais tant que le pétitionnement reste une affaire ecclésiastique il n'offre pas un grand danger pour les relations internationales. Voici qui est plus sérieux. A còté du pétitionnement épiscopal il s'en poursuit un autre qui entre plus dans le vif de la question. II y a d'abord une pétition lai:que qui cherche à exciter le Chauvinisme et les hommes nationals. Les pétitionnaires caractérisent ainsi la prise de possession de Rome • violation des traités, mépris du droit des gens, scandaleux abus de la force, sacrilège, dérision de la plus Auguste des Autorités, tous les caractères odieux se trouvent dans cet attentat. Il est de plus une sanglante injure pour la France qu'il attache dans son honneur en meme temps que dans sa foi. C'est à vous, représentants de la France, aujourd'hui rendue à elle-méme, qu'il appartient de renouveler avec plus d'autorité et de promulguer à la face du monde une solennelle protestation •. Cette pétition se signe en ce moment dans quatorze départements avec le concours des Maires qui légalisent les signatures. En voici une plus significative encore, qu'un grand propriétaire de la Manche, M. le Marquis d'Asgndann fait signer. Elle demande à l'Assemblée deux choses. l • le rappel de Florence de l'Ambassadeur Français, 2• que les batiments de guerre soient armés à Toulon et mis à la disposition du Général Charrette et du Corps qu'il commande pour prendre la mer et aller délivrer le Souverain Pontife. Si le sens politique ne fait pas complètement défaut à la majorité de l'Assemblée Nationale, ces vaines paroles et ces vaines pétitions y recevront l'accueil qu'elles méritent, mais l'ltalie peut-elle se reposer dans le bon sens de l'Assemblée Française? M. Thiers pourra-t-il toujours lui communiquer le sien? Le parti ennemi de l'Unité italienne ne se borne pas du reste au pétitionnement. Il passe à des actes qui sont une violation de la loi Française, et que le Gouvernement Français laisse accomplir. Aussi il laisse violer le décret de Mars qui abolissait tous les Corps francs organisés pendant la guerre avec l'Allemagne. Le Corps de Charrette est seui resté organisé en Bretagne. Les journaux annoncent que cette exception significative a motivé des représentations de la part du Gouvernement du Roi. Mais ce Que le Gouvernement du Roi ignore peut-étre c'est l'existence d'un enròlement clandestin qui se fait sur une large échelle pour le Corps des Zuaves Pontificaux.
Quoique le dépòt de ce Corps soit en Bretagne, l'enròlement se fait jusque dans la région de l'Est, en Franche-Comté, dans les Pays occupés par les Allemands. J'étais l'autre jour à Dòle et là j'ai appris que les enròlés reçoivent de 2500 à 3000 francs. Ils sont pris généralement parmi les hommes qui ont appris le maniement des armes dans la dernière guerre. Ils restent chez eux, quoique payés or d'avance pour une partie de leur engagement et se tiennent prets à partir au premier ordre. Ils forment ainsi une armée occulte que l'on dit etre à double fin, prete à se battre pour la restauration légitimiste et pour la restauration du Pape.
J'espère, Général, que l'Italie ne sera pas prise à dépourvu. L'état des esprits en France est grave. On n'y parle que de la revanche de Rome, comme l'année clernière on ne parlait que de la revanche de Sadowa. Il y a les memes illusions. Les esprits sérieux reconnaissent volontiers que la France n'est pas en état de faire la guerre à l'Italie en ce moment, mais ils se persuadent avec une étonnante facilité qu'une action diplomatique suffirait pour faire rendre Rome au Pape.
Cette illusion est commune meme parmi les hommes politiques. Eh bien! je crois que le plus sage est de dissiper cette illusion avant que la France soit en état de lui donner un Corps. Il est bien évident qu'elle ne peut pas entreprendre une guerre en ce moment, mais elle peut permettre à des bandes soldées par le parti clérical de se jeter sur quelque point de l'Italie, et cela serait presque aussi désastreux que la guerre déclarée. L'Italie ne peut pas supporter longtemps une menace de guerre qui s'affiche si ouvertement et que l'on fait signer par des milliers de Français.
Recevez, Général, l'expression de mes sentiments dévoués.
(l) Per i rapporti fra Italia e Tunisia cfr. L DEL PrANO, La penetrazione italiana in Tunisia (1861-81), Padova, 1964.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
D. 323. Roma, 16 luglio 1871.
Avant meme de recevoir votre dépeche du 12 (l) et la lettre de S. E. Jules Favre Ministre des Affaires Etrangères, je me suis empressé de rectifier par télégraphe les nouvelles inexactes sur de prétendues augmentations des fortifications de Civitavecchia. Je vous envoye aujourd'hui la copie de la lettre que mon collègue au département de la guerre m'a écrite à ce sujet. Elle vous mettra en mesure de détruire complètement la fàcheuse impression que ces bruits avaient produite, si toutefois elle n'a pas été effacée, ainsi que vous me le faites espérer par votre télégramme d'hier (2), par les rectifications que vous avez déjà fournies.
Mais, bien que je regarde cet incident comme vidé, je saisis avec empresse
ment l'occasion qui m'est fournie par la lettre de M. Jules Favre pour ajouter
quelques explications. Personne ne regrette plus que moi et mes collègues que
quelques journaux italiens se fassent l'organe de méfiances que rien ne justifie
et paraissent surpris par des sentiments d'animosité contre la France que l'opi
nion publique en Italie est loin de partager. Il n'est pas à ma connaissance
qu'aucun homme politique de quelque valeur ait pris une attitude hostile
contre le Gouvernement Français. Il me serait facile au contraire de démontrer
(2} Non pubblicato.que nos Chambres se sont toujours associées avec empressement aux sentiments de sympathie et d'amitié que le Gouvernement du roi a exprimé chaque fois qu'une occasion naturelle s'est présentée de le faire, pour le Gouvernement actuelle de la République.
Dans tous les cas, les journaux italiens et les hommes politiques qui chez nous semblent nourrir des sentiments peu bienveillants pour la France, ont une importance incomparablement inférieure aux journaux et au parti qui en France sont ouvertement contraires à l'existence meme de la nationalité italienne. Cependant vous me rendrez cette justice, lVI. le Ministre, que jamais je ne vous ai mis dans la nécessité d'appeler l'attention de S. E. M. J. Favre sur l'attitude des journaux auxquels je fais allusion. Je me vois donc en droit d'espérer de l'équité bien connue de S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de la République qu'il ne donne pas plus d'importance à tel ou tel article de journaux, tellement infìmes que chez nous on en ignore meme l'existence, que nous n'attribuons de valeur politique à des organes français qui sont cependant très considérables par le talent de leurs rédacteurs et par leur influence sociale.
Dans les pays où la presse est libre, et elle l'est en Italie aussi complètement qu'en France, il est impossible d'empecher que la politique des Etats étrangers devienne l'objet d'appréciations erronées. Il appartient à chaque Gouvernement de redresser chez lui l'opinion publique, en employant tous les moyens légaux pour l'éclairer.
A ce point de vue, je suis reconnaissant à M. Jules Favre d'avoir provoqué lui meme un échange d'explications de nature à prévenir tout malentendu sur les intentions mutuelles des deux Gouvernements. Je suis heureux de voir confìrmer par lui, ce que d'ailleurs vous m'avez déjà fait connaitre, que la France repousserait d'une manière absolue toute ouverture qui lui serait faite pour soulever la question du pouvoir temporel: qu'elle ne veut que protéger l'indépendance personnelle et la liberté spirituelle du Souverain Pontife et qui loin de porter par là atteinte à ses relations amicales avec l'Italie, elle les fortifìe puisqu'elle s'associe à notre règle de conduite.
Veuillez remercier S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de ces déclarations. Elles sont de nature à nous satisfaire entièrement, et, s'il me reste un voeu à exprimer, c'est que le Gouvernement français ait une occasion prochaine d'exprimer publiquement des sentiments analogues vis-à-vis de l'Italie. Les paroles de M. Jules Favre et de M. Thiers auraient non seulement en France mais en Italie meme une autorité incomparable pour prévenir des défìances, calmer des appréhensions que le Gouvernement du Roi n'a j'amais partagées, qu'il est, du reste, fermement décidé à détruire, autant que cela dépend de lui. En effet je dois appeler l'attention de M. Jules Favre sur un point de vue, qui lui a peut etre échappé. C'est qu'il y a en Italie des journaux et un parti, qui, tout en étalant les sympathies les plus ardentes pour la France, ne négligent aucun moyen pour compromettre la politique française, vis-à-vis de l'Italie. Ces sont les journaux cléricaux, le parti clérical. Sur ce parti, sur ces journaux, qui prechent ouvertement la guerre entre la France et l'Italie, nous n'avons aucun moyen d'influence morale. Il nous faudrait recourir à la répression légale: nous nous en abstenons, car il nous semble que rien ne prouve mieux
la liberté accordée au S. Père et à l'Eglise dans les matières spirituelles, que l'abus fait de cette liberté méme, que l'appel dévergondé à la violence et à la guerre de la part de journaux et d'un parti qui professent n'avoir en vue que les intéréts religieux. Une fois que les hommes de ce parti seront convaincus qu'aucun Gouvernement en Europe ne partage leurs idées sur les moyens de défendre la religion et de propager la charité chrétienne, la polémique si ardente en Italie et en France tombera d'elle-méme et l'apaisement des esprits sera ,}a récompense naturelle de nos efforts constants pour maintenir des relations intimes non seulement entre les deux Gouvernements mais aussi entre les deux populations.
Veuillez donner lecture et laisser copie de cette dépéche à M. J. Favre.
ALLEGATO
RICOTTI A VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Firenze, 16 luglio 1871
In seguito a nuove investigazioni ecco quanto resulta essersi fatto da noi relativamente alla difesa di Civitavecchia.
Dopo l'occupazione di detta città non fu speso un soldo per aumentare le opere di fortificazioni, anzi recentemente fu accordato al Municipio la facoltà di demolire un tratto della vecchia cinta per migliorare le condizioni commerciali della città. Nella scorsa primavera, non potrei precisare il mese ma probabilmente in Aprile o Maggio, furono inviati a Civitavecchia 4 (dico quattro) obici da cent. 22 rigati per aumentare le artiglierie di difesa di quella fortezza. Come vederà facilmente non trattasi QUindi che di un fatto insignificante tanto più se si considera che questi obici da cent. 22 rigati sono bocche da fuoco di ripiego e ben lungi dal possedere quella potenza che si desidera ora dalle nuove artiglierie da costa, siccome potrà facilmente essere attestato al Signor Favre dallo stesso Ministero della guerra francese.
Aggiungo che questa distribuzione di alcuni obici da cent. 22 rigati fu compiuta in tutte le piazze marittime del Regno nella scorsa primavera, e non trattavasi quindi di una disposizione speciale per Civitavecchia.
(l) Cfr. n. 17.
IL MINISTRÒ DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
(AVV)
L. P. Roma, 16 luglio 1871.
Ho ricevuto ieri la lettera del Signor Favre annessa al vostro dispaccio (1). e il telegramma (2) col quale mi annunciate che fra pochi giorni vi sarà nell'Assemblea una discussione sulle cose di Roma; avevo prima ricevuta la vostra
lettera del 7 corrente (3).
6 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
La lettera del Signor Favre è un documento importante per noi. Vi si contiene sul potere temporale una dichiarazione esplicita ed è certo che, dopo i vostri dispacci nei quali m'avete riferito altre dichiarazioni del Ministro degli Affari Esteri di Francia e dopo questa lettera, sarebbe difficile a un governo francese ostile a noi il ricondurre la quistione puramente e semplicemente alla violazione del trattato di Settembre e il sostenere che nulla è intervenuto dalla parte della Francia dal Settembre del 1870 in poi.
Il Signor Favre nella sua lettera, nella quale sarebbe ingiusto il disconoscere il sentimento amichevole che l'ha dettata, formula un lamento contro le manifestazioni ostili alla Francia di una parte della stampa e dell'opinione pubblica italiana e sembra accennare che, nel giudizio suo, il governo italiano non ha fatto quanto potrebbe fare per porre un termine a queste manifestazioni, per dissipare i malintesi, per ricondurre nei rapporti non solo dei due governi ma anche de' due popoli quella cordialità che risponda alle memorie del passato e agli interessi dell'avvenire. Voi sapete se nulla più risponde ai nostri più vivi desideri che il veder tolta ogni ombra dai rapporti dell'Italia e della Francia, il vedere questi rapporti stabiliti sulla base d'una franca ed evidente amicizia. La migliore politica è quella che consiste nel creare i rapporti politici secondo la legge naturale delle cose; la diffidenza, l'ostilità, le precauzioni ostili fra l'Italia e la Francia liberale costituirebbero, agli occhi nostri, una di quelle ~ondizioni forzate che non si cercano per volontà propria, ma solo si accettano come una triste e ineluttabile necessità impostaci dalla volontà altrui. Su questo argomento io vi ho già, più d'una volta, detto tutto il mio pensiero, nè potrei che ripetermi, poichè la verità è una sola e certe situazioni non mutano. In Italia non v'è un sentimento vero d'ostilità verso la Francia, v'è un sentimento d'inquietudine della ostilità della Francia verso l'Italia. L'Italia desidera vivamente ed ha un profondo bisogno di raccogliere le sue forze, dopo tante agitazioni, e di sviluppare le sue risorse in un sentimento di sicurezza e di tranquillità. Essa è impegnata in una questione sulla quale le è impossibile indietreggiare, un profondo sentimento nazionale le fa accettare sin d'ora la necessità di correre piuttosto gli estremi cimenti, e una parte dell'opinione italiana teme che i soli pericoli, le sole minaccie, le sole ingerenze ci possano
venire dalla Francia. Questo timore è chimerico, lo credo, ma, quando si vogliano giudicare le cose spassionatamente, non è da meravigliarsi che questa impressione esista, poichè essa non è solo esclusiva all'Italia, e i giornali di tutti gli altri paesi quando si occupano delle cose di Roma e della situazione internazionale dell'Italia, esprimono lo stesso dubbio. Questo sentimento di inquietudine, che non è neppure diviso da tutta l'opinione italiana e specialmente da tutta quella parte d'opinione che ha una vera influenza sulla direzione della cosa pubblica nel nostro paese, si traduce in un certo sentimento d'irritazione. ·Questa è la diagnosi del male, e voi sapete che non ho mai cessato dal preoccuparmene con sentimenti concordi a quelli che animano il Signor Giulio Favre di cui l'Italia non ha certo dimenticato le antiche e costanti simpatie, poichè ciò che mi è sempre parso temibile è che, a poco a poco e per una serie quasi inavvertita d'incidenti si crei fra i due paesi una di quelle situazioni delicate,
di quelle disposizioni d'animo inquiete ed irritabili che sono già per se un pericolo, anche indipendentemente dalle loro cause. È più facile guarire un male quando se ne conoscono le cagioni, e in questo caso il far scomparire tali cagioni dipende più ancora dal Governo francese che da noi.
È naturale che queste condizioni dello spirito pubblico si riflettano nei giornali, ma, se si esclude qualche foglio ignobile e semi ignorato, vi si riflettono nella misura che vi ho indicato e non oltre. Quanto vi scrivo intorno ai giornali nel dispaccio che troverete nella presente spedizione (1), credo che risponda all'esatta verità. Voi avete più volte segnalati alla mia attenzione degli articoli di giornali francesi il cui linguaggio superava certo quello delle nostre più basse od ignobili pubblicazioni. Come sarebbe impossibile al Governo francese d'impedire ai molti giornali francesi che ci sono ostili di esprimersi verso l'Italia come si esprimono, così è impossibile a noi d'impedire che si stabilisca, fuori della sfera dell'influenza governativa, una polemica a cui non possiamo tracciare i limiti. Io temo, d'altronde che il Signor Favre possa essere tratto a non giudicare esattamente lo stato reale delle cose, in questo argomento, dal fatto che probabilmente egli riceverà dai suoi agenti i numeri di quei giornali in cui è contenuto qualche articolo riprovevole, ma non gli saranno mandati i giornali che tengono un linguaggio affatto opposto e che sono fra i più importanti e i più universalmente letti in Italia, L'Opinione, La Perseveranza per esempio, la quale si distingue per le più vive simpatie verso la Francia. Non è certo colpa nostra se la partenza del Conte di Choiseul produce una impressione dolorosa. Il Signor di Choiseul prima di partire e, in seguito il Barone de la Villestreux mi espressero il desiderio che il Governo cercasse di esercitare quella influenza morale che era in poter suo, perchè i giornali non dessero a questo incidente un'importanza e un significato più grande di quello ch'esso doveva avere. Io mi adoperai come meglio ho potuto e colla migliore volontà e il Signor de la Villestreux, venuto poi a Roma, mi disse di avere osservato con piacere il linguaggio moderato e conciliante tenuto, in questa occasione, dai giornali serii. Quando si tratta della causa dei buoni rapporti fra l'Italia e la Francia non è lo zelo, nè la convinzione che mi possono mancare, ma nè il mio z·elo, nè la mia convinzione possono togliere che, nelle relazioni internazionali, un congedo dato espressamente a un capo di missione in certe circostanze non significhi l'intenzione nel Governo, che richiama in congedo il suo Ministro, di constatare una certa freddezza di rapporti,
-o non sia interpretato come la prova di questa intenzione. Era impossibile che tale non fosse l'impressione nel pubblico, sopratutto quando si faceva il raffronto colla condotta degli altri Governi. Per me insomma se v'ha qualcosa d'evidente è che il sentimento vero e profondo del paese consiste nel desiderio della tranquillità e della sicurezza, pur mantenendo fermo il programma nazionale. Il paese comprende chiaramente che il modo il più diretto e il più sicuro per evitare delle serie complicazioni internazionali per la questione romana è quella d'avere le migliori relazioni colla Francia, perchè dalla Francia solo ci possono venire le serie complicazioni e le manifestazioni dello spirito pubblico in Italia saranno in rapporto colle disposizioni della Francia verso di noi.Ora, per quanto concerne il potere temporale, le dichiarazioni contenute nella lettera del Signor Favre sono le più soddisfacenti e le più esplicite. Vi sarà presto una discussione nell'Assemblea, il Signor Thiers vi disse che egli declinerà la questione territoriale e dichiarerà nel tempo stesso che il Governo francese ha un alto interesse all'indipendenza del Pontefice ed è pronto ad intendersi per assicurarla coi governi cattolici. Il Signor Favre vi ha ancora parlato dei progetti non ancora abbandonati di una conferenza.
Non occorre ch'io vi dica che mi associo completamente alle osservazioni che voi avete fatto al Signor Favre intorno al progetto di una conferenza e di cui il Signor Favre ha riconosciuto la giustezza e il valore. Le dichiarazioni esplicite sulle sole basi sulle quali noi possiamo discutere intorno alla questione dell'indipendenza del Pontefice rispondono alle inalterabili disposizioni del Governo e del Paese.
Voi sapete che il Governo italiano non ha mai pensato un istante a disconoscere l'interesse e il diritto dei Governi aventi sudditi cattolici nell'indipendenza spirituale del Pontefice.
Abbiamo sempre dichiarato che era nostro preciso dovere di rispettare questa indipendenza, astenendoci da qualunque atto che potesse menomarla, abbiamo sempre dichiarato che sarebbe una politica funesta per l'Italia quella che avesse preteso di esercitare un'influenza esclusiva, anche solo morale, sul papato, il quale doveva conservare il suo carattere d'istituzione universale. Non abbiamo mai inteso di declinare questa grande responsabilità che l'Italia aveva assunto verso il mondo cattolico.
Non è esatto il dire che le guarentigie che noi abbiamo date al Pontefice non offrono alle altre nazioni alcuna sicurezza perchè esse sono affatto unilaterali e nulla accerta che non saranno un giorno ritirate e che saranno sempre rispettate. A questa abbiezione si può rispondere che il diritto dei governi cattolici all'indipendenza del Pontefice non è mai prescritto, la nostra responsabilità non è diminuita; il giorno in cui noi attentassimo alla sua indipendenza, uscendo dai limiti degli attuali nostri impegni, i Governi cattolici potranno sempre tutelare i loro diritti. Credo io pure che, quando si parla di conferenza, il miglior partito per noi sia piuttosto di obbiettare la difficoltà di formulare un programma e di ottenere sulla base che sola è accettabile per noi l'adesione della S. Sede all'arbitrato diplomatico, piuttostochè di doverci tassativamente pronunciare sull'adesione o sul rifiuto a priori. Ma se anche fosse possibile una Conferenza per rifare, con poche varianti, la nostra legge delle guarentigie, bisognerebbe chiedersi se per raggiungere questo risultato sarebbe utile una solenne riunione diplomatica su una cosi grande questione, e se sarebbero queste le circostanze più adatte, il momento più opportuno, quando questa solenne riunione, da una parte, ecciterebbe tutte le illusioni del partito clericale che chiederebbe alla diplomazia ciò che la diplomazia non può dargli, vale a dire, la restaurazione del potere temporale, dall'altra parte, allarmerebbe in Italia il sentimento liberale e nazionale, che temerebbe di vedere riaperta la questione politica. Voi sapete che in Italia, nell'opinione pubblica, v'è una grande repugnanza contro queste idee di conferenze e di impegni internazionali. V'è certo in questa repugnanza qualcosa d'eccessivo forse e che bisognerebbe affrontare quando si trattasse di prevenire maggiori pericoli al paese, pure il sentimento esiste ed è d'uopo tenerne conto. La causa di questa repugnanza sta nel timore di una continua ingerenza diplomatica, nel timore che, siccome l'interesse del Papato sta nell'opporci le maggiori difficoltà possibili, una volta accettata la guarentigia internazionale, esso ci solleverebbe tanti e così continui incidenti da metterei nelle condizioni della Turchia con le sue capitolazioni e colla assicurazione collettiva della sua integrità.
V'è una convinzione che io attingo da quel concetto pratico che si acquista sul luogo stesso, ed è, prima ancora di assicurare in un modo più completo, se lo si crede necessario, le guarentigie giuridiche, la principale condizione per una soluzione graduale del problema romano è la pacificazione degli animi. Ora questa pacificazione non si può affrettare che astenendoci da quanto può eccitare sempre più da un lato il sentimento cattolico, dall'altro il sentimento nazionale dei romani e dell'Italia.
Quando dunque si parla di un'azione diplomatica per tutelare l'indipendenza del Pontefice, e si dice che quest'azione si accorda colla regola stessa di condotta dell'Italia, si esprime un concetto di cui certo noi non possiamo contestare la legittimità. Rimane solo, come in tutte le cose umane, la questione del modo, dei mezzi e dell'opportunità, e non posso ammeno d'indicare il pericolo che questa azione diplomatica esercitata, o quando non ve ne sia la necessità, o quando non vi sia la possibilità di raggiungere alcun utile risultato, riesca a mantenere aperta o a ricondurre in campo la questione stessa del potere temporale, o ad essere interpretata, come un mezzo per mantenere aperta o per ricondurre in campo questa questione.
V'è qui in Roma un sistema assai bene organizzato per spargere in tutta l'Europa un complesso di notizie o assolutamente inventate o immensamente esagerate, nello scopo di far credere che in Roma regna un perpetuo disordine, che non v'è alcuna sicurezza, alcun rispetto per le persone e per le istituzioni religiose. Non amo a essere troppo indulgente verso il mio paese e a palliare la verità. È vero che qui vi sono alcuni cattivi giornali che non hanno alcuna influenza, ma che allettano qualche volta la curiosità volgare e non servono ad altro che ad essere raccolti dai nostri nemici che vi trovano un tema di accuse contro l'Italia. Ma si stampano anche dei giornali clericali, di cui vi manderò qualche numero e che sono più violenti, più provocatori, più indegni dei peggiori fra i giornali demagogici, i quali scompariranno coll'importazione dei giornali più seri che accompagnano la sede del Governo. Avviene anche, ma assai di rado che in qualche quartiere remoto della città qualche prete raccolga un'ingiuria da qualche mascalzone. L'autorità, appena informata, ricerca e punisce, ma quasi sempre l'ingiuriato non denunzia il fatto, va a magnificarlo, esagerandolo, a un giornale clericale, che alla sua volta, lo esagera a quattro doppii. Ma io esco per la città e vedo pure frati e preti di tutti colori soli o a frotte, girare liberamente per Roma.
Roma può benissimo, per servirmi delle vostre parole, essere la capitale
di uno Stato liberale e la sede sicura e degna del Pontefice. Solo vi sono due cose che possono spingere e che, in parte, spingono anche attualmente lo spirito pubblico di questa città fuori delle vie della moderazione. È l'inquietudine di qualche complicazione politica che metta in dubbio le nuove sorti di Roma. Di mano in mano che la fiducia nell'avvenire si consoliderà, scomparirà, nell'istessa proporzione, l'irritazione contro il papato e contro l'ordine di idee che si associa col papato, cessata la lotta, subentrerà anche meglio il sentimento della libertà e della tolleranza. L'altra causa d'irritazione sta nella mancanza di qualunque moderazione dalla parte dei clericali e del partito che domina al Vaticano. Il Papa non resistè che una sola volta a questo partito e fu nel non abbandonare Roma. Il partito dei Gesuiti ne è dolente e siccome esso si pasce d'una continua illusione che il potere temporale possa essere restaurato con una guerra contro l'Italia, il suo scopo è d'impedire qualunque opera di pace, di inasprire la situazione per quanto può, di immaginare ogni modo per renderla intollerabile. Nel campo liberale, gli animi si eccitano alla loro volta e quindi ne viene una certa tensione morale e quella polemica incessante, continua, intorno a una questione che bisognerebbe invece circondare di pace, di tolleranza e di silenzio. L'ordine sarà da noi mantenuto colla più grande risoluzione. Ma io credo che se, per esempio, a Parigi l'Arcivescovo oggi proibisse con un mandamento la lettura di tutti i giornali, domani sospendesse un prete perchè ricevette il giuramento dei soldati, posdomani obbligasse uno dei più colti e
venerabili ecclesiastici di Roma, Professore all'Università, a dimettersi perchè in ragione del suo ufficio, dovè recarsi con una deputazione dell'Università dal Re, io credo che finirebbe col tirarsi addosso qualche procella.
lo sono convinto che il mezzo più efficace, anzi il solo mezzo per combattere l'influenza di quel partito fanatico di cui tutti deploriamo la prevalenza intorno al Pontefice, è di togliere ad esso ogni illusione intor.no alla restaurazione del potere temporale. Ogni illusione di questa natura, e Dio sa se al Vaticano sono corrivi a :farsene, il minimo indizio, il minimo incidente ne è l'occasione e lo argomento; si traduce in un raddoppiamento di violenze e di spirito irreconciliabile. Quei Governi che mossi da un sentimento al quale rendo giustizia, più si interessano alle sorti del Papato e desiderano la paci:ficazione, devono astenersi da qualunque atto che possa dar luogo ad equivoci e mantenere le illusioni, perchè queste sono un ostacolo invincibile per ottenere appunto quella conciliazione alla quale vorrebbero cooperare. V'è in Roma, nel clero e anche fra i Cardinali, un partito più considerevole che non si crede forse, che deplora le violenze inutili e compromettenti per la religione, che vorrebbe far prevalere delle tendenze più concilianti. Questo partito, che è ancora timido, che si limita a lamenti e a voti, poco meno che segreti, oserà solo farsi innanzi e alzare la voce quando potrà dire, quasi a scarico della propria responsabilità, che la moderazione e la conciliazione sono imposte dalla necessità delle cose. Per me credo che ciò che v'ha di più pratico per la questione romana è di non agitarla continuamente. È una questione per la quale è necessario anzitutto il tempo, perchè la sua soluzione completa non potrà essere data che da quelle modificazioni nelle idee, nelle abitudini, nelle coscienze, che il tempo solo può condurre con sè. Il tempo, colla prova del fatto e dell'esperienza, mette fuori di dubbio la possibilità di quelle soluzioni che a priori parevano oltremodo difficili. L'Italia deve procedere con una costante moderazione, i Governi cattolici, possono, in certa guisa, sorvegliare l'Italia, tenersi pronti a tutelare i propri interessi religiosi quando fossero ingiustamente offesi da noi. Evidentemente non è ad aspettarsi che Pio IX possa desistere dall'attitudine presa, ma gli anni che ancora rimangono al suo Pontificato possono così essere superati e a un nuovo Papa, sorto in altre circostanze, la conciliazione non sarà impossibile. Quando l'accordo fra il Papato e l'Italia sarà attuabile, allora la azione dei Governi cattolici potrà utilmente intervenire a consacrare la situazione del Papato rispetto al paese dove esso ha la sua sede. La questione del Papa futuro è di una importanza somma per gli interessi della politica e per quelli della religione. La previdenza dei Governi dovrebbe rivolgersi fin d'ora ad agevolare l'elezione di un Papa disposto a sentimenti di conciliazione non solo verso l'Italia, ma verso tutta la moderna società. Se vi capita l'occasione opportuna, potete toccare questo argomento col Signor Thiers. Noi siamo, per quanto può dipendere da noi, dispostissimi all'entrare in questo ordine di previsioni.
Poichè la discussione su Roma è imminente nell'Assemblea, io spero vivamente che il linguaggio del Signor Thiers e del Signor Favre sia esplicito per la questione del potere temporale (è questo d'una vitale importanza pei rapporti dei due paesi) e non sia tale da lasciar supporre un'intenzione di ingerenze diplomatiche che distingua troppo l'attitudine della Francia dall'attitudine delle altre Potenze amiche.
Il Signor Thiers vi disse che noi non dovremmo troppo preoccuparci della forma che egli darà al suo linguaggio, ma piuttosto del fondo. A questo riguardo vi espongo una mia preoccupazione. Qualche tempo fa, nel desiderio di trovare un'occasione che agevolasse qualche manifestazione amichevole fra l'Italia e la Francia, abbiamo pensato che l'inaugurazione del tunnel del Cenisio potesse essere appunto una di queste occasioni. Pensammo che era forse più prudente lasciare l'iniziativa di qualche passo in proposito alla Società dell'Alta Italia che doveva fare l'inaugurazione e le feste. Sella ne parlò a Landau e voi conoscete il risultato della conversazione di L:mdau con Thiers. Questi gli disse che egli stesso si sarebbe recato all'inaugurazione se il Re vi fosse intervenuto. Io non mi posso muovere da Roma, ma Sella partì per Valdieri per esplorare l'animo del Re e indurlo ad accogliere questo progetto. Avuta l'accettazione del Re, vi avrei scritto per la démarche ufficiale. Io credo che il Re acconsentirà. Ma se Thiers nel suo discorso, malgrado anche la bontà delle conclusioni, offendesse qualche legittima suscettibilità, non glie ne serberemmo per questo un gran rancore, ma un incontro ufficiale del Re col Signor Thiers poco tempo dopo diventerebbe alquanto difficile. Il Re istesso vi si potrebbe opporre, per quanto non dubiti che il Signor Thiers, sul quale il Re fece buona impressione quando si videro a Firenze, non mancherebbe a qualunque riguardo. Ma voi sapete che il Re ha un sentimento molto altero e suscettibile delle convenienze di un Sovrano.
Attendo con non minore ansietà che la vostra, il risultato di questa discussione e frattanto vi stringo la mano.
L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A FIRENZE, LA VILLESTREUX, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
Firenze, 18 luglio 1871 (per. il 21).
J'ai eu l'honneur de faire connaitre à V. E. que j'avais informé mon Gouvernement des intentions du Gouvernement du Roi au sujet d'une entente à établir entre les Cabinets de Londres, de Rome et de Paris sur les réformes applicables à la juridiction des Consulats dans la Régence de Tripoli d'Afrique.
Je viens de recevoir à l'instant sur cette question un télégramme de M. Jules Favre qui me charge d'annoncer à V. E. qu'il accueille avec empressement l'offre d'examiner et de résoudre ensemble la question de la juridiction dans la Province de Tripoli.
M. le Ministre des Affaires Etrangères de France ajoute qu'il prie V. E. de envoyer à M. Nigra des pouvoirs qui lui permettront de délibérer avec lui et au besoin de signer un arrangement conforme à celui qui a été fait avec la Angleterre.
En m'empressant de transmettre ce désir à V. E., je saisis...
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 158. Parigi, 19 luglio 1871 (per il 23).
Ho l'onore di trasmettere in copia all'E.V. una lettera in data di ieri nella II'!Uale S.E. il Signor Giulio Favre esprime il desiderio che il Governo francese ed il Governo italiano s'intendano per agire d'accordo nella questione della applicazione delle capitolazioni nella provincia di Tripoli di Barberia.
Il Signor Giulio Favre desidererebbe che il R. Governo desse al Ministro d'Italia in Parigi i poteri necessari per trattare tale questione col Ministero Francese degli Affari Esteri.
Prego l'E.V. di volermi mettere in grado di fa-r pervenire una risposta in proposito al Signor Giulio Favre e mi valgo dell'incontro per reiterarle...
.ALLEGATO
FAVRE A NIGRA
Versailles, 18 juiHet 1871.
J'ai reçu par l'Ambassadeur de Turquie communication d'un protocole signé à Londres le 12 Juillet dernier par LL. EE. Musurus Bey et Lord Granville et par lequel la Grande Bretagne déclare accepter dans la province de Tripoli d'Mrique l'application des capitulations qui régissent les rapports de l'Empire Ottoman et des Puissances Occidentales pour la juridiction consulaire; en se réservant cependant à cet égard, le traitement de la nation la plus favorisée. S. S. Djémil Pacha me faisait savoir en méme temps que le Cabinet Italien était prét à signer cette convention.
Je me suis haté de charger M. de la Villestreux de demander à M. Visconti Venosta où en était cette négociation pour laquelle déjà je m'étais mis en rapport soit avec lui soit avec Lord Granville. M. le Ministre des Affaires étrangères a répondu à notre Chargé d'Affaires au'il n'avait pas encore pris de parti et demandait à en conférer avec nous.
C'est aussi mon désir, voulant comme V. E. le sait agir de concert avec vous toutes les fois que nous avons un intérét commun.
Je vous prie donc de prendre les ordres de votre C;abinet et, s'il partage mon avis, de réclamer de lui des pouvoirs qui vous permettraient d'examiner avec moi cette question et de nous mettre d'accord pour accepter ou repousser ce protocole.
C'est en ce sens que j'écris à l'Ambassadeur de Turquie et que je donne mes instructions à M. de la Villestreux.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 2. Vienna, 20 luglio 1871 (per il 25).
Recatomi oggi da S.E. il Cancelliere onde salutarlo prima della sua partenza per Gastein, mi si presentò propizia occasione di soddisfare all'incarico che all'E.V. piaceva affidarmi col suo dispaccio dell'8 corrente (Divisione Politica N. 2) (1).
Il Conte di Beust mostrò apprezzare pienamente le spiegazioni da me dategli a nome dell'E.V. sulle circostanze di fatto relative alla partecipazione data al Corpo Diplomatico accreditato presso il Re, Nostro Augusto Signore, dell'effettivo trasloco della Capitale a Roma pel 1° luglio, nonchè del trasferimento alla stessa epoca in quella città della residenza ufficiale di Sua Maestà; e mostrassi pure lietissimo dell'assicurazione che io .gli diedi che l'incidente relativo all'astensione del Barone di Kiibeck dall'intervenire alle feste date dal Municipio e cittadinanza Romana a S.M., non avesse per nulla alterato gli ottimi rapporti esistenti fra i due Governi, nè scemata la gratitudine dell'E.V. per le esplicite dichiarazioni in proposito da lui fatte in antecedenza, le quali toglievano sin da principio ogni carattere men che amichevole alle istruzioni susseguentemente date al Barone di Kiibeck.
Egli mi aggiunse inoltre che l'amichevole linea di condotta del Governo Imperiale e Reale era stata da lui nettamente tracciata nelle sue dichiarazioni alle Delegazioni, e che tale essa strettamente si manteneva.
Avendogli poi io detto che una cosa sola era riuscita incresciosa al R. Governo, e si era: che l'assenza da Roma in quei giorni del Barone di Kiiheck
avrebbe forse impedito che il Governo Imperiale e Reale fosse stato diretta
mente ragguagliato dell'ordine perfetto col quale ebbero a procedere le feste
in quistione, nonchè del vero ed altamente apprezzabile carattere dell'avve
nuta manifestazione popolare, l'E.S. si compiacque assicurarmi che a malgrado
l'assenza del Barone di Ki.ibeck, egli aveva avute le più ampie informazioni le
quali pienamente concordavano con quelle che io Le davo.
Colsi poi ancora l'occasione per mettere in rilievo la libertà la più completa
di cui fruisce il Santo Padre in Roma, citando ad esempio in modo generico i
recenti Brevi Pontifici resi di libera e pubblica ragione in Roma non solo ma
in Italia tutta per mezzo della stampa, senza che il Governo vi frapponesse osta
colo di sorta o mostrasse adombrarsene.
Parvemi qui non fosse fuori di proposito il porre in evidenza ancora la
rilevante entità delle guarantigie conferite dalla vigente legge alla indipen
denza spirituale del Sommo Pontefice, e come tale per l'appunto fosse, perchè
alla sua elaborazione l'Italia era stata lasciata libera da qualsiasi influenza o
concorso straniero, e ciò anche, poichè molto probabilmente altri Governi avreb
bero creduto pericoloso precedente per loro associarsi alla sanzione di talun
principio di libertà religiosa spontaneamente accettato dal Governo Italiano.
A questo proposito il Conte di Beust disse riconfermarmi quanto già aveva
detto all'onorevole mio predecessore Cavaliere Minghetti in ordine alla legge
delle guarantigie ch'egli trovava larghissima, al cui riguardo il Governo Impe
riale e Reale aveva creduto doversi astenere dall'emettere apprezzazione di sorta
onde strettamente attenersi al principio di non intervento da esso adottato in
questa quistione.
(l) Cfr. n. 13.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
L. P. l.
Berlino, 20 luglio 1871.
Je vous suis très reconnaissant de la lettre particulière que vous m'avez fait remettre par le courrier Villa (1).
A titre d'information, et pour maintenir un échange de vues avec le Cabinet de Berlin, j'ai jugé à propos de donner, confidentiellement et en voie privée, lecture de quelques passages de cette lettre au Secrétaire d'Etat. Je me suis surtout attaché à faire ressortir avec quel enthousiasme Notre Auguste Souverain avait été reçu à Rome, combien S.M. et l'opinion publique avaient été favorablement impressionées par le fait de la présence du représentant de l'Empire d'Allemagne à des solennités si marquantes dans notre histoire. On ne pouvait mieux répondre aux sentiments qui nous animent envers le Cabinet
de Berlin, avec lequel nous tenons à entretenir les meilleures relations, sur la base de la conservation de la paix ainsi que de la protection des principes monarchiques et de l'ordre social. Ces grands intérets établissaient entre les deux nations, indépendamment de leurs sympathies mutuelles, une solidarité faite pour resserrer toujours d'avantage leurs rapports, dans le présent et dans l'avenir. J'ai aussi fait allusion à la question romaine pour pressentir si le Gouvernement Français avait fait ici quelque communication.
M. de Thile s'est montré très satisfait de ce langage; il m'a remercié de la confiance que nous témoignions au Cabinet de Berlin. Il applaudissait à notre programme politique. Il se réservait d'en écrire à Ems. Il était à meme de me dire, en attendant, que le Comte Brassier avait de son còté envoyé un compte rendu très favorable, sur tout ce qu'il avait vu et entendu durant son séjour à Rome. Il avait surtout emporté le meilleur souvenir de l'audience qui lui avait été accordée par le Roi, qui s'était plu à faire !es éloges du Prince de Bismarck,
• ce jameux gaillard •.
Quant à la question de Rome, l'assurance m'a été donnée, que la France n'avait fait ici aucune démarche, aucune proposition, et que le Marquis de Gabriac n'en avait pas touché mot, au Ministère des Affaires Etrangères, depuis son arrivée à Berlin. Il résultait seulement à M. de Thile, que ce diplomate, vis-à-vis d'un de mes collègues, s'était montré préoccupé des relations d'amitié qui semblaient s'établir entre la Prusse et l'Italie, ce à quoi il avait été répondu, que la France ne pouvait s'en prendre qu'à elle-meme. C'était là une conséquence naturelle de son attitude, si mal inspirée à l'égard de ces deux Puissances.
Pour ce qui concerne la conduite de la Prusse dans cette meme question
de Rome, il nous avait été démontré qu'elle contrastait avec celle du Cabinet
de Paris. M. de Thile ignorait si d'ici le terrain avait été sondé au Vatican, pour
vérifier si on y accueillerait l'idée, que les Puissances donnent en quelque sorte
une consécration aux garanties offertes par l'Italie à la Papauté. Mais S.E. ne
croyait pas que cette combinaison serait réalisable, tant que le St. Père ne
manifesterait pas des tendances à s'entendre avec nous.
J'ai eu cet entretien avec M. de Thile le 15 Juillet. J'y suis retourné aujourd'hui, dans l'espoir qu'il me fournirait quelques nouveaux détails. Mais je n'ai rien appris d'essentiel. Nous sommes entrés dans la saison où les grandes affaires chòment un peu en l'absence de l'Empereur, et surtout du Chancelier I., qui a donné les ordres les plus précis pour qu'on le laisse jouir en repos d'un congé nécessaire à sa santé. Aussi ne vois-je aucun inconvénient à profiter sous peu de jour de la permission que vous avez bien voulu m'accorder de m'absenter pour deux mois de mon poste, et ce d'autant plus que le Chevalier Tosi est parfaitement en état de gérer cette Légation, meme s'il devait se présenter des moments difficiles, car il a déjà fait ses preuves.
(l) Cfr. n. 14.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
-L. P. 2. Berlino, 20 luglio 1871.
Les détails que vous voulez bien me donner sur l'attitude des différentes Puissances, à l'occasion du transfert de la capitale à Rome, sont des plus curieux. La conduite des représentants d'Autriche et de Belgique est au moins puérile, et ne saurait satisfaire méme le St. Siège, qu'ils voulaient cependant ne pas trop heurter de front. Mais j'avoue que la combinaison imaginée par la France, d'accorder un congé au Comte de Choiseul et de faire partir M. de la Villestreux post festum et après l'arrivée à Rome du Ministre d'Autriche, avait un caractère essentiellement dénué de courtoisie. II a du vous en couter de résister à la tentation de ne laisser, à notre tour, qu'un chargé d'affaires à Paris.
Vous étes décidé, m'écrivez-vous, à apporter la plus grande modération dans nos rapports avec la France, à lui montrer une bienveillance constante, à rester toujours du còté de la raison. Autant j'applaudis en voyant que nous ne négligeons pas de nous organiser et de préparer sérieusement Ies forces du Pays pour nous défendre en cas d'attaque, autant je regrette que nous ne Iaissions pas comprendre à notre voisin, que nous traitons avec lui sur le pied d'une parfaite réciprocité, que nous payerons les bons procédés par de bons procédés, mais que nous sommes fermement résolus à ne tolérer aucun écart sans rendre la pareille.
Si la France, comme je le crois, médite de se venger sur nous des revers essuyés dans la dernière campagne, si elle veut en quelque sorte se refaire la main, avant de tenter une revanche contre l'Allemagne, pensez-vous que nous la désarmerons par ce qu'elle interprétera comme un aveu implicite que nous ne nous sentons pas de force à lui tenir la dragée haute? Ne l'encouragerons-nous pas plutòt dans une politique de témérité? Je le crains, c'est pourquoi je vous crie à tue-téte: osez, surtout quand vous avez le bon droit de votre còté. Le Pays vous suivra dans cette voie. Je veux admettre que l'Italie ne soit pas encore suffisamment organisée pour l'offensive, mais pour la défensive, en faisant appel à son patriotisme, nous devons étre en mesure de braver la colère, la mauvaise humeur, Ies velléités de la France, autrement nous ne serions pas dignes d'exister comme nation. Nous avons d'ailleurs Ies atouts en main car la Prusse saurait au besoin paralyser une tentative d'agression contre nous. II y va de son intérét, de ne pas Iaisser cette Puissance étendre la main au delà des Alpes, pour se retourner ensuite contre l'Allemagne.
II faut, bien entendu, que nous ne négligions rien pour entretenir les bonnes dispositions que le Prince de Bismarck m'a manifestées à cet égard. Sous ce point de vue, je regrette que vous ayez cru utile de retarder la publication de la correspondance qui a été échangée entre cette Légation et la Chancellerie I., sur le St. Gothard. Comme de raison, en l'absence d'un ordre forme!, je me suis abstenu de demander ici l'assentiment à une telle publication, qui aurait cependant produit, j'en suis convaincu, un heureux effet sur l'opinion publique, et aurait servi du meme coup camme d'un salutaire avertissement à la France, de ne jamais dépasser la juste mesure dans ses relations avec l'Italie. C'est un moment des plus propices, pour prendre position. n faut que chacun sache à l'étranger, que si nous n'épousons pas !es querelles d'autrui, nous entendons et nous prétendons qu'on nous laisse librement vaquer à nos propres affaires.
Je le répète, osez; vous jouez à coup sur.
Ne voyez dans la rude franchise de mon langage que le désir de servir Ies intérets du Roi et du Pays, et une preuve de la confiance que m'inspire votre caractère élevé. Aussi pouvez-vous compter sur mon entier dévouement.
IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 86. Washington, 20 luglio 1871 (per. il 7 agosto).
Ricevetti or non ha guarì la Circolare che l'E.V. mi fece l'onore d'indirizzarmi li 20 maggio (l) sulla legge relativa alle garanzie accordate al Papa ed alla Santa Sede non che alle relazioni fra la Chiesa e Io Stato.
Nell'assenza del Signor Ministro di Stato, ed a secondo delle parole contenute in essa: • C'est dans ce but que nous portons à la connaissance du Cabinet de Washington la Ioi qui vient d'ètre promulguée •, trasmisi al Signor Fish una copia della legge in discorso accompagnata da un officio esplicativo. A questa comunicazione il Dipartimento di Stato fece la risposta di cui unisco copia al presente. Non dubito che l'E.V. comprenderà le ragioni della riservatezza cui è informato lo stile di questa risposta, non potendosi aspettare più esplicita cortesia da un Governo il quale debbe contare sopra migliaia di Cattolici per la maggior parte addetti al partito ultramontano.
ALLEGATO
Washington, 18 july 1871.
This Department duly received your note of the first instant accompanied by a copy of the Act of the Italian Parliament, relative to guaranties garanted to the Pope, in .consequence of certain recent events in that country. In reply I am directed to offer thanks far your luminous and interesting statement of the policy of your Government in regard to that important subject.
It is not usual far us to express opinions in respect to public matters which relate chiefly to Europe, and it is believed that there is no occasion to deviate from the rule in this instance. You may, however, be certain that we take a lively interest in whatever may contribute to the welfare of Italy, and sincerely hope that the measure to which you advert may Ieast to that desirable result.
(l) Cfr. serie II, vol. II, n. 444.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA
T. 1719. Roma, 21 luglio 1871, ore 14.
Les journaux persistent à croire que la Porte prépare une expédition contre Tunis et l'Egypte on annonce l'envoi prochain d'un commissaire impérial dont la mission consisterait à restreindre l'autorité du Bey et du Vice-Roi dans les limites des anciennes concessions des Sultans. D'autre part on annonce également la réunion prochaine d'une conférence pour la question des chemins de fer tures. A cette conférence qui doit se réunir à Vienne, la Serbie serait représentée. Ce sont là des sujets qui ont un grand intéret pour l'Italie. Je vous prie de me tenir au courant de ces affaires. Donnez-moi des nouvelles de la santé du Grand Vizir. Faites lui savoir tout l'intéret que nous inspire l'état de sa santé.
IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 87. Washington, 21 luglio 1871 (per. il 7 agosto).
L'E.V. conosce come, secondo l'art. XII del Trattato di Washington, li richiami Inglesi ed Americani (all'eccezione di quelli relativi all' • Alabama •) dipendenti da atti commessi a pregiudizio di cittadini dell'una o dell'altra delle parti contraenti, dal 13 aprile 1861 al 9 aprile 1865, debbono essere sottomessi alla decisione di una Commissione composta di tre membri scelti nel modo seguente: un Commissario nominato dalla Regina d'Inghilterra, uno dal Presidente degli Stati Uniti, ed il terzo di comune accordo dalla Regina d'Inghilterra e dal Presidente degli Stati Uniti. Nel caso il terzo Commissario non potesse essere nominato nel modo predetto nel termine di tre mesi dalla data dello scambio delle ratifiche, esso sarebbe designato dal Rappresentante di Spagna in questa residenza. E la Commissione avrebbe a sedere a Washington, e terminare i suoi lavori almeno entro due anni dalla prima riunione.
Il Ministro d'Inghilterra presso questo Governo venne a trovarmi stamane e mi disse che, essendosi trattato fra d'esso ed il Governo degli Stati Uniti della persona da scegliersi di comune accordo per adempiere le funzioni di terzo Commissario, egli propose di affidarmi siffatto incarico. Il Segretario di Stato, avendone dapprima conferito col Presidente della Repubblica, si compiacque rispondere che il Governo degli Stati Uniti accettava con soddisfazione la proposta. E Lord Granville, interpellato per telegrafo, replicò parimenti la persona proposta essere aggradita dal Governo Britannico.
Sir E. Thornton s'incaricò quindi di comunicarmi in persona la proposta
in discorso. Cui risposi sentirmi eminentemente lusingato da siffatta distinzione,
ed essere dal mio canto disposto ad accettare l'onorevole incarico cui cercherei
d'adempiere come meglio potessi secondo le mie deboli forze. Però riservarmi
di prendere i previi ordini dal mio Governo, poichè senza il suo consenso
non potevo dare una definitiva risposta in proposito.
Come l'E.V. può di leggieri comprendere io fui assai lusingato da siffatta
dimostrazione di stima da parte dei due Governi e sarò felice d'agire secondo
gli ordini che Ella sarà per impartirmi.
Sir E. Thornton mi autorizzò a domandare le istruzioni dal mio Governo
per iscritto onde potergli spiegare di che si tratta. Però sarebbe assai grato se
l'E.V. volesse comunicarmi la determinazione che il Reale Governo sarà per
prendere in proposito per telegrafo, facendola in pari tempo conoscere al Go
verno di S.M. Britannica.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. CONFIDENZIALE 303. Bucarest, 21 luglio 1871 (per. il 29).
Il mio telegramma della scorsa notte (l) ha già informato V.E. che non appena la Camera ed il Senato ebbero votata la legge annessa (2) al mio rapporto 303 di questa data il Ministero chiese al Principe di sanzionarla, e che alle ohbiezioni di quest'ultimo che codesta legge manomette gli interessi dei possessori delle obbligazioni i Ministri risposero col rassegnare le loro dimissioni.
La condotta del Gabinetto darebbe ragione a coloro che sostennero non aver mai il Governo seriamente voluto cercare un compromesso in questa vertenza, e che fu lieto di veder respinti i progetti di componimento con Strousberg da lui presentati al Parlamento sol per deferenza al Principe ed alle Estere Potenze chiamate a tutelare gli interessi dei loro sudditi.
Dall'altra parte i Ministri affermano con qualche fondamento che l'opinione pubblica era avversa ad ogni temperamento conciliante, e che quel Principe o quel Governo che si fosse avvisato d'imporre una soluzione differente da quella della Camera non avrebbe potuto più oltre contare sull'appoggio del paese che è ormai stanco di essere a sua volta manomesso dalle sordide speculazioni di Strousberg.
Checchè ne sia egli è certo che quando il Ministero dichiarò senza opposizione di sorta di accettare la Legge, la Camera proruppe in applausi ed i Ministri divennero ancor più popolari.
Persuasi di essere gli interpreti fedeli della pubblica opinione, ed appoggiandosi su quest'aura di universale favore essi mantengono ora con saldezza innanzi al Principe la quistione ministeriale, mentre non osarono metterla in Parlamento quando proposero i due progetti di convenzione e di conversione, e massime quando quest'ultima fu respinta senza aver nemmeno l'onore della discussione. Che se dovessero ritirarsi in seguito al rifiuto di sanzione, essi ben sanno che il Paese non sarebbe col Principe e meno ancora coi loro successori.
Malagevoli riescono in effetti i tentativi di S.A. per avere un nuovo Gabinetto. Lo dico con sorpresa, ma anche in Rumania quelli che sono in aspettativa perenne di un portafogli si rifiutano questa volta di accettarlo, ed i deputati chiamati al Palazzo non tentennarono a declinare l'incarico di formare una nuova Amministrazione, la quale dovrebbe esordire con un colpo di Stato che a mio avviso fallirebbe a grave detrimento della Corona.
L'aver messo il Sovrano nel bivio di scontentare il Paese rifiutando la sua firma alla Legge, ovvero di sanzionare una illegalità che produrrà una sfavorevole impressione all'Estero, non fu certo una prova di saviezza e di divozione del Gabinetto Catargi cui incombeva invece l'obbligo di appianare come che fosse le gravi difficoltà da tutti previste e da nessuno scongiurate.
Allo stato delle cose non rimane altro a S.A. che guadagnare tempo, studiandosi di persuadere i suoi Ministri attuali a trovar modo di conciliare i diritti dei terzi possessori di obbligazioni con le esigenze della Legge per la quale vien richiesta la sanzione principesca.
È in questo senso che credetti dovermi esprimere col Principe Carlo quando, essendomi ier l'altro recato a complimentarlo, egli mi parlò con molta costernazione della situazione che gli è stata fatta.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3847. Costantinopoli, 22 Luglio 1871, ore 7,40 (per. ore 1,20 del 23).
Il ne s'agit en ce moment à la Porte d'aucune expédition contre Tunis ou l'Egypte. On dément formellement à la Sublime Porte. Le bruit contraire agrandit nouvelle que l'on me donne ici d'un protocole qui aurait été signé ces jours derniers à Londres par le Comte Granville et Mussurus Pacha pour consacrer solennellement dépendance de Tunis de la Sublime Porte.
La Commission Austro-Turco-Serbe réunie à Vienne pour raccordement chemin de fer est ajournée, à cette occasion sont commissaires Serbes, le Ministre des Travaux Publics et le Colonel Zach.
Grand Vizir va mieux, il ne voit jusqu'ici personne. Je lui ai fait parvenir
témoignage symphathies du Gouvernement du Roi.
IL MINISTRO DI TURCHIA A FIRENZE, PHOTIADES BEY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. 7072. Firenze, 22 luglio 1871 (per. il 24).
A la suite des entretiens que j'ai eu l'honneur d'avoir avec V.E. sur la proposition du Gouvernement Impérial relative à la suppression de la juridiction que les Consuls à Tripoli d'Afrique s'attribuaient, contrairement à ce qui se pratique, en matière judiciaire, dans les autres Vilayets de l'Empire Ottoman, dont celui de Tripoli ne diffère sous aucun rapport, je m'empresse de vous faire parvenir, Monsieur le Ministre, les remerciments que le Ministère Impérial me charge de vous exprimer, en son nom, pour l'accueil bienveillant que vous avez fait à cette proposition, en m'assurant que le Gouvernement du Roi n'aura à soulever aucune objection isolée et qu'il est pret à s'associer à l'adhésion déjà acquise du Gouvernement Britannique sous la réserve, bien entendu, de l'assentiment des autres puissances intéressées dans la question.
Comme le Gouvernement Impérial s'est spontanément engagé à ne pas procéder à la cessation de la juridiction dont il s'agit que dans le cas où l'accord des Gouvernements intéressés serait préalablement établi sur ce sujet, je vous prie, Monsieur le Ministre, de vouloir bien m'indiquer la forme sous laquelle il vous plaira de donner l'adhésion du Gouvernement Royal.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Vienna, 22 luglio 1871.
Unitamente alla presente vi trasmetto un mio dispaccio d'ufficio (1), in cui vi riferisco la conversazione avuta col Conte di Beust in ordine all'incidente Klibeck ed in genere sulla questione del trasferimento della capitale; rileverete da esso, che il Cancelliere è fermo nella sua politica riguardo all'Italia esplicitamente tracciata in una sua dichiarazione alle Delegazioni. Il principio del non intervento nella questione mi fu riconfermato; ho dunque ogni ragione di ritenere, che se il Signor Thiers volesse tentar una campagna diplomatica per stabilir intelligenze fra alcune potenze onde dar vita ad una Conferenza, troverebbe l'uscio chiuso a Vienna. In un'altra conversazione avuta sin dai primi giorni che ero a Vienna col Conte di Beust, ad un pranzo dal Ministro d'America, parlando dell'insediamento della capitale a Roma, dissi che la conciliazione tra il Papa e l'Italia, sarebbe stata tanto più prossima, quanto più presto quello si sarebbe convinto di trovarsi solo a fronte di noi, che conseguentemente qualsiasi anche solo apparenza d'interessamento, che sortisse dal campo astratto per parte di estere potenze, ancorchè esse fossero animate dei migliori sentimenti verso di noi, non avrebbe potuto se non nuocere alla conciliazione, alimentando sempre vane illusioni. Il Conte di Beust mostrommi divider pienamente tal mio modo di vedere. Ma egli non è eterno al posto che occupa, e d'altronde le sue idee non sono neppur immutabili, conviene dunque star all'erta, ed è ciò ch'io farò qui.
Come già vi scrissi fui accolto dall'Imperatore come meglio non si poteva, parlammo lungamente su vari argomenti, ma per lo più di cose militari. Si
7 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
discorse della Francia per la quale l'Imperatore non lasciò trasparire neppur ombra di simpatia. Fui del pari egregiamente accolto dal Conte di Beust e dai Ministri della Guerra e Finanze comuni alle due parti della Monarchia.
Le simpatie di Hohenwarth credo di averle poco poichè egli non ne ha quasi per l'Italia, a questo proposito anzi non so spiegarmi perchè gli si sia dato con tanta premura il Gran Cordone Mauriziano. Ad ogni modo però, astrazione fatta dai clericali arrabbiati, tutti mostraron capire qui che l'Austria, per non trovarsi isolata a fronte della Russia, ha bisogno di tenersi amiche Germania ed Italia, e quindi simpatie a parte l'amicizia non corre pericolo.
Se il Generale Kuhn Ministro della Guerra avesse potente influenza nella politica estera non v'ha dubbio ch'egli caldeggierebbe l'alleanza Francese, poichè tiene in gran conto quella Nazione, e mostrommi ritenere che fra un pajo d'anni, essa avrebbe un Esercito migliore e più forte che non l'abbia mai avuto, ma l'Imperatore non divide per nulla tali credenze, ed il Conte di Beust non vi presta gran fede, avendo potuto constatar l'anno scorso, che il suo collega della Guerra non era Profeta.
Si cercherà quindi di mantener amichevoli relazioni colla Francia ma nulla più.
Ho fatto la conoscenza del Conte Andrassy che fu per me sommamente gentile, accentuandomi anche in modo speciale le simpatie vecchie e costanti sempre, dell'Ungheria per l'Italia. Come di ragione ho replicato sullo stesso tono.
Questo è in riassunto tutto ciò che pel momento ho di più interessante a riferirvi, mi terrò al corrente e non mancherò di farvi passar quelle notizie che potessero interessarvi.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1589. Parigi, 23 luglio 1871 (per. il .26).
Jeri ebbe luogo in seno all'Assemblea Nazionale a Versaglia la discussione provocata dalle petizioni presentate da parecchi Vescovi ed Arcivescovi e da cittadini francesi in favore del potere temporale del Papa. La seduta durò fin circa alle ore 8 di sera. La discussione fu aperta dal Signor Pajot relatore della 4a Commissione delle petizioni. Non riferirò qui nè il discorso del relatore, nè quelli che lo seguirono. Tutta questa discussione deve essere esaminata per intero e nel testo ufficiale dall'E. V. Un sunto, anche esattissimo, in materia di cosi grave importanza sotto ogni rispetto, sarebbe insufficiente ed incompleto. Mi limiterò quindi a toccare alcuni punti, chiamando pel resto l'attenzione dell'E. V. sul rendiconto ufficiale che ho l'onore d'unire al presente dispaccio (1). 11 relatore, fra gli argomenti che mise in campo in favore delle petizioni, invocò un discorso pronunziato al Corpo Legislativo dal Signor Thiers nel 1865, nel quale
discorso la necessità del potere temporale era dichiarata come una guarentigia
indispensabile di libertà per Sommo Pontefice. Il Signor Pajot non domanda che
la Francia dichiari la guerra all'Italia per rimettere in soglio il Pontefice. Ma,
dice egli, fra la guerra, che non è lecita alla Francia e che nessuno domanda,
ed una inerte rassegnazione, deve esservi un'altra soluzione, l'azione diplo
matica.
La diplomazia francese deve cercare col concorso delle altre Potenze la
soluzione della questione che è così formolata: indipendenza assoluta del So
vrano Pontefice. La 4a Commissione propone quindi il rinvio delle petizioni al
Ministro degli Affari Esteri.
Il Signor de Tarteron, relatore della 5a Commissione delle petizioni riprodusse la medesima conclusione. Il Signor de Tarteron fece specialmente notare che le petizioni non domandano un'azione armata per parte della Francia; esse si limitano a chiedere l'azione della Francia ed a pregare l'Assemblea d'invitare il Governo a concertarsi colle Potenze estere affine di ristabilire il Sommo Pontefice nelle condizioni necessarie del libero Governo della Chiesa Cattolica.
Il Signor Thiers pronunziò quindi un discorso, del quale ogni parola vuoi essere attentamente ed imparzialmente pesata. Egli cominciò col dire che non aveva mutato le sue idee. Egli fu contrario all'unità d'Italia perchè prevedeva che da essa sarebbero originate l'unità germanica e la caduta del potere temporale. Non biasima l'Italia d'aver fatto la sua unità; era nel suo diritto. Biasima il Governo Imperiale d'averla ajutata a fare quest'unità. c Ora l'Italia, proseguì l'illustre oratore, quest'Italia, io non ne sono l'autore; io son colui che ha meno contribuito a fare la sua unità. Ma infine essa esiste, essa è fatta; vi è un'Italia, v'è un Regno d'Italia che ha preso posto fra le Potenze considerevoli dell'Europa. Che volete voi che noi facciamo? Bisogna parlar chiaro. Non bisogna imporci una diplomazia che condurrebbe a ciò che voi disapprovereste pubblicamente, cioè alla guerra... Ora, di guerra noi non ne vogliamo con nessuno. Vogliamo organizzare l'esercito perchè la Francia deve ripigliare il suo posto di grande Nazione. Ma la nostra politica è politica di pace •. Quanto al Papa, il Signor Thiers si espresse col più profondo rispetto e con una grande simpatia. Se il Papa diventasse un esule, la Francia gli sarebbe sempre aperta. Il Signor Thiers non presume, non vuole dar consigli a Sua Santità. Egli non può che dire al Sommo Pontefice c Curate la pace delle anime, perchè noi abbiamo bisogno della pace, della pace religiosa al pari della pace politica •. Ma il Papa, in forza del Concordato, esercita funzioni in Francia concorrendo alla nomina dei Vescovi. La Francia ha quindi anche per questo lato un grande interesse a che il Papa sia in una condizione d'assoluta indipendenza.
La Francia si unirà perciò a tutte le Potenze cattoliche affinchè l'indipendenza religiosa del Pontefice sia difesa non dalla Francia soltanto ma dall'intera Cattolicità. L'oratore conchiude con queste sensate parole: • Un grande Stato è sorto in Europa. Esso esiste. Il mio dovere di francese, di cittadino, di rappresentante del Governo francese, è d'intrattenere con esso buone relazioni e di non sollevare alcuna questione che possa alterarle. Ma noi dobbiamo mettere in salvo grandi interessi religiosi. Questi grandi interessi li comprendo e li difenderò nella misura delle risorse che mi saranno fornite dalla situazione...
Vi prometto di portare in queste relazioni ciò che deve portarvi un Governo di ragione. Noi non abbiamo la pretensione d'essere altro •. Quest'importante discorso fu accolto da lunghi applausi dell'Assemblea.
Monsignor Dupanloup, Vescovo di Orléans successe al Signor Thiers alla Tribuna. Le conclusioni sue concordano con quelle del relatore. Nel suo discorso non parmi vi sia da rilevare nulla all'infuori delle solite sue esagerazioni appassionate ed ingiuriose verso l'Italia, il suo Governo ed il suo Re. Ma avendo egli espresso la sua intera confidenza nel Signor Thiers, il Capo del potere esecutivo, in uno scopo di sincerità e per evitare ogni malinteso, risalì la tribuna e dichiarò che qualunque fosse il voto dell'Assemblea egli l'accettava soltanto a queste due condizioni: cioè che non comprometterà la politica del suo paese, e che difenderà quanto potrà l'indipendenza del Santo Padre.
Un ordine del giorno, redatto dal Signor Marcel Barthe, in questi termini:
• L'Assemblea Nazionale, confidando nel patriottismo e nella prudenza del Capo del Potere esecutivo della Repubblica, passa all'ordine del giorno •, era stato accettato dal Signor Thiers colle riserve sopra espresse ed era sul punto di essere votato, quando il Signor Gambetta venne a dichiarare che egli ed i suoi amici davano pure il loro appoggio a questo stesso ordine del giorno.
Il Signor Keller, membro ben conosciuto dell'estrema destra cattolica sorge a dichiarare dal canto suo che dal momento in cui quest'ordine del giorno, accettato dal Signor Thiers, è pure accettato dal Signor Gambetta, esso cambia di significato. Egli domanda perciò il rinvio al Ministero. Segue una grande agitazione nell'Assemblea, che il Presidente non giunge a calmare che con somma difficoltà. Dalle parole scambiatesi in mezzo alla confusione risulta, che la maggioranza della Camera, cioè la destra e il centro accettano il rinvio al Ministero, la sinistra per organo del Signor Gambetta rigetta il rinvio.
Il Signor Thiers prende ancora la parola per dichiarare che accetta il rinvio, ma che lo accetta colle riserve da lui fatte e col senso che lo determina: cioè: patriottismo e prudenza. L'ordine del giorno Barthe, senza l'addizione del rinvio, è messo ai voti e respinto da 375 voti contro 273. L'Assemblea vota quindi ed approva con 431 voti contro 82 la risoluzione seguente: • La Assemblea confidando nelle dichiarazioni patriottiche e nella prudenza del Capo del Potere esecutivo, rinvia la petizione al Ministro degli Affari esteri •.
(l) Non pubblicato.
L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, GONELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 59. Rio de Janeiro, 23 luglio 1871 (per. il 21 agosto).
Ho avuto l'onore di ricevere la Circolare dell'E. V. in data dei quindici Giugno, con la quale Ella mi annunzia che col primo Luglio erano trasferiti a Roma gli Uffici del R. Ministero degli Esteri.
Credetti mio dovere d'informarne quest'Imperiale Governo e n'ebbi in risposta che il medesimo gradiva la comunicazione fatta prendendone atto.
Mi fu poi privatamente detto che il Signor Loureiro riceverebbe ordini, se pur già non erano spediti, di recarsi a Roma.
Il Governo brasiliano sarebbe in ciò assai consentaneo alla sua politica di non voler avere intervenzione di sorta in affari che riguardano la Chiesa, giusta la dichiarazione fatta dal Barone Cotegipe al Barone Cavalchini.
L'idea di diminuire l'influenza del clero al Brasile è certamente la più preponderante, specialmente nel partito qui detto conservatore. Il partito liberale invece, almeno la frazione capitanata dal Consigliere Zaccarias Gòes e Vasconcellos si avvanterebbe di far qualche protesta contro il Governo Italiano, onde procacciarsi l'appoggio dei Vescovi dell'Impero.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 304. Bucarest, 23 luglio 1871 (per. il 3 agosto).
Telegrafo oggi a V. E. che il mio collega di Germania è stato incaricato di dichiarare, ed ha stamane dichiarato al Ministero principesco che in seguito alla legge votata dal Parlamento, il governo imperiale va a chiedere alla S. Porta di proteggere gli interessi dei possessori tedeschi delle obbligazioni Strousberg.
Ricorrendo alla potenza alto-sovrana il Principe di Bismarck non si allontana punto dallo spirito del trattato di Parigi.
Se vuolsi in effetti considerare la quistione come puramente interna, l'articolo 22 del detto trattato riserva alla Turchia i diritti di alta sovranità su questi Stati danubiani.
Ovvero la vertenza può sembrar di natura da compromettere il riposo dei Principati a causa dei capitali esteri in essa implicati ed a motivo di una eventuale abdicazione del Principe Regnante che rifiuterebbe di sanzionare la legge, ed in tal caso l'art. 27 prevede l'intervento della Porta.
Come che voglia esaminarsi, la dichiarazione del Gabinetto di Berlino quantunque penosa pel Principe Carlo non può non dirsi corretta al punto di vista delle stipulazioni del 1856.
Spetta ora alla saviezza del Governo ottomano di rimanere nei limiti del trattato concertando, senza nulla precipitare, con i Rappresentanti delle Potenze garanti che si riunirebbero in conferenza a Costantinopoli le misure a prendere per assicurare il pagamento delle obbligazioni.
Codesto modo di soluzione conforme ai patti internazionali avrebbe da un lato il vantaggio di salvare il decoro del Principe Regnante e la responsabilità del suo governo innanzi al paese ed offrirebbe dall'altro garanzie non dubbie di imparzialità e di giustizia. Ma la grave infermità da cui è affetto il Gran Vizir fa prevedere che le pratiche della Germania, se veramente saranno intavolate a Costantinopoli non potranno avere un risultato immediato.
Intanto il Principe Carlo, ammalato da tre giorni, persiste nel suo rifiuto di sanzionare la legge, e non riceve più i Ministri i quali dall'altro canto mantengono le loro dimissioni se la Legge non vien sanzionata. Prolungandosi oltre misura, codesta situazione reca pregiudizio alla pubblica cosa; tanto più che le difficoltà incontrate per formare un nuovo Gabinetto sembrano insormontabili. Non v'ha uomo politico disposto a togliere l'incarico di rinviare una camera che in questa questione pare essere l'espressione del paese irritato dalle malversazioni di Strousberg, dal non aver potuto sequestrare i di lui beni, dal vedere in completo disfacimento i lavori delle ferrovie già costrutte, e dal non aver potuto finalmente ottenere sufficienti garanzie per i nuovi patti recentemente offerti ai Concessionari.
Il Presidente del Consiglio è venuto oggi ad espormi quanto precede, aggiungendomi che se la Germania farà realmente fare a Costantinopoli le pratiche annunziate, egli non vede in che le medesime potrebbero portar nocumento alla dignità di un Principe che regna in un paese soggetto di fatto alla potenza alto-sovrana. • Sarò invece lieto, così ha continuato il mio interlocutore, di apprendere il risultato delle deliberazioni che prenderanno i Rappresentanti delle Potenze garanti a Costantinopoli, perchè forte di una sì autorevole decisione io prendo l'impegno di farla adottare nella prossima sessione del Parlamento, dovessi anche ricorrere a nuove elezioni. Finora questa leva mi mancava, e quando il Ministero disse che i Governi Esteri appoggiavano i reclami dei detentori loro sudditi, la Camera fece comprendere che preferiva attendere più energiche rimostranze •.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3851. Parigi, 24 luglio 1871, ore 11,15 (per. ore 15,30).
Impression générale produite par la discussion d'avant hier ne nous est pas défavorable. Le vote de renvoi est interprété, comme il doit etre, c'est à dire, non pas en faveur du pouvoir temporel, mais contre M. Gambetta.
IL MINISTRO DI TURCHIA A FIRENZE, PHOTIADES BEY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. 7075. Firenze, 24 luglio 1871 (per. il 25).
En me référant à la lettre que j'ai eu l'honneur d'adresser à V. E. le 22 de ce mois (1), relativement à la juridiction Consulaire à Tripoli d'Afrique je m'empresse de vous informer que, suivant une communication officielle que je
viens de recevoir de notre Ambassade à Versailles, les représentations de S. E. Djémil Pacha au sujet de cette question loin de provoquer aucune objection, ont été accueillies et appréciées dans un esprit de conciliation, S. E. M. Jules Favre ayant bien voulu exprimer le désir d'arriver à une résolution aussi prompte que possible d'accord avec le Cabinet d'Italie.
Il ne dépend donc que du bon vouloir dont V. E. m'a donné des preuves non équivoques que la question qui nous occupe reçoive, dans le plus bref délai, une solution satisfaisante.
(l) Cfr. n. 33.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1590. Parigi, 24 luglio 1871 (per. il 28).
Facendo seguito al dispaccio di jeri (l) con cui ebbi l'onore di rendere conto della seduta del 22 della Assemblea Nazionale, mi pregio ora di sottoporre all'E. V. qualche considerazione sulla portata e sul significato della votazione con cui la discussione fu chiusa.
Anzi tutto merita nota la cura che tanto i relatori quanto tutti gli oratori ed in ispecie il Vescovo d'Orléans ebbero a dichiarare che non volevano la guerra coll'Italia e che ne respingevano assolutamente l'idea. L'importanza pratica della discussione, per quanto riguarda il potere temporale, è quindi nulla. I più autorevoli giornali concordano nell'ammetterlo. Se si può dire che la discussione abbia prodotto un qualche risultato pratico questo consisterebbe piuttosto in una implicita acquiescenza al fatto compiuto della caduta del potere temporale. Per la questione di fondo la vera risultante sta nel fatto che il Signor Thiers accettò il rinvio delle petizioni vescovili al Ministro degli Affari Esteri, ma colla riserva che esso interpreterebbe il voto nel senso che il Governo si limiti a proteggere l'indipendenza spirituale, mantenendo buone relazioni coll'Italia ed evitando un'azione diplomatica che avesse per effetto di alterare queste buone relazioni. Il signific,ato del voto è di un'altra natura. Le dichiarazioni del Signor Gambetta e del Signor Keller destarono subitamente nell'Assemblea un'altra passione di ordine puramente interno, e si può dire che la maggioranza finì con perdere quasi di vista il vero scopo della discussione per velleità di reagire energicamente contro la sinistra. Essa volle impedire che il Governo si compromettesse con questa e lo forzò in certa guisa a separarsene. Difatti, senza l'assicurazione del Signor Gambetta e la protesta del Deputato Keller, è probabile che l'ordine del giorno puro e semplice sarebbe stato votato.
Di tutta la discussione non rimane per noi che un fatto il quale credo, ha una grande importanza. Esso sta nelle dichiarazioni del Signor Thiers che sono tali da tranquillare il Governo del Re e l'Italia sulla azione futura della Francia in ordine alla questione pontificia.
(l) Cfr. n. 35.
IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. CONFIDENZIALE 18. Madrid, 24 luglio 1871.
J'ai eu l'honneur de voir hier soir le Roi qui m'a longuement entretenu 1des difficultés de la situation. Dans l'esprit de S. M. comme dans celui de toutes les personnes sensées, un Cabinet de conciliation qui plus tard aurait pu se fondre dans un grand parti libéral, est le seul qui puisse répondre aux nécessités politiques du moment. Mais cette solution ne faisait point le compte du parti progressiste qui, fort des 180 voix qu'il dit posséder dans le Congrès, méditait depuis quelque temps de se séparer du parti unioniste et de s'imposer, lui seui, aux conseils de la Couronne. Tous les efforts du Maréchal Serrano pour reconstituer un Cabinet de conciliation sont venus, quelque sincères qu'ils aient été, échouer devant la résistance opiniàtre des Progressistes, et force a bien été au Roi, en s'inspirant du principe constitutionnel, de s'adresser à M. Zorilla dont le parti prétend obtenir la majorité aux Chambres par la force d'attraction qu'il compte exercer sur ces opinions flottantes qui existent dans toutes les Assemblées délibérantes. Bien que dans ce pays la vérité d'aujourd'hui devienne la fausseté de demain, l'on peut cependant regarder comme à peu près certain l'avènement d'un Cabinet exclusivement progressiste dont le programme devant les Chambres sera l'indépendance absolue de l'Etat vis-à-vis de l'Eglise, le maintien énergique des possessions de Cuba, et une répression immédiate de l'Internationale dont les menées deviennent un véritable danger pour la tranquillité du pays. Sous ce dernier rapport, l'on peut bien dire, il est vrai, qu'un Ministère progressiste pourra bien plus facilement que tout autre procéder à des mesures de rigueur; mais c'est là un trop mince avantage pour qu'on puisse le comparer aux dangers que peut faire courir à la monarchie aussi bien qu'au pays, l'établissement d'un pouvoir dont les exagérations politiques ne peuvent manquer, dans un avenir peu éloigné, d'amener une situation
des plus périlleuses.
Au milieu des fluctuations d'une politique aussi embrouillée que viennent encore compliquer les complots Montpensiéristes et les menées des Carlistes secrètement appuyées par le clergé, le Roi conserve un calme et un sang froid admirables. Sans doute Sa Majesté est extrèmement lasse d'une succession non interrmnpue de crises ministérielles que font uniquement surgir l'intéret personnel uni très souvent à la haine de parti, mais Elle est fermement résolue à poursuivre jusqu'à la fin l'oeuvre de dévouement qu'Elle est venue remplir dans ce pays et à laquelle Elle ne renoncera que devant l'impossibilité absolue d'atteindre ce noble but.
IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. CONFIDENZIALE 145. Lisbona, 25 luglio 1871 (per. il 2 agosto).
Il Conte Thomar è giunto avant'jeri a Lisbona.
Da un paragrafo di lettera particolare Iettami confidenzialmente da un amico qui che ha corrispondenze personali a Roma, risultavami già che il Ministro portoghese presso la Santa Sede non solo fu particolarmente jrappé della unanimità e spontaneità delle manifestazioni Romane all'epoca dell'ingresso del nostro Augusto Sovrano nella sua Capitale, ma che tali manifestazioni produssero puranche grande impressione al Vaticano.
La posizione del Conte Thomar a Roma e le sue relazioni personali col Vaticano daranno mi sembra, assai peso alle sue impressioni di Roma e saranno qui, spero, debitamente apprezzate, anzi ho fondato motivo di credere che si attendeva qui il suo arrivo per conferire seco lui sulla questione Romana, nè dubito punto che questo personaggio, colla lealtà che lo caratterizza, non partecipi anche verbalmente al suo governo tali impressioni colla stessa franchezza, colla quale le partecipò il suo amico di Roma al suo corrispondente a Lisbona. Infatti avendo io incontrato jeri sera il Conte da un amico comune, mostrò desiderio d'intrattenersi meco ed ebbi seco lui un lungo colloquio. S. E. mi confermò in dettaglio l'ammirevole e perenne contegno delle popolazioni Romane dal 20 Settembre, e la splendida ed unanime accoglienza fatta al Re nonché l'impressione prodotta da questi fatti al Vaticano della quale fu testimonio oculare, avendo spesso avuto l'onore di avvicinare il Santo Padre e di conferire col Cardinale Antonelli sul quale, soggiunse, più di tutto produsse grandissima impressione, il fatto per esso molto significativo, ed ,al quale sembrava non attendersi, della presenza a Roma di tutte le Legazioni che da Firenze seguirono il Re nella sua nuova Capitale.
Dissemi pure che Sua Santità parla sempre con affetto del Re personalmente, che mostrò non poca tristezza nell'affermare che nella recente lettera scrittagli dal Signor Thiers non facevasi allusione alcuna alla questione del potere temporale, e finalmente che il Santo Padre era deciso, non ad accettare alcun compromesso col R. Governo né legalizzare alcun modus vivendi, ma a rassegnarsi ai voleri della Provvidenza rimanendo a Roma, residenza che sempre considerava la migliore per esso malgrado il passato ed il presente, poichè soggiunse Sua Santità, in qualunque Stato estero io voglia recarmi comprendo perfettamente che nei primi mesi sarei ben accolto e festeggiato, ma dopo si finirebbe per credere la mia presenza un imbarazzo politico; dovrei allora cambiar residenza di paese in paese, quindi meglio che tale vita girovaga è al postutto rimanere a Roma. Il Conte Thomar conviene che la legge delle nostre guarentigie è la più favorevole alla Corte Romana di qualunque altra Europea, ed è sua opinione che applicandola largamente, anche se non accettata al Vaticano, e facendo pure spontaneamente altre concessioni di fatto se occorre verso l'augusta persona del Santo Padre, l'Italia acquisterà maggiormente col tempo la tolleranza del Vaticano ed il favore dell'Europa.
Ringraziai il mio interlocutore di queste sue confidenziali e pregievoli comunicazioni pregandolo in pari tempo a ripeterle al Re ed al Governo. S. E. mi assicurò averle già accennate nei suoi dispacci da Roma, e le rinnoverà ora dettagliatamente appena ne avrà occasione non avendo peranco avuto il tempo, dopo il suo recente arrivo, di vedere il Marchese d'Avila che per pochi istanti, perchè il Presidente del Consiglio era ammalato ed egli stesso assai occupato d'affari propri. Il Conte dissemi per ultimo aver conferito personalmente e lungamente con V. E. a Roma, nè starò a ripeterle qui, Signor Cavaliere, gli elogi che fecemi sulla politica saggia e conciliativa che Le è propria personalmente, e che mostrò specialmente nella questione Romana.
Certo le importanti informazioni che precedono saranno già note a V. E. dopo il colloquio avuto col Conte Thomar, ma ho creduto utile, ad ogni buon fine, confermarglieli confidenzialmente per il presente dispaccio.
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 245. Pietroburgo, 25 luglio 1871 (per. il 2 agosto).
Conformemente agli ordini datimi dall'E. V. col dispaccio Serie Politica
N. 90, 8 Luglio (1), mi recai dal Consigliere di Westmann e gli dissi che ero incaricato dall'E. V. c d'exprimer au Cabinet de St. Pétersbourg les remercimens de V. E. pour avoir donné spontanément à son représentant l'ordre de suivre le Roi aussitòt qu'il aurait transféré à Rome sa résidence, et de l'assurer que ce bon procédé ne pourrait qu'augmenter les sympathies qui unissent l'Italie à la Russie •.
Riferisco testualmente queste mie parole perché appena le ebbi pronunciate, il Consigliere di Westmann, mi pregò di dettargliele, e ne prese nota per iscritto.
Egli mi disse c Nous avons été frappés ici de l'accueil enthousiaste fait au Roi et de l'attitude de la population • e volle confessare in forma molto lusinghiera un errore d'apprezzamento, osservando che tanto successo era qui quasi stato inaspettato.
Il Signor di Westmann prese l'iniziativa di assicurarmi che i rendiconti indirizzati dal Signor Glinka al suo Governo attestavano che l'entusiasmo manifestato al Re dalla popolazione Romana era stato immenso. Continuai il discorso nel senso del pregiato dispaccio dell'E. V., e non mancai di dire che le prove di attaccamento date a Roma e nel resto d'Italia, alla dinastia ed al principio Monarchico avevano un valore di cui certamente s'apprezzerebbe l'importanza per il mantenimento dell'ordine e per prosperità dell'Italia.
L'aggiunto del Principe Cancelliere con dimostrazione di molta cortesia prese atto degli apprezzamenti di V. E., che le mie parole hanno, lo credo, esposti con esattezza.
Mi è grato il dover aggiungere, Onorevole Signor Ministro, che il Signor di Westmann rese alto omaggio alla condotta politica e diplomatica del Governo di Sua Maestà, col riconoscere l'incontestata influenza di questa calma dignitosa ed imponente che dalla data del 20 Settembre ha differito il definitivo trasferimento della Sede del Governo, ad onta di alcune impazienze.
P. S. Credo utile, onorevolissimo Signor Ministro, di trasmettere all'E. V. come un'opportuna appendice al .presente mio rapporto ed a quello dei 12/24 Giugno N. 243 (1), il qui compiegato estratto del Giornale de St. Pétersbourg (2) il quale come Ella ben sa, si attiene all'opinione di questo Governo Imperiale.
(l) Cfr. n. 12.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 117. Therapia, 25 luglio 1871 (per. il 4 agosto).
Con mio telegramma in data delli 22 corrente (3) responsivo a quello che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il giorno precedente (4), ebbi a riferirle le assicuranze che la Porta oppone alle voci di asserite prossime imprese contro Tunisi e l'Egitto.
Server Effendi, Mustechar del Ministero Imperiale degli Affari Esteri, e che travasi a capo, perdurando la malattia del Gran Vizir, del Dipartimento stesso, messo sul discorso di tali persistenti rumori della stampa andò fino a dar la sua parola d'onore che nulla di vero vi sia in essi.
È nota d'altra parte la via di moderazione in cui Aali Pacha ha indirizzato e mantiene ferma la politica del paese. Epperò fino a tanto che l'eminente uomo di stato regga al pondo degli affari non sono seriamente temibili complicazioni ed arrischiate decisioni.
La malattia del Gran Vizir è naturalmente motivo a smodate speranze, ad illusioni e ad intrighi, fra chi anela a succedergli v'ha chi reputa più agevole strada all'agognato potere il lusingare od accarezzare fin d'ora gli istinti e le idee di coloro che sognano il potere sovrano libero dalle pastoje della tutela occidentale, e vorrebbero restituita a completa soggezione del Capo dell'Unità Islamitica l'autorità dei Vassalli ricalcitranti.
Non è quindi a meravigliare che costoro cerchino di far vedere come attuabili tali idee appena venga meno anche provvisoriamente, come in questo periodo della malattia del Gran Vizir, l'opposta politica più temperata d'Aali Pacha. Si spiega così la persistenza della stampa a registrare siffatti intendimenti, od a bello studio, o come eco dei rumori della giornata.
L'egiziano Mustafà Fazil, che dicesi legato ora coi partigiani del vecchio Kibrisly Pacha, si destreggia più che altri a mettersi avanti come propugnatore di siffatte idee ora e pel momento in cui potesse afferrare la somma del potere.
Come ebbi pure l'onore di riferire a V. E., si smentisce pure alla Porta l'asserita esistenza di un protocollo firmato a Londra giorni sono, dal Conte Granville e da Musurus Pacha per consacrare, dicevasi, in principio ed in fatto la completa soggezione di Tunisi alla Turchia.
Un recente somigliante accordo tra l'Inghilterra e l'Impero Ottomano, vero non per Tunisi, ma per Tripoli, come l'E. V. ben sa, fu tosto oggetto di comunicazione telegrafica del Governo di Versailles a questo Ambasciatore di Francia; in essa si espresse il penoso stupore prodotto nel Gabinetto Francese da questo inopinato ed isolato atto, a cui la Gran Bretagna addivenne senza previo concerto colle altre Potenze garanti; si aggiunge in esso essersene di già fatta risentita parola a Lord Lyons ed a Djemil Pacha, ed il Gabinetto Italiano essere stato pregato di far conoscere i suoi apprezzamenti al proposito.
Il Conte di Voglie che trova l'attuale politica inglese in Oriente di soverchio proclive alle concessioni, crede non debba la Francia accedere a quelle in esso protocollo accordate al Governo Alto-Sovrano di Costantinopoli, senza si ottenga pei nazionali esteri stabiliti nella Reggenza stessa di Tripoli altre garanzie e compensi.
Parte oggi in congedo d'alcune settimane per le sue terre dell'interno della Russia, il Generale Ignatiew, colla sua famiglia, per motivi specialmente, si ha a credere, di privati suoi interessi.
Aali Pacha è tuttora in istato estremo di debolezza, ed ebbe ancora ordine dal Sultano di astenersi dal vedere chicchessia per affari.
Riaz Pacha, venuto in nome del Khedive a testimoniare della parte che questi prende allo stato del Gran Vizir, dava a me pure le assicuranze sulle migliori intenzioni del Vice Re a conservare il buon accordo colla Corte AltoSovrana. La Porta poi fu estremamente compiaciuta della dimostrazione di deferenza datagli dal Governo Vice-reale coll'aver chiesti i suoi diretti officii nella recente vertenza al Cairo col Console di Francia; e contro il costui procedere la Porta indirizzò a seguito tali officii apposita nota a questo Ambasciatore Francese.
Fu mia cura di far pervenire ad Aali Pacha, come tosto mi giunsero, le espressioni di simpatia che il suo stato ispira al Governo del Re, e che non mancarono di essere apprezzatissime. L'illustre infermo si ebbe in questi giorni eziandio simiglianti dimostrazioni dall'Imperatore d'Austria e dal Governo Francese.
IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 20. Madrid, 26 luglio 1871 (per. l' 1 agosto).
Le nouveau Cabinet s'est présenté aujourd'hui à la Chambre des Députés.
M. Ruiz Zorilla a prononcé son discours-programme, dont j'ai l'honneur de transmettre ci-joint à V. E. l'Extrait officiel (1).
Les quatre points principaux de ce programme sont les suivants: soutenir à Cuba l'intégrité de la Monarchie Espagnole par tous les sacrifìces; respecter dans la question réligieuse les convictions de la majorité des Espagnols, tàcher d'harmoniser les rapports de l'Eglise et de l'Etat, mais dans les limites établis par les conquetes libérales de la Révolution de Septembre; rétablir à tout prix l'équilibre du budget; enfìn dans la question d'ordre public, recourir aux moyens les plus énergiques de répression. Si, pendant la période de la fermeture des Chambres, -a-t-il dit -, des événements survenaient de nature à mettre en péril les intérets sociaux, le Ministère aurait recours à des mesures extraordina1res, demandant au Parlement un bill d'indemnité.
Toute la question est maintenant de savoir l'application qui sera faite de ces déclarations politiques. Mais ce que l'on peut dire dès aujourd'hui c'est que, comme l'a fait si justement observer M. Topete -qui a pris cette occasion pour se déclarer encore une fois le plus ferme soutien de la Dynastie, ce programme, qui ne sort pas des généralités, ne diffère guère de celui du Ministère Serrano-Sagasta.
Les Cortès ont prorogé leurs séances jusqu'au l er Octobre.
(l) Non si pubblica.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI
T. 1721. Roma, 27 luglio 1871, ore 15.
Tàchez d'avoir une conversation avec le Ministre des Affaires Etrangères et de me faire connaìtre son impression sur la discussion récente de l'Assemblée de Versailles relativement aux affa,ires de Rome.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
T. 1723. Roma, 27 luglio 1871, ore 15.
Après le vote récent de l'assemblée à Versailles, le ministère ne croit pas devoir insister auprès du Roi pour que S. M. intervienne à ,}'inauguration du tunnel du Mont Cenis. Il me parait cependant convenable de faire des démarches pour que le Gouvernement français se fasse représenter à cette cérémonie. La fete ne devant pas avoir de caractère politique les invitations seront faites par la direction des travaux du tunnel, qui priera le Gouvernement italien de les faire parvenir au Gouvernement français. Je pense que vous pourriez en informer M. Thiers et M. Favre, en leur disant que le Roi s'étant promis de ne plus aUer en Savoie, n'assistera pas à la cérémonie: que cependant les deux Gouvernements pourraient se faire représenter par quelques ministres. On aurait soin de concerter le programme avec le Gouvernement
français. Avant, cependant, de faire aucune démarche, veuillez me télégraphier votre avis.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
D. 325. Roma, 28 luglio 1871.
Vous n'ignorez pas que la juridiction exercée par les Consulats étrangers à Tripoli d'Afrique a été réglée jusqu'ici suivant le droit établi à l'époque où ce pays formait une régence gouvernée par un Prince tributaire de la Sublime Porte. Les Beys de Tripoli, à l'instar des Beys de Tunis, ont stipulé des conventions avec les Puissances, conventions dans lesquelles la situation des étrangers dans cet état barbaresque, a été déterminée sur des bases plus larges que dans d'autres parties de l'Empire Ottoman.
Depuis que la S. Porte a réuni l'Etat de Tripoli aux provinces soumises à la souveraineté directe du Sultan, maintes tentatives ont été faites pour faire cesser toute différence entre ce vilayet et les autres parties de l'Empire en ce qui concerne l'application des capitulations. Le Gouvernement français nous a donné à entendre plus d'une fois qu'il désirait ne pas voir préjuger cette question et nous avons toujours eu à coeur de ne point en compromettre la solution par des négociations séparées.
Aussi, lorsque dernièrement le Représentant de la Turquie est venu m'annoncer que son Gouvernement était tombé d'accord avec l'Angleterre pour étendre à Tripoli l'application des capitulations en vigueur dans les autres vilayets de l'Empire, me suis-je borné à lui répondre que l'Italie ne soulèverait ni difficultés ni objections isolées, mais qu'elle s'abstiendrait de prendre des engagements sur le fond de la question, avant de s'etre entendue avec la France et la Grande Bretagne.
Sur ces entrefaits, M. de la Villestreux me soumit, au nom de son Gouvernement, l'idée d'une entente à établir entre les Cabinets de Rome, de Paris et de Londres sur les réformes applicables à la juridiction consulaire dans la province de Tripoli. Ma réponse au Chargé d'Affaires de France a été dans le sens des entretiens que j'avais eus avec Photiades-bey; elle confirmait la expression de notre désir de voir s'établir une entente entre les Puissances principalement intéressées pour mettre un terme aux difficultés que l'exercice de la juridiction consulaire rencontre actuellement à Tripoli.
J'ai reçu depuis deux autres communications relativement à cette affaire: une de vous, avec la lettre de S.E. M. Jules Favre en date du 18 de ce mois (l); l'autre du Chargé d'Affaires de France en Italie (2). Ces deux communications avaient pour but de nous signaler l'existence d'un protocole signé le Jer juillet à Londres entre la Grande Bretagne et la Turquie pour régler la question de Tripoli conformément aux vues de la Sublime Porte, de nous informer des démarches de l'Ambassadeur ottoman à Paris pour amener la France à signer un document analogue, et de nous convier enfin à procéder d'accord avec le Gouvernement Français aux délibérations à prendre à ce sujet.
Je vous prie M. le Ministre de remercier S.E. M. Jules Favre pour ces différentes communications. Nous apprécions hautement l'esprit amicai dans lequel elles sont conçues, et j'espère que le Gouvernement de la République ne pourra jamais douter de l'empressement avec lequel seront toujours accueillies chez nous les propositions destinées à raffermir l'accord des Puissances dans les affaires relatives aux provinces d'Afrique de l'Empire Ottoman. Je ne puis donc que regretter vivement l'ignorance dans laquelle je suis du texte du protocole signé à Londres le 12, de ce mois, car cette circonstance m'oblige de limiter les instructions qui vous sont nécessaires pour vous aboucher avec M. Jules Favre.
Vous connaissez maintenant, M. le Ministre, l'état de la question que vous ètes appelé à traiter et la pensée qui dirige la conduite du Gouvernement du Roi dans cette affaire. L'Italie attache un prix tout particulier à se mettre d'accord avec la France et l'Angleterre et elle fait de cet accord, sur la base de la sauvegarde des intérèts des nationaux respectifs dans les contrées d'Afrique appartenant à l'Empire Ottoman, la règle constante de sa politique.
Nous sommes donc disposés, dès à présent, à signer tel arrangement pour I'affaire de Tripoli qui aurait la probabilité d'ètre agréé par les Cabinets de Londres et de Paris. Nous n'avons à faire à ce sujet qu'une réserve sur le fond et une simple observation quant à la forme de l'acte qu'il s'agirait de conclure.
La persistance de la Sublime Porte à obtenir une solution de la question des capitulations à Tripoli selon ses propres vues, a pu faire naitre l'idée que cette Puissance veut préparer dès à présent la voie à la solution d'autres questions analogues qui intéresseraient bien davantage l'Italie. Vous comprenez,
M. le Ministre, que je fais allusion ici à l'Egypte et à Tunis, où le régime des capitulations diffère de celui des provinces soumises à la Souveraineté directe du Sultan. Nous sommes d'avis que le moment actuel serait bien choisi pour faire entendre à la Sublime Porte que la solution donnée à la question de Tripoli ne pourra jamais ètre invoquée par elle pour diminuer Ies immunités, droits et pvivilèges dont jouissent actuellement Ies étrangers en Egypte et à Tunis. Une entente des Cabinets de Rome, de Paris et de Londres sur ce point essentiel suffirait, suivant nous, pour écarter toute prétention: exagérée qui pourrait se faire jour par la suite, et pour éviter ainsi des difficultés sérieuses contre lesquelles il est de l'intéret commun de se prémunir. Quant au choix du moyen pour constater l'existence de cette entente des trois Cabinets, je vous prie de dire à M. Jules Favre, que nous n'avons aucune préférence; mais qu'un échange de notes entre les trois Cabinets établissant leur parfaite identité de vues nous paraìtrait une garantie suffisante.
Je vous disais en outre, M. le Min:istre, que nous avions une observation à faire sur la forme de l'acte à signer avec la Turquie. Nous aurions préféré, comme de raison, signer un seui protocole en commun avec la France et l'Angleterre, mais du moment que cette dernière Puissance a jugé à propos de conclure un acte séparé, nous pensons qu'il convient également à la France et à l'Italie de suivre le meme système. L'accord des trois Puissances sera suffisamment constaté si elles signent des aotes identiques pour le fond et pour la forme. A moins que l'Angleterre ne consente à renouveler dans un protocole à quatre Ies engagements qu'elle a pris dernièrement avec la Porte, je ne crois pas que vous ayez besoin d'etre autorisé à signer un acte quelconque, mais je désire que vous entriez le .plus tòt possible en communication avec S.E. M. le Ministre des Affaires Etrangères de la République afin de bien établir les termes de l'entente que nous désirons maintenir avec la France.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 857. Berlino, 28 luglio 1871 (per. il 2 agosto).
La discussion récente à Versailles sur la pétition des Evèques en faveur du Pape, et le vote émis par l'Assemblée nationale, démontrent assez, si besoin en avait été, quelles sont les dispositions qui y ont cours vis-à-vis de l'Italie. Ces débats n'ont été qu'un appel aux anciennes traditions de la politique française, combattue par le chef du pouvoir exécutif, et uniquement parce que l'impuissance actuelle de la France ne lui permet pas de reprendre de sitòt un ròle prépondérant en Europe. Malgré toute la circonspection du langage de M. Thiers, malgré qu'il semble faire bon marché du pouvoir temporel pourvu que l'indépendance spirituelle du St. Siège demeure assurée, cet homme d'Etat n'est pas moins aussi hostile à l'Italie qu'à l'Allemagne. Il pelote en attendant partie. La presse libérale à Berlin ne se fait pas faute de critiquer les étranges zig-zags et le résultat de cette discussion, lesquels offrent un contraste si manifeste avec le principe de non-intervention, nettement posé il y a peu de mois par le Reichstag. Les organes officieux se taisent, parce que ils n'ont pas encore le mot d'ordre.
Si, pour le meme motif, M. de Thile n'était pas encore à mème de communiquer à ce sujet les impressions d'Ems et de Varzin, il me laissait entendre hier que son jugement personnel était conforme au mien. Il était également d'avis que, surtout en pareilles conjonctures, il importait à nos deux Pays de vivre dans les meilleurs rapports. L'attitude des différents partis en France ne pronostiquait rien de bon. Le langage d'une grande partie de la presse parisienne n'était qu'une excitation continuelle à la haine contre les Allemands et à des projets de vengeance. Dans ces conditions, la retraite de M. Jules Favre, si la nouvelle se confirmait, serait très regrettable, car on rendait ici justice à l'esprit de loyauté et de conciliation qu'il avait montré dans les négociations de plllix.
En attendant, le Cabinet de Berlin accentue d'avantage la politique à l'égard du parti catholique. .A:insi, une Ordonnance R., contresignée par tous les Ministres, supprime au Département de l'Instruction publique les deux Sections pour les affaires catholiques et protestantes, et y crée une division unique pour les deux cultes. L'exposé des motifs ne contient rien que de très régulier et parfaitement constitutionnel. Mais H n'est pas moins vrai qu'on retire aux catholiques un privilège qui leurs avait-été accordé depuis 1841, privilège véritable puisque la division spéciale, chargée de leurs intérèts, était composée de conseillers de la mème rélig-ion, tandis que désormais les droits de l'Etat seront exercés par une Autorité soi-disant dégagée de toute infl.uence confessionelle.
La Germania proteste, dans des termes très vifs, contre cette mesure, qut a eu pour corollaire l'éloignement des Conseillers précités, et l'envisage comme une déclaration de guerre, parce que ne croit pas à l'entière impartialité du Gouvernement, à la parité de traitement vis-à-vis des deux principales religions de ce Pays. Le Gouvernement Prussien parait résolu à aller de l'avant et de combattre dans chaque cas qui se présentera, ce qu'il appelle les abus de l'ultramontanisme et des doctrines proclamées par le ConcHe.
L'INCARICATO D'AFFARI DI GERMANIA A FIRENZE, WESDEHLEN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
Firenze, 29 luglio 1871 (per. il 30).
En conséquence des ordres que je viens de recevoir de Son Altesse le Prince de Bismarck j'ai l'honneur de porter ce qui suit à la connaissance de V. E.
Les Chambres roumaines ont voté récemment une loi sur les cheminsde-fer, qui, selon l'avis des agents diplomatiques accrédités à Bukarest, lèse de la manière la plus sensible les droits des étrangers. Afin d'obvier aux facheuses conséquences de cet acte législatif, le Gouvernement Impérial vient d'inviter son chargé d'affaires à Constantinople à exprimer au Grand Vizir l'attente que la Porte, à laquelle appartient comme Puissance souveraine la représentation dipiomatique des Principautés-Unies, voudra faire usage de ce droit pour inviter le Gouvernement roumain à accorder aux intérets étrangers méconnus par cette loi la protection internationale qui leur est dùe.
Les Principautés n'ayant pas de répresentations officiels auprès des Puissances étrangères, le Gouvernement Impérial est d'avis que la Porte a le droit et le devoir d'assurer sa protection aux sujets étrangers lésés dans leurs intérets par des actes du Gouvernement de Bukarest, et l'esprit d'équité dont le Cabinet Ottoman aime à s'inspirer dans ses relations internationales ne permet pas de douter que les résolutions qu'il prendra dans l'affaire en question ne soient conformes aux obligations que les circonstances lui imposent.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA
D. 97. Roma, 30 luglio 1871.
Per indiretta via mi pervenne la notizia che il Gabinetto di Londra ha definito in un separato accordo colla Turchia la questione da tanto tempo tenuta in sospeso circa l'applicazione delle capitolazioni nella provincia ottoroana che formò la Reggenza di Tripoli di Barberia.
Non avrebbe più scopo lo esporre la storia ed il fondamento delle guarentigie speciali di cui godevano gli stranieri in quel paese, guarentigie sancite non
8 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
da sola consuetudine, ma anche da convenzioni, stipulate dai Governi Europei col Bey di Tripoli. Rammenteremo soltanto con sensi di gratitudine che fu un tempo in cui la diplomazia inglese stipulò anche per la Sardegna un trattato che determinava la posizione dei RR. sudditi in quella Reggenza barbaresca.
Se il Gabinetto di Londra ci avesse interpellato in proposito, noi ci saremmo ben volentieri messi d'accordo con lui nella migliore soluzione da darsi a questo affare. Ciò che noi avremmo maggiormente desiderato, una risoluzione presa in comune dalle Potenze interessate in questo affare, avrebbe così potuto con tutta facilità effettuarsi. Il Governo francese avendoci fatto interpellare in proposito, noi siamo entrati con lui in uno scambio di idee che ci condurrà ad una pronta decisione di questa quistione.
Bramando che l'E. V. possa far conoscere a Lord Granville il contegno tenuto dal Governo del Re, relativamente a questa vertenza, compiego nel Dispaccio d'oggi una copia delle istruzioni che in proposito ho dato al Cav. Nigra (1).
IL MINISTRO DI TURCHIA A ROMA, PHOTIADES BEY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
Roma, 31 luglio 1871 (per. l' 1 agosto).
Pour satisfaire au désir que V. E. a bien voulu m'exprimer, dans l'entrevue que j'ai eu l'honneur d'avoir avec Elle aujourd'hui, je m'empresse de Lui communiquer ci-joint en copie, le Protocole signé à Londres le 12 Juillet, par LL. EE. Musurus Pacha et Lord Granville, relativement à la suppression de la juridiction abusive des consuls à Tripoli d'Afrique.
.ALLEGATO
PROTOCOLE
La Sublime Porte s'étant adressée au Gouvernement de Sa Majesté Britannique pour réclamer contre une coutume abusive qui a pu s'introduire à Tripoli d'Afrique. sans la sanction de Sa Majesté Impériale le Sultan, par rapport à la juridiction consulaire, et pour demander que l'ordre fU.t donné au Consul Général d'Angleterre, résidant dans le chef-lieu de cette province, de ne plus insister à s'attribuer une juridiction exclusive dans les procès entre indigènes et sujets anglais, où ces derniers sont défendeurs; et le Gouvernement de Sa Majesté Britannique ayant reconnu la legitimité de cette demande;
Les Soussignés, à ce diìment autorisés, sont convenus des articles suivants:
Art. I.
Le Gouvernement de Sa Majesté Britannique transmettra au Consul Général d'Angleterre à Tripoli d'Afrique des ordres précis et formels pour que désormais tous les procès et toutes les contestations entre indigènes et sujets anglais dans cette province, quelle que soit la nationalité du défendeur, soient jugés par devant les Tribunaux locaux, conformement aux dispositions des Capitulations en vigueur, et de la mème manière dont ces Capitulations sont appliquées dans les autres provinces de l'Empire Ottoman.
Art. II.
La Sublime Porte s'engage à traiter les Consuls et les sujets anglais à Tripoli d'Afrique, en ce qui concerne la juridiction Consulaire, sur le pied de la nation la plus favorisée, et à les faire participer à la juissance de toute faveur ou avantage accordés sous ce rapport aux Consuls et aux sujets de tout autre Etat.
Fait en deux exemplaires à Londres, le douze Juillet 1871.
(Signé) MUSURUS.
(Signé) GRANVILLE.
(l) Cfr. n. 48.
L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GALVAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 8. Atene, 2 agosto 1871 (per. 1'11).
Recatomi ieri a far visita al Presidente del Consiglio, giudicai conveniente
di dargli confidenziale lettura del dispaccio politico N. 2 dall'E. V. direttomi
1'8 luglio ora scorso (1), intorno all'avvenuto insediamento del Governo a
Roma.
Il Signor Coumoundouros mostrandosi assai sensibile alle parole di simpatia e di amicizia da V. E. espresse verso la Grecia, mi assicurò che codesto paese aveva sempre seguito con vivo interesse i fortunati eventi che in breve giro d'anni ci condussero al compimento dell'unità nazionale, e che ora non poteva non andar lieto di veder pienamente soddisfatti i voti di una nazione alla quale la Grecia è legata con saldi vincoli di amicizia e di riconoscenza. Alludendo quindi alle idee che si sono manifestate non ha guari nell'Assemblea di Versailles in seguito alle petizioni dei Vescovi, il Ministro degli Affari Esteri mi soggiunse: c Ora siete in casa vostra e non avete più nulla da temere. La Francia per il momento non può far gran che, ed allorquando si troverà in grado di agire le principe aura fait son chemin •.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3868. Parigi, 3 agosto 1871, ore 10 (per. ore 18).
M. de Rémusat a été nommé ministre des affaires etrangères en remplacement de M. Favre.
(l) Cfr. n. 12.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3867. Parigi, 3 agosto 1871, ore 12,05 (per. ore 17).
Le nouveau ministre des affaires etrangères est un ancien ami de l'Italie et du comte de Cavour. Je considère cette nomination comme une excellente chose pour les rapports entre l'Italie et la France. Je vous prie de m'envoyer quelques autres exemplaires en français de la loi des garanties. J'ai rendez-vous après demain avec M. Thiers pour concerter la cérémonie du tunnel. Je vous télégrapherai le méme jour.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1598. Parigi, 3 agosto 1871 (per. il 7).
La dimissione del Signor Giulio Favre dalle funzioni di Ministro degli Affari Esteri, già più volte annunziata siccome imminente, è oramai definitiva. Si credeva che il Signor Thiers assumerebbe in persona la direzione di quel Ministero, non destinando alcun nuovo titolare e valendosi solo dell'assistenza di un Sottosegretario di Stato. Nell'ipotesi invece di una nuova nomina si designavano come presumibili successori del Signor Giulio Favre o il Duca di Broglie, Ambasciatore di Francia a Londra, oppure l'accademico Carlo de Remusat, antico Ministro. Un decreto del Capo del potere esecutivo, inserito nell'odierno Journat Offi,ciet, confida a quest'ultimo il portafoglio degli Affari Esteri. La ragione di questa nomina è cercata dai più nei personali rapporti di vecchia amicizia esistenti tra il Capo dello Stato ed il Signor de Remusat, ed anche in quelle condiscendenti disposizioni che il Signor Thiers può sperare maggiori dal nuovo Ministro.
Mi pregio segnalare all'attenzione dell'E. V. un esteso rapporto sulle operazioni dell'armata di Versaglia contro l'insurrezione di Parigi dall'll aprile fino al 28 maggio che trovasi nelle colonne del Journat Ojjìciet d'oggi. Il rapporto è firmato dal Maresciallo Mac-Mahon e porta la data del 30 giugno ultimo. Le perdite dell'armata versagliese durante le operazioni eseguite in quello spazio di tempo non eccedono, a termini del rapporto, il numero totale di 7514 tra ufficiali e soldati uccisi, feriti o scomparsi, mentre la cifra degli insorti fatti prigionieri fino al 28 maggio ammontava a 25 mila. Furono presi all'insurrezione 1500 pezzi d'artiglieria e più di 400 mila fucili.
La stampa periodica parigina accentua di più in più una certa tensione che ripetutamente si manifesta tra la destra ed il Signor Thiers, cui la maggioranza parlamentare comincia a rimproverare di voler troppo fare prevalere in ogni questione le sue personali opinioni, e la sua propria volontà. Un nuovo dissenso si è prodotto tra la destra ed il Governo nella discussione sull'orga
nizzazione e sulle attribuzioni dei consigli generali che il Signor Thiers vorrebbe meno favorevole ai principi di discentramento, mentre la maggioranza tende ad allargare quanto più può la sfera d'azione e d'ingerenza amministrativa dei Consigli generali. L'art. II del relativo progetto di legge a tenore del quale il Consiglio generale deve eleggere nel suo seno una Commissione dipartimentale permanente fu adottato dall'Assemblea nella tornata di ieri con 426 contro 210 voti benchè il Governo per bocca del Ministro dell'Interno avesse avve))tita la Camera che una tale Commissione susciterebbe difficoltà e conflitti coll'autorità prefettoriale. Il Governo non volle tuttavia fa,re della modificazione di questo articolo una questione di Gabinetto; ma siccome egli si riservò di chiedere, qualora esso fosse adottato, alcune sostanziali mutazioni negli articoli seguenti, così si teme che la questione di Gabinetto possa ancora risorgere su questo stesso terreno. D'altra parte non è più tanto fiduciosa l'opinione che in ogni evento la Destra indietreggerebbe dinanzi ad una ripetuta minaccia di demissione del Signor Thiers.
Non perché l'incidente meriti che gli si attribuisca peso nessuno, ma solo a prova dei persistenti dissensi d'una frazione dell'attuale assemblea francese verso l'Italia, riferisco all'E. V. traducendolo testualmente dall'odierno Journal ojJìciel, il brano seguente della seduta di ieri. Citando come esempio di più savia legislazione leggi provinciali estere, il Signor Pascal Duprat ebbe a dire: • Non voglio ricordarvi leggi di repubbliche: esse vi spiacerebbero senza dubbio. Vi cito quelle delle monarchie. Abbiamo al nostro fianco due popoli governati da Re: il Belgio che v'è caro, eccessivamente caro: l'Italia ch'io amo molto, molto. (Risa e strepitose interruzioni a destra).
Una voce a destra: L'Italia che ci costa cara!
Signor Duprat: Abbiamo l'Italia ch'io amo molto e che, lo si vede, voi amate molto meno di me (nuovo movimento).
L'INCARICATO D'AFFARI A CARACAS, VIVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 50. Caracas, 3 agosto 1871 (per. il 30).
Ricevuta il 21 Luglio la Circolare del 15 giugno, relativa alla installazione del R. Governo a Roma, credetti conveniente dare notizia di tale avvenimento a questo Signor Ministro degli Affari esteri con Nota del 22 dello stesso mese, alla quale egli rispondeva il 25. Quindi, per compiere la comunicazione, gli trasmisi il 26 un esemplare della Legge del 13 maggio 1871 sulle prerogative del Sommo Pontefice e della S. Sede, della quale egli mi accusava ricevimento il 2 corrente.
Dalle copie delle note del Signor A. L. Guzman, che unisco qui a quelle mie,
V. E. vedrà che le fattegli comunicazioni ebbero buona accoglienza.
Ben diversi da quelli manifestati dal Governo sono i sentimenti del clero. Generalmente ignorantissimo, esso bandisce principii conformi a quelli che ispirarono la protesta dell'Equatore. Il clero, ostile al partito dominante, non ha però nel Venezuela influenza pari a quella che esercita in altri stati dell'America meridionale.
Quanto all'opinione pubblica, essa è tuttavia da formarsi. E non sarà meraviglia, solo che si consideri come la vita politica nel Venezuela si riduca a guerra civile, e la guerra civile stessa muova non dalla coesistenza di partiti, armati l'uno contro l'altro a procurare il trionfo di principii opposti, ma da consorterie, che hanno per fondamento interessi privati, e, raggiunto l'intento, si sciolgono per ricomporsi sotto altro nome.
La stampa, non si è mai occupata di proposito della cosi detta questione romana. Essa si è ristretta a ripubblicare le notizie di giornali di Europa e degli Stati Uniti, senza esprimere mai un concetto suo proprio.
Sentimento predominante nel Venezuela rispetto agli stranieri in genere ed agli europei in particolare, è una avversione tanto profonda quanto male dissimulata. I giornali, partecipandovi largamente, si studiano sempre di mettere in mala voce le potenze europee e di esaltare al possibile, a guisa di contrapposto, ,gli Stati Uniti, presentati sotto il doppio aspetto di un modello di perfezione, unico al mondo, e di oggetto di spavento per l'Europa.
Cosl, tanto per non urtare il clero, quanto per mal animo, i giornali nella scelta delle notizie relative agli eventi, che fecero capo alla cessazione del potere temporale de' Papi, hanno dato sempre la preferenza a quelle spacciate da' nostri nemici. A ciò propriamente si è limitata la loro opposizione. Del rimanente, questo non è paese, neppure ne' suoi migliori elementi, da potere ancora valutare l'importanza di quanto si è compiuto in Italia.
IL CONSOLE A MONTREAL, GIANELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 4. Montreal, 3 agosto 1871 (per. il 20).
A secondo il di Lei desiderio ch'io dassi pubblicità alla legge sulle guaranti,gie al Pontefice come dal di Lei dispaccio Serie Politica S. N. in data 31 maggio e che fu ricevuto a questo ufficio il 20 giugno, accompagnato dal documento tradutto, mi feci dovere di comunicarlo al giornale più influente ed accreditato in questa Città -la Gazetta-nel quale ne apparse la pubblicazione in data 17 luglio u. s. e con ivi un articolo editoriale che dietro mio desiderio ho fatto accompagnare, e che oso sperare V. E. approverà.
La pubblicità di quest'importante documento ha avuto l'effetto desiderato se devo giudicare da un grande numero di persone a me note e che già prima erano aversi nemici del Governo d'Italia -ora ne fanno ampio eloggio, e condanano il Pontefice perché rifiuta di acettare ciò che non di più potevasi accordarle; a qualcuno di questi fanatici comincia ad assicurarsi che non sempre dal pulpito intesero la verità.
Allo scopo di far giungere il giornale ad un numero di persone da me conosciute quali nemici capitali d'Italia e che altro non leggono se non che l'organi clericaU, ne ho fatto l'acquisto di 200 copie che colle spese di posta ho incorso lo sborso di 7,50 dollari che se V. E. approverà io caricherò tra le spese di questo consolato. Le invio due numeri del giornale sunominato e mi permetto altresì di accompagnarne altri due (L'Altare e il Trono) nel quale dietro mia influenza apparve un articolo (fino dal 3 maggio) che forse V. E. non disapproverà.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
(AVV)
L. P. Roma, 4 agosto 1871.
Vi mando un corriere che vi potrà essere comodo d'avere a disposizione vostra, in occasione della nomina del nuovo Ministro degli Affari Esteri.
Il linguaggio dei giornali italiani vi avrà indicato quale fu l'impressione prodotta da noi dalla discussione dell'Assemblea di Versailles sugli affari d~ Roma. L'Opinione sopratutto mi sembra aver riprodotto il sentimento più comune. L'impressione non fu quella d'una minaccia o di un pericolo prossimo, ma non fu neppure tale da ristabilire alcuna vera e solida fiducia fra i due paesi e da riaprire, per cosi esprimermi, la via della simpatia che sarebbe quì naturale verso la Francia e alla cordialità dei rapporti. Volgarmente e all'ingrosso si traduce il discorso di Thiers così: per ora la Francia non fa nulla contro l'Italia perchè non può, si riserba però di farlo quando potrà, e si senti istintivamente l'aura ostile che spirava da tutta quella discussione, dalla attitudine di tutta quell'Assemblea. La gran maggioranza intelligente del paese ha preso atto della dichiarazione del Signor Thiers che il Governo francese si asterrà da un'azione ostile verso l'Italia e anche da quell'azione diplomatica che potrebbe alterare i rapporti fra i due paesi, e, siccome, in certe situazioni, l'impressione immediata, direi locale, ha un innegabile valore, non è disconosciuto da noi che in Francia il significato della discussione fu cagione di malcontento ai giornali clericali e fu trovato soddisfacente dai giornali liberali. La Borsa stessa la quale non fa, è vero, previsioni a scadenze remote, divise queste impressioni rassicuranti. Ma questa opinione temperata e conciliante trovò anche che una rassegnazione, che non fu detta definitiva e che fu fondata sulla necessità, non è una gran base pei rapporti reciproci, per le relazioni future dell'Italia e della Francia. Certo il Signor Thiers non poteva sconfessare le sue opinioni passate, ma quand'egli deplorava che la Francia avesse lasciato fare l'unità di Italia in un momento d'oblio della sua politica tradizionale, si sperava che aggiungesse qualche correttivo, qualche dichiarazione per l'avvenire, poichè che cosa dovrebbe fare la Francia quando sarà in grado da far ritorno alla sua tradizione vera e sana, se, secondo le idee del Signor Thiers non trovi anche oggi che la migliore guarentigia per l'indipendenza del Pontefice, sarebbe il potere temporale? Ma nelle sue parole non v'è uno spiraglio il quale indichi che forse la forza religiosa del papato potrà trovare altre vie di grandezza, che ponga la questione in altri termini che quelli d'una situazione violenta sotto cui geme il Papa e che la Francia si sforzerà di attenuare nei limiti delle risorse che la situazione le andrà man mano porgendo. Ma indipendentemente anche da queste considerazioni, ciò che offese in Italia una legittima suscettibilità è che il Signor Thiers, non abbia trovato una parola, in nome di quella convenienza internazionale che è sentita in tutti i Parlamenti, pel linguaggio ingiurioso dei Relatori e per le espressioni usate da Monsignor Dupanloup verso la persona del Re Vittorio Emanuele. Quando si pensi inoltre il tenore delle petizioni di cui si trattava, il voto dell'Assemblea, malgrado le circostanze in cui si produsse, il voto del rinvio, non era tale che potesse riuscirei grato, considerando il significato parlamentare d'un rinvio di petizioni al Ministero competente. Purtroppo i francesi uniscono a una viva suscettibilità per se stessi un sentimento assai meno vivo delle suscettibilità altrui.
La stampa germanica approfittò naturalmente dell'occasione, e fece il confronto fra il voto dell'Assemblea francese e quello del Parlamento germanico. La corrispondenza officiosa del Gabinetto di Berlino disse che in questa brillante seduta ciò che brillava per la sua assenza era un qualunque sentimento di equo rispetto per un qualunque diritto nazionale dell'Italia, e che il Signor Thiers, aveva stabilito esso medesimo una solidarietà di situazione fra l'Italia e la Germania.
In questo complesso di circostanze era impossibile che il pubblico non sentisse la differenza fra le simpatie liberali che ci vengono dal resto d'Europa e le manifestazioni francesi. Quanto a me non ho avuto della discussione una impressione diversa dalla vostra. Essa non mi ha rivelato nulla di nuovo, la situazione anche prima la giudicavo come la giudico ora, fors'anche con minore fiducia. Ho però osservato che il Signor Thiers, facendovi presentire prima il linguaggio che avrebbe tenuto vi disse: dirò all'Assembea che non accetto la questione sul terreno territoriale, e che questa frase più esplicita non v'è nel suo discorso. D'altra parte mi fece piacere che non abbia parlato della Convenzione di Settembre. Quest'atto fu denunziato in circostanze tali che sono lieto che il Signor Thiers abbia in certo modo dato di frego su questa circostanza e su questo precedente.
Io credo, dopo questa discussione, che la nostra politica non deve essere punto modificata, dobbiamo rimanere calmi e non perdere un istante il nostro sangue freddo. Dobbiamo continuare a procedere nella quistione pontificia e in tutte le questioni religiose e politiche che si annettono ad essa colla più grande moderazione, mantenere l'ordine, mostrarci concilianti e rispettosi verso il Pontefice, mostrare coi fatti che la sua libertà è incolume e che l'Italia fa tutto quanto le si può chiedere ragionevolmente. Nei nostri rapporti colla Francia dobbiamo conservare un'attitudine amichevole e piena di riguardi, porre la ragione da parte nostra, sperando che col tempo e con questa politica la quistione si cicatrizzi. Ma siccome questo risultato non è sicuro, e la peggiore politica è quella delle illusioni e delle imprevidenze, dobbiamo senza ostenta
zione ma con pertinacia prepararci pel caso contrario e per quanto riguarda la forza militare del paese e per quanto riguarda le nostre condizioni internazionali. Fortunatamente abbiamo dinnanzi a noi il tempo necessario.
L'impressione poco buona di cui vi ho parlato poc'anzi fu sentita anche da taluni de' miei colleghi del Ministero. E quattro o cinque giorni fa il Presidente del Consiglio si meravigliava con me che non vi fosse stato, in seguito alla seduta dell'Assemblea qualche scambio di spiegazioni fra voi e Thiers. Egli propose formalmente che queste spiegazioni vi dessi istruzioni di chiederle ufficialmente, benchè in modo moderato e conciliante. Io non durai poca fatica a sostenere che questo passo sarebbe stato perfettamente inutile. In primo luogo dove trovare la base del reclamo e delle spiegazioni? Le simpatie e le opinioni sul passato? Ma queste non si discutono. Il programma presente? Il Signor Thiers risponderebbe ch'egli ha detto di voler astenersi da un'azione che comprometterebbe i rapporti dei due paesi. Il voto del rinvio delle petizioni? Il Signor Thiers aveva prima dichiarato all'Assemblea ch'esso darebbe a questo voto il significato istesso del suo discorso. Il Signor Thiers certo non avrebbe potuto tenere a voi un linguaggio sostanzialmente diverso da quello che tenne ai rappresentanti della Francia. Se il suo linguaggio fosse stato poco soddisfacente ciò non avrebbe servito che ad aggravare una situazione che, qualunque poss~ essere l'avvenire, è nostro grande interesse il non inasprire. Se il Signor Thiers fosse stato prodigo di dichiarazioni generiche più rassicuranti sarebbe stato, da parte nostra un'illusione il credere che la situazione fosse sensibilmente modificata. Il Governo Francese aveva accettato il rinvio delle petizioni; non mi pareva conveniente per noi il chiedergli: che seguito darete a questo rinvio? Meglio valeva attendere appunto che il Governo francese prendesse un'iniziativa se pure intendeva di prenderla.
Ad ogni modo, voi conoscete lo stato delle cose, l'impressione prodotta da alcuni punti del discorso di Thiers e da alcuni incidenti della seduta e se nei vostri colloqui col nuovo Ministro degli Affari Esteri (che col Signor Thiers mi sembra ormai troppo tardi) non vi sembra difficile o pericoloso l'avere delle dichiarazioni che rispondano in certo modo a questi incidenti e a queste dichiarazioni, il vostro dispaccio mi potrà servire pe' miei colleghi e pel Re e forse anco per qualche futura esigenza parlamentare. Ma voi sapete che alle esigenze parlamentari io preferisco la utilità vera del paese e quella prudenza che è indispensabile ad assicurare il risultato definitivo, il quale vale assai meglio delle frasi e dei dispacci.
Uno dei fatti che, considerato all'infuori di certe circostanze speciali, poteva aggravare il significato del voto dell'Assemblea era certo la dimissione data, in seguito a questo voto, dal Signor Giulio Favre. Il nome del Signor Favre era una guarentigia per l'Italia e pe' suoi antecedenti, e per le sue simpatie. L'assicurazione amichevole che il cambiamento del Ministro degli Affari Esteri non significava una modificazione in senso meno favorevole nella politica francese e nelle sue dichiarazioni verso l'Italia sarebbe stata, in questo caso, abbastanza naturale. Non occorre ch'io vi ricordi la dichiarazione così esplicita riguardo al potere temporale contenuta nell'ultima nota del Signor Giulio Favre. La nomina del Signor Remusat mi ha fatto il più grande piacere e fu
accolta con soddisfazione da tutti. Si conosce in Italia la sua provata simpatia pel nostro paese, l'antico liberalismo di questo uomo illustre, la sua amicizia col Conte di Cavour. Nel partito orleanista egli era, durante l'Impero, uno dei pochissimi amici nostri. Il nome del Signor Remusat è considerato da noi come d'un felice auspicio pei futuri rapporti dell'Italia e della Francia. Non dubito che le dichiarazioni spontanee che vi farà il nuovo Ministro quando lo vedrete serviranno appunto a constatare che il ritiro del Signor Giulio Favre non significa per noi un cambiamento di politica. L'intelligenza elevata del Signor di Remusat saprà vedere nelle nuove condizioni del Papato spirituale altro che quello che ci videro i relatori delle famose petizioni, un Pontefice prigioniero fra un popolo di cannibali.
V'è un'altra questione annessa a quella di cui vi ho parlato sulla quale chiamo la vostra attenzione. Coloro che danno una interpretazione alquanto pessimista al discorso del Signor Thiers e, fra questi alcuni miei colleghi, credono che se il Governo francese non farà nulla per ora, però prolungherà indefinitivamente l'assenza da Roma del suo Rappresentante presso il Re e che la Legazione francese rimarrà, con un incaricato d'affari, a Firenze. Io non lo credo e una simile manifestazione non potrebbe rimanere senza risposta. Certo non sarebbe opportuno di fare, neppure in via officiosa, delle osservazioni sull'assenza del Conte di Choiseul, quando anche i Ministri degli altri Stati sono ora in congedo e assenti da Roma. Non può essere quistione di un mese prima o dopo, ma certo se, a tempo debito e quando la stagione sarà più propizia, il Ministro di Francia venisse a fissare la sua dimora nella nuova capitale, questo fatto porrà fine a molti dubbi, a molte incertezze e quindi a molti motivi di inquietitudine, di recriminazioni, e di irritazione fra i due paesi.
Se vi sembrasse opportuno di farlo sentire e se poteste avere una risposta che ponesse fuori di dubbio il trasferimento della Legazione di Francia col suo Capo a Roma, ne sarei lieto. È vero che le Camere nostre non saranno convocate che in Novembre, ma voi comprenderete che, se, per quell'epoca, le cose rimanessero ancora, per questo riguardo, nello stato attuale, non potremmo rimanerci indifferenti. Confido che non andremo nemmeno sin là.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
(AVV)
L. P. Roma, 5 agosto 1871.
Vi restituisco la lettera del Signor Giulio Favre che ho letto non senza emozione perchè l'accento di amarezza che ne spira è appieno giustificato. Egli fu invero trattato con una grande ingiustizia. Il Signor Favre portava nei suoi rapporti con gli altri paesi uno spirito di benevolenza e di leale equità che è il solo che possa ricondurre verso la Francia le simpatie dell'Europa. Io sono
convinto che la Francia non ritroverà la sua grandezza e tutta la sua forza
d'espansione che rinnovando la sua tradizione liberale. Ponendo contro di sè
le forze vive dei tempi nostri, associandosi alle cause perdute coi vincoli di
tradizioni caduche, la Francia non preparerà a sè stessa che l'isolamento. Fu
proprio la politica della pace di Vestfalia, riflessa attraverso i trattati del 1815,
e interpretata dal Re Luigi Filippo che fece la grandezza della Francia nel
nostro secolo.
Artom è partito in congedo e fa i bagni di mare a Nervi. Io mi godo l'estate di Roma e spero di potere, al ritorno di Artom, prendermi qualche giorno di congedo. Avete notizie di Vimercati? Se è a Parigi, fategli i miei saluti.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3872. Parigi, 5 agosto 1871, ore 14,30 (per. ore 18,25).
J'ai vu M. Thiers et le nouveau ministre des affaires étrangères. Le Gouvernement français désire se faire représenter à l'inauguration du tunnel par les ministres des travaux publics et du commerce, et aussi par celui des affaires étrangères, si vous vous décidez à y aUer. Ici on le désire, et moi je le crois utile; je vous engage à le faire. Le langage du nouveau ministre des affaires étrangères a été très-favorable à l'Italie. J'ai dit à M. Thiers que le vote de l'assemblée sur les pétitions avait produit une mauvaise impression sur l'opinion publique en Italie, quoique le Gouvernement du roi ait tenu compte des déclarations du chef du pouvoir exécutif et des circonstances. Il m'a dit qu'il fallait tenir compte de la composition de l'assemblée et de la circonstance que la discussion se produisait presqu'au moment de notre établissement à Rome, et que du reste, les réserves qu'il avait faites òtaient tout caractère d'hostilité et toute portée pratique au vote.
L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3874. Berlino, 5 agosto 1871, ore 16,30 (per. ore 4,05 del 6).
L'empereur d'Allemagne a annoncé à l'empereur d'Autriche sa visite à Ischl. L'empereur d'Autriche a répondu que, pour abréger le voyage, il ira à sa rencontre à Saltzbourg. Il parait décidé que les deux chanceliers impériaux accompagneront LL.MM. et que l'entreuvue aura lieu à Saltzbourg le 13 de ce mois.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Parigi, 5 agosto 1871.
Sono stato oggi a Versaglia ed ho visto il Signor Thiers e il Signor de Remusat nuovo Ministro degli Affari Esteri. Lo scopo della mia visita a Thiers era di domandargli se il Governo francese volesse farsi rappresentare, e da chi, all'inaugurazione del Tunnel del Cenisio. Ma la conversazione cadde subito sull'impressione prodotta in Italia dal voto dell'Assemblea Nazionale sulle petizioni dei Vescovi. Dissi schiettamente al Signor Thiers che l'impressione sull'opinione pubblica italiana in generale era stata sfavorevole, benchè io fossi certo che il Governo del Re avesse tenuto nel debito conto le dichiarazioni di lui, e le circostanze, sotto l'impero delle quali il voto dell'Assemblea s'era prodotto. • Noi non possiamo farci ragione dell'opportunità e della convenienza che possa trovare la Francia ad insistere così spesso sulla genesi dell'unità germanica prodotta dall'unità italiana, ed a rendere così forzatamente solidarii l'uno dell'altro questi due grandi fatti della storia contemporanea. Ci contrista poi, dissi al Signor Thiers, il vedere che i nostri sinceri sforzi per stabilire relazioni cordiali fra i due paesi incontrano continui ostacoli, e che nella recente discussione dell'Assemblea tutta piena di tenerezza pel Papa non sia sorta una sola voce di simpatia per l'Italia, e non sia stata seriamente esaminata la legge della garanzia •. Il Signor Thiers mi rispose che egli aveva parlato dell'Italia in modo lusinghiero e che si era studiato a togliere al voto, qualunque esso si fosse, ogni carattere ostile ed anzi ogni valore pratico, prima ancora che esso fosse pronunziato. Del resto, disse egli, voi dovete riflettere che l'Assemblea è composta di membri in maggioranza clericali e che la discussione aveva luogo quasi al momento stesso in cui il vostro Governo s'insediava in Roma. Conchiuse dicendomi che sperava che la nomina del nuovo Ministro degli Affari Esteri, le cui simpatie per l'Italia sono ben conosciute, avrebbe controbilanciato ogni cattiva impressione prodotta dal voto dell'Assemblea.
Vengo all'affare dell'inaugurazione; dissi a Thiers che il Re non ci verrebbe, la sua presenza in Savoia potendo avere inconvenienti. Il Signor Thiers mi disse che capiva questa riserva del Re, che egli, Signor Thiers vi sarebbe venuto volentieri se il Re ci fosse venuto, ma che il Governo francese vi sarebbe stato rappresentato dal Ministro dei Lavori Pubblici, Signor de Larcy, da quello del Commercio, Signor Victor Lefranc, e da quello degli Affari Esteri se voi vi decideste ad andarci; ciò che sarebbe stato desiderato sia da lui Signor Thiers, sia dal Signor de Remusat. Quest'ultimo mi confermò questo suo desiderio. Io v'impegno ad appagarlo. La nomina di M. de Remusat ha un carattere decisamente favorevole all'Italia. Io lo conosco molto e lo trovai costantemente amico nostro. Il linguaggio poi che mi ha tenuto in quella prima conversazione fu pieno d'effusione e di simpatia. Io vedo un'utilità incontestabile in questo incontro dei due Ministri degli Esteri, che sembra molto desiderato dal Signor Thiers e dal Signor de Remusat. Pensateci. Io non vi compromisi in alcun modo, dissi a Thiers e a Remusat che vi avrei fatto conoscere le loro intenzioni a questo riguardo, ma non legai la vostra libertà d'azione. Tuttavia mi sembra che sia di tutta convenienza che voi vi rendiate ad un desiderio così chiaramente espresso e la cui attuazione non parmi presentare alcun ostacolo ed inconveniente grave, e può anzi recare molti· vantaggi.
La situazione generale della Francia e quella speciale di Parigi sono !ungi dall'essere soddisfacenti. L'incertezza dell'avvenire paralizza ogni cosa. L'Assemblea evidentemente non vive col paese. Tra Parigi e Versaglia l'abisso non fu colmato. Il pericolo di questa situazione è cosi evidente che a scongiurarla si pensa ora seriamente a prorogare i poteri del Signor Thiers dandogli il titolo di Presidente della Repubblica. Ma la maggioranza dell'Assemblea vorrebbe assicurare la durata dell'Assemblea stessa per un tempo almeno uguale a quello che sarebbe fissato per i poteri di Thiers. Però tutti questi progetti sono combattuti e discussi e non si può ancora sapere che cosa ne uscirà. Io per me temo che questo povero paese non è ancora giunto alla fine dei suoi guai e che nuove ed amare prove gli sono ancora riservate.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1603. Parigi, 6 agosto 1871 (per. il 9).
Nel segnare ricevuta del dispaccio di serie politica N. 325 che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 27 luglio ora scorso relativamente alla giurisdizione consolare a Tripoli (1), mi reco a premura di informarla che andai jeri a Versaglia per intrattenermi col Signor De Remusat, nuovo Ministro degli Affari Esteri della Repubblica francese. Esposi a S. E. il contenuto del dispaccio stesso, dicendo al Signor De Remusat che il Governo del Re era disposto a firmare fino d'ora un accordo nel quale convenissero i Gabinetti di Versaglia e di Londra, salvo la riserva relativa all'Egitto ed a Tunisi mentovata dall'E. V., e salva l'osservazione di forma accennata pure in fine del dispaccio suddetto.
Il Signor De Remusat mi disse che per parte sua il Governo francese desiderava anch'esso di camminar d'accordo in questa vertenza col Governo del Re, che però finora egli non aveva ancora avuto agio d'esaminare a fondo la questione di cui io era stato incaricato di parlargli e ch'esso giudica abbastanza grave; che quindi si riservava di farne oggetto di studio prossimamente e di far conoscere il suo modo di vedere al Governo del Re. Il Signor De Remusat espresse il desiderio che intanto il Governo del Re non dia per quanto lo concerne una soluzione separata alla questione.
Dalle parole dettemi dal nuovo Ministro degli Affari Esteri sembrami poter indurre che il Governo francese vuoi procedere molto guardingo in questo affare e che non è troppo portato a fare alla Turchia il sacrificio delle capitolazioni speciali di Tripoli.
(l) Cfr. n. 48, in realtà del 28 luglio.
L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 861. Berlino, 6 agosto 1871 (per. il 10).
La risoluzione di invocare l'autorità della Sublime Porta contro il Principe vassallo di Rumenia, è stata presa a Varzin dal Principe di Bismarck, il quale telegrafò a tale oggetto le sue istruzioni all'Incaricato di Affari Tedesco a Costantinopoli. Aalì pascià rispose direttamente al Principe di Bismarck per mezzo del Conte di Limburg-Stirum, nel mentre mandava per telegrafo suggerimenti di conciliazione a Bucharest. Siffatte comunicazioni non essendo passate per le mani del Segretario di Stato a Berlino, non mi fu dato di riferire in proposito veruna particolarità all'E. V., e solo potei telegrafarLe poi il senso della nota che questo Incaricato d'Affari Inglese aveva rimesso poco innanzi al Signor de Thile, in risposta alla circolare diretta alle Potenze protettrici. Il Gabinetto di Londra, non essendo guarì impegnati interessi di sudditi inglesi nell'impresa della strada ferrata rumena, desiderava rimanere all'infuori di una controversia, nella quale non ravvisava un colore politico: suggeriva invece l'idea di affidare ad un arbitro la cura di appianare tale quistione. Il Signor de Thile si riservò di trasmettere siffatta risposta a Varzin. Ieri esso non aveva ancora ricevuto la comunicazione della risposta di verun altro governo.
Per quanto sieno molteplici le complicazioni cui potrebbe dar luogo il passo fatto dalla Prussia a Costantinopoli, il Segretario di Stato però non vuole ammettere l'eventualità di un intervento armato della Turchia nei Principati Danubiani. Il Gabinetto di Berlino non può esimersi dallo adoperare ogni miglior mezzo onde proteggere gli interessi pecuniari che tanti sudditi tedeschi hanno in Rumenia: essi avrebbero dato più di 50 milioni di talleri (circa 200 milioni di lire) per la costruzione di quelle strade ferrate: il maggior numero di questi azionisti si compone di piccoli capitalisti: la presenza sul trono di un principe della Casa degli Hohenzollern aveva inspirato loro quella fiducia che, all'infuori del diritto, costituisce ora a carico di questo Governo una guarentigia morale, di cui non gli sarebbe agevole di svincolarsi a mezzo di considerazioni politiche. E pertanto, benchè la quistione possa prendere un aspetto politico e aprir la via ad altre complicazioni, non credo tuttavia che sia stata suscitata per secondi fini. Il Gabinetto di Berlino mira a prevenire gli effetti della decisione presa a Bucharesf, che è tale da riuscire in fatto ad annullare, mediante una tenue indennità, il valore dei titoli acquistati dagli azionisti delle Strade ferrate Rumene.
Per il Signor Strousberg e per gli altri direttori che stanno a capo di quell'impresa, il Governo Prussiano non manifesta veruna simpatia.
Ho pure avuto l'onore di telegrafare ieri alla E. V. (l) le disposizioni che erano state prese per la visita dell'Imperatore di Germania all'Imperatore d'Austria. Il primo di questi Sovrani avendo annunciato la sua intenzione di
(ll Cfr. n. 62.
recarsi a tale scopo a Ischl, l'Imperatore Francesco Giuseppe rispose che si sarebbe portato ad incontrarlo a Salzbu11g. Questo Segretario di Stato non era in grado di affermare in modo positivo se il Principe di Bismarck ed il Conte di Beust avrebbero accompagnato a Salzburg i loro Sovrani. Credo rperò che ormai non vi sia più alcun dubbio a tal riguardo.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1604. Parigi, 8 agosto 1871 (per. l' 11).
Il processo contro ·gl'insorti del 18 marzo ed i compromessi nella rivoluzione comunale di Parigi cominciò dopo molte proroghe ieri a Versaglia nanti il 3<> Consiglio di .guerra della 1a divisione militare. I primi accusati tradotti dinanzi al Consiglio sono in numero di 18 ed appartengono alla categoria dei più influenti ed attivi propugnatori del Comune. Figura tra essi anche il Delegato del Comune alle relazioni estere, Pasca! Grousset.
Chiamo l'attenzione dell'E.V. e quella del R. Governo sull'esposizione generale letta dal Commissario del Governo francese in principio del dibattimento, la quale trovasi riferita per intiero nell'odierno foglio del Journal O:fjìciel.
P.S. Accludo una lettera che l'Ufficio del Deposito delle fortificazioni m'ha pregato di far pervenire al Presidente del Comitato del Genio militare italiano.
IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 88. Washington, 11 agosto 1871 (per. il 29).
Ieri ricevetti il telegramma transatlantico dell'E.V. concepito nei seguenti termini:
• J'autorise acceptation mandat honorable et flatteur à vous confié •.
Il quale s'intende rispondere al contenuto del mio rapporto politico del 21 luglio u. s. n. 87 (l) relativo alla proposta fattami dai Governi degli Stati Uniti e della Gran Brettagna d'assumere le funzioni di terzo membro della Commissione de' reclami Inglesi ed Americani che secondo gli articoli XII e seguenti del Trattato di Washington debbesi riunire nella Capitale di questi Stati.
Partecipai tosto siffatta risposta e la conseguente mia accettazione dell'onorevole incarico a questo Governo. E non dubito che l'E.V. avranne informato direttamente il Governo Britannico.
Non mi resta che ad assicurare l'E.V. che farò dal mio canto ogni sforzo onde disimpegnare siffatto incarico come meglio si possa secondo le mie deboli forze.
(l) Cfr. n. 30.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Ginevra, 11 agosto 1871.
Giunsi ieri a Ginevra e nella sera ho veduto il Principe Umberto. Ho visto anche la Principessa Clotilde e il Principe Napoleone che tornavano questa mattina a Prangius. Mi misi a disposizione del Principe Umberto e lo accompagnerò fino alla frontiera di Spagna. Egli conta di partire di qui lunedì o martedì e passerà per Lione dove probabilmente si fermerà 24 ore per riposarsi. Da Lione proseguirà per Cette, Tolosa e Bajonne. Spero che questo viaggio potrà farsi senza inconvenienti sul territorio francese. La sola cosa che m'inquieta un po' è il soggiorno di 24 ore a Lione. Le disposizioni della popolazione francese sono cattive rispetto all'Italia. V'è molta irritazione, vi sono sentimenti di avversione, a Lione forse più ancora che altrove. Ho scritto al nostro console perchè m'informi confidenzialmente e mi dica se crede che il Principe possa senza inconvenienti fermarsi la notte in quella città. Ne aspetto la risposta domani o dopodomani. Ho incontrato per viaggio il Conte di Barrai che veniva da Madrid per prendere la famiglia che è a Chambéry per ricondurla in !spagna. Il Conte di Barrai ha pure una lettera del Re Amedeo per il Re Vittorio Emanuele. Egli ignorava il viaggio del Principe Umberto in !spagna e ne fu informato da me. Per mio consiglio, Barrai verrà qui a Ginevra oggi. Desidero che veda il Principe e che lo informi dello stato delle cose a Madrid. Barrai è d'avviso che questo viaggio avrebbe potuto utilmente essere differito ad epoca più propizia, ed io convengo nello stesso avviso. Ad ogni modo ho creduto utile che il Principe fosse direttamente informato da Barrai d'ogni cosa ed anche della probabile impressione che il viaggio può fare in !spagna, dove le cose non procedono come sarebbe desiderabile che procedessero. Il Re e la Regina di Spagna si conducono entrambi molto bene. Molto lodevolmente. Ma la popolazione e specialmente l'aristocrazia, non rispondono alla egregia condotta dei loro Sovrani con pari condotta. La fusione degli Alfonsisti coi Monpensieristi sembra fatta e compiuta, e questo è un incidente di una certa portata. Insomma se malgrado le informazioni che gli saranno recate da Barrai, il Principe persiste nel suo proposito, il viaggio si farà, e per parte mia mi adoprerò come meglio saprò perchè esso non abbia inconvenienti lungo il tragitto del territorio francese. Dalla frontiera spagnola farò ritorno a Parigi. Penso che sarà tra il 20 e il 25 corrente.
Prima di partire ho ricevuto le vostre lettere recatemi dal corriere Longo. Comprendo l'impressione prodotta sulle opinioni pubbliche in Italia e sullo spirito del Presidente del Consiglio e dei suoi colleghi dalla discussione e dal voto dell'Assemblea sulle petizioni dei Vescovi. Vedo che il nostro ottimo Lanza ed altri Ministri sarebbero stati propensi ad una domanda di spiegazioni che non avrebbe avuto utilità e non sarebbe stata scevra d'inconvenienti. Certamente ci perdiamo un dispaccio pel Libro verde ma ci guadagniamo di non aver peggiorato una situazione che è molto delicata e tesa. A noi conviene,
credo, d'impadronirci delle dichiarazioni di Thiers e d'interpretarle favorevolmente. Se no, i nemici nostri lo faranno essi nel senso loro. I fatti non hanno sempre un significato assoluto, e dirò così teorico. Essi hanno politicamente un significato più preciso, più relativo, che risulta dall'insieme delle circostanze di cui si producono, e dall'interpretazione definitiva che viene data ad essi, sia in modo autenUco da quelli a cui torna il farlo, sia in generale dall'opinione pubblica. Fu merito incontestabile dei nostri uomini di Stato e della nostra diplomazia da vent'anni in qua d'aver saputo interpretare abilmente i fatti in senso favorevole alla nostra causa. Esaminate del resto con calma la situazione della Francia, dell'Assemblea sua e del suo Governo, esaminate la discussione sulle petizioni, le dichiarazioni del Signor Thiers, e quella specialmente fattami dopo la discussione sulla mancanza di valore pratico del voto e vi convincerete, non ne dubito, che la discussione e il voto avrebbero potuto essere più cattivi, senza che per questo noi fossimo autorizzati dalle circostanze e dall'opinione pubblica europea a rompere le relazioni col Governo francese e a fargli la guerra.
È vero che il Signor Thiers non disse esplicitamente che non permetteva che si mettesse sul tappeto la questione territoriale. Ma in sostanza la questione territoriale non fu messa innanzi. La restituzione di Roma e delle provincie pontificie al Papa non fu domandata nè consigliata per quanto ricordo, nemmeno da Monsignor Dupanloup.
Quale sarebbe stato il risultato d'una domanda formale di spiegazioni? Vi sono situazioni, che bisogna conoscere senza dubbio a fondo, ma delle quali non conviene forzar la ·conferma e che non bisogna esporre alla luce del sole, a meno che si sia disposti ad affrontar le estremità che ne sono il risultato logico e necessario. Non si può convincere d'infedeltà la donna amata se non quando si ha la risoluzione di separarsene definitivamente.
Ad una domanda di spiegazioni il Signor Thiers avrebbe risposto colla ripetizione di quanto disse pubblicamente, e se la domanda avesse avuto un carattere di vivacità, la risposta non sarebbe stata più soddisfacente. La situazione sarebbe ora incontestabilmente meno buona di quello che è. Io vorrei avere la facoltà di eloquenza e di persuasione che non ho, per potervi ben chiarire, ai vostri colleghi ed a voi, la verità di questa situazione. Alle giuste preoccupazioni che avevano fatto sorgere in Italia la costituzione dell'Assemblea Nazionale e la nomina di Thiers, preoccupazioni che mi avevate accennato nelle vostre lettere, io risposi da Bordeaux in termini che sono veri anche adesso. Io vi dissi allora e vi ripeto adesso, noi non possiamo fare che i francesi siano soddisfatti di noi e che approvino che invece d'andare ad aiutarli durante la guerra, noi abbiamo invece profittato della guerra stessa per impadronirci di Roma e del territorio pontificio. Non posso quindi rispondere che Governo ed Assemblea abbiano per noi disposizioni molto favorevoli. Ma ben posso rispondere che per un periodo abbastanza lungo di tempo, la Francia sarà nella impossibilità di agire efficacemente contro di noi. Sta nelle nostre mani che questo periodo si prolunghi, preparando dall'un lato una conveniente costituzione dell'esercito, e dall'altro lato preparando eventuali alleanze, ma soprattutto tenendo
rispetto al Papa, alla sua libertà, alla sua guarentigia, ai diritti anche abusivi
9 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
delle corporazioni estere, una condotta eccessivamente temperata ed accondi
scendente.
Certo sarebbe sommamente desiderabile che noi potessimo ottenere dalla
Francia una specie di quietanza definitiva in ordine alla questione romana, e
potessimo così risparmiare armi e denaro, e badare in tutta tranquillità a far
prosperare l'ordine e la libertà, la sicurezza e la ricchezza pubblica nel nostro
paese, senza altre preoccupazioni. Questa spada di Damocle, per monca <:he
sia ci è molesta. Nulla di più vero. Ma questa quietanza chi può darcela in
Francia? Non l'avremo che col tempo, colla prescrizione; quando cioè lo spi
rito della popolazione francese si sarà profondamente modificato; quando la
Francia, come voi molto giustamente osservate, avrà tenuto ad onore di ripi
gliare la sua gloriosa tradizione liberale. Ora nessuno in Francia può promettere
a nome della Francia, che le dichiarazioni del Signor Thiers, le sue promesse,
i suoi impegni, terranno di fronte ad un nuovo e più definitivo Governo in mi
sura non molto diversa da quello in cui si mantennero gl'impegni, le promesse
e le dichiarazioni del Governo della difesa nazionale.
Messa da banda l'idea di forzare il Governo francese a dichiararsi, pena la guerra immediata, (idea che non credo sia il caso di esaminare ora), la nostra politica può riassumersi mi pare in questi termini: buone relazioni colla Francia, e nel tempo stesso un sistema di bene intese precauzioni; applicazione larga della legge delle garenzie; sicurezza assoluta e rispetto della legge in Roma; accondiscendenza ad ogni equo reclamo delle Potenze estere. Però ogni cosa ha i suoi giusti limiti. Se il governo francese li eccedesse, se p.e. la Legazione di Francia non venisse a suo tempo, cioè quando vennero le altre, a stabilirsi a Roma, credo anch'io che il Governo del Re dovrebbe rispondere con qualche atto d'eguale significato. Il Ministro del Re a Parigi dovrebbe essere richiamato in congedo. Parlo di ciò in modo disinteressato; giacchè voi sapete che ciò personalmente sarebbe !ungi dal farmi dispiacere. Ma questa questione della Legazione francese si risolverà, spero, in modo soddisfacente, e lo deduco dal linguaggio specialmente amichevole tenutomi in due conversazioni dal Signor de Remusat, del quale del resto vi sono note le simpatie per l'Italia e soprattutto pel partito a cui voi ed io teniamo ad onore di appartenere. Io penso che nell'incontro che farete con lui sotto la volta delle Alpi questa questione troverà luogo conveniente ad essere trattata e risolta.
Se intanto il Governo francese, contro ogni probabilità, volesse dare un corso qualunque al voto dell'Assemblea, ebbene ci dica quello che vuole e noi avviseremo a rispondergli. Ma non spetta a noi, credo, di spingerlo a farlo. E per intanto continuiamo ad agire con prudenza, con pazienza, soprattutto con molta pazienza, non è, la verità, sempre facile nessuno lo sa più di me, che da tanto tempo mi trovo in continuo contatto con questi uomini, che farebbero perdere la pazienza ad un santo, e di cui pel primo devo subire le irritanti querele, le accuse ingiuste, le suscettibilità esagerate, benchè talora giustificate dai sentimenti di sventura e di dolore a cui li condannarono eventi eccezionalmente sfortunati.
P.S. Il Principe Umberto gode ottima salute. Egli abita qui all'Hotel de l'Ecu de Genève, sotto il nome di Conte di Monza.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 5. Vienna, 12 agosto 1871 (per. il 15).
È mio dovere riferire all'E.V. sull'accordo fra la Corona e la Boemia-Mo
ravia, di cui si mena da più giorni tanto rumore nella stampa Austro-Ungarica.
Il patto, o meglio i preliminari dell'intesa furono abbozzati Domenica scorsa
tra il Conte di Hohenwarth ed i Signori Rieger e Clam Martinitz (per la Boe
mia) e Prazak (per la Moravia) in presenza del Sovrano. Mi riuscirebbe diffi
cile sminuzzare ragguagliatamente il resoconto di questa Conferenza sulla quale
regna il più impenetrabiile mistero.
Non mi perito tuttavolta di affermare che le due parti accettarono a vicenda
le basi delle concessioni da farsi agli Czechi e che l'Imperatore dichiarò espli
citamente esser disposto ad accontentare le aspirazioni di quei suoi sudditi.
semprechè gli interessi delle popolazioni Tedesche che frastagliano la Boemia
e la Moravia non avessero a scapitarne.
Le concessioni dunque principali acconsentite e che si spera fare accet
tare ai deputati Czechi che finora si astennero dal comparire al Reichsrath
(detti dichiaranti), si riassumono cosi:
l) Modificazione del Regolamento Elettorale che fin'o.ggi favoriva la città ed i grandi centri abitati in maggioranza dai Tedeschi, ossia centralisti-costituzionali. Con tale innovazione i Comuni forensi e le campagne sarebbero non favoriti, ma equiparati in dritti ai primi, e cosi la razza Slava che li popola quasi assolutamente sarebbe innalzata al livello della germanica.
2) Libertà completa alla Moravia ed alla Slesia di riunirsi amministrativamente alla Boemia, e, nel caso affermativo, piena facoltà alle Diete di Briinn e di Troppau di regolare i loro rapporti con quella di Praga.
Le largizioni di ordine generale promesse dal Sovrano saranno, per consiglio espresso dal Conte di Hohenwarth, applicate alle altre provincie della Cisleitania, e probabilmente anche agli Slavi del Sud (tra i quali primeggiano Croati e Dalmati); in contrario, vedrebbero questi, ed a buon dritto, con mal visò concedersi tanto ed esclusivamente al paese che mostrossi il più ostile al Governo, incagliandone l'andamento da oltre cinque anni.
Diffatti rattrovasi in Vienna il Vescovo Strossmayer, Pastore di Djakowar e Capo degli Jugo-Slavi di Croazia e Slavonia, e i deputati Dalmati Hacik e Danilo, desiderosi anch'essi d'intavolare negoziati col Ministero ed il Sovrano, tostochè il Circolo dei Deputati Boemi avrà accettato le basi del Rieger, ripartito a tale uopo per Praga.
Scorgesi di leggieri quanto il sistema federalista attualmente prevalga; ma ciò che si scompagna difficilmente da esso si è la tendenza clericale inevitabile, essendochè le popolazioni rurali, che saran ben presto chiamate con maggior numero ed influenza alle Urne elettorali, sono tuttavia istromento cieco dei preti, e tale rimarranno finchè l'istruzione non avrà penetrato tra quei rozzi villici. È dunque a sperare che nuovi regolamenti scolastici non vengano ad accrescere il peso del partito feudale-Clericale, e che il Reichsrath si opponga, ad ogni modo, all'abrogazione delle Leggi Confessionali.
I Tedeschi intanto si valgono della stampa per combattere l'indirizzo ac·cennato e vanno spargendo notizie d'ogni risma per destare serie preoccupazioni; sostengono per es.: avere il Rieger, scritto, subito dopo la Conferenza di Domenica, a Praga che il Conte di Beust vacilla, e ciò per indurre il Cancelliere ad immischiarsi nell'imminente accordo, e cosi rafforzare la loro politica.
Il Conte Andrassy anch'esso rimpiange le concessioni offerte agU Czechi, prevedendo che gli Jugo-Slavi sottomessi alla Corona di Santo Stefano imbaldanziti dal successo dei fratelli del Nord, non mancheranno di affacciare uguali pretese rispetto ai Magiari, che, del resto, sommano soltanto il terzo delle popolazioni Transleitane.
Questa mane la c Gazzetta Ufficiale • pubblica tre Decreti (Patenti) di somma importanza, e che sono sintomo sicuro del buon andamento dei negoziati coi Boemi.
Il primo reca lo scioglimento del Reichsrath;
Il secondo quello delle Diete dell'Austria superiore ed inferiore, della Stiria, della Carinzia, della Moravia, della Slesia e del Tirolo, i cui rappresentanti al Parlamento erano in gran parte osti:li al Ministero.
Il terzo finalmente dispone la convocazione di tutte le Diete della Cisleita
nia per il 14 Settembre prossimo.
Alla loro riunione si tratterà probabilmente della nuova legge Elettorale pel Reichsrath, e prevalendo quella nel senso federalista, non sarà da meravigliare se vedremo i Tedeschi Costituzionali adottare la manovra dei loro oppositori, diventando alla loro volta Dichiaranti.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3886. Tunisi, 14 agosto 1871, ore 7,15 (per. ore 2 del 15).
Le Bey a agréé la nomination camme 5ème arbitre du sénateur Vigliani, et sur ma demande, il laisse à V.E. le choix de la procédure à adopter pour l'arbitra.ge.
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 252. Pietroburgo, 14 agosto 1871 (per. il 23).
Un processo politico sul quale ho l'onore di chiamare l'attenzione dell'E.V.,
si agita da parecchi giorni innanzi ai tribunali di Pietroburgo. Come tutti gli
altri giornali, quello di St. Pétersbourg ne pubblica i rendiconti intitolandoli
Complot ayant pour but le renversement du Gouvernement établi en Russie •.
11 numero degli accusati è di 87 e l'accusa ha digià rivelato alcuni fatti di una certa importanza, e determinato in modo evidente i rapporti di quella associazione • nihilista •, la cui sede era a Mosca, con diversi centri rivoluzionari d'Europa. La maggior parte degli arresti ebbe luogo fino dal 1869, epoca in cui un assassinio considerato in sulle prime come delitto comune, commesso sulla persona di uno studente, rivelò nella istruzione giudiziaria alcuni fatti che combinati a taluni disordini prodottisi pochi mesi prima fra gli studenti di Pietroburgo e di Mosca, misero sulle traccie della cospirazione politica intorno a cui il Governo Russo non aveva fino a quel momento che qualche vaga nozione. Gli accusati che compariscono ora innanzi ai tribunali non sembrano essere che strumenti, i quali per lo meno nella massima parte, non dovevano essere iniziati ai segreti intendimenti del Comitato se non all'atto stesso della esecuzione fissato per l'anno 1870.
Il Signor Netchaieff, uno dei capi principali, giunto per ben due volte a sottrarsi con la fuga, trovasi attualmente in Inghilterra. Qui si pretende che alcuni alti personaggi, fra i quali il Conte Schuvaloff, si propongano di trar partito dalla situazione, esagerando la gravità dei fatti, nello scopo di deviare l'Imperatore da quella linea liberale ch'egli intende seguire, e provocare un aumento d'attribuzioni in favore della polizia segreta che già da qualche tempo trattasi di erigere in Ministero indipendente.
Così taluni spiegano la insolita e alquanto affettata pubblicità data ai dibattimenti destinata anche a provare come non possa rimproverarsi al Governo Russo quella inerzia del partito dell'ordine sì rimproverata ai Francesi. Checchè ne sia, i fatti rilevati dalla istruzione e quelli che saranno per isvolgersi nella discussione pubblica, sembra possano dar fondamento di ritenere che la cospirazione di cui si tratta presenti un certo carattere di gravità. In ogni caso è permesso di credere che se i membri principali di cotesta società nihilista sono
o dispersi o nelle mani della giustizia, gli aderenti che le rimangono ancora non tarderanno, se pur già non l'hanno fatto, a porsi in relazione con l'associazione Internazionale, il cui programma e le cui tendenze sono così conformi alle loro.
Questo processo dà un'occasione di farsi un'idea del progresso delle idee socialiste e comuniste in Russia, dacchè il Governo non vuoi confessare che possa correre alcun pericolo nella influenza delle idee propagate dagli agenti della Internazionale. L'energia che dispiega, e la perseveranza di cui fa prova nelle investigazioni provano che la sua fiducia è lungi dall'essere così completa e reale come si vorrebbe far credere. È tuttavia un fatto incontestabile che la Russia stante il tenue grado di sviluppo intellettuale delle sue classi operaie, è ancora poco accessibile alle idee di socialismo e comunismo che trovano ben più adatto terreno nei paesi di più avanzata civiltà.
Oltre a ciò conviene considerare che l'operaio russo trovasi in condizioni
assai diverse dall'operaio di tutti gli altri paesi d'Europa.
L'operaio in Russia appartiene alla classe dei contadini; ma quando egli esce dal suo villaggio per entrare in un opificio industriale o manifatturiere egli non cessa di essere un proprietario nel suo piccolo comune ove possiede una terra e una casa, ed ove lascia per lo più una famiglia che conserva la casa, e che coltiva i suoi campi.
Il proletariato in Russia non esiste dacché il riparto delle terre che accompagnò il grande atto della emancipazione fece d'ogni servo della gleba un piccolo possidente.
La questione sociale non ha dunque ragion d'essere in un paese che non ha proletari, o per lo meno essa presentasi sotto aspetto ben differente da quello sotto cui si considera in Francia, in Germania, in Inghilterra e in Italia.
L'indipendenza poi dei comuni in Russia è qui incontestata e completa, specialmente nei piccoli centri che costituiscono l'immensa maggioranza della popolazione raccolta nei villaggi in cui la mano del Governo non tocca quasi in nulla agli interessi materiali e locali degli abitanti.
I partiti politici non sono guari organizzati in Russia, e le frazioni più o men turbolenti della popolazione non hanno eco di fronte alla immensità del paese, alla dispersione e al numero e alla ignoranza degli abitanti.
I contadini russi che costituiscono in massima parte l'elemento operaio delle fabbriche nei grandi centri non hanno ancora avuto tempo di modificare le loro antiche idee nel contatto degli stranieri, d'altronde poco numerosi che partecipano ai loro stessi lavori.
Del resto la stessa ignoranza delle lingue straniere e la difficoltà degli stranieri nel familiarizzarsi colla lingua russa, mentre giova al Governo per conservare il velo misterioso onde all'occorrenza cuopre i suoi atti, e nasconde le vere condizioni del paese, rende malagevole nel popolo la propagazione di idee emanate da estranei paesi. Il rispetto verso il Sovrano, portato fino al fanatismo, esiste ancora in tutta l'estensione della sua forza; e la pressione che gravò per tanti anni il popolo russo ha lasciato in lui troppo profonde traccie perché sotto l'impressione dell'ancor recente servaggio possa prima che volgano degli anni lasciarsi influenzare da idee che non giunge a comprendere e che potrebbero assai difficilmente trascinarlo ad uscire da quella cerchia in cui contrasse le abitudini della vita. Sotto questo aspetto il Governo Russo ha qualche ragione di mostrarsi tranquillo pel presente, ma non devon però dissimularsi i pericoli che l'avvenire gli sta preparando e che egli dà opera a prevenire con una continua sorveglianza.
Non può egli infatti dissimularsi che un giorno verrà in cui, ad onta di tutti i suoi sforzi, la generazione cui non compresse il servaggio aspirerà ad altre idee che non son quelle in cui l'ignoranza e la superstizione lasciarono sonnecchiare le generazioni che l'avevano preceduta. Gli studenti hanno già manifestato con ripetute agitazioni di una certa gravità le disposizioni in cui versa la loro mente e se gli agenti del comitato di Netchai:eff non giunsero ad imprimere a quegli scomposti movimenti il carattere politico onde avrebbero voluto informarli, altri potranno un giorno riuscirvi.
Il 8ignor Jules Favre diede istruzioni all'Incaricato d'affari di Francia di intrattenere questo Governo Imperiale della necessità di prendere misure comuni contro la propagazione di idee rivoluzionarie, ed il Governo Russo ritroso a palesare con qualche esattezza lo stato attuale degli animi s'è mostrato disposto ad ogni sforzo per secondare la Francia nelle sue indagini, profittando in pari tempo degli avvertimenti che può somministrargli la situazione interna delle altre potenze. L'Incaricato d'affari di Francia aveva la ferma convinzione che le assicurazioni dategli intorno a ciò dal Signor Westmann erano pienamente sincere, la Russia avendo come tutte le altre nazioni troppo interesse ad arrestare finchè .gli è tempo i progressi del male, per non lasciar dubbio che possano fare assegno sul suo concorso.
IL MINISTRO A BUENOS AIRES, DELLA CROCE DI DOJOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 136. Buenos Aires, 14 agosto 1871 (per. il 20 settembre).
Il Ministro della Repubblica orientale, Signor Herrera y Obes, trovasi sempre in questa città. Egli vi venne per tentare un accomodamento coi Capi del partito blanco qui rifugiati, e per muovere la Repubblica Argentina ad uscire dallo stato di astensione in cui finora persevera.
L'accordo coi blancos non riuscì finora, anche la Repubblica Argentina non si è risolta ad intervenire in questa questione. Si comincia però ad essere preoccupati dell'attitudine che potrà pigliare il Brasile in faccia alla perdurante guerra civile della Banda orientale, poichè quantunque, or sono circa quindici giorni, i colorados abbiano riportato un notevole trionfo sulle forze dei blancos, questi non di meno tengono sempre il campo, scorazzano per tutto il paese, saccheggiando e distruggendo le proprietà, moltissime delle quali appartengono a sudditi Brasiliani della provincia di Rio Grande.
Non so se edotto dalla lunga guerra del Paraguay intenda il Brasile cacdarsi in una nuova contesa, che avrebbe per conseguenza inevitabile un'altra guerra fra l'Impero e la Repubblica Argentina; ma egli vi potrebbe essere costretto suo malgrado.
A scongiurare questi avvenimenti, a metter fine alle civili discordie della Repubblica orientale rinasce il pensiero di un Protettorato misto come unico rimedio a tanti mali. L'Italia, appena il volesse, potrebbe essere chiamata ad esercitare una importantissima parte in questa eventualità. Ma la situazione del nostro paese, la condotta da esso tenuta, quando questa questione fu già agitata orsono alcuni anni, la quasi identità delle odierne nostre condizioni con quelle di allora e soprattutto la mancanza di ogni istruzione mi impongono, a questo riguardo, la maggiore riserva ed a questa io mi atterrò se non mi giungeranno ordini dall'E.V.
IL MINISTRO DI AGRICOLTUTRA, INDUSTRIA E COMMERCIO, CASTAGNOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. RISERVATA 352. Roma, 17 agosto 1871 (per. il 18).
Si suppone, e forse non senza fondamento che il Governo svizzero desideri la facoltà di avere uno stabilimento marittimo in un porto Italiano.
Questo fatto ove si verificasse avrebbe peculiare importanza, laonde io prego il mio Onorevole Collega degli Affari Esteri di volermi somministrare a tal riguardo le opportune informazioni
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1614. Parigi, 18 agosto 1871 (per. il 23).
Mi sono recato jeri nel pomeriggio a Versaglia onde vedervi il Ministro degli Affari Esteri all'udienza ordinaria del Corpo diplomatico. Ho in questa occasione intrattenuto il Signor De Résumat delle intenzioni del Governo di S. M. in ordine all'Associazione internazionale degli operai ed ho trasmesse al Ministro della Repubblica le assicurazioni che col dispaccio di Serie politica N. 322 in data del 10 luglio ultimo (l) l'E. V. incaricava il Cavalier Nigra di dare al Governo francese sul tale argomento. Dopo aver esposti a S. E. i provvedimenti che finora il Governo del Re si era trovato nel caso di prendere a tutela dell'ordine sociale nel Regno, ed anche allo scopo d'essere giovevole al grave compito che gli ultimi avvenimenti addossarono alle Autorità francesi, io dissi al Signor
De Ré'musat come il Governo di S. M. creda che per rendere più efficace la vigilanza possa tornare opportuno di far oggetto di confidenziali comunicazioni fra le Potenze tutte quelle informazioni che verranno a notizia di ciascun Governo intorno all'Associazione internazionale.
Il Ministro degli Affari Esteri m'incaricò d'esprimere all'E. V. i suoi sensi di riconoscenza per le assicurazioni di cui io m'era fatto interprete. Egli disse che, comune essendo il pericolo, certamente conveniva di ricercare in comune i mezzi d'allontanarlo; che tuttavia non era intenzione del Governo francese di provocare una specie di Sant'Alleanza contro l'Internazionale; che quindi anch'esso pensava che potranno riuscire sufficienti nell'interesse universale quelle reciproche informazioni confidenziali che i Governi eventualmente si troveranno in grado di comunicarsi e che da parte sua egli non mancherà di dare ogni qual volta siavi necessità.
Così il Signor di Rémusat disse d'aver fatto recentemente pervenire qualche avvertenza al Gabinetto di Madrid, essendogli risultato da vari indizi che gli sforzi dell'Internazionale si dirigevano verso la Spagna.
Ebbi incidentalmente a mentovare il preteso manifesto della società internazionale di Milano ch'era stato pubblicato dall'Opinion Nationale nel numero del 22 giugno ultimo e a proposito del quale l'E. V. scrisse al Cavalier Nigra il dispaccio N. 320 in data del 2 luglio (2). Il Cavalier Nigra, conformemente al
desiderio di V. E., aveva pregato il Signor Giulio Favre di provocare qualche indagine sull'autenticità di quel documento. Dissi al Signor di Rémusat, il quale d'altronde non ne aveva conoscenza, che il Governo del Re erasi pressochè convinto che quel manifesto sia stato il frutto d'una mistificazione.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1615. Parigi, 18 agosto 1871 (per. il 23).
Nella conversazione ch'ebbi jeri col Signor di Rémusat, io gli ricordai il colloquio che il Cavalier Nigra aveva avuto con lui sulla quistione della giurisdizione consolare in Tripoli di Barberia e del quale l'E. V. fu informata con il rapporto del R. Ministro n. 1603 Politico in data del 6 corrente (1). II Ministro francese degli affari esteri non essendosi allora pronunciato con precisione sulle intenzioni del Governo della Repubblica in quella quistione, e sulle comunicazioni fattegli dal Cavalier Nigra in conformità del dispaccio di V. E. N. 325 di Serie politica (2), io Io pregai di volermi dire se potesse mettermi in grado di darle qualche maggiore indicazione intorno ai suoi propositi.
II Signor di Rémusat mi rispose che dopo la sua conversazione col Cavalier Nigra egli aveva preso un po' meglio conoscenza dell'argomento e che si era indotto a firmare anche per la Francia due articoli appieno conformi a quelli del protocollo firmato il 12 luglio ultimo a Londra tra Lord Granville e Musurus Pascià: ma che in nessun caso egli vorrebbe ammettere nell'analogo protocollo da firmarsi per la Francia termini identici a quelli dell'introduzione del protocollo inglese, non parendogli ammissibile di dichiarare abusiva un'usanza considerata finora dal Governo francese come perfettamente fondata in diritto. Sotto questa riserva, il Signor di Résumat sottoscriverà dunque un impegno conforme a quello preso dall'Inghilterra; tuttavia per parte sua egli non intende sottoscriverlo subito. Pende in questo momento tra il Governo francese e quello di Tripoli una vertenza provocata da abusi commessi dalle Autorità di Bengasi a danno d'un Algerino, suddito francese. II Console di Francia ruppe le sue relazioni con le Autorità di Bengasi, ed il Governo francese vuole che la questione che fu origine di tale rottura sia giudicata secondo le capitolazioni finora in vigore.
H Ministro francese degli affari esteri non crede che il Governo inglese voglia consentire a rinnovare i suoi impegni in un protocollo a quattro. Dal suo lato, se l'Inghilterra vi assentisse, egli non avrebbe difficoltà ad accettare tal forma, premessa sempre la modificazione suddetta dell'introduzione.
In quanto alla riserva di fondo che l'E. V. vorrebbe constatata da uno scambio di note onde premunirsi contro pretensioni le quali in appresso tendessero a diminuire ugualmente le immunità di cui godono gli stranieri nell'Egitto ed a Tunisi, il Ministro degli affari esteri della Repubblica mi dichiarò
che era disposto ad ammetterla nel modo da Lei indicato per ciò che riguarda l'Egitto. Ma dalle sue parole fu facile intravvedere ch'egli potrebbe lasciarsi più tardi indurre a far per Tunisi la concessione che ha in animo di firmare per Tripoli.
Egli disse tuttavia che per esprimere circa le capitolazioni di Tunisi la stessa riserva ch'egli ammette per l'Egitto, gl'importerebbe d'essere informato di quelle particolari ragioni che il Governo del Re potesse avere onde chiederla dal lato suo.
Risposi al Signor di Résumat che riferirei quest'osservazione all'E. V.
IL CONSOLE A IANINA, DE GUBERNATIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 41. Ianina, 18 agosto 1871 (per. il 25).
Alcuni giornali, alterando nomi e cose, parlarono di disordini in Epiro, i quali non hanno mai esistito; tali notizie però mi forniscono l'occasione di trattenere l'E. V. intorno allo spirito di queste popolazioni, spirito che se non è tumultuante, è però sempre proclive a tumulti. Appena si seppero qui le notizie di Scutari, venne dai villaggi di Lacca il fratello del mio Carass, uomo influentissimo nella sua provincia e mi chiese se l'incendio fosse grave e potesse estendersi; egli scende in Ianina ad ogni notizia di torbidi, e complicazioni che gl giunga all'orecchio. Risposi naturalmente a lui, che i fatti di Scutari non erano verunamente tali da compromettere la pace pubblica in Turchia, che anco grave e sanguinoso e universale si facesse il conflitto nell'alta Albania, la quistione non concernendo l'Epiro sarebbe stato un errore il prendervi parte. Non posso celare però all'E. V. l'imbarazzo in cui questa gente mi pone talora con le sue questioni; imbarazzo tanto più grande quanto è maggiore il nostro prestigio, e la necessità del conservarlo, tanto più grande, quanto è più assoluta la mancanza di speciali istruzioni, tanto più grande infine, quanto è più viva l'impazienza in questi rajà di sollevare il giogo dai turchi, e quanto è minore in me la fede, sulla veracità della loro fede stessa in noi. Certamente noi dobbiamo evitare di suscitare in loro immoderate speranze, ma non dobbiamo neppure soffocarne; epperò è difficile la nostra attitudine fra noi incerti e loro impazienti, fra la nostra, dirò così, impotenza, e la loro fiducia nella potenza nostra. Un tempo furono qui influentissimi i consoli, e la infelice fine del tentativo del 1854 è dovuta ancora agli intrighi del console inglese di Salonicco; nè ciò saprebbe essere cancellato dalla mente degli Epiroti, i quali vedono bensì oscurarsi l'antico prestigio consolare, ma non sanno persuadersi che sia spento ed inefficace.
Io dissi sopra della mia poca fede nella sovranità della loro fede in noi, e forse sembrerà all'E. V. ch'io mi vada con questo mio scritto contraddicendo. Non è cosl. La loro fede in noi non è dubbia, se non perchè è una fede in massa nell'influenza consolare, così sol che si dubiti un momento della debolezza mia e della potenza altrui, mi si abbandona laddove io cominciavo a sperare, oppure si ricorre a me laddove io mi sento inetto; talora infine si smarrisce la fede in noi tutti, e si rivela ogni cosa nel campo delle supposizioni, non già della realtà; nessun fatto serio è venuto ancora a dar corpo a queste ombre, ma io non temo d'errare; sol che si studi:i attentamente questo popolo, e la sua storia passata, e il suo carattere presente sarà necessario di venire in queste mie conclusioni. Io dissi già che son mille villaggi, e mille usi, e mille caratteri, e mille tendenze che occorrerebbe minutamente esaminare, però in tutti i caratteri si rivela una mobilità eccessiva, un'impazienza di giogo, un'insofferenza di autorità, che io stimo eloquentissima. Divisi ne' secoli passati in mille comuni indipendenti, ed avvezzi a parteggiare per questo o quel duca, per questo o quel signore, divisi nel villaggio stesso fra ricchi e ricchi, per cui stavano sempre l'uno contro l'altro armati, e mutavansi in campi di battaglia gli orti, e le vie, in fortezze le case, essi checchè siano greci, o turchi, slavi, o valacchi, od albanesi, non sanno adattarsi a signoria alcuna, ed erra chi presta fede alle loro proteste ingannevoli di servitù ed obbedienza. Perciò la stessa Russia potente ed influente altrove qui lotta invano contro l'impossibile; essa semina denaro, sparge maestri e scuole, si fa piccola e democratica, ma la sua influenza è d'un giorno, di un'ora; il minimo vento contrario la sfiora, la sperde. Ultimamente ottenne firmano imperiale per istituire una scuola nell'alto Epiro, e propriamente nel villaggio di Samarina fra una popolazione valacca; scopo della scuola è l'insegnamento della lingua russa. Il fatto fece qui una qualche impressione, ma io lo considero nullo, come risultato, nessuna influenza può essere qui durevole, nessuna stabilirsi solidamente in tempo di pace coi mezzi ordinarii. Scoppi la rivolta e potrà anche raccogliere il frutto chi non ha seminato.
Tale il paese, tale lo spirito degli abitanti. Se dopo ciò l'E. V. stimerà opportuno di impartirmi vaghe e generali istruzioni per ogni occorrenza, io spero di poterle provare che non sono immeritevole della fiducia ch'ella può avere in me.
L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GALVAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 11. Atene, 19 agosto 1871 (per. il 25).
Col mio rapporto politico N. 7 (l) accennavo alla probabilità di un prossimo scioglimento della Camera Ellenica.
L'attuale Gabinetto, preoccupato delle difficoltà che incontra per giungere ad una soluzione della questione del Laurium, aveva pensato di poter troncare ogni controversia col mezzo di una nuova legge che sarebbe stata l'abrogazione della prima già adottata sulle Ecvolades; e vista l'impossibilità di raggiungere questo scopo con la Camera attuale egli aveva ideato di far nuovamente appello agli elettori. Ma dopo essersi per qualche tempo afferrato a codesto progetto, il Gabinetto d'un tratto lo abbandonò.
Investigando le cause probabili di un simile incidente, v'ha chi vorrebbe attribuirlo ad una risposta negativa del Re, e chi alla viva opposizione che sollevò nella stampa locale l'idea del Signor Coumoundouros appena ne corse vagamente voce nel pubblico. Ma più che da questi due motivi, io lo crederei prodotto dalla posizione stessa che il Ministero si è creata dinnanzi al paese. Se è vero che dalla Camera partì l'impulso che sollevò la questione del Laurium, non è però men vero che la legge sulle Ecvolades fu presentata ed appoggiata dal Gabinetto Coumoundouros. È egli ammissibile che questi, a meno di voler fare il sacrificio di tutta la sua popolarità, venga ora dopo brevissimo intervallo a disdire i suoi atti anteriori col proporre l'abrogazione di quella legge?
Ad ogni modo se il linguaggio del Presidente del Consiglio, quindici giorni sono, autorizzava a credere probabile uno scioglimento della Camera, quello ch'egli va tenendo ora è lungi dal far presentire una simile evenienza, e dallo scoraggiamento che si palesa nei varii Membri dell'attuale Gabinetto si dovrebbe piuttosto arguire che essi ritengono inevitabile il loro ritiro dagli affari. Codesto scoraggiamento del Ministero è prodotto dalla convinzione di aver oramai esauriti tutti i mezzi ch'erano in suo potere per giungere ad una soluzione, ed ora altro non rimanergli che di rimettere la cosa nelle mani del Re, limitandosi intanto a quelli atti che non ponno recare pregiudizio alcuno alla questione.
La missione stessa del Signor Kokinos, annunziata a V. E. col mio rapporto commerciale N. 7 (1), non deve tanto considerarsi come una adesione del Governo Ellenico alla progettata proposta di arbitraggio, quanto come un ultimo spediente tentato per vincere le difficoltà della situazione. All'idea che ha dominato nell'invio del Signor Kokinos a Vienna ed a Berlino, e che è quella di ben disporre i Gabinetti d'Austria e di Germania, se ne deve aggiungere un'altra (di cui non ebbi conoscenza che in questi ultimi giorni) ed è di ottenere, mediante l'abilità di quel giureconsulto, un parere dei più autorevoli legisti Alemanni favorevole alla causa degli interessi Ellenici, onde servirsi poi di quello come di arma potente da contrapporre agli argomenti dei due Governi Italiano e Francese.
In quanto al progetto di arbitraggio il Signor Coumonudouros vi si dichiara contrario, adducendo che l'affare del Laurium non dev'essere considerato una questione internazionale, ma bensì una controversia tra Governo e privati.
(l) Non pubblicato.
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 252. Pietroburgo, 19 agosto 1871.
Malgrado la loro inverosimiglianza, le voci sparse sul carattere dell'udienza data dall'Imperatore al Generale Leflo per la presentazione delle Credenziali mi hanno indotto a ricercare informazioni più dettagliate di quelle ch'ebbi già l'onore di sottomettere alla E. V.
Mi fu confermato da fonte sicura che, com'era naturale, l'Imperatore ricevé il Generale con tanta maggiore cordialità quanto più le circostanze in cui versa la F,rancia sono critiche.
Lo Czar ripeté quella frase già detta al Marchese di Gabriac, che il Signor Thiers est un grand poZitique, un grand citoyen et un ami de Z'ordre, frase che sembra da S. M. adottata per indicare, senza ledere al principio monarchico, il suo desiderio di veder continuare in Francia l'attuale regime repubblicano.
Parlando dei fatti della Comune Parigina l'Imperatore, passandone in ras• segna i capi, avrebbe appoggiato sul nome di Dombrowski in un modo che acquista un significato speciale se si metta in raffronto col linguaggio tenuto nel Circolo di Corte, ove si ripete con compiacenza essere sperabile che la partecipazione dei Polacchi all'ultima rivoluzione di Parigi avrà disgustato la Francia della sua simpatia per la causa polacca.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI
D. 97. Roma, 21 agosto 1871.
Tra gli affari che io desidero raccomandarLe in particolar modo al momento in cui Ella sta per ricondursi al suo posto tiene un luogo distinto la questione della riforma giudiziaria progettata dall'Egitto. A V. S. che ebbe campo di seguire le pratiche che ebbero luogo fra i vari gabinetti per esaminare le proposizioni egiziane, non riuscirà nuovo di sapere che sin dal principio la riforma giudiziaria ideata dal Kedive ottenne favorevole accoglienza presso il Governo italiano. Era questo un interesse troppo diretto degl'italiani stabiliti in quel paese perchè da noi non si prendesse a cuore di studiare in tutte le sue particolarità ed anche in tutte le sue prevedibili conseguenze il progetto egiziano. Tale studio fu eseguito da una speciale, autorevole commissione alla quale furono sottoposte tutte le proposizioni che erano mano mano state comunicate al Governo di S. M. Un progetto presentato dalla Porta, un altro elaborato dalla Francia furono ponderatamente esaminati insieme alle proposte della commissione internazionale che era stata appositamente riunita al Cairo per preparare lo schema delle riforme da introdurre in Egitto.
Con tali elementi e dopo di aver avuto a,gio di prendere cognizione anche dei futuri codici egiziani, la nostra commissione ha potuto compiere un lavoro che costituisce sino al momento presente la relazione più completa che si abbia sopra tale argomento.
V. S. troverà qui unito alcuni esemplari di questa relazione che venne pubblicata per le stampe.
Il Governo egiziano al quale la medesima fu comunicata ci ha fatto esprimere la sua gratitudine imperocchè se le opinioni adottate dalla commissione italiana non furono costantemente favorevoli alle idee dell'Egitto, il lavoro eseguito in Italia da persone competenti ha certamente contribuito a dare in molte parti forma più pratica e più concreta alle prime proposizioni egiziane.
Nello stato attuale di cose per l'Italia non rimarrebbe dunque altro a fare in questa quistione che a dichiarare la sua formale adesione alle riforme che l'Egitto intendesse di fare seguendo la via tracciata dal lavoro della commissione italiana. Ma recentemente il Kedive ci ha fatto sapere che siffatta azione del progetto di riforma, quale sarebbe da essi accettato, incontra ancora difficoltà a Costantinopoli ed anzi S. A. ci ha interessati ad agire nel senso di rimuovere siffatti ostacoli.
Noi aderiamo ben di buon grado a tale desiderio del Kedive di Egitto. Per noi la questione d'introdurre delle modificazioni nel regime delle giurisdizioni civili e penali in Levante è sembrata sempre gravissima e tale da non poter esser toccata quando non si abbia animo e mezzo di applicarvi rimedi radicali. Attirare alcune parti il sistema in vigore, !asciandone sussistere il resto, non può eessere misura vantaggiosa; e dal momento che si vuol toccare al regime delle capitolazioni, non vi ha altra cosa che possa sostituirvisi fuorchè la giurisdizione normale dei tribunali locali, composti in guisa da offrire seria guarentigia agli stranieri non meno che agl'indigeni. Parimenti la rinuncia al regime delle capitolazioni non può ammettersi se va disgiunta da una completa riforma della Legislazione interna. L'Egitto deve farlo; le potenze non debbono concorrere nell'opera legislativa per non offendere l'indipendenza del potere da cui emanano le leggi egiziane; ma vera e seria guarentigia non può esistere senza chè l'Egitto presenti egli stesso ai governi interessati la legislazione che intende introdurre come complemento indispensabile alla riforma.
Non è dunque l'opera progettata dal Kedive di quelle che soffrano di esser parzialmente accettate; e la Turchia deve andar persuasa che nessun governo il quale abbia studiato a fondo la quistione, vorrà mai concedere dei temperamenti che alterino il concetto generale della riforma egiziana !imitandola a modificazioni parziali nelle quali mancherebbero le guarentigie che offre quella riforma nel suo complesso.
Mi lusingo che il Governo ottomano comprenderà facilmente queste ragioni ch'Ella vorrà esporgli nell'atto di presentargli la relazione della nostra commissione sulla riforma giudiziaria dell'Egitto. In ogni caso, essendo questo un argomento al quale noi portiamo un vivo interesse, La prego, Signor Ministro, d'informarmi delle idee che nutre la Porta a questo proposito.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 7. Vienna, 21 agosto 1871 (per. il 24).
Mi astenni fino ad oggi di dar notizia all'E. V. intorno all'incontro dei due Imperatori a Ischl, non che al Convegno dei due Cancellieri a Gastein durante il soggiorno dell'Imperatore di Germania. Il telegrafo s'incaricava di dar notizie al riguardo, ed informare dei fatti con tanta precisione che nulla avrei potuto aggiungere che già non fosse a conoscenza di tutti in Italia.
All'infuori però dei fatti, che, come dissi, a tutti son noti, avvi gli apprez
zamenti sulle cause che motivarono tali convegni, non che sulle conseguenze
di essi, ed essi forniscono in questi giorni ampia materia a dicerie e suppo
sizioni, senza però che nessuno, a quanto io mi sappia, sia ancora in grado
qui di formolarne dei fondati.
Non mancherò di fare ogni possibile onde attingere informazioni al riguardo
quanto meglio fondate sul vero, e sarà mia cura man mano portarle a cono
scenza di V. E. Sin d'ora però, credo potere accertare, che il motivo primo
che determinò la venuta dell'Imperatore di Germania a Gastein si fu la ragione
di salute. Presa una tale determinazione si pensò a Berlino trar profitto di
questa circostanza per fare una dimostrazione di amicizia verso la Corte di
Vienna, che meglio affermasse il preciso senso dei vari scambi di cortesie suc
cessivamente verificatisi tra le due Corti dall'epoca di Sedan in poi. Infatti il
rappresentante germanico in Vienna non lascia sfuggire occasione di dimostrare
essere intendimento del suo Governo il fare sinceramente l'esperimento di man
tenere cordiali relazioni di buon vicinato coll'Impero Austro-Ungarico. La
sincerità di tali intendimenti parmi non sia a porsi in dubbio pel momento,
poichè il nuovo Impero Germanico ha già abbastanza difficoltà interne a costi
tuirsi quale è presentemente, per non fare ogni possibile onde allontanare
almeno nuove complicazioni.
In tal modo mi spiego il non celato malumore che la Legazione Prussiana in Vienna non nasconde in riguardo al Conte di Hohenwarth che colla politica che egli segue, in fin dei conti altro non fa se non favorire in un prossimo avvenire gli interessi dell'Impero Germanico.
L'ipotesi da me fin qui svolta, che la visita ad Ischl non fosse se non un atto di alta cortesia era la più generalmente ammessa sino al momento in cui venne a pubblica conoscenza il Convegno a Gastein dei due Cancellieri. In quel giorno forzatamente l'opinione generale fu tratta a dare molta maggiore importanza alla questione, e la supposizione che un accordo relativo all'Oriente, nel quale la Russia trovasse il guiderdone dell'immenso appoggio morale da essa prestato alla Prussia durante la guerra Franco-Germanica, si è la più accreditata.
Evidentemente però a tale riguardo, mi trovo nell'assoluta impossibilità oggi di affermare o di negare, indagherò, come è di mio dovere, e di ogni cosa ragguaglierò V. E. Ciò che credo intanto poter asserire si è che dal Convegno di Gastein la posizione del Conte di Beust, gravemente scossa in questi ultimi tempi, escirà necessariamente alquanto rafforzata, locchè non può a meno di essere vantaggioso per l'Italia, essendo per l'appunto il partito a noi gravemente ostile che minaccia l'attuale Cancelliere.
Come notizia di fatto che giornali non danno, credo essere in grado di sapere con precisione che se l'accoglienza fatta all'Imperatore di Germania sul territorio austriaco fu non solo simpaticissima ma anzi entusiastica per parte delle popolazioni, non cosi può dirsi di quella che egli trovò presso i personaggi della alta aristocrazia austriaca, ed anche presso la famiglia imperiale stessa.
La partenza da Ischl dell'arciduchessa Sofia, la vigilia dell'arrivo dell'Imperatore Guglielmo, fu molto notata, poichè se ben si capisce la non convenienza della presenza dei genitori dell'Imperatore Francesco Giuseppe in quella occasione, per la falsa posizione loro a fronte dell'augusto loro figlio, sarebbe però stato conveniente che a togliere altro più preciso carattere a tale partenza, essa si fosse effettuata alcuni giorni prima.
In questo momento mi si assicura che il viaggio a Gastein del conte Andrassy è deciso. Un tal fatto aumenterebbe ancora l'importanza di quel Convegno ed accentuerebbe maggiormente l'ipotesi che in esso essenzialmente abbiasi a trattare la quistione di Oriente.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA
D. 108. Roma, 23 agosto 1871.
L'affare della Gedeida è finalmente entrato in una fase in cui mi pare facile ottenere un componimento. S. E. il Ministro di Turchia mi ha scritto una lettera ufficiale per annunziarmi, che, avendo S. A. il Bey vimesso alla Sublime Porta la cura di designare un primo arbitro per la vertenza esistente tra il Governo tunisino e la Società Agricola industriale italiana, la scelta era caduta sulla persona di S. E. il Cavalier Vigliani primo presidente della Corte di Cassazione di Firenze. Questa informazione confermatami poscia dal telegramma che V. E. mi indirizzava il 13 corrente (l) riuscì anche più completa dopo tale sua comunicazione imperocchè Ella aggiungeva che il Bey rimettevasi alla decisione del Governo italiano circa alla scelta definitiva della procedura da seguirsi dalla Commissione arbitrale.
A questo riguardo il R. Governo non sarà in grado di far conoscere il suo modo di vedere a quello del Bey prima di aver interrogato lo stesso Signor Cavalier Vigliani che per 1a speciale sua competenza in siffatta materia e per la fiducia che tanto giustamente ispira alle parti interessate meglio di qualunque altra persona potrà dare un autorevole avviso sul metodo preferibile per procedere. Mi riservo dunque di scrivere in proposito a V. E. tostochè avrò una risposta da S. E. il Cavalier Vigliani ed intanto l'autorizzo a far conoscere al Governo di S. A. la buona impressione prodotta in noi dalla deferenza dimostrataci nella quistione relativa alla scelta della procedura da seguirsi.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
D. 333. Roma, 24 agosto 1871.
Nel rendermi conto della conversazione avuta col Signor de Remusat, circa il protocollo proposto dalla Turchia all'Italia ed alla Francia per regolare la giurisdizione dei consolati estevi nella provincia che altre volte formò la Reg
genza di Tripoli, il Signor Cavaliere Ressmann ha molto egregiamente esposto quale sia la mente dell'attuale Ministro degli Esteri di Francia in questa quistione.
Sostanzialmente il Signor de Remusat è disposto ad accettare la parte dispositiva del protocollo in precedenza firmato dalla Turchia con l'Inghilterra, e soltanto mostra di voler introdurre qualche cambiamento di formula nel preambolo di quell'atto. Vorrebbe però il Ministro francese soprassedere alla firma del protocollo fino a tanto che sia stata definita una vertenza pendente fra il Consolato di Francia a Bengasi e quell'autorità locale; vertenza questa che non può per l'indole sua influire sulle determinazioni degli altri Governi. Aggiunse il Signor de Remusat esser egli persuaso che l'Inghilterra non vorrà consentire a rinnovare i suoi impegni in un protocollo a quattro ed in ordine alle riserve che a noi sembrava utile far risultare in occasione della firma del protocollo relativo a Tripoli, quell'uomo di Stato si dimostrò disposto ad associarvisi quando avessero tratto solamente all'Egitto e non a Tunisi.
Il Signor Ressman, nel riferire quest'ultima parte della conversazione da lui avuta, mi scriveva essere facile cosa lo intravedere che il Signor de Remusat potrebbe lasciarsi più tardi indurre a fare per Tunisi ciò che ha in animo di firmare ora per Tripoli; aver egli tuttavia desiderato di conoscere le particolari ragioni che il Governo del Re poteva avere di voler estendere anche alla Tunisia le riserve che la Francia ammetterebbe soltanto per l'Egitto.
Se veramente il Signor de Remusat desidera che V. E. lo informi di tali ragioni, dal canto nostro non possiamo rifiutarci di soddisfare a tale suo desiderio, e ciò tanto più che V. S. avrà cosi un'occasione opportunissima per dire a S. E. il Ministro della Repubblica che nel proporre le riserve sopra ricordate l'Italia non era mossa da ragioni particolari ma soltanto da interessi che sono comuni a tutti i Governi.
Il Governo di S. M. riflettendo che il protocollo relativo a Tripoli avrà per effetto di distruggere un sistema di giurisdizione fondato in un'epoca in cui le relazioni internazionali con il Bey di quel paese erano regolate da appositi trattati, è stato naturalmente portato a considerare se con tal fatto non si veniva a stabilire un precedente pericoloso per •la validità di quei patti che i varii Governi hanno stipulato con il Bey di Tunisi, patti, che se non sono riconosciuti dalla Porta hanno però consacrato nella Reggenza tunisina una condizione di cose, sotto vario rispetto, molto diverse da quelle riconosciute nelle provincie ottomane dove le capitolazioni ebbero un'interpretazione molto più ristretta e limitata. Sulla fede e sulla validità di quei patti, che l'Italia non fu sola a conchiudere, si sono fondati degli interessi comuni a tutte le colonie straniere, i quali verrebbero sacrificati il giorno in cui, in conseguenza di un avvenimento qualsiasi, a quelle stipulazioni non si accordasse maggior peso e valore di quello che in oggi i varii Gabinetti sono disposti a dare ai loro antichi trattati con i Bey di Tripoli. Basti a dire per esempio che gli interessi degli stranieri, impegnati nel possesso di stabili urbani e rustici, non sarebbero più rispettati a Tunisi che sotto le condizioni imposte dalla Turchia ai possessori di simili beni, condizioni che annullano, o poco meno, il beneficio della giurisdizione consolare consacrata dal testo preciso delle capitolazioni.
10 -Documenti diplomatici -Serie Il -Vol. III
Si potrebbero moltiplicare gli esempi, ma ciò non avrebbe scopo, dappoichè
riescirà sempre facile al Signor de Remusat di verificare egli stesso le gravi ed
importanti differenze che corrono fra il sistema di giurisdizione consolare pra
ticato a Tunisi e quello che la Turchia ammette negli Stati soggetti all'immediata
sovranità del Sultano.
Queste e non altre sono le ragioni che ci mossero a proporre che i Governi
interessati nell'atto di assumere un impegno relativo a Tripoli dichiarassero
di non intendere di ammettere un principio od un precedente che potrebbe più
tardi pregiudicare altre più importanti questioni.
Se il Governo francese conviene con noi sull'opportunità di una riserva
comprendente non il solo Egitto, ma anche la Tunisia, noi manteniamo la pro
posizione che abbiamo fatto, ma se il Signor de Remusat ritenesse di non dovere
ammettere ciò che proponiamo che in quanto riguarda l'Egitto, è parer nostro
che convenga contentarci dello scambio di idee avvenuto in quest'occasione tra
i due Governi, senza ricercare un più formale accordo intorno a quistioni che
non hanno un carattere di urgenza.
In ogni modo dallo stato delle cose ci sembra di poter conchiudere che, essendo cessate le difficoltà di massima opposte altre volte dalla Francia all'accomodamento desiderato dalla Turchia relativamente a Tripoli, mancherebbe lo scopo del nostro indugiare a firmare il protocollo presentato dalla Sublime Porta. Epperò io desidero che da V. S. venga informato il Governo francese, essersi ormai verificata la condizione che noi avevamo posta alla nostra adesione a quel protocollo, che cioè esso fosse accettato in massima dall'Inghilterra e dalla Francia, epperciò mancare a noi ogni motivo di soprassedere alla firma di quel documento.
(l) Cfr. n. 70, in realtà del 14.
L'INCARICATO D'AFFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 237. Londra, 24 agosto 1871.
Ho preso attenta conoscenza del Dispaccio di V. E. di questa Serie, in data delli 30 scorso Luglio (1), e delle istruzioni al Signor Cavalier Nigra in esso contenute circa i negoziati in questo istante intavolati col Governo Francese per l'applicazione delle Capitolazioni nella provincia Ottomana che costituì la Reggenza di Tripoli di Barberia, al quale fine il Gabinetto di Londra conchiuse un separato accordo colla Turchia addì 12 del precitato mese.
Ove l'E. V. non abbia ancor conoscenza del testo del Protocollo a ciò relativo, ho l'onore di qui compiegarne una copia.
In assenza di Lord Granville mi dovetti limitare a parlare di questo affare al Sotto Segretario di Stato pel Foreign Office e gli comunicai, secondo gli ordini di V. E., come rammentandoci con sensi di gratitudine del Trattato che a nome della Sardegna la diplomazia Inglese stipulava nel 1816 per regolare
la posizione dei R. Sudditi nella Reggenza di Tripoli, ci saremmo ora, ove consultati, messi di buon grado d'accordo col Governo della Regina per dare una soluzione a questo affare.
Aggiunsi poscia, che, sebbene quanto noi avremmo maggiormente desiderato sarebbe stato una risoluzione presa in comune dalle Potenze interessate, tuttavia, nello stato presente della questione, avevamo creduto di rispondere al desiderio espressoci dal Gabinetto di Parigi per procedere ad uno scambio d'idee atto a condurre ad una pronta decisione a siffatto riguardo.
Il Sotto Segretario di Stato mi assicurò che avrebbe di questo dato informazione a Lord Granville e mi disse che era stato dietro alla viva insistenza spiegata dall'Ambasciatore Turco, Musurus Pascià, che Sua Signoria si era deciso a firmare il Protocollo di cui mando copia all'E. V.
Mi risulta inoltre che le stesse cose vennero dette da Lord Granville all'Ambasciatore di Francia il quale aveva ricevuto incarico dal suo Governo di fare a Mylord un'identica comunicazione. Quest'ultimo avrebbe pure soggiunto al Duca di Broglie che nel fondo quest'atto non aveva una grande importanza e che dei soli due articoli di cui esso constava, il secondo collo stabilire • che la Sublime Porta concederà ai Consoli ed ai Sudditi Inglesi a Tripoli il trattamento della nazione più favorita • riduceva a molta poca entità le concessioni fatte col primo.
Ho pure avuto un abboccamento con Musurus Pascià su questo argomento.
Egli mi confidò che quando propose a Lord Granville di stipulare l'accordo in discorso, Sua Signoria gli aveva subito osservato che avrebbe bramato di compiere quest'atto insieme all'Italia ed alla Francia. Ma a quanto pare l'Ambasciatore Turco che aveva pressanti istruzioni da Costantinopoli, pose in opera tale insistenza per ottenere che l'Inghilterra definisse questa questione senza ulteriore indugio facendogli notare i ritardi che molto probabilmente lo stato anomalo in cui si trova la Francia avrebbe potuto produrre qualora si avesse voluto aspettare il suo concorso, che Mylord si arrese ai suoi desideri.
'
La conversazione che ebbi con Musurus Pascià mi confermò la saviezza delle osservazioni fatte dall'E. V. al Cavalier Nigra circa l'importanza di scegliere la presente occasione per far ben comprendere alla Porta che la soluzione data alla questione di Tripoli non potrebbe da essa essere invocata in futuro per diminuire i privilegi e le immunità che godono gli stranieri in Egitto ed a Tunisi. Infatti l'Ambasciatore Turco non mi celò, sebbene a ciò facesse allusione in termini assai vaghi, che il momento non era lontano in cui la Porta avrebbe cercato d'applicare all'Egitto la stessa riforma introdotta adesso nel Vilayet di Tripoli dalla Convenzione coll'Inghilterra.
A questo proposito Musurus Pascià si servi meco dei consueti argomenti che le concessioni fatte ai Sudditi esteri sia in Egitto che a Tunisi erano dovute all'istigazione delle Potenze straniere e non mai approvate dal Divano, e certamente queste espressioni indicano quale sia l'ordine d'idee prevalente a Costantinopoli, rispetto tale rilevante affare.
Avendo l'E V. fatto di questo punto oggetto di speciale menzione al Cavalier Nigra, ho stimato opportuno riferirle confidenzialmente quanto precede onde porla in grado di premunirsi contro le difficoltà da Lei con tanta giustezza prevedute per l'avvenire.
Non avendo potuto vedere Lord Granville non ho cercato in nessuna guisa di scoprire se l'Inghilterra sarebbe disposta a rinnovare un Protocollo a quattro, tanto più che il Dispaccio Ministeriale delli 31 scorso Luglio non impartiva a questo riguardo alcuna istruzione.
Però, se consultato, il Gabinetto Inglese mostrasse disinclinazione a prendere parte ad un nuovo atto, credo che il suggerimento dato dalla E. V. al Cavalier Nigra circa la forma da darsi alla dichiarazione che il Governo del Re è chiamato a conchiudere colla Porta, cioè di seguire l'esempio dell'Inghilterra firmando un atto identico di concetto ma separato, sia preferibile ad una stipulazione in comune con la Francia.
Siccome Lord Granville, a quanto riferii più sopra all'E. V., nel prendere da solo quest'iniziativa agì in certo modo contro le sue proprie idee dietro alle istanze di Musurus Pascià, diè prova di non aver avuto animo con siffatto procedere di isolarsi dall'Italia e dalla Francia.
Per cui senza che sia necessario che queste due Potenze firmino un Protocollo insieme, secondo quanto l'E. V. osserva, l'accordo fra i Governi interessati potrà risultare perfettamente dall'identicità dei documenti redatti dai rispettivi Gabinetti.
Queste riflessioni che prendo la libertà di esternare non sono inspirate che dalla considerazione di quanto, a mio avviso, qui potrà parere più conveniente.
(l) Cfr. n. 51.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. CONFIDENZIALE 312. Bucarest, 24 agosto 1871 (per. il 2 settembre).
I Ministri Rumeni spargono la voce che il Gran Vizir schiverà ogni ingerenza nella quistione relativa ai possessori delle obbligazioni ferroviarie rumene, e farà rispondere al Cancelliere dell'Impero Germanico che codesta è una vertenza puramente interna dei Principati, ai quali il trattato di Parigi riconosce un'amministrazione indipendente e nazionale, Art. 23.
Da altre vie vengo invece assicurato che Aali Pacha nel ricevere la nota comunicazione del Principe di Bismarck non siasi punto dipartito dall'abituale sua riserva restringendosi ad accennare soltanto i limiti tracciati dalle stipulazioni del 1856 alla azione della Turchia e delle Potenze.
La R. Legazione a Costantinopoli, che avrà più esattamente ragguagliato il Governo del Re su quanto precede, le avrà pure fatto pervenire, Signor Cavaliere, il memorandum che d'ordine del suo Governo l'Agente Rumeno ha rimesso nei giorni scorsi alla Sublime Porta ed ai Rappresentanti delle maggiori Potenze accreditate presso di essa.
L'energia spiegata dal Principe di Bismarck nella questione che ci occupa
porge qui intanto pretesto ai più azzardati commenti. Essa viene perfino attribuita ad un mal celato disegno che si addebita alla Germania di voler forzare H Principe Carlo ad una abdicazione onde rovesciare i vigenti ordini interni della Rumenia, invisi ad una Potenza limitrofa che nell'ultima guerra segui con simpatia il successo delle armi tedesche.
Il convegno di Gastein accresce dall'altra parte le perplessità dei rumeni, i quali a torto od a ragione son persuasi che nei loro abboccamenti i Signori Bismarck e Beust non hanno potuto non parlare anche della Romania e della quistione Strousberg. Si pretende però che il secondo abbia rifiutato non solo di appoggiare le pratiche fatte dal primo a Stambul, ma anche d'intervenire presso il Gabinetto di Bukarest in favore dei possessori delle obbligazioni in modo diverso da quello che finora ha praticato.
Checchè ne sia, non sfugge a nessuno la circostanza che mentre un mese fa invitava il mio Collega di Austria-Ungheria a sostenere l'Agente dell'Impero Germanico nei passi che questi faceva a Bukarest, l'Imperia! Regio Governo si astenne finora dal dare le medesime istruzioni all'Ambasciata AustroUngarica a CostantinopoU. Credo anzi poter aggiungere che già in Germania si lamenta l'attitudine presa dal Signor Beust all'ultima ora, ed è alla sua mollezza che a Berlino si attribuisce la resistenza incontrata nei Principati. Come Potenza limitrofa l'Austria avrebbe potuto con un contegno più fermo vincere questa resistenza, od almeno apportare un gran peso nella bilancia. Ma H Gabinetto di Vienna non ignora che un'azione più energica di quella delle pure pratiche ufficiose a Bukarest renderebbe l'Austria ancor più impopolare in Rumania a totale beneficio della Russia, la di cui influenza aumenterebbe per la calcolata sua astensione.
In questo stato di cose io penso che per quanto ci concerne, le direzioni che V.E. m'impartisce col dispaccio n. 36 (l) sono le più opportune e le più conformi all'equità. Mentre continuerò a tutelare gli interessi dei RR. sudditi che sono impegnati in questo affare, mi adopererò come posso e come ho già fatto presso questo Governo, onde si studi di trovare un mezzo conveniente per sciogliere la vertenza con soddisfazione di tutte le parti interessate.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
Parigi, 25 agosto 1871 (per. il 29).
R. 1625.
Ieri mi recai a Versaglia ed ebbi col Signor De Remusat una conversazione
di cui ho l'onore di qui riferire all'E.V. i punti principali.
Anzitutto informai il Signor De Remusat della favorevole impressione che la
sua nomina aveva prodotto in Italia, dove il suo liberalismo e l'antica sua sim
patia pel nostro paese erano conosciuti ed apprezzati. Il Signor De Remusat si
mostrò assai sensibile a queste testimonianze e mi confermò la sua intenzione
e il suo vivo desiderio d'adoperarsi per rendere ottime ed intime le relazioni tra i due Governi d'Italia e di Francia. • Ma perchè possiamo riuscire in quest'intento, mi disse il Signor De Remusat, ci occorre l'ajuto volonteroso del Governo Italiano specialmente in due cose, cioè : nei riguardi da usarsi verso il Sommo Pontefice, e nella direzione della stampa quotidiana in Italia •. Rispetto al primo punto io m'affrettai a confermare al Signor De Remusat le assicurazioni da me già date più volte al Governo Francese sull'intenzione ben decisa del Governo del Re di portare nell'applicazione della legge delle garanzie un grande spirito di moderazione ed una larga interpretazione. Soggiunsi che in questo compito per buona ventura l'opera del Governo era efficacemente ajutata dall'eccellente spirito e dal senno della popolazione romana, la quale aveva tenuto e teneva una condotta molto sensata e lodevole. Il Signor De Remusat accolse con soddisfazione queste assicurazioni e m'impegnò vivamente a consigliare al Governo del Re d'usare ogni possibile riguardo verso il Santo Padre, d'evitare con ogni possibile cura ogni ragione, ogni pretesto di nuovi gravami per parte del Vaticano, ed anche d'accogliere con impegno le osservazioni e i reclami che le Potenze estere avessero l'occasione di dirigerci a questo riguardo, per quindi esaminarli e farci ragione all'uopo. • Il Governo francese specialmente, continuò H Ministro degli affari esteri, non può, nè in realtà nè in apparenza, mostrarsi per dir cosi disinteressato in tutto ciò che riguarda il Papa, la sua sicurezza, la sua libertà e l'esercizio della sua spirituale autorità. È molto a desiderare che il Governo italiano sappia tener conto di questa situazione speciale della Francia e del sentimento clericale che vi è ora molto più intenso ed esteso che durante l'epoca liberale del 1830 •.
Passando all'attitudine della stampa periodica Italiana, il Signor De Remusat sì lagnò che questa sembrasse credere e volesse far credere che ,la Francia tosto o tardi verrà R far guerra all'Italia per Roma. • Ora, mi disse il Signor De Remusat non senza vivacità, un tal linguaggio è assurdo ed ingiusto. Il Governo francese nè ora nè poi moverà guerra all'Italia pel ristabilimento del potere temporale. Esso desidera mantenere col Governo italiano una amicizia sincera e durevole. Se quindi il Governo italiano ha qualche azione sulla stampa italiana, sarebbe sommamente desiderabile che l'esercitasse nello scopo di combattere quest'erronea credenza e di diminuire gli attacchi, le irritazioni, le ingiurie, che ne sono la deplorevole conseguenza •. Risposi che udivo con soddisfazione dalla bocca del Ministro degli affari esteri di Francia la conferma esplicita d'una dichiarazione già fattami dal Signor Giulio Favre, e della cui esattezza io non aveva mai dubitato, sulla ferma risoluzione del Governo francese di non romper guerra all'Italia in favore del potere temporale dei Papi; che la mia convinzione profonda era che oramai nessun Governo in Francia avrebbe potuto risolversi ad una avventura cosi mostruosa e dirò pure cosi arrischiata, come sarebbe stata una guerra all'Italia per rimettere sotto il giogo pontificio le redente popolazioni romane; che io convenivo pienamente nel pensare che era conveniente di combattere la credenza ingeneratasi nella nostra stampa e nella nostra popolazione sulla possibilità d'una dichiarazione di guerra della Francia all'Italia in favore del Papa, ma che il Governo francese, e la stampa francese potevano ottenere quest'intento più facilmente che noi. • Questa fallace credenza, diss'io, ha origine, bisogna pur confessarlo,
nel linguaggio tenuto nell'Assemblea francese, nelle petizioni dei Vescovi
francesi che non esiterebbero a trascinare il loro paese in una guerra disastrosa
per dare al Papa un regno terrestre, nelle relazioni che m'astengo di qualificare
delle Commissioni dell'Assemblea Nazionale, ed infine nell'attitudine d'una
parte della stampa francese. Il Governo francese può quindi fare altrettanto
e meglio che H Governo italiano in questo scopo. Ma in ogni caso il Governo
del Re, per parte sua non trascurerebbe alcuna occasione per agire moralmente
e nei limiti che gli sono concessi dalla libertà della stampa che è completa
nel nostro paese, nel senso desiderato. Consola del resto il vedere che gli or
gani più illustri e più accreditati della stampa si in Italia che in Francia non
dividono nè questi timori, nè queste irritazioni, e si astengono dalle provo
cazoni e dalle ingiurie reciproche. Giova sperare che coll'ajuto del tempo questi
esempii frutteranno e si estenderanno •.
Prima di lasciare il Signor De Remusat toccai colla dovuta riserva (e lo feci
pure col Signor Thiers) della situazione della Legazione di Francia in Italia.
Sono lieto d'annunziare all'E. V. che tanto il Signor Thiers, quanto il Signor
De Remusat, convennero subito con me che il Ministro di Francia presso il Re
d'Italia dovrà recarsi e stabilirsi in Roma, quando la stagione lo permetterà e
l'arrivo degli altri Ministri lo consiglierà.
(l) Non pubblicato.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 169. Alessandria, 25 agosto 1871.
Appena mi pervennero il dispaccio di V.E. di questa serie N. 64 (l) ed i due esemplari della relazione della nostra Commissione sulla riforma giudiziaria in Egitto, mi premurai partecipare a S.A. le riserve che il R. Governo intendeva prendere qualora si pensasse d'introdurre degli emendamenti sostanziali al progetto elaborato dalla Commissione internazionale riunita in Cairo: e gli rimisi uno degli esemplari della relazione.
Sua Altezza mi assicurò che il primitivo progetto sarà sempre la base delle intelligenze definitive da prendersi.
Della relazione egli non si contentò di averne un'analisi presentatagli da Nubar, ma ne ordinò la traduzione in Francese. E recatomi ultimamente in Cairo egli me ne espresse tutta la sua gratitudine, apprezzandone altamente Il merito, e considerandola come il più efficace e serio concorso che l'Italia potesse accordargli in una questione di grande importanza.
Come annunziai all'E. V. fino dal 23 Giugno col mio rapporto N. 166 (l) si ritengono sormontati tutti gli ostacoli che parevano tener dubbia l'Inghilterra ed ostile la Sublime Porta. Si teme soltanto qualche incaglio dalla Francia, che potrebbe manifestarsi allorchè si verrà alla discussione definitiva.
Ad ottenere l'adesione della Porta il Vicerè ha inviato a Costantinopoli Riaz Pascià Guarda Sigilli. L'esito della missione è finora ignoto. La malattia del Gran Vizir ne è una causa -quindi mi si dice che la Porta sia stata un po' ferita che per una missione di tanta importanza il Vicerè avesse inviato un funzionario più che secondario della sua corte. Ed infatti è stato errore gravissimo del Vicerè, e per questa circostanza della posizione dell'inviato e principalmente per la di lui nota incapacità a trattare una questione come quella della riforma giudiziaria.
In quest'ultima sessione della Camera dei Delegati, chiusa nella scorsa settimana, il Vicerè ha elaborato e deciso una riforma radicale d'amministrazione interna, ed una riforma finanziaria.
Per la prima egli ha abolito la tassa del testatico, odiosissimo per gli arabi, ed ha impiantato il sistema di amministrazione provinciale. Su questa questione, che è pur gravissima, mi riservo ritornare allorchè si pubblicheranno tutte le leggi che saranno messe in vigore.
La seconda consisterebbe in questo. I quattro quinti delle proprietà in Egitto sono dette Abbadiek, i cui Hogget sono piuttosto contratti d'enfiteusi che titoli di assoluta proprietà. Con la più grande facilità queste terre possono esser dichiarate proprietà dello Stato. Il Viceré è per pubblicare una legge con la quale tutti i proprietari che volontariamente pagassero sei anni di tasse anticipate otterrebbero un Hogget di proprietà assoluta, nei quali sarebbero indicate le tasse territoriali da pagarsi immutabili in perpetuo. Per rientrare nelle somme anticipate i proprietari pagherebbero per altrettanti anni sino al saldo la metà delle tasse stabilite nei Hogget. L'annunzio di questa legge è stato accolto con soddisfazione generale. I possidenti saranno proprietari delle loro terre e non subiranno più capricciose e rovinose imposizioni; e si ritiene che la somma che si potrebbe incassare basterebbe per sanare il deficit delle Finanze dello Stato. Anche su questa questione debbo riservarmi al parlare a ragion conosciuta.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 8. Vienna, 26 agosto 1871 (per. il 30).
Il Conte Beust è di ritorno a Vienna da due giorni; egli non tenne però ieri la consueta udienza del giovedi, quindi non ebbi ancora occasione di intrattenermi seco lui. Fui però oggi dal Barone Hoffmann che trovavasi presso il Cancelliere a Gastein. La conversazione che io ebbi col prefato capo della sezione politica parmi abbastanza importante per essere riferita senza ritardo a V.E.
S.E. il Barone Hoffmann mostravasi soddisfattissimo del risultato del Convegno di Gastein; egli dissemi nulla essersi firmato poichè non era il caso di stringere alleanze, ma che l'accordo il più perfetto erasi convenuto fra l'Impero germanico e l'austro-ungarico a fronte di qualsiasi evenienza di interesse generale; accordo che mentre si stabiliva in due, egli soggiungevami, ben sentivano di essere in tre a stringerlo, poichè in ogni suo punto di assoluto interesse dell'Italia pure; infatti il carattere di un tale accordo, egli dicevami, è eminente~ mente conservativo. Or bene se l'Impero Germanico ha tutto interesse a conservare ciò che attualmente possiede, eguale interesse ha l'Austria e pari convenienza, dissemi in modo accentuato, ha pure l'Italia. c L'Allemagne a besoin de temps et de repos pour digérer et égal besoin a l'Italie, n'est-ce pas? Eh bien, l'accord entre l'Allemagne et l'Autriche pourvoit précisémi!nt à ce besoin des deux pays • . Queste sono le precise sue parole che testualmente, quali me le ricordo, credo bene trascriverLe.
Credetti più opportuno fargli sentire che le informazioni che egli mi dava non potrebbero a meno di rafforzare ancora la buona impressione risentita dal Governo Italiano sin dal primo annuncio del Convegno di Gastein, non potendosi da noi nulla desiderare di meglio che di vedere regnare un perfetto accordo fra due Potenze colle quali ci troviamo legati dai più stretti vincoli di buona e cordiale amicizia.
A questo proposito, egli soggiunsemi, il Principe Bismarck non aver tralasciato di esprimere in ogni circostanza i suoi più simpatici ed amichevoli sentimenti per l'Italia. Egli dicevami ancora, a meglio chiarire il senso dell'accordo in quistione: l'Austria e la Prussia furono per lunghi anni sotto il vincolo federale legate in azione comune sul campo degli interessi comuni; il vincolo federale è ora spezzato e l'Austria vi ha rinunciato per sempre, ma gli interessi comuni sussistono e sussisteranno ormai sempre; mantiensi dunque fermo il campo sul quale è conveniente per le due Potenze si spieghi l'azione comune. Ecco presso a poco tutto ciò che mi fu detto sul convegno di Gastein; pel di più non potrei se non esprimere impressioni mie; una fra queste si è che chi potrebbe provare a sue spese l'effetto dell'accordo conchiuso, sarebbe la Francia, ove tentasse in modo qualsiasi di disturbare la quiete del potente suo vicino; la poca fiducia nella saviezza avvenire di quel paese che non si fanno ritegno di dimostrare le persone più influenti di questo Ministero degli Esteri, dà fondamento a questa mia persuasione. Anzi il Barone Hoffmann mi disse, il Principe Bismarck non dissimularsi la possibilità che i Francesi possano tentare, più presto di ciò che si crede, la rivincita; ed in tal caso non nascondere egli che la Germania non mancherebbe di farla finita per sempre con quell'incomodo vicino. c Si la France connaissait son véritable intéret • dicevami ancora il Barone Hoffmann c à notre accord à trois, elle s'unirait elle aussi en quatrième •. Contro chi, dovetti dirgli, evidentemente all'evenienza contro la Russia. Ciò però io accenno soltanto come un'impressione che l'E.V. apprezzerà per ciò che vale; non posso però tacere che il mio interlocutore, leggendo forse nei miei occhi ciò che io pensavo, o meglio giustamente indovinandolo, si aspettava di aggiungere come correttivo: la Francia fa assegno su di un'alleanza colla Russia, ma ella fa i suoi conti senza l'oste, poichè la Russia non s'alleerà mai con essa.
Sottopongo all'E.V., come Ella vede, non solo quanto mi è detto, ma anche le mie impressioni. Ella vaglierà queste e quello, e col concorso delle informazioni che Le pervengono da altre parti, potrà forse ricavare materiali che Le serviranno ad edificare il vero.
Nel mio, precedente rapporto N. 7 (l) io Le esprimevo il convincimento che il Convegno di Gastein avrebbe rafforzata la posizione del Cancelliere dell'Impero. Il Barone di Hoffmann compiacevasi constatarmi esso pure un tal fatto, al cui riguardo io gli dicevo essere persuaso esprimergli l'opinione del mio Governo nel congratularmene altamente.
L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 869. Berlino, 26 agosto 1871 (per. il 31 ).
Ho messo tutto il mio impegno a raccogliere in questi giorni ogni sintomo che mi parve tale da poter gettare un po' di luce sul convegno di Gastein, ma non è senza esitazione che ardisco scriverne all'E. V. L'incontro di due Sovrani accompagnati dai loro primi Ministri è sempre un fatto importante, siccome quello che suoi indicare un nuovo stadio delle loro relazioni cogli altri Stati: né è quindi a .stupire se si vuoi pretendere che a Gastein il Principe di Bismarck e U Conte di Beust abbiano trattato insieme dello Schleswig, della vertenza rumena, della quistione d'Oriente, della lotta insorta fra la Chiesa Cattolica e lo Stato, della nuova situazione dei loro Governi in seguito agli sconvolgimenti dovuti alle vittorie della Prussia. Il campo delle supposizioni è troppo vasto per potervisi avventurare, senza che dal Cancelliere Imperiale stesso o da qualche suo confidente si sia ancora potuto ottenere qualche parola che serva di filo conduttore. Per ora il Principe di Bismarck è a Gastein, vi rimarrà a quanto pare sino alla metà del Settembre, e non sarebbe da stupire se di là ritornasse direttamente a Varzin, onde sfuggire alle investigazioni di cui è fatto segno.
Ne ho parlato ieri con il Segretario di Stato, prendendo argomento alla conversazione dalle notizie dei fogli di Vienna, secondo cui l'incontro dei due Imperatori e dei loro Ministri, lungi dal produrre un accordo quale si desiderava fra i due Governi, avrebbe posto in evidenza la divergenza di interessi che li divide. Il Signor De Thile smentì categoricamente siffatta versione, ed in risposta a varie mie osservazioni, mi assicurò che a Gastein non si era stipulato nulla, (non vi era stato nulla di abgemacht, per valermi della medesima espressione adoperata da lui), -che le idee scambiate in quell'incontro avevano soltanto messo in chiaro la piena conformità degli apprezzamenti politici dei due Gabinetti di Vienna e di Berlino, -che finalmente la reciproca soddisfazione prodotta da quel convegno non lasciava nulla da desiderare. La vertenza rumena, che da alcuni si voleva fosse ciò che stava essenzialmente a cuore al Principe di Bismarck nel recarsi a Gastein, non aveva per sé stessa valore bastante da spie
gare tanta soddisfazione, e difatti il Signor de Thile, quando ne feci cenno, mi disse che quella era per il momento una quistione sopita. Le sue parole avevano quindi un significato più serio: osservai che un accordo così intimo era naturalmente tale da dover preoccupare qualche vicino, ed udii con piacere rispondermi che l'Italia, per parte sua, aveva motivo di esserne soddisfatta; il Signor de Thile non volle però entrare in altre particolarità.
L'impressione che mi fecero le parole del Segretario di Stato ed alcune conversazioni con altre persone, mi inducono a credere che il Principe di Bismarck ed il Conte di Beust, senza aver stipulato un atto qualsiasi, si sono però messi d'accordo perchè i due Governi adoperino in comune tutti i loro mezzi ed influenze allo scopo di paralizzare ogni progetto di guerra in Europa. Il Governo Austro-Ungherese vi trova il doppio vantaggio, di dare in seno alla Monarchia un sostegno all'elemento tedesco così indebolito, e di allontanare il giorno di una collisione con la Russia in Oriente. Quanto alla Germania, le parole del Cancelliere Imperiale, che ebbi l'onore di riferire ier l'altro all'E. V., dimostrano abbastanza che il Principe di Bismarck non ritiene siccome cosa assolutamente impossibile che la Francia voglia presto ritentare la prova delle armi. Quandanche però la saviezza di chi regge ora le sorti di quel Paese riesca a tenere in freno le aspirazioni di un ardente patriottismo che non sa veder ostacoli, non v'ha dubbio che scopo essenziale della politica del Principe di Bismarck sarà d'ora innanzi quello di impedire che la Francia trovi in Europa un aHeato contro la Germania. Esso vi si era costantemente adoperato dal 1866 in poi, reputando che l'Imperatore Napoleone mai non avrebbe osato intraprendere da solo cotanta guerra: ogni suo sforzo vi tenderà ugualmente ora, che per il popolo francese il rinnovamento delle ostilità non può essere che una quistione di tempo. Il primo passo della Germania è quindi quello di tendere una mano amica all'Impero Austro-Ungherese e di stabilire una comunanza di interessi con esso: sarà senza dubbio cura del Principe di Bismarck di valersi della intimità dei Gabinetti di
S. Pietroburgo e di Berlino per appianare le divergenze dei suoi vicini nelle cose d'Oriente.
Credo di non andare errato nell'interpretare il convegno di Gastein siccome la base di un patto, il cui scopo è quello di isolare sin d'ora la Francia nelle sue aspirazioni di rivincita. Non avrebbe certamente da dolersene l'Italia, cui
il Presidente del Potere esecutivo francese ebbe cura di rappresentare quale solidaria dell'Impero Germanico. Un disastro della Germania sarebbe fecondo di conseguenze gravissime per l'Italia: se mi è concesso di esprimere all'E.V. il mio pensiero, è più che mai nostro interesse vitale stringere sempre più con il Gabinetto di Berlino quei vincoli di intimità e di fiducia che costituiscono l'efficace guarentigia di un comune avvenire.
Segnando ricevuta del dispaccio politico n. 219, del 19 corrente (1), ringrazio l'E.V. della notizia favoritami circa le prossime manovre militari in Italia.
(l) Cfr. n. 80.
(l) Non pubblicato.
L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 238. Londra, 27 agosto 1871 (per. il 2 settembre).
Quasi immediatamente dopo la partenza del Cavalier Cadorna, Lord Granville accompagnò S.M. la Regina in !scozia ove egli si tratterrà ancora per qualche tempo. Questa circostanza m'impedì di vederlo e di parlargli di molte cose come avrei desiderato e se a ciò s'aggiunge che, salvo una o due eccezioni, tutti i Ministri esteri sono in congedo, V.E. comprenderà di leggieri la stagnazione completa di affari in cui Londra si trova in questo momento. In assenza di Lord Granville ho avuto un abboccamento al Foreign Office col Signor Odo Russell il quale non anderà ad occupare l'ambasciata di Berlino che verso la fine dell'anno, e che fa attualmente le veci del Signor Hammond che pure è in congedo. Fra i vari argomenti di cui intrattenni il Signor Russell cercai di scoprire da lui quale fosse l'attitudine del Governo Inglese nella questione dei reclami dei detentori di azioni delle Strade ferrate Rumene ma non ne ebbi che presso a poco la conferma di quanto Lord Granville aveva detto a tale riguardo al Cavalier Cadorna l'ultima volta che lo vide, cioè che il Governo Britannico bramava di non separarsi dal Governo Imperiale Germanico, senza però associarvisi con un atto identico al passo fatto dal Principe di Bismarck. Qui intanto mando all'E. V. la traduzione di una memoria (l) su questa vertenza stata presentata due giorni or sono al Foreign Office da una deputazione del Comitato degli Azionisti stranieri di questa Zona di cui venne pure rilasciata copia al Rappresentante della Germania ed alle altre Ambasciate interessate. Qualunque ne possa essere la ragione è un fatto però che il Governo Inglese, sia perché non voglia pregiudicare questa questione nel suo stadio presente, sia perché non ami, come ha dimostrato in più circostanze, di assumere alcuna responsabilità rispetto alle speculazioni commerciali che possano fare i Sudditi Britannici all'estero, sia infine perchè, come mi faceva osservare il Signor Russell, l'Inghilterra, dacché scoppiò la guerra Franco-Prussiana abbia adottato una politica di aspettativa (nous louvoyons fu l'espressione di cui egli si servì), non ha finora dimostrato, almeno in apparenza, di soverchiamente preoccuparsene. La stampa Inglese all'incontro ha consacrato un'attenzione speciale all'attitudine assunta dalla Prussia rispetto ai Principati Danubiani ed alle nuove alleanze che paiono prepararsi in Europa deducendone che non sia senza disegno che il Principe di Bismarck abbia posta la mano sopra un punto delicato come questo che può fornire ampia materia a portare in un dato momento la questione Orientale sul tappeto. La tenacità di proposito ben nota del Cancelliere dell'Impero Germanico è
causa che nessuno qui ponga in dubbio che la sua attuale linea di condotta debba essere il risultato di una risoluzione permanente presa di appoggiare i suoi recla
mi fino ai limiti che gli sarà possibile di farlo. A questo riguardo il Signor Odo Russell mi diceva che quando trovavasi presso il quartier generale Prussiano a Versailles il Principe di Bismarck gli parlò della Rumenia con la medesima energica determinazione esprimendogli il suo profondo malcontento per lo stato d'anarchia in cui giacciono le Provincie poste sotto l'autorità del Principe di Hohenzollern.
Ciò premesso è naturale che anche l'Inghilterra presti molta attenzione ai recenti convegni d'Ischl e di Gastein. Si rileva come il riavvicinamento che andò gradatamente manifestandosi fra la Prussia e l'Austria durante lo svolgersi della grande lotta ora appena terminata sia diventato più palese dacché scoppiò l'attuale incidente Rumeno. Cessato ogni pericolo di rivalità per la supremazia in Germania, si nota che le cambiate condizioni dell'Alemagna pongono in linea molti interessi comuni, e l'utilità di una cooperazione sincera fra i due Imperi dell'Europa Centrale per il presente non solo ma forse anche per il futuro. Come corollario di questa premessa il Signor O. Russell mi osservava che l'intimità delle Corti di Berlino e di Pietroburgo ha più che altro fondamento sui sentimenti personali dell'Imperatore Guglielmo e dell'Imperatore Alessandro. Comunque ciò sia alcuni dei giornali di Londra cominciano a porre in campo come l'unione dell'Austria e della Prussia costituirebbe la miglior guarentigia contro ogni possibile disegno aggressivo della Russia. Una linea di condotta in comune fra l'Austria e la Germania non è dunque qui veduta di mal occhio.
Lo spostamento d'interessi che produsse la caduta dell'Impero Francese e
lo stato in cui trovasi ora quel paese hanno distrutto anche per l'Inghilterra
l'edifizio che era fondato sopra l'alleanza francese. Le accuse d'ingratitudine
lanciate dalla Francia contro la Gran Bretagna, le allusioni a questo riguardo
che uscirono qui dalla bocca dello stesso Ambasciatore della Repubblica e le
ovazioni che in questi giorni la deputazione francese che portò in Irlanda i
ringraziamenti pei soccorsi ricevuti durante la guerra provocò dal partito
feniano-cattolico più fieramente avverso al Governo Inglese, costituiscono al
trettanti sintomi di questo mutato ordine di cose. Col prossimo invio del Signor
O. Russell a Berlino l'Inghilterra avrà colà un Rappresentante le cui idee sono in questo senso. • L'alleanza francese -egli mi disse -potrà in futuro riuscire funesta a chi la contrae. Ogni giorno i vantaggi che l'influenza Germanica è chiamata ad esercitare in Europa diventeranno più palesi e la prima a riconoscerlo sarà l'Italia •·
(l) Non pubblicata.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 10. Vienna, 28 agosto 1871.
Nella visita da me fatta oggi al Cancelliere, il Conte Beust dopo avermi parlato nel senso indicato nel mio precedente rapporto di oggi (l) pure sul Convegno di Gastein, dissemi con tuono tra l'imbarazzato e lo scherzoso aver due parole a dirmi su di un affare relativo a Roma; intanto egli ricercava un di
spaccio del Conte Kalnoky di cui mi lesse un brano che riferivasi al fatto seguente:
c Da alcuni giorni il Papa • dice presso a poco il Conte Kalnoky c è molestato dal suono delle trombe delle truppe italiane che vanno a fare i loro esercizi proprio dietro il Vaticano. Il sentire quelle trombe non può essere mai cosa gradita al Papa, ma vi ha di peggio, e si è che esse suonano pure anche quando egli dice la Messa e gli sono allora di non lieve disturbo, fatto che io stesso ho potuto constatare, assistendo alla sua messa •. Pietosamente poi il Conte Kalnoky aggiungeva aver sentito dire che i trombettieri in quistione aggiungendo l'ironia al disturbo suonavano frequentemente il noto inno di Pio IX. Egli accompagnava l'esposizione dei fatti con commenti, per non dire insinuazioni, che ben chiarivano la mala disposizione del narratore a riguardo del Governo italiano. Il Conte Beust dissemi pregarmi a scrivere a V. E. persuaso di farle cosa grata segnalandole un fatto che recava molestia al Santo Padre, cosa che troppo egli era convinto non poteva mai essere negli intendimenti del R. Governo. Io gli risposi con tuono tra l'asciutto e lo scherzoso che se il Vaticano non trovava più gravi motivi di lagnanze a formolare contro il Governo italiano, potevamo applaudirci del modo col quale procedevano le cose in Roma. Non dissimulai che l'insinuazione fatta dell'inno di Pio IX suonato dalle incriminate trombe, circostanza sulla cui veridicità aveva i maggiori dubbi, mi dava la misura della passione che inspirava chi riferiva. Dissi che se il fatto era vero, non poteva se non essere fortuito, il R. Governo non avendo miglior desiderio che di dimostrare in tutti i modi il suo alto rispetto tanto pel Sommo Pontefice come per la veneranda persona di Pio IX. Soggiungeva ancora che a far cessare il lamentato inconveniente il mezzo il più pronto e sicuro sarebbe stato quello di portarlo a conoscenza della competente autorità in Roma stessa, cosa che non era disagevole fare. Ad ogni modo però conchiusi promettendo di scriverne all'E. V.
Il Conte di Beust mise, nel farmi tale esposizione tutte le forme cortesi possibili, ben vedevasi anzi che egli parlava solo per incarico avutone da alto. Per conto mio però credetti conveniente, tuttochè finissi col promettere di scriverne all'E. V., fare il viso dell'armi a simile comunicazione onde renderne meno agevoli le ripetizioni, poichè se tra potenze amiche avvisi ufficiosi di tale natura possono essere qualche volta ammessi e tenuti anzi come prova di buona amicizia, ove si ripetano di spesso, costituiscono una importuna ingerenza negli affari interni che nessuno stato indipendente può ammettere; una grande nazione meno poi ancora degli altri stati.
(l) Non pubblicato.
L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 870. Berlino, 29 agosto 1871 (per. il 2 settembre).
Il Segretario di Stato ha avuto stamane la compiacenza di leggermi una circolare diretta da Gastein dal Cancelliere Imperiale ai rappresentanti della
Germania all'estero, relativamente al recente convegno dei due Sovrani, della Germania e dell'Austria.
L'Incaricato d'Affari tedesco in Italia soggiornando tuttora a Firenze, non
so se l'E. V. avrà già conoscenza di siffatto documento. Siccome però ad ogni
modo non mi risulta che i rappresentanti della Germania abbiano l'incarico
di comunicare il testo medesimo della circolare ai Ministri degli Affari Esteri
dei Governi presso i quali essi sono accreditati, mi affretto ad ogni buon fine
di riferirne all'E. V. il senso, quale mi fu dato di ritenerlo nella rapida lettura
che ne intesi.
Il Principe di Bismarck incomincia dal rilevare la favorevole impressione che il progetto di un convegno fra i due Imperatori produsse sulla pubblica opinione in Germania, la quale vi ravvisò una prova della buona armonia che doveva regnare fra i due Imperi, e la guarentigia di una era di pace. Passando a ragionare dell'incontro stesso avvenuto a Gastein, il Principe Cancelliere nota l'ottima impressione che i Sovrani ne riportarono: la loro soddisfazione deve dimostrare che è ormai pienamente cancellata la memoria di una guerra recente, che risultò bensì fatalmente dallo sviluppo storico della Germania, ma che ripugnava alla inclinazione dei due popoli ed agli intimi sentimenti dei loro Sovrani. Il Principe di Bismarck parla in ultimo dei suoi colloquii con il Conte di Beust, e si loda altamente del risultato che ebbero siffatti suoi abboccamenti con il Cancelliere Imperiale Austro-Ungherese: scrive che non vi furono vere stipulazioni o convenzioni, ma che le loro viste ed i loro apprezzamenti si trovarono pienamente concordanti su tutti i punti della politica: esprime la convinzione che, in seguito di ciò, i due Gabinetti di Vienna e di Berlino non trascureranno verun mezzo ed adopereranno tutta la loro influenza per consolidare la pace in Europa e per mantenere fra i due Imperi il migliore accordo, con grande vantaggio dei reciproci loro interessi.
Il Signor de Thile mi ripeté ancora ciò che ebbi l'onore di riferire all'E. V. nel dispaccio n. 869, del 26 corrente (1), che cioé l'Italia aveva ragione di rallegrarsi per quanto si era fatto a Gastein. Alle mie insistenze in proposito, oppose che da parte sua non era ancora abbastanza ragguagliato su quel convegno, per poter addentrarsi in veruna particolarità. Il Principe di Bismarck aveva però spedito da Gastein un corriere di Gabinetto direttamente in Italia, il che mi fa sperare che l'E. V. avrà ricevuto qualche schiarimento dal Conte di Wesdehlen.
IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 157. Berna, 30 agosto 1871.
In risposta all'ossequiato Dispaccio di questa Serie N. 75, in data del 21 uscente Agosto (2), col quale, a nome dell'onorevole Ministro pel Commercio, mi si chiede se abbia qualche fondamento di vero la voce a lui pervenuta, che il Consiglio Federale si proponga di intavolare negoziati col Governo Reale,
al fine di fondare in uno de' nostri porti uno Stabilimento ad uso del commercio e della navigazione mercantile svizzera, mi reco a premura di brevemente ragguagliare l'E. V. intorno ai fatti che possono aver dato origine alle menzionate voci, e dei quali del resto è trattato ampiamente nel carteggio di questo Uffizio con codesto Ministero.
Ad istanza di molti Svizzeri che posseggono bastimenti mercantili che navigano sotto diverse bandiere, il Governo Elvetico, con particolare Messaggio, chiese, non sono molti anni, all'Assemblea Federale di essere autorizzato a trattare con le Potenze Marittime, perché fosse riconosciuta sui mari la bandiera neutrale della Confederazione. Le Potenze interpellate all'uopo, fra le quali l'Italia, risposero con le forme cortesi proprie del linguaggio diplomatico, se non negativamente, almeno pel momento, evasivamente.
Il Consiglio Federale non si perdé d'animo per questo, ma stimò dovere sospendere per alcun tempo le pratiche incominciate a cotesto riguardo; ciò cui lo consigliava d'altra parte lo stato dell'Europa e quindi la guerra del 1866.
Quando io giunsi a Berna il Signor Dubs, che esercitava allora la carica di Presidente della Confederazione, mi chiese in forma amichevole parlando meno al Rappresentante del Governo Italiano, che a colui che era conosciuto in Svizzera per avervi professato il diritto pubblico Internazionale, che volessi manifestargli il mio modo di vedere intorno alla domanda, che la Svizzera aveva diretto alle Potenze per ottenere il riconoscimento della bandiera federale.
Risposi di aver letto il Messaggio sopracitato, nel quale eran dedotte le considerazioni che muovevano questo paese a fare una simile domanda, e come non ignorava che il mio interlocutore ne era l'autore, ne lodai il tenore e la forma; aggiungendo però che, a mio avviso, invece di chiedere il riconoscimento della bandiera, sarebbe stato per avventura meglio il procedere altrimenti, dichiarando cioè alle Potenze, che la Svizzera intendeva usare dei diritti fermati nel Trattato di Vienna per ciò che tocca alla navigazione dei fiumi e de' loro affluenti comuni a diverse Nazioni, e che perciò invitava le Potenze a riconoscere a questo riguardo i diritti della Svizzera, e ad eccitare i Paesi Bassi a togliere gli impedimenti, pei quali non è agevole ai legni che navigano sul Reno di giungere al mare. La domanda avrebbe potuto toccare altresl la navigazione del Po e del Rodano.
Proseguii, dicendo che quando questo principio fosse riconosciuto, non sa
rebbe difficile alla Svizzera di ottenere dalle Nazioni Marittime, propriamente
dette, che consentissero allo stabilimento nei loro porti di fattorie Elvetiche,
dalle quali, come dalle antiche Case Anseatiche per le città che facevano parte
dell'Ansa, comecché non marittime, le navi mercantili della Svizzera si attaccas
sero, come al loro porto d'origine.
Sul Signor Dubs fecero breccia queste mie osservazioni, laonde egli mi
disse che il Mediterraneo e l'Adriatico erano i mari naturali della Svizzera,
e che Genova principalmente e Venezia sarebbero i porti ove sarebbe opportuno
di fondare le fattorie marittime Elvetiche. Mi chiese quindi se, ottenuta la rico
gnizione di cui si tratta, io credessi che il Governo Reale fosse disposto a trat
tare con la Svizzera per la fondazione degli accennati Stabilimenti. Espressi
l'avviso che ciò non fosse da rivocarsi in dubbio, non solo, ma che reputava che il Governo Reale si sarebbe adoperato d'accordo con la Confederazione per indurre le altre Potenze a riconoscere a suo esempio sui mari diversi la bandiera federale.
Gli dissi che avrei chiesto di esser autorizzato a trattare con lui per
mettere in chiaro la situazione rispettiva in questa faccenda.
Il Generai Menabrea con vera sentita dei vantaggi che i nostri porti ed i nostri traffichi potrebbero ritrarre da ciò, mi autorizzava a cercare d'accordo col Primo Magistrato della Confederazione di dar forma ad un disegno, che indi potesse servire di preliminare a negoziati effettivi.
E siccome la prudenza civile consigliava tanto alla Svizzera quanto all'Italia di condurre le trattative preparatorie con la più grande segretezza, il prelodato Ministro mi diede facoltà di non comunicargli l'andamento delle pratiche che stavano per cominciare, se non quando fossero giunte a un certo grado di maturità.
Ebbi successivamente diversi colloqui sopra di ciò col Signor Dubs. Vi fu scambio d'idee non solo, ma altresi comunicazioni di diversi progetti e poi modificati dall'una parte e dall'altra. In questo mezzo gli Stati Tedeschi cui non bagna il mare, ma che toccano direttamente al Reno o indirettamente per mezzo di loro fiumi navigabili, sotto gli auspici d'una grande Potenza, invocando appunto la stipulazione del Trattato di Vienna, indirizzarono ai Paesi Bassi una domanda conforme a quella ch'io consigliava di fare alla Svizzera, la qualcosa mentre accresceva autorità ai miei consigli, contribuiva però a ritardare le cominciate trattative con me, in aspettazione dell'esito che fosse per avere l'istanza degli Stati germanici.
I negoziati e le conferenze riguardanti l'impresa del S. Gottardo, per la quale la Svizzera si trovò ad un tratto divisa in due campi fieramente ostili, furono pure cagione che si mettesse pel momento da canto la quistione marittima, finché non fosse definita quella dei passaggi alpini, alla quale pose fine in principio il Trattato di Berna, testé approvato dal Parlamento Italiano.
La questione gelosa della bandiera fu perciò rimandata ad epoca più serena, Gli umori manifestati dal Governo Francese a seguito della Conferenza Internazionale di Berna per l'impresa del Gottardo, indussero la Svizzera come l'Italia a non aggravare a questo riguardo la loro situazione rispetto alla Francia, col porre innanzi la riduzione in atto di un progetto di stabilimenti marittimi, destinati a vantaggiare i porti Italiani a detrimento di porti francesi del Mediterraneo.
Da quanto precede non è arduo il comprendere quale fondamento avessero le voci di cui parla il Ministro dell'Agricoltura e Commercio, alle quali diede origine l'indiscrezione di taluno che non aveva se non una mediocre cognizione del vero stato delle cose.
Spero di poter venire, quando l'E. V. me ne conceda la facoltà, in Italia e se sarà possibile alla riapertura del Parlamento in Roma. Avrò allora occasione di fornire all'E. V. ed al suo Collega pel Commercio tutti gli schiarimenti che potranno chiedermi sulla quistione di cui si tratta, sulle difficoltà che può incontrare da un lato e dall'altro la sua soluzione, ed infine sulla opportunità di ripigliare le differite trattative.
li -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3906. Pietroburgo, 31 agosto 1871, ore 17,45 (per. ore 3,30 del' 1 settembre).
D'après ce qu'il vient de me dire, le chargé d'affaires allemand a été chargé par télégraphe, il y a deux jours, d'informer le Gouvernement russe que l'entreuve de Gastein avait eu pour but de retablir entre l'Allemagne et l'Autriche la cordialité de rapports interrompue par la guerre de 1866. Il ajouta, qu'il n'y a pas lieu de demander l'adhésion de la Russie, parceque cette démarche indiquerait un but d'action qui allait au delà de l'esprit du rapprochement.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
T. 1744. Roma, 2 settembre 1871, ore 22,50.
Italie n'a eu aucune part à l'entrevue de Gastein. Nos renseignements portent du reste qu'il n'y a eu aucun traité de signé et que tout s'est borné à un échange de vues ayant pour but le maintien de la paix. Le Roi et les ministres étant absents, je ne puis pas demander pour vous l'autorisation de présenter à M. Thiers les félicitations du Roi, cependant, je ne vois pour ma part aucun inconvénient à ce que vous le complimentiez au nom du Gouvernement.
L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 27. Madrid, 2 settembre 1871 (per. il 9).
Questo, sino all'apertura delle Cortes in ottobre, è un momento di transizione e di preparazione. Si direbbe che, spossati dall'ultima crisi, d'un comune accordo, si riposino i partiti. Il Ministero è tutto intento alla questione finanziaria e a mantenere quell'ardua e principale promessa del programma del suo Presidente: il pareggio del bilancio. La Gazzetta Ufficiale, nel mese ora trascorso, ha pubblicato vari decreti per introdurre notevoli economie nei pubblici servigi; così, per atto di esempio, nelle obbligazioni generali dello Stato le spese sarebbero diminuite d'oltre i 46 milioni; nel Ministero delle Finanze di 9 e più milioni; in quello dell'Interno di l milione; e via dicendo sino a un totale di 100 milioni di franchi; chè cotesta è la cifra delle economie che il ministro delle Finanze, nella relazione che precede il decreto per l'imprestito di 150 milioni il quale avverrà li 6 del corrente, vanta di aver realizzate. I giornali ministeriali e i ministri medesimi affermano che il problema sia vinto e che non si debba della riuscita sicura e diffinitiva più dubitare. Sendo, dalle radicali economie, ridotto a poca cosa il deficit dell'attuale bilancio, nel prossimo, mercè di alcune leggi che verranno proposte alle Camere per aumentare gli introiti, il sognato pareggio sarebbe finalmente raggiunto. Ma per giudicarne, signor ministro, conviene aspettare di aver sott'occhio l'insieme di tutte le economie e di conoscere completamente il piano finanziario del signor Ruiz Gomez; nè sarà prudenza eccessiva l'andare a rilento ancora un poco nel dividere una tanta fiducia; e le discussioni che avverranno in Parlamento sole potranno essere base di criterio ed apprezzamento che non sia nè troppo severo, nè troppo credulo.
Il signor Zorrilla, oltre il pareggio -e che si raggiunga non è più fede, ma certezza in lui -afferma che la crisi ultima e la rottura della conciliazione dei partiti dinastici avrà recato un altro principale beneficio al paese: la formazione di due grandi partiti parlamentari. Egli si è compiaciuto discorrerne varie volte con me e mi conceda V. E. ch'io Le ripeta i più importanti argomenti che mi addusse per dimostrare come, nella prossima sessione del Parlamento, le forze dei partiti si presenteranno meglio divise, più compatte in due campi distinti, e quali sieno i vantaggi che ne saranno per risultare.
Egli è fuor di dubbio -mi diceva -che la conciliazione dei partiti fu necessaria per instaurare la nuova Dinastia e che il primo Ministero di Re Amedeo dovette, pertanto, riflettere questa conciliazione. La quale fu per due volte necessaria nei due periodi di lotta, e difesa della libertà, prima, e poi del trono. Ma giova considerare che se in molte cose il Governo della • Libertà conquistata • -cioè della rivoluzione o dell'interinato -non ebbe nè quella energia nè quella risoluzione che gli sarebbero state essenziali per condurre in atto le grandi riforme anelate e che se in molta parte l'opera della rivoluzione non fu compìta e rimasero molte antiche magagne e abusi di un passato corrotto, si fu che i partiti della medesima rivoluzione, uniti nel di della lotta, erano nell'applicazione da doversi dare alla vittoria separati profondamente; ed avvenne quel fatto naturale che due forze uguali cozzantesi in sensi opposti producono l'inazione. Lo stesso è avvenuto nei primi tempi del regno di Sua Maestà. E siccome a difendere ed affermare i trionfi della rivoluzione si dovette mantenere, a costo di ogni sacrificio, la conciliazione dei partiti radicale e conservatore, così la si è dovuta mantenere di tutt'i partiti dinastici a difendere e ad affermare i primordi del nuovo regno.
Ma egli è nondimeno cosa certa che se quella conciliazione aveva come sistema difensivo condizioni che furono un tempo di imperiosa utilità, ella come sistema di azione e di iniziativa di governo era dannosissma e pericolosa quando protratta oltre i limiti necessari.
• Tutto è mutato nel Palazzo Reale; ma nello Stato e nel Paese niente • era la voce dell'universale. E siccome questo popolo è privo del sentimento delle proprie piaghe, onde le crede quasi per instantaneo miracolo sanabili, e però gli manca quella costanza e pertinacia che altre nazioni hanno avute nel rifarsi, così molto e troppo chiede ai governanti; e il passato Ministero, pel suo vizio organico, privo d'iniziativa, di energia e di continuità di propositi, dava largo
argomento alle doglianze e alla generale sfiducia che potevano, durando, ridondare a danno del trono medesimo. Valgono meglio, con questa nazione, sbagli ed errori, che si possono addebitare a un partito, che l'inazione e quel tentennare fra diverse vie senza presceglierne alcuna. La conciliazione non era dunque più una forza, ma grave debolezza dacchè nissun pericolo incalzante, e comune pei partiti, imponeva alla coscienza di tutti di doverla ad ogni costo conservare, ed anzi nella coscienza di tutti stava che dovesse finire, era intollerabile, e ostacolo all'avviamento pacato e regolare dello Stato. Quella debolezza del governo della conciliazione era tale da far sì che continuassero frazioni ed uomini politici esitanti ad entrare nella legalità perchè dubbiosi se la legalità esistente avrebbe potuto così durare. Il partito conservatore, sformato del tutto, continuava in quella estrema divisione che non si lascia intendere nè definire; la confusione stava dovunque nel governo e nei partiti, e invece di una lotta legale e parlamentare fra aspirazioni e principii diversi, era un accendersi di odii personali, di sospetti e anche d'intrighi anti-costituzionali, che poi scoppiarono durante 'la crisi con tanto maggior impeto quanto fu maggiore e più lungo il ritegno e la violenza sofferta. Affogate, assieme, mercè della conciliazione, le idee che non possono vivere se non combattendosi, invece giganteggiavano più che mai le personalità, quel grande malanno della politica spagnuola. E qui, il ministro mi disse un pensiero scritto da un il\l.ustre pubblicista italiano con questi termini: • La politica, senza idea che la guidi, era diventata l'egoismo di ognuno di coloro i quali vi s'ingeriscono •.
Sin dalla prima seduta in cui si presentò il nuovo Gabinetto omogeneo dinnanzi alle Camere fu avvertito il mutamento che s'iniziava. I conservatori già si schieravano più compatti; il signor Rios Rosas tornava con solenne dichiarazione nelle file unioniste daUe quali si era coi suoi amici allontanato; il partito conservatore, infine, prov,ando l'imperiosa necessità della lotta e della difesa, e ubbedendo all'istinto della propria conservazione come partito, per impedire una sua fatale decadenza, accennava già chiaramente a ricostituirsi tutto intero nella legalità. Nel prossimo ottobre la Camera sarà, pertanto, divisa in due grandi partiti ambidue dinastici, onde la Corona, qualunque sieno le vicende parlamentari, potrà, oramai, con sicuro criterio esercitare l'alto suo mandato costituzionale. • Nissuno più di me -mi soggiungeva il signor Zorrilla -volle e combattette per la conciliazione quando ell'era necessaria, nis-suno si provò maggiormente di farla verace e non apparente, e di ravvicinare gli animi ad operare quella fusione, tentata invano. Ma era voler unire elementi che per loro natuva rifuggono perennemente dal fondersi e mescolarsi assieme. La separazione dei due campi politici raggiunge per altra via e in modo diverso lo stesso effetto, e l'opera, nella quale fui gran parte, di terminare la confusione e il caos, è -ne ho la coscienza -il massimo servigio ch'io potessi rendere .al re; egli, moderatore ed esecutore delle volontà nazionali, terrà nella mano la bilancia dei partiti, e potrà sicuramente giudicare da qual parte cada il peso della pubblica opinione. A fronte del partito più liberale si accamperà il più conservatore con Serrano, Topete, Rios-Rosas e gli altri capi; ma ambidue i partiti con pensieri fissi, precisi, programmi chiari di governo, con un ideale ~politico. Però sono io che ho formato il partito conservatore •.
E continuò con queste altre parole: • La devozione e mio affetto immenso pel mio re io li pongo anche quasi al disopra di quelli pel mio paese e certo al disopra dei miei doveri o degli interessi del mio partito. Operando come ho fatto, vi accerto soil.ennemente che fu mia unica guida e mio primo pensiero la promessa data aZ re d'Italia. Quando il mio re mi dirà: voglio un ministero conservatore, sarò io medesimo che cercherò questo ministero per cedergli il posto •.
Ma qualunque sia l'apprezz,amento che dei fatti occorsi e delle spiegazioni del presidente del Consiglio si possa fare (e anche Progressisti, non convinti, continuano a deplorare la rottura della conciliazione come prematura) egli è nondimeno cosa sicura che andarono errati sulle condizioni attuali dei partiti politici in !spagna quanti hanno creduto che sarebbe stata miglior sorte se al Ministero misto avesse succeduto un Ministero conservatore. E perchè si fosse potuto formare avrebbe fatto mestiere che un vero partito conservatore esistesse nelle Camere; ma l'unione liberale è scissa e divisa; e mentre una frazione d'essa, chiamata • Mori di frontiera • sono dinastici, altri unionisti sono alfonsini, altri montpensieristi, ed altri infine, che si danno nome di indipendenti, sono quella gente timida e paurosa che non sa decidersi e rifugge sempre dalle azioni che impongono una qualunque responsabilità.
Perciò fu vera e leale la dichiarazione fatta al re dal generale Serrano quando gli riuscì impossibile di ricomporre un Gabinetto di conciil.iazione, essere egli pronto a formare un ministero puro unionista, ma non poter rispondere delle conseguenze, perchè si dovrebbe imporre con la forza.
Ho creduto mio dovere di rivolgerle, signor cavaliere, questo mio rapporto, oggi che i fatti della crisi sono tanto lontani che si possono meglio giudicare per essere calmate le violenze reciproche delle due parti; ma non tanto 'lontani che quanto ho l'onore di riferire a V. E. possa sembrar solamente una digressione retrospettiva: della ultima crisi gli effetti non sono provati ancora, e il conoscere l'origine delle cose e le loro ragioni potrà forse servire ad apprezzare i risultamenti, qualunque sieno per essere, che non si verificheranno prima di un mese.
Opera cui lavora adesso il Ministero, dall'esito della quale dipendono per molta parte le sue sorti nel Parlamento, è l'assicurarsi di quella frazione del partito progressista, che, duce il Sagasta, si mostrò contraria alla rottura della conciliazione. Cotesta è la missione del Zorrilla medesimo; nè cessano le lettere e gli amici comuni dal mantener vivi i rapporti fra costui, capo dei progressisti e quegli capo dei progressisti più conservatori.
In un paese, dove le cose della politica sono soggette al,le più repenti e meno prevedute mutazioni, sarebbe azzardoso di asserire quale sarà l'attitudine della frazione • Sagastina •; ma se è lecito giudicare dalle dichiarazioni del signor Sagasta, dalle necessità della sua posizione personale, dalla obbligazione morale che ·avrà la parte meno numerosa del partito di non scindersi dalla maggioranza di esso, si può credere che il presidente del Consiglio non sarà deluso nella sua fede e che avrà avuto ragione di asserire che • Sagasta ed io saremo i capi del partito liberale di fronte ai conservatori •. Al signor Sagasta si vorrebbe dare la Presidenza della Camera dei Deputati.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1636. Parigi, 3 settembre 1871 (per. il 7).
Il laborioso processo cominciato il 7 agosto scorso nanti il 3o Consiglio di guerra sedente a Versaglia contro 18 membri del Comune insurrezionale di Parigi giunse ier sera al suo termine. Dopo una deliberazione che durò piene dodici ore, il Consiglio cui erano stati sottomessi più di cinquecento quesiti pronunciò la sua sentenza che fu letta pubblicamente dal presidente, gli accusati non essendo però presenti.
Il Consiglio di guerra non ammise il capo d'accusa di complicità negli assassinì e negl'incendi che a carico dei nominati Ferré, Urbain e Trinquet. Esso pronunciò la pena di morte contro Ferré e Lullier, quella dei lavori forzati a perpetuità contro Urbain e Trinquet, la deportazione in un luogo fortificato contro sette accussati, la deportazione semplice contro due. Due accusati, i nominati Descamps e Parent furono assolti; due condannati a pene lievissime.
L'ex-delegato alle Finanze Jourde trov,asi tra i condannati alla deportazione semplice; l'ex-delegato alle relazioni estere Pasca! Grousset tra quelli condannati alla deportazione in un luogo fortificato.
IL VICECONSOLE A TUNISI, MACHIAVELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3914. Tunisi, 4 settembre 1871, ore 7,45 (per. ore 21,45).
Porte exige envoi Constantinople haut fonctionnaire Tunis pour s'entendre sur l'avenir de la régence, Bey n'osant pas refuser fera partir après demain général Kéredine pour connaìtre intentions de la Porte. Bey me demande lettre d'introduction pour ministre du roi Constantinople et prie V. E. d'écrire à ce dernier de venir en aide a son envoyé le cas échéant.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 12. Vienna, 5 settembre 1871 (per. l' 8).
Siccome Le annunciava nel mio precedente rapporto delli 28 agosto u. s.
n. 10 (2), Sua Maestà l'Imperatore parte oggi per recarsi ad incontrare l'Imperatore di Germania a Salisburgo. Il Conte di Beust ed i Presidenti del Consiglio
delle due parti della Monarchia accompagnano il Sovrano. Pareva dapprima deciso che il Conte di Andrassy solo sarebbesi recato ad ossequiare l'Imperatore Guglielmo, ma venne poscia deciso che il Conte di Hohenwart pure si recherebbe a Salisburgo. Dicesi generalmente che tale determinazione sia stata la conseguenza di un puntiglio di amor proprio del Presidente del Consiglio Cisleitano. La quistione non avrebbe in se grande importanza se non venisse a dar peso alla voce che corre in taluni circoli abbastanza bene informati; che cioè a Gastein, ad iniziativa della Prussia si sii concertato coll'Austria un assieme di provvedimenti difensivi contro la minacciante azione dell'Internazionale, provvedimenti a cui i Presidenti del Consiglio delle due parti della Monarchia sarebbero ora chiamati a dare la loro sanzione. Ciò fatto, sempre stando alla voce in giro, le due Corti Imperiali sottoporrebbero alle altre di Europa l'accordo fra esse convenuto onde attenervi le loro adesioni.
Non do, per conto mio, gran peso a questa diceria, ma fra le molte che si fanno di questi giorni sui Convegni di Ischl, Gastein e Salisburgo, ho ciò nondimeno creduto opportuno farne cenno all'E. V., non però senza soggiungerle essere opinione mia che nei convegni sopranominati non si venne ad accordo pratico e di importanza per il presente, né per l'avvenire su nessuna delle grandi quistioni che interessano l'Europa.
Capirei un'alleanza fra le due Corti per uno scopo immediato, ma questo manca, in quanto ad una alleanza per uno scopo eventuale, non la trovo ammissibile; troppa è la non del tutto ingiusta diffidenza degli Asburgo per gli Hohenzollern, e d'altra parte troppo poco è il conto che in Prussia si ha della forza della Monarchia Austro-Ungarica, tanto a riguardo della sua costituzione interna come della potenza del suo esercito, per poter credere che essa faccia assegno su di lei per un'azione comune a compiersi in un tempo di là da venire. D'altronde, checché se ne dica, rotto l'antico patto federativo Germanico, l'Austria e la Prussia, non solo non hanno più un interesse comune, ma anzi tanto ad Oriente quanto ad Occidente, opino gli abbiano quasi tutti contrarj.
n sognar poi che tra le due Corti si siano gettate le basi di una nuova specie di Santa Alleanza, qualunque possa esserne lo scopo, parmi ciò un assurdo il supporlo.
Conseguentemente a questi miei apprezzamenti che mi permetto sottoporre all'E. V., sino a più precise informazioni in contrario, è mia opinione che il risultato del recente incontro dei Sovrani di Austria-Ungheria e di Germania, sarà uno stadio di relazioni abbastanza cordiali fra i due paesi, che durerà quanto potrà, ma che intanto eserciterà salutare influenza sul regolare andamento degli affari interni dei due stati interessati non solo, ma pure della rimanente Europa. Dedurne altre conseguenze sarebbe a mio avviso fuor di proposito.
(l) Cfr. n. 90.
L'INCARICATO D'AFFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 872. Berlino, 5 settembre 1871 (per. il 9).
In questi giorni l'Agenzia Wolff pubblicò un telegramma nel quale era riferito in poche parole un articolo della Opinione, che smentiva la notizia secondo cui il R. Governo aveva aderito ai supposti accordi presi a Gastein fra la Germania e l'Austria. Questi giornali espressero la sfavorevole impressione prodotta in Germania dalla premura da noi dimostrata a respingere una versione, che avrebbe provato una grande intimità di relazioni fra l'Italia ed il nuovo Impero. In una conversazione che ebbi stamane con il Segretario di Stato, ho potuto convincermi invece che, in questi circoli ufficiali, i rapporti ricevuti dall'Italia insieme ~al testo dell'articolo in discorso non avevano punto prodotto una tale impressione. Il Signor de Thile mi aveva già assicurato, come ebbi l'onore di riferirlo all'E. V., che a Gastein non vi era stata veruna stipulazione propriamente detta: non trovava quindi strano che da parte nostra si asserisse di non aver avuto l'occasione di aderire o meno ad accordi presi in quell'incontro.
Ebbi la conferma al tempo stesso che al nuovo convegno dei due Imperatori che avrà luogo quanto prima a Salzburg, oltre ai due Cancellieri Imperiali, interverrebbero pure il Conte Andrassy ed il Conte di Hohenwart. È fuor di dubbio che una ta,le circostanza conferma ed aumenta il carattere di intimità fra i due Imperi, e toglie le ultime ombre del quadro che presentano i due convegni dei Sovrani. Il Segretario di Stato però stimava che a Salzburg non si andrebbe più oltre di quello che si fece a Gastein, e che si rimarrebbe nei limiti di uno scambio di idee, quale risulta dalla circolare del Principe di Bismarck, di cui ebbi a parlare nel rapporto Politico N. 870 del 29 agosto ultimo (1). Dalle parole dettemi dal Signor de Thile, deduco che, se una quistione speciale formerà oggetto di trattative a Salzburg, la Società l'Internazionale ne fornirà l'argomento: il mio interlocutore non aveva notizia alcuna di una proposta di conferenza generale in proposito, cui accennano ora i giornali: non sarebbe però a stupire che una siffatta proposta uscisse dal prossimo convegno, malgrado la ripugnanza che forse proverebbe il Governo francese a prender posto in una riunione Europea accanto a quello dell'Impero Germanico.
Noterò un ultimo punto della conversazione che ebbi stamane. All'incontro dell'opinione alquanto accreditata che attribuirebbe al Governo Russo un certo risentimento e malumore per l'intimità stabilitasi fra i Gabinetti di Vienna e di Berlino, S. E. mi disse che lo Tsar aveva fatto esprimere la sua soddisfazione per il riavvicinamento e la riconciliazione fra i medesimi avvenuta, e la sua ferma ed inalterata fiducia nella amicizia e nella lealtà dell'Imperatore Guglielmo. Lo Tsarewitch da parte sua avrebbe dimostrato di nutrire sentimenti assai diversi di quelli che gli si vogliono attribuire siccome sfavorevoli alla Germania.
(l) Cfr. n. 91.
L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 29. Madrid, 6 settembre 1871 (per. il 12).
Da vario tempo si è nuovamente vociferato che Bande Carliste non tarderanno a tener la campagna. Siccome coteste agitazioni già sonosi tante volte ripetute senza che alle minaccie seguisse poi lo scoppio della insurrezione, così non ho creduto di doverne informare l'E. V. prima di sapere dal Governo medesimo che caso egli abbia fatto di quelle voci.
Sui moti Carlisti nulla può dirsi di certo mentre non vanno quei partigiani oltre le minaccie; fanno molti apparecchi, spediscono messi, si esercitano misteriosamente alle armi, introducono dai confini convogli di fucili -e in modo che dalle Autorità possano essere sorpresi -e basta loro di aver così provato al Pretendente che i danari da lui somministrati servirono alla causa, ma che le occasioni erano contrarie.
Sembra, pertanto, che cotesto sistema d'agitarsi abbia troppo invecchiato nell'uso, e che Don Carlos esiga adesso migliori prove del modo come sia, da quelli ch'egli paga così caro servito; onde il Governo invigila con maggiore attività e provvede perché sia la ribellione, scoppiata appena, prontamente accerchiata e soffocata. Ma che cotesta insurrezione carlista, seppure avviene, non sarà che una commedia, lo provano le misure militari del Ministero della Guerra: gli eserciti che sono destinati a perseguitare i faziosi si comporranno cadauno di una sola Compagnia.
Ad ogni modo, i mestatori principali -se veramente si decideranno di mandare a morte alcuni miseri contadini esaltati dalle predicazioni ed incitazioni di un qualche parroco fanatico ed ignorante, avranno ottenuto lo scopo loro, quello cioè, di dare un pretesto e un colore alle ruberie di cui fanno vittima il loro padrone.
Le notizie sull'imprestito dei 130 milioni sono ottime; in Madrid la sottoscrizione fu coperta al di là d'ogni speranza; non sono ancora venute le informazioni sul risultato fuori di Spagna; ma già può dirsi che l'ammontare delle sottoscrizioni giungerà al doppio della somma richiesta. Io mi farò un dovere di rivolgerLe, Signor Cavaliere, maggiori e più particolareggiati dettagli appena li avrò ricevuti dalla cortesia del Signor Bauer, nostro Console Generale e che nella sua qualità di Rappresentante della Casa Rothschild ebbe gran parte nell'esito di quest'imprestito.
L'importanza del fatto non sarà per isfuggire all'E. V. e lo dinotano chiaramente le seguenti parole che ho udite pronunciare ad uno dei Deputati più influenti del partito repubblicano, il quale, a chi gli diceva essere la riuscita così bella dell'imprestito un trionfo pel Ministero, rispose negandolo, ed aggiunse: • è un trionfo del Re •. Così è diffatti: l'ammirevole condotta politica di Sua Maestà ha prodotto un tale effetto, e la fiducia inspirata al Capitale ha una eloquenza che i nimici stessi debbono, se onesti, confessare.
IL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, CAVALCHINI GAROFOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 60. Rio de Janeiro, 6 settembre 1871 (per. il 4 ottobre).
Nei quindici mesi che passai in aspettativa in Italia lusingandomi di non più rivedere queste inospitali sponde dell'Oceano Americano, trascurai di occuparmi delle questioni di questo paese, ed i bianchi ed i neri, e le invidie dei partiti e quasi dirò gli stessi uomini di qui mi erano passati di mente. L'E. V. troverà son certo scusabile questa mia dimenticanza delle cose Brasiliane riflettendo che nel tempo che passai in Europa mille e cento avvenimenti successero e di siffatta importanza sia come Italiano sia come appartenente alla gran famiglia Europea che i fatti dell'Impero Brasiliano non potevano francamente interessare. Ma avendo l'E. V. voluto nuovamente affidarmi questa Missione mi trovo in dovere di rioccuparmi delle vicende Americane e specialmente di quelle di quest'Impero, le quali a parer mio hanno preso una via che meritano di essere studiate e che non mancano di certa gravità specialmente per noi Italiani che abbiamo in questa parte del Sud America interessi che tendono giornalmente al progresso. Nel mio ultimo dispaccio n. 59 del 23 Agosto ultimo (1), scritto quasi appena qui giunto, feci cenno a V. E. delle due questioni che si trovano all'ordine del giorno, cioè la legge che riforma lo stato degli schiavi, e la missione che si affidava al Barone di Cotegipe nella Repubblica del Plata. La legge sulla schiavitù ottenne un completo trionfo nel,la Camera dei Deputati ove l'opposizione si mostrò ardita, loquace, ma non potente, con che il progetto del Ministero ebbe una maggioranza grandissima. Ora si trova in discussione nel Senato e già jeri si ebbe un bel discorso di opposizione liberale da parte dell'ex Presidente dell'ultimo Gabinetto di questo partito Signor Zacharia, il quale censurò il progetto perché rimanda troppo in lungo la risoluzione della libertà dell'uomo, ma nel terminare dichiarò che essendo pur sempre una riforma in senso liberale avrebbe votato in favore del progetto. Così il primo ostacolo venne guadagnato dal Ministero, il partito liberale accetta la legge. Rimane l'opposizione del partito ultra conservatore il quale è piccolissimo nel Senato e non potrà che prolungare la discussione, ma non porre in pericolo l'accettazione della legge. Il progetto del Ministero accettato dalla Camera e presentato al Senato non è tale quale si desiderava dai liberali, giacché non rimane libero che il frutto della schiava, perciò le donne nate in oggi cioè prima della promulgazione della legge rimangono schiave ed i loro figliuoli saranno liberi solo all'età di 21 anno, in tal modo il Brasile avrà ancora degli schiavi fra 50 anni. Qui unito rimetto a V. E. copia di questa futura legge, presa nel giornale ufficiale di oggi, pubblicata senza fallo coll'intento di produrre effetto in Europa e far accogliere l'Imperatore con maggior simpatia nei nostri paesi civili.
Il Barone di Cotegipe partì avant'jeri per Montevideo. Volli conoscere il vero oggetto del suo viaggio, ma non mi fu fatto di esserne certo. Però, lascian
do da parte l'opinione di molti che questa Missione gli sia stata data per ricompensarlo della ~;ua condiscendenza per questo Gabinetto e così ristorare un po' la sua fortuna alquanto compromessa sebbene ancora vistosa, io credo che questa Missione, oltre come dissi nel mio ultimo dispaccio, di aver per oggetto il definitivo trattato di pace col Paraguay, ha pure per iscopo di formare in Montevideo un partito favorevole all'Impero. Il Barone di Cotegipe è forse l'unico uomo del Brasile che possa attirare a sè simpatie e la scelta non poteva essere migliore.
Come già accennai il Brasile non dispera di annettersi in un tempo più o meno remoto la Repubblica Orientale, la quale nella lotta dei partiti giornalmente si rende vie più impotente, perciò in questo momento che il partito bianco in Montevideo si trova depresso dai rossi il Brasile potrebbe ottenere vantaggi nel primo partito, e con speranze e lusinghe attirarselo a se, come già operò col partito coLorado nel 1864. L'odio di razza tra gli Orientali ed i Brasiliani è grande ma la stanchezza delle lotte tra le varie frazioni, finirà per rendere la Repubblica Orientale se non Provincia dell'Impero, almeno in realtà vassalla del medesimo.
Io credo di chiamare l'attenzione di V. E. su questo punto, giacché la conseguenza di una influenza Brasiliana .troppo grande in Montevideo potrebbe essere nocevole per gli interessi italiani in quelle contrade.
Su questo soggetto fisserò specialmente la mia attenzione e renderò l'E. V. informata di tutto ciò che mi parrà meritare che sia da Lei conosciuto.
Una legge che venne ultimamente approvata e già sancita è quella della Riforma Giudiziaria ma non trovandomi per ora in grado di apprezzarla mi riservo di trattenerne in seguito l'E. V.
(l) Non pubblicato.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3917. Costantinopoli, 7 settembre 1871, ore 17,50 (per. ore 21,35).
Mahmoud pacha jusqu'ici ministre de marine vient d'etre nommé grand vizir. Ce choix est dù surtout à la faveur dont il jouit en ce moment près du sultan.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. RISERVATISSIMA 3413. Roma, 7 settembre 1871 (per. il 9).
Credo opportuno di far noto all'E. V. come da lettera sequestrata al Cafiero, principale agitatore dell'associazione internazionale fra gli operai in Napoli, resulti che pel 17 corrente sia stabilita in Londra un'adunanza privata dei rappresentanti le varie sezioni di quella Consociazione.
Uno dei fratelli Gambuzzi era desiderato come rappresentante la Sezione di Napoli e l'indirizzo del Segretario Corrispondente per l'Italia, presso il Consiglio Generale in Londra è il seguente
Mr. F. Engels 122 Regents Park Road N. N. Le lettere dirette al medesimo erano per suggestione dello stesso Engels rivolte a Miss Burns 122 Regent's Park. Delle investigazioni che l'E. V. avrà creduto di far praticare a tale riguardo, gradirò di avere qualche cenno dalla nota sollecitudine dell'E. V. (1).
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1640. Parigi, 7 settembre 1871 (per. il 10).
Accusando ricevuta del dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 24 agosto scorso (2) e che si riferisce alla giurisdizione consolare in Tripoli ho l'onore d'informare l'E. V. che ho avuto oggi in proposito una conversazione col Signor di Remusat a cui ho esposto il contenuto del dispaccio stesso.
Il Signor di Remusat sembrò rendersi perfettamente ragione de' motivi che consigliano al Governo del Re di proporre le debite riserve non solo per l'Egitto, ma anche per Tunisi e mi ha impegnato a dirigergli una nota in proposito, !asciandomi comprendere che il Governo Francese non sarebbe alieno dall'associarsi alle due riserve.
Avrò cura di dirigere al Signor di Remusat questa nota, e se la sua risposta, come pare probabile, sarà nel senso del dispaccio dell'E. V., vi sarà luogo, suppongo, al mantenimento della proposta da Lei fatta precedentemente. Ad ogni modo mi farò premura di trasmettere all'E. V. la risposta del Signor di Remusat appena l'avrò ricevuta.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. RISERVATA 3400. Roma, 8 settembre 1871 (per. il 9).
Riscontrando alla nota a margine indicata (3), nel mentre La ringrazio della favoritami comunicazione, mi affretto a significarle che, dietro quanto ha riferito il R. Incaricato d'Affari a Londra, circa le difficoltà che incontrerebbe un servizio di speciale sorveglianza in detta città, e sulle spese che all'uopo
si dovrebbero incontrare, stimo opportuno di ricorrere all'espediente di ricercare se alle volte possa esservi qualcuno fra i funzionari attualmente in servizio, che possa inviarsi colà allo scopo di cui si tratta, onde mi riservo di prendere in proposito ulteriori determinazioni.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 131. Therapia, 8 settembre 1871 (per. il 15).
Le tristi previsioni di cui fu mio debito di far precedentemente parte all'E.
V. sullo stato precario di salute in cui versava da qualche tempo Sua Altezza Aali Pacha, ebbero testé malauguratamente a verificarsi.
Con mio telegramma delli 6 corrente (l) io annunziai a V. E. che il Gran Vizir aveva cessato di vivere alle ore 4 e 1/2 del giorno stesso; egli soccombé ad un complicato malore tubercolare.
Nella giornata di ieri furono resi gli estremi onori all'illustre estinto. Non è negli usi religiosi del paese che i Capi missione od i forastieri in generale siano richiesti a convenire a tali cerimonie. Per deferenza però alla memoria di illustri personaggi dell'Impero, le Legazioni v'inviano a far atto di presenza, come si fece in questa circostanza, il Primo Interprete o qualche Membro delle rispettive Missioni.
Alla conferma dolorosa della notizia è appena d'uopo che io aggiunga che la perdita dell'eminente Uomo di Stato è vivamente sentita nell'Impero siccome essa sarà motivo a ben giustificato rimpianto all'estero. La gravità di tale irreparabile perdita non può non essere tanto più risentita in appresso.
La scelta fra i numerosi aspiranti al Gran Viziriato, quali Mustafà Fazyl, Kiamil Pacha, Mehemed Ruschdi Pacha, Mahmoud Pacha, non si fece attendere -nella giornata stessa di ieri per ordinanza espressa del Sultano così tosto formolata che messa fuori, l'ultimo di codesti personaggi venne investito dell'alta carica in discorso. Anche di tale notizia mi affrettai, come era mio dovere, di rendere consapevole V. E. col mio telegramma di ieri (2).
Mahmoud Pacha fu fin qui Ministro della Marina. Sua Maestà Imperiale ha particolar predilezione per tutto che ha tratto alla Marineria militare; nello Stato Maggiore di essa fece iscrivere, fa qualche tempo, uno dei proprii figliuoli, a cui il Ministro stesso aveva ordine di dar quotidiane cure -quindi l'occasione ad esso di acquistare maggior dimestichezza in Palazzo e di poter entrar molto avanti nelle grazie del Sultano -locché gli valse specialmente l'• Hatt • Imperiale che lo eleva alla suprema carica Viziriale, senza che possa dirsi però fino a quando, col perdurar in favore, si manterrà in essa.
Il nuovo Gran Vizir ha nome di uomo accorto non solo, ma alieno per carattere da avventate decisioni; benchè ignaro degli idioma e dei paesi d'occidente fu in qualche contatto cogli uomini di esso, all'epoca in cui, anni addietro, resse per più mesi il Ministero degli Esteri.
Si attende intanto la necessaria disposizione che provegga di titolare, il Ministero stesso degli Esteri che continua ad essere interinalmente retto da Server Effendi. Si parla per tale officio più che d'altri di Djemil Pacha attuale Ambasciatore a Versaglia.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI
D. 15. Roma, 9 settembre 1871.
La ringrazio dell'avviso datomi relativo al viaggio che S. M. la Regina dei Paesi Bassi è in procinto di fare in !svizzera ed in Italia sotto il nome di contessa di Buren.
Sarà mia cura di avvisare in tempo le autorità doganali e quelle altre che debbono aver cognizione del viaggio della M. S. per facilitarlo in tutto ciò che è possibile.
V. S. Illustrissima suppone che io abbia già ricevuto qualche avviso in proposito dal signor Heldewier. Ciò non è. Questo rappresentante neerlandese è partito in congedo nei primi giorni di luglio dopo di aver fatto una breve apparizione in Roma durante il soggiorno del Re in questa capitale. Mentre egli è assente il Ministro del Belgio è stato incaricato del disbrigo degli affari olandesi in Italia, ma anche il signor Solvyns è assente da Roma nè sembra voler per ora lasciare la villa del Lago Maggiore dove è andato a passare la stagione estiva.
Le accenno tutte queste circostanze, signor Ministro, perchè mentre il rappresentante dell'Olanda presso il regno d'Italia è assente mi si dice che quello che rappresenta i Paesi Bassi al Vaticano non si è mosso da Roma. Io ignoro di questo signore persino il nome, ma la sua presenza m'è nota non foss'altro dalla recente narrazione, fatta dall'Osservatore Romano, della udienza in cui il corpo diplomatico, accreditato presso la S. Sede, ha presentato i suoi auguri a Sua Santità.
Dalle cose esposte V. S. ha già tirato probabilmente la conseguenza che spontaneamente si affaccia a tutti. Se il Governo olandese non pensa in tempo a mandare il signor Heldewier a Roma perchè vi si trovi al momento in cui arriverà la regina Sofia, sarà qui a riceverla ed a farle scorta un diplomatico con cui il Governo italiano non ha rapporti. Non mancherebbe certamente di produrre una spiacevole impressione al nostro paese il vedere che ad accompagnare la Regina dei Paesi Bassi nella capitale del Regno sia stato prescelto appunto il diplomatico che è accreditato presso la S. Sede ed è cosa sommamente rincrescevole che tale impressione possa prodursi in occasione del viaggio
di una Principessa di tanto ingegno che ha sempre professato vivissime simpatie per la causa nostra.
Questo mio dispaccio deve avere un carattere affatto confidenziale. Io desidero ch'Ella faccia sue le mie osservazioni ripetendole a codesto signor Ministro degli Affari Esteri acciocchè questi non possa in qualunque caso allegare dimenticanza od inavvertenza in un affare che anche all'Olanda conviene sia convenientemente regolato.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
D. 337. Roma, 9 settembre 1871.
La ringrazio di avermi segnalato per telegrafo le disposizioni più favorevoli che Ella ha trovato presso il Signor de Remusat per ammettere anche per Tunisi le riserve colle quali noi abbiamo proposto di accompagnare la firma del protocollo relativo alla giurisdizione consolare a Tripoli di Barberia. Il nostro intento sarà sufficientemente raggiunto quando sia confermata la esistenza di una identità di vedute fra l'Italia e la Francia intorno a quel punto di questione.
In ordine alla sottoscrizione del protocollo presentato dalla Turchia, il Governo inglese ci ha fatto sapere, per mezzo del suo rappresentante a Roma, non essere egli alieno dal rinnovare, in forma collettiva, l'impegno preso col protocollo separato firmato a Londra. Sir A. Paget ebbe istruzione di dichiararmi che l'Inghilterra nel procedere da sola alla firma di quel protocollo non ha inteso di separare la propria azione da quella degli altri Stati interessati. In un affare nel quale il Gabinetto di Londra si trovava in massima d'accordo con la Turchia, non parve a Lord Granville di poter ricusarsi ad aderire alle premurose istanze che gli faceva l'Ambasciatore Ottomano.
Naturalmente il Governo inglese, allo stato attuale delle cose, desidera che noi gli facciamo conoscere se intendiamo firmare un protocollo separato, oppure se continuiamo a dare la preferenza ad un atto collettivo sottoscritto dalle quattro potenze.
Prima di dare una risposta a Londra, io desidero che V. S. abbia una conversazione con il Signor de Remusat, in seguito alla quale da noi possa prendersi una risoluzione definitiva.
La questione di massima, non poneva più dubbio neppure per la Francia che ci faceva sapere, sino dalle prime comunicazioni scambiate, essere disposta ad ammettere per Tripoli il principio sancito nel protocollo anglo-ottomano. Le difficoltà per il Gabinetto francese si riducevano al cambiamento di qualche espressione nel preambolo ed alla opportunità di ritardare a risolvere la quistione finchè fosse composta una vertenza sorta tra il Consolato francese di Bengasi e quella Autorità locale. Se io conoscessi precisamente quali sono le espressioni che il Governo francese intende modificare, e quali modificazioni
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egli intenderebbe precisamente di proporre, potrei scrivere a Londra per chiedere se nell'atto collettivo da firmarsi dalle quattro Potenze l'Inghilterra sarebbe disposta ad accettare i cambiamenti che la Francia desidera. Ma io credo che per intendersi sovra di ciò non occorra la nostra intermissione, bastando certamente che V. S. faccia conoscere le disposizioni del Gabinetto inglese al Signor de Remusat perchè questi possa procurarsi direttamente un accordo perfetto anche sulla questione della forma da darsi al protocollo. Al quale riguardo noi non intendiamo però insistere più del dovere, bastandoci di aver potuto verificare che lo avere le Potenze agito separatamente nell'affare della giurisdizione consolare di Tripoli, non significa, per parte di alcuna di esse, un disconoscimento dell'interesse identico che esse hanno di procedere concordemente in questi affari.
Se pertanto il Signor di Remusat per una qualsiasi ragione non istimasse cosa utile il richiedere l'Inghilterra di ripetere in un atto collettivo l'impegno da Lei già assunto separatamente, ancorchè ora si sappia che Lord Granville sarebbe disposto ad aderire a tale richiesta, io La pregherei di prendere atto di questa dichiarazione facendo sentire al Ministro degli Affari Esteri di Francia che dal canto nostro apriremo trattative colla Porta sulla base della firma di un protocollo separato. Noi non potremmo, senza far credere ad un malvolere che non esiste, ritardare maggiormente le trattative aperte dalla Turchia coll'Italia sulla base sovra riferita.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3921. Costantinopoli, 9 settembre 1871, ore 20,30 (per. ore 1,15 del 10).
Server Effendi Mustechar, secrétaire général au ministère des affaires étrangères, élevé au grade de Muchir pacha, vient d'etre nommé ministre des affaires étrangères. A sa place un jeune fils d'Aalì pacha est nommé. Différentes modifications dans le Cabinet et dans le gouvernement des provinces se vérifient successivement.
L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 681/245. Londra, 9 settembre 1871 (per. il 13).
Per molte ragioni gli affari d'Italia hanno recentemente fissata in modo particolare l'attenzione dell'opinione pubblica dell'Inghilterra. Il progresso morale e materiale che tutti i corrispondenti della stampa sono unanimi nel riportare da Roma, la prossima inaugurazione della grande comu
nicazione del Cenisio, da cui tanto vantaggio ne trarrà il commercio Britannico, e la supposta partecipazione della nostra Diplomazia agli scambi d'idee che, se non altro, hanno dovuto aver luogo a Gastein e a Salzburgo sono altrettante naturalissime cause di questo fatto.
La prosperità e l'importanza che acquista ogni giorno l'Italia sono oggetto di universale soddisfazione in questo paese che ci è sinceramente simpatico ed amico. Parimente la possibilità della nostra associazione ad un accordo di vedute fra i due grandi Imperi dell'Europa Centrale, -accordo che, come già ebbi occasione di dire a V. E., !ungi dal destare qui un sentimento di diffidenza è nel contrario contemplato come una garanzia di pace -viene discusso in uno spirito favorevolissimo a noi.
Un punto grave però ha fornito in questi giorni ampia materia di commenti alla stampa Inglese cioè i rumori, veri o infondati, i quali sono in circolazione circa lo stato delle nostre relazioni colla Francia. È superfluo che io additi l'importanza che gli uomini di Stato Inglesi accordano a qualunque più piccolo fatto che a ciò si riferisca, ma qualora mancassero ancora prove a V. E. dell'interesse che l'Inghilterra vi prende, mi permetto di inviarle, Signor Cavaliere, gli articoli di fondo pubblicati dal Times ieri ed oggi e dal Daily News, potendosi questi due giornali a buon diritto considerare come gli organi più influenti della stampa di qui. La gravità di questo soggetto certamente non mancherà di produrre nuovi commenti e riflessioni ma gli articoli suddetti possono tuttavia dare una giusta idea all'E. V. del modo al quale la nostra posizione verso la Francia viene giudicata in Inghilterra.
Or è appena una settimana che a proposito della dilazione spiegata dal Governo Francese nel costruire le 10 miglia di strada ferrata fra S. Miche! et Modane, le quali devono legare la grande arteria di ferrovia Italiana che passa attraverso il Cenisio al sistema delle linee ferrate francesi, il Times fa notare che questo ritardo non si deve interamente ascrivere alle calamità dell'ultima guerra ed alle conseguenze di essa, ma sibbene alla gelosia della Francia che prevede che la strada di Brindisi sarà preferita assolutamente alla via di Marsiglia nelle comunicazioni coll'estremo Oriente.
La Francia, continua lo stesso giornale, che si era dimostrata cosi favorevole al traforo del Cenisio allorchè non prevedeva che Solferino sarebbe seguito da Sadowa, sente raffreddare il suo zelo per quella nobile impresa adesso che gli Stati Italiani sono diventati un solo Regno con una sola frontiera ed una sola linea di strada ferrata da Susa a Brindisi.
Oggi il Times poi discutendo, nell'articolo che mando a V. E., l'incidente nato a Roma inqualificabile, se esatto, che l'intervento degli Agenti della corporazione Romana presso due Conventi, collocati con qualche pretesto sotto la protezione francese, fu apposto dal Cancelliere del Conte d'Harcourt invece di un mandatario del Rappresentante accreditato presso il Governo Italiano [sic], termina con queste parole:
• Gli Ambasciatori francesi furono da gran tempo avvezzi a considerare Roma come una dipendenza della Francia, ad assumere verso il Governo locale il tuono addicentesi ad un altro protocollo. Egli è ormai tempo che si avvedano che lo stato di cose è mutato, che il Governo di Roma non è più quello di un
12 -Documenti diplomatici -Serie li -Vol. ill
vecchio Pontefice dipendente dalla Francia per l'unico suo soffio di vita, ma quello di una giovane Nazione piena di aspirazioni, compresa di quanto deve alla sua propria dignità, avente titolo e probabilmente anche la determinazione di mantenere la sua posizione indipendente e con ogni ragione di desiderare l'amicizia della Francia, opposta ad acquistarlo col sagrifizio dei suoi diritti e col compromettere il suo onore •.
IL VICE CONSOLE A TUNISI, MACHIAVELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 250. Tunisi, 9 settembre 1871 (per. il 14).
Confermo il mio telegramma in cifra, del 4 corrente (1), riassunto d'una comunicazione fattami per incarico del Bey dal Generale Elias Mussalli, 2° Direttore al Ministero degli Affari Esteri. Dissemi questi la vertenza della Gedeida ed altre aver dato luogo ad una corrispondenza molto attiva fra Costantinopoli ed il Bardo, in seguito alla quale S. A. S. aveva ricevuto perentorio invito di spedire a Costantinopoli un suo agente per intendersi colla Sublime Porta sull'avvenire della Tunisia (parole testuali del dispaccio turco); soggiungeva poi che, non osando il Bey nelle attuali circostanze resistere alla Turchia, avrebbe fatto partire il mercoledì seguente alla volta di Costantinopoli il Generale Khereddin, al solo scopo però di conoscere quali siano le idee della Porta e senza facoltà di addivenire ad un accordo qualsiasi; conchiudeva infine domandandomi di rimettere al Generale Khereddin una lettera d'introduzione pel Ministro del Re a Costantinopoli e di pregare l'E. V. di volergli impartire gli ordini opportuni, affinchè presti, occorrendo, appoggio al suddetto Generale.
Nel seguito della conversazione il Generale Elias mi manifestò la speranza, che le recenti divergenze non avessero mutati i sentimenti del Governo del Re verso la Reggenza per l'interesse che ha l'Italia che ne sia rispettata l'autonomia.
Risposi che avrei data la lettera d'introduzione pel Conte Barbolani e riferito all'E. V., secondo il desiderio del Bey.
La decisione d'inviare il Generai Khereddin a Costantinopoli fu presa, come seppi confidenzialmente da un funzionario del Bardo, in un gran consiglio, al quale intervennero i Consoli di Francia e d'Inghilterra, ed in cui pare siasi trattato da principio d'inviare a Costantinopoli Sidi Taib, uno dei fratelli del Bey, arguendosi ciò dall'aver il medesimo assistito al detto consiglio, malgrado la prammatica, che tiene qui lontani i Principi del sangue dagli affari politici.
Il fatto poi che, mentre consultavansi i consoli di Francia e d'Inghilterra, non si faceva neanche un cenno al Commendator Pinna delle esigenze della Turchia, sebbene egli si recasse al Bardo il giorno stesso che precedette la sua par
tenza, sembrami degno di esser notato in prova del sentimento di diffidenza, ond'è animato a nostro riguardo il Governo del Bey, ed a conferma del quale valgono pure le voci, sparse fra i mori aventi rapporti in corte, di progetti ostili verso la Reggenza da parte dell'Italia, a cui da molti si aggiunge ora la Prussia la quale appoggia energicamente al Bardo le pretese del Banchiere Erlanger per crediti, che la Commissione finanziaria rifiutò ammettere al passivo della Reggenza.
Fatto sta che il Console inglese, Signor Wood, coerente alle idee che ha sempre professate, si adopera anche in quest'occasione a tutt'uomo, perché il Bardo faccia buon viso alle pretese turche di alta sovranità sulla Reggenza, non rifinendo egli dal dichiarare che solo col venir riconosciuta parte integrale dell'Impero ottomano ed esser quindi compresa nella guarentigia, che l'Europa gli accorda, potrà la Tunisia trovare schermo nei conflitti colle Potenze vicine; devesi anzi al Signor Wood se il Bey accettò di deferire alla S. Porta la scelta del 5° arbitro nella questione della Gedeida con risoluzione così improvvisa che nè il Generale Khereddin, nè gli altri principali dignitari, all'infuori del Primo Ministro, furono consultati; onde malumori e perfino minaccie di dimissioni.
Il Generale Khereddin ritardata la sua partenza d'un giorno, muoveva per Costantinopoli il 7 corrente alle ore 10 a.m., prendendo imbarco sul vapore tunisino • Essad • comandato dal Vice Ammiraglio in persona.
L'E. V. troverà qui unita copia della lettera pel conte Barbolani, che ho creduto poter rimettere al prefato Generale anche senza previa autorizzazione, trattandosi d'un semplice atto di cortesia verso il Bey.
(l) Cfr. n. 97.
L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 873. Berlino, 10 settembre 1871 (per. il 14).
Siccome, pochi giorni dopo il recente convegno di Gastein il Signor de Thile aveva la compiacenza di leggermi la circolare del Principe di Bismarck che vi si riferiva, mi recai jeri a fargli visita, onde informarmi se il Cancelliere Imperiale gli aveva per avventura già dato qualche istruzione circa il modo di esprimersi relativamente al nuovo incontro dei due Imperatori a Salzburg.
Il Segretario di Stato non aveva avuto ancora veruna istruzione in proposito, e sembra che questa volta le riceverà verbalmente dal Cancelliere Imperiale, che deve giungere quanto prima a Berlino, per recarsi poi nuovamente a Varzin. La sola versione ufficiosa pertanto che continua ad aver corso, consiste nell'attribuire al convegno di Salzburg il medesimo significato che a quello di Gastein: sincera riconciliazione fra i due Governi, fondata sulla nuova situazione politica europea, conformità di idee circa le varie quistioni attuali, ed accordo morale per mantenere durevolmente la pace in Europa.
Biffatte dichiarazioni sono però assai vaghe, e mettono solo in evidenza la circostanza di fatto che, dopo i risultati decisivi dell'ultima prova tentata dalle armi francesi, l'Impero Austro-Ungherese abbandona la speranza che sino all'anno scorso aveva nudrito, di riprendere in Germania l'antica sua posizione: che una Potenza la quale volesse ora muovere contro di questa una guerra e mettere in forse lo stato di cose su cui è fondato il nuovo Impero, non potrebbe più fare assegnamento sulle antiche aspirazioni dell'Austria. È però difficile di prevedere fino a qual segno il Gabinetto di Berlino si sarà indotto ad assecondare i disegni di quello di Vienna nei futuri conflitti dei suoi interessi con quelli della Russia nelle cose d'Oriente. Il Principe di Bismarck avrebbe espresso su questo arduo punto il suo pensiero, dicendo di volersi adoperare con ogni miglior mezzo per mantenere inalterato il buon accordo con la Russia, senza però sagrificarle mai gli interessi della Germania. Le relazioni personali dello Tsar con l'Imperatore Guglielmo vi potranno in molta parte contribuire.
Da persona che a Gastein era in rapporti famigliari con alcuni degli uomini di Stato colà radunati, raccolsi che si divisava discutere nel secondo convegno, tenuto poi a Salzburg, di alcuni punti speciali sovra i quali era comune interesse stabilire un perfetto accordo. Accennasi alle difficoltà pendenti per la condotta da tenere verso la Chiesa Cattolica, la Rumenia e la Società dell'Inter
nazionale.
Sul primo punto, ammettendo che la definizione del dogma della infallibilità pontificia era tale da alterare le condizioni delle relazioni esistenti fra lo Stato e la Chiesa, i due Governi sarebbero andati intesi di prescindere dalla .considerazione di quel dogma nei loro rapporti con il clero e con i loro sud.diti cattolici. In una parte dell'Impero Austro-Ungherese l'insegnamento pubblico p. e. è a carico delle finanze dello Stato, e quindi facilmente sorgeranno .conflitti simili a quelli cui abbiamo assistito in Prussia, come il Signor Conte de Launay ebbe a riferirlo all'E. V. nel suo dispaccio politico N. 845 (1).
Quanto alla Internazionale, ho avuto già l'onore di accennare nell'ultimo rapporto politico che essa avrebbe fornito l'argomento di una discussione a Salzburg. Stando al tema che appunto in questi giorni sembra essere stato dato da svolgere ai più accreditati di questi giornali, non si tratterebbe tanto di misure repressive simili a quelle adottate altravolta a Carlsbad, quanto di risoluzioni generali ed urgenti nello stato odierno della quistione sociale. Converrebbe che i Governi mettessero dalla loro parte la classe degli operai col :soddisfarne le legittime pretese e col consacrarne nelle leggi i diritti: interessata al buon andamento della cosa pubblica, essa sarebbe ormai la sola diga efficace contro i travolgimenti sociali di cui è simbolo l'Internazionale, mentre fornisce ora un facile strumento nelle mani di chi mira a distruggere ogni ordine governativo.
Per ciò che si riferisce ai Principati Danubiani, i Gabinetti di Berlino e di Vienna converrebbero di adoperarsi entrambi onde far sì che il Principe Carlo non abbia ad abbandonare il trono. A tale oggetto si tratterebbe esclusivamente come cosa finanziaria la malaugurata quistione sorta dalle strade ferrate rumene.
A questo proposito noterò che, sino a jeri almeno, il Signor de Thile non sapeva nulla di una pretesa decisione del Governo tedesco, annunziata da questi giornali, di respingere a Bucarest una nota di quel Governo, diniegandogli, nella sua qualità di Stato vassallo, il dritto di fare delle comunicazioni dirette in via diplomatica. Sembra che il Gabinetto di S. Pietroburgo si assoderebbe ad una politica favorevole al Principe Carlo. Quantunque la Russia non abbia visto di buon occhio la riunione dei due Principati sotto un solo Sovrano, è tuttavia del maggiore interesse per essa di impedire un intervento armato della Turchia, che sarebbe la conseguenza di una rivoluzione a Bucarest.
Se realmente di queste varie quistioni si sarà trattato a Salzburg in tal senso, esse dovevano certamente venire in seconda linea, scopo essenziale della Germania essendo quello di togliere alla Francia le alleanze che questa volesse cercare per una nuova guerra. La preoccupazione che gli agenti francesi dimostrano per le voci di una adesione dell'Italia ad un supposto trattato di alleanza difensiva austro-tedesco, farebbe quasi credere a piani nascosti della Francia contro di noi. In tal caso sarebbe utile rafforzare l'opinione, che un attacco contro l'Italia verrebbe interpretato in Germania come il preludio di una nuova guerra franco-tedesca.
P. S. -Prendo la libertà di unire qui una lettera, che sarei grato all'E. V. di voler far rimettere al Signor Conte de Launay.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI
T. 1754. Roma, 15 settembre 1871, ore 13,30.
Veuillez annoncer au président de la confédération la nomination du comte Sclopis comme arbitre italien pour les affaires de l'Alabama. Je vous prie de me dire si quelque décision a été prise relativement au moment de la convocation de la commission.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI
D. 20. Roma, 16 settembre 1871.
Già con altra mia lettera mi riservai di far conoscere a V. S. Illustrissima il nome del personaggio che sarebbe stato designato da S. M. il Re siccome arbitro per la definizione degli Alabama claims. Mi pregio oggi di notificarle che S. M. si compiacque di scegliere a tale ufficio S. E. il Conte Federigo Sclopis sena
tore del Regno, Ministro di Stato. Il decreto Reale porta la data d'oggi. Il Conte Sclopis il quale copri cariche cospicue ed è insignito dell'Ordine Supremo dell'Annunziata, è certo tra i più illustri cittadini del Regno. Io ho ferma lusinga che il Governo degli Stati Uniti vorrà ravvisare nella scelta fatta da S. M. un nuovo pegno dei sentimenti coi quali il Governo del Re ha accettato il mandato affidatogli dal Trattato di Washington.
L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 875. Berlino, 16 settembre 1871 (per. il 20).
Ho letto stamane il dispaccio circolare che il mio collega austriaco aveva ricevuto dal suo governo sovra la visita restituita a Salzburg dall'Imperatore d'Austria-Ungheria a quello di Germania. Siffatto dispaccio, che porta la data del 12 corrente e di cui l'E. V. avrà senza dubbio ricevuto comunicazione, non è che una ripetizione di quanto i giornali ufficiosi dei due governi hanno ormai ripetuto a sazietà relativamente a quel convegno: non vi fu stipulazione di sorta -scambio delle reciproche idee sovra le questioni presenti e sovra quelle che l'avvenire tiene in serbo -accordo reale e completo nel modo di apprezzarle -garanzia che ne risulta per il mantenimento della pace generale.
Hanno luogo attualmente delle trattative, che costituiscono un primo risultato pratico delle conferenze tenute fra i due Cancellieri Imperiali. A Salzburg, toccando delle cose di Rumenia, il Conte di Beust faceva osservare quanto importava di togliere al conflitto sorto per le strade ferrate di quel paese ogni carattere politico, !imitandolo ad una questione puramente finanziaria: i creditori azionisti avrebbero potuto in tale intento formare un comitato il quale negoziasse direttamente col Governo rumeno per riuscire ad una transazione. n Principe di Bismarck entrava volentieri in un tale ordine di idee, ed il Conte Beust ne fece tenere parola a Bucharest, dopo di che trasmise a Berlino delle proposizioni più precise; esse formerebbero una base sulla quale il Governo del Principe Carlo sarebbe disposto a quanto pare ad entrare in trattative con un consorzio che rappresentasse la totalità dei creditori. Si erano già costituiti a Breslau ed a Berlino comitati parziali di tal genere, ed anzi il primo aveva di già fatte delle proposte a Bucharest: il Governo rumeno però esige che il comitato col quale avrà da negoziare, sia generale per la rappresentanza degli azionisti, e che il Gabinetto di Berlino ne approvi innanzi tutto la formazione e lo scopo. Il Signor de Thile ha preso questa comunicazione ad referendum, ma non può guarì esservi dubbio che essa sarà accolta.
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 260. Pietroburgo, 16 settembre 1871 (per. il 29).
Sono in grado di confermare alla E. V. l'esattezza delle informazioni ch'ebbi l'onore di esporre, senza commentarle, nel mio rapporto dei 26 agosto/ 7 settembre n. 256 (1). Debbo peraltro renderla avvertita che l'impressione prodotta qui dagli abboccamenti d'Ischl e di Gastein si è ora modificata; ed ho ragione di credere alquanto dissipata l'atmosfera di sospetti in mezzo a cui il Gabinetto di Pietroburgo serbava, con qualche rara ed eccezionale manifestazione di malumore, quell'attitudine che suolsi qualificare di expectante.
Egli era nell'ordine logico che un ravvicinamento fra la Prussia e la rivale della Russia nelle quistioni orientali inquietasse tanto quest'ultima, quanto la Francia che tende a prepararsi alleati pel dì della rivincita. II linguaggio del Signor di Westmann a questo Ambasciatore di Francia trovava adunque la sua spiegazione in quegli stessi sospetti, mantenuti vivi dal mistero che naturalmente avviluppa siffatti Convegni, e veniva ancora ad avvalorarli l'ignoranza,
o meglio forse le mostre di calcolata dubbiezza sullo stato delle cose in cui, mi si dice, che il Signor di Banneville lasciasse, ad arte, ma con dimostrazioni di simpatia, il suo Collega di Russia in Vienna a fine di meglio controllare le proprie informazioni.
Le nozioni del Governo Russo erano per conseguenza insufficienti, come me lo diceva il Generale Leftò; ed il Signor di Westmann per iscandagliare l'Ambasciatore, esprimeva verso la Francia parole pomposamente simpatiche, alle quali le presenti condizioni passive di questa Potenza attenuavano il peso.
II Consigliere di Stremoukoff, Direttore del Dipartimento Asiatico, la di cui posizione influente presso il Principe Gorchakoff non è ignota alla E. V. m'interpellò pochi giorni fa chiedendomi, in modo faceto, se l'Italia avesse preso parte ai... (affettò di non ispecificare) di Gastein. Risposi con una quistione; domandando sullo stesso tuono, quale fosse il risultato dei Convegni.
Secondo lui il risultato non avrebbe raggiunto lo scopo primitivo cui mirava la Prussia, l'influenza e gl'intendimenti del Conte di Hohenwart avendo -contrabilanciato le disposizioni del versatile Conte di Beust.
Il linguaggio del Signor di Stremoukoff non dissimulava poca simpatia verso cotesto uomo di Stato; vantava egli il programma del Conte di Hohenwart, e palesava ammirazione per i Czechi di Boemia e per l'abilità dei Meneurs che li dirigono.
In un suo rapporto al Conte di Beust di cui il mio Collega d'Austria mi offrì lettura egli osservava che le comunicazioni fatte qui dalla Legazione di Germania avevano prodotto buon effetto, e suggeriva con prudenti forme l'opportunità che l'Austria facesse una comunicazione analoga.
Finora il Barone Frankenstein non ha avuto risposta.
Tutto quanto ho avuto l'onore di partecipare alla E. V. a propo:sito dei Convegni potrà servire, se non erro, a dipingere l'impressione prodotta qui. E mi sembra che un giusto apprezzamento della situazione e dei rispettivi interessi delle Potenze spieghi, distruggendola, l'apparenza di qualche contradizione che potrebbe infirmare l'esattezza delle impressioni da me ricevute.
Ho ragioni fondate di credere che questo Gabinetto sia nel pensiero che nulla sia stato conchiuso a Gastein da poter allarmare la Russia, e si può adunque presumere la linea politica da essa seguita non sia ora per modificarsi.
(l) Non pubblicato.
IL VICE CONSOLE A TUNISI, MACHIAVELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 251. Tunisi, 16 settembre 1871 (per. il 21).
Nella comunicazione fattami dal Generale Elias Mussalli, argomento del mio rapporto precedente (1), era taciuta una circostanza importante, che cioè la Porta aveva invitato il Bey a recarsi in persona a Costantinopoli, ma egli, temendo che nella sua assenza nascessero torbidi, ovvero il Sultano gl'impedisse di ritornare a Tunisi, credè prudente seguire il consiglio datogli dal Signor di Botmiliau, di fare invece partire il Generale Khereddin, il quale è giunto felicemente in quella capitale lunedì scorso, dopo cinque giorni di navigazione. come ha per telegrafo annunziato al Bardo.
IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 89. Washington, 17 settembre 1871 (per. il 5 ottobre).
Ieri ricevetti il telegramma che l'E. V. mi fece l'onore di rivolgermi il giorno innanzi (2) per ordinarmf significassi a questo Governo la Maestà del Re avere, in conformità coll'Art. 1° del Trattato di Washington, nominato S. E. il Conte Sclopis in qualità d'arbitro al Tribunale internazionale che debbesi riunire a Ginevra per l'aggiustamento della quistione detta dell'• Alabama •. E ne diedi pronta ed officiale contezza a questo Signor Segretario di Stato.
Ricevetti per la posta il dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore d'indirizzarmi li 23 agosto (2) per confermarmi la sua adesione già comunicatami per telegrafo, alla proposta dei Governi della Gran Bretagna e degli Stati Uniti che io avessi
ad esercitare le funzioni di terzo Commissario nella Commissione dei richiami che secondo l'art. XII del predetto trattato sta per riunirsi in Washington. E prego l'E. V. d'aggradire i miei sentiti ringraziamenti per le lusinghiere espressioni che in questa circostanza si compiacque usare a mio riguardo.
IL CONSOLE A SCUTARI, PERROD, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 107. Scutari, 17 settembre 1871 (per. il 28).
Ho l'onore d'informare l'E. V. che il nuovo Governatore dell'Albania Mustafa Assim Pascià giunse in Scutari il 14 corrente mese e tosto prese le redini dell'Amministrazione. Egli fu ricevuto con giubilo dall'universale popolazione ed è sperabile che la sua presenza, essendo riuscita a tranquillare gli animi, varrà a promuovere quelle riforme e quelle opere di cui questo paese da tanto tempo negletto e trascurato ha il più urgente bisogno.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 134. Therapia, 22 settembre 1871 (per. il 30).
È a mia notizia che il nuovo Ministro Imperiale degli Affari Esteri si preoccupa in questi giorni di una questione sollevata non è guarì dal Governo della Rumenia, sul diritto di avere all'estero una Rappresentanza avente il carattere pressochè diplomatico.
Appare che l'Agente d'Allemagna a Bucharest non tralascia occasione per accentuare l'obbligo della soggezione del Governo Principesco a quello altosovrano di Costantinopoli.
L'Allemagna non solo fa chiedere, come gli altri Governi, alla Porta il voluto berat per il riconoscimento dei suoi agenti Politici in Rumania, ma l'Agente Tedesco a Bucha_rest subordina l'insediamento ufficiale d'ogni Agente Consolare nel Principato alla previa approvazione del Governo ottomano; egli di più non accetterebbe dal Ministero del Principe comunicazione qualsiasi che per poco abbia un carattere politico. Si è perciò che il Governo del Principe Carlo si decise, non è molto d'indirizzare al suo Agente a Costantinopoli una nota in cui, dopo d'avere esposto tali fatti, cerca di provare come per consuetudine ammessa da lunga data, i Principati abbiano per mezzo di agenti loro proprii, regolarmente riconosciuti, diretti rapporti diplomatici alla Porta non solo, ma cogli Esteri Governi.
Alla comunicazione che il rimpianto Aali-Pacha avea avuto di tale nota, erasi questo accontentato di rispondere in allora e pel momento in un modo evasivo, che tutti i riguardi cioè continuerebbero ad essere usati all'Agente Rumeno in questa residenza, che i rapporti internazionali della Rumania cogli Esteri Governi non mancherebbero di conservarsi regolari ed illesi laddove, al pari del Governo Alto-Sovrano, quello di Bucharest, fedele ai patti sanciti si ispirasse esso pure ai migliori principii di conciliazione e di prudenza.
Il nuovo Ministro degli Affari Esteri raccolse fra gli altri meno agevoli compiti quello di atteggiare più nettamente il contegno e gli intendimenti del Governo del Sultano di fronte alla comunicazione in discorso.
Stan d'un lato, pelle decisioni a prendersi qui, le esigenze ben chiarite della Cancelleria Imperiale Tedesca di non riconoscere comechessia altra rappresentanza pelle faccende esterne della Rumania che l'azione della Sublime Porta, e dall'altro la tema di sollevare una questione che qui si comincia a chiamar Rumena da chi ha sentore di questi particolari.
Questo Agente Rumeno par avvedersi fin d'ora di modi men riguardosi da parte della Sublime Porta. Non altrimenti che all'Agente privato del Khedive, e di qualsiasi altro Pacha Governatore di Provincia, verrebbe diniegato, da qualche tempo, ogni favore doganale al Signor Strat nonchè altre agevolezze costantemente dianzi accordategli.
Di tali tendenze il Signor Strat mi pare pel suo Governo ne sia singolarmente preoccupato. Siffatte riservate informazioni ho da buon luogo, e V. E. non mancherà averne notizia dal R. Agente a Bucharest.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 135. Therapia, 22 settembre 1871 (per. il 30).
Il Generale Tunisino Kheredin Pacha di cui annunziai precedentemente a
V. E. l'arrivo a Costantinopoli si compiacque visitarmi oggi.
S. E. nell'intrattenermi delle fasi della differenza fra il Governo del Re e quello del Bardo (i di cui particolari fui in grado di conoscere pella compiacente comunicazione mano mano fatta a questa Legazione da codesto Ministero dei documenti relativi) mi espresse il massimo desiderio del suo Governo che siffatta difficoltà venisse senza più composta a comune soddisfazione.
L'Inviato Tunisino lamentava di trovar al Governo in Turchia uomini nuovi, con cui non aveva potuto peranco interloquire efficacemente su tale questione. Fra i chiarimenti ch'egli sembrava chiamato a dare il Generale mi parve alludere in ispecie alla giustificazione eventualmente a fornirsi da lui alla Porta del rifiuto opposto già dal Bey alla scelta dell'Inviato Ottomano in Italia come quinto Arbitro -rifiuto che motivò una Nota Turca a Tunisi ch'egli qualificò di acerba assai: Il Bey cioè non accettò Photiades Bey perchè S. A.
lo aveva rifiutato di già quando la Società l'avea proposto -ma che faceva ora prova della maggior condiscendenza e di spiriti della miglior conciliazione nel promuovere e ratificare la scelta or fatta invece di quello, del personaggio Italiano ultimamente designato.
Nel serbar tutte le dovute riserve nella conversazione avuta coll'Inviato di Tunisi, non mancai di mostrarmi a lui grato della cortese deferenza usatami nell'essersi condotto a visitare la Legazione Italiana.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 116. Belgrado, 22 settembre 1871 (per. l' 1 ottobre).
Parmi potere restringermi ad inviare senza commentario a V. E. il discorso dei Reggenti quando fu aperta la Scuptcina di quest'anno.
Degli schemi di legge annunciati il solo che chiama l'attenzione è quello che si riferirà alla ferrovia: ma è mistero se alla costruzione di essa s'intenda provvedere con denari pigliati a prestito ovvero ad una società estera darne la concessione.
Il Governo serbo dichiara volere porre mente prima che ad altri oggetti alla pubblica istruzione ed all'esercito, e nell'ultima parte del discorso si dà un cenno che sembrami almeno incompleto dei risultamenti delle conferenze radunatesi in passato a Londra relativi a progetti di lavori nel Danubio, ed allato non si fa nessuna menzione dei lunghi e non fertili negoziati fra la Serbia e la Monarchia Austro-Ungarica per modificare le capitolazioni.
Dalla sessione presente non sorgerà alcun fatto che possa in qualche guisa turbare le relazioni estere del Principato, ma varrà a provare che se le leggi costituzionali non valsero ad infondere la vita costituzionale, almeno non furono da alcun partito o da alcuna persona più intraprendente ed energica presi come arma atta a disturbare la pace interna dello Stato.
Le dichiarazioni relative ad un progresso economico importante sono ai miei occhi premature: v'ha forse aumento considerevole di traffico, ma, se pur vi si ha, è minimo assai il progresso nel commercio, nell'industria e nell'agricoltura.
Nelle elezioni il Governo fu oltremodo favorito: i candidati dell'opposizione o meglio alcuni individui opponenti che presentaronsi furono negletti dagli elettori ed il numero dei deputati che nella Scuptcina darà la voce al Governo è sopraffacente in modo che i Reggenti non ebbero bisogno di esercitare per intero il diritto d'inviare all'Assemblea trentasei deputati scelti dal Principe, e solamente diciotto ne furono nominati.
Come V. E. vede a nessun Ministero in Europa è la via del governare meno intralciata dai deputati della nazione: ma a nessun ministero sta di contro una maggiore diffidenza nazionale verso il progresso e maggiore riluttanza ad uscire dalle vecchie idee ed a svestire la pesante cappa dei pregiudizi nazionali.
L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. RISERVATO 248. Londra, 25 settembre 1871 (per. il 29).
In eseguimento degli ordini contenuti nel di Lei dispaccio di questa Serie
n. 103 (1), ho l'onore di rassegnarLe che feci subito tutto quanto era in mio potere per cercar di sottoporre a sorveglianza il nominato Gambuzzi il quale, secondo le indicazioni dall'E. V. fornitemi nel precitato dispaccio, doveva rappresentare la Società Operaia di Napoli al meeting privato che i membri dell' • Internazionale • avevano fissato di qui tenere il 17 corrente.
Ella già ebbe, Signor Cavaliere, frequenti occasioni di sperimentare l'assoluta mancanza d'appoggio che la Polizia Inglese offre agli Agenti diplomatici esteri in questi casi. Essa però è bene informata, nei presenti momenti sopratutto, delle mene dei partiti sovversivi che trovano sicuro usbergo nelle vecchie istituzioni di questo paese. Fortunatamente, e per sola conoscenza personale di un Ispettore di Polizia, ho potuto sapere che veramente il giorno 17 ebbe luogo il meeting dall'E. V. annunziatomi, in una taverna situata in Percy Street N. 17.
Vi assistevano molti membri dell'c Internazionale • e fra essi non meno di Bergeret della Comune di Parigi e Thiez, che mi venne segnalato come uno dei più pericolosi capi dell'associazione attuale. Fra gli altri mi furono citati i seguenti nomi: Doby, Melotte e Urbain, ignoro se parente di quello recentemente condannato a Versailles.
A questa congrega era pur presente un Italiano, probabilmente il Gambuzzi, ma nulla su ciò mi venne detto di positivo. Mi riuscl tuttavia di accertare che egli fa realmente capo al ricapito di Regent's Park Road, inviatomi da V. E., e che l'Engel, di cui lo stesso individuo si serve, è un rivoluzionario tedesco notissimo.
Non si seppe o non mi si volle dire l'oggetto del meeting, ma non vi può esser dubbio che suo scopo fosse di trattare gli interessi della Società in connessione fors'anche cogli scioperi di operai in quest'istante esistenti in Inghilterra ed in varie altre parti dell'Europa.
La persona che confidenzialissimamente mi diede le informazioni che
precedono mi riconfermò quanto io già aveva l'onore di rassegnare all'E. V.,
cioè che regna attualmente un insolito movimento ed andirivieni di comunisti
tra il continente e questo paese e che il numero di rivoluzionari italiani in
Londra è pure maggiore dell'usato.
Mi venne assicurato che le continue domande di denaro rivolte dai Comunisti all'c Internazionale • sono state da questa ultima poco favorevolmente accolte e che ciò abbia anco da annoverarsi fra i motivi che indussero Felix Pyat a dipartirsi da questa città. La Cecilia, benchè non assistesse al precitato meeting, è tuttora qui.
In presenza di questi fatti il Signor Ministro dell'Interno potrà ancor maggiormente formarsi un criterio sull'utilità di avere in Londra un Agente speciale, di cui V. E. mi faceva cenno coll'altro suo Dispaccio Politico
n. 104 (1).
In ogni caso e qualunque possa essere la decisione del sullodato onorevole di Lei Collega, credo che pur sempre mi gioverebbe avere i connotati del nominato Gambuzzi.
(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 103.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1662. Parigi, 25 settembre 1871 (per. il 29).
Nel colloquio ch'ebbi ieri a Versaglia col Signor di Remusat io informai
S. E. di quanto col dispaccio in dala del 9 corrente l'E. V. scriveva al Cavalier Nigra (2) circa la firma d'un protocollo relativo alla giurisdizione consolare a Tripoli di Barberia.
Feci conoscere al Ministro Francese degli Affari Esteri che Sir A. Paget aveva dichiarato all'E. V. non essere il Governo Inglese alieno dal rinnovare, in forma collettiva, l'impegno preso col protocollo separato firmato il 12 Luglio ultimo a Londra e gli chiesi se con ciò egli non stimasse opportuno di trattare direttamente col Gabinetto di St. James per mettersi d'accordo sulla forma da darsi ad un nuovo protocollo collettivo.
Il Signor di Remusat mi promise, come tosto ne informai l'E. V. per telegrafo, che scriverebbe a tal fine senza indugio all'Ambasciatore di Francia a Londra, trovandosi ora in congedo Lord Lyons, col quale egli avrebbe altrimenti potuto trattare la questione.
Il Signor di Remusat, al quale ricordai in questo incontro la lettera statagli diretta dietro suo desiderio scritta dal Cavalier Nigra onde spiegare le ragioni della riserva relativa a Tunisi sulla quale il R. Governo credeva utile d'intendersi coi Gabinetti di Parigi e di Londra, non mi diede ancora su ciò una risposta categorica.
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 262. Pietroburgo, 26 settembre 1871 (per. il 6 ottobre).
Benché io debba supporre che le informazioni pervenute alla E. V. da Constantinopoli non La lascino in dubbio sulla soddisfazione provata da questo Governo per la nomina di Mahmud Pascià a Gran Visir e quella di Server
Pascià a Ministro per gli Affari Esteri, mancherei alla mia missione se omettessi di far notare la franchezza con cui tali nomine sono qui applaudite.
Il Signor di Westmann, discorrendone con me, qualificava di perdita internazionale la morte di Aalì Pascià, ed il Signor Stremoukoff palesava la simpatia del Governo per Mahmud Pascià e Server Pascià • eredi di quella sincera politica Russo-Turca inaugurata dal defunto Gran Visir e simbolica di pace in Oriente •.
Il Direttore dell'Imperiale Dipartimento Asiatico mi disse del timore avuto qui che venisse al potere Halil Pascià, facendomi anche l'osservazione che c'eut été un autre Beust.
Quell'Ambasciatore a Vienna è qui accusato di antipatia personale per la Russia e si sussurra ch'egli, cedendo alla sua tendenza favorita pei bons-mots, avrebbe con un alto Personaggio austriaco paragonato l'amicizia della Turchia con la Russia al bacio di Giuda, ritenendo, presumesi, per il suo Governo la parte del Tradito.
Da questo Incaricato d'Affari di Turchia ho saputo che Mustapha Pascià, Governatore Generale di Erzerum, aveva ordine di recarsi a Tiflis per complimentare l'Imperatore di Russia, ed era inoltre latore delle Insegne dell'Osmanié per il Gran Duca Michele, Luogotenente dell'Imperatore al Caucaso.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. RISERVATA 3663. Roma, 28 settembre 1871 (per. il 29).
In continuazione del foglio n. 3182 in data del 23 agosto (1), mi pregio di comunicarle le seguenti ulteriori notizie politiche su Nizza, venutemi da fonte attendibile.
• Il partito francese comincia a commuoversi per la notizia che la stazione internazionale su questa ferrovia, sarà stabilita in Ventimiglia. La questione con molta moderazione è appena accennata dal Phare du Litoral e per ora le pretese si restringerebbero a far sì che le casse di mercanzie impiombate potessero essere sdaziate in Mentone o Nizza.
La polemica su tal questione è cresciuta in questi ultimi giorni e credesi che se ne aumenteranno sempreppiù le proporzioni, perché il partito francese del contado di Nizza avversa fortemente l'Italia. Un tal Rebuffe, negoziante di Mentone, ha scritto una lettera sul Phare du Litoral proponendo petizioni all'Assemblea, adducendo fra le altre ragioni che Ventimiglia e precisamente il luogo scelto per la stazione, sono di aria malsana, ed assicurando che attualmente vi sono seicento ammalati di febbri.
Il Pensiero di Nizza, salvato dalle strette finanziarie per opera del suo partito, guerreggia strenuamente e combatte sempreppiù acremente il Deputato Lefèvre e l'Ordre Social che lo sostiene.
Nel rimanente tutto è tranquillo.
Vi era del vero nella notizia che correva in Nizza circa l'andata colà e negli altri Dipartimenti ceduti dall'Italia, del Presidente Thiers. Ora si assicura non solo dai giornali nizzardi, ma anche da molti francesi, che quanto prima sarà attuato tale disegno.
Il Pensiero sta per superare una nuova crisi, ed è quella di dover apprestare, secondo una nuova legge, la cauzione di lire seimila. Pare sicuro che vi riuscirà perché già la nuova sottoscrizione è abbastanza proficua.
Nizza è tranquilla quantunque animati diverbi e vie di fatto per dissonanze politiche, siano all'ordine del giorno specialmente nei caffé degli Americani e della Maison Dorée. Però sono fatti isolati e privati, che rivelano il profondo dissenso ed antipatia, ma non accennano a pubbliche perturbazioni.
Il predetto giornale Il Pensiero ottenne ultimamente dal patriottismo dei Nizzardi il fondo abbastanza cospicuo di seimila lire per la cauzione e non è poco quando si consideri non essere gran tempo che aveva potuto raccogliere 4000 lire per abilitarsi al soddisfacimento delle multe.
Non fu altrettanto fortunato il giornale del partito Lefèvre, ossia del partito francese, L'Ordre Social, il quale ha dovuto cessare dalla pubblicazione per essergli venuto meno appunto il fondo di cauzione, secondo quanto si ha argomento di credere.
Resta a vedere se l'arrivo a Nizza del Signor Lefèvre annunziato dal Pensiero di ieri, non soccorrerà all'uopo, massimamente al cospetto della circostanza di trovarsi prossimi alle elezioni dei Consigli Generali ed alla necessità pertanto di un organo di più pel partito.
Anche il Deputato Bergondi è ritornato in Nizza, stando all'annunzio che ne dà il Pensiero.
Raccogliesi dal Phare du litoral una notizia ricavata dal primo numero di un giornale che venne in luce a Mentone sotto il titolo di Cosmopolita. Dice che la regina di Spagna (resta inteso che voglia alludere alla ex regina) per consiglio dei medici ha cercato una villa in quei dintorni al quartiere detto di Garavan.
(l) Non pubblicato
L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 878. Berlino, 28 settembre 1871 (per. il 2 ottobre).
La questione del miglior modo di combattere l'Internazionale, e meglio ancora di prevenire gli sconvolgimenti sociali che si fanno tanto minacciosi, continua a formare qui l'argomento di serio studio. Ho avuto l'onore, nel rap
porto politico n. 873 (1), di dare all'E. V. un cenno di ciò che in proposito mi si riferiva essere stato detto a Gastein e a Salzburg, e mi affretto ora ad informarLa di alcune comunicazioni che hanno avuto luogo in seguito nel medesimo ordine di idee.
A Salzburg il Principe di Bismarck aveva insistito sull'interesse comune a tutti i Governi di reprimere l'azione dei comitati dell'Internazionale che, malgrado l'orrore manifestatosi in Europa per i fatti di Parigi, lavoravano apertamente a preparare forze bastanti per poterli rinnovare con miglior successo dovunque se ne presentasse l'occasione. Il Conte di Beust era pienamente d'accordo sovra cosifatto interesse di tutti i Governi, quantunque nell'Impero Austro-Ungarico i sintomi non fossero per ora così serii come in Germania, dove a Lipsia e ad Amburgo hanno la loro sede Comitati filiali della Internazionale. Il Cancelliere Imperiale austriaco non era però d'avviso che i mezzi repressivi valessero da soli ad ottenere un risultato pratico: conveniva, secondo lui, studiare i modi migliori per opporre una diga di interessi conservatori alle passioni di chi vuoi distruggere ogni ordine governativo: favorire e proteggere le pretese degli operaj, nel limite della giustizia, promuovere le associazioni in cui essi trovino vantaggi reali e duraturi: togliere, così in una sola parola dalle mani dei sovvertitori l'arma di cui si valgono per mantenere ed usufruttare il malcontento nato da molteplici cause nello sviluppo odierno delle imprese e delle industrie. II Principe di Bismarck approvò questo pensiero, e si fu per aderire ad un suo desiderio, che il Conte di Beust dopo il convegno di Salzburg comunicava a Berlino un memorandum, nel quale il suo concetto era lungamente svolto. La specie di accordo che intanto si era preso, era quello di preparare i lavori necessarii onde proporre poi agli altri Governi la riunione di una commissione internazionale che avrebbe discusso il da farsi: l'invito sarebbe a suo tempo partito dal Gabinetto di Berlino.
In data del 16 corrente, il Conte di Beust fece pervenire qui un secondo memorandum, che non si inspira più ad un punto di vista generale, ma tratta la medesima quistione nei suoi rapporti con la legislazione dell'Impero AustroUngherese, ed entra in minute particolarità sui mezzi di accontentare le classi operaje: convien però notare che a questo proposito lo scritto in discorso accenna più che ad altro all'esempio di associazioni che hanno fatto già buona prova di se. Il Cancelliere Imperiale Austriaco insiste nuovamente sulla insufficienza della repressione: esso vorrebbe che J.a commissione internazionale si prefiggesse apertamente come programma del suo lavoro, Io scopo di migliorare le condizioni delle classi sofferenti della società e di soddisfare con maturo esame le loro richieste che ora pajono così pericolose; la repressione sarebbe un corollario di questo programma, il quale non apparirebbe quindi siccome odioso alle classi popolari.
Qui a Berlino, il Governo si occupa in questo momento di costituire una commissione speciale di uomini competenti, la quale dovrà esaminare le condizioni sociali moderne, scovrire il male, e ricercare quali sono praticamente le misure da proporsi per rimediarvi. Nel seno della medesima verrebbero
poi scelti i delegati tedeschi per la commissione internazionale da proporsi, se vi sarà luogo, agli altri Governi. Rimane ancora da vedere se questi ultimi saranno tutti disposti a convenirvi.
In questi giorni il Governo francese scriveva qui al suo rappresentante con quanta soddisfazione egli vedeva altri Stati occuparsi seriamente dei pericoli della Internazionale, V. E. ricorderà difatti come, prima dei convegni di Salzburg e di Gastein, il Signor Favre allora Ministro degli Affari Esteri, sotto la impressione degli orrori della Comune, aveva già diretto a tale scopo una circolare agli altri Gabinetti. Il Conte di Rémusat non dimostra però molta simpatia per il progetto di una commissione internazionale, temendo di offendere anche solo in apparenza quei principii di libertà che stanno a fondamento del Governo della Francia. Ciò nondimeno esso troverebbe conveniente. che tutti gli Stati si mettessero fra di ·loro d'accordo per applicare, ciascuno per conto proprio, le medesime norme di repressione· preventiva: vorrebbe vedere da tutti adottato il principio che il solo fatto di appartenere ad una Società che si prefigge lo scopo di distruggere l'ordine sociale, costituisca un delitto e sia come tale colpito dalla legge penale: concorda però con il Conte di Beust nel rimanente del suo largo programma di migliorazioni sociali. Mi sembra che per il Governo Francese la principale preoccupazione sia quella di evitare le apparenze contrarie alla libertà, giacchè i voti che esprime il Conte di Rémusat per un accordo nèi mezzi identici di repressione equivalgono esattamente, meno la forma, alla commissione che gli ripugna.
L'ostacolo principale si incontrerà nella legislazione inglese, che per tradizione incrollabile rifiuterà ogni repressione, sintanto che non sia provocata con vie di fatto. Ed è, appunto a Londra che tengono tranquillamente la loro sede centrale le delegazioni di ogni Paese della Società l'Internazionale. Mi par difficile che il Governo inglese consenta a disturbare quei convegni, se non avrà prima dovuto subire esso stesso gli amari frutti di tanta tolleranza.
Da quanto ho avuto l'onore di riferire sin qui, l'E. V. vedrà che il progetto di una commissione internazionale per la quistione sociale, nato dal convegno dei due Cancellieri Imperiali, non può in ogni caso essere di una attuazione molto prossima, ma che a Berlino se ne prosiegue la realizzazione.
(l) Cfr. n. 112.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 136. Therapia, 29 settembre 1871 (per. il 6 ottobre).
L'Inviato di Tunisi non fu per anco ricevuto dal Sultano, ma ha frequenti conferenze coi Ministri della Porta. In esse -so di buon luogo -non è questione tanto delle fasi e della soluzione della vertenza tra l'Italia ed il Governo del Bardo, come della convenienza e del miglior modo di definire nettamente d'or innanzi i rapporti tra la Potenza Alto-Sovrana e la Reggenza.
13 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
Il Governo del Bey è in possesso -mi notava con compiacenza il Generale Khereddin stesso -d'una vera autonomia per diritto consuetudinario di tre secoli. Convien perciò dire che se il Governo di Tunisi, che fin qui perfettamente si accomodò di tale sanzione, consente ora a negoziati o per avventura ad un accordo esplicito sui suoi diritti e doveri, lo faccia -se non è semplicemente malaccorto -o per non inasprire il Governo Imperiale con un rifiuto reciso o perchè creda di infrenare qui le aspirazioni ad una supremazia assoluta sulle popolazioni Musulmane per parte di chi vuol essere Capo politico come religioso dell'unità Islamitica.
Di siffatte tendenze del Governo del Sultano a ridurre i Vassalli ad assoluta soggezione Khereddin Pacha nel discorrerne incidentalmente meco se ne mostrava per lo appunto inteso -e come esse si manifestarono nelle suscettibilità or appena sopite coll'Egitto, e nel fatto dell'ultimo firmato protocollo su Tripoli, e nelle recenti intraprese nell'Yemen e nel Nedjed, così si affermano ora negli attuali adopramenti in discorso relativi a Tunisi.
Il Generale Khereddin avrebbe eziandio missione di ottenere dalla Porta un firmano che sancisca un mutamento nell'ordine di successione nella Reggenza, in favore della linea discendentale invece di quella dei collaterali.
Tale innovazione, laddove consentita, non avrebbe pratica applicazione che pell'avvenire, il Bey non avendo figli, ma il principio in se stesso non può che essere consono ai sentimenti del Capo di questa Dinastia Regnante, e suscettibile quindi d'essere accolto con favore.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 173. Alessandria, 29 settembre 1871 (per. il 5 ottobre).
In continuazione ai miei rapporti N. 169 (l) e 171 (2) ho l'onore di informare l'E. V. che per notizie giunte dalla Legazione di Costantinopoli a questo Agente Britannico non può concepirsi dubbio sulle intenzioni favorevoli del nuovo Gran Vizir e del nuovo Ministro degli Affari Esteri per la riforma Giudiziaria in Egitto. Ma parrebbe che la Porta, d'accordo con il Governo Inglese, o almeno con la Legazione, vorrebbero introdurre qualche modificazione al progetto presentato all'approvazione dei Gabinetti Europei.
Il Viceré che mi ha comunicato questa notizia ignora tuttavia quali sarebbero le modificazioni proposte. Nubar suppone che debbano riguardare lo studio e l'approvazione dei Codici che le Potenze si sono riservate. Il Signor Moore, gerente l'Agenzia Inglese, mi ha assicurato che non si tratterebbe che di modificazioni di nessuna importanza.
Il Viceré a cui la Porta non si è rivolta direttamente ma che per mezzo
degli agenti Inglesi gli ha fatto pervenire queste sue intenzioni, ha risposto
non potere accettare nessuna proposta di modificazione del progetto primitivo,
tanto più che a suo credere la Porta stessa non potrebbe modificarlo dopo di
averlo essa stessa comunicato alle Potenze ed attenutone l'approvazione. II
Viceré ha diretto un memorandum in questo senso all'Ambasciatore Inglese.
Dai discorsi del Signor Moore pare che il suo Governo o la sua Ambasciata
propugnino più che la Porta le modificazioni che vorrebbero proporre, e che
forse il Governo Inglese prenderebbe l'iniziativa a trattarle con gli altri Go
verni.
Ho creduto opportuno di ripetere tanto al Viceré che al suo Governo, le riserve che il R. Governo intendeva prendere quando si pensasse di modificare il progetto di riforma da esso già studiato.
Il Viceré nel darmi queste notizie mi ha interessato pregare l'E. V. in suo nome di voler fare agire la R. Legazione a Costantinopoli presso Server Pascià onde persuaderlo a non far nascere nuovi ostacoli ad una riforma, richiesta d'urgenza, dagl'interessi generali del paese e degli stranieri. E dopo la riforma di amministrazione interna introdotta dal Viceré, la cui legge ho rimessa all'E. V., quella giudiziaria è divenuta molto più necessaria per la nostra Colonia che per l'Egitto stesso.
Oso sperare che l'E. V. vorrà aderire alle preghiere del Viceré.
L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 31. Madrid, 30 settembre 1871 (per. il 6 ottobre).
Il R. Console Generale a Barcellona avrà telegrafato alla E. V. la partenza di S.A.R. il Principe di Piemonte.
Sua Altezza, che si degnò esprimermi il desiderio -siccome ebbi l'onore di informarne l'E. v. col mio rapporto di questa serie n. 25 delli 25 agosto andato -(l) ch'io Le facessi seguito nella Sua gita in Andalusia, giunto a Malaga, m'invitò a seguirlo sino a Barcellona, perché dovendo, a causa della presenza in questa città dell'Augusto Suo Fratello, !asciarvi di bel nuovo l'incognito mantenuto in Andalusia, credette opportuno che l'Incaricato d'Affari d'Italia Le fosse accanto.
La mattina medesima, che il nostro Principe Reale partiva per Genova, il Re di Spagna lasciava Barcellona continuando il viaggio nelle provincie di Catalogna e di Aragona.
Sua Maestà si è degnata volermi con sè fino a Lerida, dove ho preso la via diretta di Madrid ed ho potuto assistere alle ovazioni di entusiasmo che in ogni luogo Le si facevano simili a quelle che già vedemmo in Barcellona.
lo non credo di dover fare all'E. V. una relazione di questo viaggio del Re, imperocché dal telegrafo e dai rapporti dei Consoli nostri Ella ne sarà stata informata; ma questo posso dire che a farsi una esatta idea di quanto è occorso, conveniva essere spettatore, e che ogni descrizione mi è sembrata pallida ed inferiore a quanto ho veduto. E io non credo di esagerare dicendo che la Dinastia si è, con questo viaggio che a buon diritto è stato detto un trionfo, più radicata in !spagna che non l'hanno potuto le passate per venerazione secolare. Era uno spettacolo nuovo in questo paese vedere il Re, lasciata indietro la scorta, avanzarsi solo a piedi ed a cavallo nella folla, onde sin dal primo momento l'aspettazione e la curiosità generale si mutavano in applausi ed in entusiasmo. Ed alla fama acquistata di Re liberale dalle recenti prove dell'ultima crisi, ora vi si aggiungeva il fascino (mi sia concessa la parola) esercitato da
S. M. su quanti Spagnuoli lo avvicinano, da quel suo modo di essere, per cui traluce la grande sua stirpe, così lungi dall'alterigia, come da ogni familiarità di chi mendica il favore popolare, e che fa dire a chi lo scorge: quegli è il Re.
Questa nazione che, frammezzo a tutte le vicende patite, ha serbato sempre un carattere nazionale di nobiltà e di dignità ed un tipo che chiama • Hidalguia •, ha incontrato, sorpresa e ammirata, questo suo ideale sul Trono; né altro vogliono dire le parole che ho udite io medesimo pronunziare nelle folle traversate: Egli è davvero il Re degli Spagnuoli, e le grida dovunque ripetute di Viva il Re Cavaliere.
Quello che poi dà il suo carattere principale alle dimostrazioni è la spontaneità loro; è il popolo che accorre tutt'intero ad acclamare ed a festeggiare il suo Principe, mentre -come a Barcellona per atto di esempio -le Autorità non solo si astennero da qualunque eccitamento per timore che il popolo non reagisse in senso opposto, ma stettero dubbiose ed inquiete sino all'ultimo istante sull'accoglienza che riceverebbe Sua Maestà. Ed i più intransigenti repubblicani, vinti essi pure, né sapendo come conciliare la professione di fede della vigilia coll'entusiasmo pel Re, interrogati rispondevano: noi vogliamo la Repubblica col Re Amedeo •.
Sua Maestà è oltremodo soddisfatta e mi diceva che l'accoglienza ricevuta iu di gran lunga superiore ad ogni sua aspettativa.
A Zaragozza furono le ovazioni uguali a quelle delle altre Città. A Logro'fio il Re è stato ricevuto alla stazione dal Generale Espartero Duca della Vittoria, e poiche Sua Maestà ebbe abbracciato questo Veterano della libertà spagnuola, il Duca pronunziò un discorso giurando difendere la Dinastia, che terminò al grido di • Viva il Re e la Regina • che fu da tutti ripetuto.
Sua Maestà fa domani ritorno a Madrid. Accusando a V. E. ricevuta dei due pregiati dispacci politici n. 4 e 5 (l) delli 14 del corrente e riserbandomi di rispondere nel più breve spazio di tempo possibile a quello che tratta delle Corporazioni religiose in !spagna colgo questo incontro...
(l) Non pubblicato.
(l) Non pubblicati.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN
D. 347. Roma, l ottobre 1871.
Il Signor Barone de la Villestreux mentre già era travagliato dalla malattia che lo condusse alla tomba volle farmi conoscere il senso generale delle istruzioni impartitegli dal Signor di Remusat circa le relazioni della Francia con l'Italia. In queste istruzioni il nuovo Ministro degli Affari Esteri di Francia accenna ad una conversazione che io ebbi qualche tempo fa coll'Incaricato d'Affari francese, e si rallegra di sapere che io abbia considerato la sua nomina a Ministro degli Affari Esteri come un pegno del desiderio della Francia di mantenere coll'Italia delle relazioni fondate sopra il reciproco buon volere e sul buon accordo che deve esistere fra i due paesi. Rammenta egli stesso di avere qualche titolo a non essere considerato in Italia come un nemico, e si dimostra lieto che nelle mie conversazioni col Signor de la Villestreux io abbia particolarmente insistito sopra le simpatie ben note dello insigne pubblicista per il nostro paese. Inspirandosi a tale concetto, il Ministro degli Affari Esteri di Francia spiega al rappresentante della Repubblica in Italia il senso del discorso pronunziato dal Signor Thiers nell'Assemblea Nazionale, ne dimostra il tuono moderato ed il senso pacifico, il quale mentre toglie, dic'egli, ogni dubbio circa ai sentimenti della Francia verso l'Italia, esclude l'idea che quella voglia, in una misura qualsiasi, rimettere in questione lo stato delle cose stabilite nel nostro paese. Ho notato specialmente un periodo di quelle istruzioni con cui si mettono opportunamente in luce i vincoli naturali che esistono fra l'Italia e la Francia.
Per ciò che concerne gl'interessi francesi relativi alla Santa Sede, il Signor de Remusat ripetendo le cose dette dal Signor Thiers nell'Assemblea ne deduce la dichiarazione esplicita che l'indipendenza religiosa della Santa Sede è uno dei grandi interessi politici e sociali del suo paese, che questi interessi impongono alla Francia dei doveri che essa non può trascurare, ma che le sono comuni cogli altri stati cattolici, ai quali la Francia si unirebbe per adempiere alle sue obbligazioni. Ogni volta che parla di questi doveri della Francia verso il Pontificato Romano, il Signor de Remusat accenna nelle sue istruzioni al carattere spirituale degli interessi che il suo paese è chiamato a difendere in Roma, ed egli confida in particolar modo nello spirito di transazione e di conciliazione del Governo Italiano per appianare le difficoltà della situazione creata al S. Padre dagli avvenimenti compiutisi in Italia.
L'emozione prodotta nel nostro paese dalle discussioni dell'Assemblea fran
cese, non sarebbe dunque, agli occhi del Signor di Remusat, giustificata. A questo
proposito, il Ministro degli Affari Esteri di Francia deplora il linguaggio della
stampa italiana che avrebbe contribuito a far nascere delle impressioni discor
danti dalla realtà dei fatti.
Tali sono, nelle istruzioni date al Signor de la Villestreux, i punti più rimarchevoli, ed io, nel segnalarli alla S. V. ne prendo atto con tanta maggiore soddisfazione che essi corrispondono pienamente al linguaggio che lo stesso Signor de Remusat mi tenne, nei colloqui che io ebbi con lui, in occasione delle feste inaugurali della galleria del Cenisio.
Dal canto mio non ho che a riferirmi al dispaccio che in data del 16 luglio indirizzai a codesta R. Legazione (1), per indicare il tenore del linguaggio che io tenni alla mia volta al Signor di Remusat. Niuno deplora quanto me che in una parte della stampa italiana si manifestino diffidenze esagerate ed ingiusti rancori verso l'attuale governo francese. È però debito di giustizia il riconoscere che buona parte del giornalismo francese si fa l'organo di sentimenti tali verso l'Italia, da fare sì che non sia difficile a comprendersi l'atteggiamento analogo di alcuni giornali italiani. Ad ogni modo però i due Governi convinti dello interesse reciproco di mantenere fra loro le attuali relazioni di fiducia e di concordia, devono dedicarsi entrambi all'opera comune di condurre a miglior indirizzo l'opinione pubblica traviata da violente passioni e da falsi giudizi nelle cose e negli uomini.
L'Italia ha del resto un interesse anche maggiore della Francia a serbare verso il Sommo Pontefice tutti quei riguardi che gli son riconosciuti da una legge solennemente votata dal Parlamento e sancita dal Re.
Non solo è sincero desiderio nostro, ma è suprema necessità politica del nostro Stato che l'indipendenza spirituale della Chiesa rimanga illesa e tale sia riconosciuta da tutto il mondo cattolico. Il Governo Italiano, dacchè fu posta la questione romana, ha fatto base principale del suo programma la separazione della Chiesa dallo Stato e la completa libertà del Sommo Pontefice nello esercizio della sua missione religiosa. L'Italia non potrebbe quindi venir meno alle sue promesse sotto questo rapporto, ed Ella vorrà fare osservare quando gliene si offra la occasione, che la migliore sanzione di quei riguardi che le potenze cattoliche ci consigliano verso la Chiesa, consiste, all'infuori del nostro vivo desiderio di mantenere colla Francia e colle altre Potenze cattoliche le nostre ottime relazioni attuali, nel nostro supremo interesse di non spostare la base fondamentale di tutta quanta la nostra politica interna, di mantenere saldi quei principi a cui s'informa ormai tutta la nostra legislazione.
IL VICE CONSOLE A TUNISI, MACHIAVELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 257. Tunisi, 1 ottobre 1871 (per. il 5).
Ieri a sera tarda ho finalmente ricevuta la risposta del Primo Ministro alla mia nota dei 19 Settembre p. p., relativa all'arbitraggio per la questione della Gedeida. Andava congiunta al testo arabo la traduzione in lingua italiana, della quale unisco copia.
La proposta, che fa oggi il Bardo, non meriterebbe neppure di esser presa ad esame, se non fosse che io credo poter la medesima esser trasformata in guisa da diventare accettabile. Infatti ora il Governo tunisino è unicamente dominato dalla puerile preoccupazione che gli arbitri siano per giudicare senza ben conoscere gli elementi di fatto della controversia, se prima non praticano essi stessi in Tunisi i necessarii incombenti; potrebbe quindi stabilirsi che la commissione arbitratrice si riunirebbe a Firenze sotto la presidenza di S. E. il Cavalier Vigliani e che per gli atti di procedura, che possa occorrere di compiere sul territorio della Reggenza, si recherebbero in Tunisi gli arbitri scelti dalle parti, per riunirsi poi di nuovo a Firenze e giudicare sotto la presidenza della prefata E. S.
Così gl'inconvenienti si ridurrebbero ad incomodare senza necessità tutti quattro gli arbitri scelti dalle parti e ad incontrar spese, che si avrebbe potuto almeno in parte evitare; ma nulla vi sarebbe di contrario ai principi che regolano in materia.
Sottopongo questa mia idea all'alto apprezzamento dell'E. V. e del Cavalier Vigliani, persuaso che il Bey non farebbe troppe difficoltà ad accettarla.
ALLEGATO
MUSTAFÀ A MACHIAVELLI
Tunisi, 30 settembre 1871.
Lode a Dio solo!
All'onorevole, distinto e perfetto Signor G. B. Machiavelli, Vice Console Reg
gente il Consolato Generale d'Italia in Tunisi (che Iddio conservi).
Abbiamo ricevuta la vostra lettera dei 19 Settembre 1871 e preso nota delle
osservazioni contenutevi riguardo all'arbitraggio voluto per la definizione della
vertenza colla società agricola per la Tunisia.
II Governo di S. A. il Bey, come voi ben sapete, aveva, sul principio, adottato
il sistema italiano per l'arbitraggio in quistione, scegliendo per quinto arbitro
S. E. il Cavalier Vigliani. Più tardi, avendo il Governo tunisino saputo per mezzo del Consolato Generale d'Italia quanto gli veniva riferito dall'Eccelso Governo italiano, cioé che S. E. il Cavalier Vigliani aveva accettato l'incarico affidatogli, ma che, siccome le numerose occupazioni dell'E. S. risultanti dalle sue variate funzioni impedivangli di potersi recare in Tunisi per trattare quivi l'affare, il Governo italiano proponeva che si seguisse nell'arbitraggio il sistema francese, ed il Governo tunisino aderì pure a questa nuova proposta, volendo mostrare il suo desiderio di vedere sistemata questa vertenza.
Ora, la vostra lettera precitata addimostra il pensiero di un nuovo cambiamento di sistema per adottare da ultimo il sistema italiano, e, vista l'impossibilità nella quale si trova S. E. il Cavalier Vigliani di recarsi a Tunisi, si vorrebbe che la Commissione d'arbitraggio si riunisse a Firenze, desiderando l'E. S. assistervi in persona. Questa ultima proposta fu sottomessa all'Augusto Nostro Sovrano.
S. A. è d'avviso che la riunione a Firenze di questa Commissione per esaminare i dettagli della vertenza e per giudicarla riesce impossibile: per ciò la Commissione potrebbe riunirsi a Firenze per pronunciare la sua sentenza soltanto; ma in quanto all'istruzione dell'affare, all'esame dei documenti ed a tutti i lavori preparatori per la sentenza in un modo perfetto, essi non potrebbero trattarsi che a Tunisi, perchè fra le altre bisognerebbe citare in persona i testimoni:, verificare sui luoghi medesimi certe cose, e via discorrendo di altre circostanze che potrebbero far nascere il bisogno di penetrarsi della verità.
In questo stato di cose S. A. propone che i quattro membri componenti la Commissione d'arbitraggio, ad eccezione di S. E. il Cavalier Vigliani, si riuniscano a Tunisi, esaminino i dettagli della vertenza con tutte quelle particolarità necessarie ed avendo così fatto il loro rapporto preparatorio si rechino presso il quinto arbitro per pronunziare seco lui la sentenza, dietro tale rapporto. In questo caso, il Governo di S. A. invierebbe a Firenze un suo incaricato per assistere al giudizio colla parte avversaria.
Ecco quanto S. A. è d'avviso sul da farsi e che ci ha ordinato di comunicarvi per essere messo in esecuzione se è possibile. Conservatevi sotto la santa guardia di Dio. Scritto dal povero innanzi al suo Dio il Generale di Divisione Mustafa, Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri, li 16 Regeb 1288 (30 Settembre 1871).
(l) Cfr. n. 21.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 117. Belgrado, 2 ottobre 1871 (per. l' 8).
Non giunsero in Serbia le dottrine socialistiche ed il lavoro come lo scarsissimo numero dei lavoratori non danno campo a che prendano radice i germi dell'. Internazionale • che tanto male cagionarono e tanto ne minacciano altrove. Tuttavia si stampa qui il Pradinik (operajo) gazzetta di opposizione ed ultra radicale; essa difese la • comune • e gl'incendii ed i massacri; e vien letta più che ogni altro diario. Mi si assicura che riceve sussidio in danaro da Gipevra.
Non vedrei quale scopo pratico e diretto vengano a ricercare gli agitatori europei: se alcun sconvolgimento qui potrà essere tentato non potrallo che nel campo politico, e non per sicuro nel campo sociale e nell'economico. Intorno a questa gazzetta si va formando un gruppo di malcontenti: son professori rinviati, studenti ed impiegati ed anche ecclesiastici fino ai quali giunge l'influsso dei nichilisti della Russia, fra l'azione dei quali e quella dell'internazionale noterassi nel futuro, se non è ancora notata, un'analogia di dottrine e di programmi. Questi malcontenti riunisconsi a Neusatz ai Serbi Ungheresi che cosi aspra sebbene non pericolosa guerra fanno al Governo di Pest, e se congiugerannosi le idee repubblicane e socialistiche alle idee nazionali e serbe e se saranno confuse in un solo programma, nasceranne un grave pericolo a questo Governo, e ciò che più importa saranno i Governi dell'Europa colta di meno in meno propensi a favorire il progressivo svolgimento politico di questi popoli.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R.ll8. Belgrado, 2 ottobre 1871 ( per. L' 8).
Che fra le questioni di maggiore momento per l'avvenire della Serbia primeggi la costruzione di una ferrovia non è universalmente riconosciuto nel Principato : che la minaccia di una diretta comunicazione delle ferrovie ottomane colle linee ungheresi al di fuori della Serbia sia minaccia al progresso suo economico, sociale e politico, vuolsi negare da parecchi: e di questo fatto, misura della condizione della cultura di questo popolo, sembrami dovere esserne menzione nelle mie relazioni.
Fra le gazzette sorte negli ultimi tempi si fa notare e per la copia degli argomenti in essa trattati e per l'opposizione abilissima al governo dei Reggenti, l' • Operajo • (Ludinik): esso è generalmente letto e gli venne riuscito di sollevare in Belgrado l'opinione di tutti i ceti contro la costruzione di una ferrovia: e sebbene quando i Reggenti recavansi alla Scuptcina sembrassero risoluti a sciogliere la questione, già a detrimento degli interessi serbi, per sì lungo tempo in sospeso, l'opposizione crescente avrà forse un ascendente dannoso sopra un governo così avido di popolarità.
Se si costruisce una ferrovia la Serbia sarà dall'un lato aperta all'esercito turco, dall'altro all'esercito austriaco: se la Serbia si accinge a negoziare oggi, lo farà nella condizione di un piccolo e povero stato e non avrà la forza di difendere i suoi interessi dalla rapacità straniera: la Serbia compiuta, ingrandita, vittoriosa, sciolta dalla dominazione turca, affratellata ad altri serbi oggi servi e domani signori nell'Ungheria darà e non riceverà legge: Io spirito d'indipendenza, il carattere di una speciale nazionalità svanirà dinanzi all'invasione straniera, che qui è detta germanica : il paese dovrà sottomettersi a maggiori carichi; la Serbia pagherà ed arricchirannost delle sue spoglie gli stati stessi che ne invidiano l'ingrandimento e la prosperità. Son sofismi ma nell'ignoranza universale questi sofismi fecero del gran male.
Finora nessuno è sorto a combattere; oggi solamente nella gazzetta semiufficiale cominceranno pubblicazioni a difesa del governo, e della probabile sua domanda di avere facoltà a contrarre un prestito per la costruzione di una ferrovia; e vedrassi se stavolta i Reggenti troveranno energia e vorranno almeno combattere anche a scapito della loro popolarità.
Finchè non sarassi deliberato dalla Scuptcina sopra questo oggetto, non conchiuderannosi i negoziati per la congiunzione colle ferrovie turche e per la costruzione di un ponte attraverso il Danubio sebbene fra le numerose proposizioni fatte al Governo Serbo l'una fra le più serie, ad onore dell'industria del nostro paese, sia fatta dalla Banca di costruzioni di Milano, credo dover tralasciare per ora il Iato commerciale dell'affare, non sembrando sufficientemente sicurò che dal Governo serbo e dall'assemblea si risolva in quest'anno di costruire o di far costruire la ferrovia.
IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, DE FALCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Roma, 2 ottobre 1871.
Vi accludo una copia del nuovo progetto di legge sulle corporazioni religiose e gli enti ecclesiastici di Roma: materia complicata e difficile più di quello che si crede. Ho cercato di prestare un poco più di precisione nella definizione degli Istituti ecclesiastici esteri, e pare che tutte le loro pretensioni ragionevoli trovino sufficiente guarentigia negli articoli 2 e 16. Siccome poi la principale differenza fra i diversi progetti sta nello stabilire la persona che possa raccogliere i beni degli enti soppressi, io ho creduto riunire all'attuale progetto le diverse idee seguite sul proposito. Troverete perciò a lato all'art. 2, l'art. 2 del primitivo progetto che consisteva nel sopprimere tutto, e dar tutti i beni alla Santa Sede: concetto che mi sembra assai arduo e pericoloso. Troverete ancora a lato degli artt. 2, 3, 4 e 5 del nuovo progetto gli artt. 2, 3, 4 e 5 dell'altro mio progetto, che è pur quello accettato e propugnato dal Cadorna; il quale consiste nel togliere la personalità civile a tutti gli enti ecclesiastici della Città di Roma, ma assegnarne i beni una parte alla Santa Sede, ed una parte alla Chiesa della propria parrocchia. Ed infine l'ultimo progetto che tenderebbe a conservare, in linea di eccezione, come persona civile alcuni enti ecclesiastici che hanno un carattere più spiccato di cattolicità e di dipendenza dal Papato. La differenza, come comprenderete col vostro acume fra questi due ultimi progetti non è grande, quanto a prima parte può sembrare, ma tutta sta sullo sceglier modo onde questi enti ecclesiastici che si credono necessari all'esercizio del Pontificato, possano essere mantenuti. Nell'un progetto rimarrebbero come associazioni libere a disposizione esclusiva della Santa Sede che ne avrebbe i beni, o la rendita di questi. Secondo l'altro, rimarrebbero come enti civili particolari aventi, siccome ogni altra persona, vita propria ed indipendente. Secondo l'un concetto non si farebbe alcuna eccezione al principio generale della nostra legislazione che non riconosce come enti civili le corporazioni religiose; ma in riscontro si avrebbe l'inconveniente di mettere una massa di beni e molte congregazioni di uomini a disposizione esclusiva della Santa Sede. Secondo l'altro concetto si eviterebbe questa difficoltà; ma s'incontrerebbe l'altra di derogare al principio generale della nostra legislazione, e dover mantenere e garantire ancora come persone civili parecchie case di queste corporazioni religiose ed altri enti ecclesiastici. È questione, come vedete, di scegliere fra gli uni o gli altri di questi inconvenienti; ma, in questa complicatissima materia, l'uno o l'altro sistema può, a mio credere, esser seguito con uguali ragioni e con pari successo. Questo sul quale richiamo la Vostra attenzione, è l'art. 6 e l'art. 12, i quali pare che provveggano alle maggiori difficoltà che incontrava il progetto, quello cioè della esecuzione della legge. Del resto queste non sono che proposte, le quali meditate meglio e discusse possono subire tutte quelle modificazioni e miglioramenti, che saranno stimati o riconosciuti più opportuni e più convenienti.
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 264. Pietroburgo, 3 ottobre 1871 (per. il 13).
Ebbi l'onore in data del 13/25 settembre (N. 261) (l) di trasmettere all'E. V. copia del Dispaccio del Conte di Beust relativo ai recenti Colloqui e di cui l'Incaricato d'Affari d'Austria-Ungheria aveva dato lettura al Consigliere di Westmann. Quel documento è venuto ad aggiungere la sincerità delle sue dichiarazioni a quelle che il Principe di Bismarck aveva già fatte qui, e parecchi indizi mi persuadono che dopo il Dispaccio telegrafico e la Nota Germanica di cui ebbi già l'onore di tener parola a V. E. questa Legazione della Germania ha cercato di convincere il Gabinetto Imperiale della natura amichevole delle sue intenzioni.
La Russia deve dunque forzatamente mostrarsi rassicurata. La sua gelosia,
o i timori che avevano fatto nascere i primi apprezzamenti si sono -almeno in apparenza -calmati. Tale è l'impressione che l'Ambasciatore di Francia ha riportato d'una conversazione avuta col Direttore del Ministero Imperiale.
Il Barone di Franckenstein dette lettura del Dispaccio al signor di Westmann, il quale si limitò a prendere alcuni appunti senza chiederne copia.
Giusta le asserzioni di quell'Incaricato d'Affari, questo Personaggio, dopo udita la lettura non uscì dalla sua abituale riserva sempre dominata dalla previsione di superiori apprezzamenti, se non per esprimere l'opinione che il Principe di Bismarck non agognava ai Tedeschi dell'Austria per la maggior parte cattolici. Quindi, dopo questa rassicurante osservazione che gli dava in pari tempo la soddisfazione di additare il difetto della corazza, avrebbe soggiunto che esisteva un point noi1·, • la Gallizia • nella politica austriaca rispetto alla Russia.
Come appunto dicevami il mio Collega d'Austria, l'autonomia accordata al Reame di Gallizia, a questo Ceppo della Polonia, è una causa di continua inquietudine per la Russia, e il mio rapporto del 15/27 settembre (N. 263) (l) ha l'onore di esporre all'E. V. un passo fatto dal Governo Austriaco evidentemente diretto a svincolare la propria responsabilità intol'no ad un punto di cotesta quistione. Ma lo scoglio che osta all'annientamento completo della Polonia è sempre visibile all'orizzonte mercè il sistema politico adottato dall'Austria; e la Dieta di Gallizia nel votare il suo ultimo indirizzo all'Imperatore Francesco-Giuseppe ha reclamato eziandio più larghe concessioni in nome di una • individualità storica! •.
Il Signor di Stremoukoff conversando meco sull'incontro dei Sovrani e dei loro Ministri paragonava quei Colloqui alla montagna che partoriva un topo. Ma un personaggio del circolo intimo del .Principe Gortschakoff criticava siffatta maniera di vedere che non è forse che vagamente fondata e, a quanto credo, basata soprattutto sulla convinzione del non essersi preso a Gastein alcun im
pegno scritto, e sul beneficio universalmente riconosciuto che reca a tutti in questo momento la pace.
Infatti come è egli possibile, Signor Ministro, che il Gabinetto Russo il quale mostrava sull'affare Strousberg tanta suscettibilità, in ciò che concerne i Principati, non siasi adombrato, non dirò dal fatto, ma dalla logica di una intelligenza comune fra l'Austria e la Germania?
È peraltro evidente che lo stato delle cose consiglia piuttosto una prudente riserva anzichè manifestazioni di malcontento.
Nella mente di molti prevale qui una opinione che attribuisce un carattere inquietante al fatto dei Colloqui: è la convinzione che la prima guerra che scoppierà in Europa sarà fra la Russia e l'Austria, sia a causa della Gallizia, sia a causa della quistione d'Oriente. D'onde non v'ha che un passo ad indurre ehe il previdente Principe di Bismarck è nell'interesse di precipitare una soluzione da questo lato prima che la Francia non travisi apparecchiata alla riscossa.
Nel mio Dispaccio telegrafico del 7/19 settembre (l) stimai dover far notare una differenza di contegno caratteristica fra l'Incaricato d'Affari di Germania e quello d'Austria; sembrando il Signor di Pfuel, almeno con me, molto più desideroso del Signor di Franckenstein di persuadermi che il ravvicinamento tra la Germania e l'Austria è solidamente stabilito.
Vengo da buona fonte assicurato che in un dispaccio del 17 settembre al Signor di Remusat, il Signor di Banneville non invalidava punto i ragguagli da lui precedentemente trasmessi, e dei quali ebbi l'onore di dar cenno alla E. V. Egli insisteva a dimostrare che da parte dell'Austria i Colloqui non costituivano alcun pericolo per la Francia, e citava le seguenti parole indirizzategli sorridendo dall'Imperatore c Nous sommes convenus, l'Empereur d'Allemagne et moi, que tous ont besoin de paix •.
(l) Non pubblicato.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R.119. Belgrado, 3 ottobre 1871 (per. L'8).
Il Ministro degli affari esteri comunicò a coloro fra noi che fecerne richiesta il c Libro azzurro • per la prima volta reso in Serbia di pubblica ragione. Non contengonsi in esso altri dispacci o documenti al di fuori di quelli che riferisconsi alle conferenze di Londra ed alla parte assuntavi dal Principato rispetto le proposte austriache perchè sieno tolti gli ostacoli che in alcuni luoghi oppongonsi alla facile navigabilità del Danubio. Siccome dell'azione del rappresentante serbo a Londra e del modo col quale il Signor Ristié giudicò i risultamenti di quel congresso, nulla è ignoto al ministero, e siccome leggo nelle mie relazioni ·il riassunto intero ed esatto dei dispacci inseriti nel c libro azzurro • l'analisi di essi sarebbe opera superflua.
Colla pubblicazione in discorso e specialmente con quella di un dispaccio nel quale il ministro degli affari esteri riferisce al Miatovié a Londra un colloquio qui tenutosi fra l'Agente Austro-Ungherese ed il Signor Ristié, nel quale conchiudeva il Reggente dicendo al Signor Kallay, perchè questi prevedeva che anche senza il concorso della Serbia le opere consigliate dal suo Governo si eseguirebbero, che a colui il quale invocava il diritto del più forte potrebbe in determinati casi opporsi il diritto di un più forte, con tale pubblicazione il Governo serbo intende evidentemente a dimostrare ch'egli può e vuole all'occasione mostrarsi scortese verso il Governo Austro-Ungarico.
Già nell'inverno scorso io notava i primi sintomi della condizione presente delle relazioni fra i due Governi vicini: accadde poscia che la corte suprema del Regno Ungherese per mancanza di prove rinviava assolto il Karagiorgevié dall'accusa di complicità nell'assassinio del Principe Michele: mostraronsene questi Signori irritatissimi e varrà a mantenerli malcontenti la tema che della libertà concedutagli sen serva il Karagiorgevié a cOspirare contro la dinastia regnante.
Finora il Governo serbo erasi mantenuto in stretta neutralità nei dissidii e nelle agitazioni provocate nei confini militari da coloro che a Zagabria ed a Vienna vogliono fino all'ultimo porre intralcio al nuovo ordine di cose: parrebbe a giudicarne da un libello qui venuto alle stampe, con quanta complicità diretta od indiretta delle persone che governano nol so, nel quale cumularonsi le più grosse ingiurie contro i Governi di Vienna e di Pest alla più diretta chiamata alle armi ed alla rivoluzione. Si allegherebbe a scusa, se un richiamo per questa pubblicazione fosse stato dal Signor Kallay diretto al Governo, la libertà della stampa: poco valida scusa se riflettesi alla dipendenza stretta di tutte le tipografie dal Governo: ai miei occhi è questo non di meno un altro segno di un mutamento nell'indirizzo polHico, ma, sia sottinteso, che della sua durata non vò farmi mallevadore.
Nell'assemblea presente non farassi parola delle modificazioni che recherebbonsi alle capitolazioni, se il Governo Austro-Ungarico accoglierà favorevolmente, come il rappresentante suo a Belgrado l'accolse, un secondo controprogetto preparato dal Governo serbo.
ao l'onore di inviare a V. E. sotto fascia il • Libro azzurro • ...
(l) Non pubblicato.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GALVAGNA
D.7. Roma, 4 ottobre 1871.
Ho ricevuto coll'ultimo corriere il di Lei rapporto del 23 settembre (l) relativo all'affare delle miniere del Laurium. V. S. mi riferisce la conversazione che in quei giorni ella avea avuto con il presidente del Consiglio il quale, insistendo sulla sua proposizione di sottomettere la vertenza ai tribunali ordinari,
le avea lasciato intendere che dopo la venuta del signor Melitopoulos in Italia, le cose aveano mutato d'aspetto. Prudentemente V. S. mi domanda di essere informato della situazione presente di questo affare, ed io la invito ad esprimere al signor Comoundouros la sorpresa che ci ha cagionato il suo contegno, mentre che se il signor Melitopoulos lo ha rettamente informato dell'esito che ebbe la sua missione presso di noi, gli deve aver scritto che tale missione, avendo dato motivo ad una vasta discussione della quistione controversa, ci ha sempre più confermati nell'opinione che il buon diritto sta dalla parte della Società Roux Serpieri e conseguentemente nella necessità per noi di mantenere la questione in quegli stessi precisi termini nei quali l'abbiamo posta sin da principio e nei quali fu mantenuta anche nella conversazione avuta con il signor Melitopoulos.
Ed acciocchè il signor Comoundouros non si faccia alcuna idea inesatta del nostro modo di vedere in questo affare io invito V. S. a valersi di quanto le scrivo oggi e di ciò che le scrissi il 6 agosto (dispaccio n. 3) (l) intorno alle conclusioni che emersero dal convegno fra il signor Raeli ed il signor Melitopoulos.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 33. Madrid, 4 ottobre 1871 (per. il 10).
Par Sa dépeche du 7 Septembre dernier (1), cette Légation a eu l'honneur de renseigner V. E. sur la situation que la question du Candidat à la Présidence de la Chambre avait faite au Ministère. Pendant tout un mois les partisans de
M. Sagasta, c'est-à-dire les Progressistes Conservateurs, n'ont cessé de combattre au moyen de la presse l'élection de M. Rivero, candidat des ProgressistesDémocrates. M. Zorrilla, qui était resté immobile devant le dilemme ou de s'aliéner le parti avancé sur lequel il s'appuyait pour obtenir une majorité dans la Chambre ou de diviser son propre parti progressiste, s'est enfin décidé avant hier à déclarer que M. Rivero était le Candidat du Gouvernement, parce que, en ayant conseillé à S. M. la rupture de la Conciliation, c'était en lui que se personnifiait le plus complètement la politique du Cabinet.
La rupture de la Conciliation avec le parti conservateur proprement dit avait été inspirée et conseillée par les Démocrates. Le Ministère homogène, rejeté forcément du còté de la gauche, ne pouvait s'assurer une majorité, à la réouverture des Sessions parlementaires, contre les votes réunis de toutes les fractions conservatrices, que par l'appui des Républicains. De là, cette complaisance avec ceux-ci, qui a été le grand grief de la moitié du parti progressiste qui penche vers la droite; de là l'inévitable nécessité pour le Ministère de déclarer M. Rivero son candidat et de s'opposer à M. Sagasta, hai: par le parti fédéral.
Le nom des deux candidats représentant désormais deux principes opposés, il s'en suivait nécessairement que le résultat de la votation impliquait un blàme ou
une approbation de la politique suivie par le Gouvernement avec le parti républicain.
Tous les efforts faits pour éviter la scission et pour trouver un terme d'entente ont échoué. Les réunions des Députés n'ont fait qu'augmenter l'abime qui séparait en cette question les deux fractions du parti progressiste. MM. Zorrilla et Sagasta ont taché en vain de se mettre d'accord, dans les longues conférences qu'ils ont eues ensemble dès l'arrivée de ce dernier qui n'est revenu à Madrid que le l du mois. M. Sagasta avait proposé de se retirer si M. Rivero en faisait autant; mais ce moyen a été repoussé.
Tandis que les amis de M. Zorrilla soutenaient que l'ancien parti s'était transformé et devait se nommer dorénavant • Progressiste-Démocrate •, les amis de M. Sagasta repoussaient toute solidarité avec les • monarchiques d'occasion • -comme les démocrates ont été appelés -, et ils accusaient le Ministère Zorrilla de s'etre laissé entrainer par leurs perfides conseils au point d'avoir permis au parti républicain de se reconstituer et de se refaire de toutes les défaites qu'il a subies.
• Le Cabinet -disaient-ils -a obtenu la bienveillance des Fédéraux, et il désire leur appui. Mais quelles seront les concessions que le Cabinet devra leur faire à son tour? Il devra leur accorder le droit illimité de faire de la propagande, et surtout assurer leur triomphe dans les prochaines élections municipales qui sont le foyer des élections politiques. Nous ne pouvons tolérer la politique démocrate qui tend à nous livrer à nos ennemis, et cette politique soidisante d'attraction qu'on suit avec les républicains pourrait bien etre favorable à M. Zorrilla, mais elle est la perte de la Monarchie •.
Sur ces entre-faites est arrivée la votation d'hier au soir. 45 progressistes ont voté pour le candidat du Ministère avec les démocrates et les Républicains; mais 49 progressistes, soutenus par les votes de toutes les fractions conservatrices de la Chambre, Dynastiques ou non, -y compris 10 votes carlistes au second scrutin, -ont donné la victoire à M. Sagasta.
Aussitot que ce résultat eiìt été connu, M. Zorrilla au nom de tous ses collègues a déclaré qu'il allait présenter sa démission au Roi. Tel est, M. le Ministre, l'état actuel des choses. La Chambre s'est prorogée;
S. M. a fait télégraphier au Due de la Victoire pour le charger de la formation du nouveau Ministère; le Général Espartero n'a pas encore répondu à l'heure qu'il est. Il est impossible de rien prévoir dans le cas où il refuse.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA
T. 1759. Roma, 6 ottobre 1871, ore 18.
Le Gouvernement français craint que le Général Khereddin négocie en ce moment avec la Porte pour la soumission complète de la Tunisie. Entr'autres choses le Bey renoncerait au droit d'envoyer et de recevoir des agents consulaires. La France désire que nous nous associons à ses démarches pour le maintien du statu quo. Avant de prendre une décision, je vous prie de m'envoyer des renseignements exacts par télégraphe.
IL MINISTRO A STOCCOLMA, SALLIER DE LA TOUR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3953. Stoccolma, 6 ottobre 1871, ore 18,10 (per. ore 2,50 del 7).
Si Wachtmeister n'entre pas dans la nouvelle combinaison ministérielle, il sera probablement destiné à Rome, et le comte Piper à Vienne.
IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 35. Madrid, 6 ottobre 1871 (per. l'11).
L'Amiral Malcampo est réussi à former un Ministère de la manière suivante: Présidence et Marine: Malcampo.
Guerre: Bassols, jusqu'ici Capitaine Général de Madrid.
Intérieur: Candau.
Gràce et Justice: Alonso Colmenares.
Fomento: Telesforo Montejo.
Ultramar: Balaguer.
Finances: Santiago Angulo.
Le Ministère des Affaires Etrangères a été offert par télégraphe à M. Cantalapiedra, absent de Madrid.
Le Ministère se compose d'autant de Sénateurs que de Députés, et M. Malcampo, qui était le Commandant de la frégate la • Saragosse • lors de la Révolution de Septembre, est Sénateur. Ils sont Ministres pour là première fois.
Tous les efforts du nouveau Président du Conseil pour que des membres du parti Progressiste-démocrate eussent accepté quelques portefeuilles ayant échoué le Cabinet ne se compose que de Progressistes-Conservateurs ou du parti de Sagasta.
Ce Ministère est évidemment de transition, et tout ce que l'on peut espérer c'est qu'il trouve le moyen de durer jusqu'au terme légal imposé par la Constitution à l'existence des Cortès. Les partis Démocrate et Républicain lui feront, sans doute, une rude guerre; mais il est possible que, par cela meme, il sera soutenu par la droite de la Chambre.
L'impatience, et je puis méme dire l'exaspération du parti Radica!, à cause de sa défaite, a sa raison d'étre, ainsi que j'ai eu l'honneur de l'indiquer hier à V. E., dans l'approche des élections municipales qu'il aurait voulu diriger à sa guise, et dans la>crainte que la dissolution des Chambres ayant lieu avec un Ministère à tendances conservatrices, l'existence du parti ne soit gravement menacée si, ·lors des nouvelles élections politiques, le Gouvernement du pays sera confié aux mains de ses adversaires. Les journaux démocrates de ce matin ne s'en cachent pas et ils accusent ouvertement le Cabinet actuel d'étre un masque couvrant la personnalité de M. Sagasta qui n'a pas eu le courage ~ selon eux -d'accepter la responsabilité de ses propres actes et de la scission du parti progressiste.
Mais ces mémes journaux, en faisant le récit des péripéties de la Crise, rendent tous hautement justice à la conduite constitutionnelle du Roi, et déclarent que l'Espagne n'a plus rien à envier, sous ce rapport, ni à la Belgique ni à l'Italie.
Le nouveau Ministère, qui a preté hier au soir serment au Roi, se présentera aujourd'hui devant les Chambres, et j'aurai l'honneur d'informer V. E. sur les déclarations qu'il croira devoir faire, sur l'accueil qu'il recevra, et sur l'attitude que les partis pourront prendre au milieu de la confusion et du déchainement de passions qui offrent un spectacle aussi lamentable qu'inquiétant.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3954. Costantinopoli, 7 ottobre 1871, ore 21,50 (per. ore 0,45 dell' 8).
Reçu télégramme d'hier de V. E. On ne nie pas à la Porte d'une manière absolue que la cession de la part de Tunis du droit d'envoyer et de recevoir des agents consulaires ait été dejà discutée avec le général Keredine. Il y a tout raison de croire qu'il en a été question. Ambassadeur de France m'a dit le savoir d'un télégramme qu'H a reçu ce matin de Tunis, qui confirme que le général Keredine en a (léjà référé a son Gouvernement. Server pacha ne cache pas que l'arrangement qu'on négocie avec Tunis serait dans le cas tout favorable en principe et en fait à la puissance suzeraine. Ambassadeur de France croit que le statu quo pourra étre maintenu parle désislement de notre part de réclamations que l'on croit moins modérées qui seraient la cause du consentement de la Tunisie à s'assujetter à la Turquie, et par l'action commune de l'Italie et de la
France auprès de la S. Porte.
14 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. RISERVATA 3868. Roma, 7 ottobre 1871 (per. l' 8).
Già nello scorso anno il sottoscritto ebbe ad intrattenere codesto Ministero sulla troppa facilità con cui convenivano nelle città del confine Svizzero i rifugiati politici, e sul grave pericolo che ne ridondava al nostro paese, costituendo quei conciliaboli una costante minaccia all'ordine pubblico ed alla sicurezza.
Vengo ora assicurato che siffatti convegni si ripetono presentemente in Lugano, e che di recente fu in detta città Mazzini con altri del suo partito, i quali si radunano colà per mettersi d'accordo, a quanto pare, onde procedere con unità di azione nei loro tentativi di sovversione.
Riferendomi pertanto alla corrispondenza in proposito tenuta con codesto Ministero nello scorso anno e specialmente nel mese di Marzo, io prego l'E. V. di voler fare nuovi uffici a quel Rappresentante del Re, onde impedire che in paesi così prossimi alla nostra frontiera si raccolgano i nemici del nostro paese, e si cospiri contro le nostre istituzioni e l'ordine pubblico.
IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 36. Madrid, 7 ottobre 1871 (per. il 13).
M. Sagasta a occupé hier le fauteuil de la Présidence des Cortès, et au moment où il adressait la parole à la Chambre, M. Zorrilla, suivi de tout son parti, est entré dans la salle en interrompant l'Orateur. M. Sagasta a cru devoir prendre peu de temps après sa revanche en refusant la parole à M. Zorrilla, sans avoir consulté la Chambre. Ces incidents, qui n'ont en eux memes aucune valeur, servent pourtant à démontrer combien les traines sont ardentes et que la scission du parti Progressiste est un fait sur lequel il sera, malgré tous les efforts, bien difficile de revenir.
Le discours du Président de la Chambre a été surtout une plaidoirie • pro domo Sua •, et sa déclaration d'etre toujours un fidèle Progressiste-Démocrate n'a rencontré de la part des Conservateurs qu'une incredulité bienveillante, et de la part des Radicaux qu'une véhémente protestation.
Le nouveau Cabinet a pris hier meme possession du banc ministériel, et
M. Malcampo, ayant demandé la permission de lire son discours (ce qui a produit une mauvaise impression, car on n'y est pas habitué dans ìes Cortès Espagnoles) a exposé le programme du Gouvernement. Après quelques phrases, -qui en toutes autres circonstances auraient paru d'une trop grande modestie, -pour expliquer que son patriotisme a été son unique mobile en acceptant une mission qui est au dessus de ses forces, il a déclaré que son programme est celui du Ministère précédent; qu'appartenant, ainsi que ses collègues, au parti progressiste-démocratique, sa politique sera celle de ce parti, que le Ministère réalisera une politique c expansive • et en aucune manière agressive ou répulsive; que dans l'ordre politique, tout en professant le plus grand respect pour les libertés assurées par la Constitution de 1869, il fera en sorte que la Constitution et les lois soient respectées et exécutées.
Tels sont les points les plus saillants d'un discours qui a été reçu avec une méprisante ironie par les Radicaux et avec une grande indifférence par les Conservateurs; car ni les uns ne veulent accepter ce Ministère comme une émanation de leur parti, ni les autres ne veulent admettre qu'il continuera la politique de l'ancien Cabinet.
En effet dans la réunion advenue hier meme des Progressistes-démocrates, où on a fait serment de déclarer une guerre à mort au Ministère, M. Martos a dit que ce Ministère était c un navire-pirate qui se sert du pavillon qui lui convient le mieux •. Et la fraction de l'Union-Libérale qui est dynastique s'étant décidée à soutenir le Cabinet, M. Romero-Robledo expliquait cette déCision de la manière suivante: c Nous le défendrons, parceque nous ne craignons pas la liberté, et parcequ'il ne continuera pas une politique qui était la destruction de la Monarchie •.
Dans cette lutte d'influences, il me semble que le véritable vaincu a été le parti progressiste dont les deux partis extremes se sont partagé les dépouilles. Les démocrates, -qui étaient jusqu'ici un Etat-major sans armée, -ont réussi à s'annexer, avec M. Zorrilla, ceux des Progressistes qui penchaient pour les idées radicales, tandis que les Unionistes sont parvenus à s'attirer, -sinon ouvertement, du moins dans le fait, -les Progressistes qui, avec M. Sagasta, craignent l'empire et la prépondérance de principes et d'une politique trop favorable aux idées républicaines.
Mais je dois ajouter que cette situation des partis n'est véritable qu'autant que dureront les Cortès présentes. Il n'est pas possible de prévoir si elle restera la meme dans les Cortès prochaines, et encore moins si le triomphe que viennent de remporter les Conservateurs n'étant pas ephémère, les Progressistes qui penchent de leur còté finiront par se fusionner définitivement et franchement avec eux, comme les partisans de M. Zorrilla viennent de le faire avec les démocrates: ces monarchiques qui ont toujours gardé un pied dans le camp républicain.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI
D. 106. Roma, 8 ottobre 1871.
Le accuso ricevuta dei suoi pregiati rapporti di questa serie fino al n. 250 incluso e La ringrazio per le interessanti notizie in essi contenute.
Appena mi pervenne il suo pregiato rapporto segnato al n. 24& (l) ne tra
smisi copia al ministero dell'interno e chiesi i connotati del nominato Gambuzzi
i quali sono (vedi nota dell'Interno n. del protocollo 138) (2).
Il suddetto Ministero riconferma che il Gambuzzi fu uno dei più attivi capi dell'Internazionale di Napoli.
Quanto poi allo scopo della recente conferenza tenutasi in Londra il suddetto Dicastero crede sapere da confidenze fatte dall'Engels ad un suo corri~ spondente, ch'essa avea tratto solo a questioni pratiche intorno all'amministrazione interna ed all'organamento della società a cui il consiglio generale avrebbe presentata una relazione della sua gestione nei decorsi anni.
Solo i delegati che hanno soddisfatto le contribuzioni al prefato consiglio possono prendere parte al congresso in discorso. Questa contribuzione sarebbe al più d'un penny annuo (?).
Anche il Ministero dell'Interno riconosce da parte sua l'opportunità di tenere in Londra un agente stipendiato dipendente immediatamente da codesta Legazione allo scopo di sorvegliare specialmente le trame dei facinorosi italhini di~ rette contro la sicurezza dello Stato e vorrebbe che se ne tentasse l'esperimento per qualche mese. Attende quindi dalla S. V. ulteriori dettagli e desidera conoscere pure quali sarebbero le spese occorrenti all'uopo.
Spero perciò ch'Ella potrà quanto prima fornirmi questi ragguagli e raccomandandole di continuare ad invigilare sulle mene della setta internazionale ed in ispecie del nominato Gambuzzi...
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. CIFRATO 265. Pietroburgo, 8 ottobre 1871 (per. il 15).
J e viens de lire la dépeche adressée le 29 Septembre par le Comte Beust au Chargé d'Affaires d'Autriche ici et que mon télégramme du 6 Octobre a eu l'honneur de annoncer à V. E. (1). Elle est brève et conçue en termes précis. Chancelier écrit qu'ayant appris que l'Allemagne avait donné au Cabinet Impérial des explications spécialement destinées à éviter des appréciations erronées sur l'esprit des entrevues, il vient aussi compléter, si cela est nécessaire, les déclarations de sa dépeche du 12. Après avoir répété que l'entente entre l'Allemagne et l'Autriche, loin de avoir un caractère inquiétant, était un gage de paix, il fait allusion à ce passage de son discours aux Délégations, où il a dit:
• les amis de nos amis sont nos amis •, et applique cette pensée en disant que l'harmonie entre Autriche et Allemagne d'une part, la Russie et l'Allemagne de l'autre doit etre • le trait d'union • entre Autriche et la Russie.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA
T. 1761. Roma, 9 ottobre 1871, ore 15,40.
Je vous prie de demander de ma part au gran vizir si les bruits qui courent sur les négociations de la Porte avec Tunis sont exacts, et si ces négociations ont réellement pour but de changer, au point de vue international, la situation de la Tunisie. Dans ce cas nous serions obligés de ne pas cacher que le moment ne nous paraìt pas opportun pour soulever une question de ce genre. Naturellement la question de la succession ne nous regarde pas; mais en ce qui concerne les droits des consuls et agents des états européens à Tunis, nous devons veiller à ce que le statu-quo soit maintenu. Je vous autorise donc à vous associer, au besoin, aux démarches de l'ambassadeur de France à ce sujet, et de le faire savoir à M. de Vogué. Comme chargé d'affaires intérinaire vous aurez cependant soin d'appuyer seulement les démarches de la France, et votre langage devra ètre empreint de la plus grande modération.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
T. 1762. Roma, 9 ottobre 1871, ore 16.
D'après nos renseignements le Bey de Tunis a envoyé à Constantinople le général Kereddine pour obtenir la succession directe au lieu de la succession en ligne collatérale. Il est probable qu'en mème temps le Bey reconnaisse plus solennellement ~a haute suveraineté de la Porte, et, peut-ètre les privilèges des agents et consuls européens à Tunis pourraient ètre par conséquent soumis à des graves restrictions.
Nous sommes disposés à associer nos démarches à celles de la France pour maintenir le statu quo en ce qui regarde les attributions et privilèges de nos consuls. Je ne suppose pas que le comte de Remusat ait l'intention de s'opposer au changement de succession dont je vous ai parlé.
En faisant cette communication, veuillez appeler l'attention de M. de Remusat sur les calomnies de quelques journaux comme le Soir et le Gaulois, ce journal accuse l'ltalie de s'accorder avec le Bey contre la France.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI
D. 14. Roma, 10 ottobre 1871.
Appena mi pervenne il Rapporto che Ella mi scrisse dopo aver conferito con il Signor Fish circa gli affari nostri al Venezuela, mi affrettai di trasmettere copia al R. Incaricato d'Affari a Caracas per prevenirlo delle istruzioni che riceverebbe il Ministro degli Stati Uniti presso quella Rappresentanza e per commettergli di trarre dall'appoggio che gli offrirebbe quel dispaccio il miglior profitto possibile per gli interessi italiani.
Non solamente noi accettiamo l'offerta fattaci dal Governo di Washington di appoggiare i nostri richiami a Caracas; ma desideriamo che V. S. esprima al Signor Fish i nostri sensi di gratitudine per tale vantaggiosa proposizione.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Vienna, 10 ottobre 1871.
Vi ringrazio sentitamente per le molte notizie che vi piacque darmi con le vostre lettere particolari del 3 e 4 corrente (1), esse mi riesciranno di sommo vantaggio come norma di condotta all'evenienza. Nè il Cancelliere nè nessun altro ebbe a tenermi parola della questione dei conventi, e quindi non ebbi sino ad ora a parlarne, non aprirò bocca al riguardo se non mi si trarrà sull'argomento; verificandosi però questo caso, amerei sapere se i lavori della Commissione di giurisconsulti ed altri di cui era caso nel dispaccio del 3 Maggio (2) abbiano avuto un ,risultato, o no, non trovando menzione del suo operato nelle vostre risposte al Conte Zaluski.
In quanto al trasferimento a Roma della Legazione Imperiale, sono in grado di darvi notizie che pajonmi abbastanza sicure. Ieri l'altro fu da me il Barone Kiibeck che viene a trovarmi ogni qualvolta giunge a Vienna da Grati ove fruisce del suo congedo. Egli dissemi, il suo congedo spirar col corrente mese, alla qual epoca farebbe ritorno in Italia, ciò non andava perfettamente d'accordo con quanto avevami confidenzialmente detto pochi giorni prima sulla sua nomina a Costantinopoli che non ancora ufficiale era però cosa decisa. Essendovi quella sera parecchie persone in casa mia, non mi si presentò l'opportunità d'un colloquio particolare onde chiarir la cosa. Mi valsi però di questa circostanza per toccar tal argomento ieri col Conte Beust, ciò che potevo far tanto meglio che mai ne avevo aperto bocca con lui. Notizie d'altronde contenute negli odierni giornali me ne davano pur ragionevole pretesto. Il Conte Beust dissemi tosto che il Barone Kiibeck ritornava in Italia, che verrebbe a Vienna a prender congedo dall'Imperatore al ritorno di S. M. da Ischl verso la metà del corrente, che dopo ciò si recherebbe al suo posto. Che non bisognava prestar fede di sorta alle dicerie corse che il Barone Kiibeck non volesse andar a Roma, che anzi ci andrebbe prossimamente. Che più tardi potrebbe verificarsi il caso ch'egli avesse un'altra destinazione, ch'egli si riservava allora di dirmi
il personaggio che l'Imperatore intendeva dargli per successore, ma che intanto poteva accertarmi che la scelta del Governo Imperiale sarebbe caduta sopra persona accettissima all'Italia. Parlando del ritorno in Italia del Barone Kiibeck, insinuai inèidentalmente che il Parlamento si sarebbe riaperto in Roma nella prima quindicina di Novembre, e che prima di quell'epoca il Re si sarebbe colà recato. Il Conte Beust si prerin.irò d'assicurarmi che per quell'epoca la Legazione Imperiale sarebbe trasferita a Roma, egli mi disse anzi che degl'ordini eran già dati in proposito, e scherzando ma con marcata intenzione soggiunsemi, tenez la chose comme faite nous n'entendons pas vous faire de petites chicanes. Confesso però che amerei già sapere la cosa effettivamente fatta, poichè la posizione del Conte Beust parmi talmente scossa che il suo forzato ritiro non sembrerebbemi per nulla improbabile, ed è evidente che le circostanze che potrebbero motivar il suo ritiro, sono di natura a non lasciar dubbio di sorta sul partito a cui apparterrebbe il successore. I miei· successivi rapporti dacchè sono a Vienna avranno potuto farvi persuaso della poca fiducia che ho nell'avvenire di questo paese, ciò non m'impedisce di ravvisar essenzialissimo di tenerlo per intanto quanto possibile amico; dico per quanto possibile, poichè in fondo simpatie per noi, qui non ce n'è di sorta, non bisogna farsi illusione al riguardo. Il Conte Beust però, non divide certamente le antipatie contro di noi dell'entourage dell'Imperatore, e finchè egli resterà Cancelliere, le relazioni dell'Austria coll'Italia non perderanno l'impronta di cordialità che hanno oggi, ma venendo egli a cadere, molto probabilmente le cose muterebbero aspetto. Siccome però un tal fatto sarebbe il principio di gravissimi guai interni per questo paese, non mi preoccupo troppo di tal eventualità. Quel che è certo si è: che le cose così non possono durare, conviene che uno dei due o il Conte Beust od il Conte Hohenwarth si ritiri. L'accoglienza che il Governo sarà per fare all'indirizzo Boemo che vi trasmetto oggi in extensum, rischiarerà la situazione, se per avventura non troncherà del tutto la questione. L'accoglienza fatta in Italia a quei Signori che vi si recarono per· l'inaugurazione del tunnel, li ha vivamente impressionati, ed altamente ebbero a lodarsene con me con tutti, furono particolarmente grati alle cortesie che usaste loro; giustizia d'altronde vuole ch'io dica, che tutti gl'Italiani che vengono qui con qualche incarico del Governo, vi trovano ogni facilità e la miglior possibile accoglienza. Per conto mio non posso se non altamente lodarmi, tanto dell'Imperatore quanto del suo entourage, che in ogni circostanza spiegano a mio riguardo somma cortesia. Le mie relazioni col Conte Beust non potrebbero essere più cortesi, nè più cordiali, così dicasi del Generale Kuhn e di quanti altri coi quali ebbi l'occasione di trovarmi in rapporto. Come vedete dunque la mia posizione sino ad oggi nulla lascia a desiderare.
Non mancherò di tenervi informato di tutto ciò che potrà succedere d'interessante per noi in questo paese, vogliate intanto...
P. S. -Mi son scordato di dirvi che verificandosi il trasloco del Barone Kubeck a Costantinopoli par fuori di dubbio che il successore sarà il Conte Wimpfen.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3959. Therapia, 11 ottobre 1871, ore 8,20 (per. ore 15).
A la suite du télégramme du 9 de V. E. (l) j'ai vu grand vizir. Il m'a dit qu'il ne s'agit que de changer la lettre vizirielle de réconnaissance pour chaque bey en Tunisie en un firman qui en reconnaitrait d'une manière permanente les droits et la succession. Ceci ne constitue pas un changement du statu quo. Je lui ai néanmoins fait connaJtre les désirs du Gouvernement du roi. J'ai également vu Server pacha, ministre des affaires étrangères, avec qui le corps diplomatique a des rapports plus directs. Les modifications du statu quo, selon lui, ne seraient pas radicales. Je lui ai également fait connaitre les appréciations de V. E. sur la question, qui n'ont pas manqué d'etre l'objet de sa plus sérieuse attention. J'ai fait verbalement la communication officielle dont V. E. a bien voulu [me charger] à l'ambassadeur de France, qui l'a reçue avec les meilleures dispositions.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3962. Parigi, 12 ottobre 1871, ore 19,05 (per. ore 0,15 del 13).
Le Gouvernement français s'est déjà préoccupé de la question de Tunis et il prépare des lettres aux puissances européennes pour s'entendre à l'effet d'empecher que la Porte n'amoindrisse la situation du Bey. M. de Rémusat croit que le Gouvernement turc vise à des modifications très préjudiciables à l'autonomie du bey et qu'il aurait été meme question de demander le renouvellement d'un tribut. Une communication sera faite à cet égard à V. E. par M. de Sayve dès que la France aura arreté sa ligne de conduite. M. Casimir Perier est nommé ministre de l'intérieur.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1685. Parigi, 12 ottobre 1871 (per. il 16).
Ho ricevuto il telegramma in data del 9 corrente (2) col quale l'E. V. volle informarmi dello scopo della missione del Generale tunisino Kerredin a Costantinopoli e mi incaricò di far conoscere al Governo francese che il Go
verno di Sua Maestà era disposto ad agire d'accordo con esso onde mantenere intatti i privilegi e le attribuzioni dei C0nsoli de' due paesi nella Tunisia in previsione del caso in cui il Bey si lasciasse indurre a riconoscere più solennemente la sovranità della Porta in seguito a qualche concessione ottenuta nell'ordine di successione ed in cui per conseguenza le prerogative degli Agenti e Consoli europei a Tunisi fossero minacciate di gravi restrizioni.
Ebbi poi il secondo telegramma dell'E. V. in data dell'Il ottobre corrente (l) col quale Ella mi comunicò più recenti informazioni a Lei pervenute da Costantinopoli intorno all'oggetto delle trattative tra il Bey ed il Governo turco. Secondo queste le modificazioni relative alla successione del Bey di Tunisi che si tratta d'introdurre non sarebbero radicali; alla lettera ministeriale di riconoscimento d'ogni nuovo Bey sarebbe in avvenire sostituito un firmano che riconoscerà in modo permanente il diritto di successione.
Intrattenni quest'oggi, nel colloquio ch'ebbi con lui, il Ministro degli affari esteri della Repubblica di questa quistione, comunicandogli le informazioni avute dall'E. V. Gli dissi quali erano le apprensioni del R. Governo e lo assicurai ch'esso era disposto ad associarsi ad ogni pratica che potesse tornare opportuna onde allontanare il pericolo d'una diminuzione de' privilegi degli Agenti e Consoli europei nella Tunisia.
S. E. il Signor di Remusat mi rispose che dal suo lato egli già s'era preoccupato delle trattative ch'ebbero luogo tra il Bey e la Porta e che si stavano preparando nel suo Dicastero lettere alle Potenze europee allo scopo di concertarsi per impedire che le condizioni del Bey non sieno sostanzialmente mutate. Il Signor di Remusat disse che rapporti pervenutigli da vari lati gli avevano fatto presumere che il Governo ottomano mirasse in fatto a cambiamenti che potrebbero tornare gravi per la situazione della Tunisia e ch'egli temeva che il Bey potesse non opporre una sufficiente resistenza a tali mire. Secondo il Signor di Remusat si sarebbe perfino sospettato che la Porta volesse accampare la pretensione di farsi pagare di nuovo un tributo dal Bey. Egli prese nota delle informazioni ricevute dall'E. V. ch'io gli comunicai, ed osservò che dal suo Iato egli per molto tempo aveva avuto dubbi sul vero motivo e scopo del viaggio del Generale Keredin. Finalmente S. E. promise che una comunicazione in proposito sarà fatta tra non molto all'E. V. dall'Incaricato d'Affari di Francia in Italia.
Nel corso della conversazione non omisi di segnalare al Ministro degli affari esteri l'impressione penosa che dovevano produrre in Italia le calunniose quanto assurde insinuazioni di giornali francesi, come il Soir ed il Gaulois che accusavano il R. Governo di connivenza col Bey in alcuni fatti di cui la Francia erasi querelata. Diedi lettura al Signor di Remusat dell'articoletto del Gaulois del 6 ottobre e non gli lasciai ignorare che quelle malevoli invenzioni non erano sfuggite all'attenzione dell'E. V.
Egli mi rispose che a lui pure rincresceva quel linguaggio, ma che non v'attribuiva nessuna importanza e che invero non comprendeva neppure come si fabbricassero tali favole.
(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 152.
IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. CONFIDENZIALE RISERVATO 156. Lisbona, 12 ottobre 1871 (per. il 20).
I rapporti tra il Portogallo e la Santa Sede sono attualmente assai tesi pel rifiuto della Curia Romana di aderire a proposizioni concilianti fatte da questo Governo a Roma nell'interesse del Paese.
Anzitutto il Conte di Thomar prima di venire in congedo ha chiesto particolarmente il richiamo di questo Nunzio Apostolico, Monsignor Oreglia di S. Stefano, il quale, come già altre volte ne informai il R. Governo, passa qui non solo per incoraggiare la resistenza dell'alto Clero Portoghese ai tradizionali privilegi del Portogallo, ma supponesi puranche mischiarsi di politica ed essere centro di opposizione Governativa. Forse Roma non sarebbe stata aliena a dargli un successore, od almeno volle mostrare di non esserlo, ma mise innanzi la difficoltà del Cappello Cardinalizio che tutti i Nunzii a Lisbona ricevono lasciando questa Nunziatura, e che non si è disposti per ora a dare a Monsignor Oreglia. Sia o non sia questo il vero motivo il fatto sta che l'attuale Nunzio rimane al suo posto con poca soddisfazione del Governo e della numerosa parte liberale del Paese.
Il Signor Andrade Corvo nel confermarmi jeri confidenzialmente tali dettagli mostrommi puranche confidenzialmente il malcontento dell'attuale Gabinetto verso la Curia Romana pel rifiuto reciso di recenti proposte tra quali: quella della nomina d'un Delegato Ecclesiastico nelle Indie Portoghesi per surrogare colà il Vescovo di Goa che non pare disposto, nè il Governo sembra desiderarlo, a ritornare in quella sua Diocesi; di sanzionare la nomina d'un Prelato Portoghese non ha guarì fatta dalla Corona, com'è suo diritto; e quello di conferire il Cappello Cardinalizio al nuovo Patriarca di Lisbona che fu sempre accordato in passato e considerato qui come diritto acquisito ed immediato per tale alta Prelatura. A tale proposito fuvvi un diverbio assai vivo giorni sono tra il Nunzio ed il Ministro e questi finì per dire a S. E. Reverendissima che se Roma persisteva nel suo rifiuto, il Governo Portoghese reclamerà la restituzione delle rilevanti somme pagate in antico a Roma per tale privilegio. Sonovi poi diverse altre questioni sulle quali Roma non vuole assolutamente transigere nè ora nè poi.
Il Ministro degli Esteri soggiunse essere tanto più giusto il malcontento del Governo e Roma male ispirata nei suoi rifiuti, ché il Portogallo era in questi tempi il solo paese d'Europa col quale Roma non avea questioni bTIUlantes e che ben male si apponeva la Curia se credeva che le resistenze Romane troverebbero eco ed appoggio nel Paese, il qual nei rapporti tra la Chiesa e lo Stato rimase sempre fermo nelle vie liberali, anzi mostra ora perfino un indifferentismo religioso certo non desiderabile. Infatti le recenti conversioni di preti Cattolici al protestantismo, per causa di matrimonii, e lo stabilimento d'una chiesa Spagnuola protestante dissemi S. E. passarono inaperçus (sic) né l'opinione pubblica se ne preoccupò menomamente.
Il Signor Corvo terminò il suo confidenziale colloquio col dirmi che se Roma persiste in tale proposito di non ammettere alcuna ragionevole conciliazione, il Governo dal canto suo si servirà di tutti i mezzi che ha a sua disposizione per l'assetto delle difficoltà.
S. E. confermommi puranche che il Conte di Thomar ritornerà ben presto al suo posto a Roma poiché questo esperimentato Uomo di Stato continua a godere la piena fiducia del Re e del Governo ed è, più di ogni altro, atto al difficile disimpegno della di lui delicata Missione Diplomatica.
Un alto Personaggio affermommi poco dopo quanto il Signor Corvo mi avea comunicato relativamente alla tensione dei rapporti con Roma dolendosi che in questi ultimi tempi la Curia e la sua Nunziatura qui abbiano assunta un'attitudine manifesta di malvolere che il Ministero attuale non può nè deve sopportare.
IL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 43. L'Aja, 13 ottobre 1871 (per. il 17)..
Io non dubito menomamente che il mio collega a Londra ed il R. Console a Dublino abbiano di già esattamente informato l'E. V. delle mene cattoliche in Irlanda, e degli apparecchi militari che colà si fanno allo scopo di una non lontana crociata in favore del Potere temporale.
Benchè, lo ripeto, io sia persuaso che tanto il Cavaliere Cadorna, quanto il Console Pandolfini tengano l'E. V. esattamente ragguagliata su tutto ciò, e malgrado il lato ridicolo che pur si attacca a simili conati degli ultra cattolici, pure credo dover mio il comunicarLe alcune informazioni, che da fonte sicura, mi giunsero in proposito. Se non ad altro esse varranno all'E. V. per porle in confronto di quelle ricevute d'altra parte, ed a provarle che, al pari di tutti gli Agenti di Sua Maestà all'Estero, provo il desiderio di ragguagliare il R. Governo delle trame che si stan facendo contro l'Italia, ovunque siasi.
Si è organizzata, a quanto mi si scrive, in Irlanda, un'associazione che si vorrebbe tenere secreta, e che ha ramificazioni o tenta di averne nel Belgio, in Olanda, in Francia, nella Silesia ed in Italia.
Essa è posta sotto il patrocinio di San Sebastiano, protettore dei prigionieri, forse perché si pretende che il Papa sia tenuto prigione nel Vaticano dal Governo Italiano.
In ogni parrocchia irlandese si scelgono quattro giovani di conosciuta fede cattolica, fra i quali, ben inteso, sono preferiti quelli che hanno già servito nella milizia nazionale, nel disciolto esercito pontificio o negli ex zuavi papalini, i quali in Irlanda ascendono a due o tre mila.
Questi formano il nucleo della crociata che, in un avvenire non determinato, sperano di tentare; dessi sono incaricati di trovare neofiti alla futura impresa,
o per meglio dire di fare arruolamenti; ad essi viene affidata l'istruzione militare delle reclute; ed aspettando il momento opportuno per essere gettati alla spieciolata in Italia a spese delle rispettive parrocchie, essi si uniscono in piccole squadre di 15 e 20 uomini, ora in un sito, or in un altro, per esercitarsi nelle manovre militari.
Ogni settimana si raccolgono sottoscrizioni per creare il fondo dell'associazione, ed i contribuenti affluiscono. I membri di detta associazione appartengono per la maggior parte al clero, agli artigiani della città, ed ai piccoli proprietarii delle campagne.
Capo Supremo di essa è il Cardinale Cullen, i cui agenti principali sono Monsignor Murray, suo segretario particolare, Monsignor Ford ex cappellano della Legione irlandese già al servizio del Papa, ed il famoso O'Reilly arruolatore degli zuavi, e membro del Parlamento inglese.
Le principali ramificazioni di detta società sono nel Belgio, in Francia, nelle provincie napoletane, e specialmente in Sicilia, dove molti emissari sono continuamente spediti dall'Irlanda.
La persona che fornì tali informazioni, e che per le sue opinioni politiche ha sofferto molte persecuzioni dal Cardinale Cullen nella sua qualità di Sacerdote, asserisce che la Società posta sotto patrocinio di San Sebastiano ha ultimamente preso grandissime proporzioni, particolarmente nelle provincie di Leinster, Munster e Connaught; che tutte le Diocesi ne sono infestate, ad eccezione di quella di Tuam, perché l'ottuagenario Arcivescovo Monsignor Hale non la vuoi favorire, essendosi egli pronunciato contro il dogma dell'infallibilità.
La corrispondenza per l'Estero si trasmette per mezzo di preti, è scritta in caratteri e cifre conosciute soltanto ai capi dell'associazione, i cui membri si conoscono fra loro per segni convenuti (1).
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. RISERVATO 140. Therapia, 13 ottobre 1871 (per. il 20).
V. E. con telegramma in data delli 6 corrente (2) nel compiacersi farmi parte del desiderio espressole dal Governo francese d'una azione comune con quello del re pel mantenimento dello • statu quo • nella Reggenza di Tunisi, facevami l'onore, prima di prendere una decisione, di richiedere dei ragguagli sopra i negoziati in corso tra la Porta ed il generale Kereddin, i quali temevasi in Francia, tendessero alla soggezione completa della Tunisia. Con telegramma del 9 (3), l'E. V. incaricavami d'interpellare per di lei parte il Gran Vizir sull'esattezza o no delle voci che vanno attorno sui negoziati fra la Porta e Tunisi, e se essi abbiano per iscopo un mutamento al punto di vista internazio
nale della situazione della Tunisia; che se così fosse, il Governo del re non potrebbe dissimulare la sua opinione sull'inopportunità del momento per sollevare una questione di tal genere. La questione di successione non riguardarci, sibbene quella interessarci e dover esser mantenuta nello • statu quo • che riguarda i diritti dei consoli ed agenti europei a Tunisi. V. E. compiacevasi poi autorizzarmi ad associarmi, come ve ne fosse d'uopo, ai passi dell'ambasciatore di Francia al soggetto, ed a far ciò offi.cialmente a questo conoscere.
Coi miei telegrammi responsivi delli 7 ed 11 corrente (1), io ebbi l'onore di far conoscere all'E. V. come vi fosse luogo di credere che nei negoziati fra la Porta e l'Inviato tunisino fosse stata di già ventilata la questione relativa ad una moditìcazione da introdursi nel diritto attualmente in vigore a Tunisi sull'invio e sul riconoscimento dei consoli ed agenti consolari; come il Gran Vizir alle interpellanze fattegli, d'ordine dell'E. V., mi rispondesse che non si trattava nei negoziati attuali con Tunisi che di surrogare alla lettera Viziriale di riconoscimento che si accorda ad ogni Bey un firmano che ne consacrerebbe d'un modo permanente i diritti e l'ordine di successione. Io faceva parte del pari a V. E. come Mahmoud Pacha ed il Ministro imperiale degli Esteri credano che gli accordi che si stan ·da loro trattando con Tunisi non costituiscano una vera o radicale modificazione allo • statu quo •.
Non mancai nullameno, come ne diedi avviso a V. E., di far conoscere al Gran Vizir nonchè a Server Pacha, col quale ultimo personaggio i rappresentanti esteri hanno più direttamente ad intendersi, i desideri e gli apprezzamenti del
R. Governo nel senso dei sovramenzionati impartitimi ordini.
La mia comunicazione è stata oggetto per loro parte della maggior dovuta attenzione, nella guisa stessa che questo ambasciatore di Francia accolse colle migliori disposizioni la partecipazione sovramentovata .che io aveva mandato di fargli, dell'autorizzazione cioè che io aveva ricevuto d'associarmi, eventualmente, ai passi che egli darebbe pel mantenimento dello • statu quo • a Tunisi.
Mentre è mio debito di confermare tali riscontri, ho l'onore d'aggiungere che se i ministri predetti del Sultano vollero da un lato farmi credere che il firmano che si ha in mente di mandar fuori d'accordo coll'Inviato del Bey, non muterà dal punto di vista internazionale lo stato attuale delle cose nella Reggenza -ho d'altro canto sicure informazioni onde consta che il firmano in discorso che deve surrogare la lettera Viziriale del 1864 al Bey, conterrebbe non solo le disposizioni per definire in modo permanente l'ordine di successione (pare non si sia stabilito per anco se in linea diretta o collaterale) ma si aggiungerebbe in esso che si continuerà a riconoscere nel Bey e nel suo Governo i diritti consentitigli fin qui dal lungo uso in tutto ciò però che non riguarda questioni politiche.
Si è per ciò che malgrado le asseveranze del Vizir che non si avesse in mente di mutare lo • statu quo •, ho fatto ben nettamente, credo, ma in quella forma temperata che mi vien raccomandata, conoscere a Sua Altezza ed a Server Pacha l'apprezzamento del Governo del re sull'inopportunità d'un mutamento nell'ordine internazionale delle cose nella Reggenza
Siffatto apprezzamento e desiderio del R. Governo non han potuto e non possono non essere seriamente pesati dai ministri del Sultano, ma debbo dire, per adempimento scrupoloso del mio compito, che sia il Gran Vizir che Server Pacha non cercarono nelle loro risposte a me che di attenuare la portata dell'accordo che hanno in mente con Tunisi e provaronsi a fare, in modo vago, vedere l'utilità che vi sarebbe, a loro avviso, per tutte le Potenze ad una definizione precisa e permanente dei rapporti che devono esistere tra la Potenza alto-sovrana e la Reggenza, ma non dissero parola nè fecero allusione ad intenzione per loro parte di mutare il loro proposito di dar seguito ai negoziati tendenti all'emanazione di un nuovo firmano pelle cose tunisine.
La tema di una preponderante influenza dell'Italia o di sue sognate mire sulla Reggenza è il motivo dei negoziati attuali tra il Governo turco e quello del Bey, e degli accordi che voglionsi stringere per un firmano nel senso sovraccennato. La Porta ed il generale Kereddin non lo dissimularono ad altri -e lo so di buon luogo.
Si è per ciò che questo ambasciatore di Francia insiste presso di me perchè l'E. V. veda se non sarebbe il caso di far pervenire a questo Governo delle assicuranze formali che valgano a tor di mezzo le apprensioni che, comechessia, esistono a nostro riguardo a Stamboul ed a Tunisi, e che rendan vano così il pretesto ad ulteriori negoziati per un cambiamento nel regime politico attuale della Reggenza. Quando io feci parte al conte di Vogué delle direzioni datemi dall'E. V. su tal quistione, aveva questi di già fatto presente. alla Porta l'inopportunità dei mutamenti progettati nei rapporti internazionali della Tunisia. Gli venner in ispecie opposte considerazioni sull'asserita necessità sia pel Governo del Sultano che pel Bey di avere serie e meglio definite garanzie dei reciproci loro diritti di fronte a qualsiasi eventualità. L'ambasciatore stesso ricevè, non è guarì, più particolareggiate istruzioni in base alle quali accentuerà maggiormente la sua azione a persuadere questo Governo a non agire per rispetto a Tunisi altrimenti che la Francia, la quale continuerà a dare come pel passato prove della sua ferma intenzione di rispettare scrupolosamente i diritti e lo
• statu quo • del paese limitrofo dei suoi possedimenti nell'Algeria.
Nell'assicurare rispettosamente l'E. V. di tutto lo studio che pongo e porrò ad attenermi strettamente agli ordini di lei ed a metterli per quanto meglio in atto...
(l) Cfr. nn. 143 e 152.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3974. Costantinopoli, 16 ottobre 1871, ore 22,15 (per. ore 2,02 del17).
Server pacha que j'ai vu de nouveau cet après midi, tout en protestant des sentiments constants de la meilleure amitié du Gouvernement impérial pour celui du roi, m'a dit que la Sublime Porte, vu l'état intérieur précalre de la Tunisie, ne pouvait se dispenser d'en régler, sous peu, d'une manière précise,
la situation et les rapports vis-à-vis de la puissance suzeraine. Les arrangements que l'on a en vue ne modifient, il le répète, pas du tout l'état actuel des choses. Aufait, dit-il, si le bey ne pourra pas conclure des traités d'alliance ou de cessions territoriales, il pourra toujours faire des conventions commerciales. Server pacha, m'ajouta que, du reste, dans le courant de la semaine il mettrait Photiades bey à meme de donner des amples informations et assurances à ce sujet.
L'ambassadeur a pu également se convaincre, dans ses entretiens avec Server pacha, que l'on continue ici à avoir intention arretée d'un prochain firman sur Tunis.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 887. Berlino, 16 ottobre 1871 (per. il 21).
M. de Thile m'a beaucoup remercié des détails que j'avais chargé le Chevalier Tosi de lui fournir, en voie particulière, relativement à l'inauguration du Tunnel du Mont-Cenis. Il m'a également remercié d'avoir cherché à me rendre utile et agréable dans cette occasion au Comte de Wesdehlen. Il y voyait une nouvel,le preuve de notre désir de continuer les bons rapports existants entre les Cabinets de Rome et de Berlin.
Je lui ai dit que tel était bien notre programme, qui n'avait jamais varié, notamment durant la dernière guerre entre l'Allemagne et la France. Le Gouvernement du Roi s'était appliqué, et avait réussi, à maintenir son attitude de neutralité malgré les efforts tentés à plusieurs reprises, avant comme après Sédan, pour nous détourner au profit de la France de cette ligne de conduite. Ce n'était plus un secret pour personne, après les publications faites entre autres par le Prince Napoléon. Nous tenions donc beaucoup à vivre dans les meilleurs termes avec l'Empire et à concilier de plus en plus nos intérets mutuels. J'en avais reçu l'assurance du Roi et de son Ministère. Mais nous comptions sur la réciprocité de la part du Cabinet de Berlin, en sorte qu'il s'établisse entre les deux Gouvernements un courant de confiance mutuelle et un échange de vues sur les différentes questions qui pourraient surgir. Nous avions, comme l'Allemagne, le meme intéret à veiller et à contribuer au maintien de la paix générale. Je serais bien aise que mon language fllt rapporté au Prince de Bismarck.
M. de Thile m'en a exprimé sa satisfaction. Il se rendrait mon interprète auprès du Chancelier lmpérial, qui ne manquerait pas de me recevoir, dès que les travaux du Reichsrath et du Reichstag lui laisseraient quelque loisir.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA
T. 1765. Roma, 17 ottobre 1871, ore 14,10.
Le Gouvernement français nous a demandé, il y a quelques jours, de nous associer à ses démarches à Constantinople pour empecher que la mission du général Khereddine ait pour effet d'amener des changements politiques considérables dans la situation de la Tunisie. Mes renseignements ayant confirmé que les craintes du Gouvernement français n'étaient pas sans fondement, j'ai chargé la légation du Roi à Constantinople de faire remarquer que le moment actuel ne me paraissait pas opportun pour mettre en avant cette question. Cependant j'ai lieu de croire que la Porte persiste dans son projet, et que la France de son còté adressera une circulaire à l'Angleterre et à l'Italie pour connaitre leurs idées. Il est donc indispensable pour moi de savoir le-plus tòt possible de quelle manière lord Granville envisage la question dont il s'agit. En accueillant les premières ouvertures de la France, j'ai eu en vue surtout de prévenir ou de faire cesser des défiances dont l'opinion publique en France est animée vis-à-vis de l'Italie. Veuillez l'expliquer au comte de Granville.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3976. Parigi, 17 ottobre 1871, ore 6,30 (per. ore 23).
Rémusat a donné par télégraphe instructions au chargé d'affaires français à Athènes de demander au Gouvernement grec, d'accord avec ministre Italie, arbitrage pour l'affaire du Laurium. Nous sommes convenus de proposer deux arbitres pour la Grèce, un seui pour l'Italie et un seui pour la France sous la présidence de arbitre étranger. M. de Rémusat desire que ce dernier fut le ministre anglais à Athènes. Il demandera au Gouvernement anglais s'il consent. Veuillez en faire autant. Rémusat m'a dit qu'il avait écrit à son chargé d'affaires à Rome pour amener avec le Gouvernement royal une entente sur la formation du conseil d'arbitrage. D'après les instructions de V. E. j'ai cru devoir me prononcer tout de suite catégoriquement à cet égard dans le sens susdit pour obtenir action immédiate. Chargé d'affaires de Russie vient de insister très vivement auprès de Rémusat pour qu'on ne crée au •Ministre grec situation difficile par cette question; Rémusat lui a répondu qu'il n'en sera pas question politique mais qu'il restait décidé à poursuivre une solution équitable.
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3978. Pietroburgo, 17 ottobre 1871, ore 17 (per. ore 3,47 del 18).
Ambassadeur de France a reçu le douze télégramme de Rémusat demandant appui du Gouvernement russe auprès de la Porte afin d'empecher qu'il ne fiìt apporté des restrictions à l'indépendance du bey, à la suite de notre différend avec Tunis. Une première réponse de l'ambassadeur de France a été mal comprise à Versailles. Accueil de Westmann valait un refus de s'occuper de cette affaire.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. 4002. Roma, ... ottobre 1871 (per. il 17).
Codesto Ministero non ignora che il partito d'azione ha progettato di effettuare in Roma un congresso generale delle associazioni democratiche.
Recenti notizie pervenute in proposito a questo Ministero assicurano che va a diramarsi all'uopo una circolare non solo in Italia, ma anche alla Sezione dell'Internazionale di Ginevra, e che da questa città a sua volta si mandano vivi incoraggiamenti all'impresa.
Nel rendere di ciò avvertita l'E. V. per le opportune comunicazioni al Rappresentante del Re in detta città, Le comunico, in appoggio alla accennata notizia, una lettera diretta il 15 settembre p. p. al cittadino Cerretti in Mirandola, dalla detta Sezione di propaganda e d'azione socialista rivoluzionaria di Ginevra.
ALLEGATO
LA SEZIONE DI PROPAGANDA E DI AZIONE RIVOLUZIONARIA SOCIALISTA DI GINEVRA A CERRETTI
Genève., 15 septembre 1871. Oher Citoyen
À la nouvelle de la convocation à un Congrès des Diverses associations démo
cratiques d'Italie, la Section de Propagande et d'action révolutionnaire socialiste
de Genève a décidé de vous transmettre ses plus sincères féliciiations pour votre
courageuse entreprise.
Elle vous prie également de la renseigner pour la question suivante.
Le Congrès projété dans la pensée de ses organisateurs, est-il et doit-il rester
exclusivement Italien, ou s'ouvrira-t-il au contraire devant les déléguées des diffé
rents groupes socialistes de divers pays, y compris les délégués :ies Sections Inter
nationales.
Il est inutile d'ajouter que l'opinion de la Section de Propagande et d'action
révolutionnaire socialiste Genève est faite pour ce chapitre, et que, nous croyons
15 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
que pour mener à bonne fin l'oeuvre entreprise il est de toute nécessité de supprimer les frontières, et de grouper toutes les forces révolutionnaires de l'ancien et du nouveau monde.
Section de l'Internationale, nous sommes convaincus que la révolution ne peut se faire qu'internationallement et nous faisons des voeux pour que, se pénétrant de cette vérité, le Congrès des associations démocratiques d'Italie décide l'adhésion èn masse à l'association Internationale des Travailleurs.
Veuillez, cher Citoyen, joindre à votre réponse l'ordre du JOUr du Congrès ainsi que la circulaire indiquant le jour et le lieu de la réunion. Salut et solidarité.
IL CONSOLE GENERALE A MARSIGLIA, STRAMBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 74. Marsiglia, 17 ottobre 1871 (per. il 21).
Ho l'onore di rassegnare qui compiegato a V. E. un rapporto del R. ViceConsole di Tolone contenente alcuni cenni sulla Società Internazionale in quella città.
Il resultato delle Elezioni in Marsiglia ed in altri grandi centri di Francia indicano indubbiamente che, se non la così detta Internazionale, il partito radicale almeno vi è perfettamente organizzato con disciplina perfetta.
.ALLEGATO
COMELLO A STRAMBIO
R. 177. Tolone, 14 ottobre 1871.
Nelle attuali circostanze, e fatto calcolo della prossimità della frontiera, credo opportuno di trasmettere alla S. V. Illustrissima un qualche cenno sull'influenza della Società Internazionale in questa città onde Ella possa informarne il R. Governo.
!: fuor di dubbio che l'Internazionale ha qui degli aderenti in numero considerevole, e fra i principali l'intero Consiglio Municipale. Ond'essere assolutamente convinti dell'esistenza di questa Società, e delle estese sue ramificazioni nella città di Tolone, basterebbe i voti dati, in guisa del tutto solenne, in favore della Comune di Parigi in piena rivolta, e le domande ripetute al Governo di Versailles perché sia accordata piena amnistia a tutti coloro .che trovansi prigionieri dopo la vittoria dell'esercito.
Queste però sarebbero prove in certo modo morali, ma in auesti giorni l'autorità ha potuto aver una prÒva materiale incontestabile sull'esistenza e sull'organizzazione della Società.
Il Signor Saint-Quentin, Luogotenente Colonnello del genio, Comandante in Antibes, ha trasmesso a queste autorità un libretto trovato presso un soldato, ove sulla prima pagina sta scritto: Internazionale -Sezione di Tolone.
Il partito è disciplinato, compatto, risponde come un sol uomo all'appello dei capi, e ne abbiamo la prova colle recenti elezioni del Consiglio Generale nelle quali riuscirono, a grande maggioranza di voti, individui scelti e patrocinati dalle varie riunioni ultra repubblicane dei Cantoni perfettamente organizzate.
Il giornale Progrès du Var redatto dal Signor Oscarre Tardy, è sostenuto dalla Società e vi esercita una grande influenza. Questo giornale fu fondato a Tolone nell'ultima epoca imperiale da Emilio Ollivier ex Ministro il quale è tutt'ora uno dei pochi e principali azionisti.
L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 3980. Londra, 18 ottobre 1871, ore 17,47 (per. ore 21,10).
Lord Granville étant absent, j'ai du me borner à lui communiquer le sens de votre dernier télégramme. En réponse à ma démarche il a donné l'ordre de me faire lire une dép~che qu'il a adressée 1'11 à l'ambassadeur britannique à Constantinople pour qu'il représentat au grand vizir l'inopportunité de céder au désir du bey de Tunis en lui accordant un nouveau firman dans le but de modifier les dispositions viziriales de 1864, en considération des difficultés que cela pourrait créer aux puissances. Ces instructions ont été communiquées au chargé d'affaires britannique à Rome, et lord Granville m'a chargé de faire connaitre à V. E. qu'elles ont été aussi lues et approuvées par le ministre des affairés étrangères de France. J'espère pouvoir parler à lord Granville dans: deux ou trois jours, et j'espère alors pouvoir compléter les renseignements que j'ai l'honneur de vous transmettre aujourd'hui.
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 266. Pietroburgo, 18 ottobre 1871 (per. il 27)..
Ebbi l'onore nel mio Rapporto cifrato n. 265 (l) di esporre all'E. V. il contenuto del Dispaccio diretto in data dei 29 settembre a questo Incaricato d'Affari d'Austria-Ungheria dal Conte di Beust, ed il mio telegramma dei 6 ottobre/24 settembre (2) informava brevemente l'E. V. della accoglienza fatta dal Signor di Westmann a tale comunicazione.
Rilevai dalla lettura che ebbi del relativo rapporto del mio Collega che il Direttore del Ministero Imperiale gli disse: essere stato l'Imperatore il primo ad applaudire al ravvicinamento compito fra l'Austria e la Germania, i Convegni non aver punto eccitato diffidenza; aggiungendo che la stampa Russa, col linguaggio acre che aveva tenuto in proposito, era stata ben !ungi dal rappresentare il modo di vedere del Gabinetto Imperiale.
Ora che il fluttuamento dei primi apprezzamenti si è calmato sembra che le reiterate spiegazioni date qui dal Principe di Bismarck ed alle quali allude il Conte di Béust nell'ultimo suo Dispaccio abbiano giovato a non alterare i' buoni rapporti esistenti fra la Russia e la Germania, e sarei inclinato a credere che le dimostrazioni simpatiche fatte ad arte dal signor di Westmann all'Amba
sciatore di Francia, e ben note al Rappresentante Germanico fossero destinate a provocare tali soddisfacenti spiegazioni. Ma le spiegazioni date dal Conte di Beust non pare abbiano sortito l'esito corrispondente. L'Incaricato d'Affari di Germania mi disse averlo constatato ed
• ingannarsi l'Austria se credesse d'aver raggiunto lo scopo di rassicurare la Russia, scopo al quale s'oppone anzitutto la stessa individualità del Conte di Beust •.
Senonchè questo Cancelliere pare vogliasi studiare a scemare l'antipatia che ha per lui il Governo Russo e specialmente il Principe Gortchakoff. Egli dava non ha guari a questo Rappresentante Austro-Ungherese incarico di far notare al signor di Westmann ch'Egli erasi astenuto dall'andare ultimamente a Brody a fine di non destare la suscettibilità del Governo Imperiale.
Com'è naturale, ben più che al Rappresentante Germanico, il Signor di Westmann palesa all'Ambasciatore di Francia la difficoltà di un ravvicinamento fra la Russia e l'Austria, e mi viene assicurato da buonissima fonte che quel Direttore parlando l'altro ieri col Generale Leflo qualificava di • tese • le relazioni fra le due Potenze.
L'Ambasciatore mi disse che il signor di Westmann non aveva fatto con lui parola del secondo dispaccio del Conte di Beust, egli aveva sperato che il Dispaccio del 29 settembre non conteneva che • des phrases à la suite d'échanges de courtoisie •.
Tuttavia il Direttore del Ministero Imperiale dovette convenire che la frase relativa ad una intelligenza preventiva Austro-Germanica sopra tutte le quistioni politiche poteva destare inquietudine. Ma tale confessione fu attenuata dalla considerazione che il Conte di Beust era andato • dans ses épanchements avec M. de Bismarck • al di là delle intenzioni del suo Sovrano e seguita da una diatriba contro il Cancelliere Austro-Ungherese, destinata forse a mettere la Francia in diffidenza di lui. Accusò, ad esempio, il Conte d1 avere in tempo utile a' suoi fini ingannato il Duca di Grammont sulla attitudine che avrebbe serbata l'Alemagna del sud nel caso di una guerra fra quella del Nord e la Francia.
L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A FIRENZE, DE SAYVE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
Firenze, 19 ottobre 1871 (per. il 20).
Dans la lettre particulière que vous m'avez fait l'honneur de m'adresser avant hier (1), vous avez bien voulu me dire que vous aviez invité le Chargé d'Affaires d'Italie à Costantinople à entretenir le Ministre des Affaires Etrangères du Sultan de la nécessité de ne point altérer le statu quo politique de la Tunisie et que vous aviez reçu l'assurance, que les arrangements projetés par la Porte, ne modifieraient pas l'état actuel des choses dans la Régence.
Il résulte cependant de nouveaux renseignements parvenus au Gouvernement français, et dont M. de Rémusat vient de me donner connaissance, que le Bey de Tunis aurait sollicité à Constantinople un firman destiné à établir l'ordre de succession en ligne directe dans sa famille, en définissant les rapports de la Régence avec la Turquie, et que le Sultan consentiràit à accorder ce firman pourvu que la Tunisie renonçat à entretenir des relations directes avec les Puissances et se reconniìt tributaire.
Un pareil arrangement ne pourrait sans doute pas plus convenir au Cabinet de Rome qu'à celui de Versailles; l'Autriche, la Russie, l'Angleterre, consultées à cet égard, ont témoigné au Gouvernement de la République leur bon vouloir pour le maintien de l'ordre de choses existant actuellement en Tunisie, mais il importe de ne pas se méprendre sur le but à atteindre: ce qui motive les observations de M. de Rémusat, ce n'est pas seulement le projet ottoman de faire cesser les relations diplomatiques entre la Régence et les Puissances Européennes et de la soumettre à un tribut; c'est tout aussi bien le projet tunisien de faire régler les rapports du Bey avec la Porte par un firman, car, quelles que soient les dispositions de cet acte, il constituera toujours par luimeme une restriction aux droits souverains dont jouit aujourd'hui la Tunisie au point de vue politique, et la conséquence de cette première atteinte portée à la situation du Bey, quoique plus lente à se produire, sera la meme que s'il souscrivait dès à présent aux propositions du Gouvernement ottoman: ce Prince retombera fatalement dans cet état de dépendance auquel la Turquie cherche à le réduire.
J'ai reçu de mon Gouvernement M. le Ministre, l'ordre de soumettre à
V. E. les réflexions qui précèdent et d'ajouter que, si vous trouviez ces appréciations fondées, le Cabinet de Versailles vous serait reconnaissant de donner au représentant de l'Italie à Constantinople comme à son agent à Tunis, les instructions les plus propres à déjouer une négociation dont le Bey lui-meme envisage les suites avec inquiétude. Je serai, dans tous les cas, fort obligé à
V. E. de vouloir bien me mettre à meme de faire connaitre à M. de Rémusat les résolutions auxquelles le Gouvernement du Roi aura jugé à propos de s'arreter.
(l) Non pubhbcato.
L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, COVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 142. Therapia, 20 ottobre 1871 (per. il 27).
Dalle informazioni che ebbi da buona fonte il Firmano che si ha qui ognora in mente di mettere fuori riguardo a Tunisi, verrà modellato sulla Lettera Viziriale del 1864. Benchè non siasi addivenuto fino a questo momento alla redazione definitiva di esso, il senso essenziale suonerebbe così: il Sultano, soddisfatto del modo con cui il Bey governò finora in Tunisia, conferma a lui ed ai suoi successori il diritto di governare quella parte dell'Impero Ottomano.
Il Bey potrà come pel passato fare gli atti tutti di amministrazione interna, nominare gli impiegati civili e militari ecc., potrà di più intrattenere rapporti colle estere Potenze, con esse però egli non avrà potere di stringere accordi di alleanza offensiva o difensiva, di far convenzioni militari o trattati portanti cessione di territorio o recanti lesione ai diritti del Sultano. La Tunisia conserva il diritto di avere una bandiera propria; il Bey continuerà a poter distribuire l'Ordine del • Nicham Ihftigar •. Sarà egli poi quinci innanzi dispensato dal pagare tributo al Sultano -di fargli il dono solito all'occasione dell'avvenimento al Governo della Reggenza -e di recarsi a far visita alla Corte AltoSovrana.
Il Generale Kereddin so che cerca di fare spiccare il pregio delle concessioni in ultimo citate; son nulle in realtà chè l'esausto tesoro Tunisino non può inviare nè invia da lunga data a Costantinopoli tributi o doni -nè i Bey di Tunisi furono usi a far gite a Stamboul.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GALVAGNA
D. 9. Roma, 21 ottobre 1871.
Confermo alla S. V. il telegramma che le indirizzai il 18 di questo mese (l) col quale io la invitava a concertarsi coll'Incaricato di Francia in Atene, per chiedere collettivamente al Governo Ellenico che la quistione del Laurium venga deferita ad una Commissione arbitrale, composta di due greci, di un italiano, di un francese, e presieduta dal Ministro d'Inghilterra presso codesta Corte, per ottenere il concorso del quale il Governo francese si offriva di fare presso il Gabinetto di Londra le pratièhe necessarie. Questo progetto implicherebbe, come ella vede, una modificazione al sistema altra volta proposto dalla Società Serpieri Roux per la formazione della Commissione arbitrale che quella Società chiedeva fosse chiamata a pronunciarsi sulla sua vertenza col Governo greco. Le considerazioni di equità che ci suggeriscono questa modificazione sono menzionate nel dispaccio alla R. Legazione a Parigi, di cui le trasmetto qui unito una copia nel quale dopo aver accertato la perfetta consonanza delle nostre idee con quelle del Governo francese circa la quistione del Laurium, io segnalava la convenienza di adottare un sistema che non desse nella proposta commissione arbitrale, la preponderanza ad alcuna delle parti interessate. Le obbiezioni che, in base a quel dispaccio il R. Incaricato d'Affari a Parigi sottopose al Ministro degli Affari Esteri della Repubblica, vennero prese da S. E. in benevola considerazione. Il signor Ressman potè quindi telegrafarmi fino dal 17 u. s. (2) e confermarmi con successivo rapporto giunto questa mane. avere il signor de Remusat spedito per telegrafo al rappresentante francese in Atene istruzioni identiche a quelle che io stesso impartii all'E. V. Il Governo
del Re si lusinga che la proposizione di arbitraggio sarà accolta favorevolmente dalla Grecia. Noi offriamo per essa al Gabinetto di Atene il miglior mezzo di uscire dalle difficoltà costituzionali nelle quali egli si aggira. Trattandosi di questione che se tocca per un lato gli interessi finanziari della Grecia, interessi sui quali il Parlamento greco ha ragione di voler esercitare la propria tutela, per altra parte concerne i diritti spettanti a capitalisti stranieri, non vi ha dubbio che le risoluzioni del Parlamento ellenico non possono avere il valore di una inappellabile decisione, nè può esservi assemblea, per quanto agitata di passioni, che non comprenda le necessità del Governo di accogliere una proposizione così equa come quella di sottoporre la contestazione ad un arbitraggio che offra alle due parti eguali guarentigie di imparzialità.
La seconda parte del mio telegramma del 18 u. s., con cui io la pregava di insistere presso il Governo ellenico perchè venga intanto revocata la inibizione di esercizio inflitta alla Società Serpieri, è pur essa conforme alle idee da noi scambiate su questa vertenza col Gabinetto di Parigi. Senonchè, sembra che la nostra proposizione dovrà incontrare ad Atene difficoltà assai gravi la cui sostanza ella. mi espose nel suo rapporto del 14 di questo mese (1). Comprendo le considerazioni cui V. S. accenna circa lo stretto legame che il votò del parlamento greco ha creato fra la quistione principale della proprietà delle miniere del Laurium, e quella dì possesso, ossia di continuazione d'esercizio per parte della Società concessionaria; ma io credo che, al punto in cui si trova ormai la vertenza, lo stesso Governo greco dovrebbe riconoscere la convenienza di adottare un temperamento nel senso di quello che noi invochiahmo, d'accordo col Governo francese, in favore della Società interessata. La riunione, che io spero non sarà lontana, della proposta commissione arbitrale, se per una parte ci assicura che la presente quistione riceverà una soluzione conforme ai più severi principii di giustizia e di equità, ci lascia però travedere con un breve lasso di tempo, prima che il desiderato verdetto sia pronunziato e riceva la sua esecuzione. In tale stato di cose, appare evidente la convenienza che, d'accordo fra le parti, si cerchi il modo di evitare una sospensione di lavori la quale, mentre arreca gravi danni alla Società non migliora in alcun modo la condizione giuridica del Governo elleno. Non mancano a questo i mezzi di garantire i suoi eventuali diritti, sia colla dichiarazione di esplicite riserve, sia coll'adozione di quelle ulteriori ed effettive cautele che essa crederà di esigere. Giova inoltre osservare, e V. S. potrà farlo notare anche al Governo greco, che la Società Roux Serpieri ha fatto formale istanza perchè si domandi che venga tolta la inibizione ai lavori. E siccome questa domanda, ove non venisse accolta, potrà poi essere invocata per fondare un diritto positivo ad un largo risarcimento, non solamente dei danni ma anche dei lucri cessanti, così i Governi che hanno assunto la tutela degli interessi della compagnia, non possono ricusarsi a dar corso regolare alla sovra mentovata istanza. Io spero, signor barone, che l'azione comune della S. V. e dell'Incaricato d'Affari di Francia riuscirà ad indurre il Governo ellenico ad un'equa determinazione, la quale corrisponda ai moderati consigli che ci hanno guidato in tutto il corso di questa difficile controversia.
(l) Non pubblicato.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI A CARACAS, VIVIANI
D. 13. Roma, 21 ottobre 1871.
Con il rapporto del 12 settembre (l) V. S., mentre mi accusava la ricevuta del mio dispaccio del 3 luglio (2), accennava pure di essere in attesa di risposta alle precedenti sue relazioni del 15 e 23 giugno. Scopo di quest'ultime era di rappresentare al Governo di S. M. la convenienza di far precedere le istanze collettive di cui l'Allemagna voleva prendere l'iniziativa da certe preliminari intelligenze fra i Governi che alle istanze stesse erano invitati a pigliar parte.
V. S. proponeva anzi i punti principali sui quali gli accordi avrebbero dovuto formarsi, e suggeriva molto accortamente di procurare che ai Governi europei si associassero gli Stati Uniti dell'America Settentrionale se pure si aveva in animo di scansare difficoltà che altrimenti avrebbero attraversato senza fallo la via a qualunque efficace azione si volesse tentare verso il Venezuela.
Sembrarono al R. Governo molto savie le considerazioni della S. V., ed io non avrei domandato di meglio che di poterne tener conto se mi fossero giunte in tempo. Ma raffrontando semplicemente le date delle mie istruzioni con quelle dei di lei dispacci le sarà agevole avvedersi come ciò non sia stato possibile.
Il 20 giugno io avea già avuto occasione di spiegarmi con il Rappresentante degli Stati Uniti circa il carattere ed i limiti dell'azione che l'Italia, in seguito all'iniziativa presa dalla Germania, intendeva di esercitare al Venezuela. Ed il 26 dello stesso mese io le aveo appunto tracciato la linea di condotta da tenere nell'appoggiare i passi del di lei collega dell'Allemagna. Poco dopo (il 3 luglio) io le comunicavo le istruzioni del Governo britannico al suo rappresentante in Caracas, e confermandole le precedenti direzioni datele, mi felicitavo del perfetto accordo esistente tra le nostre viste e quelle dell'Inghilterra.
Ora avendo io ricevuto soltanto nella seconda metà di luglio i rapporti che V. S. mi scriveva il 15 ed il 23 giugno, riesce manifesta l'impossibilità in cui mi trovai di tenerne conto nel periodo delle trattative nel quale i suggerimenti di lei avrebbero potuto riuscire di maggiore utilità.
Per proporre ai Governi interessati negli affari del Venezuela di intendersi sulle domande da farsi a codesto Rappresentante, per intavolare una discussione sulle serie quistioni riguardanti le relazioni dei Governi europei con il Gabinetto di Caracas, per risolvere infine sovra il modo di chiedere e conseguire la cooperazione degli Stati Uniti nelle pratiche da farsi, sarebbe stato necessario che nè la Germania, nè gli altri Stati interessati avessero ancora spedito le loro istruzioni ai rispettivi rappresentanti, mentre invece tali istruzioni erano già partite dall'Europa da circa un mese.
In tale stato di cose io ho pensato che di quegli accordi che i Gabinetti Europei non aveano potuto prendere preliminarmente fra di loro, terrebbe luogo un concerto dei rappresentanti diplomatici accreditati a Caracas interessati tutti a tutelare uguali diritti dei loro connazionali contro le medesime pretese delle
autorità locali. Mi duole di essermi forse di ciò lusingato invano, imperocchè scorgo dalle ultime relazioni di V. S. che un accordo tanto indispensabile non poteva ormai sperarsi dai colleghi di lei, divisi troppo di opinioni e di tendenze per poter dar mano ad un'azione efficace di comune interesse.
Tali sono, signor cavaliere, le considerazioni che a me occorreva esporle per rispondere al di lei rapporto del 12 settembre. Resterebbe ora soltanto a manifestarle quale sia il pensiero del Governo di S. M. circa i diversi punti di quistione sovra i quali V. S. avrebbe voluto che i Gabinetti interessati promuovessero una formale risoluzione del Venezuela. E siccome anche all'infuori di qualunque azione collettiva dell'Italia con altre potenze, potrebbe accadere che
V. S. abbia da prendere un partito sovra l'uno o l'altro di quei punti controversi, così io colgo ben volentieri l'occasione presente per far palesi a lei le idee che nell'esame delle quistioni anzidette, spontaneamente mi si affacciano. A tal fine unisco a questo mio dispaccio una breve memoria in cui a fronte delle quistioni da V. S. proposte ella troverà iscritti alcuni sommarii appunti.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI
D. 78. Roma, 22 ottobre 1871.
Il Ministero dell'Interno è stato informato confidenzialmente che il partito d'azione, nell'intento di tradurre in atto la progettata convocazione in Roma, di tutte le Associazioni democratiche, pensa diramare un'apposita circolare anche alla Sezione della Società Internazionale che ha sede in Ginevra, e dietro alcuni dati recentemente raccolti ha dovuto accorgersi che da tale Sezione partono messaggi di eccitamento alla detta impresa. In prova di ciò quel Dicastero mi ha comunicato la copia, qui unita, di una lettera indirizzata da Ginevra, il 15 settembre u. s., al signor Ceretti in Mirandola (1).
Mi reco a premura di portare a conoscenza di V. S. Illustrissima queste notizie, affinchè ella possa valersene per quelle pratiche che le occorresse di fare in proposito, allo scopo segnatamente di tenersi informata con esattezza circa gl'intendimenti dell'Associazione e circa i suoi rapporti colle Società analoghe esistenti nel Regno.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI
D. 98. Roma, 22 ottobre 1871.
Essendo Ella in procinto di ritornare a Costantinopoli reputo utile riassumere in un breve dispaccio ciò che durante la di Lei assenza da quel posto, il Governo del Re ha fatto nell'interesse della conservazione dello Statu quo nelle condizioni politiche della Reggenza di Tunisi.
La condotta del Governo di S. M. formò l'oggetto di accuse propagate anche
da giornali che godono molto credito; ed anzi da alcuni organi importanti
della stampa francese furono a questo proposito lanciate invettive e calunnie
contro la politica italiana. Di tutto ciò faccio menzione non nell'intenzione di
soffermarmi a rettificare simili giudizi; ma unicamente per avvertire quanto sia
delicata la nostra posizione nell'affare di cui desidero oggi intrattenere V. S.
E per incominciare converrà ch'io La informi come nei primi giorni del mese di Settembre il Reggente del Consolato Generale in Tunisi mi telegrafasse la Sublime Porta esigere l'invio a Costantinopoli di un funzionario tunisino di grado elevato per trattare delle sorti future della Reggenza; il Bey non osare rifìutarsi a simile invito; esser egli deciso a far partire l'indomani il Generale Kherredine per conoscere le intenzioni della Porta. Soggiungeva il Reggente del Consolato Generale italiano avergli il Bey chiesto una lettera di introduzione presso il Ministro di S. M. in Costantinopoli ed aver sollecitato l'appoggio della nostra legazione per il suo inviato a Costantinopoli.
Io non ho creduto necessario di ottemperare al desiderio che il Bey di Tunisi mi faceva esprimere. Ho riflettuto che la Legazione del Re in Turchia era abbastanza istruita dell'interesse che in ogni tempo abbiamo annesso al mantenimento delle presenti condizioni politiche della Tunisia, per non ignorare che anche senza precise e nuove istruzioni essa avrebbe dovuto intervenire con i .suoi buoni ufficii quando lo statu quo della Reggenza fosse realmente messo in pericolo dalle pretese della Porta. Il Generale Kherredine avrebbe egli stesso rappresentato alla nostra legazione la opportunità di tale appoggio se una simile eventualità fosse stata da temersi. Ma nel tempo stesso io non mi faceva un'idea abbastanza chiara di una missione di cui ci giungeva l'annunzio due giorni prima della partenza del personaggio incaricato di compierla, e fìnchè meglio non ci fosse noto il mptivo vero del viaggio del Generale Kherredine, non avremmo certamente potuto promettere a quell'inviato del Bey un eventuale appoggio.
V. S. troverà a Costantinopoli tutte le informazioni che le potranno essere utili circa il seguito che ebbe la missione dell'inviato tunisino. Il mistero che la circonda non cessò per noi neppure dopo che il R. Incaricato d'affari ebbe occasione di abboccarsi con il commissario del Bey.
Il R. Governo si trovò dunque ridotto a formare semplici congetture sopra i negoziati in corso fra la Porta ed il Generale tunisino non potendosi avere per sicure delle informazioni che non ci sono state comunicate direttamente dalle parti interessate in quelle trattative.
Nessuna indicazione sicura ha parimenti avuto il Ministero circa le ragioni date dal Governo di Tunisi alla Francia per la subitanea decisione presa di mandare un delegato speciale a Costantinopoli. Ma a tale riguardo noi possiamo avere qualche lume dal contegno assunto dallo stesso Gabinetto di Versailles rispetto a noi in questa occasione.
Già bisogna ch'io apra una parentesi.
Ricorderà certamente V. S. i particolari della lunga e faticosa quistione nata fra il Governo tunisino e la Società agricola industriale italiana per la Tunisia. La condotta del Bardo verso quella Società avea fatto sorgere gravi incertezze sulla sorte riservata alle imprese agricole che vari coloni italiani hanno da alcuni anni incominciato ad esercitare sul territorio della Reggenza. Per guarentire quegli interessi, e per assicurare il rispetto e l'osservanza delle convenzioni esistenti, il Governo di S. M. si trovò costretto di insistere presso il Bey per la stipulazione di un protocollo di cui Ella ebbe comunicazione. Agli interessi speciali impegnati nella contestazione fra il Bardo e la Società agricola industriale italiana, si è contemporaneamente provveduto collo stabilire che la vertenza sarebbe sottoposta ad un giudizio arbitrale. Mancò malauguratamente in questo affare il sincero desiderio di risolvere equamente le quistioni che le parti si dichiaravano disposte a deferire agli arbitri. Quindi alla contestazione sul numero degli arbitri da designarsi tenne dietro quella della procedura da seguirsi; poi nacquero i dissidii sulla scelta del quinto arbitro; e tuttora è pendente la quistione di sapere dove la commissione arbitrale dovrà riunirsi. Ora avvenne che mentre le due parti non giungevano ad intendersi sulla scelta del sovr'arbitro, la società italiana, ascoltando non so quali suggerimenti, proponesse al R. Governo di portare la quistione a Costantinopoli. La Turchia, dicevano gli amministratori della Società, troverebbe modo di terminare subito quest'affare, e siccome in quella via il Governo del Re non era disposto ad appoggiare i passi della compagnia, questa usciva fuori ad un tratto con la proposta di Photiades-bey, Ministro della Sublime Porta in Italia, come quinto arbitro da designarsi.
Il R. Governo era nel suo diritto di dire alla Società italiana che non ne avrebbe appoggiato i passi presso la Porta Ottomana; però non poteva ugualmente vietare a quella Società di fare quelle pratiche che essa stimava dover condurre alla immediata risoluzione di difficoltà che da vari mesi apparivano inestricabili. Ma di questa particolare situazione del Governo italiano, situazione di cui la responsabilità ricadeva tutta unicamente sul Governo di Tunisi, non pare che a Versailles si sapesse tener conto. Il Ministro francese ci fece sapere che sentiva con vivissimo dispiacere l'Italia aver chiamato la Turchia ad ingerirsi di affari nei quali l'indipendenza del Bey di Tunisi era stata sin qui accettata.
Il Governo di Versailles potè però avere la prova che l'Italia si preoccupava non meno della Francia della necessità di impedire che la quistione relativa alla situazione politica della Tunisia venisse anche soltanto indirettamente pregiudicata. Eravamo stati noi e non la Francia a segnalare a Parigi ed a Londra la opportunità di accompagnare il protocollo relativo alla giurisdizione consolare in Tripoli di una dichiarazione che valesse a far comprendere alla Turchia che il primo atto ufficiale di riconoscimento che le Potenze facevano delle mutazioni operate a Tripoli, non doveva allettarla a tentare simili novità a Tunisi ed in Egitto.
Ella comprende, Signor Ministro, che l'Italia non può avere alcun interesse a mantenere vivi dei sospetti che essa non ha certamente contribuito a far nascere. Questi sospetti, lo ripeto, non sono giusti; ma dal momento che esistono, noi dobbiamo tenerne conto per raddoppiare di franchezza in tutti i nostri atti, in tutta la nostra condotta.
Appena dunque il Governo francese ci ebbe fatto conoscere il desiderio suo che l'Italia si associasse ai passi da farsi presso la Porta Ottomana per mantenere a Tunisi la situazione politica di cui la Reggenza è stata sinora in possesso, noi abbiamo ordinato all'Incaricato d'Affari in Costantinopoli di esprimersi con i Ministri del Sultano in modo da non lasciar dubbio sulla ferma nostra intenzione di vegliare a che lo statu quo delle relazioni internazionali della Tunisia con l'Italia non abbia ad essere alterato, e non abbiamo taciuto che il momento non ci sembrava opportuno per sollevare le discussioni alle quali la missione del Generale Kherreddine dovea necessariamente dar origine.
Ella troverà a Costantinopoli le istruzioni da me impartite a quella R. Legazione sino dal giorno 9 corrente (1). A V. S. non isfuggirà certamente la particolare raccomandazione fatta all'Incaricato d'affari di S. M. di far noto allo Ambasciatore francese le istruzioni ricevute e le pratiche eseguite presso i ministri ottomani per dare appoggio ai passi della diplomazia francese. Ciò significa che il Governo italiano non vuoi dare appiglio a sospetti. Egli segue nell'affare di Tunisi una politica che non ha fini reconditi e che può essere palesemente confessata, tanto alla Francia quanto alla Turchia od a qualunque altra potenza vi prenda interesse.
Coerentemente alla nostra linea di condotta noi dovevamo indirizzarci anche all'Inghilterra. Lo abbiamo fatto, informandola che avevamo rappresentato alla Porta l'inopportunità di sollevare in questo momento, la quistione tunisina e la convenienza somma di lasciare invece sussistere lo Statu quo nella Reggenza.
L'accordo con la Francia e con l'Inghilterra è sempre stato, come V. S. non ignora, la base della nostra politica negli affari di Tunisi che ci offrono un interesse comune con quelle due Potenze.
Abbiamo ritenuto e riteniamo tutt'ora che la migliore guarentigia della conservazione dello stato presente della Tunisia consista appunto nella azione concorde dei tre governi che si dividono gli interessi maggiori degli stranieri in quel paese. Mantenere il concerto dei tre governi fu dunque mira costante dei nostri sforzi, e noi possiamo andar lieti che nel caso presente non si siano affacciate difficoltà da superare per istabilire fra i Gabinetti di Roma, di Parigf, e di Londra un accordo che noi giudichiamo necessario. Un telegramma della
R. Legazione in Inghilterra (2) mi dà infatti la notizia che sino dall'll corrente Lord Granville avea scritto all'ambasciatore britannico a Costantinopoli di far conoscere al Gran Vizir che il Governo inglese trova inopportuna la concession9 di un nuovo firmano importante modificazioni delle disposizioni viziriali del 1864, e ciò in vista delle difficoltà che per tal guisa si creerebbero alle Potenze.
Mantenendosi pertanto V. S. nei limiti delle mie istruzioni telegrafiche al Signor Cova, Ella si troverà ad esercitare un'azione conforme a quella prescritta dalla Gran Bretagna al suo rappresentante presso il Sultano.
Se la Porta persisterà nel divisamento di dare altra norma ai suoi rapporti con Tunisi, V. S. insisterà dal canto suo nel senso di dimostrare quanto un simile proposito riesca pericoloso mentre tutta l'Europa ha bisogno di riposo e di tranquillità. Ella dovrà manifestare al Gran Vizir tutta l'importanza che giu
stamente dall'Italia si annette alla conservazione dei suoi rapporti con Tunisi sul piede attuale. Qualunque mutamento sostanziale non potrebbe essere ammesso senza un preliminare concerto delle potenze impossibile ad ottenere. Pensi dunque la Porta prima di spingere un passo troppo innanzi in una via tanto avventurosa, daddove potrebbe riuscirle più tardi molto diffiicile ritirarsi con convenienza e dignità.
Queste ed altre simili considerazioni che V. S. vorrà presentare ai Ministri del Sultano, saranno tanto più ascoltate quanto maggiore sarà in essi la convinzione che l'Italia non intende arrogarsi a Tunisi alcuna influenza esclusiva, nè mettere comechessia in pericolo la indipendenza del potere sovrano della Reggenza. A questo riguardo le di Lei dichiarazioni possono essere esplicite quanto i Ministri del Sultano lo possono desiderare. Noi non possiamo lodarci della amministrazione tunisina nei suoi rapporti cogli Italiani stabiliti in quel paese, ma nelle nostre vertenze con il Bardo abbiamo ognora fatto prova di una grande moderazione e di uno spirito di equità costante. Anche nella trattazione degli affari finanziari, per i quali l'Italia, con la Francia e l'Inghilterra, ha dovuto domandare la guarentigia di una commissione amministratrice, noi siamo stati quelli che maggiormente ci siamo preoccupati di salvare al Bey i diritti essenziali dei quali egli deve rimanere in possesso per amministrare non solamente di nome, ma anche di fatto la Reggenza. V. S. conosce abbastanza la condotta del R. Governo in quell'occasione per poter ora trarne argomento persùasivo nei suoi discorsi con i Ministri Ottomani.
A questi Ella aggiungerà tutti quegli altri riflessi che Le potranno sembrare utili per ottenere che la Porta desista dal proposito d'intraprendere novità a Tunisi. Ma nel modo stesso in cui noi ravvisiamo tali novità come assolutamente inopportune, riconosciamo pure il momento attuale come il più mal scelto per intavolare una discussione sopra ciò che si deve intendere compreso nello statu quo della Reggenza.
I rapporti della Tunisia con l'Impero ottomano e la dipendenza del Bey dal Sultano non sono cose definite in modo da non lasciar sussistere gravi divergenze d'opinione fra i varii gabinetti. L'Italia non vuoi pregiudicare le sue decisioni a questo riguardo senza che un'assoluta necessità la costringa a prendere un partito. E siccome questa necessità non ci è ancora fatta manifesta, cosi è desiderio del Governo del Re che V. S. proceda molto cauta in tutto ciò che potrebbe interpretarsi come espressione dell'opinione nostra circa i rapporti della Reggenza colla Porta.
Il R. Governo si astiene dal considerare tutte le altre combinazioni sulle quali un accordo potesse intervenire anche fra la Francia e la Turchia. Ma io raccomando a Lei di vegliare oculatamente sovra tutti i dati che la quistione di Tunisi può offrire. Ella non deve mai perdere di vista che l'Italia ha un interesse assoluto a che i porti della Tunisia, Biserta in special modo, non abbiano per effetto di alcuna combinazione, a cadere in mano di altre Potenze. Questo interesse, proprio dell'Italia, è diviso anche da altri governi aventi interessi politici nel Mediterraneo. Non bisogna perder di vista la vicinanza di Biserta al confine algerino e la facilità di ridurre quell'importante porto in formidabhle arsenale di guerra.
Le contestazioni presenti fra il Governo tunisino e la Francia a proposito di alcuni insorti algerini che si dicono rifugiati a Tunisi, debbono farci avvisati che il momento è venuto di tenere gli occhi aperti anche da quella parte, senza però far mostra di aver concepito sospetto o di nutrire timori che potrebbero essere anche esagerati.
In ogni caso, anche in vista delle circostanze Ella può vedere, Signor Ministro, che questo non può essere tempo di compromettere alla leggiera la questione di sapere se la Tunisia sia compresa nella guarentigia collettiva che copre tutto il territorio ottomano.
Tali sono le principali considerazioni che importa siano tenute presenti da
V. S. nella trattazione degli affari di Tunisi, ed io aspetto con qualche premura le informazioni di V. S. per formarmi un concetto più esatto della situazione attuale di questa quistione.
(l) Cfr. n. 163, allegato.
(l) -Cfr. n. 148. (2) -Cfr. n. 165.L'INCARICATO D'AFFARI A CARACAS, VIVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. RISERVATO 56. Caracas, 22 ottobre 1871 (per. il 19 dicembre).
Il mio Collega di Germania mi annunziò ieri confidenzialmente essergli stato partecipato dal proprio Governo che il concetto del Protocollo, di che ne' miei Rapporti n. 46 e 47 (l) (finora senza risposta) non fu preso in considerazione. Nell'informarlo di questo fatto, egli gli ha ordinato di procedere, senza più a combinare co' di lui colleghi di Inghilterra, d'Italia, di Spagna e di Danimarca, l'azione diplomatica proposta ed accettata. Essa deve avere per fine il miglioramento della condizione dei sudditi delle parti intese e l'esecuzione degli impegni internazionali contratti dal Venezuela. Nel procurare di raggiungere, unito a' suoi colleghi, questi fini, l'agente germanico deve evitare con c somma cura • tutto ciò che potrebbe produrre delle complicazioni.
La divisione navale, composta della fregata • Niobe • e delle corvette
• Veneta • e • Gazzella • (sulle quali sono imbarcati molti allievi di marina) spedita dal governo germanico in questi mari, non è giunta ancora. Per quanto l'azione da esercitarsi qui debba essere meramente diplomatica e sia esclusa dal governo germanico qualunque idea di c coercizione materiale •, la presenza delùa suddetta squadra non sarà, moralmente parlando, inutile. Con l'invio di tali forze navali nei mari delle Antille, onde essi devono visitare gli emporii più importanti, il governo germanico ha inteso, non tanto di dare un • punto di appoggio effettivo • al suo agente nel Venezuela, c quanto di tacitare il commercio di Amburgo e di Brema, che si lagna di non essere abbastanza protetto in queste parti •. Inoltre, il gabinetto di Berlino si trova nella necessità di dare qualche soddisfazione al partito, che vuole che la Germania si mostri e divenga anche potenza marittima.
La proposta del gabinetto di Berlino non ha ricevuto a Washington l'accoglienza stessa che ebbe a Londra, a Roma, a Madrid ed a Copenaghen. Pare
{l) Non pubblicati.
che gli Stati Uniti abbiano creduto di scorgere una coperta minaccia contro l'indipendenza del Venezuela e sospettato che l'azione diplomatica dovesse servire di mantell.lo ad una spedizione militare eventuale. Essi hanno quindi dato una risposta cortesemente evasiva, dalla quale si deduce che intendono conservarsi liberi da qualunque impegno. Sembra che l'iniziativa presa dal gabinetto di Berlino abbia sorpreso grandemente il gabinetto di Washington. Si vede ch'egli non ha avvertito che, fra le potenze europee, la Germania è appunto quella che ha maggior numero di sudditi da proteggere e d'interessi da tutelare nel Venezuela. Essa ha inoltre importanti reclami da liquidare.
Nel. darmi nel modo più confidenziale le informazioni qui riassunte, e lettura di brani di dispacci, che le confermano, il signor de Giilich ha molto insistito sul fatto della somma prudenza inculcatagli dal suo governo, dolendosi che, con l'invio di una squadra sieno da una parte stati messi a di lui disposizione efficaci mezzi di azione e dall'altra vietato di servirsene come e quando sarebbe necessario.
Il Signor de Giilich ha concluso col dirmi che quanto prima convocherebbe a conferenza i rappresentanti delle Potenze che hanno aderito alla proposta del suo Governo.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 891. Berlino, 23 ottobre 1871 (per. il 29).
J'ai eu avant-hier une audience chez le Prince de Bismarck.
Je lui ai dit comme à Monsieur de Thile (dépeche n. 887) (l) que, durant mon dernier séjour e.n Italie, j'avais été de plus en plus à meme de connaitre la pensée intime de mon Gouvernement et que j'avais rapporté Ies meilleures impressions. J'avais acquis de nouvelles preuves que la ligne de conduite que j'ai toujours suivie rencontrait l'entière approbation du Roi et de son Ministère. Il ne pouvait en etre autrement, car je m'étais constamment appliqué à me conformer aux instructions de V. E. qui n'avait jamais varié dans ses sympathies pour l'Allemagne. J'avais l'instruction de continuer et de développer les rapports d'amitié entre les deux pays. Nous tenons donc beaucoup à vivre sur le pied d'une réciproque confiance et à entretenir un échange de vues qui puisse nous profiter de part et d'autre s'il surgissait quelque incident de nature à compromettre la paix générale ou à mettre en péri>l nos intérets mutuels, intérets si évidents qu'il devient superfiu de !es désigner autrement.
Le Chancelier Impérial m'a dit à son tour que nous ne devions avoir aucun doute sur un égal désir du Cabinet de Berlin de vivre en bonne intelligence avec l'Italie. La position géographique des deux pays, Ieur assigne un
role important pour le maintien de la paix; leurs intérèts ne les divisent pas, mais les rapprochent.
• Vous ne pourriez un jour avoir des dangers à courir que du cOté de la France, mais de longtemps, mème si contre toute prévision, Henri V montait sur le trone, elle ne sera pas en mesure de vous nuire. Mais en aurait-elle les moyens, elle ne pourrait tenter l'aventure sans pressentir nos dispositions. Or notre silence seui sous ce rapport lui donnerait à réftéchir. Nous pourrions aussi lui laisser entendre que nous aviserions, comme elle l'a fait vis-à-vis de nous en 1866, en prenant une attitude d'abstention peu rassurante. Nous pourrions faire des préparatifs militaires dans le Grand-Duché de Baae concentrer des troupes à Metz. Toute tentative de la France serait alors paralysée. Telle serait à l'occurrence ma manière de voir et d'agir. En attendant il n'y a pas péril en la demeure. Les hommes sont mortels. Je n'ai pas un brevet de longévité; mais quelque soit mon successeur dans les conseils de la Couronne, il ne saurait permettre à la France de défaire l'Italie. Ce serait faire acte d'imbécillité •.
En terminant cet entretien le Prince de Bismàrck m'a chargé de vous remercier, Monsieur le Chevalier, du langage que vous m'aviez autorisé à lui tenir et il m'a donné l'assurance de ses bonnes dispositions à notre égard.
(l) Cfr. n. 159.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 892. Berlino, 23 ottobre 1871 (per. il 29).
Dans l'entretien que j'ai eu avant hier avec le Prince de Bismarck, il m'a demandé si notre Gouvernement était instaUé à Rome. J'ai répondu qu'il l'était au point que les représentants étrangers qui se trouvaient encore à Florence en étaient réduits à prendre un billet de chemin de fer allée et retour, quand'ils voulaient faire une communication verbale à V. E.
Il m'a demandé si notre Auguste Souverain fixerait sa résidence dans la nouvelle capitale. Je me suis borné à répondre que, d'après le récit des journaux, Sa Majesté s'y rendrait au mois de Novembre pour ouvrir la prochaine session du Parlement.
• Il faudra donc, répliquait Son Altesse, que le Comte Brassier se transfère à Rome. Le Comte Arnim n'y retournera plus. Il est désigné in petto pour le poste de Paris • .
J'ai laissé entendre que sur ce point je n'étais chargé d'exprimer aucun désir, car nous ne doutions pas un seul instant que le Cabinet de Berlin saurait agir dans cette occasion avec la mème courtoisie, avec cette mème bienviellance, dont il avait fait preuve au mois de Juillet dernier lorsque, conformément à ses instructions, le Comte Brassier avait été le premier parmi ses col1lègues à saluer le Roi lors de son entrée solennelle au Quirinal.
• Il parait au reste, ajoutait le Prince de Bismarck, que le Pape semble en ce moment mieux disposé pour vous que pour nous. Il fulmine quand nous faisons mine d'éternuer.
Quand à Versailles Sa Saintété nous a félicité de nos victoires, on pouvait presque croire qu'El1le serait tentée de venir spontanément sacrer le nouvel Empereur d'Allemagne. Je me représentais déjà en pensée, si Elle arrivait dans ce pays, combien nous serions embarrassés pour ne pas lui fausser compagnie. A mon retour à Berlin, on m'a rendu compte de la campagne si maladroitement entreprise par la fraction Catholique du Reichstag. C'en était dès lors de mes appréhensions. Mon tempérament n'est cependant pas vindicatif. Autrement je pourrais rappeler que vers le 15ème siècle quatre de mes ancetres ont été excomuniés et qu'une partie considérable de leur fortune a passé au rachat de leurs ames et de leurs sépultures. Le crime de l'un d'eux avait été de permettre, près d'une Eglise, l'établissement d'une école où l'enseignement était indistinctement donné aux Chrétiens et aux Juifs. Il est vrai qu'il y a trois cents ans Ùn des Electeurs de Brandebourg a dépossédé ma famille de grandes propriétés après avoir attiré un Bismarck dans un guet-apens et l'avoir fait enfermer à Spandau. Une partie des forets situées dans la Marche, où parfois je chasse avec mon Auguste Souverain, relevaient alors des fiefs de ma famille. C'est ainsi qu'on devient des sujets fidèles et dévoués. Noblesse Oblige! Si non j'aurais quelque titre à etre au meme degré républicain que je suis hérétique •.
On ne saurait plaisanter d'une manière plus spirituelle.
P. S. -J'ai l'honneur de prévenir V. E. que je lui écrirai, par occasion, une lettre particulière.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 893. Berlino, 23 ottobre 1871 (per. il 29).
Le Prince de Bismarck m'a aussi parlé des rapports entre l'Allemagne et la France. Par les Conventions récentes signées avec M. Pouyer Quertier et destinées à régler sur plusieurs points essentiels l'exécution du Traité de paix de Francfort, la position de M. Thiers a été fortifiée.
Il était dans l'intéret du Cabinet de Berlin de s'y preter et de faciliter ainsi la tache du Gouvernement qui est encore débiteur de trois milliards. Lorsque ce payement aura eu lieu, l'Allemagne, comme pays limitrophe, restera intéressée à la sagesse de la France.
Si l'Italie peut etre rassurée pour quelques années contre toute menace du còté de cette Puissance, il n'est également pas à supposer qu'elle songe de sitòt et sérieusement à une revanche contre l'Allemagne. Si la Prusse d'avant 1866 avec 19 millions d'habitants, pouvait mettre sur pied un million de soldats, l'Allemagne réunie pourra disposer d'une force double quand l'organisation
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16 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
militaire aura fourni tous les contingents. La période actuelle de paix est mise à profit pour tirer parti des expériences faites dans la dernière guerre et améliorer de plus en plus le système. Une nouvelle lutte serait formidable. On devrait procéder sans ménagements, faire table rase de tous les villages où se commettrait des attentats contre le soldat Allemand, et fusiller sans merci les corps francs. Le Français est ainsi fait qu'il ne s'avoue vaincu que lorsqu'il a deux et meme trois bayonnettes dans la poitrine. Il a la fureur du fanatisme, absolument camme chez les sauvages. Il ne faut pas oublier d'ailleurs que la guerre aurait désormais pour point de départ Metz, dont on est occupé à augmenter les fortifications aussi bien que celles de Strasbourg. L'Allemagne étant armée jusqu'aux dents, et à quelques marches de Paris, la France, à moins de faire acte de démence, ne se risquera donc pas à la légère, et si contre toute attente elle parvenait à trouver un aUié sur le continent, il y aurait dans l'Empire assez de troupes pour faire face de deux cotés à la fois.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 894. Berlino, 23 ottobre 1871 (per. il 29).
Ayant amené la conversation sur les entrevues de Salzbourg et de Gastein, j'ai été dans le cas de faire savoir au Prince de Bismarck qu'avant d'avoir eu connaissance de sa circulaire et de celle du Comte de Beust, nous n'avions pas hésité à voir, dans le rapprochement entre l'Allemagne et l'Autriche, une garantien de plus pour le maintien de la paix générale auquel nous étions intéressés à un égal degré. Aussi avions-nous applaudi à ce rapprochement.
Le Chancelier Impérial m'a donné l'assurance que nous avions eu parfaitement raison de faire cette interprétation qui a été confirmée par les circulaires précitées et par le discours de la Couronne à l'ouverture du Reichstag. Il pouvait certifier que le Comte de Beust, comme son interlocuteur, s'était exprimé de la manière la plus amica[e envers l'Italie. On devait etre pleinement édifié à Vienne sur la politique du Cabinet de Berlin. Il n'y a que des reveurs qui puissent lui attribuer des projets d'agrandissement au détriment de l'Empire des Habsbourg. • Nous n'en voulons à aucun prix. Ce serait compromettre notre position en Allemagne. Les Allemands Autrichiens ne nous apporteraient pas une force véritable, tandisqu'ils sont dans leurs provinces un élément de cohésion parmi les autres races éparpiUées sur le vaste territoire d'un Etat dont l'existence est nécessaire à l'equilibre Européen. C'est là une considération qui explique pourquoi nous n'avons pas donné la main aux Hongrois en 1866, et pourquoi nous avons arreté nos troupes à peu de marches de Vienne. Les Français nous reprochent de répéter trop souvent que nous sommes satisfaits. C'est que nous le sommes réellement, quoiqu'il nous reste à faire un travail de digestion qui présente à lui seui bien des difficultés. Nous sommes d'ailleurs absorbés par notre organisation à l'intérieur. Aussi, quand l'occasion se présente, nous prechons aux Allemands autrichiens de ne pas fournir des motifs de plainte à leur Empereur. Nous conseillons en meme temps aux Hongrois de ne pas compromettre leur position par des exigences. Au lieu de tendre la corde, le parti le plus sage serait celui de laisser aux choses leur cours nature!. L'Autriche est ainsi faite, qu'e1le est coutumière de crises qui éreinteraient d'autres Pays, mais qui finissent par se calmer sans compromettre son existence. Ainsi tout porte à croire que le conflit actuel n'aboutira pas à un éclat et sera du moins ajourné par quelque compromis.
La Russie également n'a aucun intéret à susciter des embarras à l'Autriche. On sait à St. Pétersbour'g à quoi s'en tenir sur les aspirations des Slaves. Il leur faut un idéal fantastique pour objet de leur culte. La Russie a des frontières assez étendues pour ne pas se risquer au jeu de la guerre, à moins d'etre elle-meme en butte à des attaques.
L'Empereur Alexandre et meme le Cesarewitch ne pensent pas autrement. Tel est aussi l'intéret de la dynastie. Il ne faut pas ajouter trop d'importance aux criailleries d'une partie de la presse Moscovite.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Parigi, 23 ottobre 1871.
La lettera particolare che l'E. V. volle scrivermi in data del 15 (l) mi giunse invero opportunissima. Essa mi permise di confermare con maggiore autorità al Signor di Remusat ciò che nelle nostre conversazioni io già un pajo di volte gli aveva detto intorno ai nostri rapporti con Tunisi. Appena entrato al Ministero, il Signor di Remusat (come poi egli me l'ha ammesso) fu indotto a concepire qualche sospetto sulla politica seguita verso Tunisi dal Governo del Re. Sino dal mio primo interim nel mese di agosto m'era parso d'avvedermi che qualche malevola insinuazione avesse trovato adito presso di lui e che egli volesse tastare il terreno per rendersi conto delle vere nostre intenzioni. In uno dei miei ultimi colloqui il Signor di Remusat mi ebbe l'aria di voler tentare di nuovo uno scandaglio. Il senso di alcune sue parole fu abbastanza chiaramente questo: • m'avevano messa una pulce nell'orecchio; mi avevano messo in guardia contro le tendenze dell'Italia presso il Bey; ma io non indovinavo troppo il perchè. Una frase dettami dal Cavalier Visconti Venosta a Torino mi aprì appena gli occhi. Il vostro Ministero protestò contro ogni mira di conquista in Africa •.
E poscia il Signor di Remusat, con molta bonarietà, prosegui • che dal suo lato egli sicuramente non vorrebbe mettere ostacolo a tali mire, che lascerebbe fare, ma che gli pareva che l'esempio dell'Algeria e dei tesori e del sangue francese che essa ingojava dovrebbe servirei d'antidoto contro ogni tentazione d'acquisti di colonie •.
Ella ben suppone, Signor Ministro, che io protestai energicamente e recisamente contro ogni simile sospetto. Risposi che altrettanto quanto ogni ufficiale comunicazione del!l'E. V. sui rapporti con Tunisi, la propria mia conoscenza delle condizioni, dei sentimenti e dei bisogni del nostro paese e del suo Governo mi permettevano di affermare che la protesta statagli fatta quasi scherzando dall'E. V. era perfettamente sincera e che non nascondeva nessuna arrière pensée. Ma fui doppiamente lieto che Ella nella Sua ultima lettera particolare tornasse spontaneamente suHe cose di Tunisi, ciò dandomi il destro di parlarne un'altra volta in modo estra-ufficiale al Signor di Remusat e di premunirlo contro ogni nuova insinuazione del suo fedele consigliere M. Desprez (ch'è poco amico nostro) e di altri membri del Ministero della stessa scuola. Non esitai a dargli confidenzialmente lettura d'alcun passi deliJ.a lettera di V. E. e credo -d'averlo lasciato convinto.
Egli mi disse un'altra volta che anche la Francia non desiderava nulla di più che il mantenimento dello statu quo a Tunisi. Incidentalmente poi osservò che per disgrazia l'ingerenza che il Console francese doveva forzatamente prendere nelle cose della finanza tunisina faceva nascere talvolta qualche urto; che ve ne furono col Console inglese; ma che in ciò il carattere personale degli Agenti v'entrava per più che le tendenze di Governi.
Per ciò che concerne la scelta del nuovo Ministro francese in Italia, mi riferisco al telegramma ch'ebbi l'onore d'indirizzarle or sono quattro giorni. Forse, quando Le giungerà la presente, Le sarà già stata trasmessa daU'Incaricato d'affari di Francia quella comunicazione in proposito che una prima volta era stata preparata dal Signor di Remusat e che poi rimase in sospeso per qualche difficoltà sopravvenuta. Il Signor di Remusat non proferl nessun nome. È verosimile che in fatto siavi stata questione del Signor Picard, come già da molto tempo Io telegrafai all'E. V., ma che l'accoglienza fatta arlla notizia datane in guisa di baHon d'essai dai giornali abbia provocato nuove esitanze. Ad ogni modo, inspirandomi di ciò che l'E. V. mi scrisse, io feci presenti al Signor di Remusat le considerazioni che sopratutto in questo momento consigliavano una scelta simpatica all'Italia, ed egli di nuovo dichiarò che sperava accontentarci. Anzi su questo argomento lo trovai in ottimi sensi, perocchè disse che gli doleva di non avere da tanto tempo un ministro in Italia, e che la colpa n'era del solo Choiseul il quale tanto tardò a dimettersi avendo prima rifiutato di tornare subito al suo posto sotto pretesto di lavori preparatori per la sua elezione a consigliere generale, di doveri parlamentari, ecc.
Il Signor di Remusat non prevede un esito brillante dalle pratiche che si
fanno per l'affare del Laurium. La commissione arbitrale, egli dice, potrà
pronunciarsi per un'indennità. Ma secondo il solito il Governo greco non la
pagherà.
(l) Non pubblicata.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 122. Belgrado, 25 ottobre 1871 (per. l' 1 novembre).
Debbonsi ricercare le cagioni del mutamento di politica così indubbiamente mostrato dalla visita del Principe Milano allo Czar, principalmente nelle condizioni interne della monarchia Austro-Ungarica. I tentativi, le condiscendenze ungheresi verso la Serbia erano controbilanciate a Vienna; le agitazioni croate, promosse dal partito militare ed in ultimo dallo Czeco, hanno sempre un'ombra di minaccia contro la Bosnia; nei miei dispacci che trattarono dei confini militari furono a lungo indicati i sospetti ed i timori degli statisti serbi a questo oggetto: finchè il dualismo mostrossi forte e resistette alle tendenze separatistiche la Serbia poteva cercare sostegno nell'Ungheria, della quale però s'ebbe sempre qualche diffidenza: ma quando il temuto federalismo entrò nel campo dei fatti il Principato non vide più per sè altro che pericoli dal vicino stato. La Serbia opera come governo nazionale, e dalla nazionalità oppressa dei serbi dell'Impero Ottomano ricava il suo diritto di egemonia: se questo diritto si trasferisce ad aUri Slavi i quali possano disporre delle forze di un potente Stato, non solo l'egemonia serba cade, ma la stessa indipendenza del Principato è gravemente minacciata. Se la Boemia ottiene diritti di autonomia, li otterrà la Croazia; e la Serbia si troverebbe allora in questo difficile dilemma: o mantenersi unita all'oppressore della Croazia, come chiamano l'Ungheria, e rinnegare i principi dell'esistenza propria: o sottoporsi ad una necessaria decadenza ed alla rinuncia del programma nazionale, per la forza delle cose rapitole da popolo più colto, più intraprendente e capace per la riunione sua agli altri elementi Slavi dell'Impero e irradiare iJ.'ascendente suo sugli Slavi ottomani.
I motivi immediati del raffreddamento della Serbia verso la Monarchia Austro-Ungherese furono di mano in mano che essi palesaronsi dalle conferenze di Londra in poi indicati nella mia corrispondenza: le manifestazioni sue negli ultimi tempi furono da me parimente notate: ma queste cagioni non spiegano sufficientemente, a mio avviso, un cambiamento così grave e così solenne, e v'ha d'uopo attribuirlo a considerazioni di più aiJ.ta importanza.
Non è a mettersi in dubbio la sincerità dei Reggenti quando nei loro colloqui mostravansi alienissimi dal ricercare la protezione della Russia, essi non ignorano la instabilità e la doppiezza sua, e nella storia del Principato ne trovano parecchie e palesi prove. La prevalenza della Russia in Oriente è a detrimento delle nazionalità: essi lo sanno e, se quella prevalenza divenisse conquista essi sanno pure che per i serbi del Principato non vi sarebbe luogo nella mappa panslavistica. Ma forse ai loro occhi quel pericolo è lontano, mentre i fatti minaccev<Yli camminano a passo veloce nella vicina monarchia. Essi credono che un'invasione della Bosnia, un'occupazione della Serbia possano essere impedite dalla lontana protezione Russa, mentre invece ne sarebbe accelerata, e forse la Serbia si lusinga, in caso di guerra, di poter ricevere ajuti da quel Potentato, ed a favore suo combattere essa stessa e far insorgere le provincie finitime.
Non spetta a me il giudicare dell'importanza reale della nuova politica serba: a mio avviso, essa non dovrebbe in nessun modo diminuire la fiducia che nella condizione delle alleanze in Europa, la pace in Oriente non può presentemente essere turbata. I pericoli a questa pace non verranno dalla Serbia, perchè la forza sua militare non lo permette, come propongomi dimostrarlo in una prossima relazione; essi verranno dagli Slavi dell'Ungheria, e come tante volte l'ho preveduto ad essi va trasferendosi la parte che la Serbia vuole e non puote sostenere, perchè non ebbe il coraggio dei mezzi da impiegarsi, e perchè il fine è disproporzionatamente superiore al grado suo di coltura. Il riavvicinamento alla Russia indica soggezione ed implica la rinuncia tacita alla massima che l'Oriente farà da se.
P. S. -La Serbia per conservare la sua dinastia, per completare la sua indipendenza deve respingere l'ascendente degli Slavi del Regno Ungherese e per sè e per le provincie Ottomane: ed è naturale che per sfuggirvi si appigli a mezzi che agli occhi suoi stessi sono pieni di pericoli.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 261. Tunisi, 28 ottobre 1871 (per. il 2 novembre).
Nel recente mio passaggio per Roma 'l'E. V. mi ha fatto l'onore di intrattenermi sulla natura delle trattative esistenti in Costantinopoli tra questa Reggenza e la Sublime Porta, come pure del modo con cui i nuovi rapporti politici che si dicevano stabiliti verrebbero considerati dal Governo del Re e dalla Francia.
Il signor di Botmiliau fin dalla sua prima visita mi disse d'altra parte che dispacci da Versailles lo aveano informato di questa comunanza di viste coll'Italia, per cui mi richiedeva di appoggiare le stesse osservazioni e riserve ch'egli aveva già fatte al Bardo a tale riguardo. Nel confermare l'accordo esistente colla Francia ho risposto al mio collega che mi proponevo di parlarne col Primo Ministro del Bey, e che mi sarei regolato dalle spiegazioni che ne avrei ricevuto.
Ora il Generale Sidi Mustafa che ebbi occasione di vedere in questo frattempo, mi assicurò che l'atto intervenuto in Costantinopoli, nel consacrare lo statu-quo della Reggenza e la successione al trono dell'attuale dinastia secondo la legge musulmana, nulla avea innovato nei rapporti politici tra i due Governi e che avea avuto solo per iscopo di meglio definire alcune pratiche, del resto precedentemente usate, riguardo alla investitura dei Bey, alla preghiera per il Sultano nelle moschee, al conio delle monete ed all'obbligo di fornire all'occorrenza un contingente di truppe.
Da parte mia però mentre non ho nascosto al Ministro le complicazioni che potrebbero derivare dai passati accordi, mi sono creduto in dovere di dichiarare che ricevevo ad referendum le datemi spiegazioni, e ad accennare che in ogni caso i due Gabinetti di Roma e di Versailles riguardavano la questione sotto lo stesso punto di vista.
Da ieri poi corre la voce che al Bey sia stato conferito dal Sultano il titolo di Kedive, e che i Generali Sidi Mustafa e Khereddin furono elevati aJl grado di Mousur, aspettandosi però da un momento all'altro quest'ultimo da Costantinopoli, sapremo ben presto a che cosa attenerci su queste notizie che per altro ho luogo a credere abbastanza fondate. Nel qual caso i cambiamenti avvenuti nei rapporti politici tra la Reggenza e la Turchia non sarebbero puramente di forma come il Generale Sidi Mustafa ha voluto darmi ad intendere.
IL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 319. Bucarest, 29 ottobre 1871 (per. il 5 novembre).
L'apertura della sessione straordinaria del parlamento ebbe luogo stamane e mi affretto ad inviare qui unito all'E. V. alcune copie del discorso pronunziato in quest'occasione da S. A. il Principe Carlo (1).
L'insieme del discorso quantunque pieno di adulazioni verso la Camera, l'armata il pubblico e tutta la Rumenia fu accolto piuttosto freddamente dai pochi deputati sparsi nell'aula. Tolte poche espressioni alludenti all'ordine e contro il partito d'azione tutto il discorso fu pronunziato in mezzo al silenzio ed interrotto solo da parzialissimi applausi.
Come V. E. potrà vedere la questione estera fu appena toccata di volo e riguardo a quella delle strade ferrate Strusberg il Gabinetto Principesco non volle in bocca al Sovrano alcuna parola che potesse menomamente far conoscere il modo di vedere del Governo in questa vitale questione.
Si spera che domani i deputati saranno abbastanza numerosi per poter tenere seduta pubblica e cominciare la discussione di quella gran massa di progetti annunziati nel discorso Principesco.
L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GALVAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4000. Atene, 30 ottobre 1871, ore 2,25 (per. ore 1,10 del 31).
Le roi a ouvert personnellement la chambre des députés. En parlant de ses bonnes relations avec les puissances, il a dit: j'espère que la question du Laurium ne causera aucun trouble dans mes rapports amicaux avec quelqu'une des puissances. Mon Gouvernement vous communiquera les pièces relatives à cette affaire.
(l) Non pubblicato.
L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 731/254. Londra, 30 ottobre 1871 (per. il 5 novembre).
Io fui piuttosto restìo a prestare intera fede alla importanza degil.i apparecchi di una crociata che si starebbero facendo in Irlanda in favore del potere temporale del Papa, per quanto dettagliate fossero le informazioni pervenute a cotesto Ministero e dall'E. V. comunicatemi col Dispaccio n. 107 di questa Serie in data del 18 ottobre (1).
Un tale apparecchio, per la natura stessa della propaganda da farsi, non avrebbe, almeno lo spero, potuto passare interamente inosservato in questo paese ma, accennato dai giornali, ripetuto nei circoli non avrebbe mancato di dare qualche indizio di sé. Ciò non ostante mi sono recato a premura di chiedere ragguagli sull'esistenza di esso prima di dirigermi officialmente al Principale Segretario di Stato per gli Affari Esteri. Mi posi dunque in relazione confidenziale con vari personaggi importanti e principalmente col Segretario di Stato per l'Irlanda come la fonte più autorevole che avrebbe potuto dar sanzione d'autenticità a tali rumori, ed ecco qual'è il riassunto di ciò che ho appreso.
Non regna agitazione alcuna in .Irlanda più accentuata di quello che sia stato nei tempi passati in favore del potere temporale del Papa e se mai esistesse un'associazione sotto il patrocinio di S. Sebastiano della quale si cerchi estendere la ramificazione in vari Paesi del continente, dovrebbe avere proporzioni veramente minime non essendo mai nulla trapelato al Governo, assai vigilante per gli affari d'Irlanda, sul conto di essa.
D'altra parte però se nelle parrocchie Irlandesi si fanno delle sottoscrizioni per raccogliere fondi in favore del Papa, queste sottoscrizioni più che probabi!lmente non hanno nulla di straordinario essendo le abituali raccolte di moneta in favore dell'Obolo di S. Pietro alla qual tassa Papale l'Irlanda ha contribuito sempre in larghe proporzioni.
In quanto poi alle istruzioni che si danno ai giovani e agli arrolamenti di antichi militari dell'ex-esercito pontificio di cui gli feci cenno, Lord Hartington non crede essere fuori del vero assicurandomi che queste mene e preparazioni possano essere state confuse colle macchinazioni del partito Feniano che non cessano mai di essere clandestinamente condotte nei distretti cattolici in ispecie.
Avute queste informazioni che combinano appunto colle mie opinioni personali, ho creduto dovere astenermi di fare pel momento pratiche officiali presso Lord Granville e di comunicargli H Dispaccio dell'E. V., tanto più che Lord Hartington mi promise di fare intraprendere le più diligenti ricerche ad ogni buon fine e di farmi sapere il risultato di esse.
Dal contenuto di quest'attesa comunicazione dipenderà in seguito la scelta della via da tenersi. Ciò non ostante è mio dovere rassegnando quanto sopra all'E. V. di aspettare i di Lei ordini in proposito onde conoscere quanto nell'alto suo giudizio :le parrà conveniente indicarmi.
(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 156.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI
D. 100. Roma, 31 ottobre 1871.
Al suo giungere a Costantinopoli avrà trovato che il Generale Kherreddine avea lasciato codesta città per ricondursi a Tunisi latore di un firmano del Sultano al Bey avente per iscopo di determinare i rapporti della Reggenza con l'Impero.
Di tale notizia, già segnalatami con telegramma del Signor Cova in data 28 corrente (1), ebbi oggi la conferma in un colloquio avuto poc'anzi con Photiades Bey.
L'inviato ottomano ha ricevuto istruzioni di annunziarmi ch'egli fra pochi giorni sarà in grado di comunicare a me il testo del firmano imperiale rilasciato al Bey di Tunisi e di porgere così al Governo italiano la prova che per tale atto non soffrirà alterazione lo statu quo deHa Tunisia rispetto ai governi stranieri aventi in quel paese interessi commerciali da tutelare. Il firmano determina, mi disse egli, la condizione politica della Reggenza ma lascia intatti i diritti del Bey in tutto ciò che concerne gli affari commerciali e di amministrazione interna. S. A. continuerà come per il passato a poter stipulare deUle convenzioni commerciali; non potrebbe però assumere impegni d'indole politica.
Il progetto di dare una base stabile ai rapporti della Tunisia con la Porta, soggiunge Photiades Bey, data nel 1864. Si stimò tuttavia in quell'anno di poter soprassedere alla conclusione dei negoziati intavolati a tale effetto fra Tunisi e Costantinopoli; ma nel periodo trascorso da quel tempo in poi divenne sempre più manifesto che, per difetto di uno stabile ordinamento, l'amministrazione della Tunisia versava ormai in condizioni di tale instabilità da compromettere seriamente gli interessi politici che l'Impero ottomano ha il diritto ed il dovere di difendere e preservare.
Queste spiegazioni, mi disse l'inviato ottomano, egli era incaricato di presentarmi in risposta alle osservazioni fatte dal Governo italiano alla Sublime Porta mentre appunto stavasi elaborando a Costantinopoli il Firmano consegnato in questi di al Generale Kherreddine.
Io ringraziai il Ministro di Turchia delle spiegazioni che la Porta ci faceva dare. Noi abbiamo sostenuto, gli diss'io, il momento essere inopportuno per risvegliare una quistione daHa quale erano nate altre volte complicazioni assai gravi. In questa nostra opinione convenivano altre Potenze, e ci risultava che l'Inghilterra e la Francia avevano espresso a Costantinopoli sensi non diversi dai nostri. Feci inoltre notare a Photiades Bey come praticamente sia impossibile il determinare a priori il limite oltre il quale un affare in origine puramente commerciale e di interna amministrazione cessa di essere tale ed acquista i,l carattere e l'importanza di una quistione politica. E dappoichè l'inviato ottomano
mi avea assicurato che il firmano non toglieva al Bey la facoltà di assumere impegni internazionali d'indole commerciale, insistetti dal canto mio in particolar modo sopra questa considerazione che quando l'amministrazione tunisina non osservi i patti stipulati o per alcun aUro suo atto di interna amministrazione dia legittimo motivo ad un Governo estero di richiamarla ad un più giusto sentimento dei suoi doveri la questione piglierà un aspetto politico ed allora la Porta si troverà nell'alternativa o rinchiudersi in un sistema di completa astensione, o di assumere la responsabilità e subire le conseguenze di impegni presi e di atti compiuti a sua insaputa da un'amministrazione che sfugge al suo ordinario sindacato. H partito preso dalla Porta avrebbe dunque l'inconveniente di scemare nel Governo del Bey il sentimento della propria responsabilità, e ciò non tenderà a migliorare le condizioni della Reggenza.
Or siccome uno stato di cose da cui possano temersi siffatte conseguenze non dovrà mai influire sovra gli interessi degli stranieri in Tunisi, io dissi a Photiades Bey che l'Italia, dopo di aver sconsigliato il firmano, ora che questo atto è compiuto si riserva di esaminarlo e intanto rimane ferma nell'opinione che per esso non possa alterarsi il carattere delle sue relazioni con la Reggenza queste rimarranno sul piede stesso che per il passato, senza che la diretta responsabilità del Bey e del suo Governo possa scemarsi per gli atti che fossero lesivi delle ragioni e degli interessi degli italiani.
In questo senso io ho parlato a Photiades Bey. E dappoichè V. S. non ebbe campo di valersi delle istruzioni impartitele in Roma circa i passi che avremmo ancora desiderati fare in quest'importante vertenza; ora è mestiere che Ella conosca il mio linguaggio coll'inviato ottomano acciocchè ad esso possa conformare il suo con i Ministri del Sultano.
lo desidero anzi che al ricevere di questo dispaccio Ella si rechi presso codesto Ministro degli Affari Esteri e che questo senta ripetere da lei ciò che io stesso ebbi occasione di dire al Plenipotenziario ottomano.
(l) Non pubblicato.
L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 255. Londra, 31 ottobre 1871 (per. il 6 novembre).
Mi onoro segnarle ricevuta del pregiato di Lei Dispaccio riservato di questa serie, N. 106 (1), col quale V. E. mi dava incarico di continuare a tenerla al corrente delle mene della Società • Internazionale • che ha qui il suo centro principa'le.
Non mancai di comunicare privatamente alla polizia i connotati del Gambuzzi trasmessimi col precitato dispaccio, ma fin'ora questo mio passo non ebbe alcun risultato. Circa poi il desiderio che Ella nel medesimo mi ripete, di cono
scere cioè quale sarebbe la spesa occorrente a tenere un Agente stipendiato in questa Capitale allo scopo di sorvegliare specialmente le trame dei facinorosi italiani, non posso che riferirmi a quanto già aveva l'onore di rassegnarle in proposito addì 31 dello scorso Agosto col mio rapporto della serie politica
N. 239 (1).
Solo mi permetterò di aggiungere che, se l'Onorevole Ministro dell'Interno si appiglia al partito d'inviare un siffatto agente, considero come condizione essenzialissima del suo successo che gli vengano provveduti liberamente i fondi necessari a far fronte alle spese impreviste che gli potranno occorrere per ottenere l'esito che il R. Governo contempla.
È ovvio che questa mia osservazione trae con sè la naturale conseguenza che la persona cui verrebbe affidato tale incarico, oltre all'essere fornita dell'intelligenza e destrezza volute dovrebbe pure essere meritevole della più illimitata fiducia.
La polizia Inglese non dà molta importanza all'opera degli agitatori stranieri che hanno qui rifugio, ma su di ciò il prefato Signor Ministro dell'Interno saprà esattamente qua.le e quanta possa essere l'influenza dei settarii Italiani residenti all'Estero sulle macchinazioni dei nemici dell'ordine nel nostro paese.
In Inghilterra prevale l'opinione che la Società • Internazionale • non eserciti molto prestigio sulle classi operaie, le quali sono unite in associazioni certamente fondate su basi democratico-radica,li, ma non comuniste al pari delle affigliazioni che esistono per lo più nelle stesse classi sul continente. Si crede ovunque che, anche ammettendo che l' • Internazionale • abbia potuto trarre a sè un certo numero di incauti, quando le masse inglesi si accorgeranno della perversità e della negazione di ogni principio sociale da cui è animata tal setta, si affretteranno a rescindere ogni legame con essa ripudiandone i dettami, e sperasi che ogni onesto operaio, riconosciuto l'inganno in cui fu trascinato, cesserà di far parte di un'associazione così pericolosa e capace di condurre a qualunque eccesso.
Comunque sia la cosa è un fatto che da qualche settimana l'attenzione del pubblico è stata fissata in modo tutto particolare sulle discussioni che ebbero luogo nei numerosi meetings tenuti dai membri dell' • Internazionale • e sulle operazioni di essa.
In primo luogo deggio rassegnare all'E. V. che in questi ultimi giorni si produsse una profonda scissione, seguita da una ardente polemica tra il Segretario Generale della Società • Internazionale •, Signor Hales, ed il Signor Brandlaugh -presidente del Club Repubblicano di Londra -ed altri leaders della propaganda socialista. Questo incidente proverebbe quanto ho avuto l'onore di avanzare poco anzi, cioè che l'elemento democratico di questo paese comincia a scoprire di essere stato tratto in errore dagli • Internazionalisti •, per servirmi della nuova espressione che viene qui usata. Del resto questa attitudine dei radicali Inglesi non è che 11a ripetizione della via tenuta ora da Mazzini e da altri repubblicani dell'antica scuola.
La precitata controversia fu originata dall'asserzione fatta dal Signor Brandlaugh che l' • Internazionale • non aveva molto potere in questo paese e che le associazioni operaie dell'Ingh~lterra non dovevano prestare il loro appoggio ad una società, di cui il Segretario in una pubblica adunata aveva rappresentato l'incendio degli edifici di Parigi come una semplice misura di strategia militare.
A questo il Signor Hales Segretario dell' • Internazionale • rispose che il Signor Brandlaugh non aveva alcuna autorità per parlare in tale guisa. Ammise di considerare gli incendi di Parigi come una misura giustificabile, avendo essi materialmente assistito la difesa della comune, e sostenne essere assolutamente falso che l'influenza dell' • Internazionale • in Inghilterra fosse di così poca ,levatura come si voleva rappresentare, contandosi già in questo paese non meno di 8000 membri che pagavano regolarmente le loro contribuzioni. Il signor Hales in conclusione pubblicò a foggia di programma la seguente dichiarazione :
• La missione dell' • Internazionale • è di stringere in un legame fraterno gli operai di tutti i paesi ed essa patrocina gli interessi del lavoro, e non altro che questo. Esso proclama che ognuno che nasce, uomo o donna, ha diritto di vivere a condizione che si sottometta ad una parte equa del lavoro richiesto dalla Società; e che nessuno che nasce ha questo diritto eccetto che a condizione di fare in iscambio di esso un lavoro utile intellettualmente o manuale.
Non vi può essere dittatura nell'associazione perché è organizzata col principio federativo ed ogni sezione ha piena libertà di agire sopra tutte le questioni politiche o sociali, nazionaj}i o locali a condizione che nulla abbia luogo in antagonismo coi principi dell'associazione •.
Anche supponendo che le osservazioni del Signor Hales sulla estensione dell'organizzazione dell' • Internazionale • non sieno esagerate, non riman men vero che qui, come altrove, regna una scissione nel campo democratico e g{l.i antichi repubblicani si trovano d'un tratto divenuti i rappresentanti della parte conservativa del radicalismo moderno. Questo è ciò che in questo paese fa concepire a molti la speranza che le masse Inglesi col senso pratico che loro ha sempre appartenuto, scorgeranno a tempo l'abisso in cui si vorrebbe precipitarli. Ma si potrà sperarne altrettanto nei vari paesi del continente in Itallia ed in !spagna specialmente ove, sia per la novità di questi principi di associazione, sia per il minor grado di coltura del popolo, molti possono essere gli incauti che si lasceranno sedurre?
Qui mi cade in acconcio fare osservare a V. E. che non ho potuto sapere se la contribuzione di un • penny • annuo, di cui mi fa cenno il precitato Dispaccio di questa serie N. 106, sia veramente il montare della sottoscrizione pagata dai membri Inglesi. La polizia crede piuttosto che questa infima contribuzione di un • penny • si riferisca probabilmente alla partecipazione degli operai esteri, i quali, mercé tale piccolissima quota, potrebbero considerarsi affigliati alla associazione universale avente sede in Londra. Sul fondamento di questa supposizione io però non so nulla.
Ritornando sull'argomento del favore che l' • Internazionale • incontrerebbe attualmente in Italia ed in !spagna, debbo segnalare all'E. V. che questo fu il tema che venne maggiormente svolto nella seduta del Consiglio Generale di questa Società delli 17 corrente, nella quale venne dichiarato che il progresso che fa l'associazione in quei due paesi era rapido e soddisfacente quanto il più ardente dei suoi promotori lo potesse desiderare. Il Consiglio Generale congratulò la Società sulla totale estinzione dell'influenza di Mazzini sugli operai Italiani, attribuendo un tale risultato al solo fatto dell'avere egli denunziato i principii dell'c Internazionale • a cagione del loro carattere empio ed irreligioso.
Qualunque siano state le cose che Mazzini può aver scritto o detto a questo riguardo, le congratulazioni espresse dal Consiglio Generale sulla caduta d~lla sua supremazia, dimostrano ad ogni evento quali siano le basi su cui si fonda la organizzazione dell'c Internazionale •.
Le notizie comunicate alla stessa seduta dall'Agente Spagnolo furono parimenti oggetto di rallegramento pei membri dell'associazione la quale per bocca del suo Segretario, pronunciò che questo successo era dovuto alJla Comune di Parigi la quale aveva diviso in due campi diversi il partito repubblicano attirando a sè l'elemento giovane in tutti i paesi.
Non contenta della sua organizzazione in Europa l' • Internazionale • medita ora di estendere le sue affigliazioni in America in considerazione, siccome ci dice il Segretario di Londra, dei risultati c spaventevoli a contem~arsi • che anche colà produce il riconoscimento della proprietà fondiaria individuale.
Mando intanto qui unito a V. E. gli estratti dei due ultimi mesi di un giornale ebdomadario chiamato c The Eastern Post • che ha molta circolazione fra le più basse classi, e che registra in ogni suo numero il rendiconto delle sedute dell'c Internazionale •.
Nel numero del 14 corrente si leggono i nomi di commissarii corrispondenti per i varii paesi, fra cui figura quello di Engels per l'Italia e la Spagna. Mi sembra che potrebbe tornare utile al Signor Ministro dell'Interno di farsi spedire regolarmente il periodico precitato.
Ma il documento più ragguardevole che mando pure qui accluso è una pagina del Times di or son tre giorni, la quale contiene per intero la storia dei primordii e dell'organamento dell' • Internazionale •. Essendo questo uno dei soggetti più rilevanti dei nostri tempi, l'accurat~ esposizione che in breve spazio condensa le varie fasi cui passò quest'or potente associazione, verrà letto con molto interesse. Essa fu fondata in Londra nel 1840 sotto il nome di c Arbeiters Bildung-Verein •, da un piccolo gruppo di Tedeschi espulsi dalla Francia nel 1839.
Nel 1847 un'importante Conferenza di comunisti Tedeschi venne qui tenuta sotto gli auspici del D. Karl Marx e Federigo Engels, e da quell'epoca, ajutata dagli eventi che avevano luogo in Europa, l'associazione assunse una vera gravità, e vi presero parte i democratici di tutte le Nazioni.
Fin d'~llora si manifestarono in essa le due contrarie tendenze che con varia fortuna si disputarono la supremazia, e che ora come ho esposto più sopra, nuovamente si spiegano una avente per iscopo di convertire la Società in una Setta politica, l'altra invece preferendo d'occuparsi esclusivamente di tutto ciò che si riferisce allo stato sociale degli operai ed alle questioni relative al lavoro, stipendi, scioperi e simili. Ma gradatamente insorsero altri prob~emì sociali ed economici, e di comune accordo venne deciso che la questione politica della forma di governo repubblicano fosse lasciata in sospeso. Ciascun paese rimase libero di adottare la linea di condotta politica che credeva, ed il solo vincqlo d'unione fra i membri dell'associazione fu limitato a certi principi d'aspirazioni comuni rispetto alle aspirazioni sociali ed economiche.
La parte sopra la quale mancano dati positivi è quella che concerne la forza numerica approssimativa della Società. Secondo taluni essa non conterebbe più di 100.000 affigliati. Secondo altri 7.000.000. Ma anche prendendo per base la prima cifra e ponendo mente a~la circostanza che i suoi mezzi finanziari sono dei più ristretti, è impossibile di non essere colpito del potere dell' • Internazionale • e di non vedere che potrà diventare una formidabilissima organizzazione, si può dire che questa Società sia ancora in uno stato d'infanzia, e già produsse la Comune di Parigi. Cosa sarà capace di fare col volgere degli anni?
È questa una considerazione che dovrebbe aver peso presso il Governo Inglese e spingerlo a prestarvi la più seria attenzione onde impedire che sotto Jl'usbergo delle sue leggi si tramino cospirazioni aventi per oggetto la distruzione di ogni istituzione sociale in Europa.
(l) Cfr. n. 146.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. CONFIDENZIALE 897. Berlino, 2 novembre 1871 (per. il 7).
A son passage pour retourner en Russie, le Prince Gortschakow s'est arrété trois jours à Berlin durant les quels il a été reçu par l'Empereur d'Allemagne et par le Prince de Bismarck. J'ai eu deux fois l'avantage de le voir et j'ai recueilli quelques unes de ses impressions.
I~ ne tarissait pas d'éloges sur la profondeur et la sagesse des vues développées par le Chancelier Allemand, pour l'organisation intérieure de l'Empire et ses rapports avec les Puissances étrangères. Tout me porte à croire que le Prince de Bismarck se sera prononcé vis-à-vis de lui dans un sens analogue à celui dont j'ai rendu compte par mes dépéches du 23 Octobre (1).
Etait-il réellement aussi satisfait qu'il le montrait? ~l m'a mis lui-méme sur la voie de concevoir quelques doutes, lorsqu'il fit, hors de propos, cette observation: qu'il ne nous demandait en ce moment qu'une seule chose: à savoir, de régler la pension de la veuve du Chevalier Regina, ancien Ministre de l'ex Roi de Naples et qu'~l ne pouvait arriver à. un résultat. Il en était de méme à l'égard du Prince de Bismarck quand on lui parlait de choses qui
intéressaient directement la Russie. • Il répond que nous enfonçons une porte ouverte; mais il ne sort pas des généralités •· Je me suis souvenu alors d'une appréciation qui ne manque pas de justesse, consignée dans le livre de M. Benedetti c Ma mission en Prusse •: c La Russie est une carte dans le jeu de M. de Bismarck... il tient essentiellement à ne pas intervertir les roles, à ne pas devenir lui-meme une carte dans le jeu du Cabinet de St. Pétersbourg •.
J'ai fait une allusion aux entrevues d'Ischl et de Salzbourg c C'est là un sujet dont je ne m'occupe pas •. Mais le Prince Gortschakow a prononcé c es mots d'un ton qui ne m'a pas semblé d'accord avec le fond de sa pensée. C'était plutot l'expression d'un sentiment d'orgueil du Ministre d'une grande Puissance, qui ne veut avouer à personne qu'il ne voit pas sans quelque préoccupation ses deux voisins se rapprocher, lorsque leur désaccord lui conviendrait bien davantage. 1(1 reconnaissait pourtant l'à propos d'un jugement porté par un diplomate sur ces entrevues: c C'est l'entente entre le Cavalier et le... cheval. Le cavalier est à Berlin •.
Les embarras sérieux que traverse en ce moment le Cabinet de Vienne sont-ils peut-étre aussi de nature à enlever dans son esprit de l'importance à une pareille entente. Il était néanmoins de l'avis que l'existence de ~a Monarchie Austro-Hongroise est une condition essentielle de l'équilibre Européen. On ne saurait d'ailleurs par quoi la remplacer, si elle tombait en ruines. Il est dans l'intérét généraJl d'éviter tout ce qui pourrait compromettre les bons rapports entre les Puissances. Mais le Comte de Beust n'avait pas la main heureuse, et son caractère inquiet nuisait autant à la bonne conduite des affaires, que le caractère irrésolu de son Souverain.
Son Altesse m'a cité un cas où M. de Beust s'était complètement mépris, meme sur des communications de son propre agent à St. Pétersbourg (1). Il y a quelques mois, le Comte Choteck désireux de rétablir des rapports de confiance entre les deux Puissances se rendit lui-meme à Vienne avec des dépéches qu'il avait rédigées d'après des notes fournies en quelque sorte par le Chancelier Impérial. Le Comte de Beust donnant une fausse interprétation à ces ouvertures, croit ou veut presque y voir des tendances à une action militaire combinée des deux Etats contre l'Allemagne, et indique à St. Pétersbourg quelles sont les forces dont l'Empire Austro-Hongrois disposerait à cet effet. Le Prince Gortschakoff en manifesta plus que de la surprise au Corte Choteck, qui avait été sur le point de donner sa démission en voyant combien à Vienne on avait tortué le sens de ses paroles. De son coté le Comte de Beust reçus l'avis que non seulement on ne le suivrait pas dans cette voie, mais que si des troupes étaient mises en mouvement vers l'Allemagne, la Russie ne pourrait s'emp&her de faire une démonstration vers la frontière Autrichienne. Le Comte de Beust est en proie au cauchemar que chacun en veut au Cabinet de Vienne, et il s'expose à de fausses démarches. Il voit entr'autres la main de la Russie voulant exercer en dehors de son territoire une pression matérielle et morale
sur les Slaves. Comme si elle y songeait, comme si on avait pu sa1s1r un seui de ces agents nombreux, qu'on prétend etre chargés de faire de la propagande! Il n'est pas à nier, il est vrai, qu'il existe dans l'Empire Austro-Hongrois un parti de Slaves mécontents qui, de son propre mouvement, s'agite dans un courant d'opposition. Mais il appartient au Cabinet Austro-Hongrois de travailler à le désa·rmer par une politique habile, autrement il luttera avec désavantage contre cette opposition très dangereuse, si on ne s'entend pas mieux à la ramener dans une autre voie. La Russie ne cherchera pas à susciter des difficultés et elle compte bien qu'elle n'aura pas à s'opposer, comme le cas échéant elle le ferait sans faute, si le Cabinet de Vienne voulait s'attaquer à la Roumanie ou à la Serbie. La Russie lui barrerait le chemin. Le Comte de Beust sait parfaitement à quoi s'en tenir à-cet égard.
Relativement à l'Allemagne, l'Empereur Alexandre tient à entretenir l es meilleurs rapports avec cette Puissance. Certainement que la presse Russe, durant la guerre, se montrait fort peu sympathique à la cause A~lemande, et qu'une partie de l'opinion publique partageait le meme sentiment; mais tel est le prestige du Tsar qu'il a réussi sans difficultés à maintenir son programme politique.
Quant à la Franèe le Prince Gortschakow pensait que la république ne se soutiendrait pas et que les d'Orléans avaient le plus de chances de revenir au pouvoir; lors meme qu'ils n'eussent point su se concilier le bon vouloir du Cabinet de Berlin. Sans vouloir discuter les problèmes de l'avenir, Son Altesse estimait que de longtemps les projets de revanche n'avaient rien de sérieux, vu la condition intérieure d'un pays aussi profondément bouleversé;
Iil n'y a pas non plus de complications à redouter du còté de l'Orient. En suite de la révision du Traité de 1856, la Turquie est en très bons termes avec le Cabinet de St. Pétersbourg. Elle se trouve fort à l'aise d'étre délivrée de l'espèce de tutelle qu'à son endroit exerçaient la France et l'Angleterre.
Les Gouvernements devraient profiter du calme actuel dans les régions politiques, pour s'occuper chacun chez soi de 1la question sociale. L'Internationale a mis une sourdine à son agitation en se rendant compte de l'effet détestable produit par ses excès en France, mais ses agents n'en continuent pas moins à miner secrètement l'édifice de la société, là mème où le terrain est le moins préparé à leurs plans de destruction. Le Prince Gortschakow ne croyait pas à la possibilité de formuler entre les différens pays un accord sur cette importante matière. La diversité des législations serait un des principaux obstacles, mais rien n'empecherait que chaque gouvernement prit chez lui des mesures énergiques pour mieux se garantir contre ce ver rongeur de l'Europe. En Russie l'autorité est décidée, si la démagogie socialiste voulait lever la tete, à procéder instantanément et impitoyablement pour écraser toute tentative criminelle. Le Prince de Bismarck parait avoir quelque inquiétude du còté des paysans Russes, mais à tort. Si le système communal est défectueux en ce qu'il laisse indivise une partie des biens-fond, au lieu de les par.tager entre les habitans et de les intéresser ainsi davantage à la chose publique, il existe un contre-poids très fort dans le principe d'autorité auquel personne ne porterait attente impunément.
En Russie il n'y a pas notamment des grèves, comme en Allemagne, (à Chemnitz, par exemple, où plus de 7000 ouvriers ont souspendu leurs travaux).
J'ai interpeHé le Prince Gortschakow sur les pourparlers entre le Cardinal Antonelli et Monsieur de Kapnitz, et s'il était vrai que le Saint Siège mit comme condition au rétablissement des rapports diplomatiques le retour dans leur diocèse des Evéques exilés du Royaume de Pologne. Il m'a dit: qu'en suite des avances faites par le Cardinal secrétaire d'Etat, des pourparlers avaient en effet eu lieu. ~l n'en connaissait pas encore le résultat; mais en aucun cas la Cour de Russie n'accepterait la condition ci dessus inventée par quelque journal Catholique.
(l) Cfr. nn. 174, 175, 176 e 177.
(l) c maintenant gouverneur de la Bohème depuis quelques mois. Durant la guerre entre la France et l'Allemagne •. Questa frase è aggiunta sull'originale con questa nota: • rettificazioni prescritte dal successivo rapporto del Conte de Launay, n. 898 •·
IL CONSOLE GENERALE A SERAJEVO, DURIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 125. Serajevo, 2 novembre 1871 (per. il 15).
A complemento del mio rapporto N. 121, di questa Serie (1), riferisco avermi il Console Inglese dato jeri lettura di lettera particolare del Console Generale Inglese di Belgrado portante che quei Reggenti determinavano il Principe Milano a visitare lo Czar in Crimea a pegno di futura intiera sommessione ai postulati della politica russa per effetto di pressione della Skupcina, e nella lusinga che, amicandosela per tal modo, rìescirebbe consolidata la pericolante autorità loro, lusinga vana al dire del Signor Longworth, stantechè la tardiva resipiscienza dei Reggenti non sia per essere ricambiata dalle simpatie protettrici di quel Console Generale Russo acquisite al partito degli avversarj loro. Il nuovo indirizzo della politica serba farebbe sì che il Signor Longworth preveda fra la Serbia e la Bosnia complicazioni che vorrebbe vedere possibiQmente scongiurate da un contegno prudente, corretto e vigilantissimo delle autorità bosniache.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA
D. s. N. Roma, 3 novembre 1871.
La presenza in Firenze dì una commissiOne triestina per celebrare la battaglia di Digione e per prender parte alla cerimonia che, pare debba aver luogo in quelle circostanze, non mancherà di sollevare la suscettibilità del Governo Austro-Ungarico il quale per lo passato ci ha sempre indirizzato, ogni qual vo~ta si erano prodotte in Italia manifestazioni triestine, delle amichevoli e
17 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
confidenziali ma ad un tempo consistenti osservazioni. Quanto ai componenti della commissione medesima essi si esporrebbero probabilmente al loro ritorno in Trieste, a conseguenze sgradevoli per parte delle autorità locali, le quali in questi ultimi giorni aveano fatto segno di misure severe un triestino accusato di aver portato in Roma in occasione dell'ingresso del Re una bandiera triestina.
In questo stato di cose ~l sottoscritto reputerebbe opportuno, qualora codesto Ministero ne abbia i mezzi, di sconsigliare tale dimostrazione e di fare ogni opera per prevenirle potendo produrre effetti spiacevoli per il Governo del Re, ed in ispecie per i cittadini triestini che prendessero parte alla progettata dimostrazione.
Tanto si reca a dovere il sottoscritto di rispondere alla pregiata nota di codesto dicastero in margine segnata.
(l) Non pubblicato.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4007. Parigi, 3 novembre 1871, ore 19,20 (per. ore 22,30).
Rémusat désire retarder encore signature du protocole sur la juridiction consulaire à Tripoli pour témoigner à la Turquie son mécontentement de ce qu'el~e ait rendu le firman sur la Tunisie. Il veut au moins attendre d'avoir lu auparavant ce firman et il pen~:~e que V. E. ferait bien d'en faire autant. S'il est vrai que le firman maintient statu quo à Tunis, il n'hésitera pas à signer protocole pour Tripoli à quatre, de préférence à un protocole seui.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1686 bis. Parigi, 3 novembre 1871 (per. il 7).
Col dispaccio di serie politica n. 350 in data del 31 ottobre ultimo (1), l'E. V. espresse il desiderio d'essere informata senza dilazione se il Governo Francese preferisca procedere alla firma di un protocollo separato colla Turchia per regolare la questione relativa ai limiti della giurisdizione consolare nel territorio di Tripqli di Barberia, oppure se valendosi delle buone disposizioni dell'Inghilterra esso intenda firmare insieme a quella Potenza ed all'Italia un protocollo a quattro.
Nella conversazione che ho quest'oggi avuta col Signor di Remusat, io ho pregato il Ministro degli Affari Esteri de~la Repubblica di mettermi in grado di far conoscere prontamente le sue intenzioni su ciò all'E. V.
Egli mi rispose che in presenza del firmano che fu reso dal Governo Turco relativamente alla Reggenza di Tunisi malgrado alle rimostranze fatte dalla Francia e drull'Italia, ed il quale tende a far ridivenire la Tunisia più Turca di quanto era, non gli pareva opportuno di mostrarsi troppo arrendevole verso il Governo Turco coll'affrettare la firma del protocollo concernente la giurisdizione Consolare a Tripoli, che dà soddisfazione ai desideri della Turchia. Il Signor di Remusat, non tenendosi pago d~lle dichiarazioni dell'Incaricato d'affari della Sublime Porta secondo le quali il nuovo firmano nulla muterebbe nello statu quo della Tunisia, desidera per lo meno d'aver letto il testo stesso del firmano, prima di firmare ~l protocollo per Tripoli. Egli tuttavia, se anche vuoi mostrare un po' di malumore, non modifica perciò in nessuna guisa le prime sue intenzioni circa il regolamento della questione di giurisdizione a Tripoli e mi ripeté espressamente che avendo la Turchia rinunziato al preambolo del protocollo di Londra egli preferirà firmare insieme col Governo del Re e col Governo Britannico un protocollo a quattro.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO AD ATENE, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 21. Atene, 4 novembre 1871 (per. il 10).
Di ritorno dal mio congedo non ebbi l'occasione di vedere che per un istante il Ministro degli Affari Esteri, col quale scambiai poche frasi di complimenti. In questo brevissimo colloquio egli si astenne dal farmi la benché menoma allusione sulla questione d€jl Laurium; siccome sembravami che al punto in cui sta questo negozio l'iniziativa ad intrattenermene avrebbe dovuto essere presa dal Signor Coumoundouros, reputai eziandio miglior partito non uscire da quella riserva che ci è imposta in aspettativa di una risposta alla proposizione che d'accordo colla Francia facemmo al Gabinetto Ellenico.
Dalil.e conversazioni avute con qualcuno dei miei colleghi credo dover ritenere ch'e non possiamo farci illusione sulla risposta che a questo riguardo ci verrà fatta dal Ministero Ellenico; sembra egli deciso a declinare la proposta da noi fatta di deferire la decisione di questa controversia ad una commissione di arbitri l) perché egli riguarderebbe come compromessa la propria autorità rimettendosene al giudizio di un tribunale d'arbitri mentre si crede in diritto il solo chiamato a risolverla; 2) perché prevede la condanna della condotta e dell'opinione da esso sin qui sostenuta; 3) perché non potrebbe a suo avviso aver fiducia nell'influenza che è chiamato ad esercitare il Presidente di essa, trovandosi questi nella persona del Rappresentante britannico, l'Agente di quella Potenza che nel corso di quelle negoziazioni ebbe per istruzione di appoggiare in modo officioso le rimostranze che l'Italia e la Francia d'accordo fecero pervenire al Signor Coumoundouros. Non è del resto .ovvio l'osservare che in presenza della precarietà del Gabinetto attuale, contro il quale si agitano e si riuniscono gli sforzi dei differenti partiti che l'osteggiano, voglia egli e possa assumere la responsabilità di far entrare in una nuova fase una controversia di tal natura.
La s01luzione che avrà in questi giorni la questione della scelta del Presidente alla Camera elettiva ci fornirà forse l'occasione di additarci la via che ci converrà seguire; sembrano a tal riguardo in perfetto accordo il Ministero ed i varii partiti che gli fanno opposizione: tutti sono decisi di fare della scelta del Presidente oggetto di questione politica; e non è inverosimile che l'attuale Gabinetto vada in ciò ad essere ~l soccombente.
In aspettativa delle istruzioni che Le piacerà Signor Ministro, impartirmi riguardo all'azione che dovrò seguire in questa controversia, ho l'onore di offrirLe...
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 124. Belgrado, 4 novembre 1871 (per. il 15).
Ricercando nell'ultimo mio dispaccio (l) le ragioni per le quali alla Serbia parve conveniente di proclamare che la politica seguita negli ultimi anni dovea essere mutata, considerai ciò solamente che pareami risguardare gli interessi generali del paese. V'è un'altra riflessione che ora mi si affaccia e che forse più d'ogni altra pesò nel consiglio dei Reggenti: ed a questo proposito conviene osservare che il ministero, solo responsabile secondo lo Statuto, sembra non abbia avuto cognizione precedente della risoluzione repentina di condurre il Principe Milano ad ossequiare l'Imperatore di Russia. QuelJ.a riflessione m'è suggerita dai pericoli veri od immaginari che minacciano la dinastia regnante in seguito della sentenza di non farsi luogo a condanna, toccata al Karagiorgeovic; i progressi fatti dalla Serbia celano a mala pena quei pericoli; la doc~lità e sommessione del contadino al governo di fatto assicura un facile esito alle cospirazioni e la reluttanza ad ammettere un'opposizione legale e legittima, la rabbia colla quale ogni tentativo di opposizione è soffocato nel seno stesso dell'assemblea, costringono i ma;lcontenti alla cospirazione segreta. I malcontenti sono di due categorie: i partigiani della dinastia Karagiorgevic nascondonsi gelosamente ed appena a rarissimi intervalli giunge a noi una parola od una informazione vaga secondo le quali in alcune città del Principato la fazione avrebbe un germe di vitalità: gli altri malcontenti più numerosi sono i fautori dell'Omladina che, a detto loro, furono ingannati e traditi dal Ristic. L'arte del Governo fu quelìa di offrire impieghi (qui come in Grecia e per motivi analoghi la distribuzione degli impieghi è di massima rilevanza) ai capi di quel partito: fecesi entrare il Matic a;l ministero ed i rinnegati,
com'è solito, vollero far prova di zelo: ciò andò bene finchè eranvi funzioni e salari disponibili, e di più alla riuscita del disegno voleasi che non si trovasse alcuno disposto a succedere ai capi corrotti nella direzione del~a società. Oggi l'Omladina si risveglia : essa è incerta sulla scelta di un programma definito e pratico: essa correrà forse verso l'estremo radicalismo; alcuni suoi membri scrivono nel Radnik, e posti su questa via s'incontrano, com'ebbi a notare, colle fazioni le più radicali e sovversive dell'Europa.
A V. E. è noto che il colonnello Milivoi Blasnavatz fu sempre un oppositore dell'ascendente Russo: ma le sorti sue sono legate a quelle della dinastia e, forse, vedendo dall'estero minacciata non solo l'egemonia ma l'autonomia serba, come mi provai a dimostrarlo nell'ultimo dispaccio, e nell'interno vedendo apparire germi di opposizione i quali malgrado le apparenze contrarie hanno alcuna probabilità di buon successo in mezzo ad un popolo più ch'ogni altro avido di novità, dovette risolversi a tirare profitto dell'odio che di recente nacque verso l'Ungheria, ed a rassodare la dinastia mostrandola legata ad un potentato che nelle basse classi in Oriente ha pur sempre conservato il prestigio religioso.
Non si avranno spiegazioni su ciò che avvenne fino al ritorno dei Reggenti dalla Scuptcina; sarà difficile il chiederle queste spiegazioni, così recente e così decisa era la ripugnanza che i Reggenti mostravano nei loro discorsi ad avvicinarsi alla Russia.
Ritorniamo agli anni che precedettero la guerra di Crimea: il popolo che in Oriente si assumeva e nel quale le potenze occidentali compiacevansi di scorgere l'elemento che avrebbe cominciata l'opera di un organamento della penisola balcanica colle sole forze nazionali, morali e militari, si dichiara col fatto incapace a compiere la sua missione ed in modo inaspettato sembra volere legare i suoi interessi a quelli di quel Potentato stesso al quale la pace di Parigi intendea impedire J'ingerimento negli affari orientali.
Se questi eventi fossero accaduti in una contrada Europea, sarei in grado di scrivere a V. E. ragguagli più precisi e sia nel giornalismo sia nelle conversazioni private vi sarebbe mezzo d'indagare prontamente e sicuramente il suo significato. Per ora debbo restringermi a supposizioni, il valore delle quali corrisponde a quello che può avere la conoscenza mia delle condizioni della Serbia.
A Roma ed a Costantinopoli debbesi giudicare del modo nel quale questo avvenimento è apprezzato dal Governo Ottomano. Io ne sarei meravigliato se ne sorgessero difficoltà: la Porta credesi probabilmente più minacciata che dalla Russia dalle aspirazioni degli Slavi dell'Impero Austro-Ungarico, e la Russia sarà probabilmente richiesta di agire a Costantinopoli in favore della Serbia e lo farà nei limiti fissati dalla tradizionale sua politica. Chi sa che il pericolo di vedere l'egemonia Croata sostituirsi alla Serba, e quello che in momenti favorevoli dalla Croazia si operi un colpo di mano sulla Bosnia, non serva a risvegliare nella Russia il desiderio di consigliare alla Porta alcune fra le concessioni tanto desiderate in Serbia?
Sarà prima che a Belgrado noto a Roma il modo di vedere del gabinetto Austro-Ungarico a questo rispetto. Si risentirà vivamente in ogni caso la differenza nella condotta tenutasi quando l'Imperatore Francesco Giuseppe passava a Basiasch e vi era ossequiato dal colonnello Blasnavatz.
Inoltre si rimpiangeranno forse le concessioni e la deferenza, talvolta ai miei occhi eccessiva, fatte per interesse politico alla Serbia il frutto delle quali fu lungi dall'essere soddisfacente.
(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 179.
IL CONSOLE A GINEVRA, GAMBINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
L. RISERVATA S. N. Ginevra, 4 novembre 1871 (per. il 7).
Depuis la dernière insurrection de Paris une foule de personnes compromises, soit à Paris méme, soit dans les Départements, sont venues chercher un refuge à Genève.
Il semble que récemment, suivant un mot d'ordre, ou un plan concerté, beaucoup de ces personnages dangereux, se dirigent vers l'Italie en prenant la voie du Simplon; ce qu'elles ne pourraient faire en passant par le Mont Cenis, où la surveillance est très rigoureuse.
J'ai cru devoir attirer l'attention de V. E. sur ce passage qui mérite d'étre surveillé surtout en présence du Congrès International des ouvriers convoqué à Rome.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 262. Tunisi, 4 novembre 1871 (per. il 9).
Il Generale Kherredin ch'era aspettato da Costantinopoli sin dai primi della scadente settimana, si è fermato in Malta per purgarvi la quarantena, onde non sarà qui che verso i 20 dell'andante mese.
Intanto è stato da me il Signor di Botmiliau per comunicarmi un nuovo dispaccio pervenutogli da Versailles, nel quale è detto che nel Firmano di cui è latore il prefato Generale, il territorio componente la Tunisia veniva dichiarato parte integrante dell'Impero ottomano, dichiarazione questa che intaccando lo statu quo della Reggenza non poteva essere gradita dalla Francia, e siccome insieme coll'Italia erano dell'istesso avviso l'Inghilterra e l'Austria venivagli inculcato d'intendersi coi Rappresentanti di quelle Potenze per fare, ciascuno dalla sua parte, le stesse riserve a,l Governo tunisino. Mi aggiunse pure che il Console inglese cui ne aveva diggià parlato, si era destramente astenuto dal prenderne impegno, nè poteva essere altrimenti conoscendosi oramai la parte da lui presa nel maneggio di questa faccenda. In quanto a me io gli osservai che a questo riguardo mi ero già spiegato col Primo Ministro di S. A. in termini abbastanza espliciti, ma che nullameno avendo occasione di vederlo nuovamente non mi sarei peritato di ritornare sull'istesso argomento.
Questa volta il Generale Sidi Mustafa fu meco più espansivo, e non mi nascose che continue essendo da una parte le questioni colla Francia per la delimitazione delle frontiere, e facendosi daLl'altra più insistenti, per non dire minacciose le pressioni esercitate in ultimo dalla Porta, il Bey avea creduto in questo modo di garantire il suo territorio ed assicurare a un tempo il pieno esercizio de' suoi diritti sovrani; prendendo però la conversazione un tuono più confidenziale ed amichevole riuscii per altro a capacitarlo dei perico!li che sovrastavano alla dinastia regnante ed alla autonomia della Reggenza dalla ratificazione di quel Firmano di cui mi si era taciuto il punto principale, in vista di che H Ministro mi promise che anzitutto il Firmano sarebbe stato sottoposto all'appreziazione delle grandi Potenze.
Io non saprei affermare che il Generale Sidi Mustafa mantenga la sua promessa; in questo caso però coll'aprirsi la via a delle negoziazioni diplomatiche si semplificherebbe di gran lunga ~la questione, ed il Console di Francia cui ne resi edotto, se ne addimostrò piuttosto soddisfatto.
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4009. Pietroburgo, 5 novembre 1871, ore 1,35 (per. ore 0,25 del 6).
L'ambassadeur de France me dit avoir été chargé par télégraphe de déclarer ici que son Gouvernement considérerait comme non avenues les restrictions apportées par le firman à l'autonomie politique de Tunis. La méme démarche aurait été faite à Constantinople. M. de Westmann aurait, en apparence du moins, accueilli ces déclarations avec sympathie.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 264. Tunisi, 5 novembre 1871 (per. il 9).
Ieri sera ho ricevuto finalmente la J.ettera promessami dal Bey in ordine
alle modalità da seguirsi nel consaputo arbitraggio conformemente alle pro
poste di S. E. il Cavalier Vigliani, ed essendovi stato il tempo di farne la
traduzione, sono lieto di poterne trasmettere con questo stesso vapore il pre
ciso tenore.
Contenendo questa lettera le medesime assicurazioni da me avanzate nel
precedente rapporto (1), cui per il resto mi riferisco...
ALLEGATO
MUSTAFÀ A PINNA
(traduzione)
N. 2016. Tunisi, 4 novembre 1871.
Lode a Dio!
S. A. il Mio Magnifico Signore avendo preso conoscenza così del foglio a me diretto dal Cavalier Vigliani come di quello diretto dal medesimo a S. E. il Ministro degli Affari Esteri di cui la S. V. Illustrissima ci ha comunicato il tenore ha convenuto che la riunione degli arbitri abbia luogo in Firenze sotto la presidenza del Cavalier Vigliani e che in seguito i quattro arbitri si rechino in Tunisi per compiervi quegli incumbenti ed atti preparatori che saranno del caso per ritornare poscia in Firenze onde procedere alla definizione della vertenza secondo la procedura italiana e sotto la presidenza sempre del Cavalier Vigliani.
La r;>refata A. S. ha pure aderito al modo di giudicare in caso di divergenza di opinione fra i quattro arbitri che si troveranno in Tunisi per compiervi gli atti preparatori di cui è cenno più sopra, come altresì su quello che concerne l'esecuzione della Sentenza che sarà pronunziata.
Riferiamo ciò alla S. V. Illustrissima perché possa farne analoga partecipazione all'Eccelso di Lei Governo. Dimori sempre sotto la custodia di Dio.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 900. Berlino, 6 novembre 1871 (per. il 10).
L'épiscopat allemand, en suite des conférences de Fulda, avait fait parvenir à l'Empereur une espèce de monitoire pour se plaindre de l'oppression qui pesait sur les Catholiques en Prusse. Cette requéte datée du 13 Septembre récriminait notamment contre quelques mesures adoptées par le Ministère des Cultes, entre autres en ce qui concerne les écoll.es, mesures dont j'ai déjà rendu compte. Elles étaient envisagées comme une atteinte aux croyances des catholiques.
L'Empereur a répondu le 18 Octobre par une lettre adressée à l'archevéque de Cologne. Après une réfutation des griefs articulés par les évéques,
S. M. laisse entendre qu'Elle avait espéré que l'opposition qui s'était montrée dans certaines régions de l'Eglise Catholique, à 1'égard du mouvement national opéré sous l'égide de la Prusse, aurait fait piace à des meilleurs sentiments, après la nouvelle organisation de l'Allemagne. Cet espoir avait été corroboré par la teneur d'une lettre autographe du Pape à S. M. après le rétablissement de l'Empire. L'Empereur déclare qu'aucunes désillusions à cet égard le détourneront de veiller à ce que chaque confession en Prusse conserve l'entière mesure de liberté conciliable avec les droits d'autrui et avec l'égalité de tous devant la loi.
Le fait de cette correspondance m'a été confirmé par le Secrétaire d'Etat. n m'assurait cependant que le langage de son Souverain quelque ferme qu'il fut, n'était pas sorti des limites de la modération. Il m'a répété à cette occasion que les instigateurs de l'agitation représentée au Parlement dans la fraction Catholique du centre, faisaient fausse route et partant nuisaient beaucoup aux intérets dont ils se constituaient les champions.
n m'a aussi parlé de l'allocution prononcée par Sa Sainteté au dernier Consistoire. Sa première impression avait été très défavorable, parce qu'il semblait croire que le passage où le Pape se plaint de ce que • quelque part • des Ministres protègent meme publiquement les nouveaux sectaires, était aussi à l'adresse directe du Cabinet de Berlin. M. de Thile disait meme que l'allocution faciliterait le transfert du Comte Brassier à Rome. Mais dans un second entretien que j'ai eu avec S. E., elle m'a déclaré avoir constaté que le passage dont il s'agit s'appliquait à la Bavière.
Quant au transfert de la Légation Impériale accréditée auprès de Notre Auguste Souverain, elle s'opérerait quand S. M. aurait établi sa résidence dans la nouvelle Capitale. Aucune allusion n'a été faite de la part du Secrétaire d'Etat si alors on confierait à une seule personne la double mission qui existe encore aujourd'hui auprès des deux autorités, l'une temporelle, rautre Spirituelle.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 901. Berlino, 6 novembre 1871 (per. il 10).
Quelques journaux en Italie ont reproduit du Télégra:ph un avis annonçant qu'un Envoyé du St. Siège avait été reçu en audience secrète par l'Empereur Guillaume. Sa mission avait pour objet de s'informer si le Cabinet de Berlin aurait quelque objection à ce qu'un conclave se réunit hors de Rome dans une ville quelconque, en France par exemple. Cet Envoyé aurait reçu une réponse évasive et serait reparti avec une lettre de S. M. exprimant ses sympathies pour le Pape. Ce qui a pu donner lieu à ces suppositions c'est qu'elles ont coincidé avec la présence à Berlin du Cardinal de Hohenlohe qui vient de temps à autre visiter ses parents. n est pariaitement exact qu'il a eu une audience de l'Empereur comme tout personnage de distinction. A-t-il eu en effet une mission quelconque? Le Secrétaire d'Etat ne pouvait l'admettre.
H me racontait à ce propos qu'il y a quelques années, lorsqu'il représentait la Prusse à Rome, le Pape lui avait dit à lui M. de Thile, en démentant le bruit qui s'était répandu que Monseigneur Hohenlohe, Eveque alors de je ne sais
plus quel Diocèse, allait etre préconisé pour le Siège Archi-Episcopal de Cologne: • È un santo... ma! • et ce ma accompagné d'un geste laissant comprendre que l'intelligence de ce membre du Sacré Collège n'était pas à la hauteur de ses vertus chrétiennes.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN
D. 352. Roma, 8 novembre 1871.
Il Marchese di Sayve venne jeri da Firenze a farmi per parte del Signor Rémusat una comunicazione di cui mi pare opportuno ch'Ella abbia notizia.
L'Incaricato d'Affari di Francia mi disse che le Potenze cattoliche, e fra esse specialmente la Francia, si preoccupano assai delle voci che corrono sulla nuova legge circa le corporazioni religiose che sarebbe proposta dal Ministero italiano al Parlamento. Parrebbe al Conte di Rémusat sommamente desiderabile che questo progetto di legge fosse informato a quello spirito di moderazione che la presenza del Santo Padre a Roma richiede, e che perciò non solo si mantenessero intatti gli stabilimenti religiosi esteri esistenti in Roma, ma che si lasciassero del pari sussistere le case generalizie, le quali sembrano necessarie all'esercizio dell'Autorità spirituale del Pontefice. Se ciò non avvenisse sarebbe a temersi che il Papa si appigliasse al grave partito di lasciare Roma, la qual cosa potrebbe trar seco gravi imbarazzi per l'Italia e pel resto d'Europa.
Risposi al Marchese di Sayve che il Consiglio dei Ministri stava da parecchi giorni occupandosi di codesta questione, senza però aver preso finora intorno ad essa alcuna decisiva deliberazione. È innegabile la necessità di sciogJliere Roma ed il suo territorio da quei vincoli di mano morta che recarono tanto danno all'igiene ed alla prosperità di questa parte del territorio italiano. Tuttavia né i miei Colleghi né io disconosciamo l'opportunità di procedere con saggi temperamenti nell'estendere a Roma ed alle sedi suburbicarie le leggi italiane su questo argomento. Per quanto spetta gli stabilimenti esteri io non avevo difficoltà a ripetere quanto avevo già detto altra volta, che cioè il Governo avrebbe posto la massima cura nel rispettare i diritti dei Governi esteri. Il Consiglio dei Ministri pare fin d'ora propenso a fare altresì un'eccezione a favore delle case generalizie. Però io debbo a questo riguardo il.imitarmi a manifestare le intenzioni mie e quelle dei miei Colleghi, non potendo naturalmente prendere alcun impegno circa il voto del Parlamento.
L'Incaricato di Francia ammise la necessità di far cessare la mano morta, scomparsa ormai dalle ~egislazioni di quasi tutti gli Stati. Tuttavia egli credette dover insistere affinché le Case Generalizie non solo potessero continuare ad esistere come persona morale, ma fossero altresì eccettuate dall'obbligo di operare la conversione dei loro fondi immobili in rendita mobiliare. Su questo punto altresì io ho dovuto !imitarmi a rispondere che avrei esposto ai miei Colleghi le sue osservazioni.
Nel corso della conversazione io ebbi occasione di manifestare di nuovo il vivo desiderio del Governo del Re che il Papa continui a rimanere al Vaticano. La sua presenza a Roma, diss'io, contribuisce efficacemente alla tutela degli interessi spirituali: e quella stessa trasformazione che è così vivamente desiderata dai romani, si farà in modo molto più graduale e temperato, se il Papa non ascolta gli improvvidi consigli di chi vorrebbe costringerlo ad andare ramingo per l'Europa ed a bandir la crociata contro il suo popolo e la sua patria. Per quanto riguarda specialmente le corporazioni religiose, è noto che una riforma fu spesso vivamente desiderata da ottimi ecclesiastici per fini puramente religiosi. Una legge temperatissima che agevolasse alla Chiesa stessa il modo di liberarsi di quegli elementi esuberanti che si sono introdotti negli ordini religiosi, non dovrebbe spaventare il Santo Padre, né costringerlo ad abbandonare il Vaticano. Nel rimanente del Regno la soppressione della personalità civHe non impedì che le Corporazioni religiose continuassero ad esistere sotto forma di libere associazioni. Il Governo non solo non vieterà che la stessa cosa avvenga a Roma, ma si sforzerà eziandio di prevenire quelle difficoltà e quegli inconvenienti che talora si verificarono per la applicazione delle leggi del 1866 e 1867. La Francia, la Spagna, il Belgio procedettero a codeste riforme senza perdere il loro carattere di paesi eminentemente cattolici: l'Italia non ha fatto che seguire l'esempio altrui, ed il Governo spera che anche a Roma questa riforma possa essere con acconci temperamenti introdotta senza scapito degli interessi religiosi e con sommo beneficio della società civile.
La prego di esprimersi in questo senso col Conte di Rémusat qualora S. E. le parli di questo argomento.
IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 158. Berna, 8 novembre 1871 (per. il 14).
L'Assemblea Federale si è aperta Lunedì per discutere la revisione della Costituzione Federale. Le due Camere o Consigli onde si compone quest'Assemblea si sono riunite senza rumore come per le loro tornate ordinarie. Ciascuna di esse attenderà, nel periodo consacrato alla revisione, anche alle attribuzioni che le sono assegnate per la Sessione d'inverno con questa sola differenza, che il Consiglio degli Stati si occuperà dapprima esclusivamente delle attribuzioni ordinarie, mentre il Consiglio Nazionale discuterà a sua volta in primo luogo la riforma Costituzionale, e viceversa.
Fino ad ora gli animi, tanto nel paese, quanto nell'Assemblea federale sono cc~lmi, quantunque le riforme proposte non vadano egualmente a versi né di tutti gli Stati federati, né di tutti i partiti, e possa la riforma intera correr pericolo di non essere ammessa, quando il paese, Cantoni e nazione sian chiamati a darvi la loro sanzione.
Alla fine dell'ultima Sessione, ciò di cui in altro mio Rapporto mi feci debito d'informare l'E. V., in previsione dell'opposizione che il vecchio Sonderbund fosse per fare aHe riforme più desiderabili, i deputati liberali, quelli cioè che stanno di mezzo tra gli estremi del partito conservatore e del partito radicale, si riunirono al fine di assicurare nell'imminente riforma i mutamenti che da ogni parte si ravvisano opportuni. Il risultato di questa riunione parve favorevole al loro intento, non per tanto l'attitudine dei clericali, e il fatto della diffalta di Lucerna che è passata al clericalismo, non lasciano i liberali sicuri, tantomeno che per simile fatto nella Camera de~li Stati i due partiti si bilanciano, sicché dipende da un voto l'approvazione o il riggettamento delle migliori proposte. Il paese del rimanente non sembra reclamare le innovazioni che gli sono pur presentate dai migliori spiriti; e se si pon mente all'esito in gran parte negativo che ebbe già la riforma presentata nel 1866, non recherà meraviglia che anche in quest'anno, se non tutti i mutamenti proposti, la parte maggiore e più importante di essi fosse respinta, sia dal paese, sia dai Cantoni. La Svizzera è essenzialmente federale. Il radicalismo stesso dei Cantoni francesi che avanza quello degli altri Cantoni, quando si tratta di riforme interne rifugge dalle novità più caldeggiate dai radicali Tedeschi, quando si tratta del campo federale, dove le popolazioni di razza francese temono di essere sopraffatte dallo spirito unificatore ed invadente dei Cantoni tedeschi.
I Cantoni di confessione cattolica si collegano a questo riguardo coi radicali e conservatori francesi, e bilanciano per certa guisa le tendenze protestanti che nelle quistioni dove non si tratta di confessione si trova ordinariamente al servizio dei Novatori più arditi.
In questo stato di cose non è agevole il poter formare un prognostico adeguato sull'avvenire del lavoro, che sarà per essere deliberato nella Assemblea federale. Molte delle riforme proposte sarebbero di una grande utilità per l'Italia, quelle soprattutto che concernono i diritti garantiti, in tutti indistintamente i Cantoni, agli Svizzeri poiché nell'accordare a questi simili diritti si accordano nello stesso tempo agli Italiani, cui è assicurato da1l nostro trattato di stabilimento in ciascun Cantone un trattamento uguale a quello che si avranno i cittadini degli altri Cantoni. I Regnicoli che giungono annualmente in copia in tutte le parti della Svizzera per applicarvisi a diversi esercizi, mestieri e professioni, profitterebbero grandemente da queste riforme, che consolidando il loro stabilimento, darebbero ad essi ansa di trarre dal ·loro ingegno naturale e dalle loro diverse attitudini lucri che loro contrasterebbero invano i nazionali e gli altri stranieri.
Io ho fatto quanto mi è stato possibile perché i mutamenti proposti a questo riguardo fossero temperati, e perciò accettabili dalla maggioranza della nazione e dei Cantoni, ma temo che le proposte liberali che già fece i1 Consiglio Federale a questo fine non vengano esagerate e non corrano perciò rischio di non essere ammesse dal paese.
Importanti sono pure per noi le riforme che tendono a regolare con una legge civile comune i matrimonii, ed a prosciogliere in tutti i Cantoni, come nella Confederazione, la Chiesa dallo Stato: ma temo che l'ultima proposta non comprometta la prima, e che i partigiani troppo recisi della separazione non ci privino dei vantaggi che per noi risulterebbero dalla legislazione dvile del matrimonio.
Finora le discussioni che hanno luogo nel Consiglio Nazionale non hanno offerto nessun incidente che meriti di essere particolarmente riferito all'E. V. Io spedirò del rimanente sotto fascia a codesto Ministero il Bollettino delle discussioni che per questo oggetto è stampato d'ordine del Consiglio Federale. Non contiene che un sunto brevissimo dei discorsi pronunciati, ma compilato in guisa da renderne lo spirito e l'effetto. Per ciò che può riguardare la parte, dirò così sotterranea dell'azione dei partiti, o d'altro, io mi farò mano mano debito d'informarne adeguatamente l'E. V.
IL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 320. Bucarest, 8 novembre 1871 (per. il 18).
La Camera dopo 11 giorni di vacanze forzate si è finalmente ier l'altro trovata in numero ed ha potuto procedere alla nomina di due segretari e della commissione incaricata di redigere la risposta al discorso del Trono. Essa riuscì composta di deputati Governamentali e dell'estrema destra.
Appena compiute queste elezioni a richiesta del Ministro degli Affari Esteri la Camera tenne per due giorni continui seduta secreta. Il Signor CostaForu cominciò dal leggere una lunghissima relazione sulla condotta del Ministero durante il tempo di vacanza dei deputati, quindi d'accordo col Ministro dei lavori pubblici depose sul banco della presidenza tutti i documenti diplomatici riguardanti la questione Strousberg come pure tutte le proposte presentate al Governo Rumeno per 1a costruzione del resto della rete ferroviaria, per la conversione delle obbligazioni presenti ed infine la proposta fatta da certo Hartel che si dice rappresentante del Comitato di Breslau e perciò di 150 milioni nominali in obbligazioni.
Lasciando da parte tutte le altre che quali più quali menu non ponevano nessun fine alla vertenza fra la Rumania ed i detentori e che potevano essere rifiutate od accettate dal Governo Rumeno secondo il suo beneplacito credo pregio dell'opera dire alcune parole sulla proposta Hartel annunziata nel qui unito brano del Journal de Bukarest la quale è basata sulla legge votata dalle Camere nella passata sessione di cui i Ministri fecero gran pompa dicendo di essere sul punto di aggiustarsi direttamente coi detentori che meno indocili del Governo Germanico offrivano condizioni accettabili.
Fatta da un uomo senza alcun peso, che partito per Berlino alcuni mesi or sono al fin di ottenere il pagamento di alcune miglliaia di franchi dovutegli da Strousberg al cui servizio era stato durante un paio d'anni, ritornava a Bukarest spacciandosi qual rappresentante del Comitato di Breslau senza aver però alcun titolo ufficiale per sostenere le sue asserzioni, questa proposizione è fortemente osteggiata dalla Russia la quale vede in essa una manovra di Strousberg e che a suo dire non può tendere ad altro che a nuove complicazioni a danno dei detentori. Ed infatti qltre molte altre considerazioni il capitale risultante dall'emissione delle obbligazioni sul prodotto della riduzione del 2 e mezzo per cento dell'interesse garantito dalla Rumania, non può essere sufficiente per compiere la gran massa dei lavori ancora da terminarsi tenendo principa:lmente conto degli ostacoli di ogni sorta che sempre incontra un intraprenditore qualunque di lavori in questo paese per parte delle persone destinate a controllarli alle quali non son mai sufficienti i loro stipendi personali.
Il Gabinetto Principesco vedendo questa opposizione per parte del Governo Germanico grida contro il poco spirito di conciliazione che quel)o mostra verso la Rumania, ma nello stesso tempo teme quasi che la proposta Hartel riesca poichè certo dell'impunità cui egli è avvezzo in tutte le questioni avute colle Potenze Estere trova molto più conveniente per il paese di non pagare se non dietro evaluazione fatta da una Commissione esclusivamente Rumena, i lavori già compiuti rimanendo libero da ogni ulteriore engagement. Lo stesso Presidente del Consiglio giorni sono sollevandosi contro l'opinione da me emessa in privato convegno che la Romania doveva ben ringraziare la sua stella se, come esso Signor Catargi me lo assicurava, il compromesso proposto da Hartel riusciva terminando così una questione che poteva esser cagione di gravi danni per il paese, risposemi che al paese avrebbe convenuto ben più se ~a legge del 17 Giugno avesse la sua esecuzione solamente nella parte in cui tratta dell'evaluazione e relativo pagamento dei lavori fatti da Strousberg rompendo del tutto una conversazione [sic] sì gravosa alle finanze Rumene. A simili parole lo guardai meravigJ.iato ed egli si affrettò ad aggiungermi:
• Soyez pourtant siìr que nous ferons notre possible pour tacher de tout arranger d'une façon satisfaisante et que toute proposition acceptable nous venant d es détenteurs sera discutée sérieusement et soutenue par le Ministère •.
Comunque sia per me sta che la proposta Hartel fatta senza solide garanzie non condurrà a nulla.
L'evaluazione dei lavori compiuti da Strousberg la quale era già stata fatta dall'Ingegnere Donici in 150 milioni al dire di persone altolocate e che faranno parte della Commissione verificatrice non potrà elevarsi a più di 45 o 50 milioni di franchi. Una simile somma, se pur anche questa non si troverà modo di non pagare, sarà quanto otterranno i detentori sui 245 milioni da essi sborsati.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN
D. 353. Roma, 9 novembre 1871.
Troverà qui unito copia del rapporto (l) col quale la Legazione di S. M. a Costantinopoli mi ha trasmesso la versione in lingua francese de;l firmano consegnato al Generale tunisino Khereddin. Da quel rapporto V. S. potrà scorgere come quella versione confrontata col testo originale in lingua araba sia stata riconosciuta imperfetta in alcuni punti essenziali.
Noi annettiamo molta importanza a sapere quale impressione abbia prodotto a Parigi il Firmano in discorso, e se la Francia intenda muovere nuovi passi a Costantinopoli ed a Tunisi nell'interesse della conservazione dello statu qua dei rapporti esistenti fra la Tunisia ed i Governi stranieri. Nel parlare di questo affare con il Signor de Rémusat, io desidero che V. S. si esprima in guisa da fargli comprendere che noi abbiamo mosso la stessa domanda a Londra, giacché è nostro intento di contribuire per quanto sta in noi al mantenimento di un accordo completo sulla condotta e nel linguaggio dei tre Governi relativamente agli affari generali della Tunisia.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA
D. 114. Roma, 9 novembre 1871.
Bench'io non ebbi sott'occhio U testo del firmano consegnato in Costantinopoli al Generale Khereddin, ho stimato inutile trattenere V. S. sopra questo argomento di cui il Governo italiano non cessò mai di preoccuparsi vivamente.
Il linguaggio che Ella tenne a Sidi Mustapha Khasnadar corrispose esattamente al nostro modo di vedere e d'altronde se un'azione diplomatica poteva avere qualche possibilità di successo, i passi erano da farsi piuttosto alla Porta che non al Bardo.
Ora però che ~l firmano è stato concesso, la quistione entra in una seconda fase, la quale rende necessarie nuove preventive intelligenze fra i Gabinetti interessati, e noi ci adoperiamo in questo momento ad affrettarle, per mantenere possibilmente un'uniformità di linguaggio e di contegno fra i rappresentanti dell'Italia, della Francia e dell'Inghilterra in Tunisi. Sin tanto che siffatti preventivi accordi non avranno potuto esser presi, non conviene che V. S. si discosti dalle istruzioni genera;li che già possiede. Se alcuna formale dichiarazione dovrà farsi al Bardo, io mi affretterò a farle pervenire quelle ulteriori
istruzioni che a tal fine le sarebbero necessarie. Intanto V. S. potrà prendere norma dai miei dispacci a Costantinopoli in data del 22 e 31 ottobre (l) per regolare il proprio linguaggio con il Bey ed i suoi Ministri. Le sarà ugualmente utile di aver cognizione d~l firmano quale verrà comunicato alla Legazione italiana a Costantinopoli. Conseguentemente, io ne trasmetto qui unito una copia a V. S.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4015. Vienna, 9 novembre 1871, ore 16,27 (per. ore 19,10).
Démission baron de Beust accordées. Il est nommé ambassadeur à Londre3. Andrassy a accepté ministère des affaires étrangères. Lonyay aura très probablement présidence du ministère hongrois. Crise cabinet Cisleytan continue. J'ai été chez Beust et je lui ai exprimé mes regrets son éloignement tant personnels que comme ministre d'Italie. Il y a paru très-sensible. Il m'a dit que Andrassy lui avait donné assurance qu'il suivrait exactement meme ligne politique étrangère et qu'on pouvait y compter. Il m'a résumé ce qui s'est passé par le mot suivant aussi juste que fin, aussi difficile à expliquer que facile à comprendre. Situation reste grave car démission Beust est arrivée trop tard pour contenter ses ennemis et est pour tous symptòme d'un système de Gouvernement absolument personnel plein de danger.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 125. Belgrado, 9 novembre 1871 (per. il 15).
Sua Altezza, i Signori Reggenti ed i Signori Ministri giunsero ier l'altro da Kragujevatz e stamane ebbi col signor Ristié un colloquio del quale mi fo l'onore di rendere conto a V. E.
Fu questione del viaggio del Principe Milano a Livadia: il signor Ristié spontaneamente dissemi desiderare non fosse la visita fatta dal Principe di Serbia all'Imperatore di Russia altrimenti interpretata se non come un atto di cortesia, che non potea tralasciarsi dopo l'esempio dato dal Principe Carlo di Rumania. Soggiunse inoltre che la condotta politica della Serbia non sarebbe in nulla mutata: che doveansi porre sopra un migliore terreno le relazioni colla Russia ma che in pari tempo il Governo principesco non darà, non provo
cato, alcun motivo di dissentimento alla monarchia austro-ungarica verso la quale si manterrà una condotta strettamente corretta non pigliando alcuna parte negli affari interiori di quella.
Il signor Cristié fece parola al Gran Vizir del viaggio del Principe, e quello a nome del Sultano gl'inviò i migliori augurii pel suo viaggio: domandò se si desiderasse un firmano e rispostogli che lettere commendatizie ai governatori delle provincie ottomane in riva a.lle quali il Principe Milano transiterebbe sarebbero state sufficienti, ordinò che gli fossero resi gli onori dovutigli; ed in fatto, al suo passaggio, il Principe fu salutato dai cannoni delle fortezze turche.
Alla corte di Russia, il Principe fu cordialmente ricevuto; l'Imperatore si condusse con lui a mò di padre, così qui raccontano, e l'assicurò che la Russia non avea che una simpatia la più disinteressata verso la Serbia. Assistettero al convegno oltre al signor Blasnavatz, il generale Ignatieff ed il signor Cristié. Così riassumonsi le dichiarazioni ch'io volli il signor Reggente riconoscesse non furono da me domandate.
Non volli arrischiarmi a scrivere a V. E. qua;le fosse il mio definitivo giudizio intorno alle cagioni di un fatto che indica con quasi certezza un mutamento nella via politica che il Principato intende seguire, prima di avere avuto agio di vederlo confermato dal linguaggio dei personaggi che stanno a capo del Governo. M'ero, credo, assai approssimato alla realtà dei fatti.
Le relazioni coll'Austria-Ungheria dal principio dell'anno in poi andarono man mano sempre più raffreddandosi: non ne mancarono segni evidenti, come la condotta della Serbia nelle conferenze di Londra, la pubblicazione del Libro azzurro serbo e quella di libelli ingiuriosissimi all'Ungheria, il rifiuto di trattare con compagnie ungheresi per la costruzione di ferrovie ecc. Sopravvenne la sentenza dei tribunali ungheresi che dichiarava non farsi luogo, per mancanza di prove alla condanna del Karagiorgievié; essa fu sentita come un affronto e questo fu reso più grave dalla pubblicazione nella Riforma di Pest, gazzetta che ufficiosamente esprime il pensiero del conte Andrassy, e dalla gazzetta ufficiale di Zagabria, della protesta dello stesso Karagiorgievié. Sopraggiunsero i tentativi di mutare l'assetto dualista dell'Impero Austro-Ungarico in una federazione di Stati: e questa è, secondo la mia opinione, la più grave e la più decisiva fra !le ragioni per la quale la Serbia si risolvette ad un riavvicinamento alla Russia, che, viste le condizioni diverse dei due Stati, suona come una domanda di protezione.
In parecchi fra i miei passati dispacci riferii a V. E. che gli uomini politici della Serbia più che da ogni altro nemico vedeano minacciato il loro paese nella sua indipendenza futura e nell'egemonia alla quale tende presentemente, dai trasmutamenti che darebbero nell'Ungheria una condizione di maggiore indipendenza alla Croazia. Se la Boemia avesse ottenuto infine ciò che fu così presso ad afferrare, le provincie slave del Regno transleitano sarebbero ben presto giunte ad un medesimo risultato ed era noto alla Serbìa, com'è noto al Governo del Re, che negli accordi fra il partito militare e feudale di Vienna da una parte, ed il partito nazionale croato dall'altra, a questo era stato promesso che non si porrebbe ostacoli e si darebbe anzi la mano ad
una azione per la conquista della Croazia turca e della Bosnia: forse V. E. rammenterà ciò che a questo proposito io scrissi un anno fa all'incirca sopra i maneggi del generale Wagner a Zagabria. In questo caso la Serbia avrebbe almeno e necessariamente perduta ogni speranza di far trionfare la dubbia sua egemonia sopra le stesse provincie, e forse nel corso del tempo avrebbe perduto l'individualità sua politica a profitto di un'altra frazione del Jugo-Slavismo.
È mio intimo convincimento che se il ministero Hohenvart fosse caduto tre settimane prima, il Principe Milano non sarebbe stato condotto a ossequiare lo Czar a Livadia. Del rimanente è facile a comprendersi che il Governo serbo dovea finire per stancarsi di udire promesse e parole dall'Agente-Austro-Ungarico a Belgrado e di essere da Costantinopoli istruito che l'azione dell'Ambasciatore dello stesso Stato era impiegata a danno suo. Certamente è anche da ricercarsi nelle difficoltà interne della monarchia vicina, nell'incertezza, nella titubanza e nella duplicazione della sua politica la cagione del fatto del quale sto ragionando.
Altra potente cagione fu il bisogno di raffermare la dinastia col dare soddisfazione alle simpatie che propagaronsi nelle popolazioni a favore della Russia a misura che aumentò il rancore contro l'Austria-Ungheria. Ed in fatto prima che si leggesse alla Scuptcina il discorso di chiusura della Sessione, si rispose con degli Evviva allo Czar, al racconto che il Principe fece dell'accoglimento cortese e cordiale ricevuto a Livadia.
Di più, la monarchia vicina essendosi dimostrata o non volenterosa o non capace di far servire agli interessi del Principato le sue buone relazioni colla Porta, la Serbia vorrà provare se sarà più potente e più disinteressata la protezione della Russia, i consigli della quale paiono oggi pesare a Costantinopoli più che quelli di ogni altro Potentato.
Il colonnello Blasnavatz finalmente non volle che il Principe Milano del quale egli sarà per certo il più autorevole consigliere per un lungo spazio di tempo, al cominciare del suo regno trovasse il governo suo in fredde relazioni con uno stato col quale la storia della Serbia è strettamente legata, dal quale il paese e l'opinione genera.le del popolo aspetta protezione e soccorso: il Blasnavatz indietreggiò innanzi alla grave responsabilità che sopra di lui sarebbe ricaduta se per fatto suo il Principe non si trovasse nel corso del suo regno in grado di volgere a profitto della Serbia l'azione di uno Stato potente ed il quale in casi possibili avrà in mano sua la forza di assestare a suo modo le cose dell'Oriente.
Le relazioni personali del signor Kallay coi Signori Reggenti e specialmente col Signor Ristié sono gravemente turbate. Il Ristié rimprovera all'Agente Austro-Ungarico di avere imprudentemente discorso in modo ingiurioso a lui, a stessi funzionarii serbi: quando il Signor Reggente entrò in questo particolare io mi permisi di rispondergli che non potea crederci, come in fatto non vi credo, e come non può credervi alcuno che conosca la riserva inalterabile e la prudenza non mai smentita di quel mio collega; si tratta evidentemente di delazioni e di intrighi; ai quali lo stesso Signor Ristié non darebbe mente, se non giudicasse che ciò è utile ai suoi propositi.
La gravità della trasmutazione avvenuta non è da giudicarsi attuale: le relazioni estere del Principato continueranno poco su poco giù ad essere le stesse ed il danno che la Serbia può raccogliere dalla politica della quale l'ossequio aJlo Czar è l'iniziamento non potrà essere misurato finché le condizioni della Europa permetteranno che la questione d'Oriente sia oggetto pratico di discussioni, di conferenze o di guerre.
Non mancherò di scrivere a V. E. quanto sembrerammi su questo oggetto, l'importanza del quale pesa nell'insieme della questione orientale, degno di esserle riferito.
(l) Cfr. nn. 172 e 184.
l 8 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY
T. 1775. Roma, 10 novembre 1871, ore 14,30.
Le comte Brassier est encore à Florence et il m'a envoyé Wesdehlen me dire qu'il attend d'etre tout à fait guéri pour venir me faire une visite à Rome. Cela m'a fourni naturellement l'occasion de demander quand la légation de l'empire serait définitivement établie ici. Wesdehlen m'a répondu qu'Hs n'ont pas d'autres instructions que celles données par le prince Bismarck au mois de juin, c'est à dire d'attendre que le roi ait établi sa résidence à Rome. Je crois à propos de vous informer que S. M. viendra à Rome vers le 20 de ce mois pour y rester. Il fera quelquefois des courses ailleurs mais il n'aura pas d'autre résidence en ville que Rome.' Veuillez trouver un moyen convenable de faire savoir cela à Bismarck. Il serait à désirer que cette fois aussi l'Allemagne devançat en Italie l'Autriche et la France.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4018. Parigi, 10 novembre 1871, ore 19,20 (per. ore 21,56).
Rémusat qui vous a écrit avant-hier personnellement à ce sujet me charge d'annoncer à V. E. que M. de Goulard ci-devant plénipotentiaire à Francfort est nommé ministre de France en Italie, et de demander agrément du Gouvernement royal. On me dit le plus grand bien de M. Goulard. M. Picard est nommé à Bruxelles.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4020. Parigi, 10 novembre 1871, ore 19,25 (per. ore 3 dell' 11).
M. de Rémusat craint que installation du nouveau ministre de France à Rome et la réunion du parlement italien ne deviennent signe de départ du pape qu'il regretterait beaucoup dit-il mais qu'il ne pourrait empecher. Le nonce apostolique ou des membres influents du parti clérical paraissent lui avoir .annoncé cette éventualité.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1693. Parigi, 10 novembre 1871 (per. il 14).
S. E. il Signor di Rémusat mi ha annunziato nell'odierna udienza che il Signor Goulard è designato a succedere al Conte di Choiseul nelle funzioni d'Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario di Francia, presso il Governo di S. M. il Re. Dopo avermi fatto l'elogio delle qualità personali del :Signor de Goulard, il Ministro degli affari esteri della Repubblica mi pregò d'informare l'E. V. della sua scelta, affinché Ella voglia compiacersi a fargli conoscere se essa incontri il gradimento del R. Governo.
Il Signor de Goulard è da lungo tempo amico personale del Presidente della Repubblica e specialmente del Signor di Rémusat. Esso ha precedenti parlamentari sotto la monarchia di Luigi Filippo ed è anche stato membro, io credo, dell'Assemblea nazionale nel 1848. Sotto l'Impero egli rimase estraneo agli affari pubblici. Recentemente esso prese parte come Plenipotenziario alle negoziazioni pel trattato di pace franco-prussiano a Brusselle ed a Francoforte. Lo si ha generalmente in concetto di uomo molto assennato, moderato e conciliante (1).
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. CONFIDENZIALE 1695. Parigi, 10 novembre 1871 (per. il 14).
Nella conversazione che ho poc'anzi avuta con lui, S. E. il Signor di Rémusat, dopo avermi annunziato il nome del nuovo Ministro di Francia presso il Governo di S. M., mi disse ch'egli temeva che l'arrivo di questi a Roma potesse
divenire il segnale della partenza del Papa. Il Signor di Rémusat insistette molto su questa previsione e mi lasciò capire che qualche avviso gli era stato dato il quale la giustificava. Il Papa avrebbe da principio resistito agl'incalzanti consigli del partito che lo spingeva ad abbandonare Roma, ma da qualche tempo questa resistenza sarebbe minore; gli avvenimenti dai quali il Pontefice ostinavasi a sperare un mutamento delle sue condizioni non essendosi prodotti, la cresciuta sua irritazione potrebbe da un'ora all'altra trascinarlo ad un passo precipitato, disperato; la prossima riunione del Parlamento nazionale in Roma non mancherà d'altronde anch'essa di gettare un peso di più nella bilancia della risoluzione del
S. Padre, un Ministero savio e conciliante potendo evitare molti urti, adoperare molti temperamenti, usare prudenza e misura in tutte quelle minori vertenze e quistioni che stanno a cuore al Pontefice non meno de' personali suoi diritti ed interessi, e che la pubblica discussione deve forzatamente inasprire e rendere più irritanti.
Risposi al Signor di Rémusat che se il Pontefice si lasciasse indurre alla partenza da questa ultima considerazione, egli con ciò provocherebbe piuttosto quei risentimenti e quelle esplosioni dell'opinione pubblica che nulla nello stato presente delle cose può far temere. Col voto della legge sulle guarentigie, il Parlamento nazionale ha compiuto il più grave e difficile suo compito rimpetto al Papato, né si scorgerebbe quale quistione, almeno in un prossimo avvenire, potesse provocare nelle Camere italiane discussioni o misure invise al S. Padre e che dovessero irritarlo od affliggerlo. Il Governo del Re che con buona ragione può già sino da ora invocare le prove di estrema moderazione e condiscendenza ch'esso non cessò di dare da quando si stabilirono i nuovi suoi rapporti col Papato, non trascurerà d'altronde sicuramente nulla onde prevenire per quanto ciò stia in lui ogni occasione di urti, di attacchi o di recriminazioni e la lealtà de' suoi intendimenti si farà ogni di più manifesta. Dopo cui tuttavia domandai al Signor di Rémusat se non fosse il caso di supporre che gli si facessero udire quasi come una minaccia avvisi della imminente partenza del S. Padre da Roma, nello scopo d'indurre il Governo francese a differire ancora l'invio del suo Rappresentante, accreditato presso il Governo del Re, a Roma.
Il Signor di Rémusat replicò che le intenzioni di cui egli era stato informato non gli parevano nascondere una vana minaccia, che da parte sua egli non aveva mai contato con tanta fiducia sulla permanenza del Papa a Roma come si pareva avervi contato in Italia, e che se una disperata risoluzione la vincesse sull'animo del Pontefice non varrebbero a ritenerlo quegli ostacoli materiali d'un trasferimento col suo seguito e con gli archivi che da alcuni consideravansi a torto come troppo difficili a sormontarsi.
• E che, io dissi allora al Ministro degli Affari esteri, che si può da noi onde prevenire che il Papa lasci Roma e che così si avveri un'eventualità che sinceramente rammaricheremmo come dannosa agl'interessi della religione e forse purtroppo anche pericolosa pei nostri futuri rapporti colla Francia?
Giacché il Papa, io suppongo, verrebbe a cercare un asilo sul territorio francese. Chi allora in Italia potrà impedire che l'opinione pubblica non accusi il Governo francese di aver favorita la partenza del Pontefice, o per lo meno di non aver fatto nulla, di non aver nulla tentato onde distoglierlo da una tale risoluzione? L'opinione pubblica in Italia erasi lasciata persuadere che le intenzioni del Capo attuale del Governo di Francia verso il nuovo Regno si erano saviamente modificate, in conformità alle proprie sue dichiarazioni. Chi imporrà silenzio ai più gravi sospetti a tale riguardo dal momento che si annunzi l'arrivo e l'accoglienza del S. Padre sul suolo francese? E fin dove potranno giungere le conseguenze estreme dello spostamento del Papato? Quali saranno le condizioni della sua residenza in Francia? Il partito cattolico in Francia avrà esso da quell'ora un altro programma fuorché quello di spingere il proprio Governo a rimettere il Papa in possesso di tutti i suoi diritti? Che avverrà resistendogli e che cedendo alle sue passioni? Io per me credo che il Governo francese provvederebbe anzitutto assai saviamente ai propri interessi scoraggiando con ogni mezzo in suo potere il S. Padre ad appigliarsi a decisioni avventurose. Nessuno più del Governo francese può avere influenza su lui, per dissuaderlo da un tale passo e per fargli presente la differenza delle condizioni che furono fatte al Papato in Italia e di quelle che potrebbero essergli fatte fuori d'Italia •.
Il Signor di Rémusat protestò assai vivacemente ch'egli non s'illudeva sugli inconvenienti della presenza del Papa in Francia; che prevedeva a quale agitazione, a quali pellegrinaggi, a quali sollecitazioni essa darebbe luogo; ma aggiunse che la Repubblica del Signor Thiers non potrebbe chiudere al Pontefice quelle porte che la Repubblica di Cavaignac gli avrebbe aperte e che sono dischiuse a qualsiasi rifugiato politico. Il Governo francese già avrebbe adoperata ed adoprerebbe ancora la sua influenza per allontanare il pericolo; ma non doversene attendere un risultato sicuro a fronte di mille circostanze che possono subitamente agire sulle determinazioni del Pontefice.
Nel corso della conversazione, siccome io tentai di sapere se già fosse stato questione di assegnare eventualmente al Papa una determinata residenza in Francia, il Signor de Rémusat mi disse che da principio il Papa sembrava avere in vista tre punti di rifugio: cioè la Corsica, Malta, o una città d'Austria. Incidentalmente egli in appresso venne a dirmi che per certo, se il Papa sbarcasse sulle coste di Francia, egli non manderebbe • un Ministro ad incontrarlo a Marsiglia • ma che non potrebbe a meno di farlo accogliere come vuol essere accolto il Capo della Chiesa.
Dal tuono generale del discorso del Signor di Rémusat mi rimase l'impressione che le sue previsioni della partenza del S. Padre da Roma si fondassero in fatto su qualche cosa di più certo che non sieno induzioni o presentimenti.
(l) Il Signor Ernesto Picard, già Ministro dell'Interno, è stato nominato Ministro di Francia a Brusselle. (Nota del documento).
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT
D. 16. Roma, 11 novembre 1871.
Fra le quistioni di cui maggiormente si occupa la stampa in Italia, all'avvicinarsi dell'apertura del Parlamento, è quella relativa alla soppressione delle corporazioni religiose nelle provincie romane, quistione che, come ben sa la S. V., ha il privilegio di attrarre in singolar modo l'attenzione di alcuni governi esteri, sia per le cause che toccano agl'interessi generali del cattolicismo, sia pel carattere di straniero attribuito a taluno degli stabilimenti ecclesiastici di Roma. Già il rappresentante francese venne in questi giorni ad interpellarmi, per incarico espresso del suo Governo, sulle proposte che noi avremmo l'intenzione di sostenere nel Parlamento in materia di così grave momento, e non è improbabile che simili interrogazioni vengano fatte a V. S. da codesto Gabinetto, che ha ognora mostrato di prendere vivamente a cuore gli interessi di alcune corporazioni religiose qui stabilite. In previsione di tali domande, credo utile di farle tenere qui unita la copia di un dispaccio che ho diretto 1'8 di questo mese alla R. Legazione a Parigi (1), e nel quale è esposta la conversazione da me tenuta il giorno precedente, sull'argomento in quistione coll'Incaricato d'Affari di Francia; la lettura di questo documento potrà servire di norma al linguaggio che V. S. avesse l'occasione di tenere sullo stesso soggetto a S. E. il Ministro degli Affari Esteri dell'Impero.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN
T. 1776. Roma, 12 novembre 1871, ore 11,30.
Le roi agrée le choix de M. Goulard et il le recevra à Rome. Veuillez remercier M. de Rémusat de sa lettre que j'ai reçue avec plaisir. Je lui suis reconnaissant d'avoir choisi un de ses amis personnels comme ministre près de la cour d'Italie. Quant aux bruits de départ du pape nous avons quelques raisons de supposer qu'on les met en avant pour exercer une pression sur le Gouvernement français et l'empécher de continuer ses rapports amicaux avec I'Italie. Les médecins du pape s'opposent à ce qu'il se mette en voyage en hiver, et
S. S. elle-méme sait que sa demeure à Rome est le meilleur moyen de sauvegarder les intéréts religieux. Nous serons du reste aussi modérés que possible en ce qui ne touche pas à la dignité du roi et à I'honneur du pays.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4026. Parigi, 13 novembre 1871, ore 19,50 (per. ore 22,30).
Rémusat déclare que Gouvernement français était pleinement satisfait des assurances que V. E. a données à M. de Sayve, en ce qui concerne projet de loi sur les corporations religieuses et que je lui ai confirmées conformément à votre dépéche n. 352 (1).
(l) Cfr. n. 199.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 32. Vienna, 13 novembre 1871 (per. il 16).
Il giorno stesso in cui il giornale ufficiale dell'Impero pubblicava la demissione del Conte Beust, il Vaterland organo principale del partito federalistaClericale, conteneva un articolo in cui esponeva il programma di politica estera che vorrebbe vedere attualmente adottato. In esso si riconosce la convenienza di non immischiarsi negli affari della Prussia paese straniero all'Austria dopo lo scioglimento della confederazione germanica, ed al quale pronostica futuro indebolimento in seguito alla lotta che impegnò col partito cattolico, e si dichiarava essere per ora la questione romana la parte più delicata e difficile della politica estera austriaca. Una nota sarebbe stata sufficiente, dice il Vaterland, ad arrestare l'Italia nella sua impresa contro Roma, il non averla inviata essere il più grave torto del Beust; doversi ora impiegare mezzi più energici; non consigliare guerra immediata e senza alleati all'Italia; essere però supremo compito di chi regge la somma degli affari esteri l'attuare una confederazione degli stati cattolici onde restituire al Papa il potere temporale. Non credere troppo ai sentimenti cattolici del Conte Andrassy ma essere convinto non permettere le convenienze politiche ad un uomo di stato che meriti il nome di austriaco il rimanere spettatore indifferente delle continue usurpazioni dell'Italia.
Tutta la stampa liberale, la quale rappresenta l'opinione pubblica della grandissima maggioranza della città di Vienna, addita, dal suo canto al Conte Andrassy la questione romana come quella in cui deve prendere chiaramente e subito posizione contro le esigenze clericali, se non vuole, cedendo poco a poco ad esse, vedersi travolto da una corrente che condurrebbe alla perdita della sua riputazione ed alla rovina dell'Impero. Il programma del Vatertand indicargli precisamente gli scogli da evitare; il partito liberale desiderava i migliori rapporti coll'Italia, la di cui amicizia, sì utile per se stessa, ottiene ancora maggior valore se si considera ch'essa è collegata strettamente con quella della Germania.
Ho creduto mio dovere segnalare a V. E. questo atteggiarsi della stampa di Vienna, dimostrando esso come i differenti partiti abbiano posta la questione romana quale stregua dell'accorgimento politico del Conte Andrassy e attendano i primi suoi atti rispetto ad essa per giudicarlo.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1704. Parigi, 14 novembre 1871 (per. il 17).
La notizia che un avviso del prossimo arrivo del Papa in Francia sia pervenuto al Gabinetto di Versaglia si è diffusa nei giornali che la commentano in vario modo. Ma per la maggior parte le loro osservazioni tradiscono la poco gradita impressione che tale nuova qui produce, e perfino giornali clericali, come l'Univers, lasciano travedere la speranza che il fatto non s'avveri. Giova credere che commenti di tale genere non sieno per avventura senza qualche utilità. Essi da un lato possono servire d'avvertimento al partito che vorrebbe indurre il Pontefice a cercare un ricovero in Francia, e dall'altro essi devono influire eziandio sullo zelo del Gabinetto di Versaglia a prevenire una simile eventualità. Il Governo si è d'altronde già affrettato a fare smentire in via semi ufficiale l'esattezza della notizia che qualche avviso gli fosse stato dato.
E difatti anche nella conversazione che io ieri ebbi col Signor di Rémusat egli mi si mostrò molto più rassicurato a tale riguardo che nel precedente nostro colloquio, per effetto, io suppongo, delle prime notizie che dopo il ritorno del Signor di Harcourt al Vaticano gli furono da questi inviate.
A titolo d'informazione mi pregio d'inviare qui unito all'E. V. l'articolo (l) che nel più ardente giornale bonapartista: Le Pays travasi sull'argomentazione della venuta del Papa in Francia.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4030. Vienna, 16 novembre 1871, ore 15,20 (per. ore 17,55).
J'ai vu hier au soir, pour la première fois le comte Andrassy, à une soirée à l'ambassade russe. Il m'a témoigné de la manière la plus large et la plus chaleureuse son désir de resserrer toujours davantage les liens avec l'Italie, me disant que la sympathie de la Hongrie pour l'Italie est aussi vive que ancienne. Cela doit maintenant s'étendre à toute la monarchie. J'ai toujours soutenu le comte de Beust dans sa politique amicale envers l'Italie. Je me maintiendrai plus que jamais dans cette voie. Je lui ai répondu que j'étais charmé des assurances qu'il me donnait et qui répondaient si bien à mes désirs et elles seront communiquées à mon Gouvernement et produiront une impression tout aussi agréable que celle qu'a produit en Italie la nouvelle de sa nomination. Il a encore renchéré alors sur ses assurances. Entrant ensuite à parler de nos affaires et de Rome en particulier il m'a dit qu'il éprouvait un grand
(l} Non pubblicato.
plaisir à voir camme toutes les difficultés qu'on pouvait craindre, avaient été déjà vaincues par le sens droit du Gouvernement italien qui ne se laissait pas détourner de son chemin par les petites chicanes qu'on cherchait à lui soulever. Il a ajouté avoir su par Launay que S. M. le roi d'Italie s'était exprimé avec beaucoup de bienveillance à son égard. Qu'il en était aussi flatté qu'heureux et qu'il espérait que l'Italie aurait, dans sa nouvelle position une occasion particulière de connaitre ses sentiments. J'ai Iieu de croire, que ce langage est aussi la conséquence de l'entretien que j'ai eu il y a trois jours avec M. Hofmann et que je vous rapporterai. Je pense revoir le comte Andrassy samedi. Je tacherai de l'engager davantage car le moment est décisif. Il serait peut-etre utile que je lui fisse une phrase aimable de la parte de V. E. Veuillez si vous l'approuvez, m'y autoriser par télégramme.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 35. Vienna, 16 novembre 1871 (per. il 20).
Stante il ritiro del Conte Beust ed il ritardo frapposto dal Conte Andrassy ad assumere la direzione del Ministero, credetti opportuno recarmi il 14 corrente dal Capo sezione Barone Hofmann onde a mezzo suo preparare il terreno alle mie future relazioni col nuovo Ministro. Per entrare in materia e scandagliare lo stato delle cose intorno all'argomento che parmi di vitale attualità, il trasferimento cioè della Legazione Imperiale a Roma, cominciai dal chiedergli se, stante il ritiro accordato al Conte Prokesch, era ancora stato provveduto dal Conte Beust al suo rimpiazzo a mezzo del Barone Kiibeck, il Barone Hofmann risposemi tosto ciò non essersi ancor fatto, cosa che d'altronde ben sapeva, ed anzi soggiunsemi, nulla esservi d'impossibile a che, al seguito della venuta del Conte Andrassy al Ministero, il Barone Kiibeck più non andasse a Costantinopoli, e rimanesse invece in Italia. Risposi senza indugio che, ove ciò si verificasse, il Governo italiano, era persuaso, non avrebbe potuto a meno di essere lietissimo, stante i cosi cordiali rapporti che sempre avevano esistito fra esso e quell'egregio personaggio. Soggiunsi però a modo di interrogazione: ma il Barone Kiibeck sarà di ciò contento? poiché sembrami sia stato detto che per suo conto particoLare non avrebbe avuto gran piacere di stare a Roma, circO·· stanza che, se non erro, risuLterebbe anche daL Libro di Favre testé pubbLicato, poiché, soggiunsi ancora, suppongo che La Legazione ImperiaLe, se non è già trasferita a Roma, sta per esserLo in questi giorni. Il Barone Hofmann risposemi immediatamente che il Barone Kiibeck sarebbe enchanté di rimanere a Roma; che se quest'estate aveva potuto dimostrare men vivo desiderio di andarvi, si era perché già il suo imminente trasloco a Costantinopoli gli era stato annunciato, ma che, venendo a cessare tale circostanza, egli era oltre modo soddisfatto di stare a Roma. In ordine al trasferimento della Legazione alla nuova capitale
egli fu meno esplicito, e dopo avermi accampato i soliti pretesti della difficoltà di trovar locali, fini per dirmi che per intanto la cancelleria della Legazione aveva rinnovato a Firenze l'affitto del locale da essa occupato, per due mesi ancora a datare dal 1° novembre. Sentendo ciò mi mostrai vivamente meravigliato e gli dissi tosto che tal cosa sembravami poco d'accordo con quanto il Conte Beust avevami asserito, circa un mese fa, con precisione, che cioè la Legazione Imperiale troverebbesi a Roma per l'epoca dell'apertura del Parlamento, ciò che non aveva mancato, dissigli, di portare a conoscenza del mio Governo, sebbene non fossi stato incaricato di nulla in proposito. • Je ne suis pas davantage chargé de parler de cela aujourd'hui, soggiunsigli, mais puisque la conversation est tombée sur ce sujet, je ne puis pas vous cacher que mon opinion est, que l'absence de Rome de la Légation Impériale, si elle devait se vérifier dans cette circonstance, produirait un effet déplorable sur l'opinion ,publique quelles que fussent les raisons avec les quelles on voudrait colorer la chose, et le Gouvernement italien meme, après les assurances qu'il a reçues de moi à la suite de ce que m'a dit le Comte Beust que rien ne serait changé dans les si cordiales relations existantes entre l'Autriche-Hongrie et l'Italie, ne pourrait à moins de constater dans ce premier fait important une preuve moins favorable à ces assurances • .
Non mancai di ripetergli che ciò che gli diceva era assolutamente la mia impressione personale, ed in conseguenza del mio vivo desiderio, nell'interesse dei due paesi, di vedere mantenute ed anzi sempre rafforzate le nostre cosi buone relazioni, di tanta importanza per ambedue. Il ritiro del Conte Beust, dissigli ancora, richiamò in modo speciale l'attenzione dei partiti in Austria sulle relazioni della Monarchia coll'Italia, ed anzi fece di queste la pietra di paragone della via in cui sarà per entrare il nuovo Ministro, il momento è dunque importantissimo, e questo primo fatto deciderà evidentemente dell'opinione pubblica. Il Barone Hofmann mostrossi impressionato di ciò che gli diceva, e dissemi tosto: non mancherò di sottoporre le vostre considerazioni al Conte Andrassy, ma vogliate anche dal canto vostro parlargli con pari esplicità tosto lo vedrete. No, gli risposi, non ho mandato di sorta al riguardo; ciò che vi ho detto a voi si è unicamente perché voi siete l'anello fra il Conte Beust ed il Conte Andrassy; ma con quest'ultimo, salvo riceva istruzioni speciali, o me ne parli lui, io non toccherò tal delicato argomento, in una prima visita più d'etichetta che altro. Il Barone Hofmann ripetendomi la preghiera di parlarne io pure al Ministro, assicurommi intanto che non avrebbe mancato di sottoporgli lui la questione in antecedenza, ma io stetti fermo nella mia riserva. Il Barone Hofmann mi chiese pure se un invito in proposito sarebbe fatto in tempo alla Legazione Imperiale, poiché, ove ciò si verificasse, evidentemente si sarebbe dato telegraficamente l'ordine al personale di essa di trovarsi a Roma per la seduta Reale; su ciò risposi anche nulla saperne poiché, come Le diceva, non mi si era fatta comunicazione di sorta al riguardo, evidentemente dietro l'assicuranza datami dal Conte di Beust e da me portata a conoscenza del Governo. Questa conversazione parvemi aver prodotto buon effetto sul mio interlocutore, e, se mal non m'appongo, le assicuranze così cordiali ed amichevoli per l'Italia che ebbe a darmi jeri sera il Conte Andrassy e che telegraficamente riferisco oggi
a V. E. (1), devono pure esserne la conseguenza. Il partito a cui si sagrificò il Conte Beust spera pure d'utilizzare il momentaneo interregno per riportare incidentalmente una vittoria in questo fatto speciale, ma mi lusingo che le sue speranze potranno andar deluse.
Valendomi dell'opportunità chiesi al Barone Hofmann cosa ci fosse di vero nella missione a Vienna, annunziata da un giornale, di Monsignor Bellà, notizia che riattaccava alla voce corsa della domanda fatta dal Papa al Signor Thiers di un asilo in Francia. Senza esitazione il Barone Hofmann risposemi non aver contezza di sorta di una missione affidata ora a Monsignor Bellà, di cui ignorava anche l'esistenza; in quanto alla voce corsa sulla partenza del Papa da Roma non credervi assolutamente; esser bensì vero che Sua Santità aveva al mese di giugno, ed anche poi, ripetuto che all'epoca dell'effettivo installamento della capitale a Roma, e del trasferimento ivi del Corpo diplomatico, avrebbe abbandonata quella città, ma che aveva ragione di credere eguale intendimento non esistesse più in oggi. Ho creduto conveniente riferire tutto ciò alla E. V., sebbene in questo momento le parole del Barone Hofmann non si possano considerare come l'espressione dei sentimenti del nuovo Ministero, che ancora non ha preso conoscenza particolareggiata degli affari.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Vienna, 16 novembre 1871.
I miei telegrammi e rapporti di questi ultimi giorni avranno potuto confermarvi le notizie dei giornali sulla vivissima impressione prodotta qui dal ritiro del Conte di Beust; tengo però a farvene ancora in via particolare special menzione. Il conte di Beust fu fatto invitar dall'Imperatore a presentar le sue demissioni, questo è il fatto, le supposizioni sulle cause di esso sono molte ma vi ha però notevole divergenza fra di esse. II partito clericale reazionario che riconosceva nel Cancelliere il suo costante e più temibile avversario lavorava da lungo tempo a scalzarlo, rovesciato il Ministero Hohenwarth quel partito trovò modo d'insinuar all'Imperatore, che il rumore dei federalisti sarebbe minore, e che più facilmente si potrebbe più tardi ritentar la conciliazione, ove l'uomo alle cui esortazioni il Sovrano aveva ceduto, sparisse dalla scena, l'amor proprio dell'Imperatore fu pur messo in giuoco assai astutamente richiamando la sua attenzione sulla qualifica di Vice-Imperatore colla quale la stampa designava da alcun tempo il Beust. Rappresentassi pure a Francesco Giuseppe che la parola Sovrana non mantenuta verso gli Czechi, necessitava pur qual espiazione il sacrificio di chi era colpevole d'un tal fatto. Troppo lungo sarebbe l'enumerar tutti gli altri argomenti di cui il partito in questione
si prevalse; fatto sta, che valendosi del Lonyay che ambiva più elevata posizione, traendo partito del desiderio d'Andrassy di figurar su più elevata scena, i Gesuiti neri, come li chiama il Principe di Bismarck, ebbero ragione dell'animo debole del Sovrano. L'Imperatore che senza prevederne le conseguenze aveva aderito all'accordo coi Boemi, e vi aveva anzi impegnata la sua azione personale, allo stesso modo credette far cosa semplicissima e sommamente proficua alla sua Corona lo sbarazzarsi di Beust pel quale d'altronde non aveva simpatia di sorta. Ma tutt'altre furono le conseguenze. Beust cadde sì ma per risalire nell'opinione pubblica ad un'altezza doppia di quella a cui siedeva prima. La sua caduta produsse una scossa tale che l'Imperatore ne sentì il contracolpo e volle pararvi recandosi a far al suo ex cancelliere quella tal visita che il telegrafo annunziò all'Europa. La caduta di Beust fu considerata qui come un tentato colpo della reazione alla libertà, ed il partito Tedesco che questa rappresenta nella Monarchia vi rispose cogl'indirizzi e dimostrazioni che riempiono le colonne dei giornali. Dopo un si grave fatto tutto è ritornato possibile in Austria, e cosi pure anche il ritorno del conte Beust in un giorno forse non lontano di grave pericolo per la Monarchia. Egli intanto va in Inghilterra come rappresentante del liberalismo Tedesco in Austria. Sembrerebbemi conveniente che Cadorna a Londra mostrasse tenergli conto l'Italia della simpatia sempre dimostrataci, solleticando così il suo amor proprio ed impegnandolo sempre maggiormente in buone relazioni con noi, si avrà per risultato non solo quello all'evenienza abbastanza utile di averlo amico a Londra, ma quello pur anche maggiore di guadagnarlo vie più alla nostra causa pel giorno in cui riprendesse l'alta direzione della politica estera a Vienna.
Il conte Beust dissemi esser intenzionato recarsi quest'inverno in Italia per un pajo di mesi e dissemi sperar avervi degli amici, non mancai rispondergli che vi troverebbe tutta quella cordiale accoglienza a cui le simpatie ch'egli ci dimostrò gli dan diritto. Il barone Aldenburg capo del suo Gabinetto che ha ottenuto un lungo congedo andrà fra poco passarne buona parte in Italia, lui pure è persona che parmi conveniente accarezzare. Vi sottopongo queste mie idee pel caso che crederete farne. Il conte Andrassy è già nominato Ministro degli Affari Esteri ma non ci ha ancora ricevuto nè ci ha dato avviso in proposito al momento in cui vi scrivo.
Ieri sera però l'incontrai all'Ambasciata Russa ed ebbi seco lui il colloquio che sommariamente vi telegrafai stamane (1). Se non facessi la parte del carattere spigliato, del far alquanto teatrale di quell'uomo di Stato Ungherese la mia impressione sarebbe che ci abbiamo guadagnato al cambio, ma avendo presente le precitate circostanze, confesso che non so difendermi dall'accettar col solo beneficio d'inventario le così esplicite dichiarazioni di simpatia e d'amicizia del nuovo Ministro. Lo vedremo ai fatti, e questi non possono tardare a prodursi come rileverete dal mio rapporto ufficiale d'oggi (2) pure relativo alla conversazione da me avuta col barone Hofmann relativamente al trasferimento della Legazione a Roma. Alcune parole generiche dettemi ieri sera da Andrassy mi farebbero ritenere come più probabile ancora ciò che dicevami Hofmann sulla
possibilità che Kiibeck resti in Italia, sebbene da fonte privata mi risulti ch'egli abbia affermato la sua decisione di non far più ritorno a Roma. Tutto ciò d'altronde dovrassi decidere in questi giorni, poichè come ho avuto occasione di farvi notar nei miei rapporti, la questione dell'amicizia coll'Italia, è stata posée dai partiti come la chiave della politica del nuovo Ministro, ed in modo anzi così assoluto da escluder parmi le mezze misure. Credo che faremo sabbato la nostra prima visita al conte Andrassy, dopo questa egli farà ritorno a Pesth per prendervi la famiglia e provveder alle cose sue particolari, parmi dunque alquanto difficile si possa aver seco Lui relazioni regolari prima del Dicembre. Nessuno m'ha fino ad oggi toccato l'argomento delle corporazioni religiose a Roma, all'evenienza mi regolerò nelle mie risposte conformemente alle vostre ultime istruzioni ufficiali (l) che confermano quelle datemi precedentemente in via particolare. Tanto su queste questioni particolari però come su quelle altre che incidentalmente possono nascere a Roma, mantengo la mia credenza che l'Andrassy si farà più facilmente il portavoce dei sentimenti particolari dell'Imperatore che noi facesse il conte Beust, questi già sapeva di non poter contare sulla simpatia del Sovrano nè su quella dell'entourage e quindi non si credeva tenuto ad eccessivi ménagements mentre quello invece vuoi piacere all'imperatore, e non esser osteggiato dalla camarilla colla quale egli travasi in termini tanto migliori in questo momento, ch'egli è il successore dell'inviso Beust. In una parola temo che si prenderà la via di non malcontentar nessuno, la quale evidentemente conduce al risultato contrario. Tengo però a dirvi che quando dico temo ciò non vuoi dire ch'io tema ch'imbarazzi serii ci possano venir
dall'Austria, poichè il giorno in cui un voltafaccia completo si facesse a nostro riguardo, ciò sarebbe il segnale d'una rottura completa col partito liberale cioè col partito tedesco, e quindi n commencement de la fin. Se la Francia fonda su ciò le sue speranze, fa i suoi conti senza l'oste, poichè la rottura del Governo col partito Tedesco non può che far gli affari della Germania, segnando il principio dello sfacelo di questa Monarchia. Per conto mio come avrete già potuto constatar non ho gran fede nell'avvenire di questo paese, credo però che le cose possono anche tirar avanti abbastanza lungamente così, poichè la tradizione ha ancora una gran forza in questo paese, certamente non converrebbe si ripetesse tosto una scossa come quella prodotta dalla recente crisi, e pur troppo bisogna dirsi che qui le cose le più improbabili sono quelle che hanno maggior probabilità di successo.
La mia posizione qui pel momento è ottima, era benissimo col conte Beust, ed ho luogo di credere sarò in eguali relazioni personali col conte Andrassy. Sono nelle migliori relazioni pur anche per antecedenti personali e di parentela coi personaggi più influenti che circondano l'Imperatore dimodochè anche succedesse un cambiamento totale di scena non mi troverei personalmente sbilanciato. I miei rapporti con tutto il Corpo Diplomatico sono dei più cordiali. Vedo con piacere il ritorno di Banneville uomo che parmi molto prudente, e di modi gentilissimi, egli mi fu largo di cortesie mentre era qui prima di andar in congedo. Per oggi non ho altro a dirvi, tanto più che traversiamo un'epoca
di transizione, in cui le impressioni dell'oggi possono essere contradette dai fatti del domani. Se vi ha cosa nella mia azione qui che non armonizzi pienamente colle vedute del Governo, compiaceretevi illuminarmi, e sarà mia cura regolarmi in modo da meritarmi la fiducia colla quale si largheggiò meco affidandomi quest'importante missione.
La presente lettera non chè il rapporto di pari data saranno impostati da persona sicura in territorio Italiano.
(l) Cfr. n. 216.
(l) -Cfr. n. 216. (2) -Cfr. n. 217.(l) Cfr. n. 211.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI', VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT
T. 1778. Roma, 17 novembre 1871, ore 17.
Je vous prie de dire au comte Andrassy que le Gouvernement du Roi a accueilli avec une grande satisfaction la nouvelle de sa nomination. Il y a entre la Hongrie et l'Italie des liens anciens de sympathie et d'intérét que rien ne pourrait détruire. Le roi et ses ministres comptent beaucoup sur l'aide amicale du comte Andrassy pour résoudre d'une manière conciliante les petites difficultés que nous crée encore la questione romaine. Nous nous permettrons de faire souvent appel à ses lumières et nous espérons qu'il voudra bien se tenir avec l'Italie dans un échange constant d'idées, soit par votre entremise, soit par celle du ministre de l'Autriche-Hongrie auprès du roi. Tachez de lui dire dans le cours de la conversation que S. M. sera ici le 20 pour y séjourner. A cette époque la légation d'Allemagne viendra s'établir à Rome. Celles de Russie et de Turquie y sont déjà installées, ainsi que celles d'Angleterre et de plusieurs autres puissances. Sans faire des démarches positives, tachez d'insinuer qu'il
serait à regretter que l'Autriche brille par son absence à l'époque de l'ouverture du parlement.
IL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4033. L'Aja, 17 novembre 1871, ore 18 (per. ore 23,35).
Par un vote de la chambre des députés, la légation hollandaise près du S. Siège est supprimée.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 907. Berlino, 17 novembre 1871 (per. il 22).
En me référant à mon télégramme d'hier (1), je m'empresse de rendre
compte avec plus de détails d'un incident auquel a donné lieu, le méme jour, la discussion au Reichstag du budget des Affaires Etrangères.
Un député, M. Lowe, a exprimé sa surprise au sujet d'une Légation à Rome.• Le pouvoir temporel du Pape a cessé d'exister, et nous avons un Envoyé près le Gouvernement Italien. J'appelle l'attention sur l'embarras que pourrait causer le départ éventuel du Pape. Le représentant de l'Allemagne devrait-il ou non Le suivre? Maintenant que les choses sont encore en cours, je renonce à présenter une proposition formelle, mais je crois que dans l'avenir il faudra supprimer cette Légation •.
Le Prince de Bismarck a répondu dans les termes suivants, conformément du moins au récit des journaux. Je me réserve de communiquer à V. E. le texte méme du discours quand aura paru le compte rendu officiel. En attendant l'analyse des journaux étant en concordance, on ne peut qu'en admettre l'exactitude.
• M. Lowe a touché une question que lui-méme a déclaré camme étant pendante. Je n'ai pas à m'occuper ici d'une question de l'avenir. Autrement je devrais en préjuger le développement. Or nous n'avons pas à traiter maintenant d'une question politique proprement dite. Nous ne discutons que le bilan des Affaires Etrangères. Mais il y a lieu d'admettre d'avance que l'Envoyé d'Allemagne près S. M. le Roi d'Italie se rendra à Rome, aussitot que le Roi lui-méme renoncera à sa résidence actuelle, et se transfèrera à Rome. Le représentant Impérial est accrédité près le Monarque, et non près ses Ministres, et aussi longtemps que le Roi lui-méme ne résidera pas à Rome, l'Envoyé accrédité près Sa Majesté ne peut quitter le domicile de la Couronne. Aussitòt que S. M. la transfèrera à Rome, il sera de son devoir de L'y suivre.
Je me réserve également de faire parvenir à V. E. une traduction du compte rendu officiel de la partie du discours du Chancelier Impérial, où il a parlé de la nécessité des frais de représentation convenables à allouer aux agents diplomatiques. S'il était besoin de prouver cette thèse, les arguments invoqués par S. A. seraient sans réplique.
(l) Non pubblicato
IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 146. Therapia, 17 novembre 1871 (per. il 25).
Nel mio giungere a Costantinopoli ho ricevuto l'ossequiato dispaccio di
V. E. de' 31 ottobre scorso (1).
Abbenchè fossi stato dolente di non essere qui arrivato prima della emanazione del firmano con cui S. M. il Sultano ha conceduto, dietro talune condizioni, al Bey di Tunisi l'amministrazione ereditaria di quella Reggenza, ho dovuto non 'pertanto convincermi che tutti gli sforzi che avrei fatto, in esecuzione delle istruzioni impartitemi col precedente dispaccio de' 22 (2) dello stesso
mese, per distorre la Sublime Porta da tale divisamento sarebbero riusciti infruttuosi. Il conte di Vogiié, ambasciatore di Francia ed il R. Incaricato d'Affari cavaliere Cova non han lasciato alcun mezzo intentato per persuadere il Governo ottomano a desistere da qualsiasi misura che accennasse ad alterare lo Statu quo prevalente in Tunisi da lunghissimi anni; ma egli era evidente che la Sublime Porta, credendo ormai giunto il momento opportuno per dar seguito al progetto che non potè mandare ad atto nel 1864, non sarebbesi arrestata dinanzi a semplici rimostranze e proteste.
Essendo già incominciate le feste del Ramadan, non mi fu possibile, allor che mi condussi alla Porta per far le mie visite ufficiali di vedere il Gran Vizir. Ebbi però un lungo colloquio con Server Pacha, ministro degli Affari Esteri, al quale non mancai di fare le dichiarazioni e le riserve prescrittemi dal succennato riverito dispaccio de' 22 ottobre. Egli mi confermò ciò che Photiades Bey ebbe incarico di dichiarare all'E. V., cioè a dire che il novello firmano impartito al Bey di Tunisi non arreca alcuna innovazione allo stato attuale delle cose in quella Reggenza, le cui relazioni coi Governi esteri continueranno a rimanere quali erano per lo passato. Il firmano ha avuto per solo scopo, ei soggiungeva, di dare al Bey maggior forza e prestigio nell'interno verso i sudditi della Reggenza. Il Bey stesso avea nel 1864 significato il suo desiderio di ottenere un simile firmano, e fin da quel tempo la Sublime Porta glielo avrebbe conceduto se egli ne avesse formalmente inviata la domanda a Costantinopoli. Questa domanda fu fatta non ha guarì per mezzo del generale Kerredin, e il Governo del Sultano ha giudicato che non potesse nè dovesse esimersi dal soddisfare ai giusti e ragionevoli desideri del Bey.
Stimai inutile di far rilevare a Server Pacha che forse le cose non erano occorse precisamente nel modo in cui l'E. S. le esponeva, ma gli feci osservare, rientrando ad esaminare le probabili conseguenze che derivar possono dal nuovo firmano, essere assai malagevole il determinare il limite in cui un affare cessando dall'essere puramente commerciale acquista l'importanza di una questione politica, e come il Governo della Sublime Porta potrebbe, suo malgrado, vedersi trascinato ad addossarsi la risponsabilità di fatti compiuti o di impegni assunti a sua insaputa e sui quali essa non fu chiamata ad esercitare il suo sindacato.
Mi rispose Server Pacha che egli non temeva che tali difficoltà si presentassero, ma che in ogni caso esse non sarebbero nè maggiori nè diverse di quelle che possono sperimentarsi in Egitto, la cui posizione è del tutto identica a quella che è stata fatta a Tunisi dal nuovo firmano.
Dissi a Server Pacha che V. E. non aveva ricevuto la comunicazione del testo del firmano, alla data del suo ultimo dispaccio, che si riservava quindi di esaminarlo, e che intanto il Governo del re rimanea fermo nella opinione che per esso non possa in nulla venir alterato il carattere delle sue relazioni con la Tunisia, nè scemata per modo alcuno la diretta risponsabilità del Bey per atti che fossero lesivi agli interessi degli italiani.
S. E. ripetè la precedente dichiarazione che nulla sarebbe mutato ne' rapporti internazionali della Reggenza con le Potenze estere, e conchiuse col dire che egli nutriva fiducia che questa concessione fatta al Bey di Tunisi non alte
19 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
rerebbe in nulla le buone ed amichevoli relazioni esistenti fra la Sublime Porta e l'Italia, che egli sarebbesi studiato di render sempre più intime e cordiali, e alla cui politica (dell'Italia) franca e disinteressata rendeva con piacere il dovuto omaggio.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. 4623. Roma, 18 novembre 1871 (per. il 19).
Ringrazio anzitutto l'E. V. del diligente ed assennatissimo rapporto (l) sulle più recenti mene dell'Associazione Internazionale che fa capo a Londra.
Certamente sarebbe esagerato il timore di prossime e rilevanti agitazioni promosse da quella setta, e ciò tanto più in Italia, dove non ha che pochi aderenti sparsi e di poca influenza.
Ma non è a dissimularsi che tale associazione, sia perchè si fa centro delle aspirazioni delle classi indigenti, sia perchè si vale di ogni elemento rivoluzionario, politico o socialista, ha trovato, come i fatti e le numerose pubblicazioni attestano, massime in Inghilterra, libero campo a svolgersi e preparare secondo l'opportunità, continue offese all'ordine pubblico costituito.
Interessa quindi al Governo di tener dietro alle intime vicende della setta in discorso, e come già proponeva il R. Ministro di Londra con rapporto (2) dall'E. V. appoggiato col foglio del 9 maggio u. s. n. 34, questo Ministero, riferendosi alle precedenti comunicazioni, è disposto di tentare l'esperimento di stipendiare un agente speciale. E siccome questo deve godere intera la fiducia del
R. Rappresentante in Londra, non ho che a rinnovare all'E. V. la preghiera di far praticare opportune ricerche per rinvenire la persona adatta e fidata, indicando l'importare della spesa che incomberebbe a questo Ministero, e che nel precitato rapporto, non era significata che genericamente e in via d'ipotesi.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 265. Tunisi, 18 novembre 1871 (per. il 23).
In una col pregiato dispaccio delli 9 andante n. 114 (3) mi sono col presente corriere pervenute le copie dei menzionativi dispacci di V. E. alla R. Legazione in Costantinopoli, e mentre dall'uno e dalli altri prenderò norma per l'ulteriore mio contegno col Bardo, ho intanto rilevato dalla pure annessavi traduzione del firmano come sia cambiata la condizione politica della Tunisia
che diffatto non solo perde la sua autonomia, ma viene ridotta ad un grado inferiore delli altri principati vassalli della Porta, in una parola il Bey dal rango di Sovrano discende a quello modestissimo di un semplice Governatore generale.
Il firmano suddetto è stato portato dal Generale Khereddin che fu qui di ritorno mercoledì scorso, e stamane stesso mi proponevo di recarmi dal Primo Ministro per ricordargli le sue promesse, e per vedere se v'era ancora mezzo di sospenderne la lettura e la pubblicazione sino a che le Grandi Potenze non si fossero pronunziate a riguardo del medesimo; quando invece sono stato prevenuto dal rombo del cannone che annunziava al pubblico la consegna di quell'atto fatta al Bey nelle forme le più solenni insieme colle insegne in diamanti dell'Osmanié di prima classe che in questa circostanza sono stategli conferite. Tutto dunque è compiuto, e per quanto ora dipende da Tunisi non v'ha più luogo di rinvenire.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 38. Vienna, 19 novembre 1871 (per. il 22).
Come ho avuto l'onore di annunciare all'E. V. col mio telegramma di ieri sera(l), fui ieri dal Conte Andrassy nell'occasione in cui riceveva per la prima volta il corpo diplomatico. Egli mostrassi sensibilissimo ai simpatici sentimenti che l'E. V. incaricavami esprimergli a nome del R. Governo e nel modo il più largo confermommi il suo intendimento, già antecedentemente espressomi, di stringere sempre maggiormente i legami d'amicizia che cosi felicemente uniscono l'Austria-Ungheria all'Italia, quelle due nazioni, com'egli si espresse, fatte geograficamente e politicamente per reciprocamente appoggiarsi e difendersi. Soggiunse quindi avere egli sempre appoggiato con tutte le sue forze il Conte Beust, essenzialmente nella sua politica verso l'Italia, e ciò anche al momento difficilissimo in cui le esigenze della politica italiana condussero all'occupazione di Roma. La legge delle guarantigie avergli tosto dopo dato prova della rettitudine delle intenzioni del Governo del Re, del suo senso eminentemente pratico; il modo poi col quale detta legge viene scrupolosamente, con fermezza e prudente saviezza ad un tempo, applicata, averlo fatto persuaso di essersi rettamente apposto nei suoi giudizi; in tal linea di condotta l'Italia poter far sempre assegno sul suo concorso amichevole per aiutarla a risolvere le piccole difficoltà che eventualmente possono insorgere; ed essere egli uomo i di cui antecedenti provano che quando si mette in una via non indietreggia mai. Egli mostrossi grato al desiderio che l'E. V. m'incaricò esprimergli, di mantenersi seco noi, per mezzo mio e dell'Inviato Imperiale presso S. M. il Re, in costante scambio d'idee sulle quistioni che possono interessare i due Stati. Egli assicurommi che per parte sua non avrebbe mancato di farlo, ciò essendo
d'altronde pienamente conforme al suo particolare modo di vedere sul miglior mezzo di trattare gli affari. Finalmente volle accentuarmi i simpatici sentimenti delle popolazioni della Monarchia tutta per l'Italia, e pel suo Re, sentimenti ch'egli mi disse pienamenti divisi dall'Imperatore e Re. Dissemi rincrescergli che le circostanze abbiano fatto fallire il divisamento, già accolto, di un personale abboccamento fra i due Sovrani; sperare però che occasione favorevole di effettuarlo potrebbe presentarsi in seguito.
In tutto questo discorso non si presentò l'opportunità di far cadere naturalmente la conversazione sull'argomento accennatomi dall'E. V. al fine del suo telegramma del 17 corrente (l); m'astenni dunque, tanto più che ben era persuaso il Barone Hoffmann già gli aveva riferito quanto in proposito avevagli io detto, e quindi sembravami sufficiente, non volendosi fare una entratura positiva al riguardo. Il tempo stringeva, l'ora essendo tarda, e molti miei colleghi attendendo ancora d'esser ricevuti; mi licenziai dunque dal Conte Andrassy, che nel prendere commiato da me si compiacque esprimermi nel modo il più cordiale e lusinghiero la personale sua simpatia per me.
(l) Non pubblicato.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. RISERVATA 4726. Roma, 20 novembre 1871 (per. il 21).
In continuazione delle comunicazioni precedenti e per servire a quelle investigazioni che l'E. V. crederà di disporre, mi pregio di comunicarle i ragguagli che seguono intorno all'associazione internazionale.
Questa setta tiene in Londra Comitato Generale, che s'intitola del Risorgimento Sociale, e ha sede in Regent-Street al n. 15. La corrispondenza di questo Comitato con l'Ispettorato Generale in Roma, è firmata dal Presidente E. Woordel.
Dal Comitato Generale sono partiti ordini a tutte le Sezioni di preparare elenchi nominativi dei più notabili proprietarj, capitalisti, stabilimenti industriali e di credito d'ogni maniera, e delle Tesorerie governative.
La tassa di associazione è, con recente disposizione, stata ridotta a 10 centesimi, con la fiducia di accrescere il numero degli aderenti, ed una delle prime imprese che si vogliono preparare, è quella di ottenere dai capi degli stabilimenti industriali una diminuzione dell'orario di lavoro.
Il Signore Giuseppe Luciani, che risulterebbe Ispettore Generale per l'Italia, travasi ora a Londra con Ricciotti Garibaldi. Scopo apparente della gita loro, di promuovere associazioni ad un progetto di magazzini generali nel Porto di Brindisi, ma in realtà, per conferire coi capi dell'internazionale di colà.
Attenderò dall'E. V. a suo tempo un riscontro sull'esito delle indagini che sopra tali dati avrà creduto di far praticare.
(l) Cfr. n. 219.
IL CONSOLE GENERALE A LIVERPOOL, CAPELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. S. N. Liverpool, 20 novembre 1871 (per. il 25).
Mi viene all'orecchio, che in questo momento Mazzini e i Mazziniani sono molto attivi in Londra, e che i Capi del partito lasciano intendere che si prepara un prossimo movimento in Italia.
La notizia mi fu data al Consolato Francese, e proviene da un Agente incaricato qui di sorvegliare le mene dell'Internazionale.
Senza mettervi troppa importanza, sapendo che non si può sempre fidare a simili rivelazioni, e persuaso che V. E. sarà meglio informata da altra parte più competente, pure crederei mancare al mio dovere se mi astenessi dal comunicarle questo avviso qualsiasi. Lo stesso farò se apprenderò ulteriori ragguagli che mi pajano poter interessare il R. Governo.
IL MINISTRO ALL'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 44. L'Aja, 21 novembre 1871 (per. il 25).
Per cogliere la vera portata della decisione della seconda Camera degli Stati Generali, che addottò alla maggioranza di sei voti, (39 contro 33) l'emendamento del Signor Dumbar, avente per iscopo di sopprimere la Legazione ollandese presso la S. Sede, è mestieri avvertire che una parte di coloro, che insistevano sul mantenimento della medesima erano animati da puro sentimento di conciliazione e di deferenza verso un vecchio Pontefice, afferentesi spettacolo al mondo qual tribolato e prigioniero.
L'altra parte però di essi, furibonda secondo il solito, ne faceva anzitutto una questione di diritto, di protesta contro i fatti compiuti, e di affermazione permanente in faccia all'Europa del diritto imprescrittibile dei cattolici sulla città eterna, non che del dovere strettissimo di tutte le Potenze di ristabilire quando che sia il potere temporale.
I 39 voti che accolsero l'emendamento coll'arrota della metà di quelli che lo hanno combattuto per puro desiderio di conciliazione, e tuttoché appartengano alla parte protestante, vanno perciò da noi considerati come ugualmente favorevoli all'unità italica, e per nissun conto complici col fanatismo fazioso che continua ad asteggiarla.
Sotto questo punto di vista alcuni cattolici cominciano fin d'ora ad avvedersi, e ad ammettere che il loro smacco è dovuto più che ad altro, alle loro incessanti provocazioni contro l'Italia, ed al linguaggio comminatorio contro il loro stesso paese, laddove se si fossero mostrati più rassegnati e rispettosi sì nelle stampe, sì nelle pubbliche dimostrazioni in favore del Papa Re, essi
avrebbero molto verosimilmente vinto il partito e conservata la Legazione batava presso la S. Sede.
Interrogato in proposito da più settimane, e dacché il bilancio degli affari esteri venne presentato alla Camera, così dal Barone de Gericke come da varii membri della medesima, io risposi, come in passato, che la conservazione o la soppressione del posto presso la S. Sede era affare loro interno, nel quale io non dovevo né potevo intromettermi. Essere però mio dovere, poiché mi si faceva l'onore di toccare meco tale argomento, di far loro avvertire che si poteva benissimo mantenere od accreditare un oratore speciale presso il Papa (il che non poteva esserci discaro per sé) senza però inferirne la necessità da motivi di sfiducia, per non dire altro, verso il governo italiano, e potersi conseguentemente ed in ciò appunto consistere la vera politica, conservare corrette relazioni col Nono Pio, senza per nulla alterare le buone relazioni che si dovevano mantenere con Re Vittorio Emanuele; essere noi concilianti verso di tutti, e sempre pronti ad appagare qualunque legittimo desiderio ci si manifesti riguardo alle migliori condizioni, che si possono praticamente fare al Regnante Pontefice, verso il quale siamo devoti ed ossequenti non meno che gli altri cattolici; ma non poter mai tollerare che il diritto nazionale da noi accampato per la soluzione territoriale della questione romana venga comechessia messo in discussione da qualunque estera potenza, e sotto qualunque pretesto. La legge delle guarentigie da noi sanzionata e comunicata ufficialmente a tutti i gabinetti perché ne prendessero atto provvede a dovizia alle esigenze del mondo cattolico, nello stesso modo con cui l'articolo 11 delle medesime assicura agli agenti esteri presso il Papa tutte le immunità ed i privilegi onde abbisognano.
All'infuori di quanto abbiamo operato e per propria entratura sì per la tranquillità dei cattolici, sì per l'indipendenza spirituale, e pel decoro del Sommo Gerarca non poter noi entrare in ulteriori controversie sui fatti consumati.
Il mio franco linguaggio e la mia riservatezza vennero apprezzati, ed il Ministro degli Affari Esteri pronunciò sul mio conto alcune benevoli parole in seno degli Stati Generali.
Riserbandomi di mandare a V. E. il discorso di questo Ministro degli Affari Esteri, appena ne abbia ricevuto la traduzione, che ho commessa, Le rinnovo...
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1718. Parigi, 22 novembre 1871 (per. il 25).
Ho l'onore di segnalare all'attenzione dell'E. V. un articolo dell'odierno Journal des Débats che qui unisco e che mi affrettai ad additarle in via telegrafica.
Quest'articolo riferisce una conversazione che il Signor Thiers avrebbe recentemente avuta con una persona che non si nomina intorno all'eventualità della partenza del Papa da Roma e della sua venuta in Francia.
Il Signor Thiers avrebbe invero espressa l'opinione che questa venuta non sia probabile; ma il tenore generale delle sue dichiarazioni, malgrado ad una frase la quale dice espressamente che la Francia non esibisce la sua ospitalità al Santo Padre, non è per nulla tale da dover scoraggiare in un dato caso il Pontefice a cercare un asilo sul suolo francese. Il Signor Thiers avrebbe, secondo questa relazione, nominato il castello di Pau come la residenza che sarebbe assegnata al Capo della Chiesa cattolica.
Il noto carattere del JournaL des Débats e la forma stessa di questo articolo mi fanno credere ch'esso non sia stato pubblicato né all'insaputa del Signor Thiers, né forse senza una certa sua partecipazione.
IL MINISTRO A TOKIO, FE' D'OSTIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 17. Tokio, 22 novembre 1871.
Il Governo Giapponese, allo scopo d'intendersi colle principali potenze estere, sui preliminari dei nuovi trattati, le cui conferenze furono già annunziate da tempo pel 1° Luglio 1872, ha stabilito di mandare in America ed in Europa un'ambasciata composta del Primo Ministro degli Affari Esteri, del Primo Ministro delle Finanze e d'un altro Primo Ministro con seguito d'alti funzionarj ed interpreti.
L'ambasciata partirà da Yokohama il 22 prossimo Dicembre, per la via del Pacifico e sarà accompagnata sino a Washington dal Ministro Plenipotenziario Americano qui accreditato, Signor De Long.
In paese, si attribuisce molta importanza a questa Missione e da quanto qui si vede iniziare nella via del progresso e della nuova legislazione Europea, si crede che l'Ambasciata abbia istruzioni d'informarsi di quelle leggi e regolamenti esteri, che siano applicabili a questo paese.
Di ciò ne venne data ieri comunicazione ufficiosa dal Ministero degli Affari Esteri, il quale si riserva di farmi conoscere più tardi, l'epoca in cui la Missione intende, per la via d'Inghilterra e di Francia, recarsi in Italia.
Il desiderio del Governo Imperiale, espresso al Corpo Diplomatico perché desso abbia ad influire favorevolmente sull'opinione dei principi Giapponesi, per tutte le imminenti riforme, ha in pari tempo spinto loro medesimi a cercare relazioni coi diplomatici ed ora mai che la maggior parte dei principi stessi si trova in Tokio, parecchi mandano i loro biglietti alla Legazione e per mezzo degli interpreti s'informano quando sia possibile e conveniente fare la personale conscenza dei Ministri.
Questo nuovo stato di cose rende ancora più urgente l'allestire in modo convenevole i locali delle Legazioni ed è perciò che nuovamente raccomando all'E. V. quanto ebbi l'onore di esporre nei miei rapporti Serie Contabilità N. 8 e Politica N. 15 (1).
(l) Non pubblicati.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 166 (1). Tunisi, 25 novembre 1871 (per. il 30).
Ho l'onore di compiegare a V. E. la traduzione del noto Firmano (2) che il Bardo fece pervenire in via ufficiosa ai differenti Consolati, la quale traduzione confrontata con quella in arabo che venne pubblicata nel giornale ufficiale il Raid Tunsi, risponde nell'assieme all'altra data dalla Porta alla R. Legazione in Costantinopoli, salvo però le varianti col testo turco notate dal Cavalier Vernoni.
In occasione del Ramadan essendo stato come d'uso a far visita al Primo Ministro ed avendomi egli parlato del Firmano e dei nuovi vincoli che univano la Tunisia alla Sublime Porta, io gli risposi che come Agente del Re dovevo per ora serbare la massima riserva, ma che nel mio particolare non avevo luogo di farne i complimenti al Generale Khereddin. E qui il nostro discorso prendendo un tuono tutt'affatto confidenziale ed amichevole mi studiai di capacitarlo sulla vera portata dell'Hat Imperiale, che maggiormente si rilevava dalle restrizioni contenute nel testo turco, e forse appostatamente omesse nella traduzione in arabo ed in francese. Il Generale Sidi Mustafà mi fece comprendere che ora mai non era più il caso di rinvenirvi; del resto aggiunse in termini abbastanza espliciti che il Ministero italiano vi aveva grandemente contribuito minacciando il Generale Hussein di rivolgersi a Costantinopoli ove si continuasse a trovare resistenza da parte del Bey nella questione della Gedeida. Scusatemi -io replicai con calore -no, ciò non può essere, perchè l'Italia ha tutti i mezzi per rivendicare da sola i diritti de' suoi nazionali; tutt'al più sarà stato detto al Generale Hussein quanto io stesso vi dissi, cioè che la Società agricola italiana avrebbe finito per appellarsene a Costantinopoli, e che sarebbe stato meglio d'intendersi tra di noi per non dar luogo alla Turchia d'immischiarsi nelle cose di Tunisi. Se poi cercate un pretesto per nascondere lo scopo che volevate conseguire, sappiate che questo traluce apertamente dallo stesso Firmano nella parte che parla delle misure le più proprie per garantire la vita, la fortuna, l'onore delli abitanti della Reggenza, cui da lungo tempo miravano i più alti funzionari del Bardo, e tra questi non ultimo il Generale Khereddin. Bando dunque alle recriminazioni di cui per ora non è il caso, e da parte mia conchiuderò col ripetervi ancora una volta, sempre in via p1"ivata, che nell'interesse del Bey e della sua dinastia non posso andare contento dell'ordine di cose che avete instaurato. E qui finì la nostra conversazione, !asciandoci però nei migliori termini, anzi rinnovando l'uno all'altro, come al solito, le più sperticate dichiarazioni di amicizia.
Ravviso nell'istesso tempo mio dovere di unire eziandio in seno al presente
Rapporto la traduzione dall'arabo di un articolo estratto da un giornale che si
pubblica in questo idioma a Costantinopoli, e riprodotto dalla Gazzetta di Tunisi
subito dopo la parte ufficiale (1). Ove si parla della politica di alcuni Governi tendente ad allontanare il Bey dalla subordinazione verso la Turchia è facile vedere come si è voluto fare allusione alla Francia ed all'Italia. Tant'è che il Signor di Botmiliau, la cui suscettibilità in questo momento è grandissima, ne ha chieste per iscritto delle spiegazioni; io però ho stimato più conveniente di non darmene per inteso, e prima di muover passo aspettare le istruzioni di V. E.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, Al RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO
CIRCOLARE 94. Roma, 27 novembre 1871.
Questa mattina alle ore 11 venne inaugurata solennemente da S. M. il Re la nuova sessione del Parlamento con l'intervento dei capi di missione accreditati presso S. M. e dei membri delle legazioni rispettive.
Nel trasmetterLe qui unito la versione in lingua francese del discorso pronunziato in questa circostanza da S. M .....
ALLEGATO
DlSCORSO DEL RE AL PARLAMENTO
Messieurs les Sénateurs
Messieurs les Députés,
L'oeuvre à laquelle nous avons consacré notre vie est accomplie. Après de
longues épreuves d'espiation, l'Italie est rendue à elle-mème et à Rome.
Ici où notre peuple, après une séparation séculaire, se trouve pour la première
fois solennellement réuni dans la personne de ses Représentants; ici où nous re
connaissons la patrie de nos pensées, tout nous parle de grandeur, mais en mème
temps tout nous rappelle nos devoirs. La joie que nous éprouvons ne nous les fera
pas oublier.
Nous avons reconquis notre piace dans le monde en défendant les droits de la
nation. Aujourd'hui que l'unité nationale est accomplie et qu'une période nouvelle
commence pour l'Italie, nous resterons fidèles à nos principes. Régénérés par la
liberté, c'est dans la liberté et dans l'ordre que nous chercherons le secret de la
force et de la conciliation. Nous avons proclamé la séparation de l'Etat et de
l'Eglise. Ayant reconnu l'indépendance absolue de l'autorité spirituelle, nous pou
vons ètre convaincus que Rome capitale de l'Italie continuera à etre le siège paci
fique et respecté du Pontificat.
Nous parviendrons de cette manière à rassurer les consciences. C'est ainsi que,
par la fermeté de nos résolutions et par la modération de nos actes, nous avons
pu achever l'unité nationale sans altérer nos relations amicales avec les puissances
étrangères.
Les projets de loi qui vous seront présentés pour régler les conditions des
corporations ecclésiastiques seront conformes aux principes de la liberté; ils ne
toucheront qu'à la personnalité juridique et au mode de propriété, en laissant
intactes les institutions religieuses qui ont une part dans le gouvernement de l'Eglise
universelle.
Les affaires économiques et financières réclament en outre tous vos soins. Maintenant que l'Italie s'est constituée, il faut songer à la rendre prospère en rétablissant ses finances; nous n'y parviendrons qu'en persévérant dans les vertus qui ont été la source de notre régénération nationale.
De bonnes finances nous fourniront les moyens de renforcer notre organisation militaire. Mes voeux les plus ardents sont pour la paix, et rien ne nous fait craindre qu'elle puisse etre troublée. Mais l'organisation de l'armée et de la marine, le renouvellement des armes, les travaux pour la défense du territoire national, exigent des études longues et approfondies. L'avenir pourrait nous demander un compte sévère de notre négligence. Vous examinerez les mesures qui vous seront présentées à cet effet par mon gouvernement.
D'autres propositions importantes vous seront faites pour l'autonomie des Communes et des Provinces, pour la décentralisation administrative en tant que les forces de l'Etat n'en seront pas diminuées, pour la formation d'un code pénal unique, pour la réforme de l'institution du jury et pour accroitre l'uniformité et l'efficacité de l'organisation judiciaire. Nous parviendrons de cette manière à raffermir la sureté publique sans laquelle la liberté elle-mème n'est pas sans danger.
Messieurs les Sénateurs, Messieurs les Députés,
Un vaste champ d'activité s'ouvre devant vous: l'unité nationale qui est aujourd'hui accomplie aura pour effet, je l'espère, de rendre moins ardentes les luttes des partis dont la rivalité n'aura désormais d'autre but que le développement des forces productives de la Nation.
Je me réjouis de voir que notre population donne déjà des preuves non équivoques de son amour du travail. Le réveil économique suit de près le réveil politique. Les institutions de crédit se multiplient ainsi que les associations commerciales, les expositions des produits de l'art et de l'industrie et les congrès des savants. Nous devons, vous et moi, favoriser ce mouvement fécond ed donnant à l'enseignement professionnel et scientifique plus d'étendue et d'efficacité et en ouvrant au commerce des voies nouvelles de communication et de nouveaux débouchés.
Le percement du Mont Cenis est achevé; on est sur le point d'entreprendre celui du Saint Gothard. Le courant commerciai qui, parcourant l'Italie, aboutit à Brindisi et rapproche l'Europe des Indes aura ainsi trois passages ouverts à la locomotion à travers les Alpes. La célérité des voyages, la facilité des échanges augmenteront les relations amicales qui nous unissent déjà aux autres nations et rendront plus féconde l'émulation légitime du travail et de la civilisation.
Un brillant avenir s'ouvre devant nous. C'est à nous à répondre aux bienfaits de la Providence en nous montrant dignes de porter parmi les peuples les noms glorieux d'Italie et de Rome.
(l) Non pubblicata.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA
D. s. N. Roma, 27 novembre 1871.
Il R. Console a Liverpool scrive essergli stato riferito da persona che pel suo ufficio è addentro nei progetti del partito radicale che • Mazzini ed i mazziniani sono in questo momento molto attivi a Londra, e che i capi della setta lasciano intendere che si prepara un prossimo movimento in Italia •.
Senza voler attribuire a questa notizia un'importanza speciale il sottoscritto crede utile di comunicarla per sua informazione all'Onorevole Ministro dell'Interno, riserbandosi di fargli conoscere quanto i R. Agenti in Inghilterra riuscissero a scoprire di più positivo sullo stesso argomento.
L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4044. Pietroburgo, 29 novembre 1871, ore 16,45 (per. ore 1,35 del 30).
Le prince de Gortchakoff m'a reçu en visite avec beaucoup de courtoisie, en me disant que tout allait bien entre la Russie et l'Italie. A propos de l'établissement de la légation russe à Rome, il me laissa avec bienveillance entrevoir qu'on ne devait pas y attribuer la signification d'un empressement particulier de la part de la Russie. Dans un rapport que j'ai lu, le chargé d'affaires autrichien dit, d'après les informations que lui a données le ministre allemand ici, que le prince de Bismarck s'était attaché avec succès à convaincre Gortschakoff, à Berlin, que les entrevues n'avaient nullement atténué les sentiments cordiaux de l'Allemagne pour la Russie. A l'ambassade de France, on constate les sympathies allemandes du Chancelier. Le chargé d'affaires d'Espagne m'a dit que le Prince de Gortschakoff, à l'occasion que le roi a accepté les démissions Male campo, avait exprimé des voeux pour la consolidation de l'état actuel en Espagne, de manière assez marquée pour que je doive en informer V. E. Le chancelier a loué les résolutions prises en Espagne à l'égard de l'Internationale.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. RISERVATA 4942. Roma, 29 novembre 1871 (per. il 30).
Il sottoscritto ringrazia l'E. V. della comunicazione fattagli colla nota d'jeri (1), relativamente ai supposti tentativi di un prossimo movimento dei mazziniani.
Quantunque le condizioni interne non presentino al momento nessun grave indizio che possa avverarsi quanto fu riferito al Console di S. M. in Liverpool, nondimeno sarebbe opportuno che nelle ulteriori informazioni s'indicassero le località nelle quali si presume che possano scoppiare delle agitazioni per parte dei Mazziniani.
(l) Si tratta in realtà della nota n. 88 del 27 novembre.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSOLE GENERALE A LIVERPOOL, CAPELLO
D. s. N. Roma, l dicembre 1871.
Ho comunicato a S. E. il R. Ministro dell'Interno le voci che Ella ha raccolte, e consegnate nel pregiato suo rapporto del 20 novembre (l) intorno all'agitarsi che farebbe il partito mazziniano in Londra, al fine di provocare prossimamente in Italia qualche moto sovversivo.
Nel prendere atto di queste indicazioni, il Ministero dell'Interno mi chiede se non sarebbe possibile di completarle, od almeno di renderle meno vaghe, per ciò specialmente che si riferisce al punto del territorio del Regno ove gli accennati tentativi dovrebbero aver luogo. Faccio noto, per suo governo, alla
S. V., questo desiderio dell'Onorevole mio collega.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSOLE A MALTA, SLYTHE
D. s. N. Roma, l dicembre 1871.
Le accuso ricevuta del pregiato rapporto ch'Ella mi indirizzò il 15 novembre p. p. (2) relativamente ad un presunto progetto di sbarco di reazionarii sulle coste del Regno.
Malgrado le assicurazioni tranquillanti emesse da V. S. in quella comunicazione riguardo all'attuale contegno ed alle prevedibili intenzioni degli affigliati di quel partito che si trovano riuniti nell'isola di Malta, il Ministro dell'Interno mi informa essergli stato riferito che il 14 dell'ora spirato novembre sarebbesi tenuta costì un'adunanza dei membri più influenti di detto partito. Siffatta adunanza sarebbe stata promossa da un Comitato borbonico-clericale che si afferma essersi regolarmente costituito, e di cui il Sulivan Cutajar, oggetto del precedente mio dispaccio (2), avrebbe la presidenza, e certi Giovanni Bizzarelli, Gaetano Lagusti ed Eugenio Garein sosterrebbero le parti principali. Il Ministero dell'Interno desidera possedere particolareggiati ragguagli su questo fatto, colla necessaria sollecitudine, e perciò io devo raccomandare alla S. V., di operare a questo intento, nuove e diligenti investigazioni, e di riferirmene poscia il risultato. L'insistenza delle voci che pervengono al R. Governo circa le macchinazioni dei nemici del nostro paese residenti nell'isola di Malta, fa supporre che, ad onta forse di un'apparente quiete, quel partito si agiti e tenti di dar corpo a qualche ostile disegno. Io credo necessario pertanto di chia
mare la speciale attenzione della S. V. sulle conseguenze a cui potrebbe condurre per avventura una vigilanza meno assidua ed oculata su quelle agitazioni e quelle mosse, e sulla responsabilità a cui andrebbe incontro lo stesso Governo del Re laddove, in presenza di ogni possibile eventualità, apparisse sfornito delle necessarie informazioni per parte dei suoi Agenti all'estero.
Sono persuaso che V. S. saprà tener conto di queste considerazioni ed aver presente che talvolta anche talune circostanze di poca entità, in apparenza, possono meritare d'esser riferite perchè collegate a fatti d'importanza maggiore.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 918. Berlino, l dicembre 1871 (per. il 6).
J'ai l'honneur de remercier V. E. de m'avoir communiqué par sa dépeche du 27 Novembre échu -sans numero (l) -le discours royal inaugurant la session législative à Rome. J'avais déjà eu l'occasion avant hier d'en parler avec
M. le Conseiller Abeken qui remplace depuis quelques jours au Ministère le Secrétaire d'Etat absent pour cause d'indisposition. Je m'étais prévalu à cet effet des indications fournies par voie télégraphique. Le Ministère n'avait encore reçu à ce sujet aucun télégramme de la Légation Impériale.
En attendant les journaux font ici une mention très honorable du discours de Notre Auguste Souverain. Il ont vu, entre autres, avec satisfaction, le passage relatif au St. Gothard.
J'ai su par M. Abeken que si le Comte Brassier n'a pas reçu, à cause de l'état de sa santé, l'ordre positif de se rendre à Rome dans cette circonstance qui fait époque dans l'histoire contemporaine, il lui a été cependant écrit qu'on aurait ici vu avec plaisir sa présence à l'ouverture de notre Parlement. Dans le cas où il ne se sentirait pas assez en forces pour faire cette course, il devrait se faire représenter à la solennité par le Comte de Wesdehlen et par les deux attachés à la Mission Impériale.
D'après la manière de voir de M. Abeken, il croyait, comme M. de Thile (rapport N. 915) (1), que l'état maladif du Comte Brassier ne lui permettrait guère de continuer une carrière dans laquelle, chacun devait le reconnaitre, il a acquis tant de titres à la bienveillance Souveraine. Mais l'assurance m'a été donnée que jusqu'à ce jour on ne s'était pas occupé à lui chercher un successeur, lors meme que certaines gazettes citent déjà quelques candidats, nommément le Comte de Perponcher actuellement Ministre à la Haye. Le cas échéant, on aviserait à choisir un diplomate persona grata, et qui aurait, comme M. Brassier, l'instruction d'entretenir les meilleures relations entre les deux cours et les deux pays.
(l) Cfr. n. 232.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 919. Berlino, 1 dicembre 1871 (per. il 6).
Le Baron de Mlinch Chargé d'Affaires d'Autriche a communiqué au Cabinet de Berlin la circulaire adressée par le Comte Andrassy aux Ambassades et Légations Impériales et Royales, à l'occasion de son entrée au pouvoir.
Les termes, en ce qui concerne la politique étrangère, sont tout à fait conformes aux assurances qu'il avait déjà données dans ses entretiens l'automne dernier avec le Prince de Bismarck. On ne doute pas un seui instant ici qu'il s'appliquera soigneusement à conserver les bons rapports existants avec l'Allemagne, surtout depuis les entrevues d'Ischl et de Salzbourg. De son còté, le Cabinet de Berlin s'y prete très volontiers, car tel est son intéret évident pour des motifs que j'ai déjà développés dans ma correspondance. En meme temps, il ne néglige pas non plus de se concilier les sympathies de la Russie et de contrecarrer ainsi dans le présent et pour l'avenir les tentatives éventuelles de la France de chercher un appui auprès du Tsar.
L'envoi à St. Pétersbourg du Prince Fréderic Charles et de quelques officiers généraux pour assister à la solennité annuelle, à l'occasion de la fete de St. Georges, se rattache sans doute à cet ordre d'idées.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1728. Parigi, 2 dicembre 1871 (per. il 6).
Jeri, appena giunto, mi recai da questo Ministro degli Affari Esteri. Trovai il Signor di Rémusat nelle medesime disposizioni, eque e benevole verso l'Italia, nelle quali l'E. V. lo trovò a Torino nello scorso Settembre. Io gli partecipai le impressioni meco portate dal mio recente soggiorno in Roma e dalle conversazioni avute con S. M. il Re, coll'E. V., con alcuni dei Ministri di S. M. e con molti degli uomini politici del nostro paese, impressioni che se sono fondate, come confido, nella verità fanno augurare un periodo di pacificazione negli spiriti delle nostre popolazioni e di calma operosa e feconda. Parlando delle disposizioni d'animo in cui si trova il Sommo Pontefice il Signor di Rémusat mi disse che le notizie da esso lui ricevute gli davano ragione di credere che il pericolo della partenza di Pio IX da Roma fosse per ora, se non scomparso, almeno allontanato. Io osservai a questo proposito che l'opinione generale in Italia era d'accordo con questo apprezzamento e che noi credevamo che il Sommo
Pontefice continuerebbe a rimanere al Vaticano se dalla Francia non giungeranno incoraggiamenti, consigli ed inviti che siano di natura tale da fargli mutare di proposito. Il Signor di Rémusat rispose subito che certo tali consigli non sarebbero dati al Papa dal Governo Francese il quale, se dall'un canto è disposto a dare a Sua Santità, ove lo chiegga, l'ospitalità rispettosa della Francia, dall'altro lato non disconosce gli inconvenienti che trarrebbe seco la presenza del Papa sul suolo Francese e desidera quindi che rimanga in Roma.
• Non ho mai dubitato risposi al Signor di Rémusat di queste sagge disposizioni del Governo francese; gli incoraggiamenti e gli inviti di cui parlo si riferiscono più specialmente al partito clericale che è numeroso e potente nel vostro paese e nel seno stesso dell'Assemblea. Questo partito, se veramente gli stesse a cuore l'interesse della Chiesa, dovrebbe riflettere alle gravi conseguenze che può avere pel Papato e per la Chiesa Cattolica la partenza del Papa da Roma ed il suo soggiorno in Francia. La presenza di Pio IX in Roma dà al Governo del Re la forza necessaria per resistere alle tendenze del partito avanzato che esiste in Italia come altrove ed il quale nella questione delle Corporazioni Religiose, nell'applicazione della legge di garanzia ed in altri simili questioni vorrebbe eccedere quegli equi limiti che il partito moderato è deciso di non oltrepassare. Se il Papato leva la sua sede da Roma niuno può sapere quando ci potrà rientrare e se ci potrà rientrare. Ed anche se un futuro ritorno fosse possibile questo si effettuerebbe in condizioni molto meno favorevoli pel Papato di quelle in cui ora si trova •.
Nel seguito della mia conversazione parlai al Signor di Rémusat della condotta sconveniente del Console di Francia a Civitavecchia. Io dissi al Signor di Rémusat: • Non vi domando ufficialmente per una considerazione di convenienza verso la Francia e di giusta deferenza per la vostra persona il richiamo di questo Ufficiale Consolare. Ho troppa fiducia nella vostra stessa equità e nei sentimenti di alta convenienza del Governo Francese perchè io non dubiti che sarà stato sufficiente che io vi abbia segnalato questa condotta d'un vostro Agente verso l'Autorità del Paese in cui risiede e l'impressione profondamente spiacevole che essa ha prodotto nel Governo del Re il quale vi lascia quindi giudice delle disposizioni a prendere a questo riguardo •.
Il Signor di Rémusat mi rispose che quell'Ufficiale Consolare non tarderebbe a ricevere un'altra destinazione domandata del resto dallo stesso Signor de Tallenay.
Ho domandato al Signor di Rémusat se fosse probabile che la sede del Governo e dell'Assemblea si trasportasse in breve da Versaglia a Parigi. Il Signor di Rémusat mi disse che l'intenzione e il desiderio del Presidente della Repubblica e del suo Governo erano difatti nel senso di una tale risoluzione. • Teoricamente parlando, diss'egli, la sede di un Governo in una città non popolosa e tranquilla può presentare vantaggi che io sono ben lontano dallo sconoscere. Ma ragioni storiche e pratiche, quelle stesse ragioni che portavano la sede del vostro Governo a Roma facendovi abbandonare successivamente Torino e Firenze chiamano necessariamente tosto o tardi il Governo della Francia a Parigi •. Tuttavia il Signor di Rémusat non si mostrò ben sicuro che la maggioranza dell'Assemblea voglia decidersi per ora a questa risoluzione, ed accennò anzi che alcuni fatti recenti, come la dimostrazione degli studenti a Parigi e le agitazioni popolari di Brusselle abbiano contributo a creare ostacoli per un pronto trasferimento.
L'apertura della nuova sessione dell'assemblea Nazionale, avrà luogo lunedì 4 corrente ed essa sarà inaugurata a quanto si assicura, da un Messaggio del Presidente della Repubblica.
IL CONSOLE GENERALE A DUBLINO, CATTANEO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. l. Dublino, 2 dicembre 1871 (per. il 9).
La solenne apertura del Parlamento in Roma ha provocato per parte del partito Cattolico Irlandese un nuovo sfogo d'ira e di violenti diatribe contro l'Italia, il suo Governo e l'Augusta persona di S. M. Quasi tutti i periodici di quel partito, quali più, quali meno, contenevano nelle loro colonne dei giorni scorsi articoli talmente provocanti ed ingiuriosi per noi da eccedere ogni limite e non trovare riscontro nella stampa di qualsiasi altro paese.
Il Freeman, giornale del Cardinale Cullen, si distinse fra tutti per la sua violenza e per le sue personalità verso del Re e della Reale Famiglia. Non contento di snaturare fatti ne inventò altri e fra le altre amenità volle considerare un forte temporale che scoppiò in Dublino nella sera di Lunedì scorso come un segno evidente dell'ira celeste per la cerimonia che si era compiuta quel mattino in Roma.
Ogni linea, ogni frase di quell'articolo contiene una menzogna od una ingiuria; qui compiegato ne trasmetto il testo (l) onde V. E. possa essere convinta come, fino a qual punto questo clero abusi della sua sacra m1sswne e di quale intelligenza creda dotato il suo gregge a cui pretende somministrare così poco edificanti letture.
Altro articolo dello stesso foglio, in data 23 Novembre scorso conteneva pure simili violenti espressioni; qui compiegato pregiomi pure trasmetterlo a V. E. (1).
A malgrado dell'animosità che per ogni dove traspira verso le cose nostre non credo però che l'Italia abbia a temere che dall'Irlanda si possa provocare qualche manifestazione da turbare la tranquillità pubblica in Roma o nelle provincie. Nello stato d'agitazione in cui si trova questo paese per le varie questioni di politica interna, agitazione che col tempo andrà aumentando, non è probabile che il partito cattolico possa occuparsi seriamente del Potere temporale. È bensì vero che esiste qui una società che ha tale scopo. Essa s'intitola • The league of St. Sebastian • ed è composta in gran parte da antichi zuavi pontifici e di vari membri del clero. Il 4 dello scorso Novembre tenne un meeting al Gresham Hotel che è considerato uno dei più rispettabili alberghi
di Dublino. Tra le persone che intervennero a quell'adunanza eranvi i Signorl Teeling, O'Clory, Kenyon, Coombs, De La Hoyd, tutti dei zuavi pontifici; il Signor Taaffe, il Professore O'Reilly, I. O'Brien, il Padre Delang ed il Signor
l. Talbot Power, membro del Parlamento. L'adunanza era presieduta da quest'ultimo e nella stessa fu deciso di dare alle stampe un nuovo giornale col titolo di Crusader collo scopo di propugnare gli interessi del Papato, la restaurazione del potere temporale e nell'istesso tempo di tenere informati i suoi lettori di tutto quanto si riferisce alle altre società cattoliche, negli altri paesi, che si propongono lo stesso scopo.
Detto giornale deve venire alla luce in questo mese, ed io mi proporrei, quando V. E. credesse di autorizzarne la spesa, di prenderne due esemplari, l'uno per uso di questo Consolato l'altro per quello del R. Ministero e sul quale, prima di spedirlo annoterei gli articoli che meriterebbero di essere segnalati a V. E.
Nell'interesse del servizio, faccio acquisto giornalmente del Freeman e dell'Irish Times. Pregherei V. E. a volermi segnare se la spesa di uno di detti giornali non potrebbe essere portata a carico del R. Governo.
(l) Non pubblicato.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 130. Belgrado, 4 dicembre 1871 (per. il 12).
Una maggior luce scende ogni dì a rischiarare i motivi ed i disegni del Governo serbo quando con tanto ostentamento e subitezza dimostrò all'Europa che agli occhi suoi la politica seguita fino allora dovea essere radicalmente mutata.
I colleghi miei ed il Signor Kallay stesso, dichiaransi contenti delle spiegazioni avute, e delle assicuranze ripetute che la Serbia vuoi mantenersi stretta ai trattati ed intende vivere in buona armonia coi suoi vicini; dichiarazioni inutili, perchè a nessuno cadrà in mente che la Serbia possa da sè sola agire in altra guisa. Le convenzioni non sono per sicuro violate, ma sto chiedendomi cosa rimane intatto del trattato di Parigi, precipuo intendimento del quale fu il distruggere l'ascendente della Russia nel Levante, quando questo ascendente ripiglia la sua antica forza e se muta in alcuna guisa, accresce il numero dei popoli sui quali vuol farsi sentire e disturba la tranquillità interna non di un solo, ma di due imperi.
Nei loro colloqui meco i Signori Reggenti non nascondono il loro malcontento ed i motivi di esso contro l'Austria-Ungheria; anche il Signor Blasnavatz che non s'era lasciato indurre ad usare la stessa forza di termini del suo collega, diceami l'uno di questi giorni che da un anno non avea la Serbia ricevuto che schiaffi da quello stato; prima che il Conte Beust (mentre l'Agente suo in Belgrado spingeva l'azione sua fino ad offrire l'aiuto del suo Governo a favorire gli intendimenti del Principato nella Bosnia) minacciava in un pubblico docu
20 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
mento di schiacciare la Serbia e le aspirazioni sue nazionali con tutta la forza della monarchia: poscia alle conferenze di Londra l'inviato serbo era dai plenipotenziari austro-ungheresi accolto con freddezza e diffidenza rimarchevolissima, ed a proposito della questione fluviale le giuste domande della Serbia erano da quelli combattute: poco appresso il tribunale di ultima istanza a Pest rivocava con un'assolutoria le condanne di due altri tribunali contro il Karagiorgevic; e mentre il Signor Kallay istruiva i Reggenti, dei sette giudici quattro magiari aveano voluto una nuova condanna mentre tre slavi pronunciavano l'assoluzione, le informazioni avute proverebbero che la cosa sta al rovescio; e qui si vuole che la sentenza sia stata dettata da cagioni politiche e che l'Ungheria voglia usare il Karagiorgevic e le pretese sue dinastiche per incutere timore e mantenere la Serbia stretta a servitù. Fino a quel giorno il Blasnavatz resisteva alla voce di chi consigliava il mutamento succeduto, e solamente vi si risolvette scorgendo vane e menzognere tutte le promesse e le dichiarazioni di benevolenza ricevute.
In Belgrado si porge grande attenzione al linguaggio delle gazzette: e se la • Riforma • di Pest pubblicava alcun articolo dispiacente se ne accusava il Conte Andrassy come inspiratore, nella stessa guisa in cui il Blasnavatz !tesso si vedea insultato in tante pubblicazioni passate del Golos: il Kallay è accusato di una stessa colpa, mentre dal lato suo egli respinge al Ristic lo stesso sospetto. È verissimo che allorquando i Czechi sforzavansi a mutare a loro profitto l'assetto della monarchia Austro-Ungarica, si malediceva da ogni lato alla Serbia serva dell'Austria e nemica ai fratelli, il Blasnavatz fra le altre spiegazioni della sua condotta dicea che i giornali avversi rappresentevano le opinioni di cento milioni di slavi.
La Serbia negli ultimi tempi si pose in comunicazione e contraccambiò spiegazioni e dichiarazioni sia col Montenegro sia col partito nazionale o separatista della Croazia; non è sicuro, anzi crederei che in realtà non v'ha nulla di scritto: ma la migliore armonia regna fra essi: i Croati avrebbero dichiarato di non volere la Bosnia, la Serbia avrebbe dichiarato di non volere la Croazia turca; la Serbia che un anno fa per bocca del Blasnavatz dichiarava che il federalismo nella monarchia vicina sarebbe la rovina della Serbia, dichiara oggi che solamente col federalismo si può provvedere colà alla quiete ed al contentamento delle nazionalità: di più mi si dice che la Serbia non vuole impossessarsi della Bosnia, non vuole spendervi il suo sangue ed i suoi danari; essa crede avere tuttavia il diritto di volere che i Serbi della Bosnia sieno liberati dall'amministrazione che li sgoverna e sieno chiamati ad una condizione di progressiva libertà di autogoverno.
Quando si osserva ai Signori Reggenti che i desiderii dell'Europa occidentale, i voti che fannosi per il benessere della Serbia, includono la speranza ch'essa sappia mantenere la sua individualità e difenderla da un ascendente troppo pericoloso o minaccevole, essi rispondono che nessuno ha in ciò migliore interesse che essi stessi; essi dicono che le proteste loro fatte a Livadia guarentiscono questa loro intera autonomia e che gli interessi della Russia convergono agli scopi istessi verso i quali dirigonsi le aspirazioni del Principato.
Se si analizzano nei discorsi che s'odono queste aspirazioni si può cosi conchiudere: la Serbia pone a capo dei suoi desiderii la ricostituzione storica del Regno serbo riconoscendo in pari tempo i diritti storici del regno trino croato: essa si lusinga che la sua dinastia sia chiamata ad esercitare una egemonia bene accolta, desiderata e provocata dagli altri slavi del sud per la formazione di uno stato federativo o di una confederazione di Stati: e se, scoppiata una guerra, e combattutosi vittoriosamente dalla Russia simultaneamente in Galizia e nel Mar Nero il mondo slavo fosse con forza irresistibile attratto verso quel Potentato, la Serbia vuoi piuttosto perdere o vedere sminuita la indipendenza legata essa stessa ed i popoli della stessa razza ad uno stato, che per essere di altra origine, è considerato come conquistatore.
Persisterà la Serbia nella politica inaugurata? V'ha modo di indurla a mutarla un'altra volta? Se alla Russia mancasse, come all'Austria mancò, il modo di mantenere alcune delle promesse fatte più o meno esplicitamente alla Serbia, o se l'Austria-Ungheria trovasse l'occasione di mettere ad eseguimento parte di ciò ch'essa lasciava promettere, non v'ha dubbio che potremmo assistere ad un nuovo cangiamento: e che l'Austria-Ungheria voglia provarsi di nuovo allo stesso giuoco si può fin d'ora indurre dal linguaggio delle gazzette ufficiose di Pest, ove per la prima volta io vedo concesso, negli ultimi giorni, che i Serbi della Bosnia hanno l'occhio ed il pensiero volto alla Serbia e che la propagazione dell'ascendente di questa vi fa ogni dì un nuovo progresso.
So che mi è ordinata la massima riservatezza ed oso assicurare V. E. che non me ne discosto: ma non posso a meno nella corrispondenza col Ministero di dolermi di dovere assistere all'intera distruzione dell'ascendente delle potenze occidentali presso questi popoli: la colpa non ricade sull'Italia, la quale era costretta a rispettare le diffidenze e le suscettibilità di quegli altri Governi che credeano l'integrità dell'Impero Ottomano minacciata ogni volta si trattava di migliorare le condizioni dei cristiani, ma il fatto deve essere senza ambagi fatto manifesto, affinchè vi si provveda se credesi che lo si debba e lo si possa. Se alle antiche alleanze occidentali sostituissersi nuove e più potenti, e sovratutto più concordi in un'azione comune in Levante, si combatterebbe forse efficacemente quell'ascendente al quale credeasi nel 1856 porre ostacoli più duraturi. Quest'ascendente, com'è notissimo a V. E. minaccia oggi più direttamente che la Turchia la monarchia Austro-Ungarica; se oggi la Serbia non è per sè una potente nemica, e se oggi forse i serbi e jugoslavi della frontiera militare non sarebbero smossi nella loro fedeltà all'Imperatore e Re, tanti sono tuttavia gli elementi dissolventi nell'Ungheria, tante le fazioni e tanti gli intrighi dall'interno e dall'esterno, che il sostegno il quale dalla Serbia sarebbe loro promesso potrebbe essere il segno della loro defezione. Forse non so a sufficienza svestirmi delle idee dalle quali fui nutrito fin dal principio della mia carriera in Oriente nè dell'insegnamento ch'io credetti ritrarre dallo studio delle cose orientali; e non so dimenticare una pagina della meditazione sulle condizioni probabili della civiltà, nella quale l'illustre Cesare Balbo discorse della • nuova minaccia russa del volere riunire tutte le popolazioni slave • e ciò descrive • un pericolo vero, prossimo e grande
che corre la civiltà •; il negarlo, dice stoltezza: e non riconosce contro di esso che un rimedio efficace ma prudente : egli vuole che • si invigilino francamente, continuamente, lungamente, perpetuamente: doversi non lasciarli accrescere d'un passo, non perdere un'occasione di scemarli, ed afferrar quella, se mai, di distruggerli •.
La prego, Signor Ministro, a volere scusare questa digressione e questa citazione.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4051. Parigi, 5 dicembre 1871, ore 14,20 (per. ore 16,05).
J'ai vu M. Thiers. Il m'a assuré que pour sa part il n'a donné et ne donnerait au Pape aucun encouragement pour quitter Rome et qu'il désire qu'il reste. Il m'a prié de Vous recommander tous les menagements envers Sa Sainteté, ainsi que ... (l) son Message, qui sera lu demain ou après-demain, sera un Message d'affaires à l'Américaine. Il présentera le budget en équilibre. Il a ajouté qu'il ne s'occupe nullement et ne veut pas s'occuper de politique étrangère en ce moment.
IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 98. Washington, 5 dicembre 1871 (per. il 25).
Nella giornata di jeri seguì l'apertura della sessione del Congresso e, secondo l'uso, il Signor Presidente comunicò ad esso il messaggio che contiene l'esposizione del presente stato della repubblica.
La prima parte del messaggio riguarda le relazioni estere, e nel parlare del Trattato di Washington dice le seguenti parole: • S. M. il Re d'Italia, il Presidente della Confederazione Svizzera e S. M. l'Imperatore del Brasile aderirono alla domanda loro fatta dalle parti contraenti di nominare un arbitro al Tribunale di Ginevra. Ho ordinato che siano rese le dovute grazie per la prontezza con la quale essi si prestarono a nominare persone di elevata posizione e di grande sapienza per siffatta missione •.
E più innanzi: • Sono stato ufficialmente informato dell'annessione degli
Stati della Chiesa al Regno d'Italia e del trasferimento della Capitale di quel
Regno a Roma. In conformità alla costante politica degli Stati Uniti ho rico
nosciuto questo mutamento. Le ratifiche del nuovo trattato di commercio fra
gli Stati Uniti e l'Italia furono scambiate. Le due Potenze convennero per
questo trattato che la proprietà privata sul mare sarebbe inviolabile in caso di guerra fra di esse. Gli Stati Uniti non hanno perduta alcuna occasione per introdurre questo principio negli atti internazionali •.
Ed entrando a discorrere delle relazioni della Russia usò le seguenti parole che formeranno un precedente assai degno di osservazione in simili circostanze:
• Le relazioni d'intima amicizia che da lungo tempo esistono fra gli Stati Uniti e la Russia non furono alterate. La visita del terzo figlio dell'Imperatore prova che quel Governo non ha alcun desiderio di diminuire le cordialità di queste relazioni. L'ospitale accoglienza fatta al Granduca prova che dal canto nostro partecipiamo il desiderio di quel Governo. L'imperdonabile condotta del Ministro di Russia a Washington rese necessario di domandare il suo richiamo, e di declinare di continuare a ricevere quel funzionario come rappresentante diplomatico. Era impossibile pel proprio decoro e per la dignità del paese di permettere al Signor Catacazy di continuare ad avere relazioni con questo Governo dopo le ingiurie da esso lanciate contro i pubblici funzionari, ed in presenza della sua persistente intervenzione di vario genere nelle relazioni fra gli Stati Uniti e le altre Potenze. A seconda dei miei desideri questo Governo è stato liberato da ogni ulteriore relazione col Signor Catacazy e la direzione degli affari della Legazione Imperiale è passata nelle mani d'una persona interamente soddisfacente •.
Sulle questioni concernenti le relazioni con la China e col Giappone, non che quelle col Venezuela il Presidente domanda al Congresso di prendere in considerazione la relativa corrispondenza e d'esprimere il suo avviso in proposito.
E quanto alle relazioni colla Spagna a proposito di Cuba s'esprime in termini assai moderati e concilianti.
Il Presidente entra poscia a trattare delle questioni interne, e di esse mi riservo d'intrattenere largamente l'E. V. quando verranno in discussione innanzi al Congresso.
(l) Gruppi indecifrati.
IL CONTE KULCZYCKI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM
(AVV)
L. P. Roma, 5 dicembre 1871.
Un des membres du Corps Diplomatique m'apprend qu'avant-hier soir, 3 Décembre, il a été reçu par le Pape, qu'il a trouvé en parfaite santé. Le Saint-Père lui a dit qu'il se proposait de tenir un consistoire vers le 20 courant, il s'est extremement plaint des procédés de l'Empereur du Brésil, il a dit qu'il en était vivement peiné surtout parce qu'ils constituaient un déplorable précédent pour tous !es Souverains qui viendront à Rome et qui se croiront autorisés par l'exemple du Souverain Américain à fréquenter simultanément le Vatican et le Quirinal, tandis qu'aucun des monarques européens
n'eut osé prendre l'initiative d'une pareille duplicité. Enfin le Pape a déclaré qu'il voulait demeurer inébranlable dans la question de l'exequatur et a amèrement blàmé le Gouvernement Italien de ce qu'il forçait les nouveaux évèques à faire la demande de l'exequatur sur du papier timbré en les soumettant à une faule de formalités et en les contraignant à attendre la reconnaissance de la validité de leur nomination, validité, a dit le Pape, qui doit etre discutée par le Conseil des Ministres.
Je ne sais pas si Pie IX est exactement renseigné et s'il n'a pas des
idées erronées sur les obligations qui sont imposées aux éveques. Vous saurez
mieux que moi s'il s'agit de rectifier les idées du Pape ou de simplifier
et d'abréger le mode d'application de cet article de la loi des garanties.
On fait grand bruit au Vatican de l'incident raconté par la Voce della Verità, récit dont je joins le texte. Il serait bon de faire sans délai une enquète à ce sujet et de prévenir, par une note de l'Opinione, les commentaires sans nombre de la presse ultramontaine et les dépeches de M. d'Harcourt, qui sont dictées par Monseigneur Nardi, lequel, camme vous le savez, est précisément l'auteur des entrefilets du journal des jésuites.
Les efforts pour décider le Pape à partir ont redoublé ces jours-ci d'énergie. J'ai remarqué que, pour la première fois, des prélats affirmaient d'une manière préremptoire que le Pape partira. Le Corps Diplomatique près le Saint-Siège croit pouvoir garantir le contraire. Je crois davantage aux prélats.
L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 131. Belgrado, 6 dicembre 1871 (per. il 21).
Non v'ha che un solo oggetto che richieda l'attenzione del Governo del Re verso questo paese, ed ad ogni nuova informazione che raccolgo credo mio debito farla senza indugio giungere a V. E.
Gli statisti serbi accarezzano l'idea di riuscire ad interessare alla sorte dei cristiani sudditi diretti del Sultano la benevolenza di tutti i Potentati Europei. Essi dicono che dalla Russia ebbero l'assicurazione che un buon successo ottenuto dalla Serbia sarebbe tenuto a buona ventura per essa stessa, e che le aspirazioni del Principato godono della simpatia e dei voti suoi. Quindi non è esatto, diceasi a me, che noi ci avanzammo verso la Russia, fu la Russia che si avanzò verso di noi.
Non desideriamo la guerra: non la vogliamo fare: non vogliamo spendere nè sangue nè danari per conquistare la Bosnia: • nous sommes des pères de famille, aussi •; • ma vorremmo ottenere che l'una, o due, o più, o tutte le Potenze si provassero a far valere presso la Porta i motivi che esigono una migliore amministrazione delle provincie cristiane: noi sappiamo in qual modo il loro benessere possa essere procurato; noi diamo prova di una buona, prudente, savia, libera e progressiva amministrazione: e se solamente ci si concedesse di pigliar parte al Governo della Chiesa e della istruzione, vedrebbesi in poco tempo fiorire e progredire una popolazione oggi fra le più rozze e le più ineducate dell'Oriente: non vogliamo mettervi che un dito • e qui soggiunsi' (provocando un sorriso ed un • col tempo, forse •) • e poi la mano ed il braccio • .
• Sappiamo che il Conte Andrassy era sincero quando voleva aiutarci a giungere a questo scopo: sappiamo ch'egli fece parlare ed indagare a Costantinopoli; lo sappiamo di certa sorgente: ma a che valse? Queste erano dichiarazioni ed azioni private, quasi segrete, e noi non poteamo col divulgarle, diminuire presso il nostro popolo il disastroso effetto cagionato dalla nota del Conte Beust. Come poteamo noi lusingarci di mantenere a noi favorevole l'opinione generale dopo l'assoluzione del Karagiorgevic? Perchè fu il Conte Andrassy sì poco cauto e perchè non mise in uso ogni suo ascendente per ottenere una sentenza diversa? N o n chiedevamo una grave condanna, ma una condanna la ci si volea, perchè il popolo serbo non dicesse che la terra ungherese era terra libera a chi vi cospirava la morte di un suo Principe. Dicemmo ripetemmo al Signor Kallay che non saremmo padroni dell'opinione pubblica e che lasciar credere al paese che una politica intima continuerebbe ad essere coltivata coll'Ungheria, sarebbe stato il voler esser cacciati dal Governo •.
Trascrivo le parole dettemi e credo ch'esse interpretino fedelmente il pensiero dei Reggenti i quali nondimeno persistono a dichiarare che nulla è mutato e che desiderio loro è di coltivare buone ed uguali relazioni con ciascuno dei Governi garanti.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 924. Berlino, 8 dicembre 1871 (per. il 12)
Lo Reichstag tedesco inaugurò il 16 ottobre ultimo i lavori della seconda sessione parlamentare, e li ha chiusi il primo del corrente mese. Ciò si fece senza alcuna solennità e con la semplice lettura di un rescritto Imperiale. A questo modo di procedere che in altri tempi sarebbe passato inosservato, si volle dare da alcuni un altro significato, giacché la sessione veniva chiusa il giorno stesso della votazione definitiva della legge militare, nella quale il Governo aveva avuto una debole maggioranza. Il rescritto Imperiale però esprime ai rappresentanti della nazione i ringraziamenti dell'Imperatore e dei Governi confederati per la loro attività e per la loro abnegazione.
Certamente nessuna assemblea meritò meglio dello Reichstag tedesco questa assicurazione della soddisfazione Sovrana: basti il gittare un colpo d'occhio sui lavori da esso compiuti.
Nel breve periodo della cessata sessione la Presidenza del Consiglio federale ha presentato 23 progetti di legge, due trattati, e due altre proposte di minore importanza.
I membri del parlamento hanno presentato cinque proposte e fatte nove interpellanze: furono inoltre deposte 367 petizioni. Le commissioni e le sotto commissioni hanno presentato in tutto 21 relazioni scritte ed 8 orali. Furono convalidate 14 elezioni, 3 vennero dichiarate non valide, e 2 non poterono essere esaminate. Lo Reichstag tenne 36 sedute plenarie, e le commissioni e le sotto commissioni complessivamente 116.
F;ra i progetti di leggi o proposte, stanno in prima linea i bilanci del prossimo anno, inclusivamente quello della guerra, la legge monetaria, e quella per la formazione di un tesoro di riserva per l'eventualità di una guerra.
Coi bilanci dell'Impero venne stabilito un rapporto normale tra l'amministrazione del medesimo, e quella dei singoli stati che lo compongono, mentre coll'impiego di una parte dei fondi disponibili sull'indennità di guerra pagata dalla Francia i singoli stati Federali sono liberati da quelle anticipazioni che essi erano obbligati di versare per l'amministrazione generale: questo sgravio s'effettuerà principalmente mediante l'assegnazione di anticipazioni per l'amministrazione dell'esercito Imperiale.
E giacché mi occorre di parlare di quest'ultimo, rammenterò all'E. V. il mio rapporto di avant'ieri (1), aggiungendo che se nella questione militare, il Governo non ebbe che una meschina maggioranza, tuttavia il paese vidde che nello Reichstag all'infuori degli elementi estremi dell'opposizione, tutti i partiti erano d'accordo col Governo sul principio che nelle circostanze attuali la Germania debba restare sempre pronta alla battaglia e non toccare quindi gli elementi della sua forza.
Fra le leggi finanziarie sono ad annoverarsi quella relativa alle entrate
ed alle spese della cessata Confederazione tedesca del Nord per l'anno 1870,
un progetto di legge per l'impiego del sopravanzo dell'anno 1870: uno per il
pagamento dello imprestito federale contratto il 21 Luglio detto anno: uno
per la sovramenzionata assegnazione di anticipazioni in danaro per l'ammi
nistrazione dell'esercito Imperiale: uno per il controllo dell'amministrazione
dell'Impero per l'anno 1871: un progetto di legge per autorizzare i circondari
ed i comuni a prelevare dalle somme a pagarsi dalla Francia i fondi occorrenti
per sussidi accordati agli uomini della Landwehr, e della riserva, chiamati sotto
le armi, e finalmente un progetto di legge per i bisogni pecuniari delle ferrovie
dell'Alsazia e della Lorena.
A queste leggi di natura finanziaria altre se ne aggiungono di interesse
economico come p. es. quella sulle poste, e sulle tasse postali, la legge relativa
ai terreni compresi nel raggio delle fortezze, la convenzione delli 12 ottobre
in aggiunta al trattato di pace colla Francia, e quella per il valico alpino attra
verso il S. Gottardo.
Fra i trattati internazionali va annoverato quello di estradizione conchiuso
da noi colla Germania.
A questi progetti di legge tien dietro altra lunga serie di leggi e di proposte relative all'amministrazione interna dell'Impero cioé gli atti legislativi mediante i quali vennero estese in forma di leggi dell'Impero agli stati meridionali della Germania le istituzioni vigenti nella cessata Confederazione tedesca del Nord. Con questi atti legislativi non venne distrutta l'autonomia dei singoli stati, ma assimilati fra loro e posti, oltre le leggi destinate all'unificazione, per le questioni e le materie di competenza Imperiale, sotto una sola e suprema direzione, venne d'assai facilitato l'andamento degli affari, e stabiliti fra stato e stato più intimi e migliori rapporti.
Per ciò che ha tratto alla legislazione una sola proposta venne fatta, e questa per iniziativa governativa. Vo' parlare dell'aggiunta al codice penale tedesco diretta contro le agitazioni politiche provocate dagli ecclesiastici.
Probabilmente l'occasione mancherà per applicare la nuova disposizione, ma intanto e con ragione i liberali si rallegrano di un fatto. La Baviera invasa dagli ultramontani, ed il Governo esposto ad una lotta che prende ogni ora proporzioni più gravi, parve non avesse la forza di resistere fino agli estremi. Esso cercò quindi rifugio nelle braccia dell'Impero, e con un voto del parlamento, fece legittimare le armi destinate alla pugna. La Prussia alla quale se non danneggia il partito ultramontano può però darle fastidio, accolse e patrocinò la proposta Bavarese. Questa comunità d'interessi, questa comunità di viste fra i due maggiori stati dell'Impero, che s'accordano fra di loro per combattere ad armi uguali con uguali mezzi un nemico comune, è cosa a considerarsi come un avvenimento di qualche significato politico per l'avvenire della Germania, principalmente là ove trattasi di questione interna.
Il lavoro fatto dallo Reichstag durante quest'ultimo periodo della sessione parlamentare fu colossale. I deputati hanno adempiuto con coscienza il mandato loro conferito dagli elettori, e questi non hanno altro motivo che di esserne soddisfatti. L'esame accurato delle questioni, le discussioni calme e coscienziose delle varie leggi, non impedirono che i lavori procedessero con una celerità veramente esemplare. È bensì vero che il regolamento stesso della camera rende possibile una siffatta celerità. Il sistema delle relazioni orali, e quello delle tre letture è oltre modo utile e pratico: s'accorciano così i lavori preparatori, i quali assorbono in generale un tempo prezioso, e si evitano le discussioni nei comitati, che trapiantate nelle sedute plenarie della camera vi si continuano talvolta con grave perdita di tempo, e poca edificazione del paese. Del resto qui manca la smania delle interpellanze prive di uno scopo pratico, non meno che quella di fare o disfare ad ogni momento e ad ogni occasione. Aggiungasi a ciò che l'assiduità e la moderazione di cui i deputati tedeschi diedero prova durante gli ultimi lavori dello Reichstag, mostrarono come essi fossero animati da un solo desiderio, da un solo pensiero, quello cioé di aiutare il Governo nel lavoro colossale di edificare sulle nuove fondamenta dell'Impero per giungere con passo sicuro allo scopo finale dell'unità nazionale. Le considerazioni politiche hanno quindi più che tutto contribuito alla celerità dei lavori dello Rèichstag: ammutirono i partiti; gli interessi particolari tacquero di fronte a quelli dell'Impero; i rappresentanti tutti della nazione non mirarono che a rendere la patria loro forte all'interno e rispettata all'estero. Queste prove di patriottismo sono di buon augurio per i lavori della futura Dieta.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 42. Vienna, 8 dicembre 1871 (per. il 12).
Una delle scorse sere il Conte Andrassy che incontrai in società, mostrommi desiderare di parlarmi, ciò che non aveva potuto più fare da alcuni giorni, essendosi recato a Pesth. Non mancai quindi di presentarmi ieri al suo ebdomadario ricevimento. L'importanza degli argomenti toccati in tal conferenza è abbastanza rilevante, da far sì ch'io ne riferisca senza ritardo all'E. V. un riassunto almeno, di meglio non potendo,
Il Conte Andrassy dopo avermi chiesto notizie delle cose nostre ed essenzialmente di Roma, dissemi avere particolarmente apprezzato il linguaggio della Corona in occasione dell'apertura del Parlamento. Volle quindi ripetermi le assicuranze già datemi della sua viva simpatia per l'Italia, dicendomi che l'amicizia sincera e duratura tra i due paesi aveva egli posto a base della sua politica, poichè, soggiungeva egli, essere suo convincimento che l'intimo accordo tra la Germania, l'Austria e l'Italia, fosse non solo nell'interesse vero delle tre potenze, ma pur anche in quello generale dell'Europa; che se un tal accordo poteva però esser soggetto ad incidenti fra l'Austria ed il suo vicino del Nord, ciò non aveva ragione di succedere fra l'Austria e l'Italia. • Tal strada io batterò con risoluzione, dissemi, e le piccole difficoltà che potrebbero insorgere per questioni attinenti al cattolicismo, molto più facilmente le potrò sormontare io cattolico che non il mio predecessore tenuto, per diversità di religione, a maggiori riguardi. Mercé la vostra prudente saviezza tutto sino ad oggi procedette senza scosse, e, così proseguendo il Papa finirà per trovarsi un giorno essere naturalmente il Vescovo di Roma con onori sovrani e giurisdizione su tutta la cattolicità •. Qui entrò a parlare della legge sulle corporazioni religiose, al cui riguardo dissemi aver ricevuto dal Conte Zalusky rassicuranti notizie; avergli scritto l'Inviato Austro-Ungarico l'assicurazione datagli dall'E. V. che oltre alle fondazioni così dette estere, le case generalizie pure avrebbero fatto eccezione, cosa ch'egli reputava essenzialissima, non solo per tacitare quelli che più caldamente parteggiano in favore del Sommo Pontefice, ma anche nell'interesse generale della cattolicità. Su questa questione credetti opportuno esprimere delle riserve, poichè avendo presente alla memoria il dispaccio in proposito della E. V. al Cavaliere Nigra, comunicatomi con altro dispaccio dell'll Novembre scorso (1), sembrommi che il Conte Zalusky fosse per avventura andato alquanto al di là di ciò che l'E. V. aveva dovuto dirgli. Parvemi conveniente accentuare che, se credeva le intenzioni del Governo fossero press'a poco quali venivano riferite dall'Inviato Imperiale, doveva però fargli osservare che a tale
riguardo non era certamente possibile assumere impegno di sorta, poichè la definitiva soluzione della questione dipendeva esclusivamente dal Parlamento. Non gli nascosi che l'opinione pubblica in Italia sembravami poco propensa ad estese eccezioni; che però gli Italiani avevano dato abbastanza segni di giusto e prudente criterio, per dar fondata ragione di ritenere che novella prova ne darebbero pure in questa contingenza, e ciò tanto più facilmente se non vi potesse esser dubbio d'estera ingerenza.
V. E. appartiene, dissigli, ad una nazione che giustamente ben altamente sente la dignità nazionale, e quindi ben può persuadersi quanto un'altra nazione che non meno altamente tiene in conto la sua dignità avversi anche l'ombra di un'estera pressione. Gli Italiani sono disposti a far quelle concessioni che crederanno eque e necessarie, il Governo è animato dal sincero e ben vivo desiderio che Roma possa rimanere la sede del Papato, e ne dà ogni giorno chiara prova, ma un'ingerenza straniera nelle cose nostre cambierebbe radicalmente tali sentimenti. D'altronde non conviene disconoscere un fatto che salta agl'occhi, e si è che il Papato si è sempre piegato alle ineluttabili necessità quando ha potuto persuadersi che vano era il contare su estero appoggio. Voi ne vedete una prova nella sua presenza a Roma il giorno dell'apertura del Parlamento, fatto che sommamente dubbio poteva sembrare l'anno scorso; così pure si acconcierà ad altre esigenze della situazione, ma se invece si accorge che i suoi incessanti reclami trovano ascolto presso taluna delle estere potenze, ancorchè non possa sperarne tutto quell'aiuto che vorrebbe, pur sempre farà sentire i suoi lamenti onde ottenere nuove concessioni che d'altronde mai l'appagherebbero, ed in tal modo quella conciliazione che tutti desideriamo, invece di agevolarsi diventerebbe vié maggiormente inattuabile. Nell'interesse stesso della conciliazione quindi, conchiusi, è indispensabile che il Papa si senta venir meno quest'estero appoggio. Il Conte Andrassy mostrommi apprezzare il mio linguaggio, e dividere egli pure le idee da me svoltegli; dissemi esser egli ben deciso a non seguire in questa questione quella linea di politica incerta che a nulla riesce se non ad inimicarsi l'una e l'altra parte; aver presente l'esempio della Francia, ed anzi assicurarmi che ove la Francia intendesse impegnarlo in un'azione comune al riguardo, egli vi si sarebbe recisamente rifiutato.
Su tale linea di politica particolarmente favorevole all'Italia ed estranea ad ingerenze che potessero menomamente ferire il sentimento nazionale, egli s'era chiaramente espresso coll'Imperatore, e vi aveva ottenuto il suo pieno assenso; che in conseguenza egli aveva dato già in tal senso istruzioni ben chiare e ben precise tanto al Conte Zalusky quanto al rappresentante presso il Pontefice. Ammesso un tal stato di cose e tolta colle precedenti dichiarazioni ogni ragione di equivoco, entrammo a parlare in merito della legge sulle corporazioni religiose, annunciata nel discorso della Corona, ed io potei tanto meglio svolgergli le idee del R. Governo in proposito, che l'E. V. ebbe a più riprese a fornirmi ampie istruzioni al riguardo. La conversazione prese allora un carattere meno ufficiale, e quindi potei persuadermi che il Conte Andrassy personalmente divide le idee nostre sulla mano-morta, ma primo Ministro di un Sovrano che personalmente e per tradizioni di famiglia non divide nell'animo suo tali idee, egli è tenuto a molti riguardi, tanto più anche che il partito il quale vede non solo con apprensione ma pure con non celato malcontento l'insediamento della capitale a Roma, non è da disprezzarsi tanto per numero quanto per influenza. Al modo stesso che l'Austria mostrando astenersi dall'immischiarsi nei nostri affari interni, e lasciando nell'isolamento chi diversamente volesse agire ne rende così ben difficile per non dire impossibile l'azione in tal senso, ci rende un vero servizio, parmi sia dovere nostro contracambiarlo non creando difficoltà nè al Conte Andrassy che si dichiara così esplicitamente amico nostro, nè al nuovo Gabinetto Austriaco che pure ha molta simpatia per noi.
Abbiamo d'altronde ogni interesse a rendere la vita facile al partito liberale che, per il meglio dei due stati vicini, travasi ora qui al potere. Tutto ciò quindi che nel campo dell'applicazione si potrà fare senza ledere i principi, parmi vada fatto per mantenere e consolidare le buone relazioni colla Monarchia Austro-Ungarica che ritengo attualmente di molta importanza per noi; ben so d'altronde che tali miei apprezzamenti sono pienamente divisi dall'E. V. Di ciò ben persuaso, credetti poter dare al Conte Andrassy assicurazioni ben sincere che un tal punto di vista sarebbe tenuto altamente presente dal Governo italiano. L'argomento essendo di natura a dover formare frequentemente oggetto in questi giorni di conversazione coll'Imperiale Ministro degli Esteri, sarei grato all'E. V. se ben volesse tenermi a giorno delle fasi della questione, onde io possa, presentandosene l'occasione, parlarne col Conte Andrassy con quella chiarezza e franchezza anche, che parmi vedere sia sovra ogni altra cosa a lui grata.
(l) Cfr. n. 211.
IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 159. Lisbona, 9 dicembre 1871 (per. il 19).
Il Conte Thomar, Ministro di Portogallo presso la Santa Sede, ritorna tra breve a Roma dopo alcuni mesi di congedo.
Già ebbi l'onore di segnalare a V. E. le istruzioni favorevoli all'Italia, date dai passati Ministeri a questo personaggio, la di cui posizione politica in Patria e diplomatica all'Estero, nonchè le sue qualità individuali, lo rendono persona grata al Vaticano.
Memore dell'interesse speciale che il Governo Italiano pone all'adesione del Governo Portoghese relativamente alla sua politica in Roma, era mio dovere preoccuparmi nella circostanza del prossimo ritorno in codesta capitale del Conte Thomar, di far non solo rinnovare a questo personaggio le istruzioni generali dategli dai precedenti Ministeri a nostro favore, ma di ottenere puranche che l'attuale Gabinetto desse, come norma della sua azione diplomatica un apprezzamento favorevole circa le garanzie che per legge il Governo del Re ha spontaneamente offerte al Santo Padre ed alla Santa Sede, legge che fui incaricato di comunicare qui officialmente a quello di Sua Maestà Fedelissima e che motivò la risposta del Marchese d'Avila, allora Ministro degli Affari Esteri di Portogallo e che era annessa in copia al mio dispaccio in data delli 24 Agosto ultimo
N. 148 Serie Politica (1).
Chiesi dunque a S. E. il Signor de Andrade Corvo di volere dare analoghe ed esplicite istruzioni al Conte Thomar, pregandolo in pari tempo a prendere conoscenza degli antecedenti relativi alla mia comunicazione della legge sulle garanzie e poscia pormi in grado, se compiacevasi aderire alla mia richiesta, di partecipare al mio Governo il modo con cui Egli, Signor Corvo, apprezzava la nostra politica Romana.
In una recente conferenza S. E., annunziandomi l'imminente ritorno del Conte Thomar a Roma, si compiacque dirmi ed autorizzarmi ad informarne V. E. quanto segue: mi permetto di trascrivere testualmente le sue parole in francese, onde non alterarne il significato.
c Vous m'avez prié, M. le Marquis, de vous exprimer mon opinion sur l'importante question des garanties données par le Gouvernement Italien au S. Siège. Après avoir pris connaissance des documens qui se rapportent à ce sujet, il m'est resté dans l'esprit la conviction que les intéréts religieux de ·l'Europe Catholique sont sauvegardés par les garanties consignées dans la loi du 13 Mai 1871, vu que l'indépendance du St. Siège et sa liberté d'action de meme que la représentation diplomatique pourront étre maintenues sans entraves. Je fais des voeux sincères pour que le St. Siège et le Gouvernement Italien puissent s'accorder pour le bien de la chrétienneté. J'espère que les faits viendront donner raison pleinement à ma confiance dans la solidité des garanties offertes par l'Italie au S. Siège, .garanties dont votre Pays, M. le Marquis, a pris la responsabilité morale devant les Nations civilisées et devant l'histoire. Il est, à mon avis, dans l'intéret du S. Siège ainsi que du Monde Catholique que l'accord entre le St. Père et le Gouvernement Italien s'établisse de manière à assurer la paix des consciences et l'harmonie entre l'Eglise et l'Etat. Il faut espérer que cela sera et que la loyauté du Gouvernement Italien et la modération dont il a donnés des preuves marquantes, sauront mettre un terme aux grosses difficultés que soulève l'état de choses actuel •.
c Voilà, termina S. E. Corvo, quelles sont mes idées de Ministre et mes idées personnelles sur la politique italienne à Rome. Les instructions qu'emporte le Comte Thomar sont dans ce sens, ainsi que dans un but constant d'une conciliation assurée et désirable entre le St. Siège et l'Italie •.
Innanzi di spedire il presente dispaccio volli leggerne il contenuto al Ministro degli Affari Esteri. S. E. si compiacque trovarlo pienamente conforme
allo spirito ed alla lettera della sua comunicazione, la quale concreta in modo più esplicito i voti già officialmente espressi in proposito dal Gabinetto precedente.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO
CIRCOLARE 95. Roma, 10 dicembre 1871.
A complemento degli studi che si stanno facendo per cura del R. Governo sulla quistione delle corporazioni religiose e della proprietà ecclesiastica, occorrerebbe di possedere qualche dato circa le condizioni delle associazioni religiose che esistono all'estero conservando un carattere qualsiasi di nazionalità italiana.
A questo effetto, io prego la S. V. di volermi procurare, per quanto ciò Le sarà possibile, un riscontro ai seguenti quesiti:
1° -se esistano nel territorio della giurisdizione di V. S. enti religiosi considerati come italiani; se i medesimi sieno di fondazione pubblica o privata; se sovra di essi esista un diritto di patronato, e da chi sia questo esercitato;
2° -quale norma legale regoli l'esistenza di codesti enti religiosi. Intorno al quale punto, mi sarà grato di conoscere ogni circostanza o precedente degno di nota che venisse fatto alla S. V. di raccogliere.
Tenendo conto dell'indole riservata della quistione cui si connettono le
informazioni che domando alla S. V., desidererei che Ella se le procurasse coi
mezzi di cui potrà disporre in via privata, ed astenendosi dal farne l'oggetto di
una formale richiesta presso codeste autorità ufficiali.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4053. Berlino, 10 dicembre 1871, ore 17,20 (per. ore 20,50).
Il résulte des depèches échangées entre le Prince de Bismarck et le Comte Brassier de St. Simon que si ce dernier n'a pas assisté à l'ouverture de la Chambre, c'était uniquement pour cause de maladie, car il avait été averti de l'importance qu'on attribuait ici à sa présence à cette solemnité. La mission Impériale a reçu l'ordre de transférer sa résidence à Rome. La correspondance dont il s'agit m'a été lue aujourd'hui d'après le ... (l) du Prince de Bismark.
(l) Gruppo indecifrato, probabilmente c ordre •·
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 925. Berlino, 10 dicembre 1871 (per. il 19).
M. Abeken, faisant fonctions de Secrétaire d'Etat, m'a prié aujourd'hui de passer au Ministère. Il avait reçu l'ordre du Prince de Bismarck de me donner lecture de la correspondance échangée dans ces derniers temps entre le Chancelier Impérial et le Comte Brassier de St. Simon.
Il résulte de ces documents que M. ae Brassier en informant le 21 novembre S. A. de la prochaine ouverture de notre Parlement, disait que d'après ses instructions il n'hésiterait pas à se rendre à Rome dans cette circonstance. Mais son état de santé était tel qu'il craignait, malgré sa bonne volonté, de ne pouvoir entreprendre cette course. Cependant, s'il recevait un ordre forme! par le télégraphe, il braverait les prescriptions de la Faculté.
Il lui a été répondu le 25 du méme mois qu'il savait tout le prix qu'on attachait ici à sa présence à cette solennité. Son absence ne pourrait étre justifiée que par une impossibilité absolue. Le télégramme ne lui est arrivé qu'après le départ du train du matin de Florence pour Rome. Il a répliqué qu'il ne se sentait pas en force pour partir par le train de nuit, et que son médecin I'avait très serieusement mis en garde. La Légation serait représentée par le Comte de Wesdehlen et trois attachés. M. de Wesdehlen était chargé de remettre à V. E. une lettre confidentielle exprimant les regrets les mieux sentis de l'absence du chef.
Elle était trop bien motivée pour qu'on eut le courage d'envoyer un blame au Comte Brassier, mais on eut certes préféré qu'il eut pu, camme l'été dernier, en pareille occurrence, payer de sa personne. Pour mieux démontrer que le Cabinet de Berlin tenait à ce que son représentant ne fut pas rangé dans le nombre des retardataires, il lui fut transmis le 29 novembre l'instruction télégraphique d'aUer à Rome aussitòt que sa santé le lui permettrait. On lui mandait en méme temps que l'Empereur et Roi avait décidé, du moment où Notre Auguste Souverain avait élu domicile à Rome, que la Mission Impériale devait y transférer sa résidence.
Le Comte Brassier dans sa réponse a fait valoir la considération suivante dont on a reconnu ici le bien fondé. Le Roi d'Italie devait partir pour Florence et Turin et n'ètre de retour que dans la seconde quinzaine de décembre. Si dans l'intervalle l'Envoyé d'Allemagne arrivait à Rome, cela donnerait lieu à des commentaires, camme s'il avait choisi le moment de l'absence de Sa Majesté pour faire une simple apparition, car il devrait dans tous le cas revenir à Florence pour s'occuper du transfert définitif de la Mission. Mieux vaudrait il donc différer la course jusqu'au retour du Roi dans la capitale. Et quant au transfert lui-méme, il conviendrait de laisser une certaine latitude, vu l'embarras de trouver un logement (le palais Caffarelli étant encore occupé par les gens et les meubles du Comte Arnim) et d'opérer le transport des archives et de son état de maison à Florence.
Le Prince de Bismarck avait tenu à ce que cette correspondance me fùt soumise. Il espérait que j'y verrais une nouvelle preuve des sentiments de bon vouloir dont on est animé ici à notre égard.
J'ai prié M. Abeken d'etre l'interprète de mes remerciments auprès de
S. A.
Le point essentiel, ainsi que je l'ai télégraphié à V. E., c'est que la Mission Impériale ait reçu l'ordre de se fixer à Rome. Les retards ne tiennent plus qu'à des questions de détails.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI
D. 26. Roma, 11 dicembre 1871.
Accuso ricevuta alla S. V. della pregiata sua corrispondenza di questa Serie che mi è regolarmente pervenuta sino al n. 129 incluso e La ringrazio di avermi informato dei vari incidenti degni di nota verificatisi nella politica della Serbia.
Con l'ultimo dei sovraindicati rapporti, Ella ha chiamato la mia attenzione su di una nuova legge approvata dalla Scupcina, la quale impone altre e più gravose tasse di esportazione e di importazione sopra vari articoli di commercio internazionale, richiedendomi di istruzioni circa il contegno da tenersi in presenza di tali misure arbitrarie e non autorizzate dai trattati che regolano le condizioni politiche della Serbia.
Quantunque, come lo accenna la S. V., le nuove tasse stabilite in Serbia, abbiano un interesse diretto pel solo commercio dell'Austria e dell'Ungheria, io credo sia nostro dovere di non lasciar pregiudicare il principio della incolumità dei vigenti patti internazionali; epperò sarà necessario che Ella faccia sentire al Governo della Reggenza che queste infrazioni dei trattati non passano inosservate per parte del Governo del Re. V. S. pertanto rinnoverà presso i Reggenti le riserve che, in circostanza consimile Ella già ebbe, nello scorso anno, l'incarico di esprimere nel senso sopra indicato.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 926. Berlino, 11 dicembre 1871 (per. il 15).
Un de mes collègues a vu récemment M. Thiers grace à d'anciens rapports d'amitié, et a bien voulu me rapporter confidentiellement quelques détails sur ses entretiens avec le Président de la République Française.
La politique étrangère de son Gouvernement est essentiellement pacifique. Si, contre toute probabilité, il devait surgir quelque complication, elle ne serait pas de son fait. Il professait une vive admiration pour le Prince de
Bismarck • Ce grand homme d'Etat, comme le Comte de Cavour, l'un et l'autre
mis en évidence et presque créés par l'Empereur Napoléon »,
A l'intérieur, il s'applique à réorganiser les différentes branches du ser
vice, à gouverner avec modération et impartialité en cherchant à tenir l'équi
libre entre les différents partis. A certaìns égards, c'est en quelque sorte un
Gouvernement négatif puisqu'il soutient les partis l'un par l'autre, sans donner
à aucun gain définitif de cause. Il laisse la situation se développer en s'abste
nant de toute initiative prématurée. On ne réussira pas à l'entraìner dans une
politique excessive.
Les catholiques zélés en Europe s'étaient un instant bercés de l'illusion d'une croisade en faveur du rétablissement du pouvoir temporel du St. Siége. Ils avaient entre autres compté sur l'appui du nouvel Empereur d'Allemagne, comme si un Hohenzollern pouvait oublier l'histoire de ses ancètres, comme s'il n'était pas le chef d'un Etat moderne qui n'a aucun point de contact avec les traditions du moyen age. Pour ce qui concerne la France, elle ne doit pas plus songer à défaire l'Italie qu'à défaire l'Allemagne. L'Italie a conquis l'unité, elle a pris piace parmi Ies puissances considérables de l'Europe. C'est là un fait accompli dont il faut savoir prendre son parti. Le devoir de la France est d'entretenir de bons rapports avec cette Puissance et d'éviter par conséquent tout ce qui pourrait les altérer. Il y a sans doute de grands intérèts religieux à sauvegarder, et certes le Cabinet Français ne sera pas le dernier à élever la voix pour le maintien de l'indépendance du St. Siège. Du reste, tòt ou tard Pie IX ou son successeur, ramenés à un plus juste sentiment des réalités, finiront peut-ètre par se rendre et par s'adapter à la marche des choses.
Ce langage tenu, dans l'intimité, avant l'ouverture de l'Assemblée Nationaie a, ce me semble, plus de valeur encore que le message présidentiel du 7 décembre. On serait tenté de croire à sa sincérité, sans s'en rendre toutefois garant. Relata refero.
M. Th;iers s'est aussi plu à esquisser à son interlocuteur un portrait de Notre Auguste Souverain. Ce Roi doit ètre pris au sérieux. Il a des qualités vraiment gouvernementales. Il a agi d'après un pian nettement tracé qui l'a conduit à Rome. L'Italie et devenue une. C'était sa destinée; Victor Emmanuel a bien fait de la poursuivre. Durant la dernière guerre, S. M. n'a jamais eu l'intention d'intervenir les armes à la main en faveur de la France, mais comme il Lui répugnait d'encourir un jour le reproche d'ingratitude, Elle a su manoeuvrer avec habilité de manière à se retrancher derrière son ròle de Souverain constitutionnel.
Il y a quelque amertume, une critique peut-ètre dans ce dernier jugement. On dirait que l'esprit de M. Thiers est encore hanté par ces loups de Savoie sortant de Ieurs tanières ou y rentrant selon leurs propres convenances. C'est la comparaison dont il s'était servi dans un de ses discours sous l'Empire. Il faut espérer que la race de ces loups ne se perdra pas. La critique de M. Thiers
fait l'éloge de notre Dynastie.
21 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
Le diplomate étranger qui m'a donné ces indications sur ses entrevues avec M. Thiers, a profité de son passage en France pour se rendre compte aussi du mouvement des partis, de celui surtout des Orléanistes. Il lui résulte que ces derniers sont organisés et parfaitement résolus, le jour où le Président de la République fléchirait dans sa résistance vis-à-vis des Bonapartistes, à démasquer leurs batteries. Les Princes de la famille d'Orléans ont de nombreux partisans dans l'armée de terre et de mer, et, le cas échéant, ils sont décidés à ne plus se renfermer, comme en 1848, dans leur ròle passif qui leur a valu 22 ans d'exil.
V. E. aura remarqué le toast porté, le 8 de ce mois, par le Tsar -lors de la fete anniversaire de l'ordre militaire de St. Georges -à l'Empereur d'Allemagne. L'espoir y est exprimé que l'amitié intime qui unit les deux Souverains continuera dans les générations futures, comme la meilleure garantie de la paix et de l'ordre légal en Europe.
Ce toast qui est plus accentué encore que les télégrammes échangés entre ces memes Souverains le 27 février 1871 à l'occasion de la signature des préliminaires de paix (rapport n. 789) (1), enlève de sa portée à la phrase du message précité de M. Thiers relativement à la Russie. Les journaux de Paris qui se plaisaient à insinuer que la France pourrait compter sur un appui éventuel de la Russie pour une revanche contre l'Allemagne, devront mettre une sourdine à leur langage.
Quant au message lui-meme, on n'entend point faire ici des critiques du genre de celles qu'on lit dans la presse anglaise. C'est qu'en effet ce document ne ,traite qu'avec beaucoup de ménagement des relations avec l'Allemagne. Mais on attend que les faits répondent aux assurances pacifiques, assurances avec les quelles les projets d'armements excessifs de la France ne sont pas en complet accord. Jusqu'à preuve contraire, il est permis d'y voir une arrière-pensée et des préparatifs de vengeance.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Vienna, 11 dicembre 1871.
Nel mio rapporto ufficiale in data 8 corrente (l) dovetti ammettere di riferirvi un fatto abbastanza importante, il Conte Andrassy avendomi con insistenza pregato di tener assolutamente per me ciò che egli mi raccontava, poichè sarebbe stato spiacentissimo che a Vienna od al Vaticano si fosse saputo che egli m'aveva di ciò parlato. Lo assicurai che il segreto sarebbe serbato, lacchè non impedisce ritenga dover mio informarvene, mi permetto però pregarvi di non farne motto con chichessia, poichè ove la cosa venisse
a divulgarsi da parte nostra, ciò potrebbe nuocere a quella fiducia che il Conte Andrassy mi dimostra assai larga. Ecco di che si tratta. Qualche tempo fa, forse alcuni mesi sono, ai tempi ben inteso del Conte Beust, il Cancelliere cedendo pare alle insistenze dell'Imperatore, scrisse all'Inviato Imperiale a Roma, che ove potesse credere giunto il momento in cui il Papa si decidesse a lasciar Roma, egli doveva offerirgli a nome dell'Imperatore un asilo a sua scelta negli Stati della Monarchia Austriaca, e pare anche che un tal invito dovesse farsi con una certa insistenza.
Il Conte Beust venne a ritirarsi, ed al Conte Andrassy che gli successe non fu detto parola di quest'affare tutt'ora pendente. Intanto apertosi il Parlamento a Roma, pervenne voce alla Corte Imperiale, che Pio IX volesse abbandonar l'Italia, ed in tal ipotesi sembra che il Conte Calnoki sia stato invitato all'insaputa del Ministro degli Esteri ad adempiere senz'altro all'incarico già antecedentemente affidatogli. Fatto sta che l'offerta fu fatta, ma non venne accettata. Il Conte Andrassy che non aveva avuto conoscenza della proposta, venne a giorno del rifiuto. Egli allora si recò dall'Imperatore, ed ebbe seco Lui una ben chiara e precisa spiegazione, nella quale pose sott'occhio al Sovrano le conseguenze tutte d'una tal offerta ove fosse stata o venisse ancora ad esser accettata, e prima fra queste l'inevitabile rottura dei buoni rapporti coll'Italia, non ammettendo di porre in rilievo gli inevitabili pericoli per la dinastia di un tal fatto che con sommo sfavore sarebbe stato accolto dall'opinione pubblica. Insomma parlò tanto e sì bene che persuase l'Imperatore, e fu autorizzato a scrivere che per nessuna ragione, nè per circostanza qualsiasi più si dovesse rinnovar un'offerta che dovevasi considerar come lettera morta non essendo stata accettata. A questo proposito il Conte Andrassy m'assicurò che durante il suo Ministero, più non si verificherebbe il caso spesso antecedentemente ripetutosi che gli Inviati Imperiali a Roma ricevessero istruzioni par dessus la téte del Ministro, essendosi egli chiaramente spiegato al riguardo col Sovrano ed avendone ricevuta formale assicuranza. L'importanza del fatto che ho creduto mio dovere riferirvi, è a mio avviso notevole poichè chiarisce i sinceri ed amichevoli sentimenti del Conte Andrassy per l'Italia in modo ben più positivo che le frasi cordialissime si, ma pur sempre generali che egli ebbe a farmi al riguardo.
I giornali di Vienna e forse alcuni d'Italia avran pur riferito che io mi sii congratulato col Conte Andrassy a nome del R. Governo sulla sua circolare. Non credo aver bisogno di dirvi che non ho neppur aperto bocca sulla circolare, non avendo avuto incarico di sorta in proposito. Mi consta anche che non una parola neppur ebbe a dirne il Ministro Russo, sebbene i giornali asseriscano la cosa con insistenza. Il solo che ebbe ad adempiere ad un tal ~ncarico si fu il Generale Schweinitz. La questione di Klibeck non è ancora sciolta, a Costantinopoli però non v'andrà certamente, ma d'altra parte !asciarlo a Roma mentre un'Ambasciata gli era stata ufficialmente promessa par difficile. Non credo neppur molto probabile lo si mandi a Parigi, sebbene persona bene informata m'assicuri ancora che quella sarà la soluzione. Pel momento però credo che si Iascierà un interim a Parigi, e Io credo tanto più che il messaggio di Thiers ha fatto qui un pessimo effetto.
Come l'ho fatto ufficialmente, vi prego anche particolarmente, a volermi
tener a giorno delle fasi relative alla questione delle corporazioni religiose, affine di non restar a boccia asciutta allorchè mi se ne parla, d'altronde un modo di dimostrar che apprezzo l'interessamento che qui si prende alla cosa, e sarà già un calmante. In generale più notizie potete darmi meglio sarà, poichè il mostrarmi non digiuno degli intendimenti del Governo, rafforzerà il mio credito presso il nuovo Ministro che devo dire è per me squisitamente cordiale. Altro non ho per oggi di particolarmente interessante a riferirvi.
(l) Cfr. n. 248.
L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RESSMANN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4025. Parigi, 13 dicembre 1871, ore 19,50 (per. ore 22,30).
Gouvernement français a vu avec un gran déplaisir fìrman sur Tunis, mais comme on lui donne assurance que ce fìrman ne doit rien changer au statuquo en ce qui concerne prérogatives des Gouvernements européens à Tunis,
M. de Rémusat croit qu'il faudra se borner à prendre vis-à-vis de la Porte et du bey une attitude conforme à cette assurance parlant et agissant à toute occasion comme si rien n'était changé. Sur son désir je lui ai donné copie de la traduction littérale du paragraphe du fìrman qui dans la traduction officielle diffère du texte.
L'INCARICATO D'AFFARI A CARACAS, VIVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 59. Caracas, 15 dicemb1·e 1871 (per. il 13 gennaio 1872).
Ho l'onore di confermare il rapporto del 23 novembre, N. 58 (1), dal quale V. E. avrà veduto come fra gli agenti de' quattro governi che aderirono alla proposta del gabinetto di Berlino ed il di lui rappresentante a Caracas siasi stabilita un'intesa che prese forma di Nota collettiva diretta, 1'11 dello stesso mese, al governo della Repubblica.
Il Ministro degli Affari Esteri non ha eseguito ancora la promessa, fatta con la Nota del 16 del mese suddetto, di dare la " dovuta risposta » alle domande da noi formulate a nome de' nostri governi.
Affinchè l'azione diplomatica iniziata ottenga, almeno in parte, il suo intento, occorre che il Governo della Repubblica si persuada che i nostri governi
sono fermamente decisi a far valere i loro diritti. Senza tale persuasione,
l'esito inconcludente, che ne sarebbe probabilmente la conseguenza, darebbe qui l'ultimo tracollo al prestigio delle potenze accordatesi ad esercitarla; tanto più se gli Stati Uniti conseguissero da soli ciò che non avessero potuto esse insieme.
Si afferma che se gli Stati Uniti non ottengono, per via diplomatica, la recognizione de' reclami nuovi ed il saldo de' reclami liquidati, procederanno, senza più, alla parziale occupazione delle dogane del Venezuela, senza pregiudizio de' diritti acquisiti dalle altre potenze. Così, a parità di diritti, esse sarebbero collocate in una condizione d'inferiorità e poco meno che di dipendenza. Ma l'uguaglianza potrebbe essere facilmente preparata per mezzo di un accordo di aprire la via ad una occupazione collettiva. Il concorso delle cinque potenze europee non implicherebbe la necessità di una spedizione militare, poiché basterebbe all'uopo ch'esso venisse rappresentato da due fra i bastimenti da guerra che la Germania e la Spagna hanno già in questi mari. Né la occupazione delle dogane di La Guaira e Puerto Cabella, che sarebbero appunto quelle da prendersi, riuscirebbero difficili.
Non è dubbio che, dedotto quanto è necessario a sopperire a' servizi pubblici, i proventi delle due dogane suddette, poste sotto la vigilanza dì una commissione internazionale, lascerebbero un reliquato sufficiente alla graduale estinzione de' reclami.
Non mi risulta che il Ministro degli Stati Uniti abbia ricevuto dal proprio governo le istruzioni di che è menzione nel Dispaccio di V. E. dell'8 ottobre,
N. 12 (1). Il di lui contegno manifesta che all'ordine di non coordinare la propria azione con la nostra non è fatta per ora eccezione alcuna.
L'appartarsi degli Stati Uniti dalle Potenze europee può incoraggiare il governo del Venezuela ad una pericolosa resistenza, come l'accordo di queste con quelli sgombrerebbe la via da qualunque ostacolo. Or la proposta di occupazione eventuale collettiva delle dogane in discorso somministrerebbe un ottimo punto di partenza a negoziati intesi a produrlo. Il mio Collega di Germania ne è tanto convinto che ha suggerito al proprio governo di profittare del recente invio a Washington di un nuovo Ministro imperiale per aprire nuove pratiche con quel gabinetto.
Nello stato presente delle cose sarebbe necessario che le potenze unitesi per esercitare sul governo del Venezuela una pressione diplomatica, trasmettessero a' loro agenti istruzioni applicabili al caso di esito negativo.
Colgo quest'occasione per procurarmi l'onore di accusare ricevimento del Dispaccio del 21 Ottobre, N. 13 (2), pervenutomi il 20 Novembre, e ringraziare V. E. de' suggerimenti contenuti nell'annessovì Memoriale, relativo al Progetto di Protocollo non potuto prendere in considerazione.
(l) Non pubblicato.
(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 170.IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Parigi, 16 dicembre 1871.
Ho una buona occasione per scrivervi particolarmente e ne profitto. I cambiamenti nella situazione in Francia avvenuti in questi ultimi mesi se non sono considerevoli, sono però apprezzabili. I tre partiti in cui si divide l'Assemblea, repubblicano, legittimista, orleanista, si mantengono in proporzioni di numero e di forza quasi eguali, con una leggiera tendenza in favore di quest'ultimo, e specialmente in favore del Duca d'Aumale che va guadagnando un po' di terreno. I principi di Orleans, contro le intenzioni di Thiers, hanno mantenuto il loro diritto d'entrare nell'Assemblea e fanno dire che vi entreranno quando lo giudicheranno a proposito. A Parigi il malcontento della classe industriale e commerciale aumenta in proporzione della perdita che essa subisce per la diminuzione della popolazione ricca. La situazione del Governo e quella specialmente di Thiers non è ancora compromessa, ma è indebolita. Il paese dall'un lato non è contento, e si capisce che non lo sia. Il presente non è roseo e l'avvenire è pieno di tristi previsioni per la Francia politicamente e finanziariamente. Dall'altro lato v'è un dissidio sostanziale, benchè talora latente, fra Thiers e la maggioranza dell'Assemblea. In molte questioni, come la nomina amministrativa, le basi dell'organizzazione dell'esercito, la traslazione dell'Assemblea, etc. le opinioni di Thiers e quelle della maggioranza sono in perfetto disaccordo. Ieri fu discussa nella Commissione la questione del trasporto dell'Assemblea a Parigi. Thiers e Remusat v'intervennero e si pronunciarono pel ritorno a Parigi. Ma la Commissione si mostrò poco disposta a proporre questa soluzione. La questione si presenterà dinnanzi all'Assemblea fra una quindicina di giorni. Il Signor de Remusat spera che l'Assemblea sia più arrendevole della commissione; ma questo non è ben sicuro. Per quanto spetta alla politica estera il Signor Thiers, mi disse che la Francia in questo momento non deve e non vuole farne di nessuna specie. La Francia, mi disse egli, ha bisogno d'organizzarsi, essa non deve sollevare questioni all'estero, e deve limitarsi a tenersi in amichevoli relazioni coi suoi vicini. Il Signor de Remusat però, a cui ho riferito questo discorso di Thiers, non volle accettare senza riserva l'espressione • che la Francia non ha e non fa politica estera ». Egli disse che la politica che si propone per oggetto di mantenere relazioni amichevoli colle Potenze estere, è già di per sè stessa una politica, e una buona politica.
Nel discorso fattomi da Thiers due cose sono da notare. Egli mi disse che avrebbe presentato il bilancio in equilibrio. Mi disse in secondo luogo che
• fra un anno egli avrebbe il più bell'esercito dell'Europa •. Vi cito le sue parole testuali. Credo che egli scambia il suo desiderio col risultato che si propone di ottenere e che mi par difficile che egli ottenga. In guisa però di ultimazione del suo concetto, egli s'affrettò d'aggiungere che però la sua intenzione non era certo antipacifica; ben al contrario. Egli vuole sinceramente mantenere la pace; ma vuole egualmente che la Francia in ogni questione che possa sorgere mantenga la posizione che ebbe sempre e che le è dovuta.
Thiers mi parlò anche, com'era naturale, del Papa. Mi confermò la versione del discorso che gli era stata attribuita da una corrispondenza di Versaglia al giornale dei Débats or sono circa 25 giorni. Mi raccomandò di ménager il Papa affine di evitare alla Francia ed al suo Governo ed a noi gli inconvenienti che egli non disconosce della presenza del Papa in Francia. Io gli dissi che per parte nostra facciamo e faremo tutto il possibile a questo scopo. Ma non gli celai che noi credevamo che il Papa non verrebbe in Francia se il Governo Francese non l'incoraggierà a ciò.
M. de Goulard è arrivato a Versaglia col trattato di cui fu uno dei negoziatori. Si prepara ad andare in Italia al suo posto. Ma Remusat mi ha detto che gli sarà impossibile d'esserci pel Io giorno dell'anno. In fondo, son convinto che questo ritardo è stato provocato dalla corrispondenza di d'Harcourt, il quale teme che l'arrivo di Goulard a Roma sia il segnale della partenza del Papa. Remusat me lo disse del resto, ma aggiunse che malgrado ciò Goulard andrà, ed andrà a Roma, e D'Harcourt ebbe istruzione di preparare l'animo del Cardinale Antonelli e di Sua Santità a questo fatto inevitabile.
Ora lasciate che vi parli di nuovo d'un'altra questione della quale devo pure intrattenervi malgrado la ripugnanza che ho a parlarvi di me. Ho visto che nella vostra Camera sono stato discusso di nuovo, e che avete dovuto prendere le mie difese. Ve ne ringrazio di vivo cuore e ve ne esprimo sincera riconoscenza. Non ho ancora sotto gli occhi il rendiconto della Camera. Ma il fatto stesso di queste regolari aggressioni ha un'importanza di cui voi ed io dobbiamo tener conto. D'altro lato, l'agitazione che il partito bonapartista ha tentato nello scorso novembre, ha avuto per effetto di far nascere qui una recrudescenza di irritazioni, contro le cose e le persone che ebbero attinenza all'Impero, e rende perciò la mia situazione più ancora difficile e delicata che non fosse prima. Ho ragione di credere che lo stesso Thiers desidera che gli si mandi qui un altro Ministro, possibilmente Minghetti. Egli fu con me amabile molto. Non vi parlo di Remusat, che mi mostra più che amabilità. Ma, malgrado queste dimostrazioni, sento che il mio luogo non è più qui, e son convinto che nell'interesse del nostro Paese è necessario un cambiamento nella nostra rappresentanza qui. Thiers ne sarà soddisfatto, e il partito clericale che mi fa l'onore di temermi avrà una ragione di meno di gridare contro l'Italia. Comunque io tenga qui una condotta estremamente riservata e correttissima, non si mancherà di accusarmi di ciò che fo e di ciò che non fo. Eccovi adunque la situazione mia. Sono venuto di malavoglia, ma son venuto perchè lo avevate stimato utile. Ma quest'utilità va via via dileguandosi e diventa invece un inconveniente. Bisognerà quindi uscirne e vorrei uscirne bene nell'interesse del nostro Paese prima, e un po' anche nel mio interesse. Vi prego adunque di pensare al modo. Se per esempio fra un mese, o due mesi aveste qualcuno da mandare qui, credo sarebbe veramente utile. Se Minghetti non vuole o non può venir subito, perchè non mandereste Artom p. e. a tenere la Legazione per qualche tempo? Credete, se si trattasse soltanto d'un sacrifizio personale, non vi parlerei di cw. Ma ho proprio la coscienza che qui si tratta d'un interesse dello Stato, al quale ogni nostro particolare interesse deve essere subordinato. Nè deve fare ostacolo la circostanza che non v'è altro posto per me. Aspetterò che ci sia anche uno o due anni.
Insomma metto questa delicata faccenda nelle vostre mani.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI
D. s. N. Roma, 17 dicembre 1871.
Venni sollecitato a fornire esatte informazioni intorno ai seguenti quesiti. Quali siano le pratiche a compiere per ottenere l'autorizzazione a fondare una Società anonima in Turchia, e specificatamente a Costantinopoli?
Se una Società anonima, autorizzata a funzionare in Turchia, possa per ciò solo ritenersi abilitata ad esercitare la sua azione anche in Egitto, o se richiedasi invece, a tal'uopo, un'autorizzazione speciale?
Quali pratiche debba fare una Società anonima per l'esercizio di una banca, legalmente creata nel Regno, allo scopo di poter impiantare le sue sedi anche in Turchia?
Sebbene io debba credere che nella condizione fatta agli stranieri nei paesi di Levante non possa cader dubbio sul diritto che agli Italiani compete di aprire banche ed ogni altro stabilimento di credito quando si tratti di stabilimenti debitamente autorizzati in Italia, ciò nondimeno, per maggior sicurezza, desidero che V. S. Illustrissima mi procuri, colla maggior possibile sollecitudine, i dati che mi sono necessari per poter porgere una precisa risposta alle dette domande.
IL DIRETTORE DELLA BANCA GENERALE, ALLIEVI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Roma, 17 dicembre 1871.
Ho scritto ad Artom, chiedendogli alcune notizie intorno alla legislazione turca ed egiziana nella parte che si riferisce alle Società anonime. Spero che possa rispondermi, senza richiamare le informazioni dal lontano Oriente. La Banca generale, disponendo di relazioni bancarie cospicue in tutte le capitali d'Europa, ed ora se si realizza il progetto per il Levante, anche nelle piazze di Turchia e di Egitto, potrebbe adibirsi a fare il servizio degli stipendi a tutto il personale diplomatico. e consolare a condizioni relativamente assai moderate e a tutto vantaggio dei vostri funzionari. È possibile dare un qualche
seguito a questa idea? Finalmente embrassons-nous et que cela finisse!
La pace tra il Ministero e la così detta maggioranza è suggellata! Se vero è il fatto mi pare importante e di buon augurio. Una crisi, al primo essere in Roma, e una crisi, la quale non potrebbe non essere difficilissima, ci avrebbe gravemente compromessi in faccia all'Europa, la quale nè ci approva nè ci avversa, ma ci guarda! Ci guarda per vedere se noi abbiamo niente di quella stabilità e calma e sicurezza, che si convengono a chi ebbe la non modesta pretensione di assidersi nell'eterna città!
Tu sai come io senta dentro di me, fors'anche troppo, tutte le difficoltà morali della nostra situazione in Roma, e ciò solo, di cui mi allarmo è che il governo venga alle mani di uomini che non ne comprendano nulla. Un ministero Rattazzi! Io non ho prevenzioni eccessive, contro il Rattazzi, ma a dargli alle mani la quistione di Roma sarebbe come maritare con un bottegajo una signora fine fleur di aristocrazia! Quante sgarberie quante inciviltà quante :.:ose impossibili tutte commesse senza neppure avvedersene!
Però bisogna che il ministero si metta davvero sulla buona via -che il Sella e il Lanza non facciano più distinzione da piemontese e italiano e che certe ruggini sieno buttate da parte e certe velleità radicalesche lasciate per ora a dormire. Ora bisogna essere moderati. Abbiamo fatto un po' come la Germania -mangiato molto -! Ora ci bisogna digerire. Conosco poco i rapporti del governo coi romani -mi pajono non buoni -Il governo non se ne occupa abbastanza. I romani sono romani ancor più che italiani -e a Roma sono una forza -Mi pare che il Lanza e il Sella li trattino troppo sans façon; e loro sono invece molto diplomatici, molto sensibili alle belle e alle brutte maniere, molto orgogliosi, e per giunta anche molto mutabili. Andiamoci: i romani, tante volte hanno cacciato i Papi e tante li hanno richiamati, bestemmiano e chinano sempre le ginocchia al Santo Padre. Il Papa ha visibilmente ricuperato molto imperio morale in Roma, dacchè non n'ha più imperio politico...
Perdonami la divagazione inconcludente! Invecchiando è impossibile dal poco al molto di non redonder. Spero venirti presto a vedere, e di trovarti a casa una di queste sere.
La politica mi tien per le orecchie più che io stesso non vorrei... ma... ma quando si ha cominciato a bazzicare per certe vie, è difficile che si perda il cattivo costume.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONTE SCLOPIS
D. s. N. Roma, 20 dicembre 1871.
Ho ricevuto la lettera che V. E. si compiacque indirizzarmi da Ginevra il 15 di questo mese (l) e la ringrazio per la relazione che Ella volle farmi circa i procedimenti preliminari della Commissione arbitrale, di cui mi è grato salutare oggi nella S. V. il degno Presidente.
La prova di fiducia data a lei da distintissimi colleghi e le accoglienze onde Ella fu l'oggetto per parte delle autorità di Ginevra, mentre riescono graditissime al R. Governo, desteranno il più alto compiacimento nell'animo di S. M. cui non ho tardato a rassegnare una copia della lettera di V. E. Se queste dimostrazioni di onore possono da noi considerarsi come l'espressione non dubbia del rispetto e della simpatia che l'Italia inspira oltre ai propri confini, ci forniscono pure nuovo argomento per felicitarci della scelta fatta dall'A.N.S. della E. V. le cui qualità personali avrebbero dignità dall'alto carattere di cui Ella è rivestita.
(l) Non pubblicata.
IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4059. Madrid, 20 dicembre 1871, ore 19,35 (per. ore 1,30 del 21).
Le ministère ne se sentant pas assez fort pour se présenter devant les Cortès, dont S. M. par suite des graves circonstances actuelles désire la convocation, a donné sa démission. M. Sagasta a été chargé de former nouveau Cabinet.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. RISERVATA 5415. Roma, 20 dicembre 1871 (per. il 21).
Risulta a questo Ministero che il notissimo agitatore socialista Bakunine da qualche tempo si trova a Locarno, d'onde corrisponde sotto il pseudonimo di Silvio cogli aderenti all'Internazionale sparsi in varie provincie italiane.
Comunico questa notizia all'E. V. per quegli uffici che reputasse convenienti di fare al governo della Confederazione elvetica, ed ai rappresentanti il R. Governo in quel territorio.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4061. Vienna, 21 dicembre 1871, ore 21,20 (per. ore 8 del 22).
V. E. aura à cette heure la confirmation de la destination du Comte Wimpffen à Rome.
Au Comte Andrassy qui m'en a parlé, j'ai cru pouvoir dire que ce choix serait agréé. Le baron de KUbeck ira présenter ses Iettres de ra,ppel, les premiers jours de janvier.
M. Zalusky est rappelé à Vienne au Cabinet du ministre. La nomination de M. de KUbeck près du Saint Siège est positive mais pas imminente. Le Comte Andrassy ne m'en a pas souffié mot, et j'ai cru ne pas devoir l'interroger sur une chose à laquelle nous devons nous montrer étrangers.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 45. Vienna, 22 dicembre 1871 (per il 27).
Come ebbi l'onore di ragguagliare l'E. V. telegraficamente ieri, (l) il Conte Andrassy mi annunziò la scelta definitivamente fatta del Conte Wimpfen a Rappresentante Imperiale e Reale presso Sua Maestà l'Augusto Nostro Sovrano, soggiungendomi che ieri stesso davasi incarico al Conte Zaluski di presentire secondo l'usanza l'E. V. su tale nomina. Già essendo piaciuto all'E. V. darmi alcuni mesi or sono, allorchè già parlavasi di tale eventualità, istruzioni in proposito, me ne valsi e risposi al Conte Andrassy che una tale scelta già essendo stata presentita da alcun tempo, ero in grado di sapere che essa sarebbe stata con particolar favore accolta dal R. Governo. Il Ministro si compiacque allora soggiungermi, che il ritardo a tal nomina per parte sua era provenuto dacchè egli non conosceva particolarmente il Conte Wimpfen, ed aveva quindi voluto constatare, prima di addivenire ad una formale proposta all'Imperatore, i sentimenti particolari di quel diplomatico. Che avendo egli seco lui lungamente conferito erasi accertato che per nulla peccava di ultramontanismo, e che anzi pienamente divideva le sue idee sul potere temporale del Santo Padre: che quindi, ben persuaso che egli era l'uomo atto a sempre maggiormente stringere le cordiali relazioni coll'Italia, da lui tanto desiderate, non aveva più creduto esitare ad avanzare all'Imperatore la conseguente proposta. Egli dissemi ancora che il Barone Ki.ibeck sarebbesi recato a Roma a presentare le sue lettere di richiamo tostochè il Re vi avrebbe fatto ritorno, cioè nei primi giorni di gennajo. Come dissi poi, del pari nel mio telegramma di ieri, egli mi :confermò quanto già avevami accennato altra volta, il suo intendimento cioè di chiamare presso di se a coprire l'importante posto già tenuto dal Barone Aldenburg, il Conte Zaluski.
Della nomina del Barone Ki.ibeck ad Ambasciatore presso la Santa Sede non mi fu fatto motto, e come telegrafai all'E. V. credetti dovermi astenere dal farne parola, sembrandomi non doversi per parte nostra dimostrare intenzione di ingerirsi in simile affare. Antecedentemente avevo però avuto particolarmente la conferma di tale destinazione da un alto funzionario del Ministero, il quale dissemi al tempo stesso che per riguardi varj, il Barone Ki.ibeck non sarebbe transitato direttamente da Inviato presso il Re d'Italia ad Ambasciatore presso la Santa Sede, ma che tale nuova nomina effettuerebbesi dopo che il Barone Ki.ibeck sarebbe stato per breve tempo in disponibilità, misura .che salverebbe varie convenienze.
(l) Cfr. n. 264.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 46. Vienna, 22 dicembre 1871 (per. il 27 ).
Nell'ebdomadaria conferenza di ieri col Ministro degli Affari Esteri, parlando della prossima apertura del Reichsrath e del discorso della Corona nel quale, a quanto dicono i giornali, farebbesi cenno della politica estera della Monarchia, trovai opportuna occasione di far cadere il discorso sulle insistenti voci che da alcuni giorni corrono nei circoli politici di questa Capitale a riguardo di un'alleanza già stretta o da stringersi dall'Austria-Ungheria colla Germania e la Russia. Voci in verità da me ritenute senza fondamento, ma però generalmente ripetute ed avvalorate da un importante, sebbene alquanto sibillino, articolo dell'ufficioso giornale russo il Regierungsbote. Il Conte Andrassy non esitò a dichiarare l'assoluta insussistenza di tali voci; dissemi che alla sua venuta al Ministero egli si era preoccupato dello stato delle relazioni della Monarchia colla Russia, relazioni che in verità, continuava egli, non solo erano difficili, ma s'aggravavano di giorno in giorno: che quindi nulla aveva creduto poter trascurare per ristabilirle su di un piede di reciproca sicura fiducia, corrispondente al programma di pace svolto nella sua Circolare. Che ciò era tutto; che il cercar di più era un'utopia; che le alleanze dovevano avere uno scopo, e che questo avrebbe mancato ad un'alleanza colla Russia; che in fatto di alleanze egli intendeva esclusivamente coltivare quelle che già avevami indicato, cioè colla Germania e coll'Italia, con questa essenzialmente, ravvisando in esse un vero scopo, cioè l'assoluto reciproco interesse delle due nazioni, ed anzi colse nuovamente quest'occasione per riconfermarmi tutta la sua simpatia per l'Italia ed il suo convincimento che non solo 111 perdita del potere temporale non era un male per il Papa, ma anzi un vantaggio grandissimo per la sua indipendenza spirituale, non nascondendosi al tempo stesso la convenienza assoluta per l'Italia, al punto di vista della sua grandezza e forza, ch'essa riesca a vincere la lotta acerba e talvolta poco leale e sgarbata anche che le si muove dal Vaticano, ed a conservare a Roma a fianco del Re il supremo gerarca della Chiesa cattolica. Ritornando poi a parlare della Russia mi analizzò il precitato articolo del Regierungsbote dicendomi che se altamente apprezzava le pacifiche ed anzi cordiali assicurazioni per l'Austria-Ungheria in esso svolte, trovava non doversi però ugualmente perdere di vista la conclusione dell'articolo, nella quale non solo l'idea panslavista non veniva abbandonata, ma anzi accentuavasi per quel tempo avvenire in cui avrebbe potuto dare frutti maturi. Voi vedete dunque, disse che non può essere questione di alleanza. Avendo ogni ragione di credere alla pienissima sincerità e lealtà del Conte Andrassy, questa conversazione ch'io ebbi seco Lui su di cosa che trovò pur non lieve eco nei giornali, parvemi meritevole d'essere riferita all'E. V.
IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 61. Madrid, 22 dicembre 1871 (per. il 28).
Le nouveau Ministère, qui a preté hier serment entre les mains du Roi, se compose, ainsi que j'ai eu l'honneur de le télégraphier à V. E., de M. Sagasta: Président du Conseil et Ministre de l'Intérieur;
M. Colmenares: Ministre de Grace et Iustice;
M. De Blas: Ministre des Affaires Etrangères; Général Gaminde: Ministre de la Guerre;
M. Angulo: Ministre des Finances; Amiral Malcampo: Ministre de la Marine;
M. Groizard: Ministre du Fomento;
M. Topete : Ministre des Colonies.
Le Cabinet présidé par l'Amiral Malcampo ayant insisté dans sa démission malgré les refus réitérés de S. M. de l'accepter, le Roi, qui avait déclaré que les Ministres continuaient à jouir de Sa confiance, a cru devoir s'adresser au Chef du parti Progressiste -Conservateur, auquel ce Cabinet appartenait, pour la formation du nouveau Gouvernement. M. Sagasta, en effet, comprenant le mobile qui a dirigé la conduite de S. M. et qui prouve toujours davantage la haute impartialité de la Couronne, n'a fait que modifier le Ministère précédent en gardant au sein de la nouvelle situation quatre des anciens Ministres. Le nouveau Président du Conseil n'a cependant pas voulu négliger cette occasion pour faire une dernière tentative auprès de M. Zorrilla afin de réunir les deux fractions divisées de leur meme parti. Mais M. Zorrilla a refusé toute espèce de transaction affirmant que le parti radica!, dont il est le chef, était désormais séparé des partisans de M. Sagasta par des différences trop grandes de principes et de système politique. M. Sagasta a voulu aussi prouver par .cette démarche, dont il ne pouvait espérer aucun résultat, qu'il était toujours fidèle à sa conviction, qu'en présence des difficultés et des obstacles qui dérivent des oppositions parlementaires antidynastiques et jusqu'à ce que la dynastie n'eut pris de plus fortes racines en Espagne, il fallait à tout prix maintenir la conciliation des partis qui ont fait triompher la Révolution de Septembre et qui ont élevé au tròne un Prince de la maison de Savoie. C'est toujours comme une conséquence de cette conviction que M. Sagasta s'est adressé à M. Topete pour s'assurer, par l'importance politique qui se rattache à ce nom, la bienveillance et l'appui que l'Union Libérale avait promis a l'Amiral Malcampo. M. Topete appartient par ses votes et par sa conduite parlementaire au parti conservateur, quoiqu'il se soit constamment refusé d'abdiquer sa liberté d'action en s'affiliant officiellement à un parti quelconque, et son entrée ou sa sortie des Ministères, qui se sont succédés depuis la chute des Bourbons, a toujours constaté les différentes phases de rupture et de réconciliation entre les progressistes et les unionistes. M. Sagasta, par conséquent, loin de pouvoir étre accusé d'avoir passé au camp des conservateurs, -ainsi que les journaux radicaux s'efforcent de le prouver, -n'a fait, en décidant M. Topete à accepter le
portefeuille si important des Colonies, que poursuivre avec fermeté la politique qu'il a sans cesse défendu et représenté de conciliation entre tous les amis de l'ordre de choses actuel.
On ne peut guère prévoir si le Cabinet pourra réussir à s'assurer une existence plus longue que les situations qui l'ont précédé. Le parti radica! a commencé déjà à lui faire une guerre acharnée dans la presse et il se prépare à le renverser dès que Ies Cortès se rouvriront dans le courant du mois prochain. Toute la question consiste a présent à savoir si l'opposition réunira contre le Ministère une majorité dynastique; puisque S. M., à ce qu'il semble, est décidée à ne pas compter ces votes antidynastiques qui, par Ieurs monstrueuses coalitions, ne servant qu'à démolir, ne peuvent etre pris en considération par la Couronne lorsqu'il s'agit de reconstruire un nouveau Gouvernement. Si M. Sagasta venait à tomber par l'effort combiné des Républicains, des Carlistes et des Radicaux, tout en étant soutenu par un nombre de Députés Dynastiques supérieur aux seuls Radicaux, il est probable que le Roi, reconnaissant l'impossibilité de gouverner avec !es Chambres actuelles, lui confierait le Décret de dissolution.
La situation du moment peut se définir de la manière suivante: c'est une lutte à mort entre les deux fractions du meme parti Progressiste dont l'une croit que le salut de la Dynastie consiste à s'appuyer, dans ses commencements, sur les forces et l'esprit populaires, et l'autre qui croit que ce salut dépend d'une politique de conciliation et d'attraction des différentes forces conservatrices qui demandent à etre rassurées après le trouble et les secousses que la Révolution leur a fait subir.
IL CONSOLE GENERALE A SERAJEVO, DURIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 129. Serajevo, 19-22 dicembre 1871 (per. l' 1 gennaio 1872).
Reputandole generazioni spontanee ed effimere del tal qual fermento cau
sato negli animi dalla gita del Principe Milano a Livadia, ho procrastinato nello
accennare a più frequenti voci locali di attivi maneggi, imputati alla vicina
Serbia, a scopi di non lontane novità in Bosnia. Oggi però mi reco a dovere
di riferire che ragguagli confidenziali, testè avuti da persona degna di tutta
fede, mi sembrano avvalorare le succennate vod in modo non immeritevole
di attenzione.
Vuolsi diffatti sapere che qua e là in Bosnia stiasi procedendo a formali
segreti arruolamenti, che immissioni di armi e materie da polverificio, pro
venienti dalla Serbia, stiano operandovisi da qualche tempo, e che sarebbe
anzi non ha guarì riuscito alle Autorità turche di scoprire un deposito di tali
importazioni, cose tutte difficilissime a verificare perchè al costume del far
niente, del saper niente, queste Autorità sogliano accoppiare anche quello di
dir mai niente. Avvi però un fatto che induce a non credere le voci destituite
affatto di fondamento, un telegramma cioè che la Comunità ortodossa di Knezopolie (distretto di Costainiza nel Sangiaccato di Bihacc) ebbe l'ardimento di indirizzare il 6 corrente a questo Console di Russia perchè facesse lui cessare le oppressioni d'ogni natura che proclama indurare dalla propria Autorità ottomana. Il malgoverno è insufficiente a spiegare l'ardimento di una communità ottomana a reclamare pubblicamente la protezione di un Console estero che per giunta si trovi esser quello di Russia: quei di Knezopolie, località esclusivamente abitata da ortodossi e nota nei fasti rivoluzionarj del paese per ispirito di iniziativa, devono esser stati spinti da una pressione esterna, più sollecita in verità a curare l'onta dell'Autorità locale che non a chiamarla a resipiscenza. Mi parrebbe quindi logico l'ammettere che esiste il bucinato lavorio esterno avente per oggettivo la Bosnia, abbenchè ed origine motrice e proporzioni sue mi sieno ignote.
Al Console di Russia che previa le possibili precauzioni oratorie leggeva il telegramma al Valì, questi rispondeva non poter tener conto della comunicazione finchè non gli venisse innoltrata nelle vie legali.
P. S. -22 dicembre. Unisco copia di mio rapporto d'oggi alla R. Legazione.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERNA, MARTUSCELLI
D. 79. Roma, 23 dicembre 1871.
Il Ministero dell'Interno mi ha confidenzialmente informato essere giunto a sua notizia che nel Canton Ticino travasi in questo momento il noto agitatore russo Bakunine, il quale da Lugano tiene corrispondenza coi principali affiliati italiani della Società internazionale, valendosi del pseudonimo di Silvio.
Mi affretto di render consapevole la S. V. Illustrissima di questo fatto perchè stimo opportuno che anche il Governo federale ne sia edotto per propria norma.
IL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 24. Bruxelles, 25 dicembre 1871 (per. il 28).
Mi pregio di inviare all'E. V. il resoconto ufficiale della seduta della Camera dei Rappresentanti del 21 corrente nella quale il Signor Thonissen, membro della destra e professore dell'Università di Louvain, fece adottare dalla Camera una sua proposta perché la lingua Italiana fosse compresa coll'Inglese e la Tedesca
tra quelle la cui cognizione conferirà un titolo di preferenza ai dottori in legge,
filosofia, lettere, scienze e medicina che aspirino ad ottenere le bourses di 2000
all'anno per compiere i loro studi all'estero.
Il Signor Thonissen motivò tale proposta affermando che l'Italia si trova
a capo delle nazioni Europee per le scienze giuridiche e che essa è rimasta ani
mata da un notevolissimo spirito scientifico.
L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A FIRENZE, DE SAYVE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
Firenze, 26 dicembre 1871 (per. il 27 ).
Conformément aux instructions que j'ai reçues de mon Gouvernement, j'ai l'honneur de vous informer que la Légation de France auprès de Sa Majesté le Roi d'Italie sera définitivement transférée à Rome le 1er Janvier prochain.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI
D. 27. Roma, 27 dicembre 1871.
Mi pregio accusar ricevuta alla S. V. dei di lei pregiati rapporti politici fino al 132 di questa serie incluso. Attirò particolarmente la mia attenzione il di lei rapporto n. 118 del J,o ottobre (l) concernente le ferrovie serbe come quelle che sono destinate ad esercitare una influenza grandissima sui futuri destini politici ed economici di questo Principato. M'interessò del pari grandemente quanto ella mi scrisse nei di lei ultimi rapporti circa allo stato delle relazioni esistenti fra la Serbia e quelle fra le nazioni europee che per comunanza di frontiere e per i loro interessi politici
nelle questioni orientali hanno maggiore interesse a far valere la loro influenza nell'andamento della politica serba.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
T. 1783. Roma, 28 dicembre 1871, ore 15.
Le Ministre de Turquie insiste pour que nous prenions une décision sur la question de Tripoli. Il nous serait agréable de procéder d'accord avec le Gouvernement français dans cette affaire au sujet de la quelle il me semble toutefois qu'on ne saurait se dispenser plus longtemps de donner une réponse définitive. Veuillez en parler à M. de Rémusat et vous informer de ses intentions.
(l) Cfr. n. 134.
IL MINISTRO ALL'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
'I'. 4066. L'Aja, 28 dicembre 1871, ore ... (per. are l del 29).
La première Chambre a adopté le vote de la seconde chambre relativement à la suppression du poste auprès du St. Siège.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA
D. 92. Roma, 29 dicembre 1871.
Le Chargé d'affaires du Roi à S. Pétersbourg a eu l'occasion de me signaler, dans sa correspondance politique, l'intéret avec lequel le Gouvernement du Czar suivait les phases de la question pendante depuis quelques mois entre l'Italie, la France et la Grèce, au sujet de la concession des mines du Laurium accordée par le Gouvernement hellénique à une société Franco-Italienne. M. le Baron d'Uxkull m'a entretenu dernièrement de cette affaire, et quoique le représentant russe ait eu soin de me déclarer qu'il n'était chargé par son Gouvernement d'aucune communication spéciale s'y référant, j'ai cru devoir lui donner à ce sujet quelques explications, dont il est utile que vous avez, vous meme, connaissance.
En manifestant au Représentant de la Russie les intentions du Gouvernement de S. M. relativement à l'affaire du Laurium, je ne lui ai pas laissé ignorer les sentiments de conciliation que l'Italie a toujours taché de faire prévaloir dans les négociations avec la Grèce. Nous avons pu regretter en effet que le Cabinet d'Athènes ait cherché à engager dans cette affaire la dignité nationale de la Grèce, sans nous laisser toutefois entrainer par lui sur un terrain où la question aurait été complètement déplacée.
Bien au contraire, dans une pensée de conciliation et pour éviter au Cabinet d'Athènes jusqu'à l'apparence d'une concession dont l'opinion publique en Grèce eut à se plaindre, nous avions prop-osé à la Grèce de soumettre le différend de la compagnie Franco-Italienne avec l'administration hellénique à un arbitrage dans lequel la parité de conditions et de garanties était soigneusement assurée aux deux parties en litige. Nous avions proposé d'accord avec la France, que les arbitres fussent en nombre de cinq, deux pour la compagnie et deux pour l'administration grecque. Le cinquième arbitre, chargé de présider la commission, devait etre un étranger, et nous avions suggéré pour remplir ces fonctions délicates, le choix de M. Stuart, le représentant actuel de la Grande Bretagne
en Grèce.
2 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
Sans repousser formellement notre proposition le Gouvernement hellénique vient de l'écarter dans ses communications récentes à Paris et à Rome. Il s'efforce de démontrer que la question des mines du Laurium est une question d'ordre intérieur; qu'il n'appartient par conséquent qu'aux tribunaux ordinaires de la Grèce de statuer sur les contestations pouvant surgir entre les concessionnaires italiens et français et l'administration grecque. Le nouveau Ministre des Affaires Etrangères de la Grèce invoque à l'appui de la question préalable posée par lui, le droit d'indépendance de son pays, et semble vouloir ainsi passionner de plus en plus le débat.
Je désire M. le Ministre, de vous mettre à méme de faire apprécier l'état de cette question au Gouvernement auprès du quel vous étes accrédité, à un point de vue plus exact. A cet effet, je vous envoie un mémoire explicatif (1), dans lequel les points les plus essentiels de la question se trouvent résumés. Par cette communication nous voulons répondre à l'intérét amicai que le Gouvernement du Czar nous a paru témoigner pour la solution de l'affaire du Laurium. Nous avons trop hautement appréciés les sentiments qui ont inspiré son attitude, pour hésiter à faire appel à ces mémes sentiments afin qu'il s'intéresse également à ce que la Grèce se montre animée de l'esprit de conciliation dont l'Italie et la France ne se sont jamais écartées. C'est dans l'espoir que le Cabinet de St. Pétersbourg voudra accueillir favorablement la communication dont je vous charge, que je vous autorise M. le Ministre, à remettre à S. A. le Prince de Gorchakoff une copie du mémoire ci-joint si Elle exprime le désir de le consulter.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4067. Parigi, 29 dicembre 1871, ore 14 (per. ore 18).
M. de Rémusat convient qu'il est temps de définir la question de Tripoli. II m'a assuré qu'il vous soumettra, ainsi qu'à l'Angleterre, un projet de protectorat.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA
D. 114. Roma, 31 dicembre 1871.
Ella avrà forse già cognizione di un affare nato in Grecia fra quell'amministrazione fiscale ed una società itala-francese relativamente alla concessione di certe miniere di piombo argentifero situate nella regione denominata il Laurium. Qual sia la quistione giuridica ed in quali termini ora essa si trovi, V. E. potrà
vedere prendendo notizia del promemoria qui unito (1). E del pari Ella avrà sufficiente informazione della quistione medesima sotto il suo aspetto diplomatico, quando Ella avrà letto la lettera direttami dall'Incaricato d'Affari di Francia il 16 di questo mese per invitarmi a fare di concerto con il suo Governo delle pratiche presso le potenze che hanno autorità per farsi ascoltare ad Atene.
Fra queste potenze primeggia di sicuro la Gran Bretagna ma la circostanza dell'avere Lord Granville cortesemente aderito alla scelta del Signor Stuart, rappresentante inglese ad Atene, per le funzioni di arbitro e presidente del Collegio arbitrale al quale noi proponiamo di sottoporre la vertenza, potrebbe forse consigliare tanto alla Francia che a noi di astenerci dal chiedere che l'Inghilterra porga consigli al Gabinetto ellenico in questa occasione. Questo riflesso io sottopongo a lei Signor Ministro, persuaso che Ella saprà in ogni caso apprezzare meglio di ogni altro in quale misura il Governo della Regina potrebbe essere da noi interessato a far accogliere dalla Grecia un temperamento equo e conciliativo, trattandosi di una quistione in cui il rappresentante britannico dovrebbe sedere arbitro. Epperò, a lei sembrerà probabilmente conveniente sentire, prima di parlare a Lord Granville di questo affare, quali istruzioni abbia ricevuto in proposito l'Ambasciatore francese, sia per regolare il poprio linguaggio sopra quello del rappresentante di Francia, sia per intendersi con lui circa i passi da farsi presso il Governo inglese.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO
D. 66. Roma, 31 dicembre 1871.
Le accuso ricevuta del di lei carteggio politico sino al n. 174 incluso. Rispondendo a quest'ultimo suo rapporto (2), stimo opportuno farle conoscere le istruzioni che sino dal mese d'ottobre di quest'anno io ho dato al Ministro del Re a Costantinopoli nel senso di patrocinarvi la riforma giudiziaria in quei termini nei quali è stata riconosciuta non solamente utile ma opportuna e necessaria dalla Commissione appositamente presso di noi istituita.
In quelle istruzioni, io ho particolarmente insistito, ed ora insisto anche presso la S. V., perchè la riforma non abbia ad essere introdotta parzialmente, giacchè l'esito della medesima ne verrebbe compromesso. Appena è mestieri ch'io le dica, signor commendatore aver io approvato ciò che ella disse in proposito a Nubar pascià e che mi ha riferito nel precitato rapporto del 20 corrente. Qualora la giurisdizione dei nuovi tribunali non dovesse estendersi alle cause del Governo
e delle pubbliche Amministrazioni egiziane, noi lascieremmo sussistere per tali vertenze l'incertezza presente, e così renderemmo inutile, o quasi, la riforma giudiziaria, scopo precipuo della quale è appunto di far cessare tali incertezze e gl'inconvenienti di ogni specie che ne sono la conseguenza. Mi propongo pertanto di scrivere col prossimo corriere al R. Rappresentante a Costantinopoli per ricordargli le istruzioni già impartitegli, e per fargli conoscere l'opportunità di agire nelle circostanze presenti conformemente alle istruzioni medesime.
IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4070. Bema, l gennaio 1872, ore... (per. ore 18,15).
Président de la Confédération répondant aux souhaits que je lui ai adressés au nom du Gouvernement du roi m'a dit entre autres que les rapports diplomatiques qui ont existé entre la confédération et le S. Siège allaient cesser et que le conseil fédéral auquel sur ce sujet assemblée fédérale se réfère pleinement était d'accord sur la convenance d'interrompre toute relation avec la nonciature. C'est là le cadeau du nouvel an que dans ces jours la Suisse envoye à l'Italie.
IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 175. Berna, l gennaio 1872 (per. il 16).
In conferma ed a compimento del mio telegramma di quest'oggi (l) debbo aggiungere: Mi sono recato stamane col personale diplomatico di questa Legazione al palazzo federale per fare i complimenti d'uso al Presidente della Confederazione.
Il Signor Welti, che assumeva in questo giorno stesso l'alto uffizio, accolse con segni di evidente gradimento i voti che io gli porgeva in nome del Governo Reale, tanto per la persona di lui, quanto per la Confederazione, e con sentite parole espresse gli stessi sentimenti pel Re e per l'Italia.
In quest'occasione si venne a discorrere delle cause molteplici che cementavano e rendevano oramai indissolubili i rapporti amichevoli esistenti già fra i due paesi; si congratulò con noi dell'instauramento del Parlamento a Roma, ed accennò come la Svizzera si fosse posta, cogli ultimi voti dell'Assemblea federale, nelle stesse vie in cui s'è posta l'Italia per ciò che concerne le relazioni della
Chiesa collo Stato, e manifestò l'avviso che i Cantoni seguirebbero quest'esempio per ciò che concerne queste relazioni. L'eminente magistrato mi disse che l'Assemblea federale aveva affidato al Consiglio esecutivo della Confederazione la facoltà di decidere sull'opportunità di abolire la Nunziatura, sorgente ben spesso di gravi difficoltà per la Svizzera, ed aggiunse che il Consiglio federale era d'accordo sulla convenienza d'interrompere al più presto le sue relazioni col Nunzio.
Non è necessario che io faccia osservare qui che il Signor Welti m'informava di ciò nell'intenzione di fare cosa che sarebbe riuscita grata al Governo Italiano. Non ho stimato dover lasciare ignorare all'E. V. l'ultima parte della conver
sazione col Presidente della Svizzera.
(l) Cfr. n. 279.
IL VICE CONSOLE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 330. Bucarest, 3 gennaio 1872 (per il 12).
Con 75 voti favorevoli contro 48, la Camera dei deputati ha approvato ieri in totale il progetto di legge proposto dai delegati delle sezioni allo scopo di dare una soluzione alla vertenza coi detentori delle obbligazioni ferroviarie rumene.
Questa votazione prova quanto il presente Gabinetto sia forte nella Camera, avendo potuto ottenere, in una questione tanto importante e che destava tante passioni, una sì sensibile maggioranza. Sicchè, se la logica presiedesse agli affari di questo Paese, vi sarebbe tutto a sperare che, senza fortissimi intrighi esteri, il Ministero Catargi potrebbe avere una vita molto meno effimera di quanto l'abbiano generalmente i Gabinetti in Rumenia.
Ma questo voto ha egli allontanato i pericoli dalla Rumenia? Ha egli calmato il malvolere del Governo della Germania? Una conversazione che ebbi ieri seri! stessa col Reggente del Consolato Generale Germanico, mi fa credere di no.
• Io non credo, mi diceva il signor Tielau, che i detentori Germanici possano accettare veruna delle due soluzioni votate ieri dalla Camera Rumena, la prima delle quali rende quasi impossibile ad essi il continuare i lavori, la seconda lor fa perdere troppo. Il Ministero non fu punto di buona fede o per lo meno non mise verun impegno per far introdurre nel progetto dei delegati quelle modificazioni che il signor From dichiarava indispensabili per far riuscire un accomodamento. La legge votata è una transazione in cui la Rumenia si fece la parte del leone. Vedremo cosa farà il Senato e poi cosa deciderà la riunione generale dei detentori, stata convocata, (se ben ricordo) pel 26 del corrente mese. Se le proposte rumene non saranno accettate, alors ce sera de nouveau notre tour, du reste, egli aggiunse, les Roumains se trompent fort s'ils croient que si les détenteurs accepteront, le Gouvernement de l'AlZemagne aura de nouveau avec la Roumanie les memes bonnes relations d'une fois. Io gli chiesi allora quali erano gli articoli che facevangli parere come inaccettabile da parte dei detentori la legge votata, e quali le ragioni per cui, terminato questo affare, la Germania non avrebbe ripreso il suo antico modo benevolo di agire verso la Rumenia. Alla prima delle interrogazioni, egli mi rispose non poterm! ciò spiegare se non avendo avanti gli occhi la legge votata dalla Camera, ed esser questo piuttosto affare del signor From che suo proprio. Alla seconda domanda poi ei mi rispose: nos griefs envers la Roumanie sont très-nombreux, et il faudra qu'un jour ou l'autre elle les paie et cher, mais pour le moment je ne puis rien vous ajouter.
Non avendo ancor potuto avere io stesso il testo della legge votata ieri, nè avendo ancor avuto una seria conversazione in proposito con il Signor From, non potrei pronunciarmi per ora se veramente siavi luogo di far tanta opposizione, ma riandando nella mia mente gli avvenimenti dell'inverno scorso, e rammentando tutti gli sforzi fatti dalla Prussia per far partire il Principe Carlo, sempre più si conferma in me l'idea che interessi ben più gravi che non i 200 milioni di capitali tedeschi impiegati nelle ferrovie rumene, furono quelli che decisero il Principe Bismark a prendere con tanto ardore in mano questo affare, ed a trattarlo con tanta asprezza.
La condotta del Governo germanico da circa due anni a questa parte, mi fa credere che la caduta della Rumenia sia un fatto deciso nella mente del Principe di Bismark. In forza di quali combinazioni, nè in favore di chi ciò debba avvenire, io nol so; ma l'E. V., coi mezzi di cui possiede, potrà facilmente venirne in chiaro. Io non posso far altro che riportare all'E. V. gli avvenimenti che si svolgono in questo paese, ed esporle le supposizioni che il loro concatenamento fa nascere nell'animo mio.
IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Londra, 3 gennaio 1872.
Ho ricevuto a suo tempo la sua pregiata lettera del 19 Dicembre (l) p. p. con unitavi lettera del Signor Borth Frère pel Signor F. Monat. Non mi è stato possibile rispondere prima d'ora perchè il Signor Conte Granville, e tutti i Ministri sono sempre lontani da Londra, e ad ogni settimana cambiava la loro dimora. Mi riuscì di vedere Lord Granville il 30 Dicembre in occasione di un suo momentaneo ritorno a Londra, e l'ho lungamente trattenuto sull'affare dell'isola di Borneo, e sulla nostra quistione per la deportazione. Ho creduto meglio di farle un rapporto confidenziale di codesto abboccamento, in forma tale però che, all'occorrenza, Ella possa servirsene ed Ella troverà questo rapporto qui unito (2). Le dirò ora ciò che in codesto rapporto non poteva trovar sede opportuna.
Mi pare, dopo le molte prove, troppo chiaro che il Governo Inglese, qualunque ne sia il motivo, non vede molto volontieri il nostro progetto di occupare una terra nei grandi lontani mari per farvi uno stabilimento di deportazione. Ma l'opposizione non fu finora per sua parte aperta, sibbene indiretta, fatta caso per caso, senza ragionamenti, e motivi; sopratutto non fu mai ostensivamente basata sopra considerazioni politiche. In seguito all'incarico che Ella mi ha dato non solo di domandare la risposta per Borneo, ma di chiedergli se, in occasione, erano disposti ad appoggiarci, io volli nella mia conversazione procurare di vederci un po' più addentro, epperciò ho replicato, ho insistito, e diretto ogni sforzo ad obbligare Lord Granville a pronunziarsi. Ora dal rendiconto di questa assai lunga conversazione Ella vedrà, che da essa traspare una non celata riluttanza al nostro progetto, appoggiata a ragioni insussistenti, e non applicabili al caso, le quali, (dette da Lord Granville uomo molto fino, e di molta intelligenza) danno il diritto di credere, che i veri motivi di questa riluttanza non si vogliono dire, e che non si vuole perchè ragionevolmente non si può. Ora tutto ciò mi conferma nella presunzione che le difficoltà non sono nel caso particolare di Borneo, e che noi furono negli altri consimili che l'hanno preceduto; ma che hanno base in una ragione politica di carattere generale. Ella rileverà che alla nota da me fatta cortesemente nella forma, ma incisivamente nel fondo, intorno alla comunicazione del nostro progetto fatta all'Olanda Lord Granville si accontentò di dire che non ne aveva presa l'iniziativa, ma che era stato interpellato, e che nulla rispose intorno ana causa poco benevola a noi, che io aveva attribuita a questa comunicazione. Debbo anzi aggiungere che anche solo per avere questa risposta dovetti tornare tre volte alla carica ripetendogli la stessa cosa, e l'ultima volta un po' marcatamente dicendogli che Io avevamo saputo dallo stesso Ministro Olandese a Roma. Anche la mia domanda se potevamo contare sulle buone disposizioni del Sovrano non ebbe risposta che sul fine della nostra conversazione,
quando io gli rinnovai l'interrogazione in modo, che mi dovesse rispondere. Ella noterà poi il tenore di questa risposta cortese nella forma, favorevole in modo generico, ma temperata subito dalla espressione dell'opinione che il nostro progetto non sarebbe riuscito.
Se questo contegno di Lord Granville non fosse già stato preceduto da molti fatti che indicano la ripugnanza dell'intero Governo ai nostri progetti si potrebbe dubitare se il ·contegno di Lord Granville in questa circostanza possa considerarsi proveniente da un partito preso. Di fatto l'aspettare la risposta del Governatore della Gujana, il volerne parlare coi suoi Colleghi, la somma cura che pone sempre Lord Granville di dire troppo poco pel timore di dir troppo, potrebbero dare una spiegazione a noi meno contraria del suo contegno. Lo stesso potrebbe essere suggerito dalla circostanza, che è la prima volta che Lord Granville è tratto a considerare la questione nettamente dal punto di vista di un vero stabilimento penitenziario che non presenta gli inconvenienti di una colonia. E di fatto è questo l'elemento che gli ha dato più imbarazzo nella nostra conversazione, nella quale ragionava ed objettava sempre come se questo elemento non ci fosse.
Ma i fatti precedenti del Governo mi fanno temere che si aspetti la risposta
del Governatore per avere un nuovo appoggio od un rifiuto; che Granville voglia
parlare ai Colleghi perchè deliberino anche in vista del nostro progetto di fare
un penitenziario, e trovino nuovi motivi ad un rifiuto. Certo è che se non vogliono !asciarci piantare in que' mari la nostra bandiera, non vi consentiranno solo perchè faremo un penitenziario invece di una colonia.
Le espongo i miei motivi di dubbio, ma sarebbe certo troppo temerario lo spingere fin d'ora le cose al di là del dubbio. Parmi però che quando ci daranno la risposta per Borneo la cosa debbe essere chiarita, dappoichè ora abbiamo anche domandato in genere un appoggio morale. Ciò vuol dire che se ci dessero una negativa per Borneo, e se avessero realmente voglia di ajutarci, ci dovrebbero contemporaneamente o fare qualche proposta, o darci qualche suggerimento, od indicazione di località, e mostrarsi disposti ad ajutarci per conseguirla o per cessione, od altrimenti. Se non lo faranno sarà a mio avviso evidente che non ci vogliono ajutare, e che ci contrarieranno in questa faccenda. Sapremo almeno come la pensano, saremo dispensati dall'interpellarli, e dal perdere anni aspettando risposte sempre negative, e potremo avvisare al da farsi.
Io mi permetterò di esprimerle l'opinione che sarebbe conveniente di piantare a Lord Granville la questione in modo che, se ha buona volontà debba farci una proposta, darci un consiglio, offrire un appoggio contemporaneamente alla risposta negativa che ci facesse per Borneo. Dopo tanti rifiuti, e tanti nostri tentativi falliti per volontà dell'Inghilterra, si ha ragione di domandarglielo, perchè provi col fatto se ha buona o cattiva volontà in questo affare. A me pare, che io potrei a questo fine dire-Lord Granville-• Ho comunicato la vostra conversazione del 20 Dicembre 1871 al mio Ministro; egli vi ringrazia delle buone disposizioni che mi avete manifestate di ajutarci; confido che le dichiarazioni che vi ho fatte sul modo col quale noi vorremo fare la deportazione possano giovare ad allontanare le difficoltà che avessero potuto esistere per l'Isola di Borneo; e confido altrettanto, che in vista della cura, che abbiamo sempre posto di non far nulla, se non d'accordo con Voi, in vista di che non abbiamo dopo molti anni e tentativi potuto raggiungere il nostro intento; in vista infine della ineluttabile necessità di conseguirlo in qualche modo, Voi dovrete nel caso che anche la risposta pe1· Borneo fosse per essere contraria al nostro desiderio, darci ne~ tempo stesso quei suggerimenti, farci quelle proposte, fornirci quel morale appoggio mediante cui noi possiamo realmente trovare un luogo opportuno a soddisfare al nostro scopo che ci è imposto dal dovere, dall'onore, dalla civiltà, soddisfacendo in tal modo anche all'opinione pubblica risultante da' suoi organi principali nel Vostro Paese. Non solo il mio Governo, ma l'Italia che reclama unanime questo mezzo di repressione dei delitti, ne sarebbe molto grata al Governo Britannico •.
Ho compendiato il mio pensiero, a solo modo di cenno in questo lungo periodo. Se l'Inghilterra dicendoci di no per Borneo, non ci giovasse altrimenti,
o se fin d'ora Granville mi dicesse, che non crede, o non sa che cosa potrebbe suggerirei, noi sapremmo chiaramente che cosa ne dobbiamo pensare dopo di aver posta la questione in questo modo. Ella vedrà se in questa mia idea ci sia qualche cosa di buono.
Ho mandato subito la lettera al Signor F. Monat, e fui io stesso a trovarlo. Fu meco gentilissimo, e si mostrò dispostissimo a trovarmi in seguito, ed a trattare degli affari relativi alla deportazione. Era ora, e per una quindicina di giorni occupato assai per una commissione, poscia sarebbe venuto a trovarmi.
Ora potrebbe essere certamente utile, che io potessi vedere il signor Gladstone, ma come trovarlo, dappoichè non è mai a Londra? Per altra parte bisognerebbe che lo potessi incontrare in modo da non avere l'aria di premunirmi contro Granville. Farò tutto il possibile per riuscire nell'intento, ma è difficile che possa attenerlo presto.
Voglia, ne la prego, assicurare anche il Presidente del Consiglio, che pongo il più grande interesse su questo affare, che, anche per le mie convinzioni sarei felice di poterlo condurre in porto, e che certamente non starà per me che ciò non avvenga.
HIRLING AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Venezia, 3 gennaio 1872.
Ricevo in questo momento una lettera da Vienna colle seguenti notizie autorevolissime le quali mi onoro di trasmetterle.
Il Barone di Kubek è partito ierlaltro di sera da Vienna e sarà a Roma sabato o domenica. Il suo successore Conte Felice de Wimpfen partirà da Vienna la settimana ventura. Tutto lascia sperare che il Conte Wimpfen coltiverà cordialissime relazioni coll'E. V. e si acquisterà le simpatie in Italia. Egli stesso sollecitò il posto presso il Governo di S. M. il Re d'Italia, perchè questo gli conveniva più che altre legazioni offertigli, avendo egli tutte le simpatie per l'Italia.
Le istruzioni che egli riceverà dal nostro Governo saranno favorevolissime e si crede a Vienna di avere trovato nel conte di Wimpfen l'uomo il quale già per le sue anticedenze politiche meglio d'ogni altro saprà coltivare l'entente cordiale con stretta amicizia fra Austria, Germania ed Italia.
La politica inaugurata dal Conte Andrassy, d'accordo coi Ministri Cisleitani e trasleitani di mettere un certo freno alle prepotenze clericali non tarderà
sicuro di mostrare i suoi effetti anche nelle relazioni fra l'Austria e l'Italia riguardo la Curia romana, e certo le pretese di questa troveranno poca accoglienza a Vienna. Il conte di Trauttmansdorf non torna più al suo posto a Roma, verrà mantenuto l'interim finchè le delegazioni avranno deciso sopra la futura rappresentanza presso il Papa. Ecco le principali notizie avute che mi onoro di tra
smettervi.
Fra il 15 e il 20 corrente conto di fare il mio progettato viaggio a Vienna e Germania, non prima, e probabilmente la settimana ventura verrò a Roma a prendere gli ordini di V. E. Prego caldissimamente l'Eccellenza di provvedere fin d'ora ai chiesti favori pel Signore di Dreifuss e il signor Wiener per essere in grado di consegnare ai suddetti nella mia prossima andata in Germania gli aspettati e promessi favori.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSOLE A S. MARTA, DE ANDREIS
D. s. N. Roma, 6 gennaio 1872.
Ho ricevuto regolarmente il di lei rapporto del 22 luglio (l) dell'anno passato nel quale ella mi ha esposto quale impressione producesse nella Colombia il contegno del Governo dell'Equatore verso l'Italia. La ringrazio di quelle informazioni, ed a mia volta debbo farle sapere che il console generale di Colombia in Firenze ebbe cura di comunicarmi il testo della nota con la quale il suo Governo ha ricusato di far adesione alla protesta della Repubblica Equatoriana contro l'occupazione di Roma. Mi lusingo che i miei ringraziamenti per quella cortese comunicazione saranno pervenuti al Governo di Colombia. In caso diverso la pregherei di volerne essere ella l'interessata.
È poi bene che V. S. sappia che la protesta del Governo di Quito fu da me lasciata senza alcuna risposta e che gli agenti italiani nei paesi dell'America Centrale ebbero per istruzione di astenersi dall'avere con quel Governo altre relazioni fuorchè quelle assolutamente indispensabili alla protezione delle persone e degli averi degli italiani dimoranti sul territorio dell'Equatore. Di queste istruzioni ella può prendere nota sin d'ora per qualunque caso avvenire.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1754. Parigi, 6 gennaio 1872 (per. il 9).
Col dispaccio circolare s. n. in data 10 Dicembre 1871 (2) l'E. V. esprimeva il desiderio di ricevere qualche dato in ordine alle condizioni delle associazioni religiose esistenti in Francia le quali abbiano un carattere qualsiasi di nazionalità Italiana.
Tre sole sono a mia saputa sul territorio della Repubblica le associazioni religiose cui possa attribuirsi un tale carattere. Le loro sedi sono Parigi, Gien e Aubigny. Mi pregio d'inviare qui unito all'E. V. un elenco (l) dei Padri Italiani che appartengono a questi tre Stabilimenti religiosi e che tutti seguono la regola dei Barnabiti.
Nella Casa di Parigi i Padri Italiani sono in maggioranza. Essa ha la forma conventuale e non è collegio. L'associazione religiosa di Gien, nella quale la maggioranza è pure Italiana forma collegio. Essa è quindi rappresentata dal Padre Luigi Fumagalli di
Milano, il quale si fece naturalizzare francese attesoché la nazionalità francese è richiesta dalla legge per rappresentare il Collegio.
La Casa di Aubigny è un noviziato nel quale i novizi sono in maggioranza francesi.
Non esiste sopra questi enti religiosi nessun speciale diritto di patronato e la loro esistenza è regolata unicamente dalla legge comune che vale per tutte le associazioni.
IL MINISTRO A BRUXELLES, BLANC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 28. Bruxelles, 6 gennaio 1872.
Mi pregio di segnare ricevuta all'E. V. della circolare del 10 Dicembre
u. s. (1). Il solo ordine religioso avente nel Belgio esistenza riconosciuta dalla legge è quello delle suore di carità.
Nessuna autorità straniera e neppure il nunzio ha diritto alcuno sugli ordini religiosi, al punto di vista del diritto civile e costituzionale i membri del clero regolare, italiani o d'altre nazioni, residenti nel Belgio, sono sottoposti al diritto comune di tutti i belgi. Sono liberi al par di essi ed esercitano i loro diritti nei limiti della Costituzione.
Non esiste nessun convento beneficio etc. che abbia diritti speciali. Tutti siffatti privilegi furono aboliti dalla prima rivoluzione francese.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
T. 1784. Roma, 7 gennaio 1872, ore 22,45.
M. Sella me charge de vous transmettre ce qui suit: • Le projet du Ministre des Finances français pour imposer une taxe sur la rente étrangère n'est pas acceptable. Malvano qui part pour Paris vous apporte les explications nécessaires. Je me borne pour le moment à vous dire que le Gouvernement italien et son mandataire Rotschild pourraient bien faciliter l'exaction de l'impéìt pour le compte du Gouvernement français, mais, il est impossible qu'ils prennent à leur charge l'exaction de l'impéìt d'après le projet de loi, et cela pour plusieurs motifs entr'autres par suite de l'extrème variabilité de la somme payée à Paris.
(l) Cfr. n. 250.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4073. Parigi, 8 gennaio 1872, o1·e 15,10 (per. ore 17).
Projet d'impòt sur Ies valeurs étrangères doit etre discuté aujourd'hui à l'Assemblée. M. Thiers et la majorité de la commission sont contraires, mais la minorité et le Ministre de Finances sont en faveur. On espère que la discussion sera renvoyée à plus tard. J'attends !es instructions de M. Sella à cet égard. Election de Vautrain à Paris est considérée comme relativement bonne. Il y a eu beaucoup d'abstentions.
IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 63. Madrid, 8 gennaio 1872 (per. l' 11).
Le Ministère a cédé enfin à la pression de l'opinion publique de toutes les nuances politiques, et la Gazette Officielle d'avant hier a publié le Décret Royal déclarant que la législature de 1871 était terminée et convoquant Ies Cortès pour le 22 du mois courant.
L'hésitation de M. Sagasta de reouvrir les Cortès trouvait sa raison dans l'espérance qu'H a toujours gardée de pouvoir ramener à lui une partie des Progressistes qui ont suivi M. Zorrilla et dans la persuasion que s'il ne renforçait auparavant la majorité qui est disposée à le soutenir, le jour de l'ouverture des Cortès pourrait bien etre celui de sa chute. Les tentatives qu'il a faites auprès de ses amis n'ayant pas été couronnées de succès, le délai à obéir aux volontés de la Couronne et l'inaction inévitable de son gouvernement, tandis que tout le mond réclamait l'adotion de mesures promptes et efficaces en présence des inquiétudes qu'inspire la question de Cuba et l'état du Trésor, ont tellement augmenté le danger de la position qu'on peut aujourd'hui prévoir, avec toutes probabilités, que le Cabinet recevra, dès les premiers jours, un échec au Parlement. On ne saurait, en effet, concevoir commcnt il pourrait se soutenir. L'esprit intransigeant des partis faisant échouer la tentative de M. Sagasta qui consiste à suivre une politique qui ne soit ni radicale ni conservatrice, cet homme d'état ne peut aujourd'hui retourner en arrière qu'en abdiquant devant son riva! M. Zorrilla, ni se fondre avec les conservateurs qu'en étant abandonné par le plus grand nombre de ses partisans qui s'obstinent à vouloir demeurer Progressistes. Les Unionistes eux-memes, qui espéraient, grace à l'entrée de M. Topete au pouvoir, forcer la main à M. Sagasta, ne cachent plus Ieur mécontentement et proclament hautement qu'il est temps que
M. Sagasta oublie son origine politique s'il veut compter sur Ieurs suffrages et leur appui.
La ligne de condulte du Président du Conseil, qui, avec un état de choses plus calme, aurait eu des chances nombreuses de réussite, n'a donc fait que lui oter beaucoup de force morale et mécontenter tout le monde. La réouverture des Cortès, il faut bien le dire, sera donc, d'après toute évidence, le signal d'une nouvelle crise ministérielle.
IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 101. Washington, 9 gennaio 1872 (per. il 26).
Mi giunse regolarmente la Circolare che l'E V. mi fece l'onore di rivolgermi lì 10 dell'ora scorso dicembre (l) onde domandarmi se esistano in questi Stati enti religiosi considerati come Italiani, non che altri ragguagli sullo stesso argomento.
Sebbene fossi convinto non trovarsi in alcuno di questi Stati enti religiosi Italiani nondimeno prima di rispondere all'E. V. volli meglio assicurarmene presso autorità competenti. E ne trassi non esistere infatti nel territorio della Unione alcun ente religioso che sia considerato come italiano.
Nè altro mi occorre per oggi.
P. S. -Per regolarità di corrispondenza accuso ricevuta del dispaccio ministeriale 9 novembre, divisione politica, S. N., a cui diedi corso trasmettendone copia al Professore Botta, e della Circolare in data 12 dicembre u. s. (2).
IL CONSOLE GENERALE A CHAMBÉRY, BASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 65. Chambéry, 9 gennaio 1872 (per. il 12).
Il risultato delle elezioni che ebbero luogo avant'ieri nella Savoia per la deputazione all'Assemblea Nazionale riuscì, com'ebbi l'onore di farle conoscere con apposito telegramma, favorevole al candidato proposto dal partito clericale.
È il Grange un ricco industriale della Moriana, che aveva interesse di riuscire per ottenere disposizioni favorevoli per le sue miniere. Egli ebbe 21.175 voti contro 20.070 riportati dal suo competitore Dottor Jacquemond portato dal Comitato repubblicano.
I fogli clericali cantano vittoria, quantunque nelle città di Chambéry e di Aix, e nei principali capoluoghi di Cantone abbia il Jacquemond riportato una considerevole maggiorità.
Due circostanze hanno particolarmente favorito l'elezione del Grange. Una lettera del Cardinale Arcivescovo di Chambéry a tutti i Parroci, contro la quale
si prepara una protesta, e che fu letta pubblicamente nella stessa mattina delle elezioni e commentata da parecchi di loro che obbligarono i loro parrocchiani a votare pel candidato cattolico sotto pena di peccato mortale, ed il Circondario della Moriana che oltre ad essere più degli altri sotto il dominio clericale volle mandare uno dei suoi alla Camera, e gli diede una maggiorità di 3366 voti.
Se quindi malgrado quest'ultima cifra, ed il disaccordo che regna nello stesso partito repubblicano, la cui parte moderata non accettò in generale né i componenti del Comitato né il candidato proposto il che provocò numerose astensioni, il candidato clericale non ebbe in totale che una maggiorità di soli 1100 voti riesce evidente che nella Savoia, dopo l'annessione, il partito aristocratico clericale ha perduto la sua influenza, ed il sentimento monarchico va scemando ogni giorno. Il partito che vorrebbe dominare lo capisce benissimo, perché patronò un candidato scelto fuori dalle sue liste ordinarie e non intieramente gradito, certo che qualunque altro non sarebbe riuscito, e terminerà per suicidarsi completamente, perché con una stupida e tenace intolleranza non ha mai voluto prestarsi ad alcuna concessione, e coll'intemperanza del linguaggio dei suoi giornali che si sono abbassati al livello della stampa comunista ha prodotto, e produce un effetto diametralmente opposto allo scopo che si propone. Aveva qui una bella parte a sostenere e non ha saputo né voluto profittarne preferendo di concorrere, di conserva col partito estremo radicale alla totale ruina del paese.
Non debbo parimenti tacere d'una circostanza che può dar luogo a serie considerazioni. Su 48 militari della guarnigione di Chambéry che dovevano votare neppure un voto solo fu dato al Signor Grange e nel resto del Dipartimento egli non ebbe che dodici voti. Quindi su 277 militari votanti il Jacquemond riportò 265 voti, e dodici il Grange.
Rimane ancora a conoscere il risultato di qualche piccolo Comune della Tarantasia, e di alcuni militari, ma ciò non può modificare né il risultato generale, né le considerazioni che mi sono permesso di sottoporle.
IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Washington, 10 gennaio 1872.
Nella mia particolare delli 24 dicembre u. s. (l) toccai di certi elementi che, irritati dell'impenetrabilità di questa Commissione mista, stavano per suscitarci una tempesta e questo tenevo dalla bocca stessa di quelli che poi misero ad esecuzione la minaccia. È ora mio dovere di spiegarmi più chiaro. Durante i pochi giorni che passai a Nuova York m'incontrai con vari degli Avvocati
che hanno fra le mani le più ingenti di queste reclamazioni, che, come sai, montano nella loro totalità ad oltre a trecento milioni di franchi. Alcune di esse erano state rigettate poco innanzi perchè prive d'ogni fondamento di giustizia. Non entrerò in dettagli sulla pressione che questi Avvocati cercarono di fare sopra di me, e sui rimbrotti indirizzatimi per le passate decisioni. Mi basti il citare che l'un d'essi cui io rispondeva lui facesse il suo offizio, a noi lasciasse fare il nostro, secondo la nostra coscienza, soggiunse • però per la loro ultima decisione io perdetti cinquecento milla dollari •. Il fatto è che questi Avvocati non prendono per queste cause che diritti eventuali che variano dal sesto fino alla metà del montante totale per le più dubbie. Ora essi formarono una combinazione (ring) potentissima affine d'influenzare la Commissione mista, e quèsta combinazione sta facendo ogni sforzo per distruggere la Commissione, e naturalmente fa cadere le principali ire sopra di me.
Trattandosi di richiami inglesi io credetti che la tempesta scoppierebbe a Londra, ma la stampa inglese è troppo lontana per pesare sopra di noi, e troppo rispettabile per prestarsi a siffatti intrighi. La crociata fu dunque iniziata in questi giornali, e sopratutto nell'Herald il quale pubblicò già tre articoli pieni di vili insulti. Nè mi stupirebbe se le parti interessate riuscissero a far giungere qualche cosa anche a Roma, il tutto allo scopo di farmi uscire dalla Commissione, ed avervi poi qualcuno più maneggiabile.
E questo è il dilemma spietato che sta innanzi a me. O continuare nell'adempimento onesto di queste funzioni di terzo Commissario ed essere esposto agli insulti quotidiani di una stampa lurida e sfrenata, oppure ritirarmi e darla vinta a siffatti osceni intrighi. Altra linea non segue un Ministro d'Italia.
Naturalmente la prima cosa che feci si fu di parlarne al Segretario di Stato, il quale mi confessò senza ambagi che essendo andato alla sorgente della trama ebbe a convincersi essere essa stata ordita dagli Avvocati di Nuova York, e mi confortò a non badarci. Il Ministro d'Inghilterra cui pure m'appellai adoperò gli stessi argomenti per animarmi a rimanere.
Però nella giornata di ieri l'Herald pubblicò un nuovo articolo che per la scurrilità dei termini passa ogni misura. Naturalmente non cita alcun fatto, poichè fatti non esistono nè osa inventarli, ma s'allarga in vaghi insulti.
Mi trasferii senza indugio dal Segretario di Stato per dichiarargli che se il Governo non trovava modo di proteggere la mia dignità, io non potevo continuare ad esercitare funzioni che m'attiravano tante ire. Nol trovai in casa, ma lo vedrò in giornata e gli farò la dichiarazione predetta. Se tali assalti mi venissero nell'esercizio ordinario delle mie funzioni, non avrei il diritto di rivolgermi al Segretario di Stato. Ma quando essi mi cadono addosso per effetto del coscienzioso disimpegno d'un arduo incarico conferitomi, non dal mio Governo, ma da questi due per loro beneficio, non posso sottomettermi a
tante ingiurie.
Se le cose continuano per tal modo io darò dunque la dimissione di terzo Commissario allegando motivi di salute, e fors'anca domandando un congedo. Ed in tale eventualità sappi la ragione essere che in questo paese l'uomo onesto non può lottare contro la combinazione d'interessi privati. Ti scongiuro mandarmi una parola di consiglio.
(l) Non pubblicata.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AI MINISTRI A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, A MADRID, DE BARRAL, A VIENNA, DI ROBILANT, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI
T. 1785. Roma, 11 gennaio 1872, ore 15,30.
Le Gouvernement français à soumis à l'Assemblée un projet de loi sur les rentes et valeurs mobilières qui frappe aussi les titres de rente étrangère. Les Gouvernements étrangèrs seraient obligés de prendre à forfait la perception de cet impot, sous peine de voir refuser aux valeurs étrangères la cote à la bourse. Ministre des Finances désire savoir si Autriche, Russie, Turquie, Espagne a fait ou se propose de faire des observations à ce projet d'impòt et au mode de perception obligatoire qui serait établi par le Ministre des Finances. Il désire aussi savoir si les valeurs autrichiennes russes turques espagnoles payables à Paris portent sur le titre ou sur les coupons l'indication que le payement semestriel doit avoir lieu à Paris. Veuillez télégraphier réponse.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI
D. 104. Roma, 11 gennaio 1872.
Ringrazio V. S. per il rapporto fattomi in data 29 dicembre (l) sulla quistione dell'elezione del patriarca armeno-cattolico. Ella mi scrive di essersi astenuto dallo adoperarsi in pro dell'una come dell'altra parte di quelle comunità nonostante le sollecHazioni fattele da entrambe.
Approvo tale suo contegno nel quale Ella farà bene a perseverare. L'elezione del Patriarca in quanto si riferisce alle attribuzioni puramente civili di quella carica è cosa che unicamente concerne il Governo del Sultano, e se l'elezione stessa si considera invece sotto l'aspetto religioso è un atto nel quale non crediamo che l'Italia abbia veste per intervenire.
Nel sovra citato rapporto di V. S. trovo accennata l'occupazione per parte degli Anti-Hassounisti del principale seminario armeno del Libano; di questo fatto mi aveva precedentemente informato il R. Console in Beiruth, ed in risposta il Ministero gli ha dato istruzioni di adoperarsi in modo ufficioso a tutela delle persone appartenenti ai due partiti e per prevenire complicazioni religiose nel Libano. Nel caso poi la tranquillità pubblica venisse turbata
in quelle regioni per simili fatti, io ho prescritto a quel R. Console di informarne prontamente la R. Legazione di Costantinopoli acciocché da V. S. possano farsi i passi opportuni presso la S. Porta ed ottenere il ristabilimento dell'ordine e l'osservanza dei privilegi e diritti consacrati dagli atti diplomatici e dalla consuetudine.
Nel comunicarle queste istruzioni da me date al Signor Cavaliere Macciò, è mio intendimento di far conoscere anche alla S. V. da quali norme dovrebbe in certe eventualità essere determinata la condotta del rappresentante di S. M. in Costantinopoli.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4080. Parigi, 12 gennaio 1872, ore 16,25 (per. ore 18,30).
M. de Rémusat me confirme que selon toute probabilité le projet d'impòt sur les valeurs étrangères sera ou écarté ou modifié. Il a ajouté qu'il avait apprécié et qu'il tiendrait compte de vos observations. Il m'a dit en outre qu'on ne lui signalait aucun incident au Vatican. Il a été déposée à l'Assemblee nationale une pétition demandant que le Ministre de France auprès du Roi ne réside pas à Rome. La commission, tout en s'exprimant d'une manière désagréable pour vous conclut à l'ordre du jour.
IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4082. Pietroburgo, 12 gennaio 1872, ore 22 (per. ore 8,55 del 13).
Gortchakow vient de me dire que son opinion sur la question des mines du Laurium est qu'elle doit ètre déférée aux tribunaux du pays, mais de manière à sauvegarder le principe d'indépendance après l'act législatif du 20 mars '71. Lui ayant indiqué la difficulté d'atteindre ce but, il m'a dit qu'en tout cas il n'est pas favorable au projet d'arbitrage sous la présidence de M. Stuart, dont il regrette l'ingérence dans cette affaire. Il m'a demandé copie du mémoire italien. J'ai fait allusion relativement à l'impòt sur les rentes en France. Gortchakow regarde toute démarche comme prématurée, le fait n'étant pas accompli. Il espère meme que le projet ne sera pas réalisé. Il m'a promis d'en parler au Ministre des Finances pour me faire connaitre dans quelques jours opinion exacte. J'ai répondu par la poste.
23 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
IL CONSOLE GENERALE A NIZZA, GALATERI DI GENOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 162. Nizza, 13 gennaio 1872 (per. il 17).
Ho lasciato fermarsi la mia corrispondenza di questa serie perché da qual
che tempo in argomento politico nulla mi si è presentato di speciale pel Dipar
timento delle Alpi Marittime meritevole di essere riferito a V. E.
Oggi stesso non ho a dire se non generalità, che Le avranno già esposto
altri miei colleghi in centri politici di maggiore importanza che questa mia
residenza.
Come in tutta la Francia, cosi in Nizza vivesi politicamente alla giornata
e non si sa cosa sarà del domani.
I vari singoli partiti sitibondi di potere paralizzansi l'un l'altro in guisa
che, fra il caos che ne risulta, è impossibile lo scernere cosa veramente vogliasi
da questa irrequieta popolazione francese. Se l'opera degli intrighi è fervente,
è inerte quella per le riforme di tutta necessità per il rialzamento morale e
materiale della Francia.
Mentre spavaldamente si grida riscossa si mantengono quasi intatti i di
fettosi ordinamenti dell'Esercito, né si rafforza la disciplina e l'istruzione dei
soldati.
Insomma il Governo molticolore che personifica la Francia si tiene sovrap
posto alla Nazione, come una macina pel proprio peso al suolo e non è ancor
rotolato perché le spinte che gli si danno per rovesciarlo si elidono, giungen
dogli ad un tempo da parti opposte.
L'inquietudine dunque e l'incertezza del domani sono nell'animo di tutti, per cui inaspettata non giungerebbe la notizia di un'insurrezione a Parigi o nei Dipartimenti meridionali della Francia, Nizza eccettuata, nella quale lo influente partito Italiano mantenendosi grave spettatore di agitazioni di un popolo del quale non ama partecipare ai destini, raffrena quei francesi che amassero intorbidare la quiete.
Il Signor Gambetta, intanto, scorre per la Francia Meridionale promotore di petizioni per lo scioglimento dell'Assemblea Nazionale. Non dimenticò Nizza, ove vive il padre suo da piccolo borghese senza considerazione politica, benché all'avvenimento di ,suo figlio al Ministero, uomini dell'infimo popolo lo abbiano portato in trionfo sulle spalle.
Un tale di mia conoscenza, il quale è stato a visitare Gambetta, figlio, in uno dei due giorni che egli passò in Nizza la scorsa settimana, lo trovò gonfio d'alterigia, di vanità e di presunzione, maledicente di Thiers che egli disse di sorvegliare, sprezzatore dell'Italia, del R. Governo e di Garibaldi, idolo di questo popolo.
Egli è evidente che il Gambetta di fresca origine italiana, nulla avendo a sperare in Italia, ma bensì pella preponderante influenza che con tanta rapidità egli si vide acquistare sopra i democratici Francesi, avendo concepito lo ardimento di aspirare alla Dittatura nella sua patria d'elezione, per raggiun
gere il suo scopo ambizioso deve mostrarsi penetrato fino al midollo dell'invidia e del malvolere che la maggioranza pur troppo dei francesi non dissimula di nutrire contro la risorgente e fortunata Italia nostra.
Quindi coll'affettata dimostrazione che il Signor Gambetta fa di simili sentimenti, non può egli cattivarsi le simpatie dei Nizzardi, i quali se non sono tutti concordi nella preferenza delle forme governative, quasi tutti più o meno avversano la politica unione del loro paese alla Francia.
Questa popolazione però è ora pienamente tranquilla, giusta il naturale suo temperamento non più stuzzicato e provocato dalla conciliante e cortese condotta dell'attuale Prefetto Signor Marchese Villeneuve Bargemon.
Il Signor Vice Ammiraglio Boogs, del quale ho avuto già occasione di scrivere a V. E., è stato recentemente surrogato al comando della squadra Nord Americana nel Mediterraneo dal Vice Ammiraglio Signor Alden, che trovasi nella rada di Villafranca con 6 bastimenti di Guerra di sua Nazione.
Offrendole, Signor Ministro, i miei ringraziamenti pel benevolo apprezzamento che ha voluto esternarmi col Dispaccio S. N. di questa serie del 31 u. s. (1), mi onoro...
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI
D. 80. Roma, 14 gennaio 1872.
Già dal settembre dell'or decorso anno il Ministro dell'Interno mi segnalava l'esistenza in Souvillier d'un comitato dell'Internazionale denominato federazione del Giura bernese. Il Gazzettino Rosa, noto giornale sovversivo di Milano, nel suo numero del 30 ottobre u. s., pubblicava un manifesto di quest'associazione, datato da Souvillier 12 settembre, col quale si tende a convocare un congresso generale di rappresentanti di sezione per gettare le basi d'una libera federazione di gruppi autonomi, anzichè d'un comitato accentratore, o d'una dittatura universale. Pare che già otto sezioni dell' • Internazionale • esistenti in Italia abbiano dato la loro adesione a questo progettato congresso. In tale stato di cose il Ministro dell'Interno desidererebbe avere dalla S. V. le maggiori possibili notizie su questa nuova federazione del Giura e sui suoi conati per minacciare e distruggere l'ordine sociale in Italia.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. CONFIDENZIALE 935. Berlino, 14 gennaio 1872 (per. il 20).
Il m'a paru utile de me ménager un entretien avec le Prince de Bismarck et de me prévaloir auprès de lui, dans une certaine mesure, des appréciations contenues dans votre lettre particulière du 5 courant (2), appréciations qui cadraient entièrement avec le langage que je lui avais tenu au retour de mon congé.
J'ai été reçu hier dans la so1ree. J'ai répété les memes assurances que le 21 Octobre dernier (dépeche N. 892) (1), en lisant à l'appui un passage de votre lettre précitée. C'était le meilleur moyen de le convaincre et de dissiper dans son esprit l'impression des jugemens erronés qui ont eu cours sur notre compte durant la guerre de 1870-1871; jugemens émis par ceux qui croyaient retirer quelque profit en semant la défiance.
• C'est n'est pas moi du moins, disait Son Altesse, qui me serais preté à ce ròle. S'il a été joué par quelques journaux, il n'y a pas lieu de s'en préoccuper. Ils lutteraient en vain contre la force des choses, contre la Providence. Nous sommes les amis naturels de l'Italie, tant que de son còté elle voudra aussi rester l'arnie de l'Allemagne. Or j'apprends avec satisfaction que vous etes une fois de plus autorisé à vous appliquer d'une manière constante à rendre toujours meilleurs les rapports des deux pays. Les autres Puissances sont pour vous des alliées de rencontre, selon leurs convenances du moment; tandis que nous seuls nous vous sommes attachés sans égoi:sme, sans arrière pensée, parce que des intérets mutuels et permanents nous poussent dans les bras l'un de l'autre •.
Il m'importait de connaitre comment le Chancelier Impérial envisageait la situation en France. Pour le mettre en verve, j'ai indiqué quelle était notre attitude vis-à-vis du Gouvernement de ce pays, où l'opinion publique laissait beaucoup à désirer.
Il n'hésita pas à convenir que l'avenir y était très incertain. Si Henri V arrive au pouvoir, nous aurons devant nous la coalition des cléricaux du monde entier. Si les Orléanistes ont gain de cause, l'attitude de leurs chefs de file durant la guerre, ne saurait inspirer la confiance. Il suffit de se rappeler leurs encouragemens aux franc-tireurs. Le mariage d'une Princesse de Nemours avec un Czartoriski, est aussi un avertissement dont il a été pris note ici. • Quant à la république de M. Thiers, peu nous importe qu'elle se consolide ou qu'elle soit remplacée par celle de M. Gambetta. Cette dernière aurait peut etre pour résultat une guerre civile, nouvelle cause d'affaiblissement pour cette nation. Si je dois preter foi aux avis qui me parviennent, il paraitrait que maintenant la France évolue plutòt vers une restauration Bonapartiste. Ce parti aurait beaucoup plus de chances, et il ne serait nullement impossible que dans peu de jours le télégraphe nous annonçàt un premier proncmciamento dans l'armée. Le mouvement pourrait se propager comme par une trainée de poudre, tellement officiers et soldats sont irrités des allures puritaines qu'on leur impose et qui contrastent si fort avec le laisser aller sous l'Empire. On leur preche les vertus Spartiates, on les oblige à passer le jour aux manoeuvres, et, le soir, à l'étude. Le prononciamento serait commencé par dix mille hommes.
Quelles que soient les crises intérieures, nous nous tiendrons à l'écart. Nous n'avons pas à nous préoccuper outre mesure de ces détails du ménage français. Les parties de son territoire que nous occupons nous donnent une position qui nous offre quelque sécurité. On peut s'en convaincre en examinant sur la carte l'étendue d'une ligne militaire qui va depuis la forteresse de Mé
zières, jusqu'à Belfort, pendant que Metz, Toul et Verdun, restent entre nos mains. Mais s'il s'écoulait une semaine de retard dans le payement des indemnités, nous réoccuperions aussitòt les six départemens évacués depuis la convention du 12 Octobre 1871.
Il y a six mois, je ne pensais pas ainsi sur les différens partis qui se préparent à escalader le Gouvernement en France. Nous avions alors plus de sympathie pour M. Thiers, mais sa conduite ne Iious satisfait plus au meme degré. Quand nous avons exigé une rançon de cinq milliards, ce n'était point par avidité d'argent; mais parce qu'avant tout, nous voulions enlever pour longtems à la France la tentation d'une revanche. Nous espérions qu'elle consacrerait de préférence ses revenus amoindris et ses soins à préparer sa reconstitution intérieure, à reparer les maux inséparables de la guerre, à apaiser les discordes. Que signifient maintenant ces armemens considérables, un budget militaire, plus élevé que sous l'Empire? S'il ne s'agissait que d'une question d'argent, et non d'un nombre supérieur d'hommes appelés sous les armes, nous pourrions supposer qu'on se ménage les moyens de renouveler le matériel, de le mettre au niveau des inventions modernes, et de mieux organiser, de mieux payer la police à Paris et dans les départemens. Mais comme l'on a surtout en vue une augmentation du chiffre des soldats sous les drapeaux, il faut en conclure que l'objectif est bien une revanche. Il me parait qu'on peut appliquer à M. Thiers le proverbe: qui trop embrasse mal étreint. Il voudrait faire marcher de front la consolidation de son pouvoir personnel, l'organisation de toute chose à pas de course, et surtout de l'armé au delà de la mesure indiquée par la prudence et par l'économie. En meme tems on serait presque enclin à croire qu'il aspire à l'occasion de donner des preuves meme de génie militaire, de stratégiste. Bref, la situation est assez tendue il lui faudra beaucoup de tact, d'habilité et une force herculéenne pour suffire à la besogne, et pour ne pas se briser contre des résistances qui commencent à se faire jour de une manière sérieuse •.
Pour ce qui nous concerne, j'ai fait la remarque que les libéraux aussi bien que les cléricaux et les masses .ignorantes en France, ne cachaient pas leur rancune contre l'Italie. Si nous n'avions pas à nous plaindre de l'attitude du Gouvernement à Versailles, nous ne nous faisions aucune illusion sur les dispositions de l'opinion publique. Nous prévoyions que du jour où les circonstances actuelles viendraient à se modifier, la France pourrait prendre vis-à-vis de nous une attitude diplomatique pour le moins équivoque. C'était là une circonstance prévue de notre neutralité pendant la guerre franco-allemande, que d'etre englobés dans la haine du vaincu contre le vainqueur.
Le Prince de Bismarck a répondu à cette observation que cette haine serait impuissante. • Pour ce qui vous regarde, nous ne permettrions pas à la France de vous courir sus; nous veillons non seulement l'arme au bras, mais le fusil en joue. Nous doutons fort d'ailleurs que de sitòt elle tombe dans la récidive. Elle trouverait une fois encore à qui parler. Notre armée est en état d'entrer en campagne au premier signa!. Nos conditions intérieures sont satisfaisantes, de meme que nos rapports actuels avec la Russie et l'Autriche. Je suis trop vieux troupier pour y compter indéfiniment. J'affirme seulement que tant
que l'Empereur Alexandre vivra, nous n'avons rien à redouter de ce coté, nl de la part de l'Autriche qui, au besoin, serait contenue par le seui fait de notre intimité avec la Russie.
Quant à l'Autriche, il me revient de la manière la plus positive que le Comte Andrassy s'exprime envers vous, comme envers nous, avec une grande sympathie. La loyauté de son caractère ajoute plus de prix encore à ses déclarations empreintes de tant de bon vouloir •.
J'ai dit que mon Gouvernement recevait les memes assurances du Ministre des Affaires Etrangères Austro-Hongrois. J'ajoutais, qu'entr'autres il nous avait spontanément déclaré que, tout en témoignant de sa solHcitude pour les intérets et les sentimens des Catholiques de l'Empire, il aurait décliné toute proposition d'ingérence diplomatique qui pourrait alarmer l'esprit public en Italie et nous créer des embarras en rendant plus difficile l'oeuvre conciliante à la quelle nous nous vouons. Il était seulement à regretter que le Comte Andrassy ne fiìt pas aussi solidement assis au pouvoir que le Prince Bismarck. Le Ministre Austro-Hongrois avait affaire à forte partie en présence des menées ultramontaines, rétrogrades et fédéralistes, et peut-etre meme de certaines influences à la Cour.
Le Chancelier, tout en tenant compte de ces cir·constances, estimait que le Comte Andrassy était du moins couché sur un meilleur lit que le Comte de Beust. Celui-ci n'avait point d'attaches dans sa nouvelle patrie, tandis que son successeur avait derrière lui la queue Hongroise. Le premier pouvait parfois modifier sa politique par une simple entente avec le Souverain, le second, le vouliìt-il, se trouverait en présence des tendanct>s bien marquées de la Hongrie avec la quelle il doit nécessairement compter. Or nous savons que ce pays est dans un courant très favorable à l'Italie, aussi bien qu'à l'Allemagne. C'était là un fort antidote contre des menées hostiles, y compris l'influence du confessionnal à la Cour, influence appelée en Allemagne • la politique des confesseurs •.
A propos de Rome, le Prince de Bismarck m'a demandé si vraiment le Comte Brassier de Saint Sìmon avait été malade au point de n'avoir pu se trouver dans cette capitale dès l'ouverture de notre parlement. Je n'ai pas hésité à déclarer qu'ayant pris connaissance, d'après le desir de Son Altesse, des dépeches échangées entre ce diplomate et son Gouvernement (rapport N. 925) (1), j'en avais reçu l'impression que c'était bien en effet une grave indisposition qui l'avait alors retenu à Florence. Je le connaissais assez pour etre certain qu'il n'aurait pas négligé de remplir ses instructions, dès le mois de Novembre, s'il avait été en état de supporter le voyage. Ce n'était donc pas la bonne volonté qui avait manqué. Il ne se serait pas laissé arreter par la difficulté de se loger ailleurs qu'au Palais Cafiarelli, comme il l'a au reste prouvé en allant complimenter mon Auguste Souverain au l.er Janvier, et en nous annonçant que sous peu de jours la Légation Impériale serait définitivement transférée à Rome.
Le Prince de Bismarck pensait que ce diplomate trouverait un logement
provisoire jusqu'à ce que le Comte d'Arnim eiìt fait maison nette. M. d'Arnim
a reçu l'avis que ses lettres de rappel pretes, il avait à énoncer s'il jugeait né
cessaire de se rendre à Rome pour opérer son démenagement. Il a répondu affirmativement; mais qu'il ne croit pas pouvoir se mettre en route durant le statu quo en France. Il lui a été demandé alors vers quelle époque il supposait entreprendre ce voyage, car si cette époque était prochaine, il faudrait par decorum qu'il remit en personne au Pape ses lettres de rappel, si non le soin en serait confié an Comte Taufkirchen, lequel continuera à gérer la Légation Impériale. On avisera plus tard s'il convient ou non de maintenir une double représentation diplomatique à Rome. C'est là une question pour laquelle il faudra tenir compte des circonstances. En attendant nous devons avoir pleine confiance dans les dispositions les plus amicales du Cabinet de Berlin.
J'ai remercié le Chancelier de son langage dont je m'empresserais de rendre compte à V. E. J'avais été heureux de constater une fois de plus que nos rapports étaient sur un bon pied. Il ne dépendrait pas de nous de montrer par des faits tout le prix que nous attachions à établir un courant d'intimité entre les deux Cours et les deux Gouvernements.
Saisissant la balle au bond, il me dit: qu'il avait écrit au Comte Brassier au sujet de l'affaire du Laurium en lui transmettant en meme tems copie d'un memoire élaboré par un Allemand établi en Grèce c Vous avez, vous aussi, un intéret au maintien de nos bons rapports avec la Russie. Nous avons promis à l'Empereur Alexandre de nous intéresser, dans la mesure du possible et du raisonnable, à faciliter la solution de cette affaire. Je vous serais obligé d'en toucher un mot dans votre correspondance. Les petits services entretiennent l'amitié. Vu les liens étroits de parenté entre les Cours de S.t Pétersbourg et d'Athènes, le Czar serait on ne peut plus reconnaissant si l'on en venait à un arrangement acceptable par les parties intéressées. Des condidérations secondaires devraient céder le pas à des convenances politiques •.
Je me suis engagé à vous recommander, M. le Mirustre, ces ouvertures, tout en faisant observer qu'il s'agissait d'une question assez compliquée. Ainsi qu'il résultait d'un discours que V. E. à prononcé à la Chambre, nous avions toujours fait preuve de modération et de sympathie vis-à-vis de la Grèce. Nous lui avions meme proposé, dans un but de conciliation, de recourir à un arbitrage qui a été décliné par le Gouvernement Hellénique.
Il serait indiqué que V. E. vouliìt bien m'adresser à ce sujet une dépeche ostensible dont j'enverrais une copie au Prince de Bismarek. Si nous pouvons faire acte de déférence sans manquer en rien à notre dignité, ne laissons pas échapper cette première occasion de gagner du meme coup une bonne note à Berlin et à S.t Pétersbourg.
Je recommande également à V. E. la question d'un attaché militaire, que j'ai tractée dans mon rapport politique N. 934 (1), je serais meme bien aise de connaitre par le télégraphe la décision de S. E. le Ministre de la guerre. Les fetes de Cour vont commencer et il importe que je sois à meme de présenter à l'Empereur, aux Princes et aux Généraux et au Chancelier Impérial M. Macenni avec un titre qui établisse nettement sa position.
En me réservant de répondre à votre dernière lettre particulière lorsque le Courrier Anielli sera en état de repartir, j'ai l'honneur...
(l) Cfr. n. 175.
(l) Cfr. n. 252.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA
(AVV)
L. P. Roma, 16 gennaio 1872.
Ella si rammenta che, tempo fa, un distinto ufficiale della nostra marina, il Capitano di vascello Racchia ebbe l'incarico di fare come Comandante della c Principessa Clotilde •, una navigazione collo scopo di mostrare la bandiera italiana nei porti dell'estremo oriente e specialmente della China e del Giappone, di concludere dei trattati di commercio col Siam e coll'Impero Birmano, paesi coi quali non avevamo alcuna convenzione e di fare tutte le ricerche opportune e gli studi necessari per indicare se negli arcipelaghi dei mari indiani e del Pacifico ci fosse qualche territorio di cui si potesse fare uno stabilimento italiano sia per crearvi un punto d'appoggio per la nostra marina, sia per potere occorrendo farne un luogo di deportazione pei malfattori.
II Comandante Rac·chia compì, con piena soddisfazione del Governo, la sua missione. Riportò i trattati conclusi e da ratificarsi col Siam e coll'Impero Birmano e riferì che il luogo assai più adatto e conveniente d'ogni altro per farne uno stabilimento italiano, tenuto conto di tutte le condizioni richieste e quindi anche delle condizioni politiche, era un territorio situato sulla costa Nord-Ovest di Borneo. Questo territorio appartiene ad un Sultano indipendente che è disposto a farne la cessione.
A proposito del trattato col Siam sorse un incidente di cui io le tenni parola quand'ebbi il piacere di vederla a Roma. Il Ministro d'Inghilterra ebbe la istruzione di chiamare tutta la nostra attenzione su un articolo di quel trattato le cui conseguenze, a giudizio del suo Governo, potevano creare qualche pericolo o per lo meno qualche difficoltà alla politica inglese nella Birmania. Il Governo inglese ci pregava dunque amichevolmente di sospendere la ratifica del trattato. In verità non poteva essere più lontano dalle nostre intenzioni che di andare a far cosa spiacevole e dannosa all'Inghilterra nella sfera de' suoi grandi interessi indiani. Lo stesso Comandante Ra-cchia, mentre stava negoziando il trattato, aveva creduto essere cosa affatto naturale dalla parte di un agente italiano in quelle contrade il tenere con tutta lealtà gli agenti inglesi coi quali si trovava in contatto al corrente di tutto quanto egli faceva. Ho anche dato lettura a Sir A. Paget del rapporto del Comandante Racchia da cui risultava com'egli avesse cercato di evitare l'inclusione dell'articolo nel trattato, e come, dopo avere a•cquistato la piena convinzione che senza l'articolo il governo birmano non avrebbe concluso il trattato, aveva fatto passare una redazione che, secondo lui, toglieva all'Articolo stesso quella portata pratica di cui le autorità inglesi avevano sembrato allarmarsi.
Qualche mese dopo questa conversazione, il Ministro inglese venne a leggermi un dispaccio del suo governo da cui risultava che il Governo Generale dell'India persisteva ne' suoi apprezzamenti. Io dissi allora a Sir A. Paget che veramente, dopo quanto era stato fatto ci era difficile il non ratificare un trattato la •cui conclusione era richiesta dagli interessi del nostro commercio, ma che ero pronto però ad esaminare una combinazione che, per via di dichiarazioni fatte anche nel protocollo dello scambio delle ratifiche, e in altro modo, potesse pienamente rassicurare il Governo inglese da ogni conseguenza spiacevole e temibile per esso. Da quell'epoca in poi non ricevetti più alcuna comunicazione su questo argomento.
Ora però il termine per lo scambio delle ratifiche sta per scadere e il Governo deve dare allo stesso Comandante Racchia l'incarico di portare l'istrumento ratificato per procedere allo scambio. A me non parve però conforme ai rapporti così amichevoli che abbiamo col governo inglese di compiere definitivamente quest'atto senza prevenirlo, fornendogli di nuovo le più ampie spiegazioni e offrendogli di studiare qualche guarentigia di cui esso possa ritenersi pago, benchè, a dir vero, i pericoli di cui si parla non mi sembrano temib~li, poichè il Governo italiano non può ritenersi obbligato a fornire all'Impero Birmano delle armi, non facendo esso il commercio delle armi, e quanto al commercio privato, il trattato non modifica lo stato attuale delle cose, questo commercio in Italia essendo libero in tempo di pace e facendosi a rischio e pericolo degli interessati.
A questa questione del trattato si aggiunge quella del territorio nell'isola di Borneo. Il Governo sarebbe disposto a dar seguito al progetto del Com. Racchia e lo desidera vivamente. Ma non vogliamo farlo senza pure prevenirne il Governo inglese poichè sappiamo ,che il Sultano che farebbe la cessione ha coll'Inghilterra dei patti pei quali s'è obbligato a non cedere il suo territorio senza il consenso inglese. In questo stato di cose ho pensato che potesse essere utile di mandare il Comandante Racchia a Londra, rimanendo bene inteso, il suo incarico subordinato alla missione ch'Ella adempie permanentemente presso il Governo inglese. Il Comandante Racchia potrà darle tutte quelle informazioni che sarebbe difficile rendere complete coi soli dispacci. Ella potrà porlo in comunicazione, nei modi che giudicherà opportuni, colle persone del Governo. Quanto al trattato, essendo egli stato il negoziatore, potrà dare quelle spiegazioni che gioveranno a mostrare la cosa sotto il suo vero aspetto. Quando poi il Governo inglese desiderasse qualche guarentigia nel senso di quelle da me indicate a Sir A. Paget, egli potrà giudicare fin dove si può andare senza compromettere il risultato della ratifica da parte del Governo Birmano. Quanto al territorio di Borneo, Ella sa tutte le ragioni che ci fanno desiderare di avere, nei limiti di stabilimenti marittimi, qualche possessione sulle grandi vie commerciali. Il Governo dunque pone grande interesse a poter dar seguito al progetto del Comandante Racchia. Le disposizioni mostrateci dal Governo inglese in passato anche su questo argomento, mi fanno sperare ch'esso non vorrà sollevarci delle difficoltà. Il Comandante Racchia è stato a Borneo, ha visitato tutti quegli stabilimenti, fu in rapporti coi Governatori delle varie possessioni inglesi. Egli dunque è l'uomo che ha le maggiori conoscenze pratiche per coadiuvarla nell'intento che il Governo inglese veda senza diffkoltà la presa di possesso di quel territorio.
Prima che il Comandante Racchia giunga a Londra, ho creduto prevenirla dell'incarico ch'egli ebbe e il cui carattere è quello dell'invio di una persona tecnica e speciale la cui presenza può agevolare il di Lei compito nelle comunicazioni che Ella farà al Governo inglese sugli argomenti di cui le ho tenuto parola. Ho considerato che il viaggio del Comandante Racchia a Londra avrebbe portato seco un risparmio di tempo e di comunicazioni scritte.
IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 162. Washington, 16 gennaio 1872 (per. il 4 febbraio).
Ieri questo Ministro del Giappone venne a visitarmi per ragguagliarmi il suo Governo avere intenzione d'incaricare l'Ambasciata Giapponese che sta per giungere in questa Capitale di recarsi indi a Roma allo scopo di stabilire col Governo di S. M. il Re più strette ed amichevoli relazioni e mi domandava in pari tempo come sarebbe ricevuta da questo.
Risposi al Signor Mori poterlo assicurare che il Reale Governo sarebbe oltremodo lieto di accogliere l'Ambasciata Giapponese coi maggiori riguardi ed onori, imperocchè egli pure nutriva vivo desiderio di stringere legami di cordiale amicizia con uno Stato cui per varie ragioni portava il più sincero interesse. E di siffatte disposizioni quel Rappresentante soggiunse darebbe contezza al suo Governo.
L'Ambasciata in discorso che si trova composta di vari dei più importanti personaggi di quello Stato è già giunta a San Francisco e non tarderà a giungere a Washington.
Ho creduto opportuno di ragguagliare senza l'indugio l'E. V. di questa conversazione anche pel caso che avesse qualche comunicazione a far fare all'Ambasciata mentre troverassi in questa residenza.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY
D. 229. Roma, 17 gennaio 1872.
Con il mio dispaccio del 20 giugno dell'anno decorso, ebbi ad informare
V. S. così di una comunicazione fattami dal Conte Brassier de S. Simon come
di una conversazione che io avevo avuto con il rappresentante degli Stati Uniti circa la vertenza dei nostri crediti verso il Venezuela. Mi riferisco a quel mio dispaccio perchè doveva servirle di norma tanto per vegliare sui rapporti dell'Allemagna con la grande Confederazione americana, quanto per precisare limiti dell'azione comune alla quale sulle istanze del Gabinetto di Berlino avevamo aderito.
Posteriormente il R. Incaricato d'Affari a Caracas mi fa,ceva pervenire una sua proposizione tendente a stabilire un preventivo formale accordo fra gli Stati europei impegnati nella quistione allo scopo di presentare al Governo di Caracas alcune domande concertate fra gli Stati medesimi. Questa proposizione giungevami quando già erano state spedite a Caracas le istruzioni dei diversi Gabinetti che avevano aderito alle istanze di quello di Berlino, in guisa che non riusciva più effettuabile il progetto di formare un preventivo accordo sulle domande da presentare al Venezuela. Oltre a ciò, per parte nostra non avremmo potuto ac,consentire a che in nome nostro venissero fatte alcune delle domande contenute nella proposizione pervenutaci dal R. Agente in Caracas. Parve anzi al Ministero di non poter conservare il silenzio a questo riguardo; e benchè non si potesse realizzare il progetto di un preventivo concerto delle potenze sulla linea di condotta da tenersi verso il Venezuela, sembrò cosa prudente lo esprimere al R. Incaricato d'Affari presso quel Governo l'impressione che avevano prodotto le domande ch'egli avrebbe voluto fossero collettivamente presentate al Governo venezuelano. Il Gabinetto di Berlino dev'essere a quest'ora informato di tutto ciò che le venni finora esponendo. Nell'ottobre scorso, fui infatti sollecitato dalla Legazione d'Allemagna a darle notizia di quanto avevamo scritto in proposito al signor Viviani; ed io aderii ben volentieri a tale desiderio, aggiungendo però anche copia della risposta da me fatta a quel funzionario. A Berlino, si deve dunque conoscere a quest'ora il nostro modo di vedere sulle varie quistioni d'interesse comune pendenti fra i Governi d'Europa e quello di Caracas.
Ora stando agli ultimi rapporti che ricevo da quel lontano paese, le vertenze con il Venezuela sarebbero entrate in una nuova fase di cui ella potrà formarsi un esatto concetto prendendo cognizione della comunicazione in data del 15 dicembre, indirizzatami dal signor Viviani (1). L'azione che gli Stati Uniti sembrano disposti ad esereitare efficacemente a Caracas modifica infatti sensibilmente la situazione coll'introdurvi un elemento sul quale prima d'ora non sembrava si potesse fare assegnamento. In tale stato di cose è probabile che il Governo di Berlino pensi al pari di noi che sarebbe vantaggioso l'intendersi con il Governo di Washington sul miglior modo di tutelare le ragioni dei creditori stranieri del Venezuela; e le informazioni che abbiamo ci permettono di credere che tale iniziativa non sembra sfavorevolmente accolta dagli Stati Uniti. Mantenendo invece una separazione fra l'azione collettiva di alcuni Governi europei e quella che si propone di esercitare il Gabinetto di Washington si corre il perkolo, a parer nostro, di far nascere difficoltà ed ostacoli che le osservazioni fatteci altra volta dal Gabinetto stesso ci permettono di prevedere.
Bramerei pertanto che la S. V. intrattenesse di questo affare il Governo presso il quale ella è accreditata e ci facesse conoscere le intenzioni del medesimo sulle istruzioni da darsi agli agenti presso il Venezuela, e sovra quelle che potrebbe parere utile ed opportuno di indirizzare senza ritardo ai rappresentanti a Washington.
(l) Cfr. n. 257.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. RISERVATA 407. Roma, 19 gennaio 1872 (per. il 20).
Ebbi notizia che il Comandante della fregata inglese Defence che trovasi nelle acque di Napoli, .si recò testè al Vaticano, dove, supponesi, abbia messo a disposizione di Sua Santità la nave stessa, pel caso che il Pontefice volesse abbandonare l'Italia.
Le notizie assunte a tale riguardo, farebbero ritenere probabile tale offerta, tanto più che la medesima sarebbe già stata fatta altre volte, e precisamente dallo stesso ammiraglio inglese nel Marzo scorso.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 55. Vienna, 19 gennaio 1872 (per. il 22).
Il Vaterland, come V. E. ben sa, organo del partito cattolico Austriaco che si pubblica a Vienna, contiene, nel suo numero di ieri, un articolo che per la sua importanza credo bene trasmettere qui compiegato e tradotto all'E. V. (1). I giornali tutti di questa città lo riproducono oggi con quei 'commenti che di ragione. Il Conte Andrassy parlommi esso stesso ieri di quell'articolo e si compiacque ripetermi, in sunto almeno, la risposta da lui fatta alla Deputazione del Circolo Cattolico recatasi da lui per conoscere le intenzioni del Governo Imperiale e Reale a riguardo della posizione fatta al Santo Padre dallo stato di cose attualmente esistente in Roma, risposta che per l'appunto forma oggetto della precitata pubblicazione. Il Conte Andrassy confermommi presso a poco, non solo nel senso, ma anche nelle parole, quanto vien riferito dal Vaterland. Solo dissemi la riproduzione della sua risposta non essere stata 'completa, ed essere egli disposto a renderla integralmente di pubblica ragione, ove il sud
detto giornale ritorni sull'argomento. L'omissione a cui il Conte Andrassy alludeva, riferivasi alla conclusione del suo discorso, nella quale egli aveva esplicitamente mis en demeure i mandatarj del partito cattolico di dichiarare se scopo del passo a .cui si erano indotti si era di chiedere si dichiarasse la guerra all'Italia, poichè tutto il loro ragionare concretavasi nella esplicita dichiarazione: che il Papa non poteva essere libero sintantochè l'Italia era padrona di Roma, cosa che l'Austria Stato cattolico non doveva tollerare.
Questa esplicita domanda rimase senza risposta, ed il Conte Andrassy mostravasi lieto di averli posti in circostanza di dover col loro silenzio constatare che la politica da essi consigliata era sans issue.
L'importanza delle dichiarazioni fatte dal Conte Andrassy non isfuggirà certamente all'E. V. tanto più poi che in esse travasi per la prima volta dacchè egli regge il Ministero degli Affari Esteri, la pubblica affermazione della polit~ca amichevolissima per l'Italia che egli intende seguire. Come di ragione mi mostrai non poco soddisfatto di questo nuovo pegno che egli veniva di darci dei suoi così amichevoli intendimenti intorno alle relazioni che legano i due Stati; e non ebbi neppure la possibilità di rilevare che fra le reclamazioni sporte dalla Deputazione, ve ne era una che era esclusivamente questione interna nostra, quella cioè relativa all'entrata nel godimento delle mense per parte dei Vescovi Italiani di nuova nomina poichè al mio primo aprir bocca al riguardo, dissemi tosto non aver mancato di ciò dichiarare immediatamente ai suoi interlocutori. Ad ogni modo, però, siccome questa questione del godimento
o no delle mense è già venuta qualche altra volta sul tappeto, ed ha formato oggetto di private interpellanze statemi mosse al riguardo da persone che meco conversavano di questi affari, sarebbemi grato essere a giorno del vero stato delle cose, onde poterle porre con nostro vantaggio sotto il vero loro aspetto.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 49. L'Aja, 19 gennaio 1872 (per. il 23).
La prima Camera, ad esempio della 2•, ha finalmente approvato il nuovo Trattato conchiuso coll'Inghilterra rispetto a Sumatra, e posto termine ad una discussione altrettanto lunga quanto animata che cominciò fin dall'anno scorso, e che si è dovuta sospendere per dar opera a nuovi negoziati. Per ben cogliere l'importanza del voto di ieri è d'uopo notare che 3 trattati riguardo agli affari coloniali vennero stipulati nel passato anno tra la Gran Bretagna ed i Paesi Bassi. Col 1° l'Inghilterra accorda all'Olanda, pel tratto di cinque anni, ·la facoltà
di arruolare emigranti destinati alla colonia di Surinam nelle possessioni inglesi della Guinea.
Col 2o l'Inghilterra riconosce l'estensione della sovranità acquistata dal Re dei Paesi Bassi nel reame di Siak (Sumatra) in virtù del Trattato conchiuso nel 1858 nel quale vengono stabiliti i diritti onde godranno i sudditi inglesi.
Col ao, l'Olanda cede alla Gran Bretagna tutti i possedimenti neerlandesi sulla costa di Guinea. Allorché vennero presentati per la prima volta alla Camera questi trattati non furono accolti nello stesso modo.
A malgrado le opposizioni fondate sull'amor proprio nazionale, e sul vecchio patriottismo che si cercò di rinfocolare richiamando alla memoria i tempi passati, e le gesta gloriose della marineria batava, non fu diffidle al Ministero, sull'appoggio di documenti statistici incontestabili, di far adottare il trattato di cessione della costa di Guinea così in vista delle ingenti spese cui conviene annualmente sobbarcarsi onde mantenere questa possessione, e ciò senza un corrispondente vantaggio economico, come avuto riguardo all'insalubrità del clima, all'indole selvaggia dei suoi abitanti, non meno che alla sempre rinascente difficoltà che si incontra nel trovare, fra gli impiegati governativi, quelli che consentano di buon grado a recarsi su questa costiera per conservarla nella soggezione della Corona neerlandese.
Diverso fu il voto relativo all'altro trattato avente per iscopo di assimilar gli inglesi agli olandesi nel Reame di Siak.
Conviene avvertire innanzi tutto che siccome il Sultano di questo reame già aveva riconosciuto nel 1858, l'alta sovranità dei Paesi Bassi, l'Inghilterra aderendosi a questo fatto, non ha fatto altro, in sostanza, che accennar al Trattato del 1824, che aveva appunto avuto per mira di regolar le pretese ollandesi nelle Indie Orientali.
L'opposizione vide quindi un pericolo nell'assimilazione onde si tratta accordata qual corrispettivo della ricognizione d'un diritto non altrimenti controvertibile. Temette l'intromissione britannica in Sumatra nelle relazioni tra il Re vassallo e l'alta signoria batava. Badasse il Ministero a non aprir l'adito alle pretese facili a venire accampate da una potenza proclive sempre com'è ad assumere la protezione dei Principi sottomessi all'Olanda nell'Estremo Oriente. Ciò poter far nascere eguali pretese per parte di altre potenze: Non essere, ad ogni modo, prudente cosa il legarsi le mani alla vigilia della revisione della tariffa coloniale che deve precisamente verificarsi in quest'anno. Ma poiché si faceva una cessione di territorio non era egli il caso opportuno di chiedere in compenso alla Gran Bretagna la ricognizione formale dei diritti dell'Olanda sull'isola di Borneo, che essa ha sempre cercato di escludere?
Queste considerazioni ispirate dalla diffidenza, e dalla gelosia verso gli inglesi a cagion della ben nota loro politica coloniale fecero senz'altro rigettare il trattato. E poiché il Ministero aveva presentati i tre trattati come connessi fra loro, e fatta considerare la loro approvazione collettiva come inscindibile ne nacque per lui la necessità, onde estrkarsi da questa difficoltà, di ritirar dall'ordine del giorno il trattato sugli emigranti, e di appiccare, senza por tempo in mezzo, le nuove trattative da me accennate.
Egli è appunto il risultato delle medesime che venne presentato recentemente alle due Camere, e da esse approvato con una notevole maggioranza.
Il Governo inglese non si peritò nella seconda fase delle trattative, sia conducendole, sia mercé una redazione più spiccata e precisa del nuovo strumento, di dare all'Olanda quelle spiegazioni, e soddisfazioni che essa ,richiese. Nel trattato primitivo erasi dichiarato che le stipulazioni relative al Reame di Siak sarebbero applicabili a qualunque Stato di Sumatra, che potesse cader quandochessia sotto la dipendenza olandese. Nel nuovo trattato, all'incontro, è riconosciuto il diritto dell'Olanda di estendere il suo dominio sull'isola intiera: e siccome nel trattato del 1824 i plenipotenziarii avevano fatte talune riserve rispetto alla conservazione dell'indipendenza del Sultano di Alsjin la cui autorità vien riconosciuta nel Nord di Sumatra, il governo inglese rinunzia in conseguenza a qualunque argomento si possa ulteriormente dedurre da tali riserve a pregiudizio dell'ingrandimento della potenza neerlandese.
Nel trattato anteriore erano enumerati i diritti dei sudditi inglesi nel Reame di Siak, laddove nel secondo viene stipulato in modo generale che, per quanto si attiene al commercio ed alla navigazione, i sudditi della Gran Bretagna godranno degli stessi e medesimi diritti onde godono i sudditi olandesi con l'obbligo però per parte di essi di uniformarsi alle leggi ed ai regolamenti in vigore.
In realtà questo nuovo stromento non è che la conservazione in diritto di quanto già esisteva in fatto attesoché l'Inghilterra non siasi sinora opposta alle pretese dell'Olanda rispetto alla Sovranità di Sumatra, e, d'altronde, la politica liberale ammessa dai due paesi negli ordini economici abbia praticamente avuto per effetto che, in fatto di commercio e di navigazione, i sudditi inglesi trovino nelle Indie neerlandesi lo stesso trattamento che incontrano i nazionali.
Ad ogni modo, egli è da considerarsi come un vero successo per parte del Governo dei Paesi Bassi l'aver ottenuto, antivenendo in questo modo complicazioni avvenire, di far riconoscere dall'Inghilterra esplicitamente lo stato attuale delle cose quale esiste nelle Indie orientali mercé un trattato internazionale ed il merito di questo successo è dovuto in gran parte al tatto, ed alla prudenza del Barone de Gericke per l'indirizzo da lui dato ai nuovi negoziati appena venne chiamato dal Re alla direzione delle relazioni esterne.
Quanto al trattato sugli emigranti si è giudicato più conveniente di aggiungere al trattato di cessione della costa di Guinea una convenzione speciale in cui si dichiara che, ove il Governo inglese consenta in avvenire che i lavoratori liberi della costa siano esportati nelle altre colonie britanniche, tale esportazione si intenderà egualmente permessa in favore delle colonie neerlandesi.
Unisco i due trattati presentati alla Camera nell'andato anno affinché l'E.V. dal raffronto di essi col nuovo trattato, che pure spedirò come tosto sarà officialmente pubblicato, possa formarsi un concetto più particolareggiato dell'insieme delle trattative, onde ho l'onore di ragguagliarla in questo mio rapporto sommario, che ho motivo di credere esatto, perché redatto sopra appunti sorruninistratimi cortesemente da un mio collega, che conosce l'olandese, ed assistette personalmente alle discussioni parlamentari.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL
D. 10. Roma, 20 gennaio 1872.
Troverà qui unito copia di un rapporto del R. Ministro all'Aja e d'una Nota del Ministero dell'Interno (1). Contiene il primo alcune informazioni sui preparativi 'che si fanno per una insurrezione in !spagna, e l'altro dei due sovr'accennati documenti si riferisce alle mene della Società Internazionale.
V. S. potrà comunicare confidenzialmente al Governo Sf>'lgnuolo tanto il rapporto che la nota di cui Le mando copia.
Ed accusandole la ricevuta del carteggio politico sino al n. 64 inclusivamente...
IL MINISTRO AD ATENE, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 31. Atene, 20 gennaio 1872 (per. il 27 ).
Il mio telegramma dell'8 corrente ha confermato a V. E. le informazioni che io aveva l'onore di trasmetterLe col mio rapporto N. 30 di questa serie (1), intorno alla composizione del Gabinetto Bulgaris, il cui primo atto è stato di sciogliere il Parlamento, di convocare gli elettori pel 7 febbraio onde procedere alle nuove elezioni, e riunire la Camera pel 5 Aprile.
L'attuale Ministero è pertanto composto degli elementi dei due partiti che sin qui disputavano il potere. Il tempo ci dirà se questi due partiti (Bulgaris e Coumoundouros) sono realmente disposti a lavorare d'accordo nello scopo di dare al paese un'amministrazione stabile. Il passato non c'inspira grande fiducia in questo senso. La lotta che si va ad aprire per le elezioni ci offrirà l'occasione di apprezzare i veri intendimenti di questi Capi-partito, i cui sforzi furono fin qui diretti a conservare più o meno l'autorità della loro personalità. Il Governo si occupa intanto di fare alcuni mutamenti negli impiegati dell'Amministrazione superiore, affine di assicurarsi un maggiore successo nelle ctezioni.
Ho veduto ieri il Sig. Bulgaris e sebbene sia privo d'istruzioni precise di
V. E. intorno alla vertenza del Laurium, profittai dell'occasione Jnde chiamare confidenzialmente la sua attenzione sulla longanimità di cui da prova il mio Governo in questa vertenza, accordando al Gabinetto Ellenico il tempo più che necessario per uscire da questa posizione per fatto di sua spontanea iniziativa. Mi occupai anzitutto a fargli apprezzare i vantaggi che ne derivano per lui dal ritardo che poniamo a fargli persino conoscere la nostra impressione sul rifiuto fattoci dal Gabinetto Zaimis di deferire la vertenza ad una f'Ommissione arbitrale. Terminai col dire al Signor Bulgaris che io gli augurava il trifmfo di
uscire da questo affare senza dare a noi ed alla Francia il rincrescevole dovere di rinnovare ufficii diplomatici nell'interesse di una soluzione che preferiamo attendere dall'equità del Governo Ellenico.
L'attuale Presidente del Consiglio non è sinora compromesso in questo negozio. Egli non intervenne alla Camera allorché essa adottò la famosa legge del 27 maggio; e si tenne poscia sempre all'infuori della passione colla quale il pubblico ebbe ad occuparsene.
Confesso che io nutro a questo riguardo una qualche speranza; ma potrebbe pur troppo non essere che una vana illusione. Di questo avviso sarebbe anzi il mio Collega di Francia, Duca Tascher, il quale è convinto che senza usare verso la Grecia un po' di pressione, non si otterrà alcuna soluzione all'affare che ci occupa. Egli è qui da più tempo di me, e per conseguenza in grado di conoscere meglio l'animo di questi Governanti.
(l) Non pubblicati.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE A GERUSALEMME, DE REGE
D. s. N. Roma, 21 gennaio 1872.
Nello scegliere la S. V. per coprire il posto recentemente instituito di Console d'Italia in Gerusalemme, il Governo del Re ha fatto principale assegnamento nella prudenza e nelle altre doti personali di V. S. Ella non deve infatti ignorare le difficoltà di vario genere che suggerirono per lo passato al Governo di S. M. di non avere un agente proprio in quella importante città dell'Oriente, nè quelle difficoltà sono oggi scomparse totalmente, sebbene le circostanze presenti ci permettano di considerarle sotto un altro aspetto e ad un diverso punto di vista.
La posizione dell'Italia è oramai stabilita in faccia al mondo come quella di un Governo che rispetta le credenze religiose, ma che la religione non confonde nè associa colla politica. L'instituzione di un Consolato italiano in Gerusalemme non può dunque significare intromissione italiana negli affari religiosi che hanno il loro centro in Palestina. L'Italia vuol astenersi d'intervenire nelle vertenze relative al possesso dei Luoghi Santi ed altresi in quelle che sorgono fra le dissidenti sette della comunione Armena. Non vogliamo seguire le pedate di altri Govei'ni europei che per anUca tradizione o per interessi speciali si trovano impegnati a considerare le quistioni che sorgono fra la chiesa latina e la greca come quistioni proprie dalla soluzione delle quali può dipendere la loro influenza nei paesi di Levante. L'Italia non avrebbe ragione di arrogarsi un patronato esclusivo sovra le istituzioni cattoliche che mettono capo a Roma; e l'interesse nostro di non far nascere dubbi o sospetti a questo riguardo è talmente evidente che io appena trovo necessario farne cenno a V. S.
Ma nel seguire la linea di condotta che ho or ora indicato il Governo italiano non vuol abdkare ai suoi diritti in quanto concernono la tutela delle persone e degli averi degli Italiani senza alcuna distinzione, siano essi laici od ecclesiastici, appartengano essi ad un ordine monastico od al clero secolare.
24 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. III
A determinare la misura di questa protezione che siamo in diritto ed in dovere di esercitare con efficacia, V. S. dovrà applicare il suo ingegno ed il suo tatto, e certamente a Lei non mancherà l'approvazione del R. Governo, quando col suo contegno e colla fiducia che saprà inspirare, farà in guisa che la protezione del R. Consolato sarà piuttosto ricercata che offerta.
Nè il di Lei mandato deve limitarsi alla tutela degli interessi italiani nella Palestina. Un altro ufficio non meno importante Le è affidato. La mancanza di un Agehte consolare proprio ha creato negli archivi del Ministero una sensibile lacuna per tutto ciò che riguarda le quistioni di cui le potenze europee, la Francia e la Russia in particolar modo, si occupano a Gerusalemme.
A V. S. non è mestieri segnalare l'importanza della vertenza dei Luoghi Santi, vertenza che anche quando sia composta rivive sempre nella rivalità del clero greco col clero latino e nelle influenze rivali che a mezzo loro si eser · citano in tutto l'Oriente. Il frammetterci in quelle questioni è cosa che V. S. deve assolutamente evitare; ma l'osservarne le fasi e lo sviluppo sarà invece suo stretto dovere. A Lei non isfugge infatti che la rivalità dei Governi eur0pe. sovra un vasto campo qual'è l'Oriente è un elemento di politica generale di cui il Governo italiano deve saper tenere conto e che a lui importa di essere in grado di giustamente apprezzare.
Queste poche avvertenze, serviranno di guida a V. S. per la condotta ch'Ella dovrà tenere. Non sembrano prevedibili casi urgenti pei quali abbia a mancarle il tempo di chiedere ed avere istruzioni. Scriva ed informi. Il Ministero dal canto suo non Le lascierà mancare, ove occorrano, le necessarie direzioni.
IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. RISERVATO 829/266. Londra, 22 gennaio 1872 (per. il 26).
Finalmente le indagini fatte per trovar modo d'informare il R. Governo intorno ai procedimenti dell'Internazionale a Londra, secondo il desiderio del Signor Ministro dell'Interno, espressomi col mezzo dell'E. V., è stato coronato di buon successo avendo trovato mezzi nei quali ,credo che si possa ragionevolmente aver fiducia.
Trasmetto a V. E. la copia di un primo rapporto e penso che fra poco sarò in grado di poterne spedire altro di maggiore interesse. Ora ho richiesto un Rapporto sull'organizzazione dell'Internazionale a Londra, sul suo modo interno di funzionare, sui suoi Capi ed Agenti principali, sulla parte che vi prendono Italiani e sulle loro corrispondenze coll'Italia il quale servirà di base e di schiarimento ai rapporti che potrò spedire in seguito.
Ho pure chiesta una relazione biografica sui Capi ed Agenti principali dell'Internazionale, compresivi gli Italiani, la quale servirà allo stesso scopo, e potrà anche, fino ad un certo punto, controllare le relazioni degli informanti mediante la cognizione che certamente il Governo ha già della biografia dei membri Italiani dell'Internazionale.
Quanto alla spesa che potrà occorrere non sono in grado di poter dare a V. E. delle indicazioni precise.
Non sarebbe, a mio avviso, conveniente il dare un assegnamento fisso a lungo termine agli informanti essendo utile che essi sappiano che la loro retribuzione può cessare da un momento all'altro, e che l'ammontare della medesima è in relazione all'importanza delle notizie 'che essi forniscono. Per altra parte, a seconda dei casi, vi possono essere delle spese da rimborsare, il cui importare può essere diverso. Tutto ciò pertanto che io posso dire a questo riguardo è che, a mio avviso, la spesa non potrà eccedere L. Italiane 2,.500 o
3.000 in un anno e che io procurando la maggiore possibile economia non eccederò questa somma senza domandarne l'autorizzazione.
Trattandosi di una spesa di natura affatto particolare e confidenziale, e che, facendosi sui fondi segreti posti a disposizione del Ministero dell'Interno, non può soggiacere alle regole genemli della Contabilità, e che non potrebbe per ciò far parte dei miei conti trimestrali, né darsi convenientemente in riscossione al mio Procuratore col mezzo di mandato sulla Tesoreria, io proporrei che per la relativa contabilità si tenesse il seguente sistema, se ciò piacerà al Signor Ministro dell'Interno ed all'E. V.
Il Ministero dell'Interno potrebbe farmi un fondo parziale di 50 o 60 L. Sterline mediante cambiale a spedirmisi col mezzo dell'E. V. e di cui accuserei ricevuta. Avendo bisogno di nuovo fondo manderei un conto provvisorio della spesa fatta nel modo con cui un conto può esser fatto in tali materie; ed in ogni caso alla fine dell'anno manderei il conto del ricevuto e delle spese nell'anno e tutto ciò verrebbe da me fatto con rapporti all'E. V. da comunicarsi al Ministero dell'Interno.
Se pertanto la mia proposta sarà gradita starò in attenzione della relativa cambiale.
ALLEGATO
RAPPORTO N. l
Séance secrète chez Engels le 15 Janvier dans laquelle il a été donné lecture d'une lettre de Garibaldi communiquée à Marx et transmise à Engels pour en faire part à qui de droit par ordre de Marx.
On y lit entre autres que bien que les principes de l'Internationale ne soient pas acceptés par Mazzini, Garibaldi sait que Mazzini cherche par tous les moyens possibles, à s'assurer le concours des membres Italiens de cette Société pour arriver ainsi à l'établissement de la République en Italie.
Il dit aussi dans cette lettre que pour arriver à un résultat décisif, il faut, avant tout, chasser de cette société les Jésuites qui s'y sont introduits, refonder sur des nouvelles bases l'Internationale et faire un nouveau choix de chefs en éliminant tous les suspects, détruire les Pretres et le clergé en général plus tout véstige de Royauté et achever l'oeuvre si glorieusement commencée par la commune de Paris.
C. L.
Samedi 20 Janvier. Ouverture du Cercle des C'ommunistes N. 31 Francis Street.
Tottenham Court Road.
La Cecilia est parti, dit-on, pour New York envoyé par Marx pour l'Inter
nationale.
Garibaldi (Richardi [sic]) n'est pas venu à Londres depuis le mois d'Aoftt.
Lafargue gendre de Marx est à Saint Sébastian (Espagne) pour faire de la
propagande. Serralier le courrier confidentiel se prépare par ordre de Marx à voyager pour la Suisse et l'Italie (1).
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1766. Parigi, 22 gennaio 1872 (per. il 26).
Ho fatto conoscere a S. E. il Signor di Rémusat la comunicazione fatta all'E. V. da Photiades Bey, dalla quale pareva risultare, che la Francia e l'Inghilterra avevano consentito alla firma di un nuovo protocollo sulla giurisdizione Consolare in Tripoli per parte della Turchia, dell'Italia, della Francia e dell'Inghilterra, il quale sarebbe stato conforme nella parte dispositiva a quello già firmato dall'Inghilterra, ma non avrebbe nessun preambolo. Il Signor di Rémusat mi disse che una tale comunicazione era stata probabilmente provocata da un'interpretazione esagerata di ciò che egli aveva detto a questo riguardo all'Ambasciatore di Turchia e soggiunse che era ben inteso, che ogni risoluzione in proposito doveva esser presa d'accordo fra tutte quattro le Potenze interessate, e specialmente fra l'Italia e la Francia; che a questo fine egli aveva incaricato la Legazione di Francia a Roma di sottomettere a V. E. il progetto di protocollo; che una comunicazione identica doveva esser fatta dalla Ambasciata di Francia a Londra al Governo Inglese e che nessuna risoluzione definitiva sarebbe presa dalla Francia prima che da Roma e da Londra fossero giunte a Versaglia risposte analoghe ed approbative alla proposizione che la Francia aveva sottomesso all'esame dei due Gabinetti.
IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Londra, 22 gennaio 1872.
Mi affretto ad accusarle ricevuta della di Lei lettera particolare del 16 corrente (2) colla quale ha avuto la cortesia di prevenirmi del prossimo arrivo a Londra del Signor Comandante Racchia per l'oggetto del Trattato colla Birmania, e per l'acquisto di un territorio a Borneo. Il concorso del Signor Coman
dante Racchia nel trattare qui questi due affari sarà certamente della più grande utilità, e nel mentre sarà un piacere per me il conoscere questo distintissimo Ufficiale, che onora la nostra marina militare, sarò pure lietissimo di prestargli tutto quel cordiale, ed efficace concorso, ed appoggio che mi sarà possibile.
Io mi asterrò per ora di far parola a Lord Granville che è ritornato ora in Città, della nostra idea sulla costa del Borneo, finchè ricevo a questo riguardo una comunicazione ufficiale, ed in qualunque cosa mi intenderò col Signor Comandante Racchia. Le soggiungerò che dopo il mio rapporto del... (l) non ho più ricevuto da Lord Granville alcuna comunicazione relativa alle Isole di Socotra al cui riguardo aveva trattenuto il Signor Conte per di Lei incarico. Quanto al trattato coll'Impero Birmano, non ho parimente più ricevuto alcuna comunicazione da Lord Granville in seguito a ciò che risulta dal mio rapporto.
Terrò poi presenti tutte le indicazioni che Ella mi ha favorite a riguardo di ambedue gli affari in occasione delle mie relazioni con Lord Granville intorno ai medesimi.
Rendendole molte e sincere grazie per la sua gentile comunicazione particolare, la prego...
IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4098. Madrid, 23 gennaio 1872, ore 20,40 (per. ore 2,40 del 24).
Le Roi vient de charger M. Sagasta de la dissolution des Cortès. Cette décision qui ne sera connue que demain, constitue un grand événement politique, en démontrant clairement l'intention arrétée de la Couronne de s'appuyer sur le parti libéral conservateur. Il est à craindre seulement que les radicaux, qui vont immédiatement s'unir aux républicains, n'essayent de susciter des troubles et des désordres.
IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
L. P. Berlino, 24 gennaio 1872.
En vous remerciant de votre lettre particulière du 5 de ce mois (2), je ne puis que me référer à ma dépéche confidentielle du 14, N. 935 (3), que je vous ai transmise directement par la poste. Votre lettre m'a admirablement servi
(:l) Non pubblicata.pour provoquer de nouvelles explications du Prince de Bismarck. Je pense que vous en aurez été satisfait, car elles me semblent plus explicites encore, que 1eelles qu'il m'avait données lors de mon premier entretien avec lui, au retour de mon congé.
Mes travaux d'approche ont été portés plus en avant. L'alliance git dans la situation meme, dans le fond des choses, dans la communauté d'intérets permanents à sauvegarder. Ces convictions intimes valent mieux qu'un traité, qu'aujourd'hui nous ne pourrions conclure sans inconvénient. Nous aurions l'air de douter de nous-memes, en stipulant avec une Puissance qui est dans la plénitude de sa force, tandisque la nòtre est loin encore de son apogée. Quoique le Chancelier Impérial se soit défendu, cette fois avec quelque vivacité, d'avoir conservé une certaine impression de défiance relativement à notre attitude en 1870-71, il n'est pas moins vrai, j'en recueille par ci par là des indices, que cette impression n'est pas encore complètement effacée dans les régions de la Cour et du Gouvernement. Dans ces conditions, s'il fallait mettre des engagements par écrit, on nous demanderait peut-etre des garanties qui ne reposeraient pas sur une entière réciprocité. Notre liberté d'action serait trop entravée et, qui plus est, notre dignité en souffrirait. Comme le danger d'une autre guerre avec la France n'est pas imminent, on serait enclin à attribuer nos ouvertures à un sentiment exagéré de crainte. Il ne m'est d'ailleurs nullement prouvé qu'elles seraient accueillies favorablement hic et nunc, car il n'est pas dans les habitudes d'une diplomatie habile de se lier pour des événements auxquels, si prévus qu'ils soient, on ne saurait encore fixer une prochaine échéance. Mieux vaut donc continuer à nous ménager une bonne position id, préparer le terrain au mieux de nos convenances, et réserver nos gros atouts quand les circonstances deviendraient plus propices. Il est évident que nous ne devons pas négliger en attendant de chercher à convaincre le Cabinet de Berlin de notre pensée constante de rendre toujours meilleures les relations entre les deux Pays. Nous ouvrirons ainsi une voie facile à une entente ultérieure et plus intime. Mais en meme temps il faut tàcher de faire désirer notre alliance, d'en montrer le prix en redoublant de soins pour organiser la défense de notre territoire et pour fortifier en Italie le parti dévoué aux principes d'ordre et de sage liberté. Si nous tenons, et nous avons raison d'y tenir, à donner une embrassade à la Prusse, nous nous respectons assez pour ne pas faire, à nous-seuls, toutes les avances. Nous devons progressivement nous rapprocher des deux còtés, en nous prévalant des occasions au fur et à mesure qu'elles se présenteront. Ce sont bien là au reste les idées que nous avons échangées à Rome et à Turin, et je vois avec plaisir par votre lettre qu'elles n'ont rien perdu de leur valeur.
Il est d'autant plus important de rester en bons termes avec ce Cabinet, que, comme vous le dites fort bien, nous ne pouvons nous livrer à aucune illusion sur ,}es dispositions de l'opinion publique française, aussitòt que les circonstances actuelles se modifieraient. Ici également on prévoit, non seulement une attitude équivoque du Gouvernement quel qu'il soit en France, mais une tentative de revanche, dès qu'il en trouverait le joint. Ce ne serait qu'une question de temps, de quelques années. Si nous aurons alors, comme il faut l'espérer, une meilleure assiette qu'en 1870, et nous devons nous y appliquer sans relàche, nous serons à meme, avec l'appui de l'Allemagne, de jouer un tout autre role. L'Italie ne sera vraiment amalgamée, le prestige de l'Autorité ne sera vraiment constitué sur des bases à solide épreuve, que par une grande guerre contre la France. Cette crise sera fatalement amenée par ce peuple qui nous confond dans sa haine contre les vainqueurs. Mais, du moment où il serait prouvé qu'il veut courir à nouveau l'aventure, meme seulement contre l'Allemagne, nous ne devrions pas hésiter à démasquer nos batteries. Nice nous tendrait les bras, et, quant à la Savoie, il nous conviendrait de la détacher de la France, si non pour en rentrer en possession, du moins, ce qui vaudrait peut-etre mieux, pour la constituer en état neutre en union personnelle avec la Suisse. Ce ne serait certes pas l'Empire d'Allemagne, qui s'opposerait à ces combinaisons.
Mais j'empiète trop sur l'avenir. Je me borne à insister sur ce point, que le danger viendra de la France, et qu'ainsi notre programme est tout tracé. Je comprends que, en prévision de complications, V. E. tienne par ses procédés à mettre de notre coté la raison et à éviter meme l'apparence d'une provocation. Mais l'esprit de bienveillance et de conciliation a des limites, qu'il ne conviendrait pas de trop élargir. Nous risquerions que, à Paris ou à Versailles, on attribuàt à ces procédés un caractère moins élevé et qu'on y fut encouragé à formuler des prétentions inadmissibles. Sans le vouloir, nous aurions alors provoqué des embarras, auxquels il vaudrait mieux couper court d'avance, en laissant comprendre que nous ne supporterions aucune ingérence étrangère.
On nous saurait gré id d'une pareille attitude, et ce serait la meilleure préface pour des accords futurs.
Les journaux prétendent que M. Thiers aurait sollicité le rappel de M. le Chevalier Nigra. J'ai vu avec plaisir dans quelques numéros de l'Opinione que ce journal qui, ici du moins, passe pour avoir des attaches officieuses, romp des lances en faveur de ce diplomate. C'est en effet faire acte d'indépendance vis-à-vis de nos voisins. Il me semble seulement que pour défendre M. Nigra d'injustes attaques, l'Opinione a dépassé le but. Les comparaisons sont odieuses, et vouloir le grandir aux dépens de tout notre corps diplomatique, n'est ni généreux, ni surtout habile. Il serait au contraire dans nos convenances de proner très haut que nos représentants jouissent de toute la confiance du Gouvernement, afìn d'ajouter plus de crédit à leur langage, et de ne pas leur donner en masse, et en quelque sorte, un brévet d'incapacité pour le poste de Paris. Serait-ce peut-etre pour préparer la voie à quelque dilettante? Mais alors, quelque regrettable que cela fut, vaudrait-il mieux le nommer quand le moment sera venu, sans jouer ainsi de la grosse caisse.
V. E. m'excusera si cette observation est hors de propos, car, autant que je me souviens, il m'a été assuré à Rome que l'Opinione ne refl.était pas votre pensée. Il est fàcheux seulement, pour le 'cas que je viens de signaler, qu'elle en ait la réputation. II serait humiliant pour nous, qu'on put croire à l'étranger que notre corps diplomatique méritàt un semblable testimonium paupertatis. Le reproche frapperait d'ailleurs plus haut.
IL MINISTRO A VIENNA, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
(AVV)
L. P. Vienna, 24/26 gennaio 1872.
Ho ricevuto a suo tempo a mezzo del corriere Anielli la Vostra lettera particolare del 4 corrente (1), interessantissima per me sotto ogni rigu::.rdo; infatti essa contiene, non solo importanti considerazioni ed intenzioni relativamente alla grave questione delle corporazioni Religiose in Roma, ma pur anche l'approvazione che mi viene gratissima, del linguaggio al riguardo da me tenuto col Conte Andrassy. Ho infatti luogo di ritenere che una delle conseguenze pur di tal linguaggio sia stata la risposta data dal Ministro degli Esteri alla Deputazione del Casino Cattolico. Tal risposta riferita in sunto nel giornale il Vaterland, venne poscia in extenso pubblicata nell'ufficiosissima Correspondance générale Autrichienne, non poco però temperata nella forma se non nella sostanza, e ciò probabilmente per condiscendenza ad altissime influenze o meglio esigenze. Ciò non di meno l'effetto prodotto sull'opinione pubblica dalla sostanza della risposta fu immenso! Io non mi dissimulo però, che onde far trangugiar alle succitate altissime influenze un fatto così contrario ai sentimenti che Le ispira, le insistenze a favore degl'Ordini Religiosi aumenteranno d'intensità, ed in generale le raccomandazioni a riguardo della così detta libertà spirituale del Pontefice cresceranno più che mai. Come ben prevedeva il Conte Andrassy è tenuto per molte ragioni a ben maggiori riguardi verso i sentimenti personali del Suo Sovrano nonchè dell'entourage di quanto lo fosse il Conte di Beust, il quale da lungo tempo aveva brulé ses vaisseaux, imponendosi a malgrado tutto. Ma con un pachino di condiscendenza, e con bei modi avremo ragione di queste piccole noje, e ciò tanto più se ci risolveremo ad andar avanti senza esitazione e presto. Il momento non potrebbe esser più opportuno. Il Governo Imperiale tiene anzi tutto oggi alle buone relazioni coll'Italia, poichè esse sono volute dal partito liberale Tedesco che esclusivamente lo appoggia in questo momento; conseguentemente se ci metteremo le necessarie forme, potremo far quanto meglio crederemo nell'interesse nostro interno, senza timore che il malvolere della Francia verso di noi trovi a Vienna l'appoggio ch'essa vi cerca. Le cose però muterebbero affatto d'aspetto, ove all'attuai governo liberale e composto d'uomini che hanno in fondo simpatia per noi, ne succedesse uno che dasse la preponderanza ai federalisti, le cui tendenze clericali ed antigermaniehe, conseguentemente francesi, non fanno dubbio. Allorchè il Conte Beust lasciava, costrettovi dalla volontà Imperiale, il posto di Cancelliere, io vi scrivevo esser opinione generale che il tramonto della stella di quell'Uomo di Stato sarebbe stato di breve durata; tale era infatti l'opinione universale. Le cose però hanno alquanto mutato aspetto da quel giorno e per colpa del Conte Beust; il bisogno di occupar l'opinione pubblica, di far parlar di sè i giornali quasi quotidianamente gli ha
fatto un male essenziale. La sua visita a Versailles poi gli ha intieramente alienato le simpatie di circostanza del Principe di Bismarck. Intanto l'avversione per lui dell'Imperatore Francesco Giuseppe non fece che crescere; il partito Tedesco si è pur raffreddato nelle sue simpatie al seguito di quella mal consigliata visita, ed in questo momento egli non può forse contare che nell'appoggio dei finanzieri che certamente sono una forza non da disprezzarsi in Vienna, ma che però non esercitano un ascendente preponderante. Il Conte Andrassy poi ha acquistato tutto il terreno che il suo predecessore e temibile successore perdeva, ed egli mi par oggi saldissimo al suo posto. Con tutto ciò non voglio far profezie, poichè se difficili a farsi ovunque sono impossibili in Austria dove le cose le più improbabili sono sempre possibili.
Vi ho telegrafato il passaggio per l'Alta Italia dell'Arciduca Alberto: il Generale Piret che lo accompagna dicevami che probabilmente farebbe una punta alla Spezia, ve ne prevengo pel caso il Ministro di Marina creda mandarvi ordini, non converrebbe però in modo alcuno rompere l'incognito che l'Arciduca intende serbar strettamente. La nostra andata a Roma ha reso più che mai difficile un atto di cortesia personale dell'Imperatore e degli Arciduchi verso il nostro Sovrano, e parmi sia della nostra dignità, non mostrar di tenerci, e tanto meno poi cercar di ottenerlo forzatamente. Confesso però che allo stato delle cose non vedrei la possibilità di una visita a Vienna di un nostro Principe; dico ciò per il caso quest'idea potesse in qualunque modo nascere, la mia attenzione essendovi stata richiamata sopra allorchè nel mio primo colloquio col Conte Andrassy egli mi espresse il suo rincrescimento, che l'incontro fra i due Sovrani altra volta progettato fosse andato fallito a causa della malattia del Re, e la sua speranza che ciò potesse altra volta verificarsi. Non mi fo illusione alcuna; l'Imperatore o la famiglia Imperiale non solo non hanno simpatia di sorta per la nostra Real Casa e per l'Italia, ma sono anzi sotto l'influenza della più pronunciata antipatia tenuta viva dal partito ,clericale potentissimo sull'Arciduchessa Sofia, non che dagli spodestati tutti che qui risiedono o convengono di quando in quando. Non converrà dunque mai che da parte nostra si faccia un vero atto di cortesia personale prima che uno fatto da qui, ci possa dar guarentigia dell'accoglienza dovuta ad uno nostro. Non mi dò d'altronde pensiero di un tal stato di cose; i veri interessi delle Nazioni s'impongono in oggi alle passioni personali dei Principi, e queste quindi in uno Stato qual è oggidì l'Austria-Ungheria, non possono più avere in ordine alle estere relazioni se non conseguenze molto limitate. Devo però constatare che l'Imperatore è sempre gentilissimo per me ogni qualvolta ho l'onore di trovarmi dinanzi a Lui, e sempre mi chiede nel modo più corretto notizie del Re e del ,come si trovi a Roma! Gli Arciduchi pure tutti sono meco convenientissimi, e giustizia vuole anzi io faccia particolar menzione dell'Arciduca Alberto che proprio è per me d'una marcata gentilezza. Egli non riceve mai diplomatici in casa Sua; Lunedì però m'invitò a pranzo col Generale Schweinitz dicendoci che era lieto di poter far un'eccezione per noi due considerandoci come Generali e non come diplomatici. Dacchè sono sull'argomento non credo però potervi tacer che l'Arciduchessa Sofia non mi ricevette, facendomi rispondere che più non dava udienze ufficiali, locchè non l'impedì di ricever pochi giorni dopo gli Ambasciatori di Germania e d'Inghilterra.
Credetti bene parlarne col Principe d'Hohenlohe Gran Mastro dell'Imperatore, mostrando però non attaccarvi importanza di sorta, riconoscendo ad una Donna della sua età il diritto di far capricci! Il Principe Hohenlohe accolse molto favorevolmente questo mio modo d'envisager la question, e volle avvalorarlo, dicendomi che l'Imperatore non intendeva in modo alcuno assumere la responsabilità dei ,capricci di sua madre, tanto più dopo lo sgarbo da essa fatta all'Imperatore Guglielmo lasciando Ischl il giorno precedente al suo arrivo, e ritornandovi il giorno dopo la sua partenza. L'incidente dunque non ha avuto altro seguito e sarà bene non se ne parli ulteriormente, i miei successori a Vienna per altro faranno egregiamente ad estenersi senz'altro dal chiedere di essere ricevuti dall'Arciduchessa Sofia.
Somme toute mi trovo perfettamente a Vienna, e parmi la mia posizione vi sia sufficientemente buona.
Vi ho riferito l'accoglienza freddina anzi che nò stata fatta alla mia entratura relativamente alla nostra questione colla Grecia, la cosa non mi stupì però, tanto perchè ho già potuto constatar che il Conte Andrassy non ama ingerirsi senza che vi sia un evidente interesse pel suo paese negli affari altrui, adducendo sempre l'esempio della Francia e del poco vantaggio per non dir altro ch'essa ha ricevuto da tali ingerenze; quanto poi anche perchè egli ama assai, allorchè il può far senza inconvenienti, spiegar la sua azione in modo diverso dal suo predecessore. Vi confesserò poi che non so capire il contegno della Francia in questa faccenda; evidentemente se m'avete scritto che il Marchese di Banneville riceverebbe istruzioni analoghe alle mie si è perchè ve ne sarà stata data l'assicuranza; or bene fino ad oggi l'Ambasciator Francese non ha ricevuto ch'io mi sappia comunicazione di sorta al riguardo, sebbene mi abbia detto aver richiesto istruzioni tosto dopo ch'io per la prima volta gli tenni parola di questa faccenda.
Mi scordavo dirvi che l'Imperatore mostrossi meco grato all'accoglienza stata fatta dal Re al Barone Kiibeck allorchè gli presentò le sue ricredenziali, ed assicurommi sperar che egual fiducia e stima saprebbe meritarsi dal Re il Conte Wimpfen, le istruzioni da esso dategli non potendo a meno di condur a quel risultato. In questa circostanza pure l'Imperatore volle esprimersi in modo molto onorevole e lusinghiero a riguardo del Governo nostro e del Parlamento pure dei di cui lavori mostrossi a giorno. Come vedete, e come vi dicevo la posizione è correcte, il pretender di più sarebbe fuori di tempo ed inutile: studiamoci di mantener le buone relazioni internazionali, in quanto a quelle personali da Sovrano a Sovrano, contentiamoci dell'indispensabile, e lasciamo il di più al tempo ed alle ,circostanze. L'esposizione mondiale dell'anno venturo potrà forse esser occasione ad un invito per parte dell'Imperatore, e quindi ad una visita del Principe Umberto, ma più d'un anno ancora ci divide da quell'epoca, c'è dunque ancora tempo soverchio da ragionarci sopra. Pel momento null'altro ho da dirvi che non troviate nella mia corrispondenza ufficiale: se vedrò ancora il Conte Andrassy prima della partenza del corriere che vi porterà questa lettera, e se avrò a comunicarvi qualche cosa d'interessante ve lo aggiungerò in post scriptum, per ora non resta dunque che a porgervi la riconferma del mio rispettoso ossequio.
26 gennaio 1872.
Ecco il post scriptum che arriva. Comincio col dirvi cosa già a voi nota che l'Arciduca Alberto dopo d'avermi detto che partirebbe per l'Italia la settimana prossima, lasciava Vienna sin da ieri mattina, in modo che quando riceverete questa lettera, Egli sarà già in Francia. Permettetemi ora che in questa lettera particolare vi dia la continuazione del mio rapporto ufficiale d'oggi stesso sul colloquio avuto ieri col Conte Andrassy e che vi riferisca la nostra ulteriore conversazione dal punto in cui la lasciai in detto mio rapporto. Come ben prevedevo e vi ac·cennavo in principio di questa lettera, il Conte Andrassy dopo la dichiarazione fatta alla Deputazione cattolica si trova costretto da molte esigenze a spiegar una maggior insistenza verso di noi in riguardo alle cose di Roma, e quindi, come me l'aspettava, colse l'occasione per ritornar sull'argomento della convenienza ed anzi necessità a tutela degli interessi cattolici di serbar alle case Generalizie stabilite a Roma, intatto il godimento delle attuali loro proprietà. Non mancai di ribattere i suoi argomenti servendomi di quelli fornitimi dalle vostre lettere sulla questione, ed altri ancora ne aggiunsi senza però ch'egli accennasse a voler menomamente ceder ai miei ragionamenti. Dissigli che evidentemente non potevo preveder l'esito della legge che sarebbe stata presentata al Parlamento; il progetto di essa non essendo ancora neppur concretato definitivamente, che però il mio convincimento dietro la conoscenza che avevo dell'opinione .pubblica in Italia nonchè dei partiti, s'era che indubbiamente il Parlamento non avrebbe mai ammesso che le case Generalizie conservassero le loro proprietà stabili nella forma sotto cui esse le godono attualmente, l'Italia non volendone più sapere di quella mano morta, nociva ovunque alla prosperità degli Stati, nocivissima in modo del tutto speciale alla prosperità di Roma, alla salute dei suoi abitanti. Croyez-moi M. le Comte, iL faut jeter cela à la mer pour sauver le reste, perchè ove si volesse salvar tutto si finirebbe per salvar nulla. Sul modo di conversione potrà forse anche trovarsi un ripiego di conciliazione, soggiunsigli, ma sul fondo della questione, credete alla mia impressione personale, non c'è scampo, la mano morta non si salverà. Il Conte Andrassy cercò di ribattere tutti i miei argomenti, non come un uomo evidentemente che esprimesse il proprio convincimento, ma come un uomo che non poteva parlar diversamente dovendo almeno trovarsi sempre in grado di poter dir nulla aver tralasciato per sostener una causa a cui sì vivo interessamento prende il suo Sovrano. Nel corso della conversazione il Conte Andrassy trovò
modo di ritornar sulle dichiarazioni antecedentemente fatte dal Governo Italiano in ordine alla sua intenzione di concertarsi colle potenze cattoliche, riferendosi però, ad una nostra conversazione al riguardo che già vi ho riferito, accennommi al malvolere della Francia verso di noi, alle simpatie che in Baviera mostravano volersi risvegliar a favor del Papa, in prova del che diceva il Governo di Monaco non avrebbe probabilmente più rimpiazzato il defunto suo Ministro in Italia, e sebbene mi lasciasse indirettamente vedere che l'Austria non si sarebbe associata al riguardo all'azione della Francia, nè della Baviera, pur volevami persuadere che se non trovavamo modo di soddisfar le giuste esigenze, saressimo andati incontro a molte noje; a pericoli no dicevami, ma noje si. Insomma vedesi un uomo che teme di essersi troppo avanzato e che per tema dell'avvenire vuoi aver le spalle coperte. Ciò però non cambia affatto il modo di vedere ch'io vi esprimevo in principio di questa lettera; conviene sortir da questa questione, e senza troppo ritardo; l'Austria non ci darà noje serie, tanto più se avrà la convinzione che abbiamo con noi la Prussia; la Francia lasciata così sola non potrà recarci molestie, ed anche questa passerà come molte altre comme une lettre à la poste! Ma ritardandone di molto una soluzione, gl'intrighi del Vaticano che hanno qui un forte centro d'azione, possono acquistar un'influenza tale da produrre conseguenze non del tutto impossibili in un paese come questo, come accennavami lo stesso Conte Andrassy, ad un punto di vista diverso ben inteso da quello ch'io vi sottopongo. E qui pongo fine a questo mio lunghissimo post scriptum di una già troppo lunga lettera.
(l) Non pubblicata.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 1772. Parigi, 26 gennaio 1872 (per. il 30).
Ebbi l'onore d'informare per telegrafo l'E. V. che fu presentata all'Assemblea nazionale una petizione tendente ad ottenere che il Ministro di Francia accreditato presso S. M. il Re non vada a risiedere in Roma. Questa petizione, rinviata alla competente commissione, deve essere riferita fra breve. Il Signor di Rémusat al quale feci notare gli inconvenienti e la cattiva impressione che produceva in Italia il prolungato ritardo della partenza del Signor di Goulard per Roma, mi disse che era sinceramente dispiacente di questo ritardo e che desiderava vivamente ch'esso non fosse interpretato come un atto di meno buona volontà per parte del Governo francese, il ·Che non era in veruna guisa. Questo ritardo, mi disse il Signor di Rémusat, era stato occasionato prima dalla votazione del trattato colla Prussia di cui il Signor di Goulard era stato l'uno dei negoziatori; e poi dalla crisi recente che fu ora risolta. Ora poi, in presenza della petizione sopra accennata la quale doveva discutersi in questi stessi giorni, il Governo francese aveva creduto che la partenza del Ministro di Francia alla vigilia di questa discussione potesse presentare nella Assemblea un inconveniente reale nell'interesse stesso del buon esito della votazione sulla petizione. Il Governo francese ha quindi fatto ritardare di alcuni giorni la partenza del Signor di Goulard. Ma il Signor di Rémusat mi assicurò che se la discussione della petizione fosse ritardata ancora avrebbe proposto al suo Governo di far partire ciò non ostante il Ministro di Francia per Roma. Il Signor di Rémusat m'incaricò di esprimere all'E. V. la di lui speranza che il Governo del Re vorrà tener conto di questa situazione e non attribuirà ad altre ragioni questo ritardo.
Ho domandato al Signor di Rémusat quale attitudine prenderebbe il Governo francese nella discussione della petizione, ed a questa occasione non mancai d'osservare come si provvederebbe assai meglio alle buone relazioni dei due Governi d'Italia e di Francia se si evitassero in seno dell'Assemblea francese discussioni che non possono avere altro pratico risultato all'infuori di destare nei due paesi irritazioni che abbiamo uguale interesse a comprimere ed a sedare. Il Signor di Rémusat mi disse ch'egli non accetterebbe che l'ordine del giorno puro e semplice; ch'era impossibile il mettere da parte una petizione regolarmente presentata e quindi evitare la discussione. Del resto egli aggiunse che quantunque la commissione si mostri disposta ad inserire nel suo rapporto considerazioni che possono spiacere all'Italia, tuttavia sembrava decisa a proporre essa stessa l'ordine del giorno.
Io impegnai vivamente il Signor di Rémusat, giacchè la discussione era inevitabile a mantenere fermo il suo proposito di non accettare che l'ordine del giorno puro e semplice; ed a questa condizione, gli dissi, noi non leggeremo le considerazioni teoriche della Commissione, per tenere conto soltanto delle conclusioni pratiche della votazione e della dichiarazione del Governo.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. RISERVATA 553. Roma, .27 gennaio 1872 (per. il 28).
Non sono certamente ignoti alla E. V. i tentativi di questi ultimi tempi per un accordo tra gli aderenti all'Associazione Internazionale ed i Mazziniani.
L'attività di queste fazioni nello stringere intelligenze per tradurre in atto i disegni sovversivi, sembra ora cresciuta oltre il ·consueto, e, stando ad alcune indicazioni, sembra che l'esecuzione dei progetti rivoluzionari, debba essere concomitante ad un movimento in Francia che si annunzia poco lontano.
Nel porgere questo primo cenno alla E. V., per conveniente notizia, mi riservo di significarle sollecitamente quelle ulteriori e specifiche informazioni che mi verrà fatto di raccogliere (1).
IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 18. Madrid, 27 gennaio 1872 (per. il 3 febbraio).
Appena ricevuta la Circolare Ministeriale delli 10 Dicembre scorso (2), non posi indugio nel fare quelle pratiche officiose e in via privata che credetti opportune per appurare se esistessero in !spagna Associazioni Religiose conservando un carattere qualsiasi di nazionalità italiana.
Mi sono convinto adesso che non avvi altra istituzione religiosa che possa essere considerata come Italiana, o sulla quale noi potremmo rivendicare un diritto di patronato, se non la Chiesa e l'Ospedale detti degli Italiani in Ma
drid. Di questa fondazione, sua ongme, storia, ed attuali condizioni trattano i Rapporti della Legazione: Affari in Genere, N. 22 e 28 delli 9 e 28 Dicembre 1869; N. 29 delli 10 Gennaio 1870. E col dispaccio N. 9 delli 27 Settembre 1871 (l) questa Legazione manifestava le ragioni per le quali non sarebbe adesso il momento di suscitare una tanto intricata quistione per rivendicare i nostri diritti, con poca o nissuna speranza di riuscita.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
D. 364. Roma, 28 gennaio 1872.
Il Signor Ministro dell'Interno mi scrive che l'atttività dell' • Internazionale • e del partito mazziniano fra loro associati per tradurre in atto i loro disegni sovversivi sembra essersi negli ultimi tempi notevolmente accresciuta, e che alcuni indizi farebbero credere essere l'esecuzione di tali progetti collegata ad un movimento in Francia che si annuncia poco lontano.
Se il Ministro dell'Interno, come esso lo accenna, si troverà più tardi in grado di fornirmi più esatte informazioni, non mancherò di comunicarle alla S. v.
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BUENOS A YRES, DELLA CROCE DI DOJOLA
D. 38. Roma, 29 gennaio 1872.
Con il pregiato rapporto del 14 settembre dell'anno passato n. 143 (l)
V. S. mi ha chiesto istruzioni circa le pratiche da farsi in favore degli italiani i quali vantano crediti verso il Paraguay per danni sofferti nei disordini accaduti all'Assunzione verso la fine del 1870. Ella mi ha espresso l'opinione che tali pratiche sarebbero più opportunamente introdotte quando il R. Governo fosse rappresentato presso quella repubblica da un console di Ia categoria, ed inoltre V. S. manifesta un dubbio sulla utilità dei passi che si potrebbero fare sin d'ora, mentre il paese, non ancora permanentemente costituito, versa nelle più gravi difficoltà economiche e finanziarie.
Nel dispaccio sovracitato e nella successiva di lei corrispondenza, non ho trovato alcuna indicazione sull'entità dei crediti in questione, ancor meno sulla validità delle prove che gl'italiani potrebbero fornire dei danni realmente sofferti. Bensì il rapporto di V. S. ricorda opportunamente avere il Governo paraguayano riconosciuto in massima l'obbligo suo di risarcire i danni imputabili agli agenti governativi.
A questo riguardo sono adunque da considerarsi due cose affatto distinte, cioè: il principio di diritto che ci deve guidare nelle nostre domande al Pa
raguay; l'opportunità di fare immediatamente, oppure di sospendere i passi
che crediamo nostro dovere di smuovere in favore di creditori italiani.
Sul primo punto, sul principio di diritto cioè che ci deve guidare nell'accordare l'appoggio del R. Governo alle domande dei danneggiati dell'Assunzione, io debbo riferirmi alle anteriori istruzioni impartite dal Ministero ai suoi agenti diplomatici nell'America meridionale, e mantenere ferma l'ap' plicazione della massima che siano da risarcirsi soltanto i danni che il Governo locale, le sue truppe ed i suoi agenti hanno cagionati agl'italiani facendo requisizioni nelle loro proprietà, a meno che sia dimostrato che in casi simili il Governo stesso indennizzerebbe i propri cittadini, oppure si tratti di danni toccati agl'italiani perchè loro venne a mancare, per imperizia o malvolere dell'autorità, la difesa alla quale hanno diritto secondo i trattati ed
il diritto delle genti.
Circa alla questione d'opportunità sebbene io apprezzi altamente i motivi
che farebbero preferire che i passi presso il Governo dell'Assunzione si fa
cessero da un console di Ia categoria, mi preoccupo cionondimeno degli incon
venienti che potrebbero derivare da un soverchio ritardo nel porgere a quel
Governo i richiami presentati dagl'italiani. Non è infatti nel corso naturale
delle cose che, dopo aver noi ottenuto dal Paraguay una dichiarazione favo
revole al principio del risarcimento dei danni sofferti dagl'italiani si sopras
sieda, per tanto tempo a far conoscere a quel Governo quali siano i singoli
danni da risarcire. Il ritardo quando non avesse altri inconvenienti, avrebbe
pur sempre quello di rendere più difficili le prove che si debbono addurre
e le necessarie verificazioni dei fatti. Propenderei dunque per un partito che
conciliasse le convenienze della procedura diplomatica con le esigenze degli
interessi impegnati nella questione, e mi pare che tale partito si trovi nell'in
dirizzarsi ella stessa per iscritto al Governo del Paraguay trasmettendogli le
domande degl'italiani. In tale trasmissione ella comprenderebbe tutte le do
mande che le risulterebbero sufficientemente fondate e la di lei lettera po
trebbe essere presentata per mezzo dell'agente consolare italiano all'Assun
zione.
Questo primo passo provocherà probabilmente una risposta ed allora noi
saremo a tempo di decidere sulle pratiche ulteriori da eseguirsi. Intanto però
si sarà sempre interrotta quella specie di prescrizione che non tarda a com
piersi quando in simile materia si lascia decorrere il tempo durante il quale
sono possibili od almeno meno difficili le prove dei fatti che si vogliono alle
gare a fondamento delle proprie domande.
(l) Non pubblicato.
IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
T. 4105. Pietroburgo, l febbraio 1872, ore 16,40 (per. ore 0,37 del 2).
Les candidats proposés pour les Evechés polonais par le Gouvernent Russe sont acceptés par le Pape. Question de l'introduction de la langue russe dans la ritualité religieuse n'est pas encore décidée. M. de Capnitz qui serait pro
bablement nammé agent officiel pousse à la réconciliation. Négociation n'a aucune partie politique, France y étant étrangère. Thiers a pourtant déclaré vouloir renoncer à toute sympathie active en faveur de la Pologne. Détails par poste.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
N. RISERVATA 653. Roma, l febbraio 1872 (per. il 2).
Nel ringraziare l'E. V. delle comunicazioni favoritemi colla Nota a margine indicata (l) circa il noto agitatore russo Bakounine e l'associazione del Giura bernese, non posso dispensarmi dal pregarla di voler inculcare al R. Ministro in Berna di insistere nelle investigazioni e nella sorveglianza raccomandatagli, per quanto concerne specialmente il detto Bakounine il quale, sta di fatto che tiene corrispondenza con alcune Sezioni dell'Internazionale dell'Alta Italia.
IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. 72. Madrid, l febbraio 1872 (per. il 7).
Le parti Carliste vient, par l'organe de la Junte Centrale s'intitulant Catholique Monarchique, de publier un manifeste, dans lequel, oubliant que le Gouvernement, avant la rupture de la Conciliation, avait été autorisé à percevoir les impots, il invite les Espagnols à ne pas les payer sous prétexte qu'ils n'ont pas été votés par les Cortès. Ce manifeste est un véritable appel à l'insurrection, et la phrase suivante suffit à le démontrer: • C'est un devoir, un devoir sacré et impérieux de combattre, sur le terrain légal les pouvoirs qui ont surgi de la Révolution, les Gouvernements [sic] d'Amédée de Savoie, en leur suscitant toutes espèces d'obstacles, en les privant de toutes espèces de ressources •.
L'attitude de plus en plus factieuse du parti Carliste fait prévoir que le Gouvernement ne pourra pas tarder à employer des mesures énergiques et décisives contre cette minorité audacieuse et turbulente, que, toujours pvète à la violence, s'efforce à présent de pousser les habitants des campagnes, sur lesquels elle exerce une certaine influence, à ne point payer les impots. Quoique, par l'abolition du système préventif, il a été possible que ce manifeste se soit publié impunément, on doit cependant espérer et croire que le Gouvernement, -s'il faut en juger par ,les organes les plus autorisés -, saura faire en sorte que les Carlistes ne pourront plus se servir désormais des mèmes libertés établies par l'ordre de choses actuel pour s'efforcer à paralyser la marche régulière des institutions libérales.
(l) Si tratta della nota n. 2 del 31 gennaio.
IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA
R. RISERVATO 159. Costantinopoli, 2 febbraio 1872 (per. il 9).
Il R. Console in Beyrouth, nel darmi contezza degli incidenti che hanno accompagnato la ·consegna del Seminario e Convento Armeno del Libano agli antihassounisti e dei timori colà sorti di vedere per tale fatto turbata la pubblica quiete, mostravasi meco dolente di essere privo di istruzioni sulla linea di condotta da seguire e sul modo di contenersi con Franco-Pacha che soventi intrattenevalo della sua difficile posizione in si delicata controversia. Il R. Console aggiungeva che il Governo del Re guadagnerebbe in quelle contrade d'influenza se il R. consolato potesse appoggiare le pratiche che faceva la Francia in appoggio allo Statu quo, cioè a dire dei seguaci di Monsignor Hassoun.
Ispirandomi alle verbali istruzioni ricevute in Roma dall'E. V. nello scorso Agosto, credetti utile di far conoscere in risposta al Cavalier Macciò i motivi pei quali in questo momento il Governo del Re si è imposto di usa