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l. Il presente volume comprende l'anno 1861, dall'8 gennaio al 31 dicembre: per dare, infatti, compiutezza alla documentazione ed alla comprensione delle singole questioni non si è ritenuto di dover prendere come termine a quo -come sarebbe apparso naturale -la data della proclamazione del Regno d'Italia.
Gli inconvenienti dell'interferenza, per il periodo gennaio-giugno 1861, con l'edizione nazionale, tuttora in corso, dei carteggi del conte di Cavour, sono stati risolti, ripubblicando, con una scelta rigorosa, solo alcuni dei documenti già dati alla luce, secondo il modello dei curatori della Die Auswiirtige Politik Preussens (1858-1871), rispetto alla stampa dei Gesammelten Werke del principe di Bismarck.
2. Il materiale dell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, tutto esaminato, è stato attinto principalmente alle seguenti serie:
a) Archivio del Gabinetto e del Segretario Generale:
Telegrammi: registro telegrammi in partenza n. 13; registro telegrammi
in arrivo n. 28. Corrispondenza confidenziale del Ministro degli Affari Esteri: registro
n. 13 (24 agosto 1860-6 ottobre 1861); registro n. 14 (7 ottobre 1861-4 maggio 1863).
Missioni all'estero : cartella 4 : missione straordinaria del marchese di Torre Arsa presso le corti di Svezia-Norvegia e Danimarca; cartella 5: missione straordinaria del marchese Camillo Caracciolo di Bella presso la corte di Portogallo; cartella 6 : missione straordinaria del generale Enrico Morozzo della Rocca per l'incoronazione del Re Guglielmo I di Prussia.
Cartelle sulla questione romana e busta contenente corrispondenza con gli agenti dell'emigrazione politica ungherese. b) Serie Divisione Politica:
Minutari corrispondenza del Ministero con Agenti Diplomatici all'estero:
registri del 1861.
Rapporti degli Agenti Diplomatici e Consolari all'estero: pacco 155: legazione 'in Atene; pacco 161: legazione a Berlino; pacco 162: legazione a Berna; pacco 165: legazione a Bruxelles; pacco 168: legazione a Bucarest; pacco 173: legazione a Costantinopoli; pacco 77: legazione a Francoforte; pacco 180: legazione a Lisbona; pacco 181: legazione a Londra; pacco 187: legazione a Madrid; pacco 195: legazione a Parigi; pacco 214: legazione a Washington; pacco 225: consolato a Belgrado; pacco 263: consolato a Roma.
3. È stato possibile integrare il materiale dell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri con altri preziosi fondi privati.
Dall'Archivio Reale dei Savoia già Alessandro Luzio aveva edito le lettere di Urbano Rattazzi sulla sua missione a Parigi. La liberalità dell'attuale Capo di Casa Savoia ha permesso non solo di collazionare quei documenti già editi ma di dare anche alla luce per la prima volta alcuni preziosi carteggi di Vittorio Emanuele II, di Bettino Ricasoli, del Conte Vimercati e del generale Solaroli, conservati a Cascais.
Il barone Bettino Ricasoli junior ha messo generosamente a disposizione della Commissione i documenti dell'Archivio del suo avo, custoditi nel castello
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di Brolio. Nel fondo Ricasoli-Celestino Bianchi dell'Archivio Centrale di Stato di Roma si è rinvenuta una copia della relaz'ione del generale Solaroli al re Vittorio Emanuele II sulla sua missione presso le corti di Svezia-Norvegia e di Danimarca, copia che ci è stato dato di collazionare non sull'originale che non esiste nell'Archivio dei Savoia a Cascais, ma su minuta nell'Archivio privato del marchese Carlo Solaroli di Briona in Torino. Nello stesso Archivio abbiamo trovato copia anche della lettera del 5 agosto 1861 inviata dal Solaroli al Re.
Fruttuose ricerche, in ispecie per la collazione di documenti già precedentemente ed'iti, sono state effettuate fra le carte del marchese Vittorio Emanuele d'Azeglio, depositate nell'Archivio di Stato di Torino, ed in quelle del generale Morozzo della Rocca, conservate presso il Museo del Risorgimento della stessa città. L'Archivio Minghetti, conservato nella Biblioteca dell'Archiginnas'io di Bologna, contiene alcune lettere del Vimercati, del Nigra, del Passaglia -parte recentemente edite e parte inedite -e di esse è stato possibile serv'irsi nelle note.
Dei documenti non contenuti nell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri è stata data di volta in volta la indicazione archivistica completa, adoperando le seguenti abbreviazioni:
A C S R, b fase. ins.: Archivio Centrale dello Stato, in Roma, busta, fascicolo, inserto.
A C R: Archivio della Casa Reale, in Cascais.
A R B, cassetta: Archivio R'icasoli, in Brolio.
A S T, m.: Archivio di Stato di Torino, mazzo.
B A B, Carte Minghetti, cart.: Biblioteca dell'Archiginnasio Bologna, Carte Minghetti, cartone. M R T: Museo del Risorgimento di Torino.
Nel corso del volume s'i fa inoltre riferimento ai seguenti Libri Verdi:
L. V. l: Note scambiate tra il Governo Italiano e quello di Francia relative al riconoscimento del Regno d'Italia. Documenti presentati dal Presidente del Consiglio, Ministro degli Affari Esteri (Ricasoli), nella tornata del 27 giugno 1861. (Camera dei Deputati, Sessione 1861, Stampato n. 108).
L. V. 2: Documenti e proposte relativi alla Questione Romana presentati dal Presidente del ConsigliÒ dei Minist1·i, Ministro degli Affari Esteri (Ricasoli), nella tornata del 20 novembre 1861. (Camera dei Deputati, Sessione 1861, Stampato n. 125).
L. V. 3: Documenti relativi lilla vertenza tra il Governo Italiano e quello di Spagna intorno al ritiro degli Archivi Napolitani, presentati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro degli Affàri Esteri (Ricasoli), nella tornata del 3 dicembre 1861. (Camera dei Deputati, Sessione 1861, Stampato n. 137).
Per le raccolte documentarie sfruttate con maggiore frequenza sono state adoperate le seguenti abbreviazioni:
Cavour-Nigra, IV: Il earteggio Cavour-Nigra dat 1858 al 1861, a cura della R. Commissione Editrice, vol. IV, La liberazione del Mezzogiorno, Bologna, 1929.
Q. R., I e II: La Questione Romana negli anni 1860.:1861. Carteggio del conte di Cavour con D. Pantaleoni, C. Passaglia, O. Vimercati, a cura della Commissione Reale Editrice, 2 voli., Bologna, 1929.
Cavour-Azeglio, vol. II, t. II: Cavour e l'Inghilterra. Carteggio con V. E. d'Azeglio, a cura della Commissione Reale Editrice, vol. II, t. II, Bologna, 1933. Ricasoli, VI: Lettere e documenti del barone B. Ricasoli, pubblicati per
cura di M. Tabarrini e di A. Gotti. vol. VI, Firenze, 1891.
I documenti cavouriani già editi sono indicati col numero d'ordine progressivo che hanno nelle rispettive pubblicazioni; per ì documenti ricasoliani, invece, dato il criterio adottato nell'edizione dal Tabarrini e dal Gotti, si rimanda alle pagine del volume dove essi sono stati dati alla luce. Quando è stato possibile, i documenti già editi sono stati collazionati di su gli originali: i passi tralasciati nei testi editi o da essi discordanti sono stati posti tra due asterischi.
Giova avvertire infine che in quanto al riconoscimento del Regno d'Italia, per l'indole della presente raccolta, si è documentato solo ciò che ha importanza politica generale. rinviando per le comunicazioni ufficiali sull'argomento scambiate con tutti gli altri Stati europei ed extra europei alla Gazzetta Ufficiale del Reqno d'Italia del tempo.
4. Nel licenziare alle stampe questo volume, esprimo la pm viva gratitudine ai collaboratori tutti della Commissione che presso l'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri -sotto la guida intelligente ed esperta del prof. Ruggero Moscati -mi hanno con molta diligenza aiutato nella collazione del testo e nella preparazione degli Indici e tra essi in special modo al dott. Enzo Piscitelli, che con la sua infaticabile operosità e col suo acume mi è stato di validissimo aiuto, ed agli Archivisti di Stato Francesco Bacino e Giampiero Carocci, che hanno posto a servizio dell'opera la loro specifica competenza. Vadano pure i miei ringraziamenti più caldi al dott. Mario Nobili e al dott. Antonio Gigli, che mi hanno facilitato molto le ricerche nell'Archivio di Brolio; al prof. Ernesto Sestan, che mi è stato preziosissimo collaboratore nella collazione delle carte Ricasoli; alla signorina Maria Avetta, che ha curato la collazione sugli originali di alcuni documenti delle carte Cavour; al conte C. A. Buraggi, che mi ha introdotto presso il marchese Solaroli di Briona, e infine al prof. Luigi Salvatorelli, cui debbo un'attenta revisione del testo e suggerimenti fecondi.
WALTER MATURI
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II . Doclimenti diplom<ttici · Serie I ·Vol. I
IL GENERALE SOLAROLI A VITTORIO EMANUELE II (l)
(A. -C. R.) L. -P. Londra, 8 gennaio 1861.Jeri passai la giornata da Lord John Russell e sula domanda in via di discorso che li feci se l'Imperatore aderiva alla cessione della Venezia, mi disse lei voi aludere a ciò che i giornalli dicono della missione di Lord Granvil; Lord Granvil non a avuto nessuna missione ma aggendo a Parigi ed amico di Valeschi, che è tuttaltro che italiano, Lord Granvil li domandò se l'Imperatore si sarebbe unito all'Inghilterra per la cessione della Venezzia? Costui che l'Imperatore si unirebbe all'Inghilterra per la cessione di Venezia se si volesse fare una confederazione con Napoli e Toscana, ma non per l'unione tanto più che l'ambizione del Piemonte non finisce costì, e i suoi Ministri parlano digià di voler Trieste la Dalmazia ed il Tirolo, e fors'anche Viena. Queste parole lord Granvil le scrisse confidenzialmente a me, donque in questo momento sarebbe inutile di fare la proposta, ma però non abbandono !idea e disse lui vede quanto e danoso il discorso prononciato dal sig. Vallerio a Ancona, e son poi stupito che il Governo nonlabia richiamato, o disaprovato sul giornalle Ufficiale, e l'Austria poi che sta sempre attenta, colse subito l'occasione e disse che mi parlate di cedere Venezzia: vedete cosa vole Vittorio Emanuele e sogionse dirà donque a S. M., nel presentarli i miei rispetti, ed a~ Conte di Cavour i miei saluti, che è tempo di fare giudizzio, e da governo sagio, e forte, ed abbandonare tutte le idee di rivoluzione se si voi riuscire; e sogionse queste parole li scriverò fra pochi giorni a Sir James Hudson.
Li domandai in seguito sula flotta avanti Gaeta? Lui mi disse come l'imperatore non voi che si dica che sia stato forzato, mi fece dire da Lord Cawly che aveva positivamente proposto una sospensione d'ostilità e di lavori, per quindici giorni, e che se era accettata dal Piemonte, dopo quindici giorni avrebbe richiamato la flotta, e lasciato Francesco II al suo destino. Su questo mi disse altre cose, ma come non sono cose per il momento, li dirò poi a voce a V. M. Mi disse anche che non è assolutamente vero che la Russia, Prussia ed Austria abbiano detto all'Imperatore di tenire a Gaeta la flotta, è tanto vero che su diciò non a potutto mostrar nulla, e tutto ciò che i Ministri di queste potenze hanno detto, è che i loro Governi erano contenti di vedere che l'Imperatore protegeva la sovranità.
Oggi devo prendere congedo di Lord Palmerston, e domani lascierò Londra, e domenica mattina sarò a Torino, e dirò a V. M. ciò che mi disse.
l · Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I
(l) Sulla missione Solaroli, cfr. C. DE VECCHI DI VAL CISMON, P. Solaroli a Londra nel dicembre 1860, in • Rass. Storica del Risorgimento • XXI, 1934, pp. 1192 e sgg.; ivi, pp. 1195-1196, anche il resoconto Solaroli dell'ultima conversazione con Palmerston.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
Berlino, 7 febbraio 1861.
R. 296.
Après le départ de notre Ambassade Extraordinaire (1), j'ait fait une visite au Ministre des Affaires Etrangères afin d'exprimer encore une fois les remerciements les mieux sentis de S. E. le Général de La Marmora pour toutes les attentions dont il avait été comblé par la Cour de Prusse. A cette occasion
M. de Schleinitz s'est dit satisfait du langage de notre Ambassadeur sur les intentions de notre Gouvernement et la conduite politique qu'il se propose de suivre dans les circonstances actuelles. Il m'a ensuite répété les déclarations qu'il avait faites au Général sur les deux questions de Venise et de la proclamation du Royaume d'Italie.
l. « L'opinion des sommités militaires se prononce affirmativement sur l'importance de la Vénétie pour la défense des frontières méridionales de l'Allemagne. L'abandon de cette position équivaudrait à une grande bataille perdue. Ainsi le Cabinet de Berlin ne saurait conseiller à l'Autriche de renoncer à cette province, ou favoriser d'une manière directe une cession. Cependant si le Gouvernement Impérial y consentait de son propre mouvement, nous ne l'en empecherions pas, surtout s'il y avait moyen de s'entendre sur des compensations, et d'obtenir des engagements rassurants pour l'avenir. En attendant nous sommes heureux d'apprendre quf' vous ne méditez aucune attaque contre l'Autriche. De notre còté nous ne jetterons pas d'huile sur le feu ».
Soit dit en passant, vis-à-vis d'un de mes collègues M. de Schleinitz énonçait en outre que, si la Prusse devait tenir compte des considérations stratégiques, elle chercherait à les concilier avec les intérets de la politique générale et du maintien de la paix.
2. « Quant à la formation du Royaume d'Italie, nous eussions désiré que cette question fùt réglée par un concert européen, mais on ne peut guère y songer puisque l'Angleterre semble décidée à prendre les devants. Pour ce qui nous concerne, nous ne prenons aucun engagement préalable de reconnaissance. Nous verrons comment la situation se dessinera, et nous espérons que vous saurez éviter de nous mettre l'épée dans les reins, que vous saurez tourner les difficultés ».
Il n'y a rien dans ces déclarations qui ne soit la répétition de ce que
M. de Schle'initz m'avait dit à plusieurs reprises. En les rapprochant des dis
cours tenus hier à la Chambre des Députés (1), V. E. sera à meme de se prononcer sur le programme de la politique prussienne à notre égard.
(l) Allude alla mtsswne straordinaria del gen. Alfonso La Marmora per l'avvento al trono di Guglielmo I. Cfr. il • Rapport du Général de La Marmora, Milan 17 février 1861 • sulla sua missione (già pubblicato dallo stesso LA MARMORA, Un po' più di tuce, ecc., Firenze, 1873, pp. 17 e sgg.) ove si riferiscono, a proposito della costituzione del Regno d'Italia, le seguenti dichiarazioni fatte all'ambasciatore straordinario del Re dal barone Schleinitz, ministro prussiano degli affari esteri: c Quant à la question de savoir ce se que nous ferons dans le cas assez probable où le nouveau Parlement proclamerait Victor Emmanuel Roi d'Italie, nous ne pouvons dire qu'une chose, c'est que nous nous attendons à ce qu'on ne nous mette pointle couteau sur la gorge. Nous chercherons par tous les moyens possibles à éviter une rupturede nos relations diplomatiques, tout comme nous les avons maintenues jusqu'ici. Le Comte de Cavour, avec son esprit éclairé, saura trouver une manière de s'entendre avec nous sur les moyens de sortir de cette diffìculté •. Cfr. anche L. CHIALA, Lettere edite e inedite det conte di Cavour, Torino, 1887, VI, pp. 670-674 e pp. 683-89.
IL DOTTOR CONNEAU A VITTORIO EMANUELE II
(A. C. R.)
L. P. Parigi, 14 febbraio 1861.
Rendo infinite grazie alla M. V. per l'onore che Ella mi ha fatto di dirigermi i di Lei caratteri e per la fiducia che la M. V. mette nella mia divozione alla M. V. e all'Italia.
Ho domandato all'Imperatore se era contento dei rapporti suoi col signor conte Vimercati (2) e la risposta è stata, qual già la presentia, che Ei ne era soddisfattissimo.
In quanto alla nomina del signor conte di Castellane, sotto qual forma che si sia, essa è per adesso impossibile. L'Imperatore non potendo nelle circostanze attuali domandare per esso l'exequatur non può nominarlo, né può neppure chiamarlo a reggere provvisoriamente un consolato qualunque senza fare una vacanza, il che far Ei non può attualmente. In quanto alla sua nomina
V. M. può esser sicura che essa avrà luogo subito che le circostanze lo permetteranno. Disgraziatamente noi viviamo in un tempo molto strano. Tutti i nemici dell'Imperatore e del suo Governo sembrano essersi coalizati, e gli affari d'Italia sono il campo in cui combattono la politica dell'Imperatore.
cher à la lisière extréme du territoire fédéral? • S. E. s'est bien gardée d'ajouter la phrase quisuivait immédiatement: c L'Allemagne peut-elle croire que l'ltalie songe à attaquer la Confédération Germanique? • M. de Schleinitz, j'aurai soin de le relever, était d'autant moins autorisé à jeter ce cri de défiance en s'appuyant sur un journal sans caractère officiel, que nous lui avons naguères donné les explications les plus catégoriques (désaveu du décret Valeria) •. [Aproposito di Trieste e del Lloyd, cfr. i documenti citati in A. TAMBORRA, Cavour, i croati e U confine orientale (1859-1861), in c Nuova Antologia •. vol. CDXLX. settembre-dicembre 1950, pp. 358-361].
Ritornando su questa discussione e su questo voto, il Launay scriveva a Cavour 1'11 febbraio 1861, n. 300: c Pour mieux se rendre compte de la signification de ce vote, il suffit de réfléchir qu'en cas de rejet nos adversaires s'en seraient prévalus de toutes manières pour encourager la Cour et le Gouvernement à faire cause commune avec l'Autriche. Sans vouloir cependant lui attribuer une valeur exagérée, il est permis d'en déduire que, si l'acceptation de la proposition Wincke ne fait point faire au Gouvernement un pas en avant en notre faveur, elle l'empèchera de faire un pas en arrière. Qui sait mème si le Ministère n'applaudit pas secrètement à une manifestation destinée à paralyser les tendances dynastiques et belliqueuses du Roi Guillaume et à lui rendre p!us difficile de remplir, le cas échéant, la promesse verbale, donnée à Toeplit.; à l'Empereur François Joseph, d'un concours actif si la France intervenait une seconde fois en Italie, Ies armes à la main? Quoiqu'il en soit, en comparant les discours tenus à la Chambre en 1859 et en 1861, il ést évident que nous avons gagné du terrain en Allemagne gràce aux efforts de la presse èclairée, et que nommément la question de Venise est appréciée avec plus de justice •·
Qui i non cattolici hanno vestito le divise dei cattolici, torturano i fatti, tacciono
o negano l'evidenza, combattono coll'armi della menzogna o della calunnia, e denaturando tutti i fatti attaccano gli atti non chè le intenzioni stesse dei governanti. È d'uopo all'Imperatore di gran prudenza e di gran circospezione. Tutto ciò che fa e dice è esaminato e scrutinato con malevolenza per trarne delle conseguenze favorevoli agli attacchi diretti contro di Lui. Che la M. V. sia convinta di una cosa, ed è che nessuno più dell'Imperatore desidera e vuole il bene dell'Italia e che lo vuole non solo per il vantaggio dell'Italia soltanto, ma si bene per la sicurezza della Francia stessa. Ma chi pensa come lui sono qui pochi, e non tutti hanno le vedute estese e generose dell'Imperatore. Esso peraltro riescirà, e con esso la M. V., e l'intento tanto desiderato sarà ottenuto. Dio voglia che ciò accada presto e senza dar luogo a turbamenti. Questo è il voto più ardente che nutro in cuore.
(l) Con rapporto Berlino, 6 febbraio 1861, n. 295, il Launay aveva data notizia del dibattito svoltosi, in quel giorno e nei giorni precedenti, alla Camera dei deputati prussiana su!ia risr-ost~ al discorso del trono. Vi si era trattata anche la questione italiana, a proposito di un emendamento del barone di Wincke che è cosi riassunto nel rapporto: c II n'est dans l'intérèt ni de la Prusse ni de I'Allemagne de s'opposer à la consolidation progressive de l'Italie •.• Gràces au concours des Polonais, -prosegue il rapporto -l'amendement a obtenu une majorité de 13 voix: 159 contre 146. Le Ministère s'est abstenu de voter... Les discours de nos adversaires n'ont pas été autre chose qu'un anachronisme. Ils ne tenaient aucun compte des événements accomplis depuis 1859. Le Baron de Wincke a été mordant, éloquent, selon san habitude. II sera de bon goùt que nos journaux l'encensent de toutes manières. Le Baron de Schleinitz a pris la parole à deux reprises. Selon la règle invariable, au Iieu de poser le principe de non intervention à l'instar de la France et de l'Angleterre, il a réservé la liberté d'action de san Gouvernement. Pour faire rejeter l'amendement précité, il s'est prévalu d'un article de l'Opinione e n réponse à la Gazette Prussienne dans lequel il était dit: • L'Allemagne considéreraitelle camme une violation de san territoire, si l'Italie en attaquant Vérone était obligée de tou
(2) II conte Ottaviano Vimercati, successivamente nominato addetto militare presso la legazione italiana a Parigi (13 agosto 1861).
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 256)
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 21 febbraio 1861.
Le Général Klapka (l) étant venu me voir de retour des Principautés et de Constantinople, je l'ai engagé à mettre par écrit son opinion sur la question Hongroise. C'est ce qu'il a fait dans la lettre que je crois utile de vous transmettre afin que vous la soumettiez à l'Empereur. Vous trouverez à la suite de la lettre copie d'une convention signée entre Klapka et le Prince Cou:~:a, dont l'originai est entre les mains du Général.
Je dois ajouter que le Général m'a dit en me remettant sa lettre, qu'il n'avait pas cru devoir se préoccuper d'une éventualité qui cependant pourrait bien se réaliser, c'est à dire, le cas où l'Empereur d'Autriche, renonçant au système de concession dans lequel il est entré il y a quatre mois, reviendrait à celui de compression et de rigueur. Dans cette hypothèse Klapka croit que tous les efforts des hommes modérés et sages, ceux meme de Kossuth qui est dans une veine de modération, ne parviendraient pas à éviter une insurrection générale.
Je pense que l'écrit du Général Klapka, le plus raisonnable et le plus distingué des Chefs de l'émigration Hongroise, résume la situation actuelle d'une manière fort exacte. Il importe infiniment que l'Empereur en prenne connaissance, et il serait fort à désirer qu'il voulut bien me faire savoir quelles instructions je dois donner à Klapka. Celui-ci sait que nous sommes décidés à ne rien faire pour la Hongrie que d'accord avec la France. Non que nous
ne prévoyons pas le cas, où la France restant neutre, nous prissions part à une guerre avec l'Autriche, mals parceque nous voulons que meme dans ce cas notre intervention rentrat dans les vues de l'Empereur.
Le Père Passaglia de retour à Rome m'a mandé par le télégraphe, que le terrain est assez bien disposé. En conséquence je fais partir aujourd'hui un individu (l) avec le projet de convention, des instructions et des notes pour Pantaleoni (2) et le dit Père.
Désirant que l'Empereur soit au courant de ces négociations, je vous envoie une traduction du projet et une analyse des pièces qui l'accompagnent.
Passaglia me recommande le secret le plus absolu. J e prierai en conséquence l'Empereur de ne rien faire savoir pour le moment à Gramont. Il peut toutefois nous aider d'une façon efficace en tenant à Rome un langage analogue à la brochure de la Guerronnière. J'ai commencé à tàter Antonelli à l'endroit des intérets temporels. Le premier e5sai n'a pas réussi. L'intermédiaire, qui l'approche de très près, n'a point repoussé les ouvertures qui lui ont été faites. Je pousserai la tranchée dans cette voie, en cheminant toutefois avec la plus grande prudence, car il serait fort dangereux de faire une fausse démarche avant que la brèche ne soit ouverte. Plus tard si nous faisons des progrès j'invoquerai le concours que l'Empereur est disposé à nous preter (3).
Je vous prie de vous faire rendre et de me renvoyer par occasion la lettre de Klapka.
ALLEGATO l ( 4).
KLAPKA A CAVOUR
Turin, 15 février 1861.
Je n'ai pas eu le temps dans l'entretien que j'ai eu l'honneur d'avoir avec Vous, de Vous présenter un exposé complet des impressions que j'ai rapportées des bordes du Danube, et en général des questions que soulève aujourd'hui l'état de la Hongrie. Permettez moi de reprendre ici cet entretien et de vous adresser des renseignements qui me semblent de nature à interesser par plus d'un coté la politique italienne. Peut-etre jugerez vous, Monsieur le Comte, convenable de les communiquer à l'Empereur, dont les intérets dans une pareille question se trouvent nécessairement liés à ceux d'Italie.
La situation de la Hongrie Vous est suffisamment connue. Il ne me parait cependant inutile d'en dire quelques mots.
Les concéssions du 20 octobre n'ont pas produit les résultats que semblait en attendre le Gouvernement autrichien. Loin de ralentir le mouvement de la nation, elles l'ont au contraire précipité. C'est ainsi que le pays pour ne pas consacrer par son silence un nouvel empiètement de la prérogative royale, a reclamé avec plus de vigueur que jamais son ancienne constitution avec les réformes de 1848. Le Gouvernement autrichien a d'abord fermé l'oreille à ces vceux; mais il semble à la veille d'y céder. Il lui importe d'arreter à tout prix l'élan des esprits et de mettre fin à un mouvement qui risque de l'emporter lui meme. La loi électorale
de 1848 a été presqu'entièrement rétablie, et la Diète est convoquée pour le 2 avril.
Cette situation donne une grande force au parti qui prétend arriver par dcs moyens légaux à l'autonomie de la Hongrie et sa politique risque de prévaloir sur celle de la grande généralité de la nation, qui ne croit pouvoir arriver que par l'intervention de la force, au triomphe complet de ses droits. Il importe dans cette situation d'étre fixé sur certaines éventualités et principalement sur lé!! question de la paix et de la guerre.
Si nous pouvions donner aux chefs du parti d'action l'assurance formelle que la guerre éclatera dans quelques mois, ils sauraient trouver les moyens d'empécher par leurs exigences que la Diète se réunisse. Et dans le cas ou elle se réunirait, ils feraient trainer si bien les débats sur le Diplome d'inauguration qui d'après nos lois fondamentales doit précéder le couronnement du Roi, que la nation n'aurait pas le temps d'etre liée par un pacte avec l'héritier des Habsbourgs avant l'ouverture des hostilités. La question resterait ainsi toute entière: l'Autriche se trouverait déjouée dans ses calculs et la Hongrie resterait debout dans sa force et dans son droit pour entamer la lutte.
Si au contraire nous ne pouvions transmettre à nos amis que des prévisions et des perspectives de paix, le parti des tempéraments ne tarderait pas à prévaloir. La Diète une fois réunie poursuivrait ses travaux. Les formalités voulues par nos lois seraient remplies. Le couronnement aurait lieu, et la Hongrie liée de nouveau aux Habsbourgs par un pacte sollennel, entrerait dans une voie légale.
La guerre, une guerre assez prochaine serait donc dans l'intéret de la Hongrie. Si ce cas devait se réaliser, il faudrait qu'elle piìt compter comme par le passé, sur le concours du Gouvernement du Roi. Elle aurait besoin en particulier d'étre soutenue par les moyens suivants:
l -Recrutement plus actif de la Légion hongroise dont l'existence seule est un appel et un encouragement de tous les instants pour la Hongrie.
2. --Ressources plus abondantes pour continuer nos préparatifs dans les Principautés, achever l'organisation dans le pays, et pour nous assurer le concours des chefs les plus influents chez les Serbes et les Roumains. 3. --Envoi de deux bàtiments de guerre dans le Danube et d'un autre à Constantinople. Ces navires devraient étre chargés d'armes et de munitions en prévision de tout évènement.A coté de cet appui matériel qui nous serait donné par l'Italie, nous devrions pouvoir compter aussi sur l'appui au moins moral de la France. C'est ce qui nous a trop manqué jusqu'ici. La plupart des obstacles que nous avons recontrés dans les Principautés, nous les devons, il faut le dire, à quelques agents du Gouvernement français, qui. exagérant sans doute leurs instructions ou n'en comprenant pas peut-étre la véritable portée, nous ont suscité toute sorte d'entraves et sont parvenus méme à paralyser le Prince Couza, qui surpris de cette resistance, n'a pas osé tenir ses engagements à notre égard. Telle a été surtout le role de
M. Tillos à Bukharest. Le meilleur service que pourrait nous rendre provisoirement la France, ce serait d'éloigner cet agent et de lui donner pour successeur
M. Piace qui seui, gràce à l'influence qu'il exerce, peut sans méme engager son Gouvernement, nous préter un appui sérieux dans les Principautés.
Il importerait aussi à la Hongrie de savoir si en cas de mouvement le Gouvernement français adopterait à son égard comme à l'égard de l'Italie le principe de non intervention, ou si elle ne risquerait pas de se voir exposée une seconde fois à l'invasion des armes russes.
Dans le cas où la guerre ne devrait pas étre engagée prochainement, l'agitation cessant en Hongrie comme nous l'avons vu, il n'y aurait plus à compter sur un mouvement. Toutefois il serait encore dans l'intérét de l'Italie d'entretenir des rapports constants avec la Hongrie: car elle pourrait y trouver une force le jour où, ce qui est inévitable tòt ou tard, elle se trouverait elle meme aux prises avec l'Autriche. Dans ce cas la Diète hongroise habilement conduite pourrait refuser tout concours d'hommes et d'argent à l'Autriche, qui se trouverait ainsi
pr1vee de ses ressources les plus prec1euses et ne pourrait plus opposer la mème resistance aux justes revendications de l'Italie. Cette éventualité peut-ètre menagée d'avance. Pour y réussir il faudrait que le Gouvernement du Roi entretìnt des intelligences suivies avec les Chefs de l'opposition dans le sein de la Diète aussi bien qu'au dehors. Le refus de l'Assemblée nationale de concourir aux projets de l'Autriche en guerre avec l'Italie, pourrait avoir pour résultat définitif une scission violente et par conséquent une insurrection.
Dans cette prévision il importe mème en cas de paix de continuer les préparatifs d'armement qui sont commencés dans les Principautés. Ce serait un arsénal précieux et nécessaire pour le jour de la lutte.
Telles sont, Monsieur le Comte, les explications par lesquelles j'ai cru devoir C()mpléter notre entretien. En tenant ce langage je crois servir non seulement la cause de la Hongrie, mais encore celle de l'Italie elle-mème. Ci-incluse j'ai l'honneur de vous soumettre la convention arretée entre le Prince Couza et moi lors de mon dernier séjour à Yassy. Tout dépend maintenant des instructions que l'Empereur voudra donner à ses agents dans les Principautés.
ALLEGATO 2.
CONVENZIONE TRA IL PRINCIPE CUZA E KLAPKA
Yassy, 9 janvier 1861.
Dans l'entrevue qui a eu lieu le mardi, 8 janvier 1861, entre Son Altesse le Prince Couza et le Général Klapka, les choses suivantes ont été convenues:
Le Prince consent à ce que des envois d'armes et de munitions soient faits à la Hongrie, par les Principautés-unies, mais afin d'éviter toute indiscrétion et tout malentendu à l'avenir il est bien stipulé que ces envois passeront désormais comme étant la conséquence de la commande d'armes qui a été faite officiellement par le Gouvernement Roumain et accepté par le Gouvernement français. Les navires prendront donc leurs expéditions dans un port français et les armes seront envoyées de manière à ce que l'on puisse établir qu'elles sont adressée,; par le Gouvernement Impérial, en exécution continue de la commande faite.
Comme les quantités qui arriveront ne pourront ètre contròlées par personne, elles seront reçues ostensiblement dans les Principautés, par les agens du Prince, et remises à sa disposition. Ce sera alors à Son Altesse à aviser aux moyens de transport, pour faire conduire les armes et munitions aux endroits de depòt, dans le voisinage de la frontière transylvaine. A cet effet le Prince se servira, à son gré, soit de ses transports militaires, soit des hommes, au nombre d'environ une trentaine, avec les chevau:x: et les chariots nécessaires, qui seront préparés par les soins du général Klapka, et qui, pendant toute la durée de l'opération, seront entièrement à la disposition du Prince.
Les dépòts seront formés sur différénts points, notamment à Okna, et à Slanik, où leur existence est très facile à dissimuler, et dans les autres endroits où il serait reconnu à la fois utile et prudent d'en établir.
Vu l'urgence probable des événements, le transport des armes aux lieux de dépòt s'exécutera aussitòt que possible après leur arrivée, et, en attendant, le Prince consent déjà à y faire parvenir à l'avance une certaine quantité des fusils provenant de l'envoi fait en 1859 et dont l'Empereur a fait cadeau.
Lorsque le moment sera venu de faire passer les armes au-delà de la frontière, le Prince décidera des moyens qui seront employés à cet effet et il ne s'opposera pas à ce qu'un certain nombre de Hongrois viennent, sur son territoire, par petits groupes, avec quelques chariots pour aider à ce transport.
Pendant toute la durée de l'opération, il est bien entendu qu'il ne sera mis en mouvement ni une arme ni un homme, et qu'il ne sera fait aucune démarche, sans que le Prince en ait été informé au préalable et qu'il y ait donné son consentement. Il sera tenu constamment au courant de ce qui se préparera, afin d'indiquer lui-mème ce qui sera dans les limites de la prudence. S'il était fait quelques envois d'armes et de munitions en dehors de ceux provenant des ports français, ils le seront exclusivement aux risques et périls des expéditeurs, et seront démentis par le Prince, au cas où il seraient découverts. Le Prince n'acceptera que ceux dont il aura été prévenu à l'avance, et pour les quels il aura donné son consentement, toujours sous la réserve qu'en cas de découverte, il sera le premier à procéder contre eux. Les affaires seront conduites de manière à ce que l'on ne puisse jamais prouver au Prince sa participation, car il est aussi utile pour les uns que pour les autres, que le territoire des Principautés-Unies restant en dehors: de l'action, puisse toujours étre un port de refuge.
Aucun corps de Hongrois ne pourra s'armer ni s'organiser dans le pays; toutefois ceux qui y viendront chercher asile seront bien reçus, pourvu que le Prince en connaisse exactement le nombre et que ces hommes restent dans les lieux de résidence qui leur seront assignés.
En échange du concours que le Prince donne aux Hongrois, dans ces graves circonstances, il est stipulé formellement, en faveur des Roumains de la Hongrie et de la Transylvanie, que ceux-ci jouiront des mémes droits que les Hongrois, qu'ils auront l'autonomie de leur culte et de leur administration communale avec l'usage de leur langue nationale.
En outre les limites entre les Principautés-Unies et le Royaume de Hongrie seront régularisées, par une commission mixte, qui aura pour objet l'établissement de bonnes frontières pour les deux parties.
Si la Bukovine veut s'annexer aux Principautés-Unies, les Hongrois s'engagent à y aider par leur concours moral et matériel.
Enfin si le moment favorable à l'indépéndance complète des Principauté-Unies se présentait, les Hongrois donneraient au Prince l'appui de leurs forces, aussi bien que dans le cas où le Prince jugerait cet appui utile dans d'autres éventualités.
(l) Cavour conosceva il generale Klapka, l'eroico difensore di Komarom nel 1849 e uno dei capi più autorevoli dell'emigrazione ungherese, dal 1856 -glielo aveva presentato a Ginevra James Fazy, l'anima del partito radicale ginevrino -e dal 1859 era in relazioni continuate con lui per ciò che concerneva i problemi dell'Europa danubiana e balcanica.
(l) -Il padre Molinari, rosm1mano. (2) -Il dottor Diomede Pantaleoni e l'abate Carlo Passaglia erano stati incaricati di una particolare missione presso la Santa Sede. (3) -Allude alle negoziazioni Bozino-lsaia-Aguglia con il cardinale Antonelli largamente documentate in Q. R., II, che si sono tralasciate perchè furono in sostanza di importanzasecondaria. (4) -Manca in Q. R.ISTRUZIONI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL DOTTOR PANTALEONI E ALL'ABATE PASSAGLIA SULLE TRATTATIVE CON LA SANTA SEDE. (l)
(Ed. in N. BIANCHI, Storia documentata della diplomazia europea in Italia (1814-1861), Torino, 1872, VIII, pp. 423-430, 700-704)
a) ISTRUZIONI INTORNO AL MODO DI CONDURRE LE TRATTATIVE
Torino, 21 febbraio 1861.
Il popolo italiano è profondamente cattolico. La storia dimostra che niun scisma poté mai metter vaste radici in Italia, e il numero degli acattolici nella penisola è così infimo, che l'art. l dello Statuto proclama una verità di fatto. L'affluenza, con cui il popolo continua ad accorrere ai templi e ad assistere al divino servizio, prova che gl'Italiani non cessano d'essere sinceramente devoti al culto de' loro padri, anche quando combattono per l'indipendenza del loro paese e decidono col loro voto delle sue sorti avvenire.
Questa perfetta omogeneità delle popolazioni italiane sotto il rapporto reli
gioso dimostra che, quando venisse a cessare in Italia il funesto dissidio esistente
n. -2, le cui conclusioni abbiamo accolto.fra la Chiesa e lo Stato, il clero non avrebbe a temere che alcuna rivalità, alcuna influenza opposta alla religione cattolica combattesse o limitasse l'esercizio legittimo dell'azione, che naturalmente gli compete. L'Italia è quindi la terra in cui la libertà produrrebbe gli effetti più favorevoli agli interessi della Chiesa, il campo destinato dalla Provvidenza all'applicazione del principio Libera Chiesa in libero Stato.
Rivendicare la completa indipendenza della Chiesa dallo Stato nella sfera delle cose spirituali, è senza dubbio la più nobile ed elevata missione che Papa Pio IX possa assumere. A buon diritto il sommo Pontefice cercò ed in qualche paese ottenne di far abolire le limitazioni apposte dalle leggi Giuseppine, Leopoldine e Tanucciane alla libertà della Chiesa. L'esito infelice del Concordato austriaco prova non già che lo scopo fosse impossibile a raggiungersi, ma che il metodo scelto per attenerlo non fu quello più conforme all'indole de' tempi ed alle attuali aspirazioni dei popoli cristiani. Per questo rispetto altresì è facile dimostrare, che l'Italia è il solo paese cattolico in cui lo Stato possa consentire ad agevolare al Pontefice l'adempimento della sua gloriosa missione, e che Re Vittorio Emanuele è il solo che possa dar l'esempio agli altri principi di rinunciare a franchigie, la cui gelosa custodia fu finora uno de' cardini della politica europea.
Il sistema delle guarenzie Giuseppine, Leopoldine e Tanucciane ebbe origine da quella serie di fatti, per cui le relazioni fra la Chiesa e lo Stato, mutando affatto carattere, assunsero l'indole di rapporti internazionali. Il Sommo Pontefice divenne, coll'assodarsi delle moderne monarchie, un principe temporale ed assoluto come gli altri re. Tale sua qualità accrebbe negli altri principi i wspetti e le gelosie che scemarono, invece di accrescerla, la sua autorità nelle cose spirituali: le provvisioni da esso emanate, anche in materia affatto religiosa, furono considerate come atto di un estero governo, ed assoggettate perciò al placet governativo. Quindi avvenne che, per conservare alla curia romana un angusto ed irrequieto dominio temporale, la Chiesa subisse in tutto l'orbe cattolico una vera diminuzione di sovranità spirituale, ed il potere del vescovo di Roma fu cagione che i vescovi di tutte le altre diocesi cattoliche fossero nominati non dalla Santa Sede né dal clero, ma da un potere indipendente e
spesso in lotta con essi.
Non v'ha dunque che un modo di fondare sopra solide basi l'indipendenza completa ed effettiva del papato e della Chiesa: è il rinunciare al potere temporale e dichiarare col Vangelo, che il regno della Santa Sede non è circoscritto da condizioni di tempo nè di spazio. Parimenti non v'ha che un governo, quello di Re Vittorio Emanuele, il quale possa e voglia farsi strumento di questa gloriosa trasformazione del papato. Gli altri governi europei non accorderanno mai alla Chiesa quella completa libertà d'azione cui essa ha diritto: non avendo alcun compenso a chiederle, alcun vantaggio ad ottenere da questo atto di giustizia, essi non s'indurranno giammai a rinunciare a privilegi, di cui si mostrarono finora gelosissimi difensori. Re Vittorio Emanuele per contro si glorierebbe d'inaugurare per primo da Roma il sistema della completa indipendenza della Chiesa; e, solo quando egli ne avesse dato l'esempio, gli altri principi sarebbero costretti dalla pubblica opinione a smettere ogni egoistica preoccupazione, ed a lasciare alla Chiesa quell'impero dell'anima che alla Chiesa si compete.
Queste considerazioni inducono il governo di S. M. a proporre, come basi di negoziati puramente officiosi, da un lato la rinuncia al potere temporale, dall'altro l'offerta delle più ampie guarentigie di completa indipendenza nello esercizio del potere spirituale.
A tale intento mira il progetto formulato qui appresso in articoli, che potrebbero considerarsi come un accordo preliminare. Le avvertenze apposte in nota a ciascuno di quegli articoli determinano con esattezza le facoltà concesse ai negoziatori nel discutere le proposte ed il vero senso da darsi alle medesime. Prima però è d'uopo accennare quali modi paiono più acconci a riuscire nell'intento.
I negoziatori non dovranno mostrarsi soverchiamente solleciti di incominciare le trattative. Essi dovranno lasciare che penetri lentamente negli animi la convinzione dell'impossibilità che le cose a Roma durino a lungo nello stato attuale. La necessità di un cambiamento di sistema facendosi sentire vieppiù viva coll'andar del tempo, indurrà anche i più ostinati difensori del potere temporale a dare ascolto alle proposte di cui si tratta.
I negoziatori si adopreranno però con ogni mezzo per togliere i dubbii sulle disposizioni del Governo del re e sul sincero e vivo suo desiderio di una conciliazione. Ma essi paleseranno la loro convinzione che trattative le quali non avessero probabilità di riuscita tornerebbero pregiudizievoli tanto allo Stato che alla Chiesa. Esse non farebbero invero che accrescere l'irritazione degli animi, e renderebbero talmente contraria la pubblica opinione, che per lungo tempo non sarebbe più possibile addivenire ad alcun accordo.
I negoziatori si asterranno perciò dal rimettere per ora al cardinale Antonelli la credenziale che viene loro spedita dal ministero degli affari esteri. Questo documento non sarà consegnato se non quando i cardinali destinati a trattare siano stati formalmente designati dal Santo Padre.
Si dovrà insistere sulla necessità di mantenere il più assoluto segreto sui negoziati. È indispensabile infatti che la diplomazia estera, la quale ha grandissimo interesse ad impedire che la Chiesa acquisti in Italia le franchigie che le vengono negate altrove, ignori, ove ciò sia possibile, l'esistenza od almeno l'indole precisa di queste trattative.
Quando il Sommo Pontefice abbia designato i cardinali che avranno lo incarico di trattare, e quando i negoziati saranno intavolati in guisa da non lasciar dubbio sulla loro sincerità, il modo di condursi dipende dalle disposizioni dell'animo del Santo Padre.
Il sistema migliore, quello che è più conforme alla dignità delle parti ed allo scopo sublime che esse si propongono di conseguire, sarebbe certamente di presentare direttamente al Pontefice, se non tutti gli articoli qui appresso formulati, almeno il principio da cui sono ispirati, e che si riassume nella massima: Libera Chiesa in Libem Stato.
A tal fine i negoziatori dovranno svolgere le considerazioni accennate in principio delle presenti istruzioni, insistendo sopratutto sull'immenso avvenire che quel principio, applicato in Italia, schiuderebbe alla Chiesa in tutto il resto del mondo civile. Riescirà loro agevole di dimostrare che non solo i
lO
governi cattolici, ma persino quelli protestanti sarebbero in breve lasso di
tempo costretti a svincolare la Chiesa dalla tutela che pesa su di essa, e che
le impedisce di esercitare la legittima sua influenza sulla mente e sulla coscienza
de' popoli. Ove i negoziatori potessero giungere direttamente sino al Pontefice,
essi potrebbero fare appello agli istinti nobilissimi e generosi dell'animo suo,
dimostrandogli come l'abnegazione di cui farebbe prova rinunciando ad un
potere del quale più non esistono ormai che le fallaci apparenze, e di cui
serberebbe in ogni caso il lustro e la dignità, accrescerebbe infinitamente la
augusta autorità della sua parola nelle materie religiose; e che quest'esempio
rianimerebbe nel clero il culto delle morali virtù, e farebbe rinascere in tutto
l'orb~ cattolico il rispetto dovuto ai vescovi e ai sacerdoti.
Se poi i negoziatori si accorgessero che queste ed analoghe considerazioni non valessero a decidere il Santo Padre ad entrare immediatamente nella via che solo può condurre questi negoziati ad un pratico risultato, essi potranno incominciare a far conoscere le condizioni che lo Stato sarebbe disposto a fare alla Chiesa, ponendone in piena luce l'importanza. Quando le persone incaricate dal Pontefice di trattare si fossero rese capaci di tutti i vantaggi offerti dallo Stato alla Chiesa, i negoziatori passerebbero a dimostrare che tali concessioni implicano, come conditio sine qua non, la rinuncia al potere temporale.
È a prevedersi che i negoziatori pontificii cercheranno di attirare i negoziatori sardi sul campo delle questioni religiose, e vorranno mutare l'accordo proposto in guisa da farlo divenire uno de' vieti concordati, in cui, ben lungi dal concordarsi l'indipendenza reciproca dello Stato e della Chiesa, Chiesa e Stato usurpano reciprocamente l'uno il dominio dell'altro. I negoziatori per parte di S. M. avranno quindi presente che, qualunque sia il metodo seguito per iniziare e condurre i negoziati, il risultato cui essi debbono mirare è inscindibile, e che il Governo del re non farà mai alcuna concessione alla Chiesa nel campo spirituale, se essa non rinuncia affatto ad ogni dominio temporale. Non si tratta infatti di comporre alcune dissidenze esistenti fra i rapporti attuali fra la Chiesa e lo Stato, ma di cambiare affatto la base stessa di questi rapporti e di sostituire all'antagonismo e alla lotta che da tre o quattro secoli esistono fra la società civile e la società religiosa, un sistema armonico d'indipendenza reciproca e di mutua libertà.
Converrà quindi che i negoziatori si astengano dal dar forma precisa di articoli alle basi contenute nel progetto, sia per tutte le concessioni di cui in esse si fa parola, sia per alcuna di esse, se non hanno acquistata la certezza (e possibilmente la prova) che è implicitamente ammessa e sarà trattata in buona fede la proposta della rinuncia al potere temporale.
Abbiamo sinora contemplato due metodi di negoziare: il primo che consiste nel convincere direttamente il Pcntefice della necessità di questa trasformazione del papato, e che è incomparabilmente il migliore: l'altro che abbiamo testè accennato presenta maggiori incertezze, ma può tuttavia condurre a buon fine le pratiche.
Però l'esperienza degli avvedimenti che la curia romana suoi mettere in uso in questo genere di trattative, suggerisce l'ipotesi che i negoziatori per parte della Santa Sede vogliano limitarsi· a trattare alcune delle questioni religiose pendenti fra il Governo ed il Pontefice, relativamente alle antiche provincie della monarchia di Savoia ed alla Lombardia. Questo metodo di negoziati è sommamente péricoloso, e non può condurre ad alcun accordo definitivo. ··
Epperciò i negoziatori per parte del re, senza rifiutare assolutamente la discussione, non dimenticheranno che in questo campo il Governo del re non può consentire ad alcuna concessione. Il reverendo padre Passaglia e il signor dottor Pantaleoni si proporranno in questo caso per unico scopo, di convincere i negoziatori pontifici dell'assoluta impossibilità di riuscire ad accordi che non abbiano base affatto diversa da quella degli antichi concordati. Il Governo del re è convinto che ogni parziale modificazione degli attuali rapporti fra la Chiesa e lo Stato (qualunque ne fosse d'altronde l'intrinseco valore) nuocerebbe anzichè giovare. Non vi può essere pace durevole fra le due società se non vi ha una mutazione radicale nei loro rapporti.
Le circostanze in cui versa l'Italia sono così gravi, che il principio del potere temporale da un lato, quello della tutela della Chiesa dall'altro, debbono entrambi scomparire per lasciar luogo all'adozione leale e compiuta della massima: Libera Chiesa in libero Stato. N i una concessione parziale basterebbe a ricondur la pace nelle coscienze e dare all'Italia la tranquillità di cui ha d'uopo. L'era de' concordati è finita. Sarebbe miglior partito lasciare ciò che esiste, con tutti gli abusi e gl'inconvenienti che ne sono la conseguenza, che consacrare di nuovo, e dare con un miglioramento parziale nuova sanzione al sistema d'ingerenza reciproca, che ebbe effetti così funesti per la Chiesa del pari che per lo Stato.
Qualunque dei tre metodi accennati sia adottato nelle trattative, lo scopo che i negoziatori dovranno proporsi rimane immutabile. Il Governo lascia loro la scelta prudente de' mezzi: esso confida nel loro patriottismo e nella loro accortezza, e spera che sapranno far persuasa la Santa Sede delle rette intenzioni del Governo di S. M., mantenendo sempre immutabile e indiscutibile la base dei negoziati.
Quando i negoziatori per parte di S. M. abbiano acquistata la convinzione
che sarà ammessa in principio la rinuncia al potere temporale (qualunque sia
del resto la forma che sarà scelta per tale rinuncia), essi potranno comunicare
e discutere gli articoli preliminari alle presenti istruzioni annessi, seguendo le
avvertenze contenute in nota a parte, e che alle presenti vanno parimenti unite.
b) PROGETTO DI CONVENZIONE FORMULATO IN ARTICOLI
Torino, 21 febbraio 1861.
l. Il Sommo Pontefice conserva la dignità, la inviolabilità e tutte le altre prerogative personali di sovrano, e inoltre quelle preminenze rispetto al re e agli altri sovrani, che sono fissate dalle consuetudini. I cardinali di santa romana Chiesa conserveranno il titolo di principe e le onorificenze relative. Sono irresponsabili per gli atti che compiono nella qualità di consiglieri del Sommo Pontefice.
2. Sarà assegnata al Sommo Pontefice una quantità di beni stabili e mobili tali che forniscano una rendita di . . . . . ad esso, e di . . . . . al Sacro Collegio.
Apparterranno pure al Sommo Pontefice il Vaticano ed alcuni altri palazzi. Questi luoghi saranno considerati come non soggetti alla giurisdizione dello Stato.
3. È stabilito il principio della libertà e indipendenza della Chiesa e dello Stato, e conseguentemente: A) Il Sommo Pontefice conserva in ogni caso le sue nunziature all'estero, e manda legazioni inviolabili anche in caso di guerra; B) Esercita in ogni forma canonica il suo potere legislativo, giudiziario ed esecutivo; C) Ha libera comunicazione con tutti i vescovi e i fedeli, e reciprocamente
senza ingerenza governativa; D) Convoca e celebra a suo grado ogni maniera di Concilii e di Sinodi; E) I vescovi nelle loro diocesi e i parrochi nelle loro parrocchie sono pari
menti indipendenti da ogni ingerenza governativa nell'esercizio del loro ministero e nell'amministrazione dei sacramenti; F) È libera la predicazione, la stampa, l'associazione e l'insegnamento ecclesiastico, purchè non offendano l'ordine pubblico.
4. -Lo Stato, rispettando la libertà della Chiesa, non porge in alcun caso ad essa il braccio secolare per l'esercizio dei suoi diritti spirituali. Nei rapporti temporali il clero, come ente morale, e gl'individui che ne fanno parte, sono soggetti alle leggi generali dello Stato come ogni altro cittadino. Lo Stato non riconosce la personalità civile di veruna corporazione religiosa. 5. -La nomina dei vescovi sarà fatta con un sistema elettivo nei modi da combinarsi. Lo Stato rinuncia a qualunque diritto su tale materia, tranne un veto nei casi gravi. Lo Stato rinunzia alla Chiesa la nomina dei canonici e dei parrochi, che sinora furono governative. 6. -Sarà assegnata nel regno d'Italia tanta quantità di beni stabili e mobili quanto basti al mantenimento e al decoro dell'episcopato, dei capitoli, delle cattedrali, dei seminarii e del clero avente cura di anime.Le diocesi si calcoleranno sul numero di ottanta. Questi beni una volta fissati, pagheranno le tasse pubbliche, ma saranno dipendenti unicamente dal clero senza alcuna specie di sindacato governativo.
La quantità dei beni per la parte che sono stabili non potrà venire aumentata senza l'assenso del Governo. Inoltre il Governo pagherà una pensione vitalizia ai membri delle corporazioni disciolte.
7. -Ogni legge, ogni concordato, consuetudine o privilegio, sì dello Stato che della Chiesa contrario ai principii sopra fissati, s'intende abolito. 8. -I presenti capitoli, firmati dal Segretario di Stato di Sua Santità il Sommo Pontefice e dal ministro degli affari esteri di S. M. il Re, saranno sottoposti al Parlamento italiano: quindi dopo aver ricevuto la sanzione del Sommo Pontefice e del re, non solo formeranno legge, ma faranno parte dello Statuto fondamentale del regno, e saranno inoltre considerati come un trattato bilaterale.Immediatamente appresso, il Governo di S. M. prenderà formale possesso degli Stati Pontificii. Una Commissione di sei personaggi, scelti tre per parte, si riunirà in Roma per determinare nel più breve tempo possibile le applicazioni, e per risolvere le vertenze che si riferiscono alla presente convenzione.
C) AVVERTENZE AL PROGETTO
Torino, 21 febbraio 1861.
Art. l. -I negoziatori avranno cura di dichiarare che il Governo di S. M.
intende conservare anzitutto intatta la dignità del S. Padre ed il culto della
Santa Sede, che esso considera non meno come gloria nazionale, che quale sacro
riguardo dovuto alla società cattolica universale. Quindi tutti i titoli, onori e
privilegi di sovrano saranno accordati al Papa, e mantenuti a perpetuità ai suoi
successori.
Anche ai cardinali saranno accordati tutti gli onori necessari all'alto loro
grado. Fra i cardinali italiani alcuni avranno seggio in Senato. La scelta spet
terà naturalmente al Governo del Re; ma ove ciò possa giovare al buon esito
dei negoziati, si potrà stabilire che un numero di cardinali italiani, da determi
narsi, debba sedere in Senato.
Art. 2. -Nella determinazione della quantità di beni mobili e stabili da prelevarsi per costituire un'annua renàita al Pontefice ed al Sacro Collegio, si potrà prendere per base la somma delle spese che occorrono annualmente pel Sommo Pontefice e per le persone addette al suo servizio. Per quanto spetta al Sacro Collegio, la base da fissarsi per ogni cardinale, che non fosse provvisto d'altre prebende, sarà il così detto piatto cardinalizio, senza però che non lo si possa eccedere.
I negoziatori determineranno tassativamente i palagi, ville e residenze da lasciarsi al Pontefice, riservandosi di chiedere nuove istruzioni in caso di domande troppo onerose per parte dei negoziatori pontificii.
Essi dovranno dichiarare che l'immunità della giurisdizione, dallo Stato concessa ai suddetti palazzi e residenze, tende esclusivamente a guarentire la inviolabilità personale ed indipendenza del Pontefice, ma non comprende un diritto di asilo assoluto.
Il modo da seguirsi per procedere all'arresto dei condannati che in essi fossero ricoverati, dovrà essere determinato da speciale accordo.
Art. 3. -Le franchigie concesse da quest'articolo sono così importanti, che i negoziatori riesciranno facilmente a dimostrare ch'esse darebbero alla Chiesa in Italia una condizione immensamente più vantaggiosa di quella che mai le sia stata concessa in alcun altro paese.
Rispetto alla lettera A faranno osservare che il Pontefice conservando le nunziature all'estero, anche in caso di guerra, sarebbe veramente posto in condizione superiore ad ogni causa di temporali conflitti. Il Pontefice vedrà in questa concessione la più irrefragabile prova della indipendenza che gli sarebbe guarentita.
L'alinea B indica che la Santa Sede continuerà ad avere il diritto non solo di emettere decisioni in materia canonica, ma di pronunziare sentenze, censure e pene ecclesiastiche. S'intende da sè, ed è più sotto avvertito espressamente, che lo Stato non sarà mai obbligato a prestare il braccio secolare per l'esecuzione delle provvidenze ecclesiastiche.
Sugli alinea C, D, E, non occorre fare altra osservazione se non che essi contengono l'abolizione implicita dei diritti di placet, exequatur, caveat, ecc. S'intende implicitamente che in casi di straordinarie solennità r~ligiose, come giubilei o concilii, specialmente se ecumenici, l'autorità ecclesiastica dovrà avvertire anticipatamente l'autorità civile per le disposizioni necessarie al mantenimento dell'ordine pubblico. Così pure è sottinteso che l'autorità civile potrà dare in ogni caso di urgenza i provvedimenti necessari per la salute pubblica, la tranquillità interna, ecc.
Circa l'alinea E, è d'uopo avvertire che gravi considerazioni politiche esigerebbero l'adozione in Italia del matrimonio civile come in Francia e nel Belgio. Però, coerentemente ai principii che informar debbono questi negoziati, lo Stato non imporrebbe mai alla Chiesa la celebrazione del matrimonio religioso. Ciò costituirebbe un sistema di gran lunga più conforme agli interessi ed alla dignità della Chiesa che quello vigente in Francia e nel Belgio.
Del resto non occorrerebbe che la Santa Sede approvasse esplicitamente il principio del matrimonio civile. Basterebbe un assenso tacito, di cui sarebbe prova sufficiente l'astensione da ogni protesta.
Dichiarando libera la predicazione, la stampa e l'insegnamento ecclesiastico, si concedono al clero i più grandi mezzi di influenza morale.
La limitazione apposta colle parole « purchè non si offenda l'ordine pubblico» tende ad evitare che la parola ?"eligiosa venga adoperata per fini politici, allo scopo di rovesciare il governo esistente od eccitare l'infrazione delle leggi e dei regolamenti.
Anche qui la S. S. farà prova di quella temperanza, di cui diede splendidi esempi nella storia dei secoli scorsi, ammettendo quei principii di libertà di coscienza e di stampa, che sono il più manifesto bisogno dei popoli moderni.
Art. 4. -Lo Stato non può ammettere in principio alcuna deroga alle massime di uguaglianza civile e giuridica di tutti i cittadini.
Però, ove ciò ·si ravvisasse indispensabile pel buon esito dei negoziati, si potrebbe stabilire che anche i cardinali i quali non sedessero nel Senato, godessero della giurisdizione privilegiata concessa dallo Statuto ai senatori del regno.
Ove ciò venisse chiesto per tutti i vescovi, i negoziatori faranno osservare che questo principio non sarebbe conforme ai principii da cui muovono le trattative. Essi obbietteranno che in Francia, nel Belgio, ed in quasi tutti gli altri Stati cattolici i vescovi non godono d'alcuna giurisdizione privilegiata. Recentemente monsignor Dupanloup fu tratto, per affari di stampa, innanzi al tribunale correzionale, nè ciò diminuì punto il rispetto a quel prelato. Tuttavia, ove si insistesse maggiormente, i negoziatori accoglieranno la proposta ad referendum.
L'ultimo alinea relativo alle corporazioni religiose ha d'uopo d'essere attentamente ponderato. Negando ad esse la personalità civile, il Governo non intende di porre ostacoli alla loro esistenza nello Stato.
Intende bensì d'impedire che acquistino i diritti economici che ai corpi morali sono attribuiti dalle leggi. Il che non toglie che individualmente i membri di esse possano possedere come i Rosminiani.
Alcuni istituti sacri di beneficenza, i quali sono governati da corporazioni religiose, potranno essere esentati dando la personalità civile all'istituto.
I vescovadi e le parrocchie avrebbero facoltà civile di possedere beni stabili. Sarebbero riservati alla Santa Sede i suoi diritti circa al permesso di alienare i beni vescovili e parrocchiali.
Art. 5. -Circa la nomina dei vescovi il Governo intende di cercare un sistema, mercè cui il clero stesso di ciascuna diocesi concorra per via di elezione alla nomina dell'ordinario. Il modo sarebbe da concertarsi in appresso.
I negoziatori però agiranno con somma cautela, accogliendo solo ad referendum le proposte relative.
Il Governo riserverebbe a sè in ogni caso grave che potrebbe pure determinarsi, un diritto di veto. Ma finchè la Chiesa e tutti i membri del clero non abbiano sinceramente accettato ed applicati i principii liberali che ispirano questi accordi, il Governo non può rinunciare del tutto al suo diritto attuale. Egli è per ciò che si dichiara che per la prima volta la nomina ai vescovati vacanti si farà d'accordo fra il re e il Governo pontificio.
L'ultimo alinea contiene la rinuncia per parte dello Stato alla nomina governativa dei canonici e dei parroci. Con ciò non si intende di detrarre ai diritti di patronato laicale, che appartengono al re, e che formano parte del suo patrimonio privato.
Art. 6. -Il numero delle diocesi attualmente esistenti in Italia è fuori di ogni proporzione col numero di quelle degli altri paesi cattolici. Esso si aggira intorno ai 260, in guisa che ogni diocesi comprende una popolazione minore di centomila abitanti.
L'annesso quadro comparativo dimostra che la Francia, il Belgio e la Spagna stessa, hanno diocesi molto più vaste (1).
Egli è evidente che se si mantenesse tale ingente numero di vescovi, sarebbe impossibile accordare a ciascuno di essi una rendita conveniente all'indipendenza del loro sacro ministero, e alla dignità del loro ufficio. Si propone perciò di ridurre le diocesi al numero di ottanta, il che sarebbe una proporzione di circa
300.000 fedeli per ogni diocesi, assai inferiore a quelle esistenti in Germania. Ove questo numero fosse giudicato inammessibile, i negoziatori potranno giungere fino alla cifra di cento, ed accogliere ad referendum le altre proposte.
I tre alinea seguenti costituiscono un progresso radicale nelle dottrine circa la proprietà del clero. Il sistema proposto è quello che guarentisce maggiormente l'indipendenza dei vescovi e dei parroci dallo Stato.
Non solo esso è migliore di quello vigente in Francia, in cui il clero è salariato dal Governo, ma è migliore altresì di quello testè accettato dalla Santa Sede nel concordato colla Spagna, mercè cui il clero fu indennizzato della perdita dei suoi beni con cedole dello Stato.
Il Governo rinunciando ad ogni ingerenza nell'amministrazione dei beni vescovili e parrocchiali, costituisce le parrocchie e i vescovadi in condizioni molto più vantaggiose di quelle concesse agli altri corpi morali proprietari di stabili. Il sottoporre questi beni alle pubbliche tasse, ed il richiedere l'assenso governativo per l'acquisto d'altri beni, è coerente ai principii di tutte le legislazioni., circa i beni dei corpi morali (1).
(l) Belgio Francia . . 6 diocesi, cioè l 86 per ogni 700 mila abitanti. 400 • Austria . 83 320 » Germania 17 300 » Irlanda . 27 270 • Spagna . Svizzera . . . 37 230 » 20 • [Nota del documento].Art. 7. -Benchè la disposizione recata in questo articolo sia generica, i negoziatori dovranno, prima di ammetterla in modo definitivo, fare una diligente enumerazione di tutte le leggi e regolamenti da abrogarsi per parte dello Stato e della Chiesa, valendosi, ove d'uopo, degli studi di valenti giureconsulti.
Art. 8. -L'articolo relativo alla rinuncia del potere temporale non fu formulato. Esso potrà anche essere concepito in modo veramente negativo, purchè non rimanga dubbio sulla realtà ed efficacia di fatto della rinuncia.
I negoziatori accoglieranno solo ad referendum ogni progetto di redazione.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO
(Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1301)
L. P. Torino, 23 febbraio 1861.
Cette lettre vous sera remise par le Général TUrr, que je recommande à votre obligeance accoutumée. C'est un de ces braves enfants de la Hongrie, qui ont plus de courage et d'entrain que de sagesse.
Il a été le compagnon fidèle de Garibaldi dans tous ses exploits; mais comme le Roi l'a comblé de ses bontés, il est plein de dévouement pour S. M. et il a été bien de fois un intermédiaire très utile entre le Gouvernement et Garibaldi. Vous saurez étre aimable avec lui, sans vous compromettre trop ouvertement. Du reste il est dans les meilleures dispositions, et il parait convaincu de la nécessité d'empécher Garibaldi de faire un coup de téte.
J'espère que le discours du Roi (2) aura fait une bonne impression en Angleterre, et qu'il en sera de méme de la loi que je viens de présenter au Sénat, et par laquelle le Royaume de Sardaigne se transforme en Royaume d'Italie.
Nous avions décidé d'abord de ne pas prendre l'initiative de cette mesure et d'attendre que la proposition en fU.t faite par les Députés. Mais comme il m'est revenu qu'on aurait commis dans cette occasion de très grandes imprndences (on voulait déclarer que la Vénétie appartient au Royaume d'Italie), j'ai coupé court à tous ces beaux projets en présentant moi-méme la loi.
2 · Documenti diplomatici . Serie I • Vol. I
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 276)
L. P. Parigi, 28 febbraio 1861.
En recevant les documents concernant les négociations avec Rome et les affaires de Hongrie que V. E. a bien voulu m'envoyer, je me suis empressé de communiquer les premiers à M. Thouvenel, en le priant d'en donner connaissance à l'Empereur.
Tous les pourparlers au sujet de cette importante affaire ayant passé par l'intermédiaire du Ministre, j'ai jugé plus convenable de m'adresser à lui pour faire parvenir à S. M. les nouveaux renseignements.
En meme temps j'ai demandé par l'intermédiaire de Conneau, à etre reçu par S. M. pour une communication à lui faire, et j'ai dit au Docteur de quoi il s'agissait. L'Empereur envoya de suite Conneau chez moi me priant de lui donner la lettre de Klapka, en ajoutant qu'il m'aurait vu le surlendemain; connaissant que S. M. a l'habitude de rendre difficilement les papiers qu'on lui remet, j'avais fait préparer une copie de la lettre que j'ai remise à Conneau en le priant d'insister auprès de l'Empereur pour qu'il me donne une réponse catégorique autant que possible sur les demandes que le Général Klapka avait signalées dans sa lettre, la première tendant à faire envoyer à Bukharest M. Piace en remplacement de M. Tillos, la seconde à savoir s'i en cas d'un mouvement en Hongrie la France proclamerait comme en Italie le principe de non intervention.
Comme M. Thouvenel avait le meme jour communiqué à S. M. les pièces
concernant les affaires de Rome, l'Empereur me fit écrire par Conneau l'étrange
lettre que je vous envoie (1), et me recevant le jour suivant 26 me demandait
avec empressement et avant tout si j'avais reçu la lettre que Conneau devai.t
m'avoir écrite. A ma réponse affirmative S. M. voulut savoir ce que j'en pensais.
Je répondis que nos négociations avec Rome étant fondées sur le nouveau prin
cipe de la séparation totale entre l'Eglise et l'Etat, ce qui implique la renoncia
tion totale du pouvoir temporel en échange de larges concessions pour le
spirituel, la cession de la Sardaigne au Pape, en attaquant le principe unitaire
che teme che una concessione così limitata quanto quella del progetto non ne ritardi la conclu;ione. In tutto si scorge nell'Imperatore il desio di concludere non solo, ma di concludere in modo che non vi abbia da parte o d'altra a rimanere diffidenza, sospetti o timori per l'esistenza
avvenire».
italien, infirmait aussi le grand et nouveau principe de libre Eglise dans libre Etat, qui dans les vues de V. E. était appelé à servir de base à toute la catholicité.
D'ailleurs le projet impérial à mon avis déplaçait la question sans la résoudre, car le Pape aurait rencontré dans l'ile de Sardaigne les memes difficultés qu'il rencontre à gouverner comme souverain Rome. S. M. me dit alors que le Piémont avait tellement délaissé l'ile de Sardaigne que celle-ci ne serait peut-etre pas fachée d'avoir un gouvernement séparé si médiocre qu'il fut. Je répondis à l'Empereur que le Piémont ayant des ressources très modérées, pouvait avoir négligé la Sardaigne, mais que l'Italie avec ses moyens plus grands, ne manquerait pas à present de tirer de l'ile de Sardaigne tous les avantages que ce pays peut lui offrir comme ressources directes et comme position maritimement stratégique.
L'Empereur dit alors qu'il fallait à son avis trouver un moyen pour trouver au St. Père un coin de terre quelconque pour que la renonciation du temporel se fasse plus facilement, car le principe de souveraineté serait en quelque sortii' sauvegardé. S. M. voyant que la proposition formant le sujet de la lettre de Conneau ne pouvait avoir à mon avis aucune chance de succès, il a été convenu que, pour le moment, je ne vous en parlerais pas.
Ensuite l'Empereur m'a parlé des nouveaux et graves embarras toujours croissants que la question papale soulève en France. Le Sénat se déclare ouvertement contre l'Empereur dans cette question.
Le Corps Législatif, quoique plus prudent, renferme dans son sein une quantité de mécontents qui ne manqueront pas de faire connaitre par des amendements leurs opinions.
Le Clergé, exalté, tàche par tous les moyens de soulever les esprits. « Vous voyez dans quelle position m'ont placé mes sympathies bien connues pour l'ltalie », a dit l'Empereur.
Ici je me suis permis de dire à l'Empereur que je ne voyais pas comment on aurait pu empecher le développement de l'idée nationale en Italie, à moins de la comprimer par la force, ce qui aurait enchainé la politique de la France à celle de l'Autriche, qui n'aurait pas manqué de faire tomber sur l'Empereur toutes les haines qu'inspire un noble élan comprimé.
En passant à la lettre de Klapka, l'Empereur me dit qu'il avait des renseignements qui lui permettaient de douter de l'accord meme entre les chefs du mouvement et qu'il partageait sur beaucoup de points l'opinion de Klapka, mais qu'il voyait un très grand danger à s'appuyer sur le Prince Couza, car l'attention de la Russie est toute tournée de ce còté.
J'ai profité d'un de ces moments de silence si fréquents dans les conversation de l'Empereur pour tirer de ma poche l'originai de la lettre de Klapka et lui mettre sous les yeux le passage qui contient l'appel que le Général fait aux sympathies de la France.
Au sujet du remplacement de M. Tillos par M. Piace, S. M. sans me répondre positivement, s'est laissé comprendre comme assez disposé à y adhérer.
Pour ce qui concerne la déclaration de non intervention dans le mouvement hongrois, l'Empereur m'a fait comprendre toute la gravité d'une résolution à ce sujet dans les moments actuels. Il a ajouté:
«Il y a deux mais, j'avais l'assurance que la Russie n'interviendrait pas. Mais, depuis, ses susceptibilités se sont réveillées à l'égard de la Pologne et surtout en vue des complications que le mouvement hongrois aurait amenées dans les Principautés où est toujours la base d'opération du parti d'action hongrois ».
J'ai renouvelé mes instances en disant à S. M. qu'il aurait été bien regrettable de voir abandonner un mouvement dont on pourrait tirer tant de profìt. L'Empereur me dit alors:
« Je réfléchirai et je vous ferais faire une réponse demain par Conneau ».
Impatient d'avoir cette réponse je me suis rendu hier au soir chez le Docteur qui me dit: « L'Empereur me charge de vous dire qu'il veut réfléchir encore quelques jours avant de vous donner la réponse que vous attendez ».
Dans tout le cours de mon entretien j'ai pu remarquer dans l'Empereur une très grande perplexité dont on retrouve facilement les causes.
Le premier motif ce sont les complications des affaires de Syrie qui, sans donner à la Porte le coup de gràce que peut-ètre l'Empereur désirerait, ne font que prolonger au contraire une agonie dont il est difficile d'apprécier la durée et dont le terme pourrait échoir à un moment où l'Empereur ne serait plus, autant qu'à présent, à mème de dominer la position.
Sur ce point je crois que M. de La Valette n'est pas entré assez dans les vues de S. M. Vous savez, Monsieur le Comte, que l'Empereur désire souvent paraitre entrainé par les événements. Or M. de La Valette ne les a pas assez poussés dans le sens de la pensée intime de son maitre. Il ne faut pas l'oublier: les frontières du Rhin sont toujours le but caché de toutes les manoeuvres de sa politique.
La politique a compris ces tendances et les exagère mème pour isoler l'Empereur, contre qui elle voit une coalition impossible, car l'Angleterre et la Russie se trouvent séparées par des interèts opposés; l'Autriche, paralysée à l'intérieur, ne peut peser dans la balance et est elle mème contrecarrée par Ja Prusse en Allemagne.
Une autre cause de l'hésitation de l'Empereur est la situation intérieure, qui devient de jour en jour plus alarmante parce que l'an n'a pas osé jusqu'à présent, de rompre cette couche qui prète à l'opinion publique des intentions hostiles nullement partagées par les masses.
J'a'i vu hier au soir M. de Persigny qui est décidément furieux contre le Clergé, le Sénat, et ce qu'on appelle le monde des salons. Il a proposé la mise en jugement de l'Evèque de Poitiers, dont vous aurez remarqué dans les journaux
d'hier le mandement que je vous envoie, du reste, ci-joint. M. de Persigny espère qu'aucun amendement ne passera au Corps Législatif et pousse l'Empereur à répondre bien vertement à la députation du Sénat qui lui présentera l'adresse.
M. Billault se dit à bout de ressources et ne sait plus à quel saint se vouer pour faire entendre raison à son auditoire indiscipliné.
Camme je vous ai mandé par télégraphe, un amendement sera proposé au Sénat, qui va, dans le sens du pouvoir temporel, bien au delà de celui proposé par la commission, dont on en est à regarder l'acceptation camme un triomphe. Vous me demandez, Monsieur le Comte, des détails sur l'affaire Mirès.
Sans vous parler de lui qu'on regarde comme perdu, je vous dirai que plusieurs personnes y sont compromises, notamment dans l'affaire des chemins de fer romains, dont le dossier a été renvoyé du Tribuna! Civil à la police correctionnelle et qui aura la plus grande publicité. Je dois pourtant ajouter qu'on exagère beaucoup le nombre des compromis, parmi lesquels on a l'impudence de faire fìgurer le feu Prince Jéròme et ses enfants. Rien de vrai dans tout cela, sauf que le Prince Jéròme avait emprunté sur sa propriété de Villegongis 40/m. frs. qui ont été rendus.
Par contre dans l'entourage de l'Empereur il y a quelques personnes qui ont trempé dans ces tripotages. Quant au fìls de Baroche, entre autres, sa complicité parait prouvée. On parle de Bacc'iocchi, de Fleury, de Morny, etc. mais le président du Tribuna! que je vois très souvent m'a assuré que rien encore n'est constaté à leur égard.
Pour ce qui regarde la position fìnancière de la maison Mirès, la nomination de M. de Germiny à administrateur provisoire est une preuve de l'intention du Gouvernement de sauvegarder les intérèts publics, d'autant plus qu'à la caisse Mirès affiuaient tous les petits capitaux. Mgr. Sacconi et le Cardinal Antonelli fìgureront aussi pour avoir reçu le pOt de vin. Cela paraitra, car il est décidé que l'affaire des chemins de fer romains aura la plus grande publicité, quel que soit le nombre et la position des compromis. Inutile de vous dire, Monsieur le Comte, que tout cela ajoute au trouble de la situation actuelle.
Après avoir reçu votre télégramme de ce matin, je me suis rendu chez
M. Thouvenel, et je crois avoir eu une heureuse idée en vous demandant la permission de lui communiquer la lettre de Klapka, pour qui il a une sympathie toute particulière.
M. Thouvenel m'a beaucoup remerc'ié de ma conduite à son égard et comme je lui ai dit que c'était par ordre de V. E. que je lui parlais de cela, il m'a chargé de vous faire ses remerciments de cette marque de confiance. Il a lu attentivement la lettre et le traité; et je l'ai trouvé disposé à adhérer au remplacement de M. Tillos par M. Piace à Bukharest.
Il a été convenu entre nous qu'il verrait l'Empereur demain, et lui parlerait, toujours en ayant l'air d'ignorer la lettre de Klapka et le traité avec le Prince Couza, de la demande d'armes de ce dernier arrivée hier à Paris. Il lui parlera encore de l'arrivée de Ttirr, qu'il a connu à Constantinople et qu'il doit voir à son retour de Londres. Par ce moyen il tàchera d'amener l'Empereur à lui communiquer ses intentions au sujet des demandes de Klapka.
M. Thouvenel sympathise beaucoup avec le mouvement hongrois; mais, je vous le répète, il se méfie et déteste cordialment le Prince Couza et tous les Moldo-Valaques qu'il regarde comme une race abjecte et dégénérée.
Pour l'envoi des armes, M. Thouvenel semble partager mon idée de faire augmenter la demande faite au Gouvernement Français par le Prince Couza. Ainsi le surplus pourrait ètre destiné à Klapka.
Ttirr a vu le Prince Napoléon, qui ne veut pas se charger de le faire recevoir par l'Empereur. Il a écrit à Klapka de se rendre à Paris et je pense que ce conseil est bon. Kisch partage aussi cette opinion. S'il vient à Paris et si V. E. lui donne une lettre pour moi, nous pourrions marcher d'accord dans nos démarches, car j'ai la conviction que l'Empereur tout en hésitant en ce moment, finira par adhérer aux propositions de Klapka, que, jusqu'à présent, il s'est limité à ne pas refuser. Cette conviction m'est affermie par ma conversation de ce matin avec M. Thouvenel.
J e me permets de donner au Général Pianelli une lettre d'introduction auprès de V. E. Il part ce soir pour Turin. C'est un homme intelligent et sa conduite à Paris nous a été beaucoup plus utile que celle de tous les napolitains qui faisaient de la propagande en notre faveur. Son langage sur les événemen1s de Naples et sur la conduite du Roi est parvenu à l'Empereur et a pour beaucoup contribué à amoindrir l'enthousiasme qu'avait excité François II. Je ne doute pas que V. E. pourra tirer du Général Pianelli des renseignements très utiles. Sa femme est soeur de Ludolf ci-devant ministre de Naples à Turin, mais ne partage pas les opinions de son frère.
Je n'ai pas besoin de vous dire, Monsieur le Comte, que le peu de personnes qui nous sont favorables ici, nous conseillent de poursuivre hardiment dans notre voie d'unité et d'indépendance, sans nous préoccuper des oppositions des Corps constitués et des salons qui ne représentent pas l'opinion de la France.
La publication des pièces diplomatiques sur les affaires ecclésiastiques intérieures ne se fera pas attendre. Avec Rome les choses vont au plus mal et à l'intérieur il faut vous attendre à quelque mesure de répression contre le Clergé qui pousse à des excès.
L'Empereur m'a répété, en me congédiant, qu'il désire etre au courant de tout ce qui se passe avec Rome.
M. Thouvenel, me parlant de la reconnaissance du nouveau titre du Roi, me charge de vous dire de ne pas trop forcer les cartes. Les cabinets ne veulent pas que l'Italie puise dans cette reconnaissance une force pour son organisation; mais si nous parvenons à nous organiser sans troubles à l'intérieur et évitant les complications à l'extérieur, on sera forcé de venir à nous, sans nous exposer à etre repoussés.
Cette opinion est aussi celle de l'Empereur. Je vous envoie Armillet parceque je ne sais pas quand l'Empereur me donnera la réponse tant désirée.
(l) Edita in Q. R., II, 263: « Ho rimesso a S. M. l'Imperatore le carte che Ella mi aveva affidate. Ho di più annunziato all'Imperatore che il Ministro degli Affari Stranieri deve darglicomunicazione del progetto di trattato fra il Re ed il Papa. Avendo in poche parole detto il sunto di tale trattato, l'Imperatore mi ha espresso di bel nuovo i suoi dubbi sull'esito probabiledi un accomodamento a tali condizioni. Esso ha aggiunto che se il Re alle condizioni indicate aggiungesse la sovranità della Sardegna, l'Imperatore pensa che la cosa potrebbe avere più di probabilità di riescire. Ecco il suo ragionamento. Come mai possono il Papa ed i suoi Consiglierifidarsi ad un trattato che delle Camere e Parlamenti potrebbero da un giorno all'altro annullare? Come mai fidarsi che il Governo attuale resista agli attacchi perenni, indefessi, reiterati del Partito Repubblicano, che sembra voler levar la testa, e che la rileva di fatto in parecchicentri d'Italia? Ceder tutto senza compenso alcuno, perchè? Colla sovranità della Sardegnaalmeno resta al Sommo Pontefice un rifugio in caso di sinistro avvenimento, e più sicuramente se ne resterà Vescovo di Roma perchè avrà meno a temere per la sua indipendenza. Io le metto per iscritto le riflessioni dell'Imperatore perchè Ella ne faccia parte al Conte di Cavour affinchè Ei conosca l'opinione dell'Imperatore. Tutto ciò che dico e scrivo, lo dico e scrivo per comando dell'Imperatore, il di cui scopo principale è di venirne ad un'intesa il più presto possibile, e
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO (Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1306)
L. P. Torino, 2 marzo 1861.
Je vous envoie Visconti à Londres pour vous mettre au courant des affaires de Naples. Je crains bien que ce soit de la moutarde après dìner, puisque la discussion provoquée par Normanby a lieu ce soir. Mais enfin il vous sera utile d'avoir, pendant quelques jours, à còté de vous une personne qui puisse raconter comme témoin oculaire ce qui s'est passé depuis six mois à Naples et dans les provinces.
J'espère, au reste, que l'opinion publique nous rendra pleinement justice.
Jamais on n'a traité avec plus de douceur des brigands qui s'organisent dans un
Etat voisin, à l'abri des bayonnettes d'une armée arnie.
Goyon, lui-meme, a trouvé que le Pape poussait la plaisanterie trop loin. Aussi a-t-il fini par proposer au Général qui commande dans la province de Rieti de faire la police des brigands de compte à demi.
La présence à Rome du Roi et de la Reine de Naples a provoqué chez le Pape une recrudescence de violence. Il a fait des scènes incroyables aux Cardinaux, qu'il soupçonne d'etre favorables aux projets de transaction.
Si le Gouvernement anglais pouvait conseiller ou faire conseiller au Roi de Naples de s'en aller, il nous rendrait un grand service.
La question du titre est fort importante. Je suis parfaitement de votre avis. Il faut s'entendre d'avance; je crois qu'une notification solennelle n'est pas nécessaire. Une simple lettre devrait suffire. Après cela, vous mettrez sur vos cartes: Ministre du Roi d'Italie; en vous autorisant à vous servir, avec quelquesuns de vos collègues, des cartes portant votre nom tout court. Je ne vous ai écrit au sujet de cette question, Hudson m'en ayant toujours parlé comme ne devant soulever aucune difficulté. Je n'ai pas encore interpellé Paris à ce sujet; mais je vais le faire.
Nous faisons de grands efforts pour calmer les Hongrois. Klapka et Kossuth sont très raisonnables; mais, au-dessous d'eux, il y a des fous capables de tout compromettre; Thiirr serait du nombre, si on ne le prechait pas bien en Angleterre.
La nouvelle Constitution publiée à Vienne est faite pour susciter une opposition violente en Hongrie. Elle lui enlève tous ses privilèges et ses droits et la dote en revanche d'un grand Conseil Provincia!. C'est une telle faute, que je ne doute plus que la Providence n'ait condanné l'Autriche à périr, puisqu'elle aveugle à ce point ses hommes d'Etat.
Le Parlement s'organise lentement, non faute de bon vouloir, mais faute
d'expérience. Il faut avoir patience. C'est une denrée dont les Ministres doi
vent faire immense provision dans les pays constitutionnels. Rattazzi sera Pré
sident de la Chambre. Cela ne fait pas de difficultés. L'autonomie Toscane est
morte sans secousse. Nous enterrerons bientòt celle de Naples et de la Sicile.
Le résultat des élections partielles en Angleterre m'inquiète. Il me paratt
que le Ministère perd chaque jour du terrain. Dieu nous préserve toutefois
d'un Ministère Tory,, tant que nos questions n'ont pas reçu une solution
définitive.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 282)
L. P. Torino, 2 marzo 1861.
Le courrier Armillet m'a remis ce matin votre lettre si intéressante du 28 février. Je profite du départ du Comte Visconti pour vous transmettre des notions précises sur les affaires qui préoccupent également Paris et Turin.
Le Général Klapka, ainsi que je viens de vous le mander par le télégraphe, se rendra dans le courant de la semaine prochaine à Paris. C'est un homme d'ur. mérite solide, sur lequel on peut compter d'une façon absolue. Si l'Empereur consent à le voir il en sera content. C'est bien autre chose que Thtirr.
Klapka désire vivement que la question Hongroise reste aussi longtemps que possible dans la phase légale. Ill'espérait il y a quelques jours. Depuis avant hier il est très préoccupé de l'effet, que produira en Hongrie la publication de la Constitution de l'Empire. En effet cet acte détruit radicalement la constitution Hongroise. Elle réduit la Diète de Bude au ròle d'un Grand Conseil Général. Elle consacre le système de la centralisation en enlevant au gouvernement les moyens de le faire fonctionner. Il est impossible que la Hongrie l'accepte. Si elle est sage, elle attendra que la Diète se réunisse, pour lutter légalement si c'est possible ou au moyen de l'insurrection si Vienne ne cède pas. Telle est l'opinion de Klapka.
En attendant il serait bon que la presse mìt en lumière la conduite de l'Autriche, sa duplicité, sa malhabilité et ce qui est plus important l'impossibilité pour la Hongrie d'accepter un pacte politique qui consacre la destruction de tous leurs anciens privilèges.
Le courrier Anglais arrivé de Rome ce matin m'a apporté des lettres de Pantaleoni et du Père Passaglia. Je vous envoie copie de celle du dernier (1). Lisez-la à Thouvenel sans la lui laisser.
Vous verrez que le Rev. Père attribue la recrudescence de violence chez le Pape à la présence du Roi et de la Reine de Naples à Rome. Si l'Empereur pouvait les éloigner de cette ville il nous rendrait un grand service.
L'irritation du Pape ayant été connue du Général des Rosminiens, celui-ci homme timide s'il en fut jamais, envoya à mon envoyé qui est son subordonné de fìler sur Naples. Il s'ensuit que nos négociateurs ont les mains vides: ce qui n'est pas facheux, puisque ce retard donne au Pape le temps de se calmer.
Les scènes violentes du Pape ne m'effrayent pas. En sa qualité d'homme nerveux toutes les crises sont suivies d'une période de calme, durant laquelle il est plus aisé de lui faire entendre raison.
Interpellez Thouvenel sur le nouveau titre du Roi. Nous voudrions bien nous mettre d'accord avec lui sur ce qu'il y a à faire, meme dans l'hypothèse que la France tarde à le reconnaìtre.
Les violences des Papistes au Sénat me charment, elles nous font un bien extrème en France et en Europe.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 82. Londm, 4 marzo 1861.
Lord John Russell à qui j'ai été annoncer l'arrivée du Marquis ViscontiVenosta en avait déjà été informé par Sir James Hudson. Les renseignements
qu'il sera à meme de fournir sur plusieurs points de détail des affaires napolitaines, arriveront trop tard pour les débats qui on lieu sur la question italienne. Mais ils ne peuvent manquer d'à-propos meme pour l'avenir, et Lord John m'a exprimé qu'il verrait toujours M. Venosta avec pla'isir. Au reste, d'après ce qu'on lui mande de Turin, la venue du Marquis pourrait bien se rapporter à la question de reconnaissance du Royaume d'Italie.
A ce propos je dois informer V. E. que le Gouvernement Anglais, quoique n'étant parvenu à aucune détermination jusqu'ici, parait pourtant disposé à reconnaitre meme isolément. Lord John m'a fait part samedi des ouvertures qu'il avait chargé Lord Cowley de faire officiellement à Paris et de la réponse de M. de Thouvenel qui avait déclaré que, n'ayant pas de relations officielles avec notre Gouvernement, toute résolution à prendre à cet égard serait prématurée.
Le Gouvernement Anglais s'étant mis en règle de ce còté-là, se sent désormais plus libre dans ses allures et en tous cas on s'occupe en ce moment de cette affaire.
Mais me trouvant sans instructions je dois me borner à poser des hypothèses sans chercher à les résoudre.
J'ai exprimé à Lord John mon étonnement de la persistance que le Roi de Naples mettait à conserver ici un Agent diplomatique tandis que M. Elliot avait depuis longtemps quitté Naples et malgré les rapports peu agréables que le Blue Book nous révélait entre les deux Cabinets. Lord John m'informa en réponse que vendredi dernier il avait adressé au Chevalier Fortunato une lettre finale mettant fin à leurs rapports officiels ensemble.
Quant à la Question Romaine Lord John est entièrement d'avis que la meilleure solution à lui donner serait celle que nous désirons nous-memes. Lord Palmerston par contre ne m'a pas caché ses craintes que nous ne songerions à donner au Pape une résidence et une souveraineté dans l'ile de Sardaigne qui selon ce Ministre deviendrait une dépendance française. Et il ajouta que l'Angleterre se verrait dans la nécessité de s'opposer rigoureusement à ce transfert. Je lui répondis en riant, qu'il était question plus d'enlever des Etats au Pape que de lui en donner et j'ai ajouté sur le meme ton, que tout au plus nous consentirions à lui donner l'ile d'Elbe si les traditions n'étaient pas si mauvaises pour y garder les personnes que l'on y envoie.
Le Ministre d'Autriche parait avoir accusé le Gouvernement du Roi de connivence secrète avec la Hongrie en vue d'un mouvement prochain. J'ai répondu que si l'Empereur d'Autriche désirait que ses sujets acceptent son autorité, il dépendait de lui de satisfaire leurs demandes soit par rapport à la Constitution Hongroise de 1848, soit par rapport à la Vénétie. Sinon, qu'il en admette les conséquences sans nous y meler.
Une discussion sur les affaires italiennes est annoncée pour ce soir à la
Chambre des Communes.
J'ai dans mes conversations avec les députés conseillé de démentir l'erreur
où l'on est en France de chercher à faire croire que l'Angleterre adopte nos
vues par rapport à la Question Romaine purement dans un but protestant,
puisque je tiens des chefs memes du parti protestant que le Pape, devenu
simple chef spirituel, aura beaucoup plus de pouvoir religieux qu'auparavant.
(l) Ed. in Q. R., Il, 270.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1308)
L. P. 53. Londra, 4 marzo 1861.
* Dentice qui prétendait retourner à Paris pour deux jours avant hier est resté et ma lettre a du attendre le courrier anglais. Par parenthèse je crains que Dentice ne soit atteint de la maladie de son frère S. Giacomo et qu'il ne soit furieusement jettatore. *
Lord Palmerston que j'ai vu à dìner Samedi se préoccupe maintenant du danger d'une combinaison que je ne sais qui lui a mis en tete consistant à mettre le Pape en Sardaigne avec la souveraineté de l'Ile. Naturellement ils voient déjà l'armée d'occupation française demandant à protéger le Pape à Cagliari et l'Ile devenant peu à peu un département frança'is dans la Méditerranée. Naturellement aussi, camme Lord Palmerston dit, l'Angleterre s'opposerait strenuously à pareille extension de l'influence française sur cette mer.
Lord Palmerston a également fait allusion à la question de reconnaitre le Royaume d'Italie. Il a meme remis sur le tapis cette étrange argumentation qu'il faudrait avant de rien décider que le Roi de Naples en quittant Rome eut quitté l'Italie. Mais je crois qu'il ne faut pas attacher d'importance à cet argument dont il se sert faute de mieux pour obtenir un délai. Et meme je ne serais nullement surpris si les Ministres ne prévoyaient un peu de mauvaise humeur de la part de la Reine pour lui faire avaler la mesure. Delane me disait encore avant-hier que c'est là une raisons de l'opiniàtreté de Normamby contre nous.
* Au reste j'ai revu Lord John ce matin et en ai profité pour lui exprimer mon étonnement qu'un homme camme Lord Palmerston puisse établir un raisonnement sur un motif aussi puéril. Et Lord John s'est mis à rire et a entièrement été de mon avis.
Lord John paraìt s'attendre d'après ce que lui mande Hudson que Visconti vienne ici pour concerter quelque chose en ce sens là. Et quoiqu'il ne sorte pas encore de ses hésitations, il me sem,ble que l'idée de reconnaitre fait des progrès comme toute idée à laquelle on s'habitue. Il a reconnu que cela admettait plus de difficulté de la part de la France et quant à la Prusse il parait en faire bon marché en fin de compte. * Il m'a dit qu'Appony · était venu lui exprimer les préoccupations de son Gouvernement en vue du danger d'une attaque de la part de la Hongrie, secrètement poussée et assistée par nous. J'ai répondu avoir quelques instants avant entendu dire par Tiirr que si l'Empereur accordait la Constitution de 1848 et cédait la Vénétie les Hongrois le laisseraient tranquille. Il me dit que Tiirr lui avait dit la meme chose. Mais pour l'une mesure camme pour l'autre le Gouvernement Autrichien était bien décidé à un refus, meme le parti libéral étant contre la cession de la Vénétie. Je dis qu'alors il fallait qu'il accepte les conséquences de ses déterminations.
* Je répétai une fois de plus que ce serait de l'intéret non seulement de l'Angleterre mais de l'Autriche de terminer camme nous le voulions cette question Vénitienne qui pour lors nous permettrait de nous tenir tranquilles ou sinon tiendrait toujours l'Empire en voie de perdition *
Lord John parait tenir à certaine dépeche par lui écrite à Hudson et que je vous annonçai dans le tems pour nous rappeler des bonnes manières. Il m'a demandé si vous m'aviez écrit là dessus et j'ai répondu que non, probablement parceque vous n'en aviez pas eu le tems.
Je lui ai donné la dépeche télégraphique sur le massacre Latini et peut-etre s'en servira-t-il ce soir. Layard me demande à corps et à cris de lui donner des atrocités bourboniennes. Avec lui il faut etre prudent, car il est peu discret, mais je tache de le satisfaire.
* Un ouragan de vent règne sur la Manche et Visconti a télégraphié pour savoir s'il y avait urgence. Je lui ai conseillé d'attendre le beau tems. Corti est dans le meme cas. Madame de Persigny avec laquelle j'ai été diner hier soir attend de meme de ce còté de l'eau. *
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO
D. s. n. Torino, 8 marzo 1861.
J'ai reçu vos dépeches confìdentielles N. CXCII CXCIII et politique N. 82 en date du 16 et 25 Février dernier et 4 Mars courant.
Je m'empresse de répondre à la plus importante des questions que vous y traitez, la question de la reconnaissance par l'Angleterre du nouveau Royaume d'ltalie. Je ne saurais douter un instant des bonnes dispositions du Gouvernement Britannique. De sa part la reconnaissance de l'indépendance italienne sous le sceptre de la maison de Savoie est la conséquence légitime et naturelle des principes qu'il a proclamés, de l'appui moral qu'il nous a donné, de l'ascendant qu'il a exercé par la manifestation de ses sympathies en faveur de notre cause nationaie.
Je trouve cependant parfaitement juste et convenable que le Cabinet de Saint
James avant de prendre une résolution défìnitive ait voulu pressentir les disposi
tions de la France. Mais j'espère qu'il n'y aura point là une source de difficultés, et
qu'en attendant l'Angleterre ne voudra pas différer de reconnaitre une reuvre
qu'elle a moralement aidé à accomplir.
Quant au mode de procéder le Gouvernement du Roi a une entière confìance
dans la sagesse et dans la bienveillance du Cabinet de Saint James. Mais puis
qu'il se déclare pret à se concerter avec nous, voici la marche que nous propo
serions de suivre.
Dès que les Chambres auront proclamé Victor Emmanuel Roi d'Italie ce
qui aura lieu dans quelques jours, je vous adresserai une dépeche pour vous
charger de notifìer officiellement cet événement au Gouvernement Britannique,
et l'inviter à vous reconnaitre comme Représentant du Roi d'ltalie.
Une réponse officielle et favorable à cette notifìcation pourrait suffire pour
le moment, sans qu'il soit nécessaire de vous munir de nouvelles lettres de
créance.
Veuillez, je vous prie, me faire connaitre si le Gouvernement Britannique adhère à ce projet.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1311)
T. 293. Londra, 13 marzo 1861, ore 16,05 (per. ore 23).
Lord Russell m'écrit confidentiellement qu'il croit que la marche à suivre que vous proposez est la meilleure; que je passe la communication officielle à laquelle il répondra après avoir pris les ordres de S. lVI. et consulté le Conseil. Le délai écoulé entre ma vislte et cette réponse indique qu'il a déjà consulté ses collègues. Il ajoute que les nouvelles lettres de créance ne seront nécessaires ni pour Hudson ni pour moi. L'insistance qu'il met à avoir une réponse à sa dépèche est pour avoir, en reconnaissant l'Italie, une garantie de nos intention futures par rapport aux traités.
IL DOTTOR PANTALEONI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 312)
L. P. Roma, 13 marzo 1861.
Mi giungono finalmente ad ora tarda della sera del 12 le tanto desiderate carte, com'Ella avrà appreso da' telegrammi che le ho inviato. Non ha idea a quali e quante ansietà sono stato esposto fin qui per la mancanza loro. Un telegramma Le ne ha accennato talune ma non erano tutte. Per più mesi io ho sì bene coperto ogni mia partecipazione all'idea d'una transazione e d'una conciliazione, che né la diplomazia, né il governo, né la setta gesuitica e sanfedista, in questo momento onnipotente qui, hanno avuto mai il menomo sospetto. Una volta però che il Santucci rivelò al Papa ed all'Antonelli il tutto, iniziate le prime negoziazioni, la mia partecipazione (occulta ancora alla diplomazia) non ha potuto più esserlo per i Gesuiti e per la setta, che si sono quindi adoprati per un lato a mettere me ed il Passaglia in mala voce presso al Papa, e per l'altro a procurare la mia espulsione di Roma. Quest'ultima pruova è andata tant'oltre che la città ne era piena, alcune famiglie inglesi saputolo si disponevano a partire; ed io stimai dover prevenire il colpo chiedendo al Ministro di Polizia o Governatore di Roma Monsignor Matteucci un'udienza confidenziale.
Sapeva ch'Egli si era espresso che tutt'era perduto: che gli doleva non essersi neppur procurato un piccolo canonicato sul quale campare la vita: e che il governo era in mano d'una setta contro la quale invano lottava. Mi proposi quindi guadagnarlo alle idee nostre, e gli manifestai quel tanto ch'era necessario al piano nostro a coprire me dalle basse persecuzioni della setta, e a mettere lui in buone disposizioni verso di noi. Conclusi coll'impegnarlo ad ottenermi dall'Antonelli un'udienza confidenziale.
Questo piano è riuscito a paralizzare almeno pel momento gli sforzi della setta, che, fallito il tentativo, dice ora sospeso sul conto mio l'ordine della partenza; e l'arrivo delle carte spero che finirà per sempre ogni minaccia. In qualunque caso però il Santucci avea assunto andare dal Papa: io avrei rifiutato partire senza un'udienza particolare, e mi proponea condurre le cose a modo che la mia espulsione per l'ingiustizia manifesta rovinasse la causa de' clericali, e per l'altra ci dasse il modo di pruovare ch'era stata fatta a solo scopo di impedire e rompere trattative immensamente utili alla Chiesa. Ma di ciò non monta ch'io Le dica altro.
Ho letto in fretta le istruzioni ed articoli ed avvertenze. Sarebbe insolente ch'io osassi farLe molte osservazioni almeno per ora. Consentirà solo che Le sottoponga il risultato della prima impressione su di alcuni punti. Alle avvertenze dell'art. 2° sottoporrei alla di Lei saggezza, se Ella non stimasse che i Cardinali promossi al rango di Senatori non dovessero avere un ulteriore emolumento, p. es., di un 10 mila franchi per titolo di rappresentazione od altro; ma in realtà per dare al governo del Re una forza e potenza nel Sacro Collegio non solo con la distribuzione degli onori, ma anco con quella di un'ulteriore prebenda. Con un 100 mila franchi annui per un dieci Cardinali Senatori si guadagnano venti o trenta altri che sperano un tale profitto, al quale molti Cardinali venuti da basso stato sono estremamente sensibili. All'art. 40 parmi assolutamente impossibile di ammettere la pretesa che i Vescovi avessero a giudicarsi dal Senato, e parmi difficile che possa mettersi innanzi canonicamente quando Cristo non rifiutò il giudizio di Pilato e del Sanhedrin. Ho molto meditato la questione delle corporazioni religiose e sono contento di vedere ch'Ella ammette altresì che in accordando la libera associazione lo Stato si riservi il solo suo vero diritto, quello del riconoscere, o no, la loro personalità civile. Le confesso però èhe non intendo troppo come avendo conservato nei regj Stati parecchie corporazioni religiose, ossia avendo riconosciuto la personalità loro civile, ora qui si dica c Lo Stato non riconosce la personalità civile di veruna corporazione religiosa~. Parmi molto difficile ottenere la esclusione completa d'ogni corporazione a vita comune, visto anco i bisogni grandi del culto che ha il cattolicesimo, e ad adempire i quali i soli parrochi non basterebbero.
Io aveva piuttosto studiato il problema come fare in Roma per le corporazioni la di cui personalità civile non era riconosciuta in Italia. Che il Papa capo supremo della Chiesa non abbia intorno a sé i capi d'ordine d'ogni corporazione, e perciò almeno un convento di tutte queste corporazioni, che possano anco esistere solo o in Francia o in Belgio o in Spagna, non è ammissibile. Potremmo in questi casi però sempre ricorrere allo stesso metodo. Le corporazioni la cui personalità civile è riconosciuta nel regno italico (se pure tutte non si abbiano ad intendere abolite) potranno quindi possedere. Le altre potranno esistere come associazioni, ma ricevano i loro fondi da paesi ove la loro personalità civile è riconosciuta. Vi sarà qualche altra difficoltà non difficile però a sciogliere per corporazioni che abbiano fondi a Roma di pertinenza e per istituzione di estere Nazioni. Di ciò, al caso, si parlerà, ma intanto vorrei una spiegazione alla prima parte come sopra.
All'art. 6o mi permetterò più tardi fare delle riflessioni quando si parlerà del modo in che il clero può disporre delle sue proprietà onde vedere d'emancipare alquanto il basso clero dall'incompatibile gioco de' Vescovi, benchè questo pel principio d'elezione venga diminuito.
All'art. So non formulato temo forte, come più volte Le ho scritto, che non si otterrà mai che l'acquiescenza passiva, e non la rinuncia attiva del Papa. In fatto però è equivalente: e godo in vedere che il Nigra in due righe colle quali mi accompagna l'invio delle carte accenna non solo contentarsi di quella, ma lasciare anco libero al Papa la riserva de' diritti sempreché in fatto riconosca il Regno italico. D'altronde legando le nostre concessioni a quell'acquiescenza di fatto, metteremmo sempre il pontificato nel caso di dichiararsi traditore della Chiesa, rinunziando a quella magnifica posizione che da noi le si fa per richiedere un dominio temporale impossibile.
Mi combinerò subito col Passaglia e poi col Santucci, che avendo giovedì l'udienza dal Papa potrà ragionare con lui, e solo dov'Egli nomini i negoziatori presenteremo le credenziali all'Antonelli.
P. S. -Per truovare un pretesto ad espellermi la setta avea messa innanzi la mia elezione a Deputato. Io al caso avrei, secondo le istruzioni avute da Lei, rinunciato piuttosto che farmi escludere di Roma. Spero di non essere obligato a mandare rinunzia, ma se il dovessi Ella ne sospenda il più lungo tempo possibile la presentazione perché parmi che riuscendo o non riuscendo la mia presenza più tardi dovesse divenire molto utile.
IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R. II, 322)
T. s. n. Roma, 16 marzo 1861, ore 7,45 (per. ore 8,15).
Pantaleoni auquel on a intimé exil proteste. Demande audience au St. Père toujours plus irrité, à qui Santucci hier a communiqué nomination, et qui ne veut traiter qu'aux termes les plus étroits. Passaglia verra Card. Antonelli aujourd'hui. Pantaleoni espère contrecarrer Cardinaux réactionnaires pour le Concistoire de lundi.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO (l)
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 16 marzo 1861.
Vers la fin du mois de Janvier le Ministre de S. M. B. à Turin est venu me communiquer la dépèche de Lord John Russell dont vous trouverez ci-joint une copie.
Dans cette dépèche le Principal Secrétaire d'Etat pour les Affaires Etrangères de la Grande Bretagne, attribuant une faible valeur au vote par suffrage
universel émis a Naples, en Sicile, dans l'Ombrie et dans les Marches, déclare réserver l'examen des questions que soulève la transformation politique de l'Italie à l'époque où les véritables intent'ions de la nation italienne pourront etre manifestées d'une manière régulière et solennelle par les représentants légitimes réunis dans un Parlement librement élu.
Après cette déclaration, Lord John Russell indique quelles sont les conditions que le nouveau Royaume doit remplir pour que l'Angleterre puisse continuer à entretenir avec lui des rapports conformes à la bonne amitié dont elle a donné tant de preuves à la Sardaigne.
Lorsque cette dépeche me fut communiquée, l'Italie se préparait à élire les membres du Parlement national. Je me suis donc abstenu de faire connaitre immédiatement à Lord John par votre entremise l'impression que sa dépeche avait produite sur le Gouvernement du Roi. En effet il me paraissait peu utile d'engager une controverse théorique sur la valeur du suffrage universel, lorsque le moment s'approchait où l'évènement, duquel le Gouvernement Anglais faisait dépendre ses décisions définitives, allait couper court à toute discussion, en infirmant ou en confirmant le résultat du vote populaire. Je me suis borné par conséquent à rassurer aussitòf Sir James Hudson sur les intentions du Gouvernement du Roi et à lui faire connaitre ma conviction que le Parlement qui allait sortir des élections ne tarderait pas à manifester, de manière à ne laisser lieu à aucun doute, les sentiments qui animent toutes les populations de la Péninsule, depuis les Alpes jusqu'à l'Etna.
Mes prévisions à cet égard se sont pleinement vérifiées. Le Parlement qui vient de se réunir, renferme dans son sein l'élite -de la nation. Le Roi a appelé dans le Sénat les personnages qui par leur science, par leur naissance, et par leurs richesses comptent parmi les grandes illustrations du pays. Le peuple, usant de son droit avec le plus absolue liberté, a envoyé à la Chambre des Députés les notabilités les plus connues de toutes les provinces italiennes.
Aussitòt réuni, le Parlement s'est empressé de donner la sanction la plus formelle aux votes émis par les populations. L'accueil fait au Roi à l'ouverture de la session, les réponses des deux Chambres au discours du tròne, la constitution du bureau de la présidence, enfin le vote unanime sur la loi relative au nouveau titre que le Roi devra porter, ne sauraient laisser subsister le moindre doute à ce sujet. Le suffrage universel a été suivi chez nous d'une contre-épreuve éclatante. Si l'on peut discuter la valeur abstraite et théorique de ce mode dP manifestation de la souveraineté nationale, on doit convenir que par rapport à l'Italie il a été l'expression sincère, libre et spontanée d'un sentiment qui domine tous les autres et qui a acquis une force irrésistible.
Je m'empresse de constater du reste que Lord John Russell a reconnu et proclamé lui-meme le fait que je viens d'énoncer, d'une manière aussi sympathique et bienveillante pour l'Italie qu'honorable pour le Gouvernement du Roi.
Il ne me reste plus par conséquent à l'égard de la première partie de la dépeche de Lord John Russell qu'à vous charger de lui exprimer notre reconnaissance pour la façon énergique et brillante avec laquelle, dans une discussion récente, il a su rétablir les faits et venger le Roi et notre pays des injures que leur prodiguaient les adversaires passionnés des grands principes de liberté civile ~t religieuse dont le triomphe en Italie est maintenant assuré.
Le caractère éminemment national du Gouvernement qui vient d'etre fondé étant constaté, je dois, pour répondre complètement aux questions soulevées parla dépèche du 20 (l) Janvier, examiner si ce Gouvernement dispose del forces morales et matérielles nécessaires pour remplir ses devoirs soit à l'intérieur soit dans ses rapports avec les autres Puissances.
Que le Gouvernement soit solidement établi, qu'il dispose de tous les moyens nécessaires pour gouverner, c'est ce qu'on ne saurait contester. Dans les nouvelles provinces de la haute et moyenne Italie l'administration marche presque avec la meme régularité, elle rencontre aussi peu d'obstacles que dans celles qui depuis des siècles faisaient partie du Royaume de Sardaigne. Aucun symptòme d'opposition extralégale ne s'est manifesté ni en Lombardie, contrée que l'on signalait comme si difficile à gouverner, ni dans les Romagnes, où la haine du régime sacerdotal avait développé de si ardentes passions, ni dans les Duchés, où l'on aurait pu craindre que la perte des avantages que des petites Cours procurent aux localités où elles résident, fiìt une cause de mécontentement. Quant à la Toscane, où l'on supposait que l'ancien régime, moins violent et moins corrompu qu'ailleurs laisserait des traces profondes et de vifs regrets, elle a été et elle est encore un grand élément de force pour lé Gouvernement et d'ordre pour le pays. Nulle part, en effet, la fusion politique n'a soulevé moins d.e difficultés. Pour le prouver, il suffit de rappeler un fait que probablement les ennemis de la cause italienne dans le Parlement Britannique ignoraient, c'est que depuis huit mois il n'y a pas un seul bataillon de troupes régulières dans ce pays et que, néanmoins, on a pu supprimer le régime spécial d'administration qu'on y avait laissé sans qu'aucune manifestation hostile se soit produite.
Il existe, il est vrai, de très graves difficultés administratives dans l'Italie Méridionale. Mais peut-on s'en étonner, en réfléchissant que le Gouvernement des Bourbons qui a duré plus d'un siècle, et qui succédait lui-meme au Gouvernement bien connu des Vice-Rois Espagnols, avait érigé en système la corruption et s'était attaché à saper dans toutes les branches de l'administration les principes de moralité, de bonne foi, de patriotisme sans lesquels les meilleures lois, les institutions les plus parfaites ne peuvent donner que des résultats déplorables?
L'influence de la liberté, l'action puissante et salutaire du Parlement, ne tarderont pas à apporter un remède efficace à un tel état de choses. En attendant, s'il peut créer quelques embarras au Gouvernement, il n'est pas pour lui une cause de faiblesse, car nulle part ces difficultés administratives n'ont servi de prétexte ou de masque à de véritables oppositions dynastiques ou extralégales.
Par conséquent je ne pense pas me faire illusion en affirmant que le Gouvernement dispose de moyens largement suffisants pour assurer l'ordre à l'intérieur et régler ses relations avec les Puissances étrangères suivant les devoirs que lui imposent les traités et les principes du droit des gens.
Mais cette affirmation ne répond qu'incomplètement aux questions posées par Lord John Russell. Ce qui le préoccupe probablement c'est de connaitre la manière dont nous entendons les devoirs dont je viens de parler, et comme dans sa dépèche du 20 Janvier, tout en traitant des questions politiques d'une façon générale, il fait une allusion marquée à celle du 31 Aout 1860, je suis fondé à
eroire que c'est au sujet de nos rapports avec l'Autriche qu'il désire obtenir des éclaircissements positifs. C'est donc sur ce point que je crois devoir m'expliquer de nouveau sans réserve (1).
Le Gouvernement du Roi, fidèle interprète des sentiments qui animent le pays tout entier, ne cache pas sa sympathie profonde pour les populations que le traité de Campoformio a fait passer sous la domination de l'Autriche. Il ne se dissimule pas que tant que ces provinces seront séparées du reste de l'Italie, le calme ne se rétablira pas complètement dans les esprits; la nation émue par le triste spectacle des souffrances des Vénitiens songera constamment à leur délivrance. Il sait en un mot que, tant que Venise gémissante tendra les bras vers les métropoles de l'Italie, il sera impossibile de rétablir avec l'Autriche des relations amicales et propres à garantir une paix sincère et durable.
Mais le Gouvernement du Roi sait en meme temps, qu'il est des considérations d'un ordre supérieur qui ne lui permettent pas de suivre l'impulsion des sentiments qui animent tous les Italiens. Il sait qu'il doit à l'Italie de sauvegarder les intérets qu'elle lui a confiés; et que les égards et la reconnaissance qu'il doit aux Puissances qui ont aidé l'Italie à sortir de l'état d'oppression où elle était tombée depuis des siècles, lui imposent des devoir qu'il saura accomplir, quelques douloureux qu'ils puissent etre.
Dans l'état actuel de l'Europe la question de la Vénétie n'est pas susceptible d'une solution isolée : on ne pourrait tenter de la résoudre par la force sans allumer un incendie qui porterait bien loin ses ravages et dont l'Europe ferait tomber la responsabilité sur le Gouvernement qui, sans provocation, ferait franchir la frontière à ses soldats.
Convaincu de cette vérité, le Gouvernement du Roi est décidé à faire tous ses efforts pour prévenir tout acte qui pourrait directement ou indirectement amener une guerre européenne. Il attendra que les événements en se développant fassent passer dans l'esprit de tous les hommes d'Etat de l'Europe, qu'il soient les adversaires ou les partisans de l'Autriche, la conviction partagé déja par tous ceux qui ont étudié de près la question de Venise, que la possession de cette province est une cause d'affaiblissement pour l'Autriche en meme temps qu'elle est une cause de troubles pour l'Italie et pour l'Europe.
Il y a six mois, en exposant au Parlement dans une occasion solennelle la politique du Gouvernement, j'ai indiqué, presque dans les memes termes dont je viens de me servir, quelle serait notre ligne de conduite vis-à-vis de l'Autriche (2). J'ai déclaré alors et je répète aujourd'hui, que les Italiens peuvent attendre avec pleine confiance le verdict de l'opinion publique dans la grande cause qui se débat entre eux et l'Autriche. Qu'il me soit permis d'ajouter
vol. XI, pp. 239-280.
:3 -Documenti dtplomatici -Serie I -Vot I
aujourd'hui que ce qui pouvait paraitre douteux alors devient chaque jour plus évident, et que les changements que les derniers temps ont apportés soit en Autriche soit dans la Péninsule ltalienne, n'ont fait que démontrer de plus en plus la nécessité d'une solution pacifique de la question vénitienne. Peu de mots suffiront, Monsieur le Marquis, à éclaircir complètement ma pensée à cet égard.
Le Cabinet de Vienne, je me plais à le reconnaitre, est entré tout-à-coup dans des voies franchement libérales. Renonçant sans hésitation aux principes qu'il avait adopté à la suite des événements de 1848 et 1849, il a doté toutes les provinces de l'Empire d'institutions que je n'ai pas la prétention de juger, mais qui paraissent reposer sur les idées que professent les nations les plus avancées de l'Europe. La Vénétie seule est exclue des bienfaits du nouveau régime impérial. Dans toutes les autres contrées de l'Empire, des Assemblées populaires sont instituées, des Diètes sont convoquées, la liberté est organisée. Venise seule fait exception. Dans la Vénétie, il n'y a de piace que pour y faire camper des soldats: aucun au-tre régime n'y est possible que celui de l'état de siège. Un tel contraste, je le demande à la noble nation britannique, n'est-il pas fait pour convaincre les incrédules que l'Autriche, quelques efforts qu'elle fasse, quelles que soient les modifications qu'elle apporte dans son régime intérieur, ne peut changer sa position dans la Vénétie? Ce fait ne doit-il pas suffire à amener l'opinion publique en Europe à réclamer une solution pacifìque de la question vénitienne?
D'un autre coté, par suite des réserves que le Roi Victor Emmanuel avait faites aux préliminaires de Villafranca et qui ont été soigneusement maintenues dans les négociations de Zurich (1), par suite d'un de ces élans nationaux dont il y a peu d'exemples dans l'histoire, l'Italie Centrale d'abord et récemment l'Italie Méridionale sont venues former avec la Lombardie et les anciens Etats de S. M. un nouveau Royaume d'Italie. L'Angleterre, fidèle à ses traditions libérales, a reconnu le fait des annexions, en témoignant hautement ses sympathies pour un mouvement accompli avec tant d'ordre, de régularité et de modération. La plupart des autres Puissances ont réservé leur adhésion et, sans reconnaitre le nouvel état de choses, se sont abstenues de prendre une attitude hostile vis-à-vis du Gouvernement du Roi. L ' Autriche seule a protesté d 'une manière formelle contre la réunion de l'ltalie Centrale aux Etats du Roi, en réservant ses droits sur ces contrées, et ceux des Princes qui ont fait cause commune avec elle. Quoique sous une forme très confìdentielle elle a fait connaitre qu'elle se réservait le droit da faire valo'ir ses prétentions lorsqu'elle le jugerait convenable pour ses intérets. Il résulte de ceci que. la position que le traité de Zurich avait établie entre le Gouvernement du Roi et l'Autriche
se trouve sensiblement modifiée et que nous nous trouvons maintenant en présence d'une Puissance qui non seulement refuse de nous reconnaitre, mais qui se réserve de faire valoir des prétentions qui auraient pour effet de plonger de nouveau l'ltalie dans l'état de servitude où elle a gémi si longtemps. Ces réserves et ces protestations ne se sont pas bornées à de simples paroles; des actes significatifs les ont accompagnées. Qu'il suffise de rappeler que le Gouvernement Autrichien a constamment maintenu sur notre nouvelle frontière les troupes qui avaient suivi le Due de Modène. Ces troupes ont gardé leur drapeau et leur cocarde, elles sont encore organisées comme en temps de guerre, elles sont toujours pretes à envahir l'ancien territoire de leur maitre.
J'ai hate d'ajouter que je n'ignore pas que le Cabinet de Vienne a déclaré à plusieurs reprises qu'il n'avait pas l'intention de nous attaquer, pourvu que nous respections ses frontières. Je suis loin de mettre en doute la valeur dE> cette déclaration, et par conséquent de regarder notre pays comme en état de guerre avec l'Autriche. Cependant il est impossible de se dissimuler que la nature meme des choses, et les événements qui se sont accomplis depuis la signature du traité de Zurich, ne rendent notre position vis-à-vis de cette Puissance, anormale, difficile et dangereuse. Lord John Russell est trop loyal et trop bienveillant envers l'ltalie pour ne pas le reconnaitre, ou pour faire retomber exclusivement sur nous la responsabilité de cet état de choses.
J'espère d'ailleurs que les explications dans lesquelles je suis entré le rassureront complètement sur nos intentions: car elles me paraissent ne laisser aucun doute, ni sur l'étendue des moyens dont le Gouvernement du Roi dispose, ni sur notre ferme volonté de conformer notre conduite à ce qu'exigent les grands intérets européens, en pretant l'oreille aux conseils de modération et de prudence qui nous viennent des Puissances qui, comme l'Angleterre, nous ont donné tant de preuves de sympathie et d'intéret.
Veuillez, Monsieur le Marquis, donner lecture et laisser copie de cette dépeche à S. E. le Premier Secrétaire d'Etat pour les Affaires Etrangères (1).
(l) Comunicato dall'Azeglio a Lord J. Russell il 19 marzo, il dispaccio è inserito integralmente, in Further Correspondence relating to the ajjairs of Italy. Part IX, London 1861, n. 2; ivi anche il dispaccio di Lord Russel a Sir J. Hudson, citato nel contesto, 21 gennaio 1861, n. l.
(l) Recte: 21.
(l) -Nel dispaccio 31 agosto 1860 di Lord Russell al Ministro inglese a Torino si esprimeva, tra l'altro, il timore che, occupato il Regno di Napoli e lo Stato romano, si potesse pensaread un attacco alle Provincie Venete. Tale attacco -si diceva -non potrebbe certo avvenire senza il consenso del Re di Sardegna; il quale nè ha scuse per violare il trattato di Zurigo,nè ha interesse a violarlo. L'Austria è forte, e, vittoriosa, farebbe restituire la Romagna al Papa e la Toscana al Granduca; e vinta potrebbe essere solo qualora la ~ardegna trascinasse ancora con sè la Francia ed accendesse una guerra europea. Ma le grand1 Potenze, compresa l'Inghilterra, che ha interessi nell'Adriatico, sono concor~li.nel vo~er ma!ltener ~a pace. "!3isog~adunque invitare il conte di Cavo~r all'osservanz!l degh 1mpegm pres1. -L mtero d1spacc1oè in Further Correspondence relatmg to the Affatrs of Italy, Part VII, London 1861, n. 63. (2) -Discorsi del conte di Cavour nelle sedute della Camera dei deputat.i del ~· 5 e 11 ottobre 1860 e nelle sedute del Senato del Regno del 12 e 16 ottobre 1860: Dtscorst parlamentaridel Conte Camillo di Cavour, racc. e pubbl. per ordine della Camera dei Deputati, Roma 1872,(l) Nella Circolare di Gabinetto alle Legazioni, 12 novembre 1859, il ministro degliEsteri del tempo, Dabormida, nel riassumere le clausole essenziali dei Trattati di pace stipulati a Zurigo il 10 novembre 1859, richiamandosi, riguardo alla Confederazione Italiana e al ristabilimento dei Principi dell'Italia Centrale, alla nota riserva apposta da Re Vittorio ai preliminari di Villafranca, affermava, tra l'altro: c Mais sur ces points d 'une importancevitale pour la Monarchie Sarde et pour l'ltalie nous n 'avons cessé de protester que la Sardaigne ne consentirait à contracter aucun engagement, qu'elle resterait absolument étrangère aux stipulations qui interviendraient entre les deux Parties contractantes. En effet sur nos observations et nos instances, ces articles ont été entièrement omis dans les Traités que nous avons signés avec les deux Puissances. Nous n'avons du par conséquent sacrifier aucun des principes dont le maintien nous était imposé par nos devoirs nationaux comme par nos intérets. Sur ces graves questions la liberté d'action de la Sardaigne n 'est point engagée •.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINIS'l'RO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI (Ed. in Q. R., II, 321)
L. P. Torino, 16 marzo 1861.
J'ai reçu vos deux lettres du 13 et du 14 courant (2).
.Je vous ai répondu à l'égard de la reconnaissance du titre de Roi d'Italie. .Je comprends fort bien qu'une reconnaissance formelle ne puisse avoir lieu que lorsque nos relations diplomatiques avec la France seront rétablies; c'est à dire lorsque la question de Rome aura reçu une demi-solution. En àttendant il pourrait y avoir une reconnaissance tacite, c'est à dire que Gropello écrirait à Thouvenel et j'écrirai à Rayneval comme chargé d'affaires et Ministre des Affaires Etrangères du Royaume d'Italie; tandis que Thouvenel répondrait au Comte Gropello tout court et Rayneval au Ministère des Affaires Etrangères. Si cet accord est accepté par la France, il est très probable qu'on l'acceptera de meme à Berlin.
Ceci n'est qu'un palliatif; le remède radica! serait la solution de la question romaine. Malheureusement elle n'avance que très lentement. Les instructions que j'avais rédigées pour le Père Passaglia ont été portées à Naples par le moine peureux que j'avais expédié à Rome. On l'a tellement effrayé à Civitavecchia que le malheureux n'a pas osé débarquer. Faute d'une occasion favorable ces instructions sont restées plusieurs jours à Naples, ce n'est que mercredi qu'elles sont parvenues à leur destination. Le Pape était de nouveau exaspéré par suite des discussions des Chambres Françaises. Il a été jusqu'à vouloir expulser Pantaleoni. Santucci a lutté, il lutte encore, et comme tout dépend d'une crise nerveuse, nous ne sommes pas sans espoir. Lundi un Concistoire doit se réunir, les cardinaux pacifiques se prononceront ouvertement. Il est impossible de prévoir ce qu'il arrivera.
La semaine prochaine nous aurons à la Chambre une discussion sur les affaires de Rome. .Je prononcerai un discours très conciliant et j'espère que la majorité de la Chambre approuvera mes idées.
Il n'était ni convenable ni possible d'ajourner plus longtemps une discussion sur Rome. .J'ai obtenu qu'elle ne fùt pas soulevée avant le vote de l'adresse en France. Mais une fois que tous les Parlements de l'Europe auront discuté nos affaires, il serait ridicule que nous ne parlions pas nous memes (1).
L'affaire de Messine a bien fini. Cialdini a forcé la Citadelle à capituler avant l'arrivée du Messager du Roi François. Cela a permis au Roi de faire de la générosité, ce à quoi, je dois .}e dire, Cialdini l'a fort encouragé. Ce diable d'homme n'est féroce qu'en paroles.
Quant aux soldats réfugiés dans les Etats du Pape nous avons consenti à les ramener à Naples aux memes conditions que la garnison de Messine. Il me parait qu'il est impossible de pousser plus loin la générosité.
Il sera plus difficile de traiter la question du patrimoine privé du Roi de Naples à moins que S. M. s'engage à se tenir tranquille. Mais s'il prenait un engagement de la sorte, ce qui n'impliquerait pas une reconnaissance de sa part, je pense qu'on pourrait arriver à un arrangement raisonnable.
.J'espère que le Prince aura été satisfait de la phrase qui a été insérée dans l'adresse de la Chambre des Députés. .J'ai fait traduire son discours. Demain je lui en expédierai un exemplaire.
all'Imperatore (Q. R. Il, 319).
(l) Per mezzo d'un telegramm!l del. Vimercati dello stesso giorno (n. 304), 16 marzo, Thouvenel aveva pregato Cavour d1 agg10rnare la discussione della questione romana alle Camere italiane fino a che l'indirizzo del Corpo Legislativo francese non fosse presentato
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY,
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 309. Berlino, 16 marzo 1861.
J'ai reçu dans la nuit du 14 au 15 courant le télégramme qui m'annonçait que la Chambre des Députés avait adopté, à l'unanimité, le projet de loi qui confère à Notre Auguste Souverain le titre de Roi d'Italie. Sous le coup d'une vive et profonde émotion, je n'ai pas su résister au plaisir de transmettre, par le télégraphe, mes félicitations pour ce résultat des plus beaux et des mieux mérités, et prier V. E. de déposer mes hommages et l'expression de mon dévouement aux pieds de S. M. le Roi d'Italie.
Il est permis d'etre heureux et fier de servir sous un Roi et sous un Gouvernement qui assurent à notre patrie des bienfaits aussi considérables. Et quant à Vous, Monsieur le Comte, qui avez une si glorieuse part dans l'reuvre immense qui vient de s'accomplir, les expressions me font défaut pour Vous dire, comme je le voudrais, tout ce que j'éprouve dans cette circostance. Gràce a Votre génie et à Votre travail opiniàtre, notre beau pays a enfin cessé d'etre une simple dénomination géographique! Il a été donné à peu d'hommes d'Etat de traverser des jours pareils, où la grandeur est accompagnée d'autant de sagesse, et surtout de cette sagesse qui fait espérer la durée de ce qu'elle a accompli.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 310. Berlino, 16 marzo 1861.
J'ai fait visite hier au Baron de Schleinitz. Un télégramme du Comte Brassier lui avait déjà rapporté le vote de notre Chambre des Députés du 14 Mars. Il prévoyait ce résultat; mais il n'a pas moins remarqué l'unanimité des suffrages. La proclamation de ce grand acte ne changera rien aux relations entre les deux Etats. Elles continueront comme par le passé, tant que le Roi d'Italie ne sera pas reconnu. Le Cabinet de Berlin gardera une attitude expectante et d'observation. Il veut bien se rendre compte si le nouvel état de choses offre les conditions nécessaires à sa stabilité. Dans ce cas, nous obtiendrions de la Prusse une reconnaissance qu'il serait dés lors puérile de nous refuser. M. de Schleinitz préférerait toujours, si possible, que sur ce point il s'établit une entente préalable entre les Grandes Puissances. On pourrait, dit-il, à cet effet invoquer les protocoles d'Aix-la-Chapelle en 1818; les Plénipotentiaires des Souverains représentés dans ces Conférences avaient pris l'engagement de ne reconnaitre aucun nouveau titre sans s'etre concertés d'avance.
J'ai vainement cherché dans les documents publiés sur ces conférences une clause aussi explicite. Ne s'appliquait-elle pas d'ailleurs avant tout à la France? Et combien de fois n'y a-t-on pas dérogé?
V. E. saura que l'Angleterre a fait une démarche pour pressentir les dispositions des Puissances au sujet de la reconnaissance. Il est évident que la réponse du Cabinet de Berlin aura été conforme au langage que me tient
M. de Schleinitz.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 311. Berlino, 16 marzo 1861.
Dès son retour dans cette capitale, le Général de Bonin (l) m'a fait une visite pour m'exprimer combien il avait été touché et reconnaissant de l'excellent et cordial accueil qu'il avait reçu dans nos Etats. Il a été particulièrement sensible à l'exquise courtoisie et aux attentions dont il a été comblé par V. E.
D'après ses impressions, nous aurions de grandes difficultés à vaincre pour consolider le nouvel état de choses. D'un autre còté, il donnait beaucoup de poids à la déclaration de S. M., que nous ne négligerions rien pour cemserver la paix, et que, pour ce qui nous concernait, nous avions la confiance d'y réussir, le Gouvernement se sentant entièrement maitre des partis. Le Général de Bonin à rapporté cette déclaration à Son Souverain, qui s'en est montré satisfait, ainsi que cela m'a été confirmé hier par le Baron de Schleinitz.
Les dispositions à notre égard continuent à ètre timidement bienveillantes
dans les régions ministérielles, où l'on doit tenir compte des sentiments qui
règnent à la Cour. Il en résulte de certains accommodements. Ainsi le Comte
Perponcher n'a pas reçu de nouvelles lettres de créance auprès du Roi Fran
çois II, mais il a été chargé de remettre au Souverain déchu de Naples la
Croix du mérite militaire. Son représentant à Berlin, le Prince Carini, reste
officiellement à son poste, ce qui embarassera le Gouvernement Prussien le
jour où il serait enclin à reconnaitre le Royaume d'Italie.
En attendant nos adversaires cherchent à repandre l'inquiétude par les
récits les moins vraisemblables. Je n'en citerai qu'un seui:
Le chapelain de Berg, député, a été voir, il y a peu de jours, M. de
Schleinitz, pour lui confier un fait tout récent, inconnu peut-ètre de la diplo
matie, mais dont lui Berg avait été informé d'une manière très sure. Il existait
entre le Roi Victor Emmanuel et l'Empereur Napoléon un nouveau traité par
lequel:
l. L'Empereur nous promettait Rome et la Vénétie;
2. Le Roi s'engageait par contre à combattre pour la conquète de la rive gauche du Rhin, dans le cas où la Prusse voudrait s'opposer à l'annexion de Rome et de Venise.
M. de Schleinitz a révoqué en doute de semblables assertions.
M. -de Berg est ultramonta'in et démocrate, combinaison assez difficile à comprendre, puisque l'ultramontanisme est légitimiste à outrance. Mais peutetre fait-il flèche de tout bois. On raconte d'ailleurs que ce chapelain a l'ambition de faire carrière en Autriche.Quoiqu'il en soit, voilà les moyens qu'on emploie pour agir sur la Prusse. Le discours du Prince Napoléon, si remarquable par la franchise et l'énergie avec lesquelles il attaque les ennemis de notre cause, est également exploité pour semer la défiance.
Le Cabinet des Tuileries se loue beaucoup de l'attitude conciliante de la Prusse pour les affaires de la Syrie. C'est à elle qu'on doit en grande partie la transaction consistant à prolonger de trois mois la durée de l'occupation. Quant à la Pologne, on est assez généralement d'avis que· le Czar finira par accorder d'assez larges réformes, tout en demandant encore du tems pour n'avoir pas l'air de céder sous le coup des démonstrations de Varsovie. La conciliation est fortement prechée par la France, non sans un certain dépit de la part de l'Autriche et de la Prusse qui craignent de se voir à leur tour obligées à faire des concessions. Elles craignent d'ailleurs que la condescendance de l'Empereur Alexandre n'amène une entente entre le Russie et la France à propos de l'Orient.
Les rapports reçus ici au Ministère sur l'état des esprits dans la Turquie d'Europe, sont des plus alarmans. Les dépeches sur la Hongrie présentent les choses sous un meilleur aspect pour l'Autriche. Mais il faut accueillir avec beaucoup de réserve des appréciations qui viennent ou du Baron de Werther connu par ses opinions rétrogrades, ou du Comte Karolyi qui nécessairement ne parle que selon les ordres de son Gouvernement.
Il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 17 marzo 1861.
Le Parlement National vient de voter et le Roi a sanctionné la loi en vertu de laquelle S. M. Victor Emmanuel II assume, pour lui et pour ses successeurs, le titre de Roi d'Italie. La légalité constitutionelle a consacré ainsi l'ceuvre de justice et de réparation qui a rendu l'Italie à elle-meme.
Dès ce jour, l'Italie affirme hautement en face du monde sa propre existence. Le droit qui lui appartenait d'etre indépendante et libre, et qu'elle a soutenu sur les champs de bataille et dans les Conseils, elle le proclame solennellement aujourd'hui.
Ce grand fait a une importance qui sera facilement sentie, Monsieur le Marquis, dans le noble pays où voux résidez. L'Angleterre, qui a du et qui doit sa prospérité à l'application des memes principes qui nous guident, verra avec faveur, j'en suis convaincu, se constituer officiellement et se faire reconnaitre en Europe une nationalité à laquelle le peuple du Royaume Uni a montré de si généreuses sympathies.
J e vous prie, Monsieur le Marquis, de notifier à M. le Ministre des Affaires Etrangères de S. M. la Reine cet événement mémorable. Vous aurez, je n'en doute pas, autant de satisfaction à vous acquitter de cette haute commission que j'en éprouve en vous la confiant (1).
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(A. -S. T. Carte Cavour) L. -P. 54. Londra, 18 marzo 1861.J'ai reçu avec beaucoup de satisfaction le télégramme par lequel vous m'annoncez que les documens relatifs à la question de reconnaitre sont en route. Il était très nature! que vous ne remarquiez pas que les vacances de Paques sont imminentes et le secréta'i.re particulier de Lord Palmerston m'avait remarqué en passant qu'il était probable que l'opposition tenterait au mois d'Avril une forte attaque contre le Gouvernement. Les Ministres continuent à avoir confiance en leur astre. Mais de toutes manières la prévoyance et l'activité sont souvent d'une utilité évidente.
J'ai été trouver Lord John l'autre jour en recevant la dépeche par laquelle vous m'informiez de vos intentions à cet égard. Lord John me demanda de lire lui-meme ce document dont il se déclara satisfait et se réserva d'en parler à ses collègues.
Le lendemain il me renvoya cet office qu'il m'avait demandé la permission de garder et en meme tems il ajouta un billet dans les termes suivans: My dear Azeglio. I think the course proposed by count Cavour is the best. Namely to write an official letter to which I shall reply after having consulted the Cabinet and taken the Queen's pleasure. It will not be necessary that either you or Hudson should have new credential letters. Yours faithfully. J. RussELL.
L'ayant rencontré le lendemain il me dit s'etre mis d'accord avec Lord Palmerston qui en effet me répéta la meme chose. Dans ma conversation avec Lord John, il me dit qu'il s'était activement occupé de consulter les précédens et cita celui de Lord Malmesbury qui avait
La legge 17 marzo 1861 era pubblicata il giorno stesso, sulla Gazzetta Ufficiale, che per la prima volta, al titolo Gazzetta Ufficiale del Regno sostituiva quello di Gazzetta Ufficiale de! Regno d'Italia (n. 67).
reconnu l'Empire après avoir obtenu une déclaration maintenant l'observation des traités existant avant. Et dans ce but il m'engagea à vous presser de répondre à la Note par laquelle il demandait de certaines déclarations au moment où notre pays prenait une extension qui le mettait de fait au premier rang. Je lui dis que s'il voulait parler des traités de 1815 nous ne nous engagerions pas beaucoup en promettant de les observer ainsi qu'on l'a fait jusqu'ici. Mais il répondit que ce n'était pas précisément ceux là plus que les autres.
Quant à la question meme de la reconnaissance, je lui ai dit que des occasions publiques pouvant surgir d'un moment à l'autre où il faudrait adopter cette mesure, il me semblait peu croyable qu'ils veuillent par des délais inexplicables détruire tout le bon effet que la conduite du Cabinet Anglais avait produit en Italie. S'ils comptaient reconnaitre dans deux semaines, pourquoi pas alors dans une, pourquoi pas de suite[?] S'il y avait un banquet à la fete du Roi et que pour ne pas parler du Royaume d'Italie Hudson se sauve à Moncalier ou à Genes, serait-ce très digne, au lieu d'agir avec la franchise et le courage de leurs opinions. D'ailleurs ils voyaient comment on les traitait dans les Chambres françaises et il pouvait etre stlr qu'il donnerait Iieu à pas mal d'ironie si, après avoir tant aidé à son installation, ils hésitaient à reconnaitre le Royaume d'Italie. D'ailleurs, si l'Angleterre avait la chance qu'on lui laissait bénévolement de reconnaitre la première, ce qui causerait beaucoup de satisfaction en Italie, ce serait beaucoup de dabenaggine de leur part de n'en pas profiter.
J'aime à croire que ces raisonnements seront entrés pour quelque chose dans la marche que cette affaire me parait devoir suivre et qui parait très favorable.
Il me serait indispensable de savoir au plus tòt à quoi m'en tenir sur les changements à introduire dans les cachets offi.ciels. J e vous proposerais en meme temps de me les laisser faire ici de mon mieux et on pourrait s'en servir ensuite comme modèles à Turin.
Lord John m'a dit avoir augmenté les appointemens de Hudson qui reçoit maintenant cinq mille Iivres. J'en suis charmé pour lui mais en meme tems ceci prouve qu'en vous exprimant l'opinion que le Ministre du Roi devrait avoir cent vingt cinq mille francs ici cela n'aurait rien d'exagéré en tenant compte de la difference entre les deux Capitales.
La mort de la Duchesse de Kent a pris la Reine par surprise, car la veille
S. M. avait été jusqu'à cinq heures au jardin d'hiver et devait recevoir trente personnes à diner. Au reste les rapports entre la mère et la fille n'avaient jamais été très tendres.
Votre lettre du 4 m'est arrivée quoique un peu en retard et je vous en remercie.
Permettez moi de vous demander la permission de donner un passeport pour Florence a un profugo Romain le Sieur Nicolini. Il est ici depuis cinq ou six ans et a donné des leçons à plusieurs grandes familles qui me l'ont recomandé à plusieurs reprises. Les Shaftesbury surtout m'ont souvent reproché ma dureté à son égard. Mais tant que j'y ai cru voir des inconveniens j'ai stoi:quement fermé les oreilles à la voix de l'amitié. Maintenant je plaide pour lui parceque tout tend à éteindre ces divisions des tems passés et que ce
serait donner trop d'importance méme à un Sieur Nicolini que de le croire si important à écarter.
Au reste je crois réellement que c'est en tous cas un honnéte homme et qui brUle du désir de se rendre utile. Il ambitionnerait surtout de travailler à l'organisation de la Polke. Et peut étre pourrait-il réellement faire du bien. Voici du reste une lettre que j'en a'i reçu ce matin. Prenez-le je vous prie en benigna considerazione.
(1) Comunicazione analoga alle altre Legazioni. Con circolare del 20 marzo 1861 Cavour dava anche ai Consoli comunicazione della promulgata legge 17 marzo 1861 : c Il 17 corrente venne sancita e promulgata la legge, colla quale S. M. Vittorio Emanuele II assume per sè e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia. L'Italia, a cui le piùcivili nazioni diedero plauso ed appoggio nell'opera della sua politica ricostituzione, proclamando il fatto dell'indipendenza e dell'unità nazionale, recherà nel consorzio dei grandiStati di Europa un nuovo elemento di ordine, di equilibrio e di pace. Mentre il Governo del Re annunzia ufficialmente quest'atto solenne ai varii Stati, io ne rendo pure informata la S. V. Ill.ma perchè prenda il titolo di Console di S. M. il Re d'Italia, ed intesti nella stessa forma gli atti e le carte di codesto Ufficio. Il Ministero poi le farà pervenire prontamente i nuovi sigilli pel Consolato, e per le Delegazioni dipendenti, e la S. V. nel rimetterli ai vari Uffici avrà cura di ritirare tutti gli antichi, per ritornarli al Ministero colla primaoccasione favorevole, che le si presenti. Darà V. S. analoghe istruzioni ai Delegati posti sotto la di lei dipendenza, e mi segnerà ricevuta della presente circolare, informandomi del modo con cui si diede ad essa esecuzione, e delle cause che per avventura ritardassero la piena attuazione degli ordini avuti •.
L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 7. Lisbona, 18 marzo 1861.
J'ai reçu la dépéche télégraphique du 14 de ce mois et je remercie V. E. d'avoir bien voulu me communiquer l'heureuse nouvelle du vote unanime de la Chambre des Députés en faveur de la loi qui confère au Roi le titre de Roi d'Italie. En mème temps ce Ministère recevait l'intéressante nouvelle de la capitulation des forteresses de Messine et de Civitella.
En attendant les instructions, qu'il vous plaira, Monsieur le Comte, de m'envoyer d'après ce nouvel état de choses en Italie, je puis confirmer à V. E. ce que j'avais l'honneur de vous écrire dans une de mes précédentes dépéches sur les dispositions de ce Gouvernement à notre égard (1).
Le Portugal ne sera pas des premiers à reconnaitre le Royaume d'Italie, mais
il ne sera pas des derniers. Sa position n'est pas telle de pouvoir se prononcer
avant que quelque Puissance de premier ordre ne donne pas l'exemple. Mais
si l'Angleterre et la France nous reconnaissent, je n'ai aucune difficulté à assurer
que le Portugal nous reconnaitra aussi, surtout qu'ici on ne veut pas que l'on
croit que le Portugal est à la remorque de l'Espagne dans la question italienne.
Depuis ma dernière dépèche le Ministère traine avec beaucoup de difficulté son existence.
Après le vote du 9 de ce mois et le meeting du lendemain il y a eu une réunion des Députés dans laquelle le Ministére a demandé si l'opposition était disposée à l'appuyer dans deux ou trois lois d'intérét public qu'il voulait proposer. L'opposition, aprés avoir demandé 24 heures pour donner sa réponse,
ce terme expiré a décidé negativement. On croyait donc que la crise ministérielle était imminente. Quelques-autres jours se passèrent en pourparler et l'on citait déjà le nom du Maréchal Saldanha comme destiné pour une nouvelle combinaison Ministérielle à laquelle prendrait part M. Fontes, chef reconnu par toutes les fractions de l'opposition.
Aujourd'hui (18) c'ètait le jour destiné pour donner un échec au Cabinet actuel. Le Ministre des Finances, M. D'Avila, avait présenté la loi, déjà votée dans la Chambre des Paires, de la démortisation des biens des Couvens. Un député de l'opposition accusa le Ministère d'avoir présenté cette loi comme un guet-apens pour avoir un vote favorable de la Chambre sachant que l'opposition était d'accord avec lui sur cette question, tandis qu'il n'ignorait pas que l'opposition en majorité était prete à lui donner un vote de défiance. Un autre député de l'opposition, plus logique préferait que l'on proposait le vote de confiance. M. D'Avila par un discours brillant et très sensé défendit les actes du Ministère et il donna surtout du relief à plusieurs lois et à plusieurs travaux d'intéret public qui avaient été faits pendant sa courte administration et parmi eux la réduction des tarifs, la loi sur la démortisation, et il fit connaitre le bon effet qui en était suivi par le crédit public dans la hausse progressive des fonds publics. Il a fini son discours en disant que si des .autres hommes d'Etat croyaient pouvoir faire mieux et d'avantage le Ministère aurait volontiers cédé la piace.
L'opposition a vu que la discussion avait été portée sur un terrain qu'elle n'avait pas prévu et M. Fontes a pris la parole pour dire qu'il donnerait son vote pour la loi de la démortisation, mais qu'il était bien entendu et il le déclarait hautement que par cela il n'entendait nullement de lui donner un vote de confiance et qu'il se réservait de proposer ce vote à la première occasion.
En mème temps dans la Chambre des Paires devait avoir lieu l'interpellation au Ministre de l'Intérieur, Marquis de Loulé, faite par le Comte de Thomar, sur la question des Soeurs de Charité, proposant un vote de blàme contre le Ministère. Mais le Marquis de Ficalho, très bien posé en cour et appartenant au parti clérical, proposa un ajournement sous prétexte que quelques pièces manquaient encore et la question n'était pas suffisamment éclaircie. Cependant la véritable raison qui conseillait au Marquis cet ajournement était que dans ce moment d'agitation des esprits, et pendant une discussion orageuse dans l'autre Chambre, il n'était pas prudent que la crise Ministérielle fut provoquée par un vote du parti conservateur.
Voilà donc que le parti clérical, qu'il y a quelque temps n'existait pas
en Portugal, prend position dans la haute Chambre et je suis persuadé que
dans un tems plus ou moins long ce parti sera le seui qui représentera la
véritable opposition et si les libéraux continuent comm'à present à faire la
chasse aux porte feuilles et à se faire la guerre entr'eux, je ne serais pas étonné
que par un coup audacieux et chatouillant l'ambition et l'intérèt de quelques
membres infiuens de la Chambre des Députés, ce parti ne puisse un jour arriver
au pouvoir.
Le fait est que dans la Chambre des Députés l'opposition n'a pas un
programme plus libéral du Ministère actuel, elle n'a pas une administration prete pour substituer à celle qu'elle voudrait faire tomber et elle craigne d'arriver au pouvoir dans un moment d'agitation avec le lourd fardeau de mettre en activité les nouveaux impòts qu'ont été dernièrement reformés.
En vérité je n'ai pas pu arriver à me faire une idée assez juste et assez claire sur le but que l'opposition se propose par sa conduite dans le sens de l'intéret public. Seulement d'après un examen sur les changemens si fréquens de Ministère dans ces dernières années je crois de ne pas me tromper en disant que le Ministère dure depuis dix mois, et que se tems est assez long pour ne pas songer à la formation d'un nouveau Cabinet. Quoiqu'il en soit il sera toujours très diffic'ile à la nouvelle administration de remplacer M. D'Avila au Ministère des Finances, qu'il dirige avec beaucoup d'intelligence et surtout avec un travail très assidu, qualité très difficile à rencontrer en Portugal.
Il est enfin très regrettable que profitant de la faiblesse actuelle du Gouvernement on tache de préparer et organiser des émeutes dans différentes parties du Royaume. Les mots d'ordre sont déjà donnés à Oporto et Coimbra et dans quelques autres villes et il n'y a que envoyer un avis par télégraphe pour les faire éclater. L'on assure que le Due de Saldanha n'est pas étranger à cet état de choses et si le Ministère actuel ne se raffermit pas dans ces derniers jours il est possible que le Maréchal soit maitre de la position.
Telles sont, Monsieur le Comte, les dernières nouvelles les plus importantes. Toutefois la discussion d'aujourd'hui porte à croire que le Ministère Loulé-D'Av'ila n'a pas perdu toute chance de rester pour quelque tems encore au pouvoir.
(l) Nel rapporto 2 gennaio 1861 n. 2 lo stesso Ministro a Lisbona, accennando alla possibilità di uno scioglimento delle Cortes, aveva scritto, tra l'altro: c J'aimerais mieux quela Chambre actuelle reste, et qu'elle se trouve ouverte au moment où notre Parlement proclamerait le Royaume d'Italie. Je pense que la majorité de la Chambre qui est libérale, pourra faire entendre qu'elle est disposée d'appuyer une motion pour reconnaitre le nouvel état de choses en Italie. Il faut ajouter encore que toute la presse libérale ne manquera pas d'exercer par son autorité une grande influence sur l'opinion publique. J'ai donc tout lieu de croire qu'à peine l'Angleterre et la France ou seulement la première de ces Puissances reconnaitrait le Royaume d'Italie, l'opinion publique et le Parlement se déclareront tellement en notre faveur que le Gouvernement se verrà forcé à nous reconnaitre malgré lui, et pousser outre aux égards et aux difficultés qui pourraient lui conseiller à ne pas le faire par sa propre volonté. La proclamation du Royaume d'Italie étant un acte de la plus haute importance, je prie dès à présent V. E. et avec beaucoup d'insistance, de vouloir bien donner les ordres pour que l'on m'envoie régulièrement avec le journal officiel les actes du Parlement. n est très utile de faire connaitre ces actes dans un pays où l'on montre en général beaucoup de sympathie pour nous, et un grand intérèt pour les principes de liberté et de nationalité •.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1316)
L. P. 55. Londra, 19 marzo 1861.
Tout est allé au gré de mes désirs, aujourd'hui avec un bonheur rare, tout s'est rencontré à point nommé. Vos dépeches ne me sont parvenues qu'à 4 heures et à 6 j'avais réussi à trouver les deux Ministres, Lord Palmerston au moment où il allait à la Chambre des Communes, et Lord John aux Communes meme.
A la lecture de votre dépeche elle me parut excellente. Mais la première idée qui me vint d'abord fut que le plus sage [était] d'aller droit à Lord Palmerston, de lui parler comme à un ami et de lui expliquer à ce titre le service qu'il me rendrait en me disant avant que je n'aille chez Lord John, et sous le secret, s'il pensait qu'il y eut quelque chose à redire. Par un hasard providentiel il était encore chez lui. Il accueillit parfaitement mes ouvertures et après una audition attentive du document il me dit qu'il ne voyait pas ce qu'il y aurait à retrancher. Il parcourut également la note meme de Lord John et sur ma remarque sur son acreté il me dit que les remarques sur le suffrage universel avaient trait à Nice et à la Savoie. Ce qui ensuite fut très heureux pour moi
ce fut de pouvoir rassurer Lord Palmerston quant aux combinaisons sur l'ile de Sardaigne. Car, ainsi que je vous le mandais dans ma dépeche, cela aurait pu nous jouer quelque mauvais tour. Il en parut très satisfait lui-meme. Je courus de là au Foreign Office et puis aux Communes où à force de persévérance active je parvins au moyen de W. Cowper et d'Ellis à débusquer Lord John qui me reçut très gracieusement. J'avais prete pour lui une ruse de guerre, consistant à vous faire passer comme tellement pénétré de l'austrianisme de Lord John, que réellement vous appréhendiez que la moindre réflexion lui irait au coeur. De cette façon cela lui faisait craindre une rédaction beaucoup plus forte et en découvrant son erreur cela le rendrait honteux de la réputation dont il jouissait. D'ailleurs j'eus soin de lui lire tous les passages pacifiques et rassurants de votre lettre particulière. Ainsi préparé je lui donnai la dépeche qu'il préféra lire lui-meme, et en attendis patiemment l'issue. Lord John lut et plia le papier, le mit en poche, en disant à plusieurs repries: Very good dispatch. Very good indeed. Il ajouta que Hudson lui en avait écrit des éloges et que moi-meme je lui donnais une entière approbation, il n'y avait rien à redire. Je lui dis que la seconde partie de ma visite aurait trait à la participation officielle du titre et je le priai de lire attentivement l'autre dépeche et de voir s'il objecterait à quelque expression. Il la lut et relut deux fois et me dit qu'il ne trouvait rien à changer et que j'aurais à lui en faire la communication demain.
L'ABATE PASSAGLIA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 330)
L. P. Roma, 19 marzo 1861.
Sabbato 16 del corrente ad un'ora e mezza pomeridiana mi recai, secondo il convenuto, dal Card. Antonelli. Dopo brevi e vereconde parole, colle quali gli ebbi significate le parti affidatemi dal Governo del Re, soggiunsi che mi riusciva gratissimo e di felice augurio il dovere iniziare il trattato con Sua Eminenza, che sì profondamente conosceva, e si equamente apprezzava non meno il solido bene della Chiesa e della S. Sede, che della comune patria Italia. La risposta del Cardinale a questo mio esordio in cui mi era studiato di accoppiare l'insinuazione colla modestia, fu oltre ogni credere concitata ed aspra. Imperocché con tuono di voce alto anzi che nò replicommi: sembrargli impossibile di venire a trattati. E qui con discorso enfatico e disordinato mi schierò sotto gli occhi tutto l'adoperato dal Governo del Re, secondo che egli diceva, contro i diritti più santi della Chiesa: Vescovi e Cardinali esiliati, Ordini religiosi disciolti, beni ecclesiastici incamerati, Concordati rescissi, archivii violati, stampe irreligiose, favore prestato agli eterodossi, insegnamento erroneo; in somma, guerra molteplice e furibonda contro le cose, le persone ed il ministero della Chiesa. D'onde, concluse: non veder esso via aperta ad un conveniente trattare.
Diedi opera a calmarlo, parte diminuendo i mali da Sua Eminenza ricordati, parte ascrivendoli anzi all'acerbità delle circostanze, che agl'intendimenti del Governo del Re, parte confessandoli e chiedendone perdono; parte avvertendo
che in tutti i grandi mutamenti sociali e politici si è sempre fatto il somigliante e peggio, e pal"te riflettendo che però dal Governo del Re si proponeva di trattare, perchè si voleva por fine ai disordini.
Mi negò che tale potesse supporsi la mente del Governo del Re, il quale Governo, se avesse sinceramente amato di pacificarsi colla S. Sede, non l'avrebbe sino alla vigilia inasprita ed offesa. Eppure, ripresi a dire, io son convinto di queste buone disposizioni del Governo del Re, né la mia convinzione è leggera, ma fondata su di saldi argomenti, quali raccolgo non meno dalle ripetute assicurazioni del Ministro degli affari esteri e dal giudicio di gravissimi personaggi, che dai più vitali interessi nazionali ed internazionali, i quali richieggono che il Governo del Re tratti lealmente.
Ed egli a me: no, Professore, non si può trattare. Udite per la seconda e per la terza volta queste parole, credetti di mutar volto e linguaggio, e senza più con serietà ripigliai: il ripetermisi da V. E. che non si può trattare, può intendersi in due modi, o che si rifiuta generalmente ogni trattato qualunque esso siasi, o che si rifiuta specialmente il trattare di certe materie e di certi oggetti. Io non penso che V. E. parli nel primo senso; ché il rifiutare generalmente ogn'i trattato non meno è contrario ad ogni giure, che alle iterate risposte di Sua Beatitudine e di V. E., colle quali è stato significato che la S. Sede non ricusa di trattare. Interrompendomi qui con veemenza il Cardinale mi rispose: non riputare egli che si ricusasse generalmente di trattare, ma che si ricusasse di trattare to) del poter temporale, e 2o) di qualunque altro negozio non appartenente agli Stati ereditarii del Re ed alla Lombardia. Del resto, che avrebbe interrogato il S. Padre, e ne avrebbe udito l'oracolo.
A questo punto fu annunziato il Ministro di Polizia, Mons. Matteucci, al quale annunzio avendo il Cardinale risposto che gli si significasse di attendere, ripigliò: e poi quali persone ha destinate il Governo del Re per trattare? Eminenza, gli soggiunsi, se io dispiaccio o sono men grato, vi si provvederà incontanente. Ed egli: non si tratta di Lei, ma del Dott. Pantaleoni, che il Papa vuol fuori Roma. Mi apparecchiava a rispondere, quando fu annunziato il Card. De Pietro. Allora S. E. avendomi ripetuto che udirebbe Sua Santità, mi aggiunse che egli medesimo mi avrebbe presso sé richiamato probabilmente Lunedì. Il Lunedì ed il Martedì sono scorsi, ed io per anco non sono stato richiamato.
È questa la sincera esposizione del dialogo tra S. E. il Card. Antonelli ed il sottoscritto.
CIRCOLARE TELEGRAFICA DEL SEGRETARIO GENERALE DEGLI ESTERI, CARUTTI, ALLE LEGAZIONI ALL'ESTERO
Torino, 20 marzo 1861.
Par suite de la proclamation du Royaume d'Italie, croyant qu'il est nécessaire que des hommes politiques de l'Italie méridionale entrent dans le Cabinet, les Ministres ont donné leur démission et ont prié le Roi de former une nouvelle administration.
Il est probable que le Comte de Cavour soit chargé par S. M. de former le nouveau Ministère.
Il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR,
AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 20 marzo 1861.
Comme je l'ai déjà déclaré à M. Brassier de St. Simon et à vous, le Gouvernement du Roi désire se mettre d'accord avec le Gouvernement Prussien au sujet de la reconnaissance du Royaume d'Italie, en faisant la part des circostances qui pourraient rendre embarrassante pour lui une mise en demeure de se prononcer. Pleins de confiance dans la loyauté et la sagesse du Cabinet de Berlin, nous ne le pressons point de faire à ce sujet une démarche immédiate, persuadés qu'il est le meilleur juge dans la question de savoir dans quelles limites et jusqu'à quel terme la prudence exigée par sa position doit faire taire les sentiments par lesquels il répond sans doute aux nòtres. La consécration récente par les deux Chambres du titre assumé par le Roi, a donné aux grands faits qui ont changé la face des choses en Italie la sanction de la légalité constitutionelle; ainsi la justice du Gouvernement Prussien se trouve aujourd'hui non moins interessée que sa bienveillance à ce qu'il prenne une résolution que, dès lors, les convenances nous dispensent de rien faire pour hàter de sa part.
Pour tout concilier, en attendant, il y aurait, selon nous, un expédient plus simple; ce serait que le Gouvernement Prussien, dans ses communications avec notre représentant à Berlin, se bornat à la suscription ou adresse «à Monsieur le Comte de Launay», sans y ajouter aucune qualification, tandis que notre Ministre prendrait, dans ses rapports avec lé Cabinet Prussien, le titre de Ministre du Roi d'Italie. Ce Cabinet en effet ne pourra manquer de sentir, Monsieur le Comte, qu'aujourd'hui la qualification de Ministre du Roi de Sardaigne ne peut plus etre portée par un représentant du Gouvernement de S. M. Elle ne répondrait en rien à un ordre de choses tout différent et consacré avec toute la solennité et la régularité possibles. Les relations réciproques pourraient etre continuées ainsi tant que le Gouvernement Prussien croirait voir trop d'inconvénients à reconnaitre formellement le nouveau Royaume. En meme temps que nous croyons donner de la sorte au Gouvernement Prussien une marque du haut prix que nous attachons à son amitié, nous ne pensons pas nous flatter d'une vaine confiance en nous remettant à sa généreuse franchise du soin de donner bientòt un caractère plus ouvert à ses rapports avec un Royaume dont l'existence désormais n'à plus rien d'incertain, et qui, en faisant disparaitre des causes de mécontentement et de troubles, offre à l'Europe un nouvel élément d'ordre, de tranquillité et d'équilibre.
Je vous invite, Monsieur le Comte, à entretenir dans ce sens M. le Baron de Schleinitz.
IL MINISTRO A BERNA, JOCTEAU, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Annesso cifrato al) R. 342. Berna, 20 marzo 1861 (per. il 22).
Il parait y avoir dans le Conseil Fédéral un parti qui proposerait de laisser sans réponse, temporainement du moins jusqu'à ce qu'on connaisse la résolution de quelque Grande Puissance, la notification qui lui serait faite du titre de Roi d'Italie, par la raison que la Suisse, pays neutre, ne doit pas ètre la première à le reconnaitre. Je combattrai ce raisonnement, mais je dois prévenir V. E., je crains qu'un malheureux article de la Gazette Militaire de Turin du onze mars ne nuise au résultat désiré (1).
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 337)
L. P. Parigi, 15-20 marzo 1861.
Le Général Cigala m'a remis votre lettre dont je vous remercie. La brochure de M. Perego (2) sera remise ce soir à l'Empereur et la décorat'ion pour
M. Cavagneri sera envoyée au Prince Louis Lucien à Londres. Jamais décoration n'à été plus mal placée, permettez-moi da vous le dire. M. Cavagneri est un homme tellement terré qu'il n'est pas meme reçu aux Tuileries. Je comprends que V. E. aura accédé aux instances du Prince auxquelles il aurait été difficile de résister.
Conformément à vos ordres, Monsieur le Comte, j'ai donné communication à M. Thouvenel de la lettre du P. Passaglia (3).
Le contraste qui existe entre les renseignements que vous me faites l'honneur de m'envoyer et ceux que le Due de Gramont envoie de Rome a singulièrement frappé le Ministre.
M. Thouvenel fait des vreux ardents pour notre réussite et donne à cette dernière lettre une très grande importance dans le sens qu'elle annonce que le
P. Passaglia espère faire partager à la congrégation de Théologiens présidée par le Cardinal Santucci son opinion favorable aux propositions projetées par le Cabinet de Turin.
L'Empereur, à qui M. Thouvenel n'a pas manqué de rendre compte de la lettre en question, lui donne aussi une certaine importance. S. M. insiste pour que vous tàchiez d'obtenir la coopération du Cardinal Antonelli qu'on vous fait espérer.
Il 26 marzo 1861 Cavour annunziando allo Jocteau a Berna che la Gazzetta Militare aveva spontaneamente rettificato la frase che aveva prodotto spiacevole impressione in !svizzera, assicurava che, del resto, quel periodico non aveva alcun carattere ufficiale, onde soggiungeva -• U lui est permis d'ètre absurde à ses risques et périls •.
Q. -R., II, 261. M. -de Persigny, poussé par l'opposition cléricale et légitim'iste, est on ne peut plus monté; à son avis l'Empereur ne doit pas rester plus longtemps dans une position équivoque vis-à-vis de la Cour de Rome. Le Ministre de l'Intérieur espère trouver une solution possible; il m'a parlé confusément d'un projet qui se rapprocherait de celui de M. Thouvenel dont j'ai déjà rendu compte à V. E. Le titre de Vicaire du St. Siège jouerait un grand ròle dans ce projet qui manque de conclusion comme tout ce que l'on a proposé et qu'on proposera, qui ne soit pas fondé sur la base de séparation absolue entre l'Eglise et l'Etat. V. -E. est trop convaincue de la nécessité de pousser activement les négociations entamées pour que j'aie à vous répéter toutes les instances qu'on me charge de vous faire à ce sujet.L'Empereur, MM. Thouvenel, Persigny, Benedetti, tous viennent à la charge pour vous presser, pour vous harceler; on dirait que les soldats français qui sont à Rome doivent entrainer la ruine de la France.
Le Prince Napoléon, qui est dans un de ses bons moments, mème dans ses relations avec l'Empereur, croit que le Roi et vous, Monsieur le Comte, vous ne soyez pas bien décidés à quitter Turin. Il pense que vous désirez gagner du temps, car il vous en coute trop de quitter vos habitudes devenues une seconde nature, et d'arracher à votre ville les avantages de la Capitale.
On parle de la brochure d'Azeglio (l); je ne l'ai pas vue. M. Thouvenel m'en a parlé en m'en faisant de grands éloges, ce que je regrette beaucoup, car l'idée de piacer la Capitale de l'Italie à Florence était déja la marotte de M. Thouvenel et mème de l'Empereur qui voient dans cela un moyen pour diminuer l'importance de la question papale. Il me semble qu'Azeglio n'a pas été bien inspiré en faisant cette publication dans un moment, où la nécessité d'avoir Rome pour Capitale du Royaume Italien avait fait de si grands progrès mème dans l'esprit des personnes qui combattent la politique impériale dans les affaires d'ltalie.
Dans votre avant dernière lettre vous me parliez de l'utilité qu'il y aurait à ce que le Gouvernement Impérial usàt de son influence pour faire éloigner de Rome le Roi de Naples.
Par ma lettre d'hier, je vous ai déjà répondu à cet égard et maintenant je puis ajouter que M. Thouvenel a nouvellement envoyé à M. le Due de Gramont l'ordre de renouveler ses instances auprès de François II pour obtenir son éloignement.
Mais en mème tems permettez-moi, Monsieur le Comte, de vous rappeler les instances de M. Thouvenel faites au nom de l'Empereur pour que le Gouvernement du Roi aille assez largement en ce qui concerne les demandes du Roi de Naples pour le patrimoine privé de sa famille. Je suis obligé d'insister à ce sujet car M. Thouvenel m'a dit que l'Empereur lui en avait encore parlé. On ne dirait pas que c'est S. M. l. qui a confisqué les biens des Orléans.
Le bruit a couru que M. de la Guéronnière va publier une nouvelle brochure qui propose de partager l'Italie en trois royaumes. C'est un de ces canards que mettent en circulation les sénateurs et députés de la droite pour prouver que leur opposition a impressionné le Gouvernement. Comme appendice à cette
4 ·Documenti dit•lomdtici -Serie I-Vol. I
nouvelle prétendue combinaison et comme un commencement d'exécution on a
aussi dit que l'Empereur avait écrit au Roi de Naples une lettre pour lui con
seiller de rester à Rome, François II devant etre, bien entendu, un des porteurs
de ces trois couronnes italiennes. Heureusement j'ai vu moi-meme la lettre con
fidentielle de Gramont mentionnée plus haut.
Encore une autre histoire.
Les memes auteurs du canard ci-dessus tachent d'effrayer le monde en disant que l'Empereur va incessamment appeler M. E. Olliv'ier au Ministère, ce qui prouverait, selon eux, que S. M. veut se jeter tete première dans les rangs des républicains purs. On mele à cela l'éternel grief contre M. de Persigny d'avoir fait répandre à pleines mains le discours du Prince Napoléon dans les départements.
Plaisanterie à part il est siìr que S. M. se trouve, en ce moment, plus rapprochée de MM. J. Favre et E. Ollivier que de MM. de Larochejaquelein et Keller.
L'Empereur parlant l'autre jour à M. de Boissy Sénateur, lui disait: c: eh bien, Monsieur, vous etes donc toujours le meme; on en revient toujours à ses premières amours :..
C'est le portrait de la société française, ayant un esprit antipolitique s'il en fut, s'accordant pour détruire, jamais pour réédifier ou conserver.
Le peuple est franchement pour l'Empereur et pour sa politique. L'armée, partagée en deux camps dans la questione italienne qu'elle ne juge que d'après de vieux préjugés, est unanime à soutenir l'Empereur et le suivre sans discuter, ayant toute confiance en Lui.
Des ordres sont donnés pour changer plusieurs préfets dans les Provinces, et après la présentation de l'adresse M. de Persigny va s'occuper de suìte du remplacement de plusieurs fonctionnaires publics, pour pouvoir faire de nouvelles élections avec chance qu'elles soient moins mauvaises, car tous les partis sont plus ou moins représentés au Sénat et au Corps Législatif, excepté le parti Napoléonien qu'il sera difficile de relever, n'existant réellement que dans le peuple des villes et des campagnes.
J'ai fait demander à l'Empereur s'il voulait recevoir Klapka. Il m'a fait dire de le mettre en rapport avec Conneau et que dans ce moment, il croyait plus prudent d'ajourner sa réception. Conneau m'a aussi dit au nom de l'Empereur de ne pas parler au Prince Napoléon des affaires de Hongrie, mais de lui faire tout savoir par l'intermédiaire du Docteur.
En me remettant la lettre de Mazzini, Conneau m'a bien recommandé de vous dire, Monsieur le Comte, de garder le plus grand secret sur la manière dont elle vous sera parvenue. S. M. semble tenir beaucoup et avec raison, à ce que l'on ignore qu'un de ses agents est attaché à Mazzini, le suivant et révélant toutes ses démarches.
Les affaires de Pologne ont une gravité que je crois important de signaler à V. E.
Elles pourraient se rattacher aux mécontentements de l'Empire Russe luimeme et M. de Kisseleff en est très inquiet. Il a envoyé par l'intermediaire de la Princesse Mathilde plusieurs lettres à l'Empereur, qui l'a vu deux fois ces
jours-ci. La Princesse m'a dit que les craintes de l'Ambassadeur de Russie ne sont pas autant pour le moment mais pour l'avenir.
En Prusse les affaires ne vont guère mieux. La lutte entre la Chambre haute et celle des députés, le parti unitarie allemand qui se remue, l'incapacité et l'indécision du Roi, tout enfin fait espérer qu'ils auront assez de quoi s'occuper chez eux et qu'ils nous laisseront faire nos affaires. Ici le Comte de Pourtalès ne cache pas ses sympathies pour notre cause.
18 mars.
Je viens de voir M. Thouvenel. Je l'ai trouvé animé d'intentions beaucoup meilleures pour la reconnaissance du titre du Roi et la reprise des relations diplomatiques.
Tout en insistant pour renvoyer tout arrangement provisoire jusqu'à la présentation de l'adresse du Corps Législatif, il m'a longuement questionné sur !es 1ntentions clu Cabinet de Turin au sujet de la manière dont il compte procéder pour faire arriver à l'Empereur la notification officielle du nouveau titre.
Sur ma réponse que je l'ignorais complètement puisque vous vous étiez borné à me donner des instructions sur le moyen terme dont je venais de lui parler, M. Thouvenel me dit qu'à son avis la marche à suivre devrait ètre la suivante:
Quand vous aurez l'assurance que l'Empereur lui fera un bon accueil, le Roi devra écrire une lettre très aimable à S. M. en ine chargeant de la lui remettre. Dans cette lettre S. M. devra annoncer à l'Empereur son intention d'envoyer un de ses aides-de-camp en mission extraordinaire pour lui annoncer le nouveau titre qu'il vient d'assumer. A cette mission il sera répondu par une autre mission qui ira complimenter le Roi et c'est après cette dernière cérémonie que les deux Ambassadeurs partiraient le mème jour de Turin et de Paris.
J'ai lieu de croire que ce projet que M. Thouvenel vient de me tracer est la suite d'une conversation qu'il a eue avec l'Empereur, car elle concorde avec ce que M. Fleury m'avait dit la semaine dernière qu''il tenait de l'Empereur.
Vous voyez, Monsieur le Comte, qu'on n'aura pas meme besoin d'une solution de la question romaine, si celle-ci menaçait de trainer en longueur.
M. Thouvenel m'a encore parlé de son vif désir d'aUer Ambassadeur en Italie. Mais je crains, a-t-il ajouté, de ne pouvoir me débarrasser de la chaine qui m'attache ici et qui me pèse bien lourdement.
Ayant ensuite demandé au Ministre sur qui se portait son choix au cas où lui-mème ne pourrait obtenir cette destination, il m'a confirmé que c'était sur le Marquis de La Valette. « Dans ce cas vous direz à M. de Cavour que c'est là un véritable cadeau que je lui fais ». Puis il me demanda à son tour si c'était toujours M. Nigra qui était destiné à Paris; à ma réponse affirmative, le Ministre en a témoigné le plus grand plaisir et il a ajouté: « Quand vous l'aurez laissé quelque tems à Paris comme Ambassadeur, M. de Cavour pourra faire de lui un très bon ministre des Affaires étrangères, car il aura acquis beaucoup d'expérience et il viendra d'avoir occupé une grande position à Paris. Au reste l'Empereur désire M. Nigra et on aurait tort d'envoyer tout autre personnage que lu1. Si cela ne pouvait pas s'arranger faites sentir à M. de Cavour de ne pas nous envoyer des Villamarina, ni des hommes moulés sur le modèle de
M. Desambrois ».
J'ai parlé pour M. Pantaleoni. Le Ministre écrira à M. de Gramont, mais il ne croit pas à un succès. Trois autres recommandations de ce genre ont complètement échoué.
M. de La Gueronnière devait publier una réponse au Cardinal Antonelli, dans laquelle il y avait la conclusion que la ville de Rome devait renfermer le Pape et le Roi d'Italie. Cette publicat'ion a été suspendue.
J'ai communiqué à M. Thouvenel ce que vous m'avez mandé sur l'agent de Mazzini à Rome, et sur le dépòt d'armes près Albano. S. E. m'a chargé de vous demander le nom de cet agent.
Le Prince Napoléon vous remercie de la traduction de son discours et de la phrase insérée dans l'adresse de la Chambre.
S. A. travaille beaucoup en notre faveur, et depuis quelque temps il est meme assez écouté aux Tuileries.
On parle beaucoup de la dissolution du Corp Législatif. Je crois qu'elle n'aura pas lieu avant le remplacement de plusieurs préfets que je vous annonce plus haut.
Le Prince Napoléon vous demande par la lettre ci-jointe de son secrétaire, une réponse relativement à la nomination de M. de Lapeyrière.
Je regrette de devoir revenir sur la demande de la petite plaque de St. Maurice pour M. de St. Paul. Vous comprendrez que ce n'est pas pour mon plaisir que j'insiste là-dessus. Mais c'est que Persigny m'en a encore parlé hier avec instances.
19 mars.
J'ai donné par ècrit communicat'ion à M. Thouvenel de votre projet de reconnaissance provisoire. La pensée que l'exemple de la France puisse faire accepter à Berlin le meme arrangement a exercé sur M. Thouvenel una bonne influence. Conneau doit avoir ce matin préparé l'Empereur et j'espère pouvoir faire revenir le Ministre des affaires étrangères de son projet de n'accorder meme tacitement, aucune reconnaissance du royaume d'Italie, avant la présentation de l'adresse du Corps Législatif.
Mille cancans circulent dans les salons, les uns plus ridicules que les autres. On parle d'un revirement dans la politique impériale du à l'influence des dames de la Cour. Inutile de vous assurer qu'il n'en est rien.
Je quitte à l'instant La Gueronnière à qui on a positivement défendu toute
publication en réponse au Cardinal Antonelli.
M. Thouvenel lui meme s'y est fortement opposé ne voulant pas que des articles de journaux ayant un caractère officiel ou semi-officiel viennent discuter et proposer des solutions qui sont du ressort de son ministère seui.
On parle du départ du Général Trochu pour Rome avec 6/m hommes. Je n'en crois rien. Trochu est papalin et, au fond, orléaniste. Quoique dévoué à l'Empereur, il appartient, dans l'armée, au parti des mécontents. Etant son ami, j'ai été pour le voir et ne l'ayant pas trouvé chez lui, je lui ai donné rendezvous pour demain pour éclaircir cette affaire.
M. Thouvenel m'a fait l'ire une lettre de M. de La Vallette, où il lui parle de la conduite ignoble de Sir Bulwer à l'occasion de l'incendie de notre Légation. c: Durando, dit La Vallette, en est justement indigné ». La lettre n'en dit pas davantage.
J'attends depuis plusiers jours une occasion siìre pour vous envoyer, avec cette lettre qui devient un volume, celle si intéressante de Mazzini.
20 mars.
Hier au soir j'ai causé longuement avec M. de Persigny. Il me charge de vous dire qu'il est le seui parmi les Ministres qui ose soutenir vis-à-vis de l'Empereur la possibilité de l'unité italienne à la condition que Rome soit la capitale du nouveau Royaume. Pour lui, arriver à Rome c'est tout; les autres questions sont secondaires. Il m'a de nouveau promis d'employer toute son infiuence pour tenir l'Empereur tranquille afin que rien ne soit précipité dans cette grave question, tant que vous aurez l'espoir d'une chance de succès dans vos négociations. Dès que vous serez convaincu qu'elles ne pourront aboutir à rien, Persigny poussera l'Empereur à mettre en avant le projet que lui, Persigny, doit avoir proposé à S. M. 1., et dont la base est toujours le titre de Roi d'Italie et de Vicaire du St. Siège.
Le Ministre de l'Intérieur croit avoir trouvé par là un moyen d'abolir de fait le pouvoir temporel sans demander une renonciation formelle au St. Père.
Il m'a bien recommandé de ne pas dire un mot de son projet, car c'est un secret entre lui et l'Empereur. Alors j'ai cru devoir mettre ma responsabilité à l'abri de toute indiscrétion en lui disant que M. Thouvenel m'avait parlé d'un projet à peu près dans les mèmes termes. Persigny me dit alors: «J e suis très faché que l'Empereur ait commis cette indiscrétion, car il m'avait promis de ne rien dire à personne, tant que ce projet qui n'est qu'ébauché ne fiìt étudié et rendu praticable par les conseils mèmes de M. de Cavour».
J'ai assuré M. de Pers'igny que quant à moi je n'aurais pas soufHé mot et que, quant à M. Thouvenel, il mettait trop d'interèt à un arrangement pour qu'on puisse craindre que S. E. refuse d'agir de commun accord.
L'Empereur est très pressé d'en venir à une conclusion, et c'est avec peine qu'il voit passer les jours et les mois sans que la position puisse seulement se dessiner.
Il est bien facheux que le trop prudent rosminìen ait été éloigné de Rome. L'exil de Pantaleoni et l'allocution du Pape ne sont pas faits pour nous promettre que S. S. soit pour revenir à de meilleures dispositions.
L'Empereur m'a fait dire hier au soir par Conneau que c'est sur le Cardinal Antonelli qu'il faut agir.
Depuis longtemps l'Empereur, le Prince Napoléon, M. Thouvenel et tous ceux qui nous portent de l'intérèt ne font que me répéter que nos affaires de Naples et de Sicile vont de mal en pire. Je n'ai jamais voulu rien vous en écrire, Monsieur le Comte, sachant qu'au milieu de vos graves occupations ce n'était pas consolant de venir vous signaler des difficultés que vous connaissez mieux que tout autre.
Mais les choses en sont désormais à tel point que, réellement, un plus long
silence de ma part serait coupable.
C'est au point de vue de l'infiuence, que ces discordes des provinces du midi
exercent sur la politique du Gouvernement Impérial non seulement, mais de
tous le Cabinets d'Europe, que je crois devoir appeler toute votre attention sur ce douloureux sujet, qui, meme dans la question romaine, fait sentir ses fàcheux reflets.
Pourquoi M. Minghetti qui a tant d'influence sur toute la famille de Tattini a-t-il laissé venir cet imbécile à Paris? Ses jaseries chez les Murat et son embarras quand on le questionne sur la condition intérieure des provinces méridionales nous font beaucoup de mal. V. E. connait trop bien ce pays pour n'avoir pas de peine à croire qu'un imbécile meme avec les meilleures intentions peut faire un mal immense.
Je ne voudrais pas qu'ici on finit par faire retomber sur ce pauvre Nigra la responsabilité de ces malheureuses dissensions napolitaines. Vous savez qu'on saisit avec bonheur un nom connu pour l'amoindrir à dessein.
D'autre part vous savez aussi qu'il est trop nécessaire de lui conserver intacte la position que Nigra s'est crée ici par son talent.
Si Lamarmora entendait ce qu'on dit à Paris, l'envie lui passerait de faire des interpellations. Il faudrait que tous vos députés comprennent qu'il est bon de !aver son linge en famille.
Je ne suis pas alarmiste, mais je dois vous dire franchement que notre position à Paris n'est pas brillante. On viendra à bout de tout, mais il faut que chacun y mette du sien.
Je vous prie de faire remettre la lettre ci-jointe au Roi, dans laquelle je réponds à la demande qu'il m'adresse sur la possibilité d'une attaque de la part de l'Autriche, chose à laquelle je ne crois pas. Je me permets en meme tems de conseiller à S. M. d'user de toute son influence sur Garibaldi pour le tenir dans les limites de la prudence.
J'ai été chez le Général Trochu; il ne sait rien de son départ pour Rome. J'en ai parlé à Fleury, qui pense que si on devait envoyer quelqu'un remplacer Goyon, ce serait plutOt sur le Général Ladmirault que le choix tomberait. Au reste on n'a pas l'intention d'augmenter la garnison de Rome, mais plutot d'y envoyer un homme qui soit plus dans les idées de S. M. I.
Klapka est de retour; il m'a fait dire qu'il est malade; je le verrai donc plus tard.
Les Affaires d'Orient deviennent chaque jour plus graves; les troubles de l'Erzégovine, de la Bosnie et du Montenegro prennent des proportions toujours plus vastes. L'Empereur en est, comme vous pouvez le penser, enchanté.
Sachant que Garibaldi doit etre à Turin après demain et n'ayant ce soir aucune occas'ion je me décide à vous envoyer par M. Perrod la lettre de Mazzini.
J'espère que M. Perrod pourra me porter à son retour cette malheureuse petite plaque pour M. de St. Paul. Persigny m'en a encore parlé hier au soir pour la vingtième fois. Si vous ne croyez pas pouvoir concéder cette décoration, veuillez m'envoyer un non tranché, pour que je puisse me débarrasser de ces continuelles instances.
Ci-jointe une lettre que je vous prie de vouloir bien faire remettre à Castelli.
(l) La Gazzetta Militare di Torino, nel suo numero dell'll marzo 1861, in un articolo intitolato Nuovo equi!ibrio europeo, segnato R. B., aveva prospettato la possibilità che, c esistendo fortemente costituita l'Italia •, si addivenisse, d'accordo con la Francia e l'Austria, ad una divisione della Svizzera • in tre bocconi quasi uguali, accordando tutta quella parteche è al di qua delle Alpi e che è italiana, all'Italia, la parte occidentale alla Francia, la orientale all'Austria •• per modo che c la Svizzera non ritornerebbe ad essere che una vera espressione geografica •. Sulle proteste suscitate in !svizzera da questo articolo e da • manifestazioni annessioniste per U Canton Ticino, fatte a Como ed accennate con simpatia da giornali italiani •, v. A. COMANDINI, L'Italia nei cento anni, Milano 1900-1942, alla data 18 marzo 1861. Nel numero del 25 marzo 1861 la Gazzetta Militare pubblicò una dichiarazione affermando contraria al pensiero del giornale l'interpretazione data all'articolo dell'H marzo come di «una minaccia indiretta contro la generosa nazione •, ecc.
(2) -Si tratta dell'opuscolo di P. PEREGO, L'Italia al cospetto dell'Europa, Verona 1861. La lettera del Cavour, alla quale il Vimercati risponde, è in Q. R. II, 313. (3) -Allude alla lettera dell'abate Passaglia al Cavour del 23 febbraio 1861, edita in(l) Allude all'opuscolo di M. n'AZEGLIO, Questioni urgenti, Firenze 1861.
Il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR,
AL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 21 marzo 1861.
Je m'empresse de vous envoyer copie de la réponse que je viens de faire à une Note que le Gouvernement Anglais m'avait adressée dans les derniers jours du mois de Janvier. Veuillez en donner officieusement com:Ìaissance à M. Thouvenel.
Dans la meme occasion vous pourrez faire connaìtre incidemment à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères, que le Gouvernement du Roi espère que l'Angleterre ne tardera pas à reconnaitre formellement le nouveau Royaume d'Italie. Vous ajouterez que je désire ardemment que le Gouvernement de l'Empereur prenne la meme décision, mais que je connais trop la réserve que l'Empereur s'est toujours imposée pour faire directement des démarches à ce sujet. Tout en laissant donc M. Thouvenel juge absolu de décider ce qu'il convient au Gouvernement Français de faire actuellement, vous vous bornerez à lui proposer d'adopter un système qui, sans impliquer une reconnaissance formelle, permettrait aux deux Gouvernements de maintenir provisoirement leurs relations. Ainsi vous pourriez, Monsieur le Comte, adresser à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères vos communications dans votre qualité de Premier Secrétaire de Légation, Chargé des affaires de S. M. le Roi d'Italie; mais M. Thouvenel, dans ses réponses, pourrait s'adresser simplement à vous, sans énoncer votre caractère officiel. De son coté le Comte de Rayneval pourrait s'adresser simplement au Ministre des Affaires Etrangères, et de cette manière toute question étant réservée, aucun changement prématuré n'aurait lieu dans les rapports entre les deux Gouvernements.
Veuillez m'informer du résultat de votre entrevue avec M. Thouvenel que j'ai déjà fait sonder indirectement.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 339)
T. 338. Parigi, 22 marzo 1861, ore 16,25 (per. ore 17,20).
Après certaine résistance de l'Empereur et de Thouvenel, l'affaire de la reconnaissance provisoire est arrangée selon votre proposition. Thouvenel écrira au Chargé du Roi Victor Emmanuel. Gramont annonce l'envoi des demandes du Roi de Naples pour son patrimoine privé.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO,
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE 198. Londra, 23 marzo 1861.
Conformément à ce que j'ai eu l'honneur d'écrire à V. E. par mes derniers rapports confidentiels, j'ai fait parvenir mercredi à Lord John ainsi qu'il avait été entendu entre nous, la notification officielle du titre de Roi d'Italie pris par
S. M. le Roi.
Je me suis au reste conformé à peu près littéralement dans cette communication aux termes de la dépeche du Cabinet que V. E. m'avait fait l'honneur de m'adresser à ce sujet et dont la rédaction avait paru aux Ministres anglais de nature à ne soulever aucune difficulté.
Ainsi que Lord John Russell vient de m'en informer confidentiellement, la réponse à cet office devra subir un retard de quelques jours grace au deuil de Cour qui a fait désirer à la Reine de s'abstenir de toute affaire jusqu'après l'inhumation de la Duchesse sa mère. Mais j'ai motif de croire que la reconnaissance a déjà été décidée dans le Conseil des Ministres.
ALLEGATO.
AZEGLIO A RUSSELL (l)
Londres, 19 mars 1861.
Mylord,
Le Parlement national vient de voter et le Roi Mon Auguste Souverain a sanctionné la loi en vertu de laquelle S. M. Victor Emmanuel II assume pour lut et ses successeurs le titre de Roi d'Italie. La légalité constitutionnelle a consacré ainsi l'oeuvre de justice qui a rendu l'ltalie à elle-mème. Dès ce jour l'ltalie affirme hautement en face du monde sa propre existence. Elle proclame solennellement le droit qui lui appartenait d'etre libre et indépendante; droit qu'elle a soutenu sur les champs de bataille et dans les Conseils européens.
L'Angleterre qui a d(ì et qui doit sa prosperité à l'applicati.on des mèmes principes. qui nous guident, verra avec faveur, j'en suis convaincu, se constituer officiellement et se faire reconnaitre en Europe une nationalité à laquelle le peuple du Royaume Uni a témoigné de si généreuses sympathies.
Je suis chargé par le Gouvernement du Roi de notifier officiellement cet événement mémorable à V. E. en sa qualité de Principal Secrétaire d'Etat pour les Affaires Etrangères de S. M. la Reine du Royaume Uni. Ce grand fait a une importance que
V. E. appréciera facilement. L'expérience du passé me permet d'espérer que la communication que j'ai l'honneur de lui faire lui causera ainsi qu'à ses collègues la meme satisfaction que j'ai à la lui adresser.
(l) Questa lettera e la risposta di Lord Russell del 30 marzo vennero presentate al Parlamento inglese: Correspondence respecting the assumption by King Vietar Emmanuet of the titte of King of Itaty, London 1861, n. l e 2.
IL GENERALE KLAPKA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
L. P. Parigi, 23 marzo 1861.
Je quitte ce soir Paris pour retourner à Genève. Le résultat de mes expériences faites ici et à Londres est loin d'etre sat'isfaisant. A Londres j'ai trouvé tout le monde contraire à notre mouvement et le ministère décidé à l'empecher à tout prix. On y tient à la conservation de l'Autriche comme un rempart contre la Russie. On appréhende surtout que la lutte une fois engagée en Hongrie ne se propage le long du Danube et plus loin peut-etre, et que la chute de l'Autriche n'entraine 'inévitablement aussi celle de la Turquie. De ce còté nous n'avons donc qu'à nous attendre à des obstacles de toute sorte et meme à des hostilités. La conduite des Consuls anglais dans les Principautés-Unies en est une preuve, que la reprise des armes par le Baushee (stationnaire anglais) vient encore corroborer.
D'un autre còté les mauvaises dispositions de l'Angleterre ne sont pas suffisamment compensées par les bonnes intentions de la France.
Ici on hésite, on craint de s'avancer. On ne fait rien dans les Principautés pour nous y faciliter nos travaux. On ne veut pas nommer Piace Consul Général à Bukarest, où on maintiendra probablement M. Tillos. L'Empereur a refusé de me voir. Je le regrette.
Ce manque d'appui si regrettable de la part de l'Empereur ne contribue pas peu à augmenter les difficultés de nos rapports avec les Roumains, les Serbes, et les Croates.
Le Prince Couza déjà si peu disposé à seconder nos efforts ne le sera pas d'avantage à l'avenir si on nous laisse sans soutien; et le parti rouge à Bukarest, agent involontaire de l'Autriche, excitera d'avantage encore les Roumains de la Transylvanie à la haine contre les Hongrois, poursuivant toujours leur malheureux reve de Daco-Roumanie au détriment de tous.
Quant aux Serbes et aux Croates quoique moins opposés à marcher avec
nous, ils sont encore hésitants, travaillés qu'ils sont par les menées autri
chiennes.
Ainsi donc suspecte à l'Angleterre, insuffisamment appuyée par la France,
menacée par la ~ussie et les nations voisines abusées, contenue à l'intérieur par
140.000 bayonettes, la Hongrie desarmée, ne peut évidemment songer à prendre l'initiative dans une lutte contre l'Autriche. Elle est forcément obligée d'attendre que l'Italie commence la première.
Mais comme l'Italie elle meme me parait encore loin d'avoir complété son organisation politique et militaire, il va donc s'écouler un laps de temps qui habilement et prudemment employé pourra assurer le succès de notre cause, mais qui par contre aménerait pour nous de conséquences funestes, si nous laissions le terrain trop libre à nos ennemis.
Pour la Hongrie ce qu'il importe de faire, c'est de soutenir l'esprit public, qui vient d'etre ébranlé par l'ajournement de la guerre. L'Autriche, habile toujours, profite de cette circonstance pour gagner des adhérents et se faire un fort
parti en faisant concessions sur concessions et en laissant entrevoir au pays le rétablissement complet de la constitution de 1848.
Pour empecher l'Autriche de réussir dans ses projets il faut avant tout faire cesser la rivalité et l'hostilité des différentes nationalités en leur montrant, dans une confédération un avenir, que l'Autriche jamais, ne saurait leur donner. Je veux parler d'une confédération dans laquelle entreraient tous les pays hongrois, roumains et slaves du sud.
Ne vous semble-t-il pas, Monsieur le Comte, que le moment est venu pour l'Europe, de porter son attention sur une question qui renferme assurément en elle la solution de bien des problèmes, et qui, tòt ou tard doit inévitablement etre mise sur le tapis.
J'ai déjà eu l'occasion de traiter cette question dans un opuscule qui a paru à l'époque de la guerre d'Orient (1). Pour etre juste je dois dire qu'on n'y fit pas grande attention, aujourd'hui peut-etre en excitera-t-elle un peu plus.
S'il nous était permis d'entamer hardiment cette grande question nous n'aurions plus rien à, craindre de l'Autriche. A l'antagonisme des races succédera'it immédiatement des rapports de fraternité que la perspective de leur fédération (sur le pied d'une égalité parfaite) feraient naitre dans tous les coeurs.
Notre théàtre de la guerre présenterait alors des avantages tout autres; nos ressources se trouveraient doublées; nos communications par mer et par terre et nos bases d'opération assurées, _enfin dans des conditions telles nous serions maitres d'engager la lutte quand et où nous voudrions, en raisonnant toujours dans l'hypothèse que l'appui mora! de la France et l'aide matériel de l'Italie ne nous feraient pas défaut.
Avant de poser la question de la confédération danubienne devant le public, je désirerais bien connaitre s'il y a danger à le faire en ce moment, et si cette démarche ne serait pas en opposition avec les idées de l'Empereur et le grand reuvre que Vous poursuivez en Italie.
J'ai vu Mieroslawski; absorbé qu'il est par les événements qui se passent en Pologne, il m'était facile de le ramaner à des idées autres que celles qu'il avait manifesté à Garibaldi et Bixio. J'aurais vivement dés'iré voir ce dernier, malheureusement il n'est pas encore arrivé à Paris.
Oserais-je Vous demander, Monsieur le Comte, si vous avez bien voulu donner l'ordre à M. Cerruti pour la terminaison de nos affaires en Orient? J'attends avec une vive impatience votre réponse à toutes les questions que j'ài eu l'honneur de Vous exposer dans cette lettre.
L'ABATE PASSAGLIA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 347)
L. P. Roma, 25 marzo 1861.
Il 24 corrente ad un'ora e mezza pom. mi recai, giusta il convenuto, dal Cardinale Antonelli, il quale pressochè senza esordio, cosi si fece a favellare: Professore, io opino che non riusciremo a niente, e che il negozio morrà in embrione.
Il governo del Re si è diportato e si diporta come non si addice a chi vuole sinceramente trattare, ma come è proprio di chi è solo inteso ad osteggiare. E qui mi sfilò una lunga catena di torti a suo dire gravissimi contro la Chiesa, e fra questi singolarmente mi annoverò l'adoperato e ciò che tuttora si adopera contro il Card. De Angelis. Dalle quali premesse concluse, che tutto sconsigliava di cominciare negozii. Tanto più che da una memoria presentata dal Dr. Pantaleoni era palese, che col proporre negozii, non si mirava ad altro, che ad invitare il Papa a strozzarsi con le sue mani, cedendo il suo poter temporale.
Replicai ciò che mi si offerse di più acconcio, e rispetto alla memoria del Dr. Pantaleoni pregai S. E. ad avvert'ire che quella (oltre a essere a lui personale e da lui, senza che da me fosse letta, comunicata da prima amichevolmente al Card. Santucci, ed ultimamente presentata a Sua Santità in propria discolpa) era ipotetica e non esclusiva. Era ipotetica e dipendente dalla supposizione che la somma dei fatti sociali dello Stato pontificale, nazionali dell'Italia, ed internazionali dell'Europa, chiarissero con evidenza che il poter temporale pontificio era effettivamente perduto, né potea nutrirsi probabile speranza di ricuperarlo né moralmente né materialmente. Soggiunsi che la memoria non era esclusiva, ed in prova lessi a S. E. un mio brevissimo scritto concepito in questi termini: <I designati dal governo del Re essere autorizzati ad iniziare le trattative per quantunque da Sua Santità fossero ristrette con doppia limitazione, lo) con la limitazione reale, non volendosi trattare che di cose spirituali e religiose, e 2o) con limitazione corografica, intendendosi di non trattare che rispetto agli Stati ereditarii del Re ed a quelli della Lombardia».
A tal mia lettura replicò il Cardinale, che avrebbe nuovamente udito l'oracolo di Sua Beatitudine, ma che frattanto non poteva a meno di farmi osservare, che Sua Santità non avrebbe giammai ricevuto il Dr. Pantaleoni come persona pubblica e destinata a negoziare officiosamente, anzi essersi dal Governo irremovibilmente stabilito di allontanarlo da Roma.
Senza perdermi di animo, addussi in mezzo quelle osservazioni, che mi sembravano valevoli a rimuovere il governo pontificio dal preso consiglio; ma chiaramente accorgendomi che le mie parole tornavano non meno inutili che ingrate, per ultimo notai, che di leggieri si crederebbe punirsi il Dottore per l'affidatagli missione.
Non è così, ripigliò animato il Cardinale, non è cosi, essendo diversissimi i motivi che ci muovono a voler lungi da Roma il Dr. Pantaleoni: a questa determinazione non siam venuti in alcun modo per l'officio a cui dicesi designato, sebbene ci abbia recato meraviglia, che, senza prevenirci con lettera, siasi scelto a trattare un suddito pontificio. Anche riguardo a lei, che sebbene non sia suddito pontificio, è però Professore della Romana Università, sarebbe stato dicevole che prima ci si scrivesse.
Replicai più cose, ma sopra tutto insistetti presso il Cardinale affinché a cagione delle persone non volesse rovinato il negozio. Non essere malagevole sostituirsi altre persone se non più accette, almeno non tanto ingrate. Mi spiegasse pertanto con nettezza il suo pensiero. Ed egli incontanente mi soggiunse, che a mio riguardo niente occorreva in contrario, e che poteva opinarsi che il Papa non ne sarebbe scontento; ma che riguardo al Dr. Pantaleoni in suo nome scrivessi a V. E., che siccome egli non era espulso da Roma per causa del negozio, cosi non sarebbe giammai accettato da Sua Santità. Mi lasciò quindi cortesemente, ripetendomi che avrebbe nuovamente ascoltato il S. Padre, né avrebbe mancato di avvertirmi dell'ultima decisione.
Vede senza fallo V. E. in qual condizione io mi trovi, e quanto abbisogni d'istruzione e di conforto.
In un episodio, in cui meco si lamentava il Cardinale dell'esser Roma facilissima ai sospetti ed alle calunnie: avrà udito, mi disse, ciò che si è sparso a mio disdoro, essermisi, cioè, da non so chi per nome Aguglia offerto denaro per guadagnarmi, ed essersi a questo bruttissimo scopo usata eziandio l'opera di un certo prete Isaia del quale farò le dovute inchieste. M'infinsi, e come chi è colpito da stupore, risposi: veramente mi accorgo che non havvi altezza superiore ai dardi della calunnia. Cosi è, continuò egli, ed anche i redattori dell'Armonia servirebbero meglio alla causa, se nelle loro corrispondenze si mostrassero meno fanatici e più veraci.
Il Dr. Pantaleoni profondamente afflitto pel suo infortunio, al quale io sinceramente partecipo, nutre pensieri neri ed estremi, e significa voler ribattere l'ingiuria publicando quel tutto che si è finora amichevolmente e confidenzialmente non meno detto, che scritto. Io mi sento costretto a disapprovare sì audace divisamento, né solo perché il medesimo non gioverebbe al Dottore, protestando il governo pontificio che se lo punisce, è a ciò spinto da altre cagioni, che dall'aver esso o promosse amichevolmente trattative, o eziandio accettata la persona officiosa di trattatore; ma molto più perché l) si violerebbe il segreto dell'amicizia e della privata confidenza, 2) si recherebbe danno e disgusto all'ottimo Card. Santucci, 3) si toglierebbe a me ogni buon nome, come a violatore di segreti confidenziali, 4) s'inasprirebbe Roma, e 5) con un grande scandalo si chiuderebbe ogni adito a conseguire un gran bene. Il perché, fidato nella prudenza dell'E. V., io la supplico con ogni istanza ad addolcire l'animo amareggiato del Dottore, ed a distoglierlo da un proponimento quanto per lui inutile, tanto pe' suoi amici e pel comun bene pernicioso.
P. S. -Per ragioni che l'E. V. di per sé può intendere non ho consegnato la presente al Dr. Pantaleoni; per suo mezzo ne riceverà un'altra in cui ripeterò alcune delle cose in questa già scritte.
(l) La guerre d'Orient en 1853 et 1864, Genève 1855.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 352)
L. P. Parigi, 25 marzo 1861.
Une jolie occasion se présente pour vous envoyer ce soir quelques mots.
J'ai vu M. Thouvenel qui vous recommande de bien surveiller qu'on ne fasse pas sur la frontière autrichienne quelque imprudence, qui puisse donner à l'Autriche un prétexte de nous attaquer.
Par le Prince de Metternich et par M. de Moustier on a reçu l'assurance
qu'on ne prendra pas à Vienne l'offensive, mais qu'on saisira avec plaisir le
prétexte qui se présenterait pour nous attaquer.
J'ai vu une lettre de M. de Gramont, par laquelle il informe M. le Ministre des Affaires Etrangères, de l'intention du Roi François de quitter Rome au commencement de la semaine prochaine. Il se rendra à Munich en passant par Marseille, mais sans toucher Paris.
V. E. recevra bientot par M. de Rayneval des communications concernant les biens particuliers de François II. J'ai fait connaitre vos intentions à cet égard à M. Thouvenel, qui les trouve justes. S. E. se permet pourtant de vous conseiller d'agir avec largesse.
M. Boittelle, que j'ai vu h'ier au soir, me charge de vous prévenir qu'un grand mouvement s'opère parmi les mazziniens; plusieurs d'entre eux ont traversé Paris pour se rendre en Italie.
Le Préfet de Police est tout scandalisé de voir siéger à notre Chambre
M. della Gatt'ina, qui a été un des agents de sa police et que, par bien des raisons, il suppose avoir été en meme tems, au service de la police autrichienne. M. Boittelle m'avait déjà dit cela, il y a deux ans. Je crois non inutile de vous en prévenir, pour que vous preniez garde de le faire entrer dans aucun comité ou discussion à huis clos.
On exploite toujours le mécontentement de Naples.
Je sens que je deviens ennuyeux sur ce sujet, mais je crois de mon devoir de vous dessiner, autant que possible, la situation. J'ai présenté hier Klapka à Conneau. L'Empereur savait que cette entrevue devait avoir lieu, et il a fait con
seiller au Général par le Docteur d'écrire une brochure pour prouver la possibilité que le mouvement hongrois, d'accord avec l'élément slave, arrive à former une confédération danubienne qui, en respectant les différentes autonomies, formerait une force apte à remplacer l'Autriche dans l'équilibre européen.
Bien entendu, Conneau n'a pas donné ce conseil au nom de l'Empereur, mais il a simplement dit à Klapka: qu'il croyait utile de diriger dans ce sens l'esprit public et qu'il pensait que celle-là était la véritable opinion de l'Empereur.
M. de Rayneval n'a pas manqué d'envoyer à M. Thouvenel des informations malveillantes sur la manière dont le nouveau Ministère a été formé.
Il dit que le Roi a fait tout son possible pour se passer de V. E., et qu'il avait, dans ce but, fait appeler tous ceux qui auraient pu, à son avis vous remplacer. Tous ayant décliné cet honneur, le Roi aurait été forcé d'avoir encore recours à votre coopération.
Heureusement ayant dans ma poche votre dernière lettre, j'ai pu rétablir, sans peine, la vérité.
Je vous ai annoncé une mission secrète confiée à un certain M. Cornu. A cet agent on a adjoint un officier d'artillerie, très habile et ami intime du Colonel Favé, chargé, je crois, de donner à l'Empereur des informations précises sur l'état des esprits à Rome. Je n'ai pas encore pu saisir quel soit le véritable but de cette mission, ma'is ce que je puis vous confirmer c'est que M. Cornu a des liaisons avec les mazziniens.
Veuillez avoir la complaisance, Monsieur le Comte, de me faire savoir si vous avez donné à M. Matteucci une mission pour Rome. D'après la lettre de recommandation auprès du Due de Gramont qu'il a demandée à Conneau et que l'Empereur a autorisé le Docteur à lui donner, on pourrait croire qu'il va à Rome d'après des intelligences avec vous. Cela surprendrait l'Empereur qui connait l'inconstance des opinions de M. Matteucci par rapport à la question de la capitale de l'Italie.
L'Empereur ne croit pas que l'Autriche nous attaque, si on ne lui en donne pas un prétexte. Pour que cela n'ait pas lieu il serait d'avis de tenir le troupes royales à une certaine distance de la frontière.
Nino Bixio est attendu ici par Klapka, qui reviendra d'une course à Genève pour la réunion qui doit avoir lieu samedi prochain.
Le Général Miéroslawski sera aussi à cette réunion. Ses opinions sont pourtant si exaltées que je crains qu'il ne détruise le travail, qu'on a fait pour calmer momentanément les esprits et éloigner les événements. Je vous rendrai compte de ce qui sera fait dans cette séance et Klapka vous en informera aussi de son còté.
Ayant chargé Conneau de sonder l'opinion véritable de l'Empereur sur la reconnaissance définitive du Royaume d'Italie, le Docteur a entretenu ce matin longtems S. M. à ce sujet.
L'Empereur serait assez disposé à ne pas attendre méme la demi-solution de la question de Rome, et nous reconnaitrait peu de tems après l'Angleterre. Dans son idée cette reconnaissance porterait une réserve pour la question Romaine.
Je ne sais si cet arrangement pourra convenir au Gouvernement du Roi, et comme cette idée pourrait etre communiquée par S. M. à M. Thouvcnel, je vous serais très obligé de quelques instructions à ce sujet. Car si une reconnaissance avec réserve n'entrait pas dans vos vues, il faudrait en étouffer la pensée, tant qu'elle n'est pas encore sortie du cabinet de S. M.
Je vous prie de vouloir bien m'envoyer des nouvelles sur l'allure de vos négociations de Rome. Veuillez aussi me parler de Naples et de vos projets pour l'oi'ganisation de ces provinces.
Vous avez à Turin M. Cocherie pour traiter des chemins de fer romains.
Prenez garde, car ce Monsieur n'inspire ici aucune confiance, et sa conduite dans toute cette affaire des chemins de fer romains est loin d'etre bianche comme neige. Je pourrai, si vous en avez désir, me procurer et vous communiquer des détails là dessus par M. Benoit Champy, avec lequel je suis beaucoup en relation.
ALEXANDRU IOAN CUZA A VITTORIO EMANUELE
(A. C. R.)
L. p. Ia~i, 13-25 marzo 1861.
L'Italie libre enfin après tant de siècles d'oppression vient de pouvoir exprimer ses vreux au grand jour et vous a proclamé son Roi (l): que V. M. me
permettre d'etre un des premiers à lui en adresser mes félicitations. Je n'ai pas oublié que lorsque la Roumanie elle aussi a cherché à se constituer, V. M. a été parmi les plus chaleureux défenseurs d'une double élection qui fut un premier pas vers notre union. Les italiens qui sont nos aines ont atteint le but avant nous et loin de leur porter envie, nous saluons au contraire leur succès comme un gage d'espérance pour notre avenir. La communauté d'origine et d'intérets qui nous lie à eux, nous a fait suivre avec sollicitude toutes les phases de la lutte. Aussi c'est la conviction bien entière qu'au milieu de son triomphe V. M. daignera continuer à mon Pays et à moi les témoignages de sa bienveillance que je la prie d'agréer la nouvelle expression de mon respect et de mon dévouement.
(l) Sul riconoscimento ufficiale del Regno d'Italia da parte dei Principati Uniti di Valacchia e Moldavia, cfr. Gazzetta Ufficiale àe! Regno d'Italia, 21 maggio 1861, n. 124.
IL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE 31. Parigi, 27 marzo 1861.
Ho l'onore di accusare ricevuta all'E. V. dei dispacci confidenziali che si compiaceva indirizzarmi sotto la data del 21 e 22 corrente mese, e mi affretto ad informarLa del risultato del colloquio ch'io ebbi sul loro contenuto con questo Signor Ministro degli Affari Esteri.
Anzi tutto il Signor Thouvenel mi diede l'incarico di rendere grazie a
V. E. per la comunicazione ch'io gli avea data del dispaccio da Lei indirizzato al Signor Marchese d'Azeglio in risposta ad una Nota di Lord John Russell. Venendo quindi in sul particolare del sistema da V. E. proposto perchè venga da questo Imperiale Governo in certo qual modo tacitamente riconosciuto il nuovo Regno d'Italia, il Signor Thouvenel mi disse che non aveva difficoltà di accettarlo nel modo indicato, e che per conseguenza io poteva indirizzargli le comunicazioni ufficiali sotto il titolo di Incaricato degli Affari di S. M. il Re d'Italia: dal canto suo il Signor Thouvenel mi avrebbe risposto coll'enunziare la qualità di Incaricato degli Affari di S. M. il Re Vittorio Emanuele. Non pareva conveniente al Signor Thouvenel che gli uffizi che egli mi rivolgesse, non portassero le indicazioni di alcuna qualità ufficiale, e credeva che il partito che egli voleva adottare era il più opportuno e decoroso per la dignità dei due Governi. Non credetti doversi da me fare alcuna opposizione, e ne informo l'E. V. per sua norma e per quelle istruzioni ch'Ella credesse conveniente darmi sul proposito.
Stando le cose in siffatti termini, io prego l'E. V. di volermi notificare se io sono autorizzato a mettere in esecuzione il nuovo sistema, se posso mutare l'intestazione delle carte e dei sigilli della Legazione, ed abbassare dalla porta del palazzo della Legazione l'antica iscrizione di Legazione di Sardegna. Senza ordini precisi di V. E. però, non mi crederò permesso di sostituire all'antica iscrizione la nuova di Legazione d'Italia. Il Signor Thouvenel avendomi richiesto di voler usare somma riserva per quel che concerne questi cambiamenti ai quali dà origine la trasformazione politica d'Italia, io gli promisi di procedere nel modo il più prudente e riservato che mi sarà possibile.
Avendo chiamato l'attenzione del Sig. Ministro degli Affari Esteri sulle difficoltà suscitate ai Capitani dei bastimenti napoletani nei porti dell'Algeria, rispetto alle quali l'E. V. mi facea l'onore d'intrattenere col Dispaccio più sopra menzionato del 22 corrente, il Signor Thouvenel mi rimise copia di una nota che in sul proposito egli avea fatto preparare, e nella quale sono indicate le misure prescritte dal Dipartimento degli Affari Esteri per porre in assesto la posizione dei bastimenti napoletani in Algeria. Si scorge da tale Nota che le ultime istruzioni mandate sul particolare da Parigi alle autorità d'Algeri portano la data del 8 di questo mese. In conseguenza di ciò il Signor Thouvenel crede che gli inconvenienti a cui allude il dispaccio di V. E. del 22 corrente, debbono essersi prodotti anteriormente all'epoca dell'arrivo delle prescrizioni mandate in Algeri. Egli crede che lo stato delle cose che finora ha turbato la situazione della Marina Napoletana cesserà d'ora innanzi assolutamente. Malgrado l'assicuranza datami dal Signor Thouvenel su questo proposito, io lo pregai nell'interesse dei rapporti commerciali esistenti fra l'Algeria e l'Italia meridionale, si compiacesse rivolgere novelle istruzioni a chi di dovere per rimuovere ogni qualunque dubbio che su questo soggetto potesse sorgere nell'animo delle Autorità di quella Colonia Francese. Il Signor Ministro degli Affari Esteri accolse benevolmente la mia preghiera e mi promise che vi avrebbe acconsentito. Mi pregio trasmettere qua unito a V. E. la Nota più sopra menzionata di questo Ministero degli Affari Esteri.
A titolo di confidenziale informazione il Signor Thouvenel mi permise di prender copia sia di un messaggio telegrafico che il Generale La Rocca indirizzava da Ascoli il 18 marzo corrente a S. A. R. il Conte di Trapani, sia d'una lettera che il re Francesco II rivolgeva il giorno dopo, sul soggetto del precitato telegramma al Signor Duca di Grammont. Dal contenuto di questa ultima lettera si scorge avere il re Francesco II protestato contro la condotta dei difensori di Civitella del Tronto. Unisco in copia questi due documenti all'E. V.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 312. Berlino, 28 marzo 1861.
Dans une visite que j'ai faite ce matin au Ministre des Affaires Etrangères je me suis acquitté de la commission dont j'étais chargé par la dépeche de
V. E. en date du 20 mars. Le Baron de Schleinitz nous savait gré de ne pas ag~r avec précipitation dans la question de la reconnaissance. Il m'a renouvelé sous une forme bienveillante ses déclarations antérieures. Quant à l'expédient suggéré dans la dépeche précitée, il m'a fait observer que d'une part dans les communications adressées par écrit au Corps Diplomatique le Ministère avait déjà l'habitude de se borner à la suscription ou adresse personnelle aux chefs de mission sans aucune qualification officielle; que d'autre part il était d'usage, ce qui est parfaitement exact, que les représentants étrangers dans leur correspondance avec le Cabinet Prussien ne passaient que des commu
nications sous forme de lettres et non sous celle de notes à la troisième
personne; qu'ainsi le meilleur moyen d'échapper aux difficultés était précisé
ment celui de ne rien innover dans la coutume établie. En un mot, il ne s'est
pas explicitement refusé à admettre mon nouveau titre; mais il a tout natu
rellement invoqué des règles de chancellerie qui ne préjugent pas le fond de
la question. Il me semble que nous pouvons y souscrire sans manquer à notre
dignité. D'ailleurs je ne recevrai, ni ne prendrai plus la dénomination de Mi
nistre de Sardaigne, dans les rapports entre le Cabinet de Berlin et la Léga
tion. Depuis quelque temps déjà je n'ai plus employé que le cachet à mes
armes.
J'ai aussi cru devoir appeller l'attention du Baron de Schleinitz sur les embarras que pourraient causer les affaires des passeports et des visas, si nous ne nous entendions pas d'avance. Il m'a répondu que sur ce point un mode de procéder avait déjà été concerté à Turin, sous la réserve expresse qu'il n'impliquerait en rien une reconnaissance de la part de la Prusse; qu'ainsi, il ne verrait pas d'inconvénient à ce que le meme système fut adopté à Berlin. D'après ce langage je puis me croire autorisé à délivrer et à viser les passeports au nom du Roi d'Italie, à moins que V. E. ne préfère que je conserve l'ancienne formule, de crainte que nous ne rencontrions de l'opposition chez les diplomates de quelques Puissances plus formalistes ou moins bien disposées que la Prusse.
Dans tous les cas, j'attendrai des instructions avant de changer les timbres, les cachets, de faire faire une planche pour un nouveau registre de passeports selon les modèles et la formule que le Ministère voudra bien sans doute me transmettre à cet effet.
Je tàcherai de me débrouiller de mon mieux dans cette époque de difficultés et de transition.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 313. Berlino, 28 marzo 1861.
La nouvelle de la démission du Ministère a produit ici une vive sensation jusqu'à ce qu'on ait appris de source certaine que V. E. était chargée de former le nouveau Cabinet, au grand dépit de nos adversaires, à la grande joie de nos partisans. J'ai eu une occasion de plus de remarquer à quel point tout ce qui a trait à votre personne, Monsieur le Comte, s'empare de l'opinion publique et devient aussitòt l'occupation de l'Europe.
Je vous remercie, Monsieur le Comte, d'avoir bien voulu me communiquer la dépeche que Vous avez adressée au Marquis d'Azeglio le 16 courant. Camme elle m'était parvenue par la voie ordinaire de la poste, et qu'ainsi il y avait à parier cent contre un qu'on en connaissait le contenu, et que d'ailleurs elle arrivait fort à-propos pour repousser les attaques incessantes du
!> • Documenti diplomatici • Serie I -Vol. I
parti rétrograde, j'a1 cru devoir en donner confidentiellement lecture au Baron de Schleinitz. Ce document l'a interessé au plus haut point et m'à paru produire une heureuse impression sur son esprit. Il s'est cependant permis de parler de l'Italie Méridionale dans des termes qui indiquaient combien il était prévenu par des récits allarmants. D'après ses propres données, les Muratistes s'y agitent beaucoup, et y gagnent du terrain. En outre, il n'était pas entièrement convaincu de l'exactitude de l'assertion que l'Autriche, sous une forme très confidentielle, s'est réservée le droit de faire valoir ses prétentions lorsqu'elle le jugerait conforme à ses intérP.ts. S. E. m'a donné l'assurance qu'à Berlin du moins rien de semblable n'avait été dit. Quoi qu'il en soit, Elle avait lieu de croire qu'à Vienne on ne songeait nullement à nous attaquer.
M. de Schleinitz n'ajoutait pas foi aux récits des journaux sur l'envoi de nouveaux renforts dans la Vénetie. Ces mèmes journaux racontaient également que le Cabinet Autrichien avait protesté contre la proclamation du Royaume d'Italie. <Voici, disait-il, la vérité à cet égard: Le Comte Rechberg a fait pressentir les Puissances sur leurs intentions quant au Royaume d'Italie, que pour son compte le Gouvernement Impérial ne consentirait pas à reconnaitre. Il n'y a pas eu de protestation formelle».
Quant à la situation générale en politique, on croit ici que nous aurons un répit de quelques mo'is; aucune question n'étant assez briì.lante pour amener de sitòt une guerre. Mais les calculs ne vont pas plus loin, en présence de complications qui se préparent en Orient et mème dans le Danemark. Le Cabinet de Cop€nhague est toujours aux prises avec la Diète du Holstein. Pour surcroit d'embarras la nationalité Polonaise s'agite avec une prudence qui trainera les choses en longueur; mai qui déconcerte ses ennemis.
J'aurais voulu obtenir quelques indications sur l'état interieur de l'Autriche; mais on est très réservé au Ministère et mes collègues en sont comme moi réduits aux conjectures, en attendant la réunion de la Diète de Hongrie. Il parait cependant positif que les élections, pour les assemblées provinciales ont en grande majorité une couleur libérale assez prononcée. Les parties Allemandes de l'Empire se prononcent pour la centralisation car elles se flattent deprimer, comme le principal élément civilisateur, tandis ques les députés des autres régions répresentent des idées fédéralistes ou séparatistes. Il est donc nature! qu'en présence de tendances si diverses on hésite à émettre dès aujourd'hui une opinion sur les conséquences pratiques du nouveau régime Impérial.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE 200. Londra, 30 marzo 1861.
Je m'empresse de faire parvenir à V. E. la copie ci-jointe de la communication officielle que je reçois à l'instant de la part de Lord John Russe!, et par laquelle le Principal Secrétaire d'Etat pour les Affaires Etrangères de
S. M. Britannique m'informe qu'après avoir pris les ordres de la Reine il a étè autorisé à m'annoncer que je serai désormais reçu à la Cour d'Angleterre en qualité d'Envoyé de S. M. Victor Emmanuel II Roi d'Italie.
Cette importante nouvelle que les bonnes dispositions du Gouvernement de
S. M. pouvaient nous faire pressentir, n'en est pas moins un événement d'une grande portée. C'est pour ainsi dire la consécration finale et le couronnement de la politique anglaise pendant la grande époque que nous venons de traverser.
Je suis heureux pour ma part de me trouver ainsi le premier Envoyé Italien à qui il appartienne d'annoncer à Notre Auguste Souverain la reconnaissance par une Cour étrangère du titre glorieux qui Lui a été décerné, par acclamation, par une nation reconnaissante.
Cette démarche, j'aime à le croire, consolidéra les rapports si heureusement établis entre la Cour d'Italie et celle de la Grande Bretagne.
.ALLEGATO.
RUSSELL AD AZEGLIO (l)
Foreign Office, march 30, 1861.
I have had the honour to receive your letter of the 19th inst. informing me that the national parliament has voted and the King your August Souvereign has sanctioned a law by virtue of which His Majesty Victor Emmanuel the II assumes for himself and for his successors the title of King of Italy.
Having laid your communication before Her Majesty the Queen I am commanded to state to you that Her Majesty acting on the principle of respecting the independence of the Nations of Europe, will receive you as the Envoy of Victor Emmanuel the II, King of Italy.
Corresponding instruction will be given to Sir James Hudson Her Majesty's Envoy Extr. at the Court of Turin.
IL MINISTRO A BERNA, JOCTEAU, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 215. Berna, 30 marzo 1861.
Ainsi que je me suis empressé de le mander, tout à l'heure, à V. E. par le télégraphe, le Conseil Fédéral a décidé, dans sa séance de ce matin, que les anciennes et bonnes relations qu'il entretenait avec la Sardaigne seraient continuées, avec le Gouvernement du nouveau Royaume d'Italie. M. le Président de la Confédération, en me l'annonçant verbalement, m'a dit que le Conseil Fédéral avait déterminé, comme acte de courtois'ie, de charger son Représentant à Turin de faire à ce sujet une communication à V. E., en meme temps que je la recevrai, moi-meme de son Président.
S. -M. la Regina ho avuto incarico di ~is~ondervi che ~· JYI.• la quale ag~sc": seCOJ?-dO. il P.rincipiodi riSPettare l'indipendenza delle n~zw.m d'Europa, V1 n.ceverà quale mv1~to .d1 V1ttono .Em~nuale II, re d'Italia. Analoghe istruz10n1 saranno date a s1r James Hudson, 1nvmto straord1nanodi S. M. alla Corte di Torino •.
J'ai offert de s'incères remerciements à M. Kniisel pour les paroles obligeantes qu'il a bien voulu me dire à cette occasion, et je me suis associé à la confiance qu'il a témoigné que les rapports de la Suisse avec le Royaume d'Italie seraient conformes aux sentiments d'amitié qui ont existé, jusqu'à présent, entre les deux Etats.
M. Kniisel m'a annoncé en meme temps que le Conseil Fédéral avait nommé M. Jauch, Conseiller National et M. Bolla, Conseiller et Secrétaire d'Etat, l'un et l'autre du Canton du Tessin, comme Commissaires pour l'arrangement de l'affaire de la Mense de Como. Ils devront s'entendre avant tout avec ceux que le Gouvernement de S. M. nommera de son còté sur le lieu et l'époque de leur reunion. Ayant indiqué Turin comme l'endroit le plus convenable, M. Kniisel n'a opposé aucune difficolté à ce choix.
Avant la conversation que je viens de résumer, j'avais fait part à M. le Président de la dépeche que V. E. m'a fait l'honneur de m'écrire en date du 26 au sujet de l'artide de la Gazette Militaire dont j'avais déjà parlé avec lui et j'ai pu voir que les explorations confirmant celle que je lui avais données, moi meme, l'ont entièrement satisfait.
P. S. -Le Cabinet de Vienne n'a point fait notifier au Conseil Fédéral la protestation contre le titre de Roi d'Italie que les journaux lui attribuent, mais j'ai toute raison de croire que son Ministre en Suisse a fait son possible pour empecher que ce titre fùt reconnu par la Confédération.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 360)
L. P. Parigi, 30 marzo 1861.
Le discours de V. E. sur la question Romaine a été favorablement accueilli par l'Empereur. Les Ministres l'ont trouvé remarquable, quoique aucun d'eux ne se dissimule qu'on aura bien des diffi.cultés à faire accepter par la Cour de Rome les principes que vous y énoncez. En général on prévoit aussi que, si ces principes étaient acceptés, ils ne manqueraient pas d'agir, avec le tems, sur les Concordats français.
Les cléricaux et les légitimistes, loin de voir dans vos propositions une voie de conciliation, tàchent par tous les moyens de faire déclarer par l'Empereur que jamais il ne consentira à ce que le pouvoir temporel, nécessaire suivant eux à l'indépendance du Pape, soit aboli. Conneau me disait hier au soir que des lettres innombrables arrivent à S. M. toutes demandant la conservation du pouvoir temporel.
Benedetti et Persigny remercient vivement V. E. de la plaque envoyée à St. Paul, à qui ils paraissent tenir beaucoup tous les deux. J'ai remis cette décorat'ion à Benedetti, qui le premier m'avait chargé de la demander à V. E.
Persigny est dans un état de véritable fureur contre les cléricaux; il a le
tort de trop crier et d'exciter par ses éclats les partis.
On parait décidé, pour combattre le haut Clergé, à relever et soutenir
le clergé subalterne. Par l'abolition des offìcialités portée par les Concordats
français ce clergé a été mis tout à fait à la merci des Eveques, et sur ce point
ces derniers trouvent excellents les Concordats, qu'ils tachent de détruire pour
tout le reste.
On dit que l'Empereur est très perplexe sur la question romaine. Il est
bien vrai qu'il voudrait trouver un moyen, ne fut-il que transitoire, pour la
résoudre, et je ne serais pas éloigné de croire que dans quelque tems il ne
veuille s'immiscer dans vos négociations avec Rome en apportant peut-etre
quelque modifìcation à votre projet pour en rendre l'acceptation plus probable
à Rome et pour pratiquer la menace de livrer la Cour de Rome à ses ressources
en retirant ses troupes.
En meme tems il se demande quelque fois s'il ne serait pas mieux de prolonger l'état actuel. Si le P. Passaglia pouvait réussir, quelle leçon pour les ultramontains, plus papistes que le Pape, et quel triomphe pour votre politique!
Mais peut-on l'espérer? J'attends avec impatience le résultat de votre
dernière entrevue avec le P. Passaglia.
L'Impératr'ice m'a fait dire par M. Thouvenel de vous prier de faire
évacuer le palais de sa cousine, la Duchesse de Bivona à Naples, qui est occupé
par un général, je crois.
La Duchesse de Bivona est une bourbonnienne enragée, qui s'est jetée dans les bras du bon Dieu sans dédaigner ceux des hommes, quand elle peut y arriver.
J'ai communiqué à M. Thouvenel votre télégramme de ce matin, ainsi que les dépeches du général Durando dont il m'a demandé une traduction française pour en faire part à M. le Prince de Metternich.
Quant au navire nolisé à Marseille, la plus grande surveillance sera exercée. Le Ministre a été très satisfait de ce que vous me dites dans votre lettre de la résolution du Gouvernement du Roi de s'opposer, meme par la force, à toute tentative d'attaque des lignes autrichiennes par des Garibaldiens. Il a ajouté, en plaisantant, qu'il serait beau que Garibaldi réussit à compromettre la France, comme il a compromis le Piémont, qui en a eu pour prix le royaume de Naples. <Si cela arrive, a dit S. E., nous en aurons pour notre part la Vénétie que nous garderons ».
M. Thouvenel est à nous plus que jamais et l'opposition qu'on fait ici à la politique impériale n'a fait que le confìrmer dans ces idées.
Je ferai parvenir à l'Empereur la demande de M. d'Arminjou. Ceci du reste ne présente aucune difficulté, car on ne refuse à aucun français la faculté de prendre une nationalité étrangère et on la refusera moins encore dans le cas présent, où il s'ag'it pour M. d'Arminjou de redevenir ce qu'il était.
L'interpellation du général de Lamarmora a été colportée ici par tous nos ennemis. Il faut véritablement ne pas avoir de tete pour tenir une conduite aussi inqualifìable. Sa démission ajouterait encore au scandale.
Je confìe cette lettre aux soins de M. Mathias Consul de S. M.
IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 162. Madrid, l aprile 1861.
Ce fut encore un jour de bonheur que le télégramme de V. E. vint hier apporter à cette Mission et à tous nos amis en annonçant que l'Angleterre a reconnu officiellement le Royaume d'Italie. L'annonce d'un événement si important me fournit une occasion bien naturelle de me ménager un entretien avec le Chef de ce Cabinet, pour tacher de m'assurer auprès de lui autant que possible de ses véritables dispositions actuelles à notre égard. Reçu par le Due de Tétouan avec sa courtoisie accoutumée, j'appelai de mon mieux son attention sur la haute portée du fait que V. E. venait de m'annoncer de la part d'une Puissance dont la fermeté énergique et constante dans ces grandes déterminations politiques e1t bien connue n'etre pas inférieure à la grandeur colossale de ses forces matérielles. « Je ne cacherai pas à cette occasion, dis-je au Maréchal O'Donnel, un vreu bien nature! et personnel que j'ose espérer de voir partager par V. E. aussi et c'est que l'Espagne ne soit pas des dernières nations à donner à l'Italie une preuve d'amitié fraternelle qui sera d'autant plus appréciée qu'elle se ferait moins attendre :t>.
« Je suis bien aise, répondit le Maréchal, de vous voir compter sur la réciprocité de mes sentiments personnels à cet égard, mais vous connaissez en meme tems les circonstances délicates de notre situation ici, qui ne nous permettront peut-etre pas de procéder à l'acte formel auquel vous alludez aussitòt que d'autres Gouvernements qui n'ont point tant de ménagements à garder. Quant à l'Angleterre on devait bien s'attendre à la voir consommer la première cet acte dès que le Ministère Whig qui est au pouvoir l'avait déjà annoncé; mais serait-on bien siì.r, ajouta le Due, qu'un Cabinet Tory succédant au pouvoir se conformerait à ce qui fut fait par son prédécesseur? ». « En voulant meme supposer que les Whigs vinssent à se retirer, repris-je, ce qui a été fait pourrait d'autant moins etre infirmé, qu'il s'appuye sur l'opinion générale aussi bien que sur les intérets évidents de la nation Britannique éminemment favorables à l'unité de l'Italie comme condition de son indépendance meme ». « Vous n'ignorez cependant pas, remarqua ici le Président du Conseil, que le parti Tory est porté par ses anciennes sympathies à favoriser l'Autriche; et ce fut meme, peut-etre, l'espoir de voir ce parti remplacer le Ministère actuel en Angleterre qui accrédita tout dernièrement le bru'it d'une guerre imminente de l'Autriche en Italie ». «Ce serait là, repartis-je, une raison suffisante pour raffermir après tout le Cabinet actuel, qui garantit ainsi la paix de l'Europe. L'Autriche seule en effe t, dans l'état où se trouvent la Hongrie et les 3/4 de son Empire ne saurait penser à une guerre à moins qu'Elle ne fiì.t prise d'une monomanie de suicide; aussi ce ne serait pas l'Italie en tout cas qui aurait à craindre d'une guerre de l'Autriche». « Je ne serais pas bien loin de partager là-dessus votre opinion, me dit ici le Due de Tétouan, si l'état intérieur de l'Italie fiì.t plus satisfaisant et que l'on ne vìt pas de graves symptòmes de mécontentement et de désordres se produire dans plusieurs des anciens Etats, notamment dans les deux Siciles ».
« Heureusement, repris-je, on a déjà eu le tems de se convaincre partout que les désordres qui ont eu lieu en quelques endroits avaient été singulièrement exagérés; mais en eut-il été autrement, nous n'aurions encore qu'à nous féliciter qu'ils ayent pu etre si vite réprimés sans laisser aucune grave conséquence. En effet si l'on tient compte d'une part de l'exaltation des partis extremes au milieu des grands changements politiques, et de l'autre des intrigues étrangères tendantes à en exploiter les animosités, si l'on n'ignore pas surtout que l'armée Napolitaine recélait depuis longtems les germes d'une société secrète étrangère et qu'une partie de cette armé poussée par les affiliés de cette secte avait pu passer des Etats Pontificaux dans des pays où avec les moyens qu'on leur avait fourni on aurait pu craindre de voir enraciner une guerre civile; en voyant enfin comme on en est venu facilement à bout, on ne peut qu'en conclure que dans ces memes pays n'existent pas, comme on s'était flatté, des éléments antinationaux bien sérieux contre l'union de l'Italie ~.
« Vous ne sauriez cependant déconvenir après tout, reprit encore le Due de Tétouan, que Vous Vous trouvez devant Rome Pontificale dans une difficulté dont je ne saurais concevoir de solution satisfaisante, puisqu'il s'agit de l'indépendance du Souverain Pontife qui intéresse toutes les Nat'ions Catholiques ~.
A ce dernier sujet j'ai été heureux de mon coté de pouvoir citer quelque passage du dernier éloquent discours de V. E. dans le Parlement, d'où 'il ressort que le Gouvernement du Roi s'occupera lui-meme avant tout de préparer un arrangement qui offre les meilleures garanties de cette indépendance, et sur l'observation du Due qu'il se défiait de nos moyens pour rendre acceptable au Pape l'arrangement projeté, je remarquai à mon tour, que nous ne manquerions pas d'appuis, voire meme dans le Sacré collège où plus d'un Cardinal dont la piété n'exclut pas le patriotisme serait heureux de favoriser un pareil arrangement. Je crus pouvoir citerà ce propos le nom du Cardinal di Pietro que j'ai eu l'avantage de connaitre à son passage ici et dont je savais que le Due avait pu apprécier lui-meme les sentiments éclairés et libéraux. Après quelques autres observations de part et d'autre sur les sujets moins importants de la question Italienne, le Maréchal O'Donnel finit son entretien avec moi en me disant encore qu'après tout il tient à ce que nous soyons persuadés de sa sincère amitié.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 362)
L. P. Parigi, 1 aprile 1861.
Klapka est arrivé et il s'est rendu de suite chez moi.
Des lettres qu'il a reçues de Vienne et entre autres, des communications que
lui a faites le Baron Vay il résulte qu'on parait décidé à Vienne à profiter du refus
de la Diète d'envoyer des députés au Parlement centrai pour la dissoudre pro
clamant l'état de siège, et procéder au désarmement et à la perception forcée des
impòts.
Tous les chefs hongrois sont d'accord pour résister et ne pas laisser tomber
le pays dans la terreur qu'inspireraient ces mesures.
Klapka, qui était parti d'ici si calme et si raisonable, est revenu tout à fait exalté et décidé à l'action quand mème.
Avec Nino Bixio, qu'il a trouvé à Culoz, et avec lequel il avait rendez-vous ils ont décidé de demander à V. E. la formation des deux divisions de volontaires, dont les quadres des officiers garibaldiens seraient déjà formés. Pour que le Gouvernement du Roi ait l'assurance que ces divisions n'agiront pas en dehors de ses ordres, Klapka propose d'en donner le commandement à Cialdini.
Le but de cette organisation serait de discipliner ces volontaires destinés à débarquer avec Garibaldi en Dalmatie et à pénétrer par les montagnes en Hongrie.
Dans une entrevue qu'ils ont eue avec Miéroslawski, ils ont décidé de faire cause commune avec les Polonais. Ils voulaient mème demander au Gouvernement du Roi la formation d'une légion polonaise. Je les en ai dissuadés, en disant que jamais V. E. aurait adhéré à cette demande. J'ai mème mis sous les yeux de Klapka tous les inconvénients, qu'entrainerait cette fusion des mouvements hongrois et polonais, dont le premier résultat serait de rapprocher par le danger commun les Cabinets de Vienne et de St. Pétersbourg. Klapka m'a répliqué qu'il connaissait trop bien les embarras de la Russie pour en craindre l'intervention.
Il faut évidemment que le danger soit bien pressant pour la Hongrie, ou que le parti de l'action quand-mème ait bien fortement agi sur l'esprit du général hongrois pour expliquer ce revirement qui s'est opéré en lui et l'abandon complet des projets d'ajournement, que nous étions parvenus à lui faire adopter.
Je ne serais pas étonné que Mazzini y fut indirectement pour quelque chose.
V. E., doit se rappeler que dans la première lettre que l'Empereur m'avait donnée et que j'ai eu l'honneur de vous envoyer, Mazzini tachait de dissuader Garibaldi de se dévouer à la cause hongroise.
Dans la seconde que vous devez avoir reçue, Mazzini, moins hostile aux hongrois, comptait sur l'appui réciproque de deux mouvements simultanés sur le Danube et sur l'Inn.
Ajoutez à cela que M. Boittelle me dit depuis quelque tems et m'a encore confirmé avant hier que Mazzini envoie courriers sur courriers à Caprera, en Suisse, à Gènes et à Milan.
Je viens de voir à l'instant M. Thouvenel à qui j'ai cru devoir fa'ire part du changement qui s'est opéré dans les projets de Klapka. L'intention du Cabinet de Vienne de provoquer un mouvement en Hongrie par la dissolution de léi Diète n'a pas étonné S. E. Un soulèvement en Hongrie me parait assez dans ses idées; mais il fait toujours la mème question, à savoir, s'il existe accord entre les Croates et les Magyars.
Le voyant assez coulant dans cette question, j'ai demandé au Ministre qu'estce que ferait la France si Garibaldi nous échappait.
«Il faut le retenir », m'a-t-il dit en souriant. Je lui ai répondu que je supposais justement le cas qu'on ne put le retenir. Alors S. E. me dit: « Je ne puis rien vous répondre pour le moment. L'Empereur est renfermé dans un tel mutisme que je ne puis lui arracher un seui mot, pas mème dans la question de votre reconnaissance, car je vous avoue franchement qu'au point où en sont les choses je suis de l'avis que notre gouvernement et le vòtre doivent faire cause commune, mais je vous le répète, je ne puis rien tirer de l'Empereur dans aucune question ». Ayant dit à M. Thouvenel que je craignais un accord entre
les deux partis d'action hongrois et polonais, S. E. a de suite changé de manières et d'humeur. Il m'a dit qu'à tout prix il fallait empecher cette fusion qui serait, selon lui la ruine momentanée, si vous le voulez, des deux nationalités. Ce n'est pas qu'il se forme une idée trop grande de la puissance de la Russie paralysée elle-meme par des difficultés intérieures. Mais il croit que c le rapprochement de la Russie et de l'Autriche, qui serait la suite naturelle de la fusion des patriotes hongrois et polonais, serait nuisible à tout notre échafaudage politique, qui se base en grande partie sur le désaccord des puissances du Nord, car la Prusse ne manquerait pas de se rallier à ses deux voisines.
< -M. Miéroslawski n'est heureusement pas bien infl.uent en Pologne et je vous dirai très confidentiellement que nous désirons que le mouvement polonais soit conduit par André Zamoiski. Marchant dans la voie qu'ils ont entreprise, les polonais trouveront dans deux ou trois ans avoir acquis leur autonomie et leur indépendance, que la Russie peut avoir, à cette époque là, un intéret à ne plus leur contester >. M. -Thouvenel m'a chargé d'aller voir Klapka et le prier de ne pas meler les deux questions sous peine de perte réciproque. J'ai rendez-vous avec le général aujourd'hui à trois heures. Je vous en rendrai compte.Conneau s'accorde exactement avec M. Thouvenel sur le mut'isme de l'Empereur. Il m'a pourtant affirmé que S. M. avait été content de votre discours.
Ce discours a été trouvé admirable par tout le monde, excepté, bien entendu, nos ennemis qui voudraient l'exploiter pour faire prendre à l'Empereur quelque décision dans leur sens. Vous savez, Monsieur le Comte, que le mutisme impérial est ordinairement le précurseur de quelque détermination importante. Je ne voudrais pas que, cette fois, elle touchàt à la question romaine, car je ne saurais si une détermination, prise en ce moment là dessus, serait tout à fait conforme à vos idées.
On parle du remplacement de Baroche par Rouher au Conseil d'Etat. On voudrait envoyer Morny à Londres, mais Lord Palmerston n'en veut pas, et en désespoir de cause on parle de l'envoyer à St. Pétersbourg en remplacement du Due de Montebello qui irait à Londres. Ce dernier choix serait très mauvais pour nous, vous le savez. Persigny est dans un état d'exaspération indescriptible; U crie beaucoup et n'agit pas assez. On prétend qu'il est un peu toqué; en effet son effervescence justifie un peu ce dit-on.
Vous ne m'avez jamais rien écrit sur l'affaire de l'Intendant de Ferrare. Qu'est-ce qu'il en a été? M. Thouvenel m'en a souvent demandé des nouvelles.
Je vous prie de vouloir bien faire remettre à Castelli et à Valetti valet de Chambre du Roi les lettres ci-jointes à leur adresse et je confie cette expédition à M. le Due de Terranova.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI (Ed. in Q. R., II, 363)
L. P. Torino, 2 aprile 1861.
J'envoie à Gropello quelques centaines d'exemplaires de mes discours sur la question romaine et je le prie de les faire mettre en vente chez Dentu au plus bas prix possible. J e désire que ma manière de voir dans la question romaine devienne populaire en France. Je crois que le Gouvernement n'y mettra pas obstacle et qu'il sera au contraire satisfait de cette tentative pour ramener à la raison les catholiques libéraux de bonne foi.
Vous savez que Pantaleoni est revenu de Rome effrayé et découragé. Il me conseille à publier tout, sans ménager le Père Passaglia, qui craint de se voir repoussé du giron de l'Eglise. J e crois que la publication des instructions et des détails de la négociation ferait bon effet, pourvu qu'elle eO.t lieu de manière à éviter le scandale. Mais avant tout il faut marcher d'accord avec le Gouvernement Français. Voici le moyen que je vous prie de proposer à M. Thouvenel. J'écrirais à Gropello une note officielle contenant le résumé détaillé des négociations, par laquelle je prierais la France d'interposer ses bons offices auprès de la cour de Rome pour qu'elle agrée nos propositions. La publication de cette dépeche produirait l'effet désiré sans aucun des inconvéniens que Passaglia craint tant. Veuillez en parler à M. Thouvenel et me dire ce qu'il pense de ce projet.
J'ai écrit au Prince Napoléon (l) pour lui envoyer mon discours. En meme tems je l'ai prié de prévenir ou de retarder autant que possible l'insurrection en Pologne comme en Hongrie. Je suis de l'avis de M. Thouvenel et je n'augure r'ien de bon de l'alliance de Klapka avec Miéroslawski. L'Autriche est prete à se battre en Italie comme en Hongrie: pousser à la guerre c'est faire son jeu. Engagez le Général à écrire de nouveau à ses compatriotes d'épuiser toutes les formalités légales, avant d'en venir à une rupture. Je tiendrai le meme langage à Bixio à son retour.
Garibaldi a quitté soudainement Caprera pour venir à Genes. On suppose qu'il vient assister aux interpellations sur les affaires de Naples. S'il veut des applaudissemens il en aura. Du reste je ne crains pas son influence sur la discussion.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY
D. 376. Torino, 3 aprile 1861.
J'ai reçu votre dépeche Série Politique N. 312 en date du 28 mars dernier. Je vois avec plaisir que le Cabinet de Berlin a bien saisi et apprécié l'esprit de modération et de conciliation qui nous avait suggéré dans la question de la reconnaissance du Royaume d'ltalie l'expédient que vous avez dO. lui soumettre. Les mesures qu'il a prises de son cOté et les explications que vous a données M. de Schleinitz me permettent de croire qu'aucune difficulté ne viendra ni entraver les relations réciproques, ni à vous piacer vis-à-vis du Gouvernement Prussien dans une situation qui ne soit conciliable avec notre dignité et nos droits.
Si effectivement les règles de la Chancellerie Prossienne portent que les communications entre le Gouvernement et les missions étrangères ne soient pas
écrites à la troisième personne, je ne trouve rien de contraire à ce que vous continuiez à suivre l'ancienne habitude. Mais il est bien entendu que dans toutes occasions, où vos rapports officiels l'exigeraient, vous ne devez pas oublier de prendre le titre « Ministre du Roi d'Italie ». Ce titre doit également figurer sur les passeports, sur les timbres, sur le cachets, ainsi que sur les armoiries ou écusson placé sur la porte de la Légation. Le Gouvernement Prussien est trop éclairé et trop noble pour s'en formaliser. Nous ne voulons certes rien faire qui puisse lui etre désagréable; mais nous ne saurions non plus mettre une espèce d'affectation à cacher un titre solennellement proclamé et qui exprime un fait réellement existant.
Du reste, sur un point celui des passeports qui pouvait causer le plus d'embarras, la Prusse elle-meme comme vous le verrez par la note ci-jointe, de
M. de Saint Simon, a pris une initiative dont nous lui savons gré, abstraction faite des réserves dont le Cabinet de Berlin a jugé bon de l'accompagner. Ces réserves, je l'espère, finiront par tomber devant l'exemple d'autres Puissances et devant l'opinion publique. La France, il est utile que vous le sachiez pour votre information, sans reconnaitre formellement le nouveau titre de Notre Auguste Souverain, a pris des dispositions pour que l'usage de ce titre de la part de nos Agents comme sur nos documents et dans nos correspondances ne trouve point d'obstacle de sa part. L'Angleterre et la Suisse l'ont officiellement reconnu de la manière la plus spontanée et la plus bienveillante. Ainsi les précédents ne manquent pas et nous nous attendons à recevoir bientòt de nouvelles adhésions.
ALLEGATO.
BRASSIER DE ST. SIMON A CAVOUR
Turin, le 27 mars 1861.
Connaissant l'attitude expectative que le Gouvernement du Roi, Mon Auguste Maitre, s'est prescrite en suite des derniers changements survenus en Italie, Votre Excellence trouvera fort nature! que j'aie cru devoir demander à Berlin des instructions sur la conduite à tenir relativement aux passeports et autres documents émanés au nom de Sa Majesté Victor Emmanuel avec le titre de • Roi d'Italie •, et qui auraient besoin de mon visa ou de ma légalisation pour etre valables en Prusse.
Dans l'intéret de la continuation non-interrompue des rapports entre les deux pays respectifs, je viens d'etre autorisé à munir les documents de la susdite catégorie de ma signature, comme je l'ai fait par le passé à l'égard de ceux délivrés au nom de Sa Majesté le Roi de Sardaigne, avec la réserve toutefois qu'il ne soit pas donné au fait de mon visa ou de ma légalisation une signification politique, et nommément qu'il n'en soit pas tiré une conclusion qui puisse préjuger la question de reconnaissance.
(l) Edita in Cavour -Nigra, IV, 1289.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., 365)
L. P. Parigi, 4 aprile 1861.
Je profite de l'occasion de M. Bellin'i pour le charger de cette lettre.
M. Bellini a assez bien fait les affaires ici. M. de Germiny, que je connais, m'a fait des éloges sur votre négociateur. Les chemins de fer romains sont le còté plus sale de l'affaire Mirès, et je me prends la liberté de vous mettre en garde contre toutes les personnes, qui ont fait partie de cette administration. MM. Delahaute, Cocherie et tous ceux enfin qu'y ont été melés, sont plus ou moins compromis. M. Bell'ini pourra du reste vous mettre au courant de tout. Si jamais vous avez besoin de quelques renseignements sur ces Messieurs, mes rapports avec MM. Benoit Champy et Chaix d'Est Ange me permettront de vous en fournir de très précis.
Jamais je ne me suis préoccupé des menées du Prince Murat.
Je ne leur donne pas, non plus à présent, une grande importance, soit parceque je ne pense pas qu'il puisse entrer dans !es plans de l'Empereur de piacer Murat sur un tròne qu'il aurait meme refusé à son Cousin le Prince Napoléon; soit pour l'individualité du Prince Murat, ridicule au physique, et au mora! menteur emporté et sans aucune capacité. V. E. voit donc que si je l'entretiens de cette Altesse, que je viens de dépeindre avec une palette si peu flatteuse, ce n'est pas pour des craintes que m'inspirent ses entreprises, dont il reve tout haut. Le còté sérieux est celui que je vous avais signalé quand François II était encore à Gaete, c'est à dire que le Prince Murat deviendrait le point de ralliement de tous les mécontents napolitains, qui n'osant pas agir au nom de François II, se servent de Murat pour susciter des troubles, dont ils espèrent de profiter plus tard pour la cause du Bourbon.
La duchesse de Bivona, cousine éloignée de l'Impératrice, dont je vous ai parlé dans une de mes dernières lettres, a attiré chez elle le fils ainé de Murat. Ce jeune homme, aussi inepte que son père à des choses sérieuses, mais pourtant moins bete, se laisse aller à des espérances que la vieille Duchesse lui inspire, en lui faisant croire que l'Impératrice entrerait, avec son influence, dans le complot.
Je ne pense pas que l'Impératrice puisse comploter pour Murat, qu'elle déteste ainsi que tous les parents de l'Empereur, mais je crois qu'elle n'est pas fachée de nous créer des embarras, car malgré les remontrances de l'Empereur, elle continue à protéger tous les partis contraires à la politique impériale.
Je n'ai pas manqué de parler de tout ceci à Conneau, qui partage mon opinion. Jamais l'Empereur ne renouvellera la faute de son oncle de distribuer des trònes aux membres de sa famille.
Le Prince Murat ayant demandé depuis un mois une audience à S. M. pour l'entretenir sur la conduite qu'il se propose de tenir en vue du Muratisme qu'il voit toujours croissant à Naples, S. M. n'a pas encore répondu à sa demande.
Murat a écrit sa dernière lettre espérant de provoquer une explication de la part de l'Empereur, dont il a une peur atroce.
J'ai beaucoup insisté auprès de M. Thouvenel et j'insisterai encore pour qu'il pousse l'Empereur à dire au Prince de se tenir tranquille. J'ai fait cette démarche de manière à ne pas laisser penser à S. E. que nous craignons le muratisme, mais simplement en faisant remarquer l'inconvenance qu'un Prince de la famille Impériale se rende ridicule en devenant le jouet des légitimistes et des bourboniens.
Tous les esprits ici se préoccupent de la possibilité d'une guerre entre l'Autriche et l'Italie et craignent que la France ne soit entrainée dans la lutte. Nos ennemis disent que Garibaldi et les siens donneront raison à l'Autriche de nous attaquer. Nos amis memes pensent que les troubles intérieurs et la désorganisation de l'Empire autrichien vous pousseront, Monsieur le Comte, à prendre l'initiative,
surtout en vue du mouvement hongrois qu'on croit pret à éclater d'un moment à
l'autre, et qui vous entrainera peut-etre, disent-ils, à lui donner, malgré vous, la
main.
J'ai reçu par Perrod et bien à propos votre lettre. Je dis bien à propos parcequ'elle vient couper court à une masse d'incertitudes qui entravaient meme M. Thouvenel dans ses relations avec l'Empereur.
S. M., toujours muet, n'a que quelques rares épanchements avec Conneau. Avant hier il lui disait: «Mon cher Conneau, ces affaires de Rome me tourmentent; j'ai tant fait pour l'Italie qu'elle me doit de m'aider à sortir avec dignité de cette question en me permettant, par une solution, meme provisoire, de rappeler mes troupes. Dites à Vimercati de ma part que le mécontentement suscité par le Clergé dans les campagnes sape mon gouvernement dans sa base, qu'il faut qu'il fasse connaitre à M. de Cavour combien l'esprit français a été aliéné de la cause italienne par cette malheureuse question. Je désire savo'ir si ce Père Passaglia est retourné à Turin».
J'ai communiqué ce matin à M. Thouvenel la partie de votre lettre qui a trait aux affaires de Rome. Le Ministre ne s'est point étonné de voir vos propositions à peu près rejetées.
Il ne partage pas votre avis sur la publication des négociations, surtout par le moyen que vous proposez.
c La France, dit-il, ne peut se preter, meme en apparence, à appuyer des propositions qu'elle aurait vu réussir avec plaisir, mais qu'elle n'a pas cru devoir formuler elle meme à Rome. Remarquez bien que les difficultés de la France à proposer elle meme ce projet, ne viennent pas d'une considération d'égards à la Papauté, mais simplement du mécontentement qu'il exciterait à l'intérieur.
c Tous les rapports que nous recevons des provinces sont tels qu'ils nous suggèrent la prudente mesure de conseiller à M. de Cavour d'aUer à Rome et d'y effectuer ses vues vastes et intelligentes mais de faire ce chemin en deux étapes.
«L'Empereur est triste: j'ai toutes les peines du monde à l'empikher de prendre une détermination quelconque qui aurait été jusqu'ici inopportune; mais à présent je sens la nécessité de viser aux moyens d'obtenir une solution, je ne puis encore vous dire laquelle ».
Voyant le danger de voir remettre sur le tapis l'ancien projet de Paris, j'ai dit à S. E. qu'il était impossible au Gouvernement du Roi d'entrer meme en pourparlers sur tout projet, qui n'aurait pas pour base la séparation absolue de l'Eglise et de l'Etat. M. Thouvenel a répondu: « Quant au projet fait par l'Empereur moi-meme je le crois inapplicable. A mon avis vous ne pouvez non plus ni traiter, ni prendre aucun engagement direct avec la Cour de Rome. Il faut trouver un moyen par lequel ne revenant pas sur le passé, vous puissiez, traitant avec la France, vous engager vis à vis de nous à ne pas prendre au Pape, tant qu'il reste d Rome, son territoire actuel, ce qui ne vous empechera pas de traiter et de faire prévaloir, avec le tems, vos principes. On demanderait au Piémont et à Rome de prendre chacuri la partie de la dette publique qui les concerne».
Ayant demandé a M. Thouvenel qui est-ce qui garderait le Pape à Rome après le départ des troupes françaises, il me dit qu'on lui permettrait de se former une armée qui ne dépassat pas les 10/m hommes. «Je comprends très-bien, a-t-il ajouté, que cet état de choses ne serait pas durable, mais c'est précisément sur son peu de durée qu'on se fonde pour etre persuadé que M. de Cavour entrera dans cette voie, d'autant plus que la santé du Pape est gravement menacée et que le siège devenant vacant, la France et l'Italie se mettant d'accord, on pourrait faire élire un Pape ital'ien qui acceptat les principes posés par M. de Cavour».
Croyez, Monsieur le Comte, que la situation ici devient de jour en jour plus grave. Je ne suis pas alarmiste, mais c'est mon devoir de mettre sous les yeux de V. E. que la prolongation de l'état actuel nous serait très préjudiciable en vue surtout des événements qui se préparent.
Pour nous c'est une nécessité absolue d'etre appuyés parla France. Or voyons quelles seront nos difficultés à venir.
A l'extérieur nous avons l'Autriche, qui en proie à toutes sortes de difficultés et de tiraillements qui la détraquent peut etre poussée à tenter un coup contre ses populations qui menacent de se soulever. En admettant que vous puissiez etre assez fort pour résister à tout entrainement, les révolutions de Hongrie et de Pologne pourraient amener une entente entre les trois Cours du Nord Unies, elles peuvent étouffer et meme écraser les mouvements intérieurs. Alors forte d'une nouvelle énergie, quoique fictive, l'Autriche pourrait se retourner contre l'Italie non pas pour l'attaquer subitement, mais pour la tracasser et la pousser à bout, si elle peut se douter que les Italiens ne seront pas soutenus par la France. Or l'Empereur pourrait-il soutenir l'Italie, si les sympathies de la nation française s'éloignent chaque jour plus de nous?
Je vous fais grace de toutes les autres questions pendantes; telles que la froideur entre l'Angleterre et la France, l'Orient, le Rhin et meme la probabilité d'une descente en Angleterre, folie qui tout incroyable, tout absurde qu'elle est, n'en émeut pas moins les Anglais, jaloux de voir un seui homme disposer d'une armée formidable telle que la française.
A l'intérieur nos difficultés ne sont pas moindres. L'assimilation des provinces, les luttes des partis, l'esprit municipal qui peut se réveiller, les finances et par dessus tout les aveux de MM. Fanti et Lamarmora, tout cela demande, à mon avis, tout l'appui moral de la France. Les avantages, que nous donnerait une reconnaissance bien éclatante et bien sympathique de sa part, compenseraient, selon moi, les difficultés que vous auriez à faire passer un arrangement transitoire sur la grave question de Rome.
M. Thouvenel m'a dit très en secret: « Je sens le besoin, et l'Empereur le sent comme moi, de m'aboucher avec M. de Cavour; il faudra que nous trouvions le moyen de nous rencontrer quelque part; n'en dites cependant encore rien au Comte de Cavour, car ceci n'est encore qu'un vague projet ».
Je ne saurais assez insister pour vous prier, Monsieur le Comte, de m'envoyer par un courrier une lettre qui me trace bien nettement la conduite que je dois suivre dans une si grave affaire.
Je vois les difficultés, qui entourent l'Empereur, et je comprends qu'il ne peut pas risquer son trone pour sauver l'Italie. Nous sauver à ce prix serait, d'ailleurs, nous perdre tout à fait.
V. E. a bien fait d'envoyer au Prince Napoléon des conseils de prudence, quoique ici on ne soit pas très alarmés des complications qui semblent se présenter en Autriche.
M. Bellini vous peindra avec des couleurs assez vives l'agitation causée en France par les cléricaux. J'ai causé avec lui et je crois avoir un peu réduit à de justes proportions ses appréciations, qui répétées à ses collègues de la Chambre ne pourront que produire un bon effet.
Les affaires d'Orient s'embrouillent toujours davantage et la conduite de l'Angleterre à Constantinople indigne tellement M. Thouvenel que S. E. a laissé échapper des phrases qui, si elles étaient mises en pratique, entraineraient sans doute la guerre avec l'Angleterre.
Je ne sais si je me suis bien expliqué plus haut, mais il parait que le nouveau projet d'arrangement avec Rome n'exigerait aucun engagement du Gouvernement du Roi avec le St. Siège, et moins encore une renonciation à faire triompher plus tard vos idées.
L'ABATE PASSAGLIA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 369)
L. P. Roma, 6 aprile 1861.
La sera del 5 corrente fui dal Cardinale Antonelli, il quale avendomi accolto con cortesia: Professore, mi disse, Sua Beatitudine non rifiuta di trattare pei negoziati religiosi spettanti agli Stati ereditari del Re ed alla Lombardia; ma non crede potersi di presente iniziare queste trattative. Rifletta al modo tenuto dal Governo di Sua Maestà colle persone e colle cose ecclesiastiche, rifletta alla licenza che si consente ai Protestanti, e rifletta allo spirito irreligioso che ovunque si manifesta, senza che il Governo gli opponga alcun argine e
dovrà confessare, che Sua Beatitudine non può nutrire confidenza che la volontà di trattare sia sincera, e leale l'intendimento di venire a concordia.
Non omisi di rispondere quel meglio che mi si offeriva acconcio per persuadere il Cardinale, che le intenzioni del Governo erano sincere, e che Sua Beatitudine potea con prudenza affidarsi alle sue parole ed alle sue promesse. Vi vuoi più che parole e che promesse, mi replicò, per ispirare nell'animo di Sua Beatitudine tal confidenza; sono necessarii fatti, e fatti chiari e decisivi. Si cessi pertanto dalle gravissime ingiurie personali e reali sin qui recate alla Chiesa, si cessi dal favorire l'empietà e l'irreligione; ed allora, mel creda, tratteremo.
Da questo punto passando Sua Eminenza all'altro dello Stato temporale e di Roma, recisamente asserì, che la Santa Sede, pronta per un lato a tutto sofferire, era per l'altro risolutissima a non trattarne col Governo di Sua Maestà. Esser questa una controversia non sociale, nè nazionale, ma internazionale e cattolica, e però da non decidersi che col suffragio almeno di tutte le cat
toliche Potenze.
Mi permisi di porre sott'occhio a Sua Eminenza: 1) che la controversia
era eziandio nazionale, né meno di diritto che di fatto, come Sua Eminenza potea raccogliere dal disc6rsone in ambedue i parlamenti, francese ed italiano; 2) che per quantunque debba pure riputarsi internazionale, il voto delle nazioni cattoliche non era oscuro, e riusciva quindi ad un proposito di non intervenire colla forza, e quindi ad un desiderio che il Pontificato se la intendesse coll'Italia e col suo Governo.
S'inganna, Professore, mi soggiunse, e lo prego a volermi credere. Impe· rocché (e si abbia questi miei detti in pegno della mia fiducia e stima per Lei) questa mattina stessa il Governo Spagnolo mi ha significato, essersi esso addossato l'officio di persuadere alle Potenze cattoliche, l) che lo Stato temporale è richiesto per la libera indipendenza del Pontificato, 2) che vuolsi però conservato al Pontefice, e 3) che deesi quindi con proteste e con ogni altro mezzo opportuno resistere ai disegni del Piemonte e del Parlamento riunito a Torino. Di più l'Ambasciatore di Francia mi ha assicurato, che il suo Governo riputerebbe caso di guerra ogni moto militare Piemontese volto ad occupare non solo Roma, ma pur anco qualsiasi parte del Patrimonio. Attendiamo dunque, concluse, lo svolgimento dei fatti, e confidiamo nella Prov· videnza, che assiste la Chiesa ed il suo Pontefice.
Ben può supporre V. E. che io anziché rimanermi muto, tolsi argomento dai fatti precedenti, dalla comune opinione e dalla natura delle cose, per diminuire in prima e quindi per distruggere le speranze vere o simulate del Cardinale. Mi udl egli con benevolenza, ma finì col ripetermi: attendiamo i fatti, e da essi toglieremo la norma delle nostre deliberazioni.
La precedente schiettissima esposizione può aiutare V. E. a formarsi un retto giudizio, l) delle disposizioni della Corte di Roma, 2) dello stadio in cui trovasi il negozio, 3) dei mezzi necessari ad adoperarsi per promuoverlo, 4) degli ostacoli a togliersi, e 5) degli indirizzi a darmisi, ogni qual volta si stimi che io debba continuare nell'opera fra tante difficoltà e sì pungenti dispiaceri incominciata.
P. S. -Mentre per alcuni minuti mi tratteneva nell'anticamera del Cardinale Antonelli, il suo Segretario ed il sig. Moreschi minutante dell'Interno; favellando tra loro, forse ad arte, con voce non abbastanza dimessa, si lamentavano dei liberali e dei progressisti, dicendoli vera peste sociale e religiosa, e desideravano si tornasse alle maniere di dieci secoli fa, o almeno a quelle di Sisto V. Vostra Eccellenza ne riderà, ma insieme intenderà quali sieno i voti della Corte Romana.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E "MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 370).
L. P. Torino, 7 aprile 1861.
J'a'i reçu la lettre que vous m'avez expédiée par l'entremise de M. Bellini. Je regrette infiniment les embarras que la question romaine suscite à l'Empereur. Je crois toutefois qu'il s'en exagère la portée. Tous les renseignement:s
so
que j'ai recueillis me portent à croire que le résultat des discussions soit à Paris, soit à Turin a été favorable à sa politique. L'opinion publique se déclare de plus en plus en sa faveur. Je crois qu'il faut suivre la voie qu'il nous est ouverte en saisissant toutes les occasions pour mettre en lumière les principes et les idées qui servent de base à la solution que j'ai indiquée, elle est la seule qui soit pratique. C'est dans ce but que j'ai provoqué une discussion au Sénat. Elle aura lieu mardi prochain. Malgré les provocations de Rome, les violences du Pape, je serais encore plus modéré et plus catholique que je l'ai été à la Chambre.
Je vous envoie la relation de Pantaleoni. Elle n'est pas trop bien faite (1). L'excellent docteur s'y occupe trop de lui. Le Père Passaglia étant demeuré à Rome je ne puis communiquer que difficilement avec lui. J'ai reçu une de ses lettres il y a quelques jours: il ne se montre pas trop découragé. L'aristocratie Romaine commence à se déclarer pour le système de conciliation. Il est probable qu'elle adressera un mémoire à l'Empereur. Si on parvient à obtenir cet acte de courage d'un certain nombre de Princes et Ducs, notre cause sera à demi gagnée.
Après cela l'Empereur pourrait proposer un arrangement provisoire, pendant lequel on pourrait traiter. Nous l'accepterions en principe et nous discuterions le mode d'application. Le Pape probablement refuserait tout. La discussion devrait etre publique. Ce n'est qu'en employant la publicité que nous parviendrons à réduire le Pape à la raison.
Garibaldi est arrivé ici au moment où nous l'attendions le moins. Quel est le motif réel de ce retour sur la scène politique? Je crois que la véritable raison c'est que le ròle de Cincinnatus commençait à lui peser. Il a donné pour prétexte qu'il venait réclamer dans l'intéret de ses officiers. Et à vrai dire ce prétexte n'est pas dénué de fondement, car Fanti a été d'une lenteur désespérante dans l'execution des opérations préliminaires, nécessaires aux mesures à prendre pour fixer le sort des Garibaldiens.
Au lieu de se tenir sur ce terrain, où il aurait pu nous donner de l'embarras, Garibaldi s'est fait précéder par un discours absurde, dans lequel il ne ménage ni le Roi, ni le Parlement. Vous l'aurez lu dans tous les journaux. Cet acte insensé a fort irrité les députés, qui ne sont guère disposés à lui faire bon accueil. Jusqu'à présent il reste sous sa tente par cause de maladie. Il se tient sur une certaine réserve. En sortira-t-il? Et comment? C'est ce que j'ignore, car Garibaldi allie la pétulance du soldat aventurier à la profonde dissimulation du sauvage. Ce que je puis vous dire, c'est que nous sommes bien décidés, tout en ayant pour lui et pour ses officiers les égards qui leur sont diìs, à ne permettre aucun acte illégal et compromettant. Je n'ose pas garantir qu'il ne nous crée pas des difficultés; mais je crois pouvoir dire que nous avons les moyens de les vaincre. Garibaldi n'est pas assez fou pour aUer se casser le nerf contre le quadrilatère ou dans les gorges du Tyrol. S'il ne parvient pas à entrainer le Roi et le Parlement, il rentrera sous sa tente et prendra une attitude plus hostile que celle qu'il a maintenu depuis son départ de Naples. Si un mouvement éclate en Hongrie, il cherchera à s'y
Il · Dommenli diplomatici • Serie I · Vol. I
rendre. Mais dans cette hypothèse nous nous mettrons probablement d'accord avec lui, car si une véritable révolution éclatait dans la vallée du Danube, si 100.000 hongrois se réunissent pour combattre l'Autriche, il nous sera bien difficile de conserver la paix en Italie.
J'espère et je désire ardemment que la Hongrie se tienne tranquille, mais si poussée à bout par l'Autriche elle se soulève d'un bout à l'autre du pays, elle nous entrainera.
Klapka est revenu ici. Je l'ai trouvé plus calme qu'il ne l'était lorsqu'il vous a vu à Paris. Il a reconnu que l'intéret de son pays était de retarder la lutte autant que possible. Je l'ai prié de me tracer d'une façon précise le pian de conduite que le parti national comptait suivre. Il a rédigé en consequence la note que je vous envo'ie ci-jointe (1). J'avoue que je la trouve assez raisonnable. Communiquez-la à M. Thouvenel et tachez d'obtenir de lui une réponse aussi cathégorique que possible.
Il y a ici le capitaine Magnan, le plus intrépide et le plus intelligent agent français en Orient. Il prétend avoir un moyen infaillible de faire passer des armes en Hongrie. Mais je n'ose pas en expédier des ports de l'Italie: nous sommes surveillés de trop près par les agents anglais. Hudson connait tout le monde, il en a en main les fils de toutes les conspirations qui sont ourdies en Italie, il a trop d'amis dans tous les partis pour qu'il soit possible de lui cacher un envoi d'armes considérable. Ne pourrions pas en obtenir de la France? Parlez-en à M. Thouvenel.
Je désirerais bien vivement avoir une entrevue avec cet habile ministre. Mais comment faire pour nous rencontrer sans que toute l'Europe s'alarme? Il faudrait que nous puissions nous rencontrer incognito. La chose n'est pas facile à combiner. Si vous parvenez à trouver un moyen quelconque, je l'accepterai avec empressement.
J'oubliais de vous dire que jusqu'à présent le Roi n'a pas vu Garibaldi, et qu'il parait très décidé à ne céder ni aux séductions, ni aux menaces.
(l) Edita in Q. R. II, 371, cfr. anche Cavour -Nigra, IV, 1291.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R.• II, 372)
L. P. Parigi, 8-9 aprile 1861.
Comme je vous ai mandé par mon télégramme du 5 courant, j'ai jugé convenable de faire finir les menées du Prince Murat. S. A. était devenu le jouet de Bourboniens, qui à l'ombre de son énorme royauté, avaient le projet de susciter dans les provinces du Midi toutes les passions autonomistes.
J'ai été prier Conneau d'en parler confidentiellement à l'Empereur. Le Docteur y consentit à la condition que je lui écrirais une lettre à mettre sous les yeux de S. M., ce que j'ai fait en me gardant bien de donner au Prince
Murat la moindre importance personnelle, mais en faisant ressortir qu'il n'était pas convenable qu'un membre de la famille impériale devienne le jouet de l'émigration bourbonienne.
M. Thouvenel m'a remercié de cette démarche. L'Empereur m'avait fait répondre qu'il aurait fait appeler dans la journée son Cousin. Mais ensuite il a préféré lui écrire et un instant après lui avoir envoyé sa lettre il a fait dire à La Guéronnière de l'annoncer dans les journaux du soir.
La pauvre Princesse Murat, qui est une brave et digne femme, a chargé la Princesse Mathilde de justifier la conduite de son mari aux yeux de l'Empereur, en faisant valoir la raison que le Prince avait regardé comme un assentiment tacite le silence de l'Empereur sur sa demande d'audience faite pour avoir de S. M. ses conseils sur la conduite à suivre vis-à-vis des sympathies toujours croissantes pour lui dans les provinces napolitaines.
Le Prince Napoléon me confirme dans ce que j'ai écrit à V. E. que l'Empereur est de plus en plus désireux d'en finir avec l'occupation de Rome. L'autre jour ils en ont parlé ensemble, et le Prince a poussé S. M. à prendre une décision.
L'Empereur a chargé Persigny et M. Thouvenel, à l'insu l'un de l'autre, de lui faire un projet pour sortir honorablement de cette impasse. M. Thouvenel, prenant pour base la proposition que V. E. a faite à l'Empereur de déplaire, ou à l'Italie en vous empechant d'aller à Rome d'un seui trait, ou au parti catholique français, qui devient de plus en plus menaçant, préfèrerait de courir le premier de ces dangers. Il le préfère d'autant plus que S. M. peut compter sur le bon sens et la sagesse des Italiens, qui, par reconnaissance pour tout ce qu'il a fait pour l'Italie dont il est le meilleur ami, ne voudront pas exposer à un grave risque sa dynastie pour une chose qui n'est, après tout, qu'une question de tems.
Partant de ce point qui n'est pas, selon moi, tout à fait juste, S. E. veut
proposer, je crois, ce qui suit:
Le Gouvernement du Roi s'engagerait simplement à ne pas toucher au
territoire actuel du St. Siège et se chargerait d'une partie proportionnelle de
la dette pontificale.
Cet engagement serait pris vis à vis de la France seulement.
Par l'intermédiaire de la France, le Roi proposerait en outre au Pape d'ajouter à son titre de Roi d'ltalie celui de Vicaire du St. Siège. En cas d'acceptation de la part du Pape (ce qui impliquerait indirectement une espèce de renonciation à ses anciennes provinces), le Gouvernement du Roi se chargerait de contribuer dans une proportion à déterminer aux dépenses voulues par la dignité du Siège Pontificai.
Cet arrangement, convenu d'accord avec V. E., serait présenté comme
ultimatum a la Cour de Rome en lui donnant deux mois pour qu'elle puisse
se former une force de 10/m hommes pour le maintien de l'ordre en ses
provinces. Le St. Père acceptant ou refusant, les troupes françaises seraient
rappelées et une fois les français hors de Rome, advienne ce qui pourra; l'Em
pereur s'en laverait les mains.
Je n'ai pas caché à M. Thouvenel toutes les difficultés, que ce projet créerait non seulement à l'ltalie mais aussi à la France. Le parti catholique, loin de reconnaitre que la France aura quitté le Pape en de bonnes conditions, comme dit M. Thouvenel, criera à la trah'ison. En effet des deux choses, l'une. Ou le St. Père quittera Rome avec l'armée française, ou bien il sera forcé de s'en aUer plus tard devant les mouvements populaires que, sans les fomenter, notre Gouvernement ne pourra certainement pas empecher.
« Une fois partis de Rome, me répliqua M. Thouvenel, tout cela nous sera parfaitement égal ».
J'ai ajouté que nous avions à compter aussi avec Garibaldi, qui trouverait peut-etre plus facile d'attaquer les 10 mille hommes qui soutiendraient la Papauté, que ce n'est les bataillons autrichiens. Pour les premiers, il n'aurait pas besoin d'avoir l'armée du Roi à sa suite, tandis qu'avec les seconds elle lui est indispensable.
Mais en admettant que le Gouvernement du Roi puisse empecher une attaque par Garibaldi avec ses volontaires, pourra-t-il également l'empecher d'aUer tout seui se mettre à la tete des populations restées au St. Siège et qu'entrainerait l'enthousiasme qu'inspirerait sa présence? Et alors voilà le Pape obligé d'émigrer ou de se retirer, comme Clément VII, à St. Angelo. Quelle serait la conduite possible du Gouvernement du Roi et des deux Ambassadeurs de France à Rome et à Turin dans une telle circostance? Je dis d Turin, parceque l'acceptation du projet de M. Thouvenel par le Gouvernement du Roi impliquerait la reconnaissance du nouveau Royaume et le rétablissement immédiat des rapports diplomatiques normaux par l'envoi réciproque d'Ambassadeurs.
M. Thouvenel n'a pas trop su que répondre à mes observations et s'est contenté de dire: «Etant dans une fausse position, nous voulons en sortir par une combinaison dont les conséquences à venir soient moins mauvaises. Je vais faire mon travail que je remettrai à l'Empereur. J'aurais voulu me
rencontrer secrètement avec M. de Cavour à Suse ou à Culoz, mais S. M. n'en veut pas, car notre rencontre serait connue et donnerait l'alarme à la diplomatie ».
M. Thouvenel m'a dit que les propositions ci-dessus, exposées à l'Empereur, lui ont paru convenables.
J'ai toujours pour règle de ma conduite ici la pensée que l'Empereur veut, en préparant autant que possible les événements, avoir apparemment la main forcée par eux. Mais ici la conséquence me semblerait d'une telle gravité à faire réfl.échir deux fois le Gouvernement du Roi avant de nous lancer dans toutes les suites, que pourrait entrainer le Pape émigrant à la suite de l'armée française et excitant le fanatisme religieux, auquel, sans lui donner l'importance des anciens tems, je ne puis me refuser à reconnaitre une très grande infiuence.
Dans cette grave question il me faut redoubler d'activité pour suivre l'opinion de toutes les personnes qui ont une infiuence dans les conseils de l'Empereur.
C'est dans ce but que Madame Vimercati s'est beaucoup liée avec Madame Rouher et que je vais souvent chez le Ministre des Travaux Publics, qui est sans contredit, le plus capable parmi les ministres actuels.
Or l'opinion de M. Rouher est que l'Empereur veut avoir la main forcée.
S. E. n'est pas effrayé de la papauté émigrante et croit que le Pape quittera Rome peu de tems après l'armée française. Ce ne sera, selon lui, qu'après le retour du St. Père dans la ville sainte que votre projet de séparation de l'Eglise et de l'Etat pourra s'effectuer.
En ce qui regarde le Clergé français M. le Ministre dès travaux publics pense qu'il faut relever et assurer une indépendance au bas Clergé qui est, maintenant, livré, mains et pieds liés, aux Eveques. Selon lui il faudrait, en matière purement religieuse, le rétablissement des officialités qui ont été abolies par les Concordats. En 1801 Napoléon I a soutenu, à ce sujet, une lutte très vive et il n'à cédé qu'à la résistance de Pie VII.
La conclusion de M. Rouher serait de viser à un moyen, provisoire meme, qui permette de retirer de Rome l'armée française. Pour lui toute la question est là. La France, une fois dégagée à Rome, recouvre sa liberté à l'intérieur et son autorité sur le Clergé en sera plus efficace.
Passons à M. de Persigny.
S. E. partirait, pour le moment, d'un point de vue différent de celui de
M. Thouvenel, pour se jo'indre à lui après avoir fait proposer au St. Père un projet d'arrangement, qui serait un acheminement à la séparation totale et à la liberté de l'Eglise en libre Etat.
Selon le Ministre de l'Intérieur [il] devrait avoir la plus grande publicité. Les discussions et les difficultés que vous auriez pour le faire adopter par nos Chambres seraient une force pour l'Empereur vis-à-vis des catholiques de bonne foi. Le Pape, en refusant, donnerait une preuve de plus de sa funeste résistance et c'est alors seulement que M. de Persigny voudrait pratiquer le projet de Mr. Thouvenel, que l'Empereur lui a fait connaitre comme étant fait par lui meme.
Par ses propositions transitoires, qui seraient sans doute refusées par le Pape, M. de Persigny n'a d'autre but que de piacer ce dernier dans son tort.
Il commencerait par établir que le St. Père règne et ne gouverne pas; le Roi d'Italie gouverne à sa piace et ajoute à son titre actuel celui de Vice-Roi des Etats Pontificaux (et non Vicaire; ce mot n'a pas les sympathies de
M. de Persigny). A ceci le Ministre fait suivre presque toutes les concessions proposées par vous en matière religieuse. Il établit qu'une portion de biens meubles et immeubles sera affectée pour les dépenses du Souverain Pontife et des Cardinaux et ne voudrait pas parler de la ville de Rome, qui entrerait implicitement dans la condition de tous les autres Etats du St. Père.
Ce projet, assez biscornu et inapplicable, n'aurait selon moi qu'un avantage c'est-à-dire celui de la publicité du refus par le St. Siège d'un projet qui s'approche assez de celui de V. E., car l'un directement, l'autre indirectement tendent à l'abolition du pouvoir temporel.
Par le langage, que m'a tenu M. de Persigny, j'ai pu voir que son effervescence est plutòt dans sa periode ascendante que décroissante. Il s'est épris d'une amitié folle pour moi; je n'ose pas le quitter sous le désenchantement d'une passion malheureuse et j'ai par conséquent avec lui une patience à toute épreuve dans l'intéret de nos affaires.
Je dois avouer à V. E. qu'un des arguments dont se servent le plus nos ennemis c'est la difficulté, que rencontre, à leurs yeux, l'application du principe unitaire en Italie. Ils disent à l'Empereur sur tous les tons:
«V. M. veut sacrifier le pouvoir temporel du Pape à une chimère, car l'unité italienne est une utopie irréalisable ».
C'est pour répondre à cet argument, que Persigny veut conserver apparemment et en principe la souveraineté temporelle. « Ainsi, dit-il, l'unité échoue-t-elle? les droits du St. Siège sont réservés ».
Je vous assure, Monsieur le Comte, que ce n'est pas une petite affaire que de bien saisir et coordonner les idées passablement confuses de M. le Ministre de l'Intérieur; mais je crois utile, malgré ses défauts, de conserver avec lui de bonnes relations.
Le Prince Napoléon trouve dans les idées de M. de Persigny quelque chose de vrai. Selon S. A. on pourrait prendre en considération ses pensées et tacher de les rendre pratiques au moins dans le sens d'ètre présentées à Rome.
Le projet d'achat de l'Herzégovine, qui serait donnée en échange de la Vénétie, roule encore dans la tète de Persigny, et il m'a dit qu'il gagne du terrain auprès de Lord Palmerston. Le Prince Napoléon trouve aussi se projet magnifique et m'en a parlé hier longuement.
9 avril.
J'ai reçu ce matin l'expédition Collino. J'ai communiqué le rapport de
M. Pantaleoni à M. Thouvenel, qui a été frappé du vote de la congrégation présidée par le Cardinal Santucci. Il m'a dit: «C'est facheux que M. de Gramont, entrainé par les légitimistes, ne voie à Rome les choses que d'un seui point de vue et ne nous informe pas de la véritable situation ».
Il partage votre opinion sur la publicité, qui piace les affaires de Rome sous leur véritable jour; il ne veut pourtant pas adopter le mode de publicité que vous proposez dans votre avant dernière lettre.
Il croit qu'une adresse de la noblesse romaine, portant bon nombre de signatures, produira un effet salutaire; il vous prie de pousser cela, mais avec toute prudence de façon qu'on ne se doute pas à Rome que vous y étes pour quelque chose.
Je n'ai pas fait sentir au Ministre des Affaires Etrangères que vous seriez prèt à accepter un arrangement provisoire. On n'y est ici que trop disposé; et je prévois qu'un de ces jours l'Empereur va m'envoyer à Turin avec quelque proposition, je le répète, toute provisoire, car d'aucune façon, la question romaine ne peut ètre résolue, si non par votre solution.
Garibaldi est le cauchemar de M. Thouvenel. Je lui ai dit que le Gouvernement du Roi était bien décidé à ne pas se laisser forcer la main, quoique vous conveniez vous mème qu'il peut nous donner des embarras. S. E. a entendu avec plaisir que le Roi n'a pas vu Garibaldi. A ce sujet vous pourriez dire à S. M. que l'Empereur me charge de lui recommander la plus grande prudence. A Vienne on est informé de toutes les personnes, qui ont l'honneur de voir le Roi; qu'il sache à quoi s'en tenir.
Les nouvelles complications de Varsovie, que je vous annonce par mon télégramme d'aujourd'hui, y marqueront un tems d'arret, qui s'étendra peut-etre à la Hongrie, à moins que l'Empereur d'Autriche ne se laisse monter la tete par cet exemple de répression.
M. de Moustier mande de singuliers détails sur ce qui se passe à Vienne relativement à la Hongrie. Les libéraux hongrois et allemands voudraient détruire les privilèges contenus dans la constitution hongroise. Au contraire l'aristocratie des deux pays voudrait que François Joseph accorde ces privilèges en Hongrie pour se faire de ceci un point d'appui contre le libéralisme allemand, qu'elle appelle doctrinaire. Des intelligences sont entretenues entre les deux aristocraties de Hongrie et de Vienne et dans les discussions l'Empereur s'est montré plus enclin aux concessions libérales que M. de Schmerling meme, qui est aversé par une grande partie des Ministres.
M. Thouvenel me charge de vous dire de conseiller à Klapka de ne I'ien négliger pour s'entendre avec les régiments de frontière croates. Un grand mécontentement y règne et c'est là que la révolution hongroise doit chercher son appui. Le Ministre trouve la note de Klapka tout à fait convenable en admettant que les choses fussent comme le Général les juge de loin; mais, selon lui, il n'est pas ainsi. Des renseignements très précis venant de Pesth confirment ce que M. de Moustier mande de Vienne.
M. Thouvenel vous recommande aussi vivement de ne pas vous fier à Magnan. Ce monsieur est bien le plus intrépide, mais aussi le plus bavard des agents français. L'Empereur lui porte de l'intéret, parcequ'il a rendu de véritables services, mais, à présent, il est échaudé. Partout les yeux de la police autrichienne sont tournés sur lui et on ne saurait prudemment lui confier une mission ausst délicate que celle dont parle V. E. Il faudrait que Magnan vous indique le moyen qu'il dit posséder de faire parvenir des armes en Hongrie. Sous le prétexte d'une concession de mines on a obtenu du Gouvernement Turc un petit territoire. C'est là qu'on comptait faire un dépOt d'armes. Mais Magnan et ses amis ont trop parlé et compromis un moyen qui aurait été, peut-etre très bon. Si c'est à cela que Magnan fait allusion, l'Autriche en est déjà prévenue et se tient sur ses gardes.
Suivant M. Thouvenel et meme Conneau, ce n'est qu'au moment où une insurrection éclaterait en Hongrie, l'Autriche étant dans le tort, qu'on pourrait obtenir de l'Empereur l'envoi d'armes et un appui réel.
S. M. a l'intention d'éloigner les événements autant qu'il pourra; c'est notre intéret à tous de le suivre dans cette voie. Mazzini travaille activement; l'Autriche ne demande qu'un prétexte; M. Thouvenel appelle votre attention pour que nous n'ayons pas à lui faire la partie bonne.
Je viens de voir Conneau. L'Empereur est toujours impatient de retirer ses troupes de Rome; il dit que cette pensée ne lui laisse de treve ni nuit ni jour. Il disait encore ce matin: « Si on me fournissait le moyen de sortir honorablement de cette fausse position, mes sympathies pour l'Italie redoubleraient >.
Dans cet état de choses, je me permets, Monsieur le Comte, de vous faire une demande, qui ne vient que de moi, et ne m'a été suggérée par personne. Il en serait autrement que vous le dirais. La voici.
Votre lettre de ce matin, qui parle d'arrangement provisoire, m'a donné l'idée de vous demander pourquoi ne pourriez-vous pas faire un projet, qui, tout en
étant un acheminement à votre solution, pourrait fournir à l'Empereur le moyen de satisfaire, au plus tòt, à son vif désir. Une fois les troupes françaises rentrées, la France aurait toute sa liberté d'action et l'Italie, Iivrée à elle meme, pourrait attendre le moment où l'inefficacité d'une mesure transitoire ferait sentir au St. Siège la nécessité d'accepter le principe vrai que vous avez posé dans vos propositions. S'il y a un projet possible, il ne peut sortir que d'une de vos vastes conceptions. Je communiquerais en tout secret, moi meme, vos idées à l'Empereur, qui les trouvant de sa convenance pourrait les passer comme siennes propres à
M. Thouvenel ou à M. Persigny.
Croyez, Excellence, que cette pensée m'est dictée par la grande anxiété que je vois dans l'Empereur de sortir de la position où il se trouve. L'aider c'est nous aider nous memes; les événements marchent et nous avons trop besoin de l'appui de la France pour ne pas hésiter à l'acheter meme par quelque grand sacrifice. J'ai lu attentivement vos discours à la Chambre sur cette question et je vois, si je ne me trompe, que meme dans vos conclusions vous admettez la possibilité d'aller à Rome en deux étapes.
M. Matteucci a fait demander à l'Empereur par Conneau de charger Gramont d'insister auprès du Pape afin qu'il lui permette d'aller à Rome, ou du moins de lui faire arriver une lettre.
Veut-il y aller pour plaider en faveur des idées exposées dans son ordre du jour d'aujourd'hui, que je reçois à l'instant? Demain, par mon beau frère se rendant à Turin, je pourrai peut-etre vous envoyer des détails sur les affaires de Pologne. En attendant je crois utile de vous renvoyer ce soir méme le courrier Collino.
(l) Edita in Q. R., II, Appendice Il, p. 263.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A MADRID, TECCO
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 11 aprile 1861.
Une loi de l'Etat a proclamé, vous le savez, la formation du Royaume d'Italie sous le sceptre de Victor Emmanuel II Notre Auguste Souverain et de ses successeurs. L'Angleterre et la Suisse ont déjà reconnu avec le titre assumé par le Roi le changement opéré dans la Peninsule Italienne par les grands faits qui se sont accomplis et qui viennent de recevoir du Parlement National la sanction de la légalité constitutionelle. Nous sommes informés que d'autres Gouvernements vont bientòt y donner également leur adhésion. Le moment serait donc venu de notifier également au Cabinet de Madrid un événement consacré par le vote légitime de la nation, et reconnu par plusieurs Puissances. Et si nous ne devions consulter que nos sentiments pour le Gouvernement Espagnol, si nous ne devions consulter que les souvenirs historiques, l'esprit éminemment national et les institutions d'un pays qui a su, grace à des glorieux et mémorables efforts, fonder
et maintenir son indépendance et sa liberté, je n'hésiterais pas à vous charger de l'honorable mission d'annoncer au Cabinet de S. M. Catholique la reconstitution d'une nationalité que bien des motifs recommandent aux sympathies du peuple espagnol, et qui ne peut nourrir envers l'Espagne que les dispositions les plus bienveillantes.
Mais l'amitié meme et la haute estime que nous professons pour la Cour de Madrid est à nos yeux une raison de plus de nous rendre compte des circonstances spéciales qui peuvent lui faire désirer de ne pas etre mise immédiatement en demeure de reconnahre un ordre de choses auquel nous sommes persuadés d'ailleurs que l'Espagne comme Gouvernement national et constitutionnel ne refuse pas la valeur légale qu'il a reçue des pouvoirs constitutionnels de notre patrie. Nous avons trop de confiance dans la sagesse et dans les dispositions amicales du Cabinet de Madrid pour ne pas le laisser juge du moment où il croira pouvoir concilier une résolution que nous avons lieu d'attendre de lui, avec des convenances que nous aimons à respecter.
Mais tout en nous abstenant de hater ses décisions il nous importe, et le Gouvernement Espagnol appréciera sans doute ce désir, que les relations que vous devez avoir avec lui soient réglées de manière que nos droits n'en soient pas préjugés et que notre dignité n'en ait pas à souffrir. Pour le moment il nous semble que ce double but pourrait etre atteint de la manière suivante. Le Gouvernement Espagnol dans ses communications avec notre Représentant à Madrid pourrait, s'il le veut, se borner à la souscription ou adresse à M. le Baron Tecco, Envoyé Extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire de S. M. le Roi Vietar Emmanuel, sans y ajouter pour le moment d'autres qualifications, tandis que notre Ministre prendrait dans ses rapports avec le Cabinet Espagnol le titre d'Envoyé etc. du Roi d'Italie. Cette meme qualification de Roi d'Italie devra naturellement figurer sur les Armoiries de la Légation, ainsi que sur les passeports et autres documents qui en émaneraient soit de la Légation soit des Consulats Italiens en Espagne.
Le Cabinet ~spagnol sentira sans doute que vous ne pourriez prendre d'autres qualifications que celle qui a obtenu la sanction solennelle des pouvoirs constitutionnels de notre pays et qui répond à l'état de choses qui existe réellement et régulièrement en Italie. Par ce moyen les relations réciproques pourraient continuer jusqu'à ce que le Gouvernement de S. M. Catholique ne verrait plus aucune difficulté à reconnaitre formellement le Royaume d'ltalie. Ce moment, je l'espère, sera d'autant moins différé que l'expédient meme que je propose doit montrer au Gouvernement Espagnol combien nous attachons de prix à son amitié, et que les sentiments camme les intérets nombreux qui lient les deux nations ne peuvent que les porter à se donner des marques de bienveillance, et à resserrer de plus en plus leurs rapports.
Je crois utile de vous faire remarquer à toute bonne fin que des mesures transitoires identiques à celles qui forment l'objet de cette dépeche ont déjà été convenues avec quelques autres Gouvernements qui se trouvent envers le Royaume d'Italie dans des conditions analogues à celle de l'Espagne.
J e vous invite à entretenir en ce sens S. E. Monsieur le Ministre des Affaires Etrangères de S. M. Catholique.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI
T. 255. Torino, 12 aprile 1861.
Le Prince de Carignan m'envoie télégrammes sur télégrammes répétant que l'agitation dans les Provinces Napolitaines est entretenue par les agents que le Roi François et sa Cour expédient de Rome. Le Général Goyon favorise les intrigues et se montre ouvertement favorable à la réaction. Ces jours derniers il a fait manreuvrer l'artillerie française en présence du Roi François, ce qui a produit effet déplorable. Je compte adresser une note ostensible à Thouvenel pour lui demander son éloignement de Rome. Prévenez-le et sondez-le pour savoir si cela déplairait à l'Empereur.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
T. 384. Parigi, 12 aprile 1861, ore 17,40 (per. ore 19,05).
Je n'ai pas pu voir Thouvenel, mon entretien étant de midi à une heure, pour que votre demande d'éloignement soit portée au Conseil des Ministres demain. J'ai communiqué votre dépeche télégraphique à Benedetti; mais il sera difficile qu'on adhère à la demande d'éloigner Goyon. Je vais influencer Persigny et les Ministres des Travaux Publics et des Finances pour que demain on décide au moins un blame pour Goyon. Est-ce bien de ce dernier ou du Roi de Naples que vous parlez? Répondez par télégraphe de suite. J'ai obtenu de Persigny que la presse semi-officielle soutienne votre système d'arrangeme.ftt avec Rome; il a écrit à La Gueronnière de s'entendre avec moi. Les plus étranges bruits courent à la bourse, les Autrichiens ont passé le Pò, votre Ministère est tombé, etc., etc.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI
T. 258. Torino, 12 aprile 1861.
C'est le Roi de Naples qu'il importe éloigner de Rome; non Goyon. Rien de nouveau de l'autre còté du Mincio. Le Ministère est renforcé par suite du discours Ricasoli (1).
(l) Discorso Ricasoli nella seduta 10 aprile della Camera dei Deputati c per l'assegnamentodi un giorno per le interpellanze sull'Armata Meridionale, e osservazioni intorno ad alcune parole del generale Garibaldi • (contro il Parlamento) in Ricaso!i, V., pp. 439-443.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 382)
T. 386. Parigi, 13 aprile 1861, ore 13,40 (per. ore 14,40).
Les nouvelles de Pologne très graves. Selon les émigrés 500 victimes. Le peuple est décidé à continuer les démonstrations et se faire massacrer. La prochaine démonstration aura en tete les femmes et les enfants. L'Empereur dit hier au soir que la cause de Pologne est digne de sympathie par son triste et glorieux passé. S. M. va envoyer à Goyon fort blàme pour la manoeuvre; aujourd'hui on en parle en Conseil des Ministres. J'insiste pour l'éloignement de l'ex-Roi François. Je crois que nous avons fait un pas vers la reconnaissance.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., Il, 383)
T. 387. Parigi, 13 aprile 1861, ore 16,50 (per. ore 19,05).
N'écrivez pas de note officielle pour l'éloignement du Roi François; aujourd'hui meme on écrit à Goyon de faire sentir au Roi qu'il a manqué à sa parole et que l'Empereur est fort mécontent de ses menées et des embarras qu'il lui crée, qu'il s'attendait de lui autre chose. Le Ministre de la Guerre envoie réprimande très vive à Goyon pour la manreuvre. L'Ambassadeur de France à Vienne écrit que le Baron Way est désolé des intentions de guerre qu'on attribue à l'Autriche: elle ne songe point du tout à nous attaquer d'autant plus qu'elle sait que nous n'attaquerons pas. Il parait que Palmerston songe sérieusement à s'unir avec les Tory, ceci inquiète ici. Les affaires d'Orient vont très mal et Bulwer s'obstine à s'opposer au chàtiment des Druses. Hier au soir j'ai vu l'Empereur. Je pars ce soir pour Turin avec une lettre, envoyée par lui.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE 20l. Londra, 13 aprile 1861.
J'ai vu Lord John Russell et j'ai profité de ma visite pour lui parler des graves difficultés qui se dressent contre nous en perspective par le fait des manreuvres attribuées à l'Autriche pour se ménager le bénéfice de certains cas de mouvements politiques. Tout en étant l'reuvre de ses agens secrets elle nous en attribuerait l'explosion pour mettre de son cOté l'opinion européenne.
Lord John qui a, je crois, écrit à ce sujet à Sir James Hudson à Turin (l), m'a tenu un langage plein d'incertitude et de perplexité. Il hésitait à croire l'Autriche assez malavisée pour susciter elle-meme au meme moment une guerre en Hongrie et en Vénétie. Sans argent et devant tenir compte des antipathies de ses sujets et de ses nombreuses complications intérieures, comment pouvait-elle désirer se mesurer meme avec la seule armée italienne, soutenue par les population et fière de ses récents succès?
D'autre part il était bien à craindre que, soit pour tenter par un coup de tete et de désespoir de !lortir de cette position si fausse, meme à perdre la Vénétie les armes à la main, soit par la grande confiance qu'on cherchait à inspirer de nouveau au jeune Empereur en son armée, objet de tant de préoccupations et de dépenses, il était à craindre, dis-je, qu'on ne le pousse à des mesures déconseillées par la raison et condamnées d'avance. Les renseignements qui leur venaient de Venise étaient dans ce sens.
Lord John me disait par conséquent que ne prévoyant guère laquelle de ces deux alternatives serait prépondérante, il ne savait au juste quelle opinion définitive il lui était permis de se former.
En meme temps le seui parti à prendre pour lui était dans le doute no'n pas de s'abstenir, mais au contraire de prendre une position intermédiarie entre les combattants. C'est ce qu'il avait fait en faisant savoir à Vienne (et peut-etre à Turin) que quelqu'il fut il serait contre l'agresseur.
En meme temps il avait énuméré en détail à Vienne les arguments qu'il croyait les plus valables pour conseiller la paix. Il en avait parlé ici au Comte Apponyi en appelant son attention sur les manoeuvres dont l'Autriche était accusée à propos d'enròlemens et de faux Garibaldiens. L'Ambassadeur s'était borné à demander à Lord John si réellement il pouvait croire que l'Autriche fUt capable de pareilles infamies. La réponse ne m'aurait point parue difficile. En parlant de la Hongrie il dit que l'Empereur son Maitre ne pourrait jamais céder aux prétentions des Hongrois. Mais Lord John se borna à lui répondre qu'avant de se prononcer aussi catégoriquement il faillait savoir si les demandes hongroises n'étaient pas justes.
Au reste dans le cours de la conversation je me permis de faire cette remarque que tant que l'Angleterre se bornait à exprimer sa désapprobation, cela n'empecherait pas l'Autriche d'agir malgré cela, précisément parce qu'elle savait qu'il s'agissait de paroles seulement et qu'au fond elle ne perdrait pas beaucoup auprès de la nation auprès de laquelle elle était fort impopulaire. Lord John contesta cet argument. Je concédai de mon còté que dans notre sens il pourrait arriver que par suite d'une attaque de l'Autriche contre nous, l'opinion publique en Angleterre s'émeuve assez pour pousser le Gouvernement à intervenir activement. Mais Lord John me parut enclin à penser que, tout en souhaitant tout le succès aux Italiens, aux Hongrois et aux Polonais, la nation anglaise n'irait pas jusqu'à prendre les armes pour eux autrement que par l'influence morale. J'ai entendu des personnes très compétentes soutenir dernièrement la thèse contraire. En tout cas, me dit Lord John, cela ne serait pas égal à l'Autriche de braver notre
désapprobation parce que le premier effet entre autres qui en dériverait serait un rapprochement immédiat entre nous et la France, rapprochement qui ne serait pas dans le sens du pouvoir temporel et d'autres sujets qui tiennent fort à coeur du Gouvernement Impérial.
Cette hypothèse, que Lord John me présenta de son propre chef, me frappa extremement en me prouvant que son attention avait été récemment dirigée en ce sens. J e crus la chose assez importante à noter pour en faire part le soir meme à M. de Flahault. L'Ambassadeur, tout en tenant compte de ces meilleures dispositions, m'a paru éprouver un peu d'amertume par suite des dispositions défiantes qu'il ne cesse de rencontrer sur son chemin. Il revint avec de pénibles récriminations sur le passé de ces deux années. Mais je lui fis observer que c'était précisément à amener un futur meilleur que ces remarques de Lord John pouvaient tendre. Il y a du chemin à faire. Mais cela peut servir de marque pour une direction à prendre ou à donner.
Les craintes qu'on avait conçues sur la durée du Ministère actuel, commencent à se dissiper. C'est une nouvelle que V. E. apprendra, j'en suis sùr, avec beaucoup de satisfaction.
(l) Cfr. C. M. DE VECCHI DI VAL CISMON, P Solaroli a Londra nel dicembre 1860, !n • Rass. Storica del Risorgimento • XXI, 1934, pp. 1200-1204.
IL PRINCIPE GIROLAMO NAPOLEONE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (l)
(Ed. in Q. R., II, 384) Parigi, 13 aprile 1861.
Je comprends toute l'importance de votre lettre, la difficulté de votre situation en face des cassecous intérieurs, en face de l'opposition morale de la France qui ne reconnait pas le Roi d'Italie, et qu'une partie de l'opinion publique croit favorable aux prétentions du Prince Murat, en face de la conduite du Général de Goyon qui fait passer des revues au roi de Naples à Rome et traite ce prince en roi légitime des deux Siciles, enfin vis-à-vis de l'Autriche qui peut vous attaquer d'un moment à l'autre. Vous n'avez pas besoin que je vous fasse connaitre mon opinion personnelle, que j'ai manifestée hautement sur toutes ces questions. Ce sont les intentions de l'Empereur qu'il vous importe de connaitre.
Sans que ce que je vous écris ait rien d'officiel, je crois pouvoir vous indiquer les idées générales de l'Empereur, qui pourront vous servir à trouver peut-etre une solution pour l'évacuation de Rome, si désirable au point de vue français et italien.
Pour résoudre une question, il faut avant tout la bien poser. Or voici com
ment cette question se présente à mon esprit.
L'Empereur, qui occupe Rome depuis douze ans, ne veut pas que l'éva
cuation de cette ville ait l'air d'un démenti donné à sa politique, ni d'une
retraite vis-à-vis de l'unité de l'Italie, qui s'est faite en dehors de ses conseils.
Le désir de l'Empereur est cependant de quitter Rome et de sortir d'une
fausse position. Vous avez un intéret de premier ordre à obtenir notre éva
cuation; cela doit, je crois, vous faire passer sur des difficultés secondaires et
surtout temporaires. La politique de non intervention applicable à Rome et
au patrimoine de St. Pierre pourrait servir de base à un arrangement, consi
dérant le Pape comme un souverain indépendant, vis-à-vis duquel la non
intervention devrait etre pratiquée. La France évacuerait Rome, l'Autriche
ne pourrait pas l'y remplacer; mais le Gouvernement italien devrait s'engager
vis-à-vis de la France, non seulement à ne pas attaquer le Gouvernement du
Pape directement par ses troupes, mais meme à ne pas le laisser attaquer
indirectement par des volontaires conduits par Garibaldi ou autres. Cet enga
gement est conforme à vos déclarations devant le parlement, où vous dites
que la question de Rome n'est pas de celles qui se résolvent par la force.
La non intervention consiste à garantir un état considéré comme indépen
dant, de toute attaque éntrangère. Si, avec le temps, la situation du gouver
nement papal vis-à-vis des cinq ou six cent mille sujets qui lui restent à
gouverner, devenait intolérable, le gouvernement de l'Empereur peut ne pas
se croire obligé de garantir le Pape contre ses propres sujets. C'est une question
qu'il n'est pas utile de traiter dans un arrangement direct entre la France
et l'Italie. Le Gouvernement de l'Empereur ayant obtenu une garantie formelle
de votre part de respecter le territoire que le Pape gouverne encore aujourd'hui,
peut considérer sa mission comme terminée à Rome.
La diminution du territoire papa! depuis 1849 (l) expliquera notre éva
cuation, notre présence n'étant plus indispensable au maintien du pouvoir
temporel du Pape réduit à ses nouvelles limites.
Le gouvernement de l'Empereur voudra, je crois, stipuler, meme sans
donner au Pape le droit d'appeler une intervention étrangère, lui reconnaitre
et faire reconnaitre par vous le droit qu'aura le gouvernement pontificai de se soutenir en organisant une force catholique prise en dehors de sa petite population, pourvu que cette force, limitée pour qu'elle ne puisse pas dégénérer en un moyen d'attaque contre vous, ne soit qu'une force défensive et conservatrice. Le chiffre pourrait en etre fixé à une douzaine de mille hommes.
J e me résume donc ainsi:
l) Un arrangement direct serait conclu entre la France et l'Italie.
2) La France ayant mis le Pape à l'abri de toute attaque ses soldats
évacuent Rome.
3) L'Italie s'engagera à ne pas attaquer et d empecher meme par la
force toute attaque venant de l'extérieur contre le territoire actuel du Pape.
4) Le Gouvernement italien s'interdira de faire toute réclamation contre l'organisation d'une armée papale composée meme de volontaires catholiques étrangers, tant que cette armée ne monterait pas à plus de dix mille hommes.
5) L'Italie se déclarerait prete à entrer en arrangement avec le gouvernement du Pape, pour prendre à sa charge la part proportionnelle qui lui reviendrait dans les charges des anciens Etats de l'Eglise.
Cet arrangement me parait également avantageux pour la France et pour l'Italie. L'Empereur resterait vis-à-vis de l'opinion publique européenne dans le programme qu'il s'est posé, de maintenir le pouvoir temporel du Pape à Rome et dans le patrimoine de St. Pierre.
L'Italie aurait l'immense avantage de se voir reconnaitre par la France; de voir l'alliance naturelle et indispensable complètement rétablie avec nous, et enfin, si le gouvernement temporel du Pape succombe avec le temps, il faut, en face de l'opinion publique, faire cette dernière épreuve solennelle et bien constatée qu'il ne sera pas renversé par la force venant de l'extérieur, mais par ses propres difficultés intérieures.
C'est mettre, en un mot, le Pape en face de ses populations. Si Rome devient un jour la Capitale de l'Italie, il faut que ce soit non par une conquete étrangère, mais par la volonté manifeste et persévérante de ses propres habttants et par l'impuissance du gouvernement des pretres.
Je comprends, mon cher Comte, combien seront grandes les difficultés
intérieures que vous aurez à surmonter, et vis-à-vis de votre parlement (et
vis-à-vis de Garibaldi et de ses volontaires) et vis-à-vis de tout le parti qui
veut l'unité immédiate. Mais croyez-moi, et mes sentiments ne sauraient vous
etre suspects, vous n'obtiendrez pas plus de l'Empereur.
Si un arrangement n'intervient pas et au plus tot, qui nous permette de
quitter Rome, la situation deviendra de plus en plus mauvaise en Italie et en
France, ainsi que dans les relations des deux pays. Il arrivera un moment où
l'Autriche, qui vous guette, vous attaquera. La France sera dans une fausse
position, tout sera remis en question, et la grande cause qui a triomphé en 1859
peut etre perdue.
Je compte sur votre tact d'homme d'Etat, pour vous faire comprendre
combien il est important pour vous d'obtenir, par un arrangement qui satisfasse
la France, l'évacuation de Rome.
Si vous me répondez que vous croyez pouvoir accepter ces bases, je remet
trai votre lettre à S. M. l'Empereur, et j'ai lieu d'espérer qu'il donnera des
ordres à son Ministre des affaires étrangères pour terminer au plus tòt cet
arrangement.
P. S. -Ces propositions ne sont encore que les bases d'un traité qu'il faudra examiner à fond avec toutes ses difficultés.
(l) Preferiamo pubblicarla nell'edizione di Q. R., fondata su una copia che esisteva alla Biblioteca Reale di Torino (salvo il p. s. che gli editori di Q. R., II, 385, hanno tratto dall'ediz. Artom e che parafrasa quasi il contenuto di un biglietto di Napoleone III al principe Napoleone), ma la lettera era stata già data alla luce con varianti diverse da • • • Un po' più di luce sulla Convenzione del 15 settembre 1864 in • Nuova Antologia •, ser. IV, vol. LXXX (marzo 1899), pp. 67-69; C. DURANDO, Episodi diplomatici de! risorgimento italiano dal 1856 a! 1863, Torino, 1901, p. 205 e sgg.; E. ARTOM, L'opera politica del sen. I. Artom ne! risorgimento italiano, Bologna, 1906, p. 188 e sgg.; L. C. BoLLEA, Una si!loge di lettere del risorgimento ecc., Torino, l!iH9, p. 443 e sgg.
(l) Recte: 1859.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO
(Ed. in Q. R., II, 386)
T. 264. Torino, 15 aprile 18tS1.
Veuillez dire au Prince Napoléon que le Comte Vimercati est arrivé. Il a communiqué le projet au Roi et à moi. Au premier aspect il nous parait présenter de graves diffi.cultés. Toutefois, pénétrés de la nécessité de marcher d'accord avec le Gouvernement Impérial, nous sommes à la recherche des moyens de les vaincre.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY
D. 378. Torino, 15 aprile 1861.
L'attitude expectante de la Prusse, l'attitude naturellement hostile de l'Autriche ne nous permettent guère de nous flatter que les Etats secondaires de l'Allemagne soient enclins à reconnaìtre le Royaume d'Italie. Divisés presque nécessairement à raison de leur position, de leurs principes et de leurs intérets en deux groupes, dont l'une gravite vers Berlin, l'autre vers Vienne, ces Etats en général sont obligés de subir dans les questions un peu graves de la politique étrangère l'infl.uence de l'une ou de l'autre des deux grandes Puissances Allemandes. Ainsi je crois que chez tous ou chez la plupart du moins une notification du nouvel ordre de choses n'aurait aucune chance d'etre favorablement accueillie et qu'il serait par conséquent inutile de faire auprès d'eux des démarches officielles et directes.
Comme du reste nous n'avons pas de Légations qui résident dans les capitales de ces Etats secondaires, il n'est peut-etre pas meme nécessaire de provoquer de leur part des mesures transitoires pour régler la continuation de rapports qui n'ont presque pas de caractère politique et qui se bornent à des relations commerciales, dans lesquelles les Gouvernements respectifs ont rarement à exercer une action immédiate et d'une nature internationale.
Il se peut toutefois que quelqu'Etat de l'Allemagne du Nord, ou placé dans des circonstances qui les rendent moins dépendant des deux grandes Cours, ou désirant ménager à son commerce des relations plus étendues avec l'Italie, soit mieux disposé à reconnaitre le nouveau Royaume. Je veux faire allusion surtout aux villes libres Breme, Lubeck, Hambourg. Etats commerçants sans aucune importance politique, ils pensent peut-etre qu'un acte de reconnaissance de leur part ne donnerait point d'ombrage, et serait regardé par l'Autriche et la Prusse comme une simple précaution de prudence, un moyen de sauvegarder, de développer les intérets de leur commerce et de leur marine marchande. En effet, ils ne peuvent etre insensibles aux avantages que leur offre l'application à toute l'Italie des principes libéraux qui régissent notre législation douanière et l'extreme modicité de nos tarifs.
Il me parait donc convenable qu'en évitant toute démarche offi.cielle et
meme des ouvertures trop directes, vous sondiez, en vous entretenant avec
leurs Représentants à Berlin ou de telle autre manière que vous jugerez bon,
les intentions de ceux parmi les Etats secondaires que vous auriez lieu de
croire mieux disposés et dans une situation plus indépendante de la politique
ou de la pression des grandes Cours, et particulièrement les villes libres. Si
vous rencontriez quelque part des dispositions favorables, alors sùr votre avis
on aviserait aux communications qui paraitraient opportunes.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 320. Berlino, 16 aprile 1861.
Je viens d'apprendre d'une source très sùre que tout récemment des pour
parlers ont eu lieu entre les Gouvernements allemands, à l'instigation proba
blement de l'Autriche, qui aurait voulu amener une démonstration contre le
nouvel ordre de choses en Italie. La Bavière, tout me porte à le croire, avait
été chargée d'attacher le grelot.
Voici quel était le plan.
Quelques-uns des Souverains déchus, entre autres le Roi François II et le
Due de Modène, devaient faire remettre au Président de la Confédération
Germanique une protestation contre les usurpations dont ils se disent les
innocentes victimes. La Diète en aurait pris acte, en déclarant qu'elle ne
saurait permettre plus longtemps à Francfort la présence du représentant diplo
mat'ique du Souverain usurpateur, etc., etc.
Le Grand Due de Baden a refusé net de se prèter à la réalisation de ce
projet. De son còté le Cabinet de Berlin à décliné péremptoirement de s'as
socier à de semblables démarches. Le Baron de Schleinitz s'est expliqué dans
ce sens vis-à-vis de mes collègues, et il espérait que ces tentatives iraient à
vau-l'eau. Il ajoutait qu'il existe en Allemagne deux courants, l'un qui nous
est contraire, dans le Midi; et l'autre dans le Nord, où les Etats, la Prusse en
tète, ne sont animés d'aucun sentiment hostile à notre égard; seulement avant
de nous reconnaitre ils veulent attendre de s'assurer si nous parviendrons à
consolider le nouveau Royaume d'Italie, malgré les diffìcultés qui l'entourent.
J'ai pensé que ces détails sur l'attitude de la Prusse en présence des menées
de l'Autriche offriraient quelque intérèt à V. E. Vu le mauvais vouloir de plu
sieurs Etats du Sud dont les Représentants siègent à Francfort, la position du
Comte de Barrai n'est pas des plus faciles. Heureusement que le tact et l'expé
rience ne lui font pas défaut. Je sais par Monsieur de Usedom qu'il vit dans
les meilleurs termes avec son collègue de Prusse, bien à mème de lui indiquer,
au besoin, la meilleure voie à suivre, pour se préserver des embùches.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL PRINCIPE GIROLAMO NAPOLEONE (l)
(Ed. in Cavour -Nigra, IV, 1294)
L. P. Torino, 17 aprile 1861.
Le Comte Vimercati m'a remis avant hier la lettre que V. A. I. m'a fait l'honneur de m'écrire le 13 de ce mois.
7 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I
J'avoue qu'au premier moment j'ai été effrayé des difficultés et des dangers que présente l'exécution du pian que l'Empereur serait disposé à adopter pour arriver à une solution provisoire de la question romaine.
Les engangemens qu'il nous faudra contracter d'une part, l'état de Rome lorsque les français se seront retirés, de l'autre, nous créeront des embarras énormes vis-à-vis du Parlement, du pays, des Romains, et surtout de Garibaldi qui, comme un ours sorti de sa tanière, est à la recherche d'une proie à dévorer.
Toutefois comme lorsqu'il n'y a que deux voies à suivre, il faut savoir choisir la moins périlleuse, quels que soient les précipices dont elle est semée, je n'ai pas tardé à me convaincre que nous devions accepter les propositions contenues dans la lettre de V. A. I. L'alliance française étant la base de notre politique, il y a peu de sacrifices que je ne sois disposé à faire pour qu'elle ne soit pas mise en question.
Le Roi à qui j'ai communiqué immédiatement la lettre de V. A. a partagé cet avis. Cependant avant de remettre au Comte Vimercati une réponse définitive, j'ai cru nécessaire de m'assurer que dans le Conseil des Ministres, et au sein du Parlement le projet en question ne rencontrerait pas des obstacles invincibles. Pour avoir cette certitude le concours de deux hommes, de Minghetti et Ricasoli, est indispensable. Après quelques hésitations et non sans une répugnance assez marquée, il se sont engagés à me le donner. Maintenant, je suis sur de mon fait, du moins du point de vue parlementaire. Je n'ai aucune observation essentielle aux bases du traité posées par V. A. Ainsi il demeure entendu:
l) que le traité serait conclu directement entre la France et l'Italie sans l'intervention de la Cour de Rome;
2) que la France ayant mis le Pape à l'abri de toute attaque étrangère, ses soldats évacueront Rome dans un délai déterminé qu'il serait bon de limiter autant que possible à quinze jours ou un mois par exemple;
3) que l'Italie s'engagerait à ne pas attaquer et à empecher meme par la force toute attaque venant de l'extérieur contre le territoire actuel du Pape;
4) que le Gouvernement s'interdirait de faire toute réclamation contre l'organisation d'une armée papale composée meme de volontaires catholiques étrangers, tant que cette armée ne monterait pas à plus de dix mille hommes;
5) que l'Italie se déclarerait prete à entrer en arrangement avec le Gouvernement du Pape, pour prendre à sa charge la part proportionnelle qui lui reviendrait dans les charges des anciens états de l'Eglise.
Tout en acceptant sans réserve la quatrième base, je demanderais que dans le traité définitif elle fUt redigée de manière à choquer le moins possible le sentiment national qui est très sensible à tout ce qui a rapport à l'intervention de soldats étrangers en Italie.
Quoique je comprenne fort bien que les points ci-dessus indiqués ne comprennent pas toutes les conditions du traité définitif, je n'entrerai pas maintenant dans des détails ultérieurs avec V. A. I. convaincu que le Comte Vimercati avec lequel j'ai eu de longues explications est en mesure d'éclairer
V. A. sur toùtes les questions qu'il s'agira de fixer.
Toutefois je me permettrai d'indiquer deux points qui me paraissent de la plus haute importance.
l) C'est que la reconnaissance du Royaume d'Italie ait lieu le jour meme de la signature du traité; a cet effet nous munirions le personnage, chargé -de signer le traité, de lettres de créance qu'il pourrait remettre sans délai à l'Empereur. Cette mission pourrait avoir un caractère d'autant plus solenne! qu'elle aurait un but spécial et ne serait que temporaire.
2) Sans s'engager à nous preter un concours direct, la France pourrait nous promettre ses bons offices pour amener le Pape a consentir à un accord définitif avec l'Italie en harmonie avec les principes que le Cardinal Santucci et le Père Passaglia ont soumis au Cardinal Antonelli. Cette clause aurait l'immense avantage de rendre la Cour de Rome plus sage et le peuple romain plus patient.
Une fois parfaitement d'accord sur les conditions vitales du traité, il me parait que sa conclusion pourra avoir Iieu dans un bref délai. Plus nous ferons vite et plus nous aurons des chances de surmonter les difficultés que son exécution soulèvera.
Trop de monde a intéret à empecher la réconciliation parfaite de la France et de l'Italie pour qu'il ne convienne pas de laisser le moins de tems possible aux intrigues de nos ennemis.
Ainsi que le Comte Vimercati me l'a répété au nom de V. A. je sens que le secret le plus absolu est une condition essentielle du succès de la présente négociation. Aussi elle peut y compter d'une manière absolue de notre part. Je ne doute pas que le secret soit aussi bien gardé à Paris qu'à Turin: mais il me parait essentiel de ne pas mettre Gramont dans la confidence; qui n'est pas toujours assez en garde vis-à-vis du Cardinal Antonelli qui excelle dans l'art de pénétrer les véritables intentions des diplomates avec lesquels il a à faire.
Je ne saurais terminer cette lettre sans exprimer à V. A. I. ma profonde reconnaissance pour ses efforts constants en faveur de la cause ital1enne, qui lui doit déjà tant. J'espère que, Iorsqu'elle aura triomphé définitivement,
V. A. verra qu'elle n'a pas travaillé pour des ingrats, et qu'en concourant à la résurrection d'un peuple opprimé Elle aura puissamment contribué à rendre la France plus forte et plus glorieuse.
(l) Già edita con qualche variante da L. CHIALA, Lettere ed. ed ined. del Conte di Cavour, Torino 1883, IV, pp. 214-217.
IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 17 aprile 1861.
Il me revient de source certaine que tout dernièrement l'Autriche a fait de secrètes démarches auprès des différentes Cours allemandes pour les engager à protester collectivement à la Diète contre la récente création du Royaume d'Italie et par suite provoquer l'éloignement de cette Légation. Les manreuvres de l'Autriche n'ont pas abouti grace à la résistance de la Prusse qui s'est refusée de s'associer à ces intrigues en disant que c'était là une question sur laquelle la Diète n'avait pas pour le moment à se prononcer et dont l'examen devait etre exclusivement réservé à l'appréciation séparée de chacune des Cours allemandes. Pour mieux assurer le succès de ses perfides démarches, l'Autriche y avait joint une circulaire dont j'espère pouvoir bientot transmettre le texte à V. E.
Dans cet état de choses, je crois le moment venu d'appeler l'attention de
V. E. et de Lui demander ses instructions sur certains points fort délicats à décider, dont les plus pressants pour le moment se rapportent aux « visas » et passeports à délivrer par cette Légation.
Je ne pense pas qu'il soit dans les intentions du Gouvernement du Roi d'adresser à la Diète une notification à laquelle la majorité de l'assemblée répondrait infailliblement par un refus de reconnaitre le nouvel ordre de choses; je ne crois pas davantage qu'il soit possible de proposer un modus vivendi semblable à celui qui a été convenu avec la Prusse; et comme en dernier lieu je n'ai pas de communications à transmettre à la Diète, il s'en suit qu'il n'y a pas de difficultés à prévoir de ce coté-là.
Reste donc la question des passeports et des « visas » : si d'une part il me parait bien difficile pour ne pas dire impossible, de continuer à délivrer des passeports comme Représentant d'un ordre de choses qui a cessé d'exister, de l'autre il pourrait fort bien se faire aussi que les Chancelleries allemandes, soumises comme elles le sont à la pression autrichienne, n'attendent que le prétexte d'un « visa » délivré par la Légation d'Italie, pour refuser d'y apposer le leur, et en créant ainsi des embarras, amener une rupture à laquelle l'Autriche, par des motifs d'intéret personnel, pousse de toutes ses forces. Toutefois, si V. E. veut bien me permettre d'exprimer mon opinion, je crois que en attendant des circonstances plus favorables, c'est encore là la meilleure épreuve à tenter, sauf à prendre une détermination décisive dans le cas où elle viendrait à échouer
De toute manière, je laisse à la haute sagesse de V. E., le soin de décider de la question et n'ai rien voulu faire avant de prendre Ses ordres.
IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 19 aprile 1861.
Je viens compléter ma dépeche télégraphique d'aujourd'hui dont le contenu, tout en ayant l'apparence de faire suite à ce que j'ai eu l'honneur de mander hier et avant-hier à V. E. sur les efforts tentés par l'Autriche pour amenere l'ensemble des Etats Allemands à protester contre la création du Royaume d'Italie et par suite déterminer l'éloignement d'un représentant de Sa Majesté près la Confédération Germanique, constitue cependant un fait nouveau dans la série non interrompue de ses intrigues dans ce sens.
Les sentiments haineux de la plupart des Etats secondaires contre nous sont bien connus à l'Autriche, mais ce qu'elle poursuit avec une opiniatreté toujours croissante c'est d'en obtenir la double consécration officielle par une protestation solennelle de l'ensemble des Etats contre ce qui vient de s'accomplir en Italie et par la rupture aussi éclatante que possible du dernier lien diplomatique qui les unit encore au Gouvernement du Roi. En agissant ainsi elle espère lier d'une manière encore plus-étroite les Gouvernements allemands à sa cause et les engager tellement avant dans sa politique qu'ils ne puissent plus reculer lorsque le moment de la lutte sera arrivé.
Obligée déjà une première fois de renoncer à ce but constant de ses efforts par suite de la résistance de la Prusse (et c'est à cette première période de ses manreuvres secrètes que se rapportent mes dépeches d'hier), l'Autriche par une nouvelle combinaison a pensé, que la protestation des ex-Ducs de Modène et de Toscane à la Diète, contre le glorieux titre de Roi d'Italie si justement assumé par Sa Majesté, serait aujourd'hui une excellente occasion de renouveler ses tentatives. La protestation en question sera probablement, dit-on, présentée dans la prochaine séance par la Bavière ou la Saxe. Quant à la proposition de rompre les relations diplomatiques, comme la Prusse a décliné toute espèce de participation à cette mesure, en déclarant à l'avance au Cabinet de Vienne, par note du 14 de ce mois, qu'elle entendait s'en tenir au modus vivendi conclu dernièrement avec la Cour de Turin, il est fort possible qu'elle croie plus prudent de l'ajourner.
Quoiqu'il en soit, le moment ne peut pas tarder d'etre fixé à cet égard, et je m'empresserai d'en informer V. E. par le télégraphe.
En terminant cette dépeche et dans un autre ordre d'idées, je ne veux pas remettre à plus tard d'informer V. E., que par dessous main l'Autriche a fait traduire et répandre par milliers d'exemplaires en Allemagne la lettre du Due d'Orléans Sur l'histoire de France. Le gouvernement Français a été de ce procédé qu'il ne peut manquer d'apprécier à sa juste valeur.
IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 21 aprile 1861.
Contrairement à ce qui m'avait été confié, il n'a été question hier à la Diète ni de la protestation des ex-Ducs de Modène et de Toscane, ni d'aucune proposition rélative à cette Légation. Il est possible, me dit-'on, que la déclaration faite par le Cabinet Prussien à celui de Vienne, de ne rien vouloir changer à ses rapports convenus avec la Mission du Roi à Berlin, ait donné à penser à l'Autriche que le moment n'était pas encore venu de soulever cette question au sein de la haute Assemblée, à laquelle le Ministre de Prusse ne manquera pas, le cas échéant, d'exposer la manière de voir de son Gouvernement à cet égard. Mais d'un autre còté, il peut aussi très bien se faire, que l'Autriche, sure comme elle l'est de la majorité de la Diéte, ait di'l simplement retarder
de quelques jours la motion dont la protestation des ex-Ducs n'est que le prétexte, et qu'elle la fasse présenter dans la séance de jeudi prochain par les Envoyés de Bavière ou de Saxe dont l'aveugle dévoument lui est plus particulièrement acquis.
Ce que l'on peut dire de plus certain c'est qu'il y a eu à ce sujet entre les Cabinets de Vienne et de Berlin des tiraillements, sur le résultat desquels, comme j'avais l'honneur de le dire à V. E. dans ma précédente dépeche, l'on ne peut tarder à etre fixé.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 321. Berlino, 22 aprile 1861.
J'ai communiqué hier au Ministre des Affaires Etrangères de Prusse le télégramme m'annonçant l'acceptation, à une forte majorité, par notre Chambre des Députés de l'orde du jour proposé par M. le Baron Ricasoli. S. E. s'est montrée satisfaite d'un vote qui donnera de nouvelles forces au Ministère pour triompher des difficultés que lui susc'ite le parti exalté (1).
J'ai ensuite remercié le Baron de Schleinitz de son refus de s'associer aux démarches qui avaient pour but de congédier notre représentant à Francfort. Pour expliquer l'attitude du Cabinet de Berlin dans cette circonstance, ce Ministre m'a dit que la Prusse n'avait pas à suivre la meme ligne de conduite que l'Autriche et la Bavière, et que d'ailleurs, à son avis, la Diète Fédérale devait se restreindre à traiter des affaires exclusivement allemandes.
D'après de nouveaux renseignements que je me suis procurés sur cet incident, il est positif que c'est l'Autriche qui, moyennant une circulaire, a pris l'initiative des pourparlers pour induire les Gouvernements allemands à une rupture diplomatique entre la Confédération Germanique et le Royaume d'Italie. La Bavière a vivement appuyé les instances du Cabinet de Vienne. Il a eu opposition de la part de quelques Etats allemands. Néanmoins il y a lieu de craindre que la Diète de Francfort ne soit saisie d'une question qui pourrait réunir la majorité des voix. Or il ne me résulte nullement que l'unanimité soit nécessaire.
Au reste l'opinion publique continue à nous etre favorable. La publication de la dépeche adressée en date du 13 mars (2) par V. E. au Marquis d'Azeglio a produit le meilleur effet. La Volkszeitung, le journal qui a le plus d'abonnés en Prusse, en prend acte pour faire un éloge bien mérité de V. E. De son còté la N ational-Zeitung revient à la charge pour demander la reconnaissance du Royaume d'Italie. Je transmets ci-joint ces deux articles. Comme pendant, voici également un autre article des Berliner Nachrichten qu'on
prétend etre inspiré par la Cour et les rétrogrades. Cette gazette allègue les
raisons politiques et commerciales qui doivent engager la Prusse à agir avec
beaucoup de réserve dans ses rapports avec l'ltalie. Il serait à propos que
l'Opinione fllt chargée d'écrire une réfutation.
A propos de la reconnaissance, M. de Schleinitz a dit au Ministre d'An
gleterre que, dans les circostances actuelles, il ne pouvait encore en etre
question. Vis-à-vis de moi il a exprimé l'avis que pour toute chose il fallait pren
dre du temps. En attendant, le modus vivendi concerté pour cette époque de
transition se pratique sans soulever de difficultés. Il restait à s'entendre rela
tivement aux Consuls et n'ai pas eu beaucoup de peine à faire comprende
au Baron de Schleinitz que nos agens consulaires en Prusse dévraient à leur
tour délivrer et viser des passeports, légaliser des documents et correspondre
avec les autorités du pays de la meme manière que la Legation du Roi, et qu'en
outre ils dévraient changer l'ancienne inscription sur les écussons ou les armoi
ries placées sur la porte du Consulat. Ainsi M. Lemonius a Stettin et M. Engels
à Cologne, pourront recevoir des instructions de Turin dans ce sens. J'ignore
si nos agents à Dantzig et à Konisberg, vu leur qualité de simples délégués, sont
autorisés à signer eux-memes des actes officiels.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 322. Berlino, 22 aprile 1861.
La dépeche de V. E. n. 376, par laquelle Elle me donne l'ordre, dans toute occasion où mes rapports officiels l'exigeraient, de prendre le titre de Ministre de S. M. le Roi d'ltalie, a été scrupuleusement mise en pratique vis-à-vis du Gouvernement Prussien. Vis-à-vis des membres du Corps Diplomatique, je suis tenu à observer de certains ménagements, vu surtout les dispositions hostiles des représentants des Etats du Midi de l'Allemagne. D'autres moins malveillants, mais très formaliste; entassent raisons sur raisons pour me contester le droit, le cas échéant, de leur envoyer mes cartes de visite avec la nouvelle formule.
J'en ai été averti par quelques-uns de mes collègues avec lesquels je suis le plus particulièrement lié. Voici à quel propos. Il vient d'etre accrédité ici un Envoyé Extraordinaire de la Resse Grand-Ducale. Il nous a donné avis officiel de son entrée en fonctions. Comme on s'attendait tout naturellement à ce que je rendisse cette visite, on émettait l'intention d'interpeller M. de Schleinitz et de lui susciter ainsi quelques embarras, si je remettais des cartes de visite avec le nouveau titre. J'ai tourné la difficulté sans préjuger la question.
J'en ai ensuite parlé confidentiellement à M. de Schleintz pour lui donner une preuve de plus combien je tenais à etre conciliant pour éviter tout désagrément au Gouvernement Prussien, lorsque, malgré la réserve, il ne voudrait
blesser ni nos droits, ni notre dignité. Il m'a su gré de ce procédé en suggérant d'agir comme le Marquis d'Azeglio. Ce diplomate ne se servirait de cartes officielles que vis-à-vis des autorités anglaises, et de celles simplement personnelles vis-à-vis des représentants étrangers qui n'ont pas encore reconnu le Royaume d'Italie. Si en effet le Marquis d'Azeglio a adopté ce moyen terme, il me semble, a fortiori, que je puis en faire autant.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 323. Berlino, 22 aprile 1861.
En me référant à un des articles de ma dépeche n. 319 du 15 avril (1), voici quelques détails plus circonstanciés sur les conférences austro-prussiennes.
L'Autriche désirait non seulement une garantie de ses provinces vénitiennes; mais elle voulait pousser à une entente en vue d'une nouvelle guerre en Italie. Elle voulait, entre autres, qu'on fixàt d'un commun accord la position qu'occuperait alors l'armée prussienne. Il s'agissait évidemment de prévoir le cas où la France interviendrait en notrè faveur, et de combiner une diversion vers le Rhin. Le Cabinet de Vienne aurait, il est vrai, protesté de son intention de ne pas vouloir jouer le ròle d'agresseur. Ces propositions ont été déclinées par la Prusse qui n'a pas voulu acheter à un semblable prix les concessions en suite desquelles on lui assurait, entre autres, le commandement en chef des troupes fédérales du Nord de l'Allemagne. Autrement elle eut sans profit réel sacrifié sa liberté d'action, en meme temps qu'elle eut en quelque sorte jeté un défi à la France.
Cette attitude du Gouvernement Prussien a découragé les Plénipotentiaires de l'Empereur François Joseph et les conférences ont été indéfiniment ajournées. Rien également n'a été concerté à l'égard de la Hongrie.
Nous ne devons cependant pas moins persévérer dans cette politique circonspecte tracée de main de maitre dans les discours et les dépeches de
V. E. Quoique les conférences dont je viens de parler aien~ échoué parce que les plénipotentiaires autrichiens voulaient mettre les points sur les i pour un casus foederis, la situation est la meme que l'année dernière, lors de l'entrevue de Toeplitz. Sans stipuler aucun engagement écrit, le Roi, alors Régent, se laissa induire à promettre à l'Empereur François Joseph qu'il ne lui réfuserait pas son assistance si l'armée française se montrait une seconde fois en Italie. M. de Schleinitz l'a assez clairement laissé entrevdir dans ses entretiens avec quelques membres du Corps Diplomatique; et il a meme ajouté que si nous attaquions l'Autriche avec nos seules forces, ce ne serait pas sans peine qu'on pourrait contenir une grande partie des Gouvernements allemands qui sympathisent avec l'Autriche.
Le Gouvernement Russe est fermément résolu à agir avec énergie en Pologne, et à ne rentrer dans la voie de la modération que lorsqu'il aura écrasé les derniers vestiges de l'opposition. Or comme le parti d'action continue a résister, il y aura beaucoup de sang versé. Un peu plus de circonspection et de sagesse de part et d'autre eut prévenu beaucoup des malheurs.
La Prusse, de concert avec la France, appuie le projet d'établir en Syrie un Gouvernement unique et Chrétien relevant de la Turquie, en opposition a ceux qui eussent préféré la desagrégation, à savoir une administration distincte pour les Druses, les Maronites et les Grecs.
Je me réserve de répondre à la dépeche Min'istérielle n. 378 du 15 avril.
(l) Non pubblicato.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR,
ALL'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA E COPENHAGEN, MIGLIORATI
T. 282. Torino, 23 aprile 1861.
Faites moi connaitre si vous avez communiqué le nouveau titre de Roi d'Italie et quelle réponse on vous a donnée.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA
T. 284. Torino, 23 aprile 1861.
Faites moi connaitre la réponse au sujet de la reconnaissance du titre de Roi d'Italie.
IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE S. n. Madrid, 23 aprile 1861.
Honoré de la dépeche confidentielle qu'il a plu à V. E. de m'adresser le 11 de ce mois, je me fis un devoir empressé de me rendre à Aranjuez auprès de ce Ministre des Affaires Etrangères non sans avoir prévenu convenablement d'avance le Due de Tétouan de l'objet meme de la dépeche précitée de V. E.
Dans mes entretiens successifs avec ces Ministres j'ai taché de répondre de mon mieux à Vos intentions, Monsieur le Comte, en mettant sous leurs yeux les considérations si noblement indiquées par V. E. pour lèur faire sentir la haute convenance de ne pas trop différer l'accomplissement d'un acte de na
ture à resserrer les liens naturels d'amitié existants entre deux Gouvernements
nationaux animés des memes principes libéraux et constitutionnels, et cela
d'autant plus en présence des dangers de coalitions absolutistes dont ils pour
raient tous les deux etre bientòt menacés.
Je ne négligeai pas de relever en meme temps les sentiments délicats de
V. E. qu'en attendant l'ont portée à proposer un moyen provisoire de nature à concilier à la fois les égards et les ménagements convenables envers la position et les circonstances particulières de cette Cour avec les droits et la dignité de notre Etat.
Tout en montrant d'accueillir personnellement avec faveur mes ouvertures
et mes observations à ce sujet, les deux Ministres ont cru toutefois devoir se ré
server à me donner une réponse définitive seulement après que cette affaire aurait
pu etre discutée en Conseil, Conseil qu'on m'annonça en meme tems devoir se
tenir Dimanche dernier à la Résidence Royale d'Aranjuez. Aussi aimais-je
d'espérer que j'aurais été mis dès aujourd'hui à meme, Monsieur le Comte, de
porter là-dessus à Votre connaissance une décision conforme à nos désirs. Cet
espoir n'a cepedant pas pu se réaliser encore, M. le Due de Tétouan venant
de m'informer que dans le dit Conseil d'autres affaires d'une nature grave et
urgente (probablement relatifis à l'anne~ion Dominicaine) avaient fait différer
la decision de celle qui nous concerne.
Ne pouvant pas tarder en attendant d'avantage à faire connaitre à V. E. ce contrariant délai, je regrette de devoir Lui manifester en meme tems mes soupçons que les répugnances de la Cour fomentées par des intrigues cléricales et réactionnaires n'y aient pas été tout-à-fait étrangères.
J'ai lieu caindre d'avantage que de pareilles intrigues puissent recevoir encore une nouvelle et plus forte impulsion à l'imminente occasion que l'Impératrice d'Autriche, de retour de l'ile de Madère, doit toucher à Cadix où déjà le Comte Crivelli est allé l'attendre. Le bruit vient meme de se répandre que
S. M. I. A. viendrait visiter la Reine à Aranjuez, mais crois que jusqu'à présent cette visite Impériale n'est encore qu'un simple désir de la Camarilla.
Ce qui malheureusement est bien plus réel c'est que le personnel de cette ex-Légation de Naples ne cesse de prendre ici une part active dans les machinations des ennemis de l'Italie. J'ai appris de différens còtés que des Agents de la police bourbonienne à Naples arrivés ici ont obtenu de la Cour par son entremise des sommes d'argent considérables et qu'ils ont été de nouveau dirigés vers l'Italie. Aussi ne serait-il pas sans importance que les Autorités sur nos frontières en fussent prévenues pour redoubler de surveillance sur toutes les provenances napolitaines d'Espagne quand meme leurs papiers se trouvassent-ils apparemment réguliers. Je crois devoir singnaler plus particulièrement deux de ces gens de police bourboniens père et fils dont je n'ai pu connaitre le nom. Mais que je sais etre natifs du Cilento. Ils ont dii pénétrer en Piémont avec un petit orgue de barberie qu'on leur a fourni ici et qu'il serait pourtant convenable de saisir aussi bien que ses tristes propriétaires que j'ai lieu de soupçonner des plus criminels desseins.
IL MINISTRO RESIDENTE A WASHINGTON, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE 77. Washington, 25 aprile 1861.
Aussitòt après la réception de la dépéche S. N. du 19 mars (l) que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser, j'ai cru de mon devoir de la transmettre immédiatement, en copie, au Secrétaire d'Etat des Etats-Unis en l'accompagnant de la Note ci-annexée sous la date du 11 avril.
Le jour après cette transmission M. Seward m'écrivit de sa propre main le petit billet suivant:
Friday, aprii 12th.
• -My dear Mr. Bertinatti • -If you bave no other engagement for to-morrow evening, will you come and dine with me en famille at 7 o'clock?WrLLIAM H. SEWARD •
J'ai accepté avec empressement l'invitation, et j'ai diné avec M. Seward, son fils Frédéric (assistent secretary of State), sa femme, le secrétaire de la Marine, et le Post Master General. Avant de me rendre à l'hotel du Secrétaire d'Etat je venais de recevoir du State Department la Note B qui n'a pu, of course, me satisfaire beaucoup parceque elle ne contenait qu'un simple accusé de réception de ma Note A et de son importante annexe.
J'ai cru un instant qu'on allait en faire le commentaire verbal à table, soit en portant un toast à Victor Emmanuel II comme Roi d'Italie, soit par une autre démonstration quelconque, et de nature à m'autoriser à croire, que le nouveau titre assumé par S. M., était officiellement reconnu. Me berçant de cet espoir je m'étais préparé d'avance à en prendre acte, et à faire allusion, suivant l'opportunité, à ce qui manquait dans la Note B précitée, afin de la voir changée.
Comme rien de semblable n'a eu lieu, j'ai pensé qu'il entrait d'autant moins dans les convenances d'en prendre l'initiative de ma part que les ci:constances extraordinaires au milieu desquelles se trouvait le Gouvernement Fédéral (le télégraphe venait d'annoncer quelques heures auparavant la prise du fort Sumter par les Caroliniens), justifiaient amplement de plus pressantes préoccupations, et l'oubli d'un à propos, qui n'aurait été que très nature! dans tout autre moment.
S. -M. Victor-Emmanuel II assume pour lui et pour ses successeurs le titre de Roi d'ltalie vient d'etre votée par le Parlement National et sanctionné par le Roi. La reconstitution de l'ltalie a reçu la consécration de la légalité constitutionnelle. Il serait superflu de vous faire remarquer, combien cet important événement, par lequel l'Italie prend place dans le concert des nations, intéresse le Nouveau Monde, soit par les éléments de sécurité et de paix qu'il introduit dans l'ordre des relations européennes, soit par le développement qu'il est appelé à donner au mouvement maritime sur les cotes italiennes, ouvertes désormais à une circulation plus active et plus libre. Les traditions nationales du noble peuple des Etats-Unis, m'offrent un gage de plus des sentiments que vous rencontrerez sans doute chez Monsieur le Secrétaire d'Etat pour les Affaires Etrangères de l'Union, en lui notifiant la proclamation du Royaume d'Italie. Les Etats-Unis reconnaitront, je me plais à l'espérer, les glorieux résultats d'une reuvre dont les promoteurs ont souvent trouvé dans l'histoire de l'Union Américaine, des exemples et des encouragements. »Comme je tenais, cependant, à avoir dans ma main un document écrit, capable de prouver que le titre de Roi d'Italie était officiellement reconnu, et que je ne pouvais, d'ailleurs, concevoir le moindre doute sur les dispositions très sympathiques du Cabinet fédéral à notre égard, surtout depuis la réponse faite par le Président à mon speech, lors de la présentation de ma lettre de créance comme Ministre Résident, je me suis rendu hier (24 courant) au Département d'Etat pour entretenir M. Seward sur ce sujet.
Dès qu'il me vit entrer dans son Cabinet, le Secrétaire d'Etat, sans s'enquérir de l'objet de ma visite, m'annonça à l'instant, en conformité de ce qui avait été concerté, en prévision de la notification du nouveau titre, à une époque de beaucoup antérieure à ma communication officielle A, que M. Marsh, Envoyé Extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire des Etats-Unis à Turin, serait accrédité près de S. M. Victor Emmanuel II, non plus comme Roi de Sardaigne, mais comme Roi d'Italie.
C'était précisément ce qu'il m'importait de constater: j'en ai remercié cordialement M. Seward en le priant, comme surcroit d'obligeance, de me communiquer cette notice par une Note officielle en remplacement de la Note B, qui serait considérée comme non-avenue, ainsi que de notifier au public, par l'entremise du journal semi-officiel, le Daily National Intelligencer (l) la reconnaissance formelle du Royaume d'Italie par le Gouvernement des Etats-Unis.
La Note C que j'envoie en original à V. E., et qui porte la meme date que la Note B, supprimée, ainsi que l'annonce en regard, prouvent qu'il n'y a pas eu un moment d'hésitation dans la décision ni manque d'empressement et de bons procédés de la part du Cabinet de Washington pour accept~r et reconnaitre solennellement le grand événement politique, qui vient de s'acCO!fiplir dans la Péninsule italique, aussitot que j'ai été en mesure de lui en faire la communication officielle.
P. S. Comunico in fretta all'E. V. la Nota ricevuta in questo momento dalla Segreteria di Stato col relativo scampolo senza sapere, se l'occasione che mi si offre per mandar questo dispaccio, non sarà sfuggita nel momento in cui potrò recarlo alle mani del mio collega d'Inghilterra.
ALLEGATI. NoTA A BERTINATTI A SEWARD
Washington, 11 avril 186!.
Le soussigné, Ministre Résident de S. M. Victor Emmanuel II, a l'honneur rle transmettre, en copie, à l'honorable Secrétaire d'Etat des Etats-Unis la Dépeche ministérielle du 19 mars, signéee Cavour, portant la notification que le Roi, son Auguste Souverain, assume le titre de Roi d'Italie pour lui et pour ses successeurs en vertu de la loi votée par le Parlement national.
Heureux d'etre l'organe d'une communication si importante, et destinée à fixer une époque à jamais mémorable dans l'histoire des relations internationales, le sous
signé éprouve une satisfaction toute particulière en la faisant à l'honorable M. William H. Seward, Secrétaire d'Etat des Etats-Unis, dont les sentiments sympathiques pour la réconstitution de l'Italie, et pour le Roi, auquel la Nation unanime vient d'en décerner le titre, lui sont connus avant ce jour.
NOTA B
SEWARD A BERTINATTI
Copia Washington, aprU 13, 1861.
The undersigned, Secretary of State of the United States, has the honor to acknowledge the receipt of the Chevalier Bertinatti's Note of the 11th instant, communicating a copy of Count Cavour's despatch to him of the 19th ultimo, announcing that His Majesty Victor Emmanuel II, in virtue of the law voted by the National Parliament, has assumed the title of King of Italy.
NOTA C
SEWARD A BERTINATTI (l)
Copia Washington, aprU 13, 1861.
The Undersigned, Secretary of State of the United States, has the honor to acknowledge the receipt of the Chevalier Bertinatti's note of the 11th instant, communicating a copy of Count Cavour's despatch to him of the 19th ultimo, announcing that His Majesty Victor Emmanuel II, in virtue of the law voted by the National Parliament, has assumed the title of King of Italy.
The Undersigned, cannot doubt that the extended authority of His Majesty, so entirely in accordance with the wishes of the Italian people, will be exercised with the moderation and wisdom for which he has ever been conspicuous; and he trusts that His Majesty's reign may be prosperous and happy to himself and acceptable to his subjects.
The Undersigned has the honor, in conclusion, to announce to the Chevalier Bertinatti that Mr. Marsh, the newly appointed Envoy Extraordinary and Minister
SEGRETERIA DI STATO Washington, 13 aprite 1861.
« Il sottoscritto, segretario di Stato degli Stati Uniti, ha l'onore di accusare ricevuta al sig. cav. Bertinatti della sua Nota dell'H corr. colla quale gli comunica copia di un dispaccio a lui diretto dal conte di Cavour il 19 ultimo, annunziante che S. M. il Re Vittorio Emanuele II, in virtù della legge votata dal Parlamento nazionale, ha assunto il titolo di Re d'Italia.
• Il sottoscritto non può dubitare che l'ampliata autorità di S. M., si pienamente conforme ai desiderii del popolo italiano, sarà esercitata colla moderazione e saggezza per le quali la M. S. è sempre stata insigne; e crede che il Regno di S. M. possa essere prospero e felice a Lei, ed accetto ai suoi sudditi.
«Il sottoscritto ha infine l'onore di annunziare al sig. cav. Bertinatti che il sig. Marsh, recentemente nominato inviato straordinario e ministro plenipotenziario degli Stati Uniti in Sardegna, è stato accreditato presso S. M. Vittorio Emanuele II, come Re d'Italia.
WILLIAM H. SEWARD »
Nello stesso giorno la Gazzetta Ufficiale dava questo annunzio: «Il signor Romano Dillon presentò ieri a S. E. il Ministro degli Affari Esteri le lettere con le quali viene accreditato quale Segretario di Legazione incaricato d'affari interinale degli Stati Uniti d'America presso il Governo del Regno d'Italia •.
Plenipotentiary of the United States to Sardinia, has been accredited to His Majesty Vietar Emmanuel II as King of Italy.
(l) Dal Nationat IntelUgencer, 25 aprile: • W e learn that intelligence of the assumptionby his Majesty. Victor Emanuel Il, of his new title of King of Italy, was received here just intime to enable the President to recognise the title in accrediting the Hon. George P. Marsh to his Majesty as Envoy Extraordinary and Minister Plenipotentiary of the United States •.
(l) Di questa nota la Gazzetta Ufficiale de! Regno pubblicò nel n. 130 del 28 maggio 1861 la seguente traduzione :
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A MADRID, TECCO
T. 292. Torino, 27 aprile 1861.
Je vous prie de solliciter une réponse à l'égard de l'arrangement proposé pour le titre de Roi d'Italie. L'Autriche mème a admis ce modus vivendi. Il est urgent d'en finir, car l'Ambassade Espagnole à Paris a refusé de viser les nouveaux passeports.
IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
T. 424. Madrid, 28 aprile 1861, ore 18,20 (per ore 21).
Le Gouvernement Espagnol accepte à peu près l'arrangement proposé par
V. E.; des instructions ont été expédiées en conséquence aux Légations et aux Consulats Espagnols pour qu'on y vise nos nouveaux passeports; quant à l'Ambassade d'Espagne à Paris qui a refusé son « visa », ce Ministre des Affaires Etrangères m'a déclaré qu'elle a agi en cela sans consulter son Gouvernement.
IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 28 aprile 1861.
Faisant suite à ma dépeche confidentielle du 21 de ce mois, je m'empresse d'informer V. E. que pas plus dans la séance d'hier que dans celle de samedi dernier il n'a été question, ni de la protestation des ex-Ducs de Modène et de Toscane, ni de rien qui concerne cette Légation. Le Ministre d'Autriche prétend aujourd'hui qu'il n'a pas encore reçu d'instructions précises à cet égard; mais la vérité est que le Cabinet de Vienne en est encore à chercher parmi les Etats secondaires celui qui voudra se charger d'une initiative, qu'il ne se soucie nullement de prendre lui-meme, surtout depuis qu'il sait, à n'en pas douter, que l'Envoyé Prussien a ordre de voter contre toute espèce de proposition relative à cette Légation. La première Cour à laquelle s'est adressée l'Autriche, a été celle de Darmstadt; mais on lui a donné à entendre qu'après la campagne malheureuse qu'avait fait le Gouvernement Grand Duca! contre l'Association Nationale, il ne pensait pas que ce fut à lui de soulever la question. A Munich l'on s'est montré encore plus explicite, en disant que les tendances libérales du Parlement Bavarois aussi bien que l'accusation si souvent répétée contre le Gouvernement, de se faire le satellite de l'Autriche, lui conseillait de s'abstenir. L'on parle maintenant de nouvelles tentatives faites auprès de la Saxe ou du Hanovre, pour engager l'une de ces deux Cours à accepter la mission ingrate que les autres ont refusée. Il est permis de douter que la Saxe pousse l'oubli des convenances jusqu'à se faire dans cette circonstance l'interprète complaisant des rancunes personnelles de l'Autriche. Quant au Hanovre, quoique l'on ne puisse pas affirmer qu'il veuille se preter à un ròle qui lui sera certainement décoinseillé par l'Angleterre qu'il a l'habitude de consulter, cependant l'esprit réactionnaire qui domine entièrement dans les Conseils du Gouvernement, permet de tout supposer et de s'attendre à tout de sa part.
Quoiqu'il en so i t, cette espèce de quete à domicile de la part de l'Autriche pour trouver une Cour allemande qui ose franchement prendre l'initiative d'une proposition hostile au nouvel ordre de choses établi en Italie, ne serait que ridicule, si en meme temps elle ne venait donner la mesure de la prudente réserve que paraissent vouloir adopter les Etats moyens dans leur attitude vis-à-vis du nouveau Royaume. Leurs hésitations et reculades d'aujourd'hui montrent à l'avance ce qu'elles deviendraient sous l'empire de circonstances pressantes, de nature à exiger un concours plus sérieux et par conséquent plus compromettant en faveur de l'Autriche.
Voilà bien, Monsieur le Ministre, où en sont les choses pour le moment. Il est possible qu'en présence de la résistance de la Prusse, et en voyant ses circulaires aussi bien que ses intrigues découvertes, l'Autriche renonce à ses projets. Peut-etre aussi n'attend-elle qu'une meilleure occasion pour y donner cours. En attendant, comme l'envoi qui a bien voulu me faire V. E. des nouveaux timbres destinés à cette Légation, me semble etre une réponse suffisante aux-instructions que j'avais eu l'honneur de Lui demander dans ma dépeche du 17 courant relativement à la nouvelle formule à employer pour les passeports, visas et légalisations, je vais immédiatement en prescrire l'usage dans toutes les pièces et documents qui se présenteront à cette Chancellerie.
P. S.-J'apprends à l'instant que sur l'ordre qu'il en a reçu hier de Londres par le télégraphe, le Ministre d'Angleterre a été demander au Président de la Diète ce qu'il y avait de vrai dans les intentions que l'on pretait à l'Autriche de vouloir présenter elle-meme ou de faire présenter par d'autres Etats une proposition tendant à amener l'éloignement de cette Légation. Le Baron de Kiibeck s'est borné à lui répondre qu'il était sans instructions à cet égard.
Cette démarche dans laquelle, d'après ce qui m'a été dit, l'on a vu l'intention bien positive de la part de l'Angleterre de s'opposer, de concert avec la Prusse, à toute mesure de ce genre, est bien faite pour donner à réfléchir à l'Autriche qui maintenant y pensera deux fois avant de provoquer une rupture dont elle seule en définitive devrait accepter la responsabilité, et acheverait de la perdre dans l'opinion libérale de l'Allemagne, par suite de l'attitude bien différente de la Prusse dans la meme question.
L'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA E COPENHAGEN, MIGLIORATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
T. 428. Stoccolma, 29 aprile 1861, ore 15,15 (per. ore 20).
La Suède reconnaitra le Roi d'Italie, mais le Ministre des Affaires Etrangères par sa note officielle d'aujourd'hui exprime le désir que S. M. notifie cet événement au Roi Charles par une lettre royale ne se trouvant pas un Ministre auprès de lui.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONSOLE A BUCAREST, STRAMBIO (l)
T. 297. Torino, 30 aprile 1861.
Si votre titre n'est pas admis vous ne devez par prendre part à la Conférence Danubienne ni meme y paraitre.
IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE 165. Madrid, 30 aprile 1861.
J'ai déjà eu l'honneur d'annoncer à V. E. par mon télégramme chiffré d'avanthier le succès des démarches que je m'empressai de faire ici en conformité de ce que V. E. venait de me mander telegraphiquement la veille. Profitant aujourd'hui de l'offre obligeante de M. le Prince Pio, qui se rendant en Italie veut bien se charger de cette dépeche, je m'empresse de confirmer d'abord ce que j'ai signalé dans mon télégramme précité, soit sur la déclaration de M. Collantes que l'étrange refus de visa à nos passeports de la part de l'ambassade Espagnole à Paris n'avait eu lieu qu'à l'insue et contre les intentions de ce Gouvernement, soit aussi quant aux odres que le meme Ministre m'avait promis d'expédier en conséquence aux Agens Diplomatiques et Consulaires d'Espagne pour prévenir le renouvellement de pareils inconvénients. Je suis bien aise de pouvoir ajou.ter maintenat que j'ai déja pu m'assurer auprès de M. Comyn que les ordres promis ont été en effet sollicitement expédiés à leurs destinations.
Pour ce qui concerne enfin le projet d'arrangement provisoire de nos relations ici que j'ai proposé en son tems d'après Vos instructions, Monsieur le Comte, et dont j'annonçai dans le méme télégramme susmentionné la presque acceptation, je dois à présent soumettre à V. E. quelques explications dans l'espoir que ma conduite dans cette affaire puisse obtenir sa haute approbation. Sans entrer
cependant dans de longs détails sur mes démarches préliminaires pour m'assurer
des bonnes dispositions de nos amis et paralyser les intrigues ennemies, j'ar
riverai rapidement au point ou j'en étais de mes négociations à l'arrivée du
dernier télégramme de V. E.
Ce Gouvernement avait bien déjà consenti à adopter notre projet quant à la
formule d'adresse de ses communications, au Ministre de S. M. le Roi Victor
Emmanuel, mais il prétendait que de mon còté aussi je dusse me contenter de
cette meme qualification. Je n'avais certes pas manqué de démontrer de mon
mieux qu'à la rigueur mes actes officiE~ls au nom de Mon Auguste Souverain ne
pouvaient se passer de la qualification de Roi d'Italie, qualification espréssément
prescrite par une loi spéciale. Mais ce Ministre d'Etat ayant cru devoir en référer
dans un Conseil tenu avec ses collègues en présence de la Reine, m'avait déclaré
depuis que l'avis de la majorité avait été qu'en admettant ma demande on vien
drait à reconnaitre implicitement le Royaume d'Italie, ce qui n'était pas dans l'in
tention de S. M. C.
Nos ennemis qui n'avaient pas tardé à connaitre le résultat de ce Conseil, se félicitaient déjà de nous voir dans une impasse qui semblait devoir arreter forcément la continuation de nos rapports avec ce Gouvernement. Heureusement l'impasse n'était qu'apparente et il ne m'a pas été difficile de faire reconnaitre une distinction essentielle, entre les différens actes émanant de cette Légation; il m'a suffi de remarquer en effet que quelques-uns de ces actes concernant directement les sujets du Roi, tels que les passeports, la trasmission d'actes judiciaires, etc. ne saura'ient etre entravés dans leur expédition qui se trouve etre d'une absolue nécessité, à moins qu'on ne voulut venir à une rupture hostile avec nous, ce qui m'avait été constamment déclaré etre bien loin des intentions de ce Gouvernement.
Etant ainsi parvenu à faire mettre hors de question les actes de la catégorie que je viens d'indiquer, il ne restait désormais qu'à nous entendre aussi sur les autres actes qui se réduisent à peu près tous à des communications sur les différents objets que la Légation peut avoir à traiter avec le Gouvernement. A ces communications pouvant se faire sous la forme de note portant en tete la qualification du Ministre, ou sous celle de lettres qui n'exigent pas cette qualification, il y avait assez longtems que dans la facile prévision des difficultés actuelles, j'avais eu soin de me tenir exclusivement à la dernière de ces formes. Aussi ai-je pu là dessus aussi m'entendre parfaitement pour éliminer toute difficulté, en assurant particulièrement le Ministre d'Etat que dans mes communications écrites je ne me départirai pas de la forme épistolaire accoutumée qui me dispense de toute qualification. Mais en cela meme pour mieux mettre à couvert la dignité du Gouvernement du Roi, j'ai déclaré à M. Collantes que mon entente avec lui à ce sujet resterait personnelle et secrète.
C'est dans ces termes que tout a été aplani au grand désappointement de la camarilla du palais aussi bien que de la Diplomatie Entrangère.
Quant à cette dernière je fais naturellement des exceptions aussi honorables que précieuses pour nous, et sans parler de l'Angleterre qui malheureusement n'a en ce moment ici qu'un simple Chargé d'affaires par interim, j'aime à signaler le Ministre de Portugal M. Pinto de Soveral, celui de Suède M. Bergman et celui aussi des Etats Unis d'Amérique M. Preston qui tous n'ont cessé de
8 -Doc11menti diplomatici -Serie I -Vol. I
montrer leurs sympathies pour notre cause. Je pourrais désirer cependant qu'ils pussent avoir ici plus d'influence. Je suis bien peiné d'un autre còté de ne pouvoir consciencieusement mettre dans la catégorie de ceux qui nous sont ici sincérément favorables l'Ambassade de l'Empire voisin, quoique personellement je n'ai qu'à me louer grandement des procédés on ne peut plus obligeans et courtois de M. Ferd'inand Barrot (1).
J'ai dO. bien plus m'apercevoir que l'influence politique française, qui a repris depuis quelque tems ici un grand ascendant, s'exerce d'une manière qui ne nous est pas peu préjudiciable. L'existence meme de notre Royaume d'Italie est représentée ici comme si elle n'était presque pas prise au sérieux par le Cabinet des Tuileries, et l'on ne cesse d'assurer au surplus ce Gouvernement qu'en aucun cas les Troupes Françaises ne quitteraient Rome sans qu'un Congrès des principales Puissances catholiques du moins n'ait été convoqué pour prendre des garanties en faveur du pouvoir pontificai et jeter peut-etre aussi les bases d'un autre arrangement pour l'Italie Méridionale, dont on peint l'état actuel comme n'ayant aucume chance de durée.
Je n'ai pas besoin d'ajouter que la perspective qu'on fait luire ici d'un pareil Congrès, où l'Espagne pourrait se flatter de jouer un grand ròle, est pour elle le plus puissant appas pour la maintenir dans une ligne politique naturellement peu favorable aux intérets de l'Italie.
Je ne dois pas au surplus laisser sans remarquer ce qui me vient de très bonne source sur les prévenances obligéantes, les égards flatteurs et toute sorte de cajoleries par lesquelles la diplomatie française travaille à gagner ici le Gouvernement et la Cour. On est aux petits soins avec cette dernière; le moindre accident de famille fournit aussitòt le sujet d'une active correspondance télégraphique entre les Tuileries et Aranjuez ainsi que vient de le fournir l'indisposition de la petite Infante qui se trouve dans une laborieuse dentition. La Reine de son còté ayant laissé percer son intention de faire bientòt un voyage dans les provinces du Nord, je viens d'apprendre qu'aussitòt l'Empereur et l'Impératrice des français lui auraient déjà fait connaitre leur désir d'aller la rencontrer. Ceci est d'autant plus remarquable après l'entrevue manquée de l'année dernière à Mahon qui s'était pretée à tant de commenta'ires.
Quant au Gouvernement préoccupé qu'il est surtout en ce moment de la révérsion de St. Domingo à l'Espagne vivement contrariée par l'Angleterre il est d'autant plus content de la politique française qui s'y montre favorable tout en réservant aussi la partie nègre de cette Antille.
(l) Lo Strambio, Agente e Console Generale a Bucarest, avrebbe dovuto rappresentare il Regno d'Italia, quale erede del Regno di Sardegna, nella Conferenza Danubiana, istituita dal trattato di Parigi del 30 marzo 1856.
L'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA E COPENHAGEN, MIGLIORATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
T. 438. Stoccolma, 1 maggio 1861, ore 12,52 (per. ore 17,20). Je sais que la réponse de Copenhague sera aussi favorable. J'attends pour lui
faire la communication officielle que vous me fassiez connaitre si le Roi enverra des lettres pour les deux Monarques Suédois et Danois.
(l) Recte: Adolphe.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (l)
(Ed. in Q. R., II, 418)
T. 44. Parigi, l maggio 1861, ore 16,20 (per. m·e 19).
Hier au soir j'ai su que l'indécision de l'Empereur n' était pas aussi profonde que le croyait Thouvenel. Je me suis rendu au Ministère des Affaires Etrangères et aidé de Benedetti nous avons remonté le moral du Ministre des Affaires Etrangères le pressant à aller ce matin chez l'Empereur pour lui démontrer la nécessité absolue de conclure le traité projeté. S. M. a adhéré à ce que Thouvenel rédige un projet avec la modification que 6 mille français resteraient pour quelque temps dans les Etats Romains pour donner au St. Père le temps de former son armée; l'essentiel est de marcher. Le Ministre des Affaires Etrangères exécute les ordres de l'Empereur qui me recevra aujourd'hui à trois heures. On a monté la tete de Empereur sur le mauvais état de la santé du Pape qu'il espère voir aller au ciel. C'est pour pourvoir à cette éventualité que Thouvenel veut voir Pantaleoni; faites le partir de suite en lui enjoignant de ne rien dire ni faire sans se concerter avec moi et d'etre discret. Le Prince Napoléon part aujourd'hui pour la Suisse. J'espère tirer parti de De Martino pourvu qu'il ne nous trompe pas; l'Empereur a une bonne opinion de lui. Je garde le courrier du Cabinet. Prévenez Nigra de ne pas faire évacuer le Palais Bivona.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 419)
T. 441. Parigi, l maggio 1861, ore 19,20 (per. ore 20,50).
J'ai eue une longue entrevue avec l'Empereur que j'ai trouvé indécis sur le
rapport des troupes; il en reconnait la nécessité mais il en craint les conséquences à Rome. S. M. désire beaucoup de reconnaitre le nouveau Royaume. Il a été convenu que le Ministre des Affaires Etrangères rédige l'acte avec la modification que je vous ai annoncé aujourd'hui. L'Empereur m'a montré son mécontentement de l'indiscretion de l'Indépendance Belge sur mes observations à l'article de la Patrie, qui dément le rappel des troupes: S. M. dit en avoir vivement reproché Persigny. Par vos lettres pressez-moi apparemment, mais patience, j'espére arriver à bout.
(lvi, 399). E cosi, per una diecina di giorni, la questione era stata messa a dormire. Cfr. anche la risposta del principe Girolamo Napoleone a Cavour (8 maggio) in Cavour -Nigra, IV, 1298.
(l) La sera del 17 aprile il Vimercati era partito da Torino, portando con sè la risposta di Cavour al principe Girolamo Napoleone (Q. R., II, 390). Il 19, il Vimercati comunicava al Cavour che aveva rimesso la lettera al principe e il principe l'aveva trasmessa all'Imperatore (lvi, 396). II 20, il Vimercati aggiungeva che l'Imperatore nel passare, alla sua volta, la lettera al Thouvenel, aveva detto : • Mon Cousin est allé un peu vite dans la besogne •
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR.
AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 421)
L. P. Torino, 2 maggio 1861.
J'ai reçu les lettres que vous avez remis à Azeglio et à Crivelli.
Les hésitations du Gouvernement français sont bien fàcheuses, car l'état actuel de Rome est la cause principale des difficultés que nous rencontrons dans l'Italie méridionale. En effet comment espérer d'empecher des mouvements réactionnaires, tant que le Roi François pourra librement intriguer sur les frontières de ses états? Je le demande aux français de bonne foi; pensent-ils que le Midi de la France serait tout à fait tranquille, si Henri V était établi à Avignon et pouvait de là expédier des ordres à ses partisans de la Provence et du Languedoc? Mais ce qui est pire, c'est que nos ennemis se servent de la présence des français à Rome pour accréditer l'opinion que l'Empereur est hostile à l'unité italienne et qu'il est décidé à la rompre à tout prix.
J'ai été heureux d'apprendre par votre télégramme de cette nuit que l'Empereur consent à ce que Thouvenel formule son projet. Je ne comprends pas trop ce que feront les 6000 français, dont vous me parlez comme devant demeurer à Rome. Si c'est pour un temps non défini, mieux vaut ne rien faire, car la solution définitive ne sera pas avancée, et notre position deviendra plus critique. Si au contraire l'époque de l'évacuation complète est fixée, il y aura moyen de faire prendre patience aux Romains et aux impatients. Je vous prie de vous expliquer sur ce point de la manière la plus catégorique avec M. Thouvenel. Si on nous laisse le choix, nous préférons retarder l'époque de l'exécution du traité, à condition que les français s'en aillent tous à la fois.
Pantaleoni se prépare à partir; il voudrait amener sa femme avec lui. Comme elle est anglaise, cela donnerait à son voyage une couleur plausible. Si vous jugiez que tout retard fiìt nuisible, avertissez moi par le télégraphe.
J'ai eu hier une conversation fort intéressante avec un moine français, le Père Marie Louis. C'est un homme d'un grand talent, à idées larges et qui jouit d'une grande réputation comme prédicateur. Il a donné la plus entière approbation aux projets formulés par le Père Passaglia. Il croit que si on parvenait à les faire adopter à Rome cela ferait le plus grand bien à la cause de la religion en France et rattacherait le clergé au gouvernement Impérial. Il aurait désiré pouvoir aUer à Rome, mais il croit qu'il ne pourrait etre utile qu'autant qu'il aurait l'appui du Gouvernement français. Devant retourner à Paris, il m'a demandé de lui faciliter les moyens de vo'ir l'Empereur et M. Thouvenel. L'Empereur le connait, car il l'a reçu deux ou trois fois à la demande de la Grande Duchesse Marie et je crois qu'il l'apprécie. J'ai remis en conséquence au Père Marie Louis une lettre pour vous. Aidez-le, et je crois qu'il pourra nous rendre de bons services.
J'ai reçu la visite de plusieurs polonais. Ils prétendent avoir tout organisé pour s'insurger, si la Hongrie se déclare indépendante. Ils demandaient qu'il leur fut permis d'organiser les quadres d'une légion polonaise, qu'ils auraient payés à leurs frais. Tout en leur témoignant assez de sympathie, je me suis tenu sur la réserve. Informez de ceci Thouvenel.
Le Roi vous fait ses amitiés, et n'a le moindre doute sur votre zèle.
L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
T. 444. Lisbona, 2 maggio, 1861, ore 16,26 (per. ore 23,50).
Aujourd'hui le Ministre des Affaires Et.rangères m'a dit qu'il avait parlé de notre affaire en Conseil, que tous les Ministres étaient favorables, mais qu'aucune puissance catholique ne nous ayant pas encore reconnu, le Portugal ne pouvait etre le premier. Il espère que ce ne sera qu'un délai de peu de jours, et il m'assure qu'on ne sera pas le demier. D'après ce discours je suis persuadé qu'on attend l'attitude plus décisive de la France. Il serait peut-etre bon d'agir à Londres.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 324. Berlino, 3 maggio 1861.
Pour répondre à la dépeche que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser en date du 15 avril échu n. 378, j'ai adroitement sondé le terrain auprès de plusieurs de mes collègues, nommément auprès du représentant des Villes Anséatiques. Voici le résultat de mes investigations:
Les Sénats des Villes Libres n'ont que des sentiments bienveillants à notre égard, et s'ils ne devaient consulter que leurs intérets commerciaux, ils y verraient un motif de plus de se déclarer ouvertement en notre faveur; mais par raison d'Etat ils sont tenus à observer de grands ménagements vis-a-vis de l'Autriche leur alliée naturelle contre les convoitises vraies ou supposées de la Prusse. D'un autre cOté, si comme Etats Souverains ils ont le droit de reconnaitre de leur propre mouvement le Royaume d'ltalie, ils ne voudraient cependant pas se singulariser en prenant les devants sur tous leurs Confédérés. Leur position est trop modeste pour s'arroger un tel role. En attendant je ne mets pas en doute qu'ils ne se pretent à toutes les mesures transitoires pour régler la continuation de nos rapports, sous une forme analogue à celle adoptée en Prusse. Et meme, si je suis bien renseigné, M. Schroder à Hambourg a déjà inscrit, sans rencontrer la moindre opposition, le nouveau titre sur l'écusson du Consulat de Sa Majesté.
Quant aux autres Gouvernements du Nord de l'Allemagne, ils nous sont plus ou moins hostiles. Le Roi de Hanovre et son Cabinet suivent une politique des
plus rétrogrades. Le Due d'Oldenbourg affecte des allures libérales dans certaines questions allemandes; mais il est fortement imbu des préjugés dynastiques. Dans les deux Mecklembourg la noblesse, encore toute puissante et jouissant à peu près des memes privilèges qu'au moyen age, combat avec acharnement le progrès de la civilisation moderne, partant ses sympathies se trouvent du còté des Princes déchus. Un dignitaire de la Cour de Strelitz s'est rendu à Rome pour présenter à « l'héroi'ne de Gaète » la Couronne de laurier qui lui est offerte par la majorité des Princesses allemandes. Les Princesses de la Maison Royale de Prusse n'ont pas contribué à cette offrande.
Je ne parlerai pas des Cours secondaires du Midi de l'Allemagne qui toutes, à l'exception de celles de Bade et de Saxe-Cobourg-Gotha, naviguent dans les eaux de l'Autriche.
Il m'est donc avis que, pour le moment, il n'y a rien à faire. Avant que la Prusse ne se soit prononcée, aucun Etat Germanique ne voudra ou n'osera se rapprocher de nous. Et pour la Prusse elle-meme, nous ne devons pas compter sur son adhésion tant que la France ne se sera pas décidée à nous reconnaitre. Alors en agissant d'un commun accord avec les deux Puissances occidentales, nous réussiròns, je l'espère, à triompher de ses hésitations.
Si, malgré cette opinion que je me permets d'émettre, je remarquerai quelque part de meilleures dispositions, je ne manquerais pas d'en informer sans rétard V. E.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 325. Berlino, 3 maggio 1861.
Malgré le démenti de la Gazette de Vienne je ne puis que confìrmer ce que j'ai mandé sur les Conférences Austro-Prussiennes relatives à l'organisation militaire de la Confédération. Le Plénipotentiaire autrichien était trop rusé pour formuler la demande catégorique d'une garantie de la Vénétie; mais il avait procédé par voie d'insinuation, pour amener insensiblement la Prusse sur une pente qui aurait abouti implicitement au meme résultat. Chercher en effet à s'entendre sur les éventualités d'une nouvelle guerre en Italie, et à combiner d'avance des mesures militaires pour parer ou faire diversion à une attaque, n'était-ce pas vouloir associer le Cabinet de Berlin au maintien du status quo dans les provinces Vénitiennes? D'ailleurs, en répondant négativement à la Bavière, qui avait suggéré une nouvelle combinaison pour le commandement de l'armée fédérale, le Baron de Schleinitz s'expliquait, vaguement il est vrai, mais cependant d'une manière encore intelligible pour faire deviner quel avait été le motif de l'ajournement des négociations. Dans cette dépeche datée du 21 Avril, il est dit que cet ajournement avait eu lieu parce que l'Autriche avait voulu meler des questions politiques à une affaire purement militaire. Comme la Gazette de Vienne, M. de Schleini±z affirmait que les meilleures relations n'en existaient pas moins entre les deux grandes Puissances allemandes. C'est encore là une assertion
peu exacte. Il est au contraire avéré qu'elles continuent à se jalouser, à se chamailler, à se disputer la prééminence en Allemagne. Et pour ce qui nous concerne, en maintes occasions la Prusse a su résister aux démarches du Comte Rechberg, soit à Francfort, soit à Berlin, pour provoquer une rupture diplomatique. Ces tiraillements, ces jalousies, ces défiances ne seraient assoupis que dans le cas où la France interviendrait, les armes à la main, en Italie ou en Allemagne.
Cependant les rapports entre les Cabinet de Paris et de Berlin sont aujourd'hui assez satisfaisants; du moins le Prince de La Tour d'Auvergne se loue-t-il beaucoup de la condescendance qu'il rencontre auprès de Monsieur le Baron de Schleinitz. Il n'en est pas tout-à-fait de meme à la Cour. Le Roi nourrit toujours les memes inquiétudes sur de prétendus projets de l'Empereur Napoléon. Ainsi tout récemment il a fait demander au Ministre de la guerre en combien de temps il s'engagerait, le cas échéant, à faire transporter vers le Rhin 250.000 hommes avec le matériel et les approvisionnements nécessaires. La réponse a été qu'il faudrait dix-rept jours. Selon ce pian éventuel, ce seraient le l, 2, 3, 4, 7 et 8/me corps d'armée qui prendraient position pour défendre cette ligne importante. Les 5 et 6/me corps d'armée resteraient stationnés en Silésie et en Pologne, et le corps de la garde serait disponible pour les diverses occurences.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 326. Berlino, 3 maggio 1861.
Malgré les préoccupations de la Cour, le Gouvernement Prussien se plait à reconnaitre que les faits politiques ont perdu quelque chose de leur aspect menaçant. Du moins il est plus rassuré sur la situation de l'Italie, en suite des succès remportés récemment par notre Ministère, succès qui redoublent notre force morale et matérielle. Les discours de V. E. à la Chambre ont été très remarqués. Pour la Hongrie également, on espère que les difficultés pourront s'aplanir, l'Empereur d'Autriche paraissant décidé à lui accorder l'union personnelle, mais seulement après avoir épuisé tous les moyens de persuasion propres à la détourner de ses prétentions. Bref les optimistes auraient .confiance dans l'avenir, n'éta'it, de l'Orient qui pour l'observateur reste un mystère plein de menaces. L'évacuation de la Syrie se fera à la date fixée; on s'occupe à régler tout ce qui a trait à la nouvelle organisation; au dire de la Russie on bàtit sur le sable. On n'aboutira pas meme à un replàtrage.
J'ai cru devoir aUer demander au Baron de Budberg s'il avait des instructions pour le «visa » des passeports avec la formule au nom du Roi d'Italie. Il a répondu négativement, et en me remerciant d'avoir appelé son attention sur ce point, il m'a dit qu'il allait écrire au Prince Gortschakoff. J'ai proposé de suivre le meme mode déjà adopté parla Prusse, ou de s'entendre sur toute autre combinaison qui, sans porter atteinte à notre dignité, concilierait les intérets réciproques des voyageurs et des commerçants des deux pays. Le Ministre d'Autriche
croit savoir que son Gouvernement admet nos papiers de bord, et que, quant aux
passeports, on remet un laisse-passer aux titulaires.
Mon collègue de Suède a annoncé ce matin au Baron de Schleinitz que son
Gouvernement avait fait savoir, le 29 Avril, au Marquis Migliorati que le Roi de
Suède était pret à reconnaitre le Royaume d'Italie, aussitòt que cet événement
lui aurait été notifié par Notre Auguste Souverain.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 424)
T. 450. Parigi, 4 maggio 1861, ore 18,35 (per. ore 20).
Thouvenel m'a dit qu'il croit presque impossible de faire démordre l'Empereur de l'idée des 6 mille hommes. On pourrait tourner la difficulté en obtenant que la France notifie au Pape son intention de retirer entièrement les troupes dans 4 mois. Je crois qu'il ne convient pas de brusquer pour cela, l'essentiel c'est qu'on formule le traité et de lier ainsi l'Empereur, carla résistance est très vive.
IL CONSOLE A BUCAREST, STRAMBIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
Galatz, 5 maggio 1861, ore 17,10 (per. ore 23,10).
Le Commissaire Anglais seulement a reçu une communication favorable, ~es autres manquent d'instructions et regrettent de ne pouvoir aUer plus loin que leurs Gouvernements. Cependant voulant empecher autant que peut dépendre d'eux-memes mon éloignement de la Commission dans les moments qu'ils jugent les plus intéressants, mes collègues m'ont proposé l'arrangement suivant, et exprimé le désir qu'il soit accepté provisoirement par le Gouvernement du Roi. Le voici: dans l'intitulation des protocoles supprimer la désignation des puissances et conserver les noms des Commissaires dans l'ordre alphabétique de ces memes noms, n'employer jamai le nom Sardaigne; si dans un cas, un cas exceptionnel non prévu, la désignation de la puissance devenait indispensable, emploier celle de Corn:missaire de S. M. le Roi Victor-Emmanuel. Je prie V. E. de vouloir bien me donner ses ordres.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, ALL'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA E COPENHAGEN, MIGLIORATI
T. 307. Torino, 6 maggio 1861.
Le Roi a décidé d'envoyer le Marquis Torrearsa en qualité de Ministre pour annoncer à la Suède et au Danemark le nouveau titre. Vous pouvez en écrire à Copenhague. Hudson m'a donné l'assurance que le Danemark nous reconnaitra.
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 430)
L. P. Parigi, 7 maggio 1861.
Je profite du départ du Prince Pio pour vous écrire un mot et vous répéter ce que mon télégramme de ce matin vous aura déjà annoncé sommairement (1). L'Empereur, travaillé ces jours derniers par le brave Dr. Conneau, m'a fait appeler pour rassurer V. E. sur son intention de donner suite au traité.
S. M. reconnait que c'est de son intér~t de fixer une époque pour le retrait total de ses troupes, car, sans cela, il est siì.r que la Cour Romaine ne laisserait jamais arriver ce jour. Il veut donc bien fixer le terme péremptoire du retrait; mais il ne saurait se décider à prende là-dessus un engagement forme! avec le Gouvernement du Roi, et cela par la raison qu'en prenant un tel engagement, il aurait l'air de céder au plus fort en livrant le plus faible. Selon l'Empereur, une communication offìcielle que son Gouvernement ferait à Turin de la notification faite au St. Siège pour le terme du rappel atteint parfaitement le but qu'on se propose, sans avoir ce caractère odieux d'un abandon fait d'après les instances d'une Puissance étrangère.
Je 'vous pr'ie, Monsieur le Comte, da me faire savoir si ce moyen d'arranger la difficulté serait accepté par le Gouvernement du Roi. Un autre article, que S. M. voudrait changer, c'est celui qui regarde le nombre et la nationalité des soldats que le St. Père pourrait prendre à son service.
Dans un protocole à part on conviendrait que l'engagement, que prendrait notre gouvernement vis-à-vis de celui de l'Empereur, de respecter et faire respecter le territoire actuel du St. Siège serait considéré comme non avenu dès que l'armée pontificai prendrait des proportions menaçantes pour nous.
L'Empereur prévoit que la Hongrie est bien près de se soulever. Il regrette que les Magyars et les Croates qui s'accordent parfaitement pour ne pas envoyer leurs représentants au Conseil de l'Empire, ne puissent se mettre d'accord pour leur union à Pesth.
Au reste j'ai pu comprendre que si la révolution hongroise éclatait, l'Empereur n'est serait pas fàché, pourvu qu'elle ait les moyens de se soutenir.
Le Prince Czartoriski a exprimé à S. M. le désir des polonais qu'il fit entendre à Turin qu'il ne verrait aucun inconvénient à ce que on Ieur permit de .former les quadres d'une légion polonaise.
S. M. a répondu par un refus net, en disant que c'était compromettre le Gouvernement italien pour une chose qui n'en valait pas la peine.
Je viens de voir M. Thouvenel, qui se montre très content des dispositions de l'Empereur. Il espère que V. E. comprendra la nécessité de faire à l'Empereur une position possible en vue des énormes embarras que la question de Rome crée en France.
Le Ministre déplore la conduite de la Russie en Pologne. Il est meme assez froid avec M. de Kisseleff. L'Empereur ne m'a pas, non plus, caché sa sympathie personnelle pour les Polonais. Seulement il regrette qu'ils n'ayent pas écouté son conseil de se soulever pendant la guerre de Crimée. Maintenant il faudrait, selon lui, qu'ils retardent leur soulèvement jusqu'au remaniement territorial que portera la question orientale.
L'Empereur m'a dit qu'il verrait avec plaisir l'arrivée de Pantaleoni à Paris, pourvu qu'il ne fasse pas de bruit et qu'il donne des renseignements exacts sur les Cardinaux.
M. Thouvenel m'a assuré que Kossuth va quitter prochainement et défi
nitivement l'Angleterre pour aUer s'établir à Turin. Ci-jont une lettre que je vous prie de faire avoir a Minghetti.
(l) Ed. in Q. R., Il, 429.
IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 12. Costantinopoli, 8 maggio 1861.
Le dernier paquebot m'a apporté la dépeche de V. E. n. 138 (S. P.); le
n. 136 me manque toujours, comme j'ai déjà eu l'honneur de vous en prévenir dans ma dépeche antérieure.
Après beaucoup d'hésitation et de pourparlers, la Sublime Porte vient d'admettré une espèce de médiation ou de concours morale de la part des cinq grandes Puissances. V. E. trouvera ci-joint en copie la communication qu'elle leur a adressée à cette occasion, ainsi que la proclamation qu'Omer-Pacha. Général en chef de l'armée de Roumélie, doit adresser aux insurgés de Bosnie, en leur offrant presque tous les avantages qu'il avaient demandés avant de recourir aux armes et pendant l'insurrection. On espère d'obtenir par ce moyen l'entière pacification de l'Herzégovine et de la Bosnie. Pendant qu'on négociait ces arrangements à Costantinople, les insurgés ont attaqué une colonne turque qui escortait un convoi, destiné à ravitailler le fort de Nitchich, étroitement bloqué, et qu'ils auraient du respecter, selon une convention antérieure faite par l'intermédiaire des Consuls des cinq Puissances. Ce manque de foi et la destruction de cette escorte rendent maintenant plus difficiles les négociations pour l'acceptation de part et d'autre des concessions projetées. En tout cas, c'est l'exécution de ces concessions qui forme toujours le nreud de la difficulté.
La Porte a toujours promis; elle a rarement rempli ses engagements envers les chrétiens, ou par impuissance de se faire obéir, ou par mauvaise volonté. Tout ceci n'est donc qu'un expédient pour sortir momentanément des embarras.
J'ai annoncé à V. E. dans mes dépeches antérieures, que je n'avais pas cru opportun de me plaindre de notre exclusion de toutes ces négociations, bien qu'à la rigueur nous aurions pu le faire. La nouvelle organisation de l'Italie nous rapproche trop des frontières turques; les nouvelles qu'on a répandues sur un prétendu débarquement de Garibaldins en Albanie, nous mettent en suspicion auprès de la Porte et de l'Angleterre. C'est une raison, ce me semble, dans l'état actuel des choses, de nous tenir à l'écart et de ne point provoquer une polémique et des contestations sur la légitimité de notre ingérence.
Je m'aperçois par la dernière dépeche de V. E. qu'elle ignorait la rupture des négociations entre Sir H. Bulwer et moi au sujet des armes de Galatz, déposées maintenant à Constantinople (1). J'ai écrit à M. Strambio pour l'engager à faire comprendre au Prince Couza, que Sir H. Bulwer, n'ayant pas rempli ses engagements de faire transporter ces armes à Genes, sa responsabilité morale et matérielle n'était pas encore dégagée et que par conséquent c'était à lui à provoquer cette mesure. M. Negri n'a pas d'instructions du Prince et ne veut pas agir de son chef. Cette issue à cette déplorable affaire, je l'avais aussi indiquée a V. E. dans une de nos dépeches antérieures, dans le cas où Elle ne crut pas opportun d'en faire quelque ouverture à Londres. J'ai également prévenu M. Strambio qu'il était probable que V. E. lui donnàt des instructions à cet égard.
J'ai également annoncé a V. E. que les demandes du Prince Couza, concernant l'union effective des deux Principautés, avaient été enfin agrées par la Porte. Je vous envoye copie de la circulaire adressée par Aali Pacha aux représentants de la Porte auprès des Puissances et que S. A. m'a communiquée officieusement. Naturellement on avait feint d'avoir oublié que la Sardaigne avait quelque chose à voir dans cette grosse affaire; j'ai du réclamer de cet oubli auprès du Ministre Ottoman. On m'a promis qu'on ferait à V. E. la meme communication qu'aux Ministres des autres Puissances. J'y veillerai. Je ne sais pas comment, dans l'état actuel de nos relations diplomatiques avec les puissances, notre admission aux conférences sur ce sujet, pourra etre réglée. Mais il faudrait au mo'ins sauver le principe d'une manière ou de l'autre. Vous voyez la pente et les dispositions de la Porte et des plusieurs autres Puissances à notre égard. Le Traité de Paris deviendra pour nous une lettre morte, si nous n'y prenons garde. Peut-etre un jour viendra où nous devrons déclarer, que puisqu'on ne tient pas compte de nos droits, nous déclinons toute charge éventuelle de garantie de l'Empire Ottoman.
Dans peu de jours l'Angleterre signera le Traité de commerce, avec des modifications. J'envoye à V. E. le texte de ces changements qui, à part quelque nouvelle altération sur l'époque du paiement des droits d'exportation et sur le commerce des armes, seront insérés dans le Traité Anglais. J'ai également l'honneur de joindre ici une copie exacte du Traité qui fut signé par la France; ce est d'apres ce texte que le rapprochement avec le projet Anglais a été fait. Veuillez, je vous prie, les faire examiner au plus tòt possible et m'avertir par télégraphe de la décision prise; car j'ai hàte de signer afin que V. E. puisse communiquer ce Traité au Parlement avant la fin de la session. Dans le cas où avant que le Traité Anglais soit le projet eut à subir des modifications de quelque importance, je ne manquerai pas de les communiquer d'avance a V. E.
(l) Cfr. C. DURANDO, op. cit., pp. 98-122.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR,
AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO
T. 317. Torino, 10 maggio 1861.
Par ma dépéche du 2 avril n. 136, je vous pna1 de me dire si vous croyez qu'on puisse notifier à la Porte le nouveau titre de Roi d'Italie et de m'en référer en cas contraire. Maintenant répondez par télégraphe. Je vous chargeai également de faire connaitre au Ministre de Grèce que le Comte Mamiani serait envoyé à Athènes en qualité d'Envoyé. A cet égard j'ai déjà reçu réponse du Consul d'Athènes; toutefois je crois convenable que vous fassiez communication au Ministre Grec auprès de la Porte (1).
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 436)
L. P. Parigi, 11 maggio 1861.
Je n'ai pas cru devoir vous rendre compte de tous les haut et bas que nous avons eus ces jours derniers pour amener l'Empereur à prendre une décision définitive sur les arrangements proposés. Il était inutile de vous ennuyer par des détails sans conclusion.
A présent je suis heureux d'annoncer à V. E. que, finalement, la détermination tant attendue est prise, et c'est pour vous donner cette nouvelle que je vous envoie M. Cerruti en courrier.
Hier j'ai vu l'Empereur et nous sommes convenus que le Roi lui écrira une lettre autographe, de suite, demandant la reconnaissance du Royaume d'Italie.
L'Empereur répondra affirmativement à cette demande, mais il est convenu que la lettre du Roi et la réponse de l'Empereur seront communiquées d'abord par brouillon.
Je prie donc V. E. de ne pas perdre un instant à faire rédiger par S. M. la lettre et me l'envoyer en copie par un courrier, qui vous apportera la copie de la réponse.
Une fois d'accord sur les termes prec1s des deux lettres, je remettrais à l'Empereur officiellement la lettre autographe du Roi.
L'Empereur désire que dans la lettre du Roi il y ait une phrase, qui témoigne le regret de S. M. de ne pas avoir pu suivre les conseils, que l'Empereur avait cru lui donner dans son intéret. Ici le Roi expliquerait les raisons qui l'ont induit à agir dans un autre sens.
Vous comprenez, Monsieur le Comte, que tout ceci n'est qu'une forme et une espèce de petite comédie, qui vous donnera l'occasion de faire connaìtre à l'Europe la politique du Roi et de piacer sous leur véritable jour les causes, qui ont amené l'unité italienne.
Dans la réponse de l'Empereur il y aura une phrase relative à Rome et à l'occupation française. Cette phrase est destinée à motiver le traité, que je viendrai vous apporter après l'échange officiel des lettres des deux Souverains.
J'ai insisté pour que le traité vous fut apporté par moi au lieu de vous etre communiqué par Rayneval, comme l'aurait voulu M. Thouvenel; et cela par la raison que ce traité, ne vous arrivant encore que comme un projet, vous pourrez y faire les modifications que vous jugerez convenables.
Il va sans dire que je ne partirai d'ici avec le traité que ayant en main un document qui rendra le traité irrévocable de la part de l'Empereur.
Les modifications, qu'on a faites ici au projet primitif, je vous les ai fait connaìtre par mes lettres et mes télégrammes; et, quant à vous, Monsieur le Comte, il vous restera toujours pleine liberté de proposer, à votre tour, des changements, car le Ministre des Affaires Etrangères et l'Empereur tiennent essentiellement à ce que vous restiez à la tete des affaires.
c Si je savais, m'a dit l'Empereur, que M. de Cavour dut tomber, je vous déclare bien franchement que je ne reconnaìtrais pas le Royaume d'Italie ».
Vous voyez par là combien de force vous avez auprès de l'Empereur, et que vous pourrez bien, si vous le croyez à propos, vous permettre de répondre: J e ne puis accepter telle ou telle autre condition, parceque je ne pourrais la faire accepter par les Chambres.
L'Empereur m'a dit qu'il tient à ce que le traité ne soit connu en France qu'après la clòture des Chambres Françaises qui aura lieu le 10 Juin. D'ici là devront avoir lieu l'échange des lettres, mon voyage à Turin, et l'entente préalable et définitive sur le traité ainsi que sur les démarches que la France fera à Rome et les communications officielles, qui seront faites à Turin sur ces memes démarches. C'est dans ces communications que l'époque du retrait des dernières troupes des Etats Pontificaux sera irrévocablement arretée vis à vis du Piémont meme, quoique indirectemnt.
Certes il aurait été mieux pour nous que l'époque du rappel fut énoncée dans le traité avec nous, comme le portait le premier projet.
Mais je vous répète que je crois impossible d'y amener l'Empereur. Quant à moi, je ne m'en sens pas la force, et le Prince Napoléon lui meme trouve qu'après tout le moyen terme arreté par l'Empereur répond assez au but que nous nous proposons. A ce sujet je crois devoir vous répéter textuellement ce que l'Empereur m'a dit hier: «Vous comprenez qu'il est de mon intéret de m'en aller le plus tòt possible et surtout de ne pas laisser longtems dans les Etats Romains une petite force, qui pourrait compromettre mon drapeau; je m'expose
rais peut-etre à ce que les Cardinaux eux-memes provoquent un mouvement populaire pour entrainer la France dans leurs intérets ».
Je crois aussi devoir vous redire ce que je vous ai déjà écrit: qu'une modification sera apportée au projet du traité en ce qui concerne la composition de l'armée papale. Le nombre et la nationalité des soldats ne seront pas déterminés.
Ce sera, du reste, dans un protocole séparé que ces détails seront réglés.
L'Empereur demande aussi que certaines facilités soyent accordées aux Etats Pontificaux dans leurs relations commerciales, afin qu'ils ne se trouvent pas comme bloqués par nous.
«Ceci, a dit l'Empereur, je le demande pour ne pas etre accusé par les catholiques français d'avoir fait un traité, qui bloque le St. Père et l'oblige à se rendre par la faim ».
« Ensuite, a-t-il ajouté, quand nous en serons là, vous ferez ce que vous jugerez convenable ».
En me faisant sentir la nécessité de ne pas trop presser la conclusion du traité, l'Empereur m'a dit: « Il faut que je laisse arriver la clòture des Cliambres; il me serait désagréable d'avoir, en ce moment, une interpellation Keller ».
S. M. sachant que j'avais diné avant hier chez Kiss avec Kossuth m'a demandé quelle était l'opinion de ce dernier sur la situation de la Hongrie.
J'ai cru devoir exposer à S. M. la véritable impression, que j'avais rapportée du long entretien que j'avais eu avec le chef de l'émigration hongroise; l'Empereur a paru assez étonné de voir que les renseignemens, que je lui donnais, différaient essentiellement de ceux qu'on avait reçus au Ministère des Affaires Etrangères. Selon ces derniers on prévoyait comme imminente la possibilité d'un soulèvement, tandis que Kossuth craint plutòt que la Diète se rallie au parti Deak, qui fait chaque jour de nouveaux prosélytes et finisse par accepter un compromis avec l'Autriche, qui de son còté, parait disposée à faire encore quelques concessions. Ce compromis amènerait nécessairement le couronnement de François Joseph comme Roi de Hongrie et, cela une fois fait, Kossuth et ses amis craignent bien qu'on ne pourrait plus compter sur un mouvement hongrois pendant quelques années. Kossuth admit meme la possibilité que les hongrois, une fois encore ralliés à la Maison d'Augsbourg, lui pretent leur appui meme contre l'Italie.
L'Empereur ne parait pas partager ces craintes et me semble voir avec
plaisir que la question de l'indépendance de la Hongrie soit ajournée, « car,
dit-il, les hongrois ne s'entendent nullement avec les Croates, ils n'ont pas assez
d'armes et seraient sans doute écrasés; les embarras de l'Autriche seront toujours
croissants meme vis-à-vis du parti allemand, qui parait se développer chaque
jour ».
Je vous prie, Monsieur le Comte, de ne pas oublier que l'Empereur, dans
tous les entretiens que j'ai eu l'honneur d'avoir avec lui, a toujours insisté, sur
tout et avant tout, à ce que l'organisation de nos forces de terre et de mer fut
poussée le plus activement que possible.
Il m'a chargé de vous dire qu'il est pret à vous donner, pour cet objet, tout l'appui et les facilitations que vous pourrez désirer. L'lmpératrice se montre toujours hostile à l'unité italienne, mais en revanche, elle est excessivement montée en faveur des Polonais et meme des Hongrois. Il
y a deux jours, après déjeuner, étant dans le cabinet de l'Empereur avec Conneau, Elle disait qu'il fallait marcher ouvertement dans la voie des nationalités. Le Docteur lui dit alors : .Je suis heureux, Madame, de vous voir dans ces idées et j e pense que vous cesserez d'etre hostile à l'Italie. L'Impératrice a répondu: « .Je voudrais donner la Vénétie au Roi de Sardaigne, mais rétablir le Roi de Naples et garantir au Pape le territoire actuel ». L'Empereur a ajouté en riant: «Il faut vouloir le possible et non rever l'impossible ».
M. La Valette écrit que les embarras de la Turquie croissent toujours et déclare qu'une fois les français partis de Syrie, les massacres recommenceront. Les troupes seront néanmoins retirées, mais la Turquie sera déclarée responsable de tout ce qui pourra s'ensuivre, et je suis à meme d'assurer à V. E. qu'on se prépare activement ici à marcher contre la Turquie, si les massacres recommencent, meme contre la volonté de l'Angleterre. .Je pense que ce sera par là que le grand drame sera entamé.
Des interpellations à ce sujet, provoquées par le Gouvernement, seront faites de ces jours au Sénat.
M. Billault se prépare à répondre. Sa réponse sera, j'ai lieu de croire, une espèce de programme pour mettre le Gouvernement Impérial à l'abri de l'imputation, qu'on veut lui faire d'avoir trop accordé aux exigences anglaises.
On compte ici que les troubles de l'Herzégowine s'étendront et appelleront de ce còté toutes les troupes, dont la Turquie peut encore disposer au milieu de son dénument. On restera l'arme au bras en attendant que la Syrie, livrée à elle meme, donne le prétexte de prendre position et de se rendre ainsi maitres de la question.
On fait calcul sur l'armée italienne qui jointe à 600/m bayonettes françaises seront d'un poids énorme dans la balance. L'Angleterre, forte chez elle, où trouvera-t-elle des armées à opposer?
On est très mécontent de Gramont et de Goyon, qui fait betise sur betise. Il est arrivé au point de renvoyer de Rome sa femme, parcequ'elle se montre contraire au pouvoir temporel. Cela vous surprendra, mais le fait est que Madame de Goyon fait des prosélytes ici dans ce sens, en disant que la France lutte à Rome contre l'impossible.
On parle beaucoup de cette adresse qui circule à Rome. .Je me permets de vous prier, Monsieur le Comte, de m'en écrire un mot, qui me donne le prétexte d'en entretenir l'Empereur. .Je ne voudrais pas, à présent que les choses vont s'arranger, que cette adresse vint nous faire le pendant de la note anglaise sur le rappel de la flotte de Gaete.
.J'attends toujours Pantaleoni. Veullez en presser le départ, puisque j'en ai meme annoncé à S. M. l'arrivée. .Je prierai V. E. de bien recommander à S. Martino de trouver à Naples un bon correspondant pour l'agence Havas, qui est disposée à le payer. Il est essentiel que cette agence où puisent tous les journaux, donne des renseignemens exacts sur la situat'ion du pays.
.Je prie aussi V. E. de dire à Minghetti qu'à la fin de la semaine prochaine
M. De Lauzières sera à Turin. .Je crois qu'il en sera content.
D'après une dépeche télégraphique de mon beau-frère Cusani la Princesse a fait chercher Laffitte pour lui recommander sa nomination en remplacement d'Oldofredi.
J'y ai été moi meme et je l'ai trouvé très bien disposé, quoiqu'il eO.t porté ses vues sur Ranco. La chose dépend tout à fait de V. E., si Elle veut bien dire un mot en faveur de Cusani.
Ci-joint une lettre pour le Roi et une pour Castelli.
P. S.-Je vous recommande le plus grand secret sur les affaires de Rome. L'Empereur désire qu'on croie que les négociations sont rompues.
(l) Col dispaccio qui richiamato, 2 aprile 1861 n. 136, Cavour scriveva tra l'altro al cav. Durando: c Il Governo del Re desiderando stabilire più strette relazioni colla Corte di Grecia, sarebbe venuto nella determinazione di far risiedere in Atene un inviato straordinario nella persona del conte Terenzio Mamiani della Rovere. Il nome di questo personaggio e gli alti offici già da lui tenuti, chiaramente attestano qual conto il Governo di S. M. faccia de' suoi rapporti colla Grecia e gli dan luogo a credere che tornerà bene accetta e la risòluzione presa e la scelta cui intenderebbe addivenire. Prego quindi la S. V. lll.ma di ciò annunziare al Governo Greco per mezzo del suo Ministro in Costantinopoli. In pari tempo occorrerà che la S. V. lll.ma col mezzo dello stesso Ministro notifichi alla Corte di Atene l'avvenuta proclamazione del Regno d'Italia e promova le opportune pratiche per condurne il riconoscimento. Lascio però alla perspicacia e prudenza di Lei il procedere in questi negoziati in quelmodo che Le parrà migliore perchè ottengano l'esito desiderato. In quest'occasione la S. V. Ill.ma potrebbe pure favorirmi il Suo parere intorno al punto di sapere se le disposizioni del Governo Ottomano siano tali che riesca opportuno il notificare sin d'ora anche al medesimo il titolo assunto da Vittorio Emanuele II ovvero se vi siena ragioni per differire questa comunicazione ad altro momento •.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 327. Berlino, 12 maggio 1861.
Le Baron de Budberg m'a communiqué aujourd'hui une circulaire du Prince Gortschakoff autorisant les Agents Diplomatiques russes à viser les passeports délivrés au nom du Roi d'Italie. Ils devront cependant dans leur visa employer la formule sujet toscan, sujet napoiitain, etc., selon le pays d'origine du titulaire.
Tel est le biais adopté par le Cabinet de St. Pétersbourg pour ne pas entraver les relations internationales, en réservant la question de reconnaissance.
Je n'ai pas hésité à exprimer à mon collègue de Russie mes regrets que son Gouvernement n'ai pas usé à notre égard des memes facilités que la Prusse. Le mode de procéder adopté par la Russie ne saurait satisfaire ni le Cabinet de Turin, ni les ressortissants des provinces unies, qu'il faudra d'ailleurs interroger directement sur leur pays d'origine, car, pour ma part, je continuerai a leur faire expédier des passeports sous la simple appellation de sujets du Roi d'Italie. Le Baron de Budberg regrettait à son tour que les ordres du Prince Gortschakoff se fussent croisés avec la dépeche qu'il avait adressé à S. E., en suite de mes ouvertures sur cette question. Il avait proposé une combinaison qui lui para'issait meilleure. Il espérait que les instructions seraient modifìées. En attendant, la Chancellerie de la Mission russe à Berlin évitera dans son visa de mentionner la qualité de sujet, en se bornant à la dégjgnation Toscan, Napoiitain, etc.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A MADRID, TECCO
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 13 maggio 1861.
Je m'empresse de vous accuser réception de votre dépeche confìdentielle
n. 165 en date du 30 du mois d'Avril dernier qui vient de m'etre remise.
J'apprends avec satisfaction que la question du « visa :. de nos passeports avec l'intitulé de Roi d'Italie de la part des Légations et des Consulats d'Espagne est résolu dans un sens favorable, et que les·ordres envoyés par le Cabinet de Madrid vont parer désormais à tout inconvénient.
Quant à l'arrangement provisoire dont vous etes convenu avec le Gouvernement Espagnol pour les rapports de la Légation de S. M., j'approuve sans doute votre conduite. Il me parait cependant que l'Espagne tout en faisant une large part aux sentiments dynastiques aurait pu se montrer un peu plus facile, au moment surtout où Elle vient de donner pour son propre compte, une consacration nouvelle au principe de nationalité et de suffrage populaire en acceptant l'annexion de la partie espagnole de l'ile de Saint Domingo. Vous refuser de prendre dans vos communications le titre de Ministre du Roi d 'Italie, de crainte de reconnaitre implicitement le nouvel ordre de choses, c'est il me semble pousser un peu loin les scrupules envers une Puissance qui, au fond, repose sur les memes bases que le Gouvernement actuel d'Espagne, et avec laquelle on n'a cessé d'etre en relations d'amitié. Mais nous attachons trop de prix à vivre dans les meilleurs termes avec le Gouvernement Espagnol, nous espérons trop d'ailleurs qu'il ne tardera pas à re-. <:onnaitre la justice de la transformation qui s'est opérée en Italie pour ne pas abonder envers lui de ménagements et d 'égards. Je ne vois donc rien de contraire à ce que pour tourner la difficulté vous écriviez sous forme de lettre au lieu d'écrire sous forme de note. J'y dois mettre toutefois une cond'ition, et c'est que <:e mode de correspondance soit reçu dans les usages de la Chancellerie Espagnole, et qu'il ne constitue pas une innovation de date trop récente, à la forme que vous auriez suivie par le passé. Au reste il est bien entendu que le titre de Roi d'Italie doit figurer sur les armoiries et sur les timbres de la "Légation comme sur les imprimés dont votre Chancellerie aurait à se servir.
Vous ne me parlez pas dans votre dépeche des rapports et des actes des Consulats de S . M. sur le territoire de l'Espagne. Cependant pour prévenir des embarras et des discussions il est nécessaire que ce po'int aussi soit réglé. Pour ce qui est de la correspondance avec les autorités, si l'usage precèdent l'admet, nos Consulats pourront adopter le meme expédient que la Légation. Mais pour ce qui est des actes de leur jurisdiction il est impossible que ceux-ci n 'énoncent pas la qualité des Agents Consulaires dont ils émanent et par conséquent ne contiennent pas le titre de Roi d'Italie. J'en dirai de meme de leurs armoiries, de leurs timbres, et de leurs imprimés.
Mais j'ai la confiance qu'il ne vous sera pas difficile de vous entendre là-dessus avec le Gouvernement de S. M. Catholique. En définitive nous ne prétendons pas le forcer à nous reconnaitre, nous le laissons meme juge du moment où il voudra bien donner à ses relations avec le Royaume d'ltalie un caractère plus ouvert et plus forme!. Mais ce que notre dignité nous oblige à vouloir c'est que nos Agents ne soient pas contraints de supprimer dans leurs actes le titre légal du Gouvernement sous l'autorité duquel ils agissent, particulièrement lorsqu'il est question de nos nationaux (1).
9 · D oCIImenti dip l omatici • Serie I · Vol. I
(l) Con rapporto confidenziale Madrid 22 maggio 1861, Tecco d a va a Cavour spiegazioni e informazioni soddisfacenti sui singoli punti e poneva in particolare rilievo che l'espedienteconcordato doveva ritenersi accettabile tanto più che al R . Ministro constava -com'egli scriveva -c de la manière la plus siìre que dans un Conseil des Ministres tenu devant la Reine il avait èté decidé qu'on n 'aurait pu accuellir d e ma p a r t aucu n e com m u n ication directe et formelle portant la qualification de représentant du Roi d'Italie sans reconnaitre par là le nouveau Royaume, reconnaissance contre laquelle S. M. s'était prononcée d 'avance d 'une manière péremptoire • .
L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE S. n. Lisbona, 13 maggio 1861.
L'état de choses relativement à l'attitude de ce Gouvernement vis-à-vis du Royaume d'Italie est le mème que j'avais signalé à V. E. dans ma dépeche télégraphique du 2 de ce mois, et les raisons en sont les memes que j'avais indiquées dans ma dépeche pol'itique n. 10 (1). La meme inertie, la meme indifférence, la meme hésitation, la meme crainte de se compromettre. Malheureusement ces mauvaises qualités sont si généralisées ici que meme auprès des hommes marquants de l'opposition et de la presse, malgré toute leur sympathie pour la cause italienne, il faut une grande persistance pour les décider à s'occuper de la grande politique européenne. C'est seulement depuis deux jours en effet que le journal La Révolution de Septembre a commencé à appeler l'attention publique sur l'argument de la reconnaissance du Royaume d'Italie. Il faut espérer que la presse libérale suivra cet exemple et qu'à la prochaine ouverture du Parlament des interpellations auront lieu à ce sujet.
Le Ministère en donnant la réponse que j'ai eu l'honneur de communiquer à
V. E. poursuit son système de tergiversation. Il parle de liberté aux Gouvernements libéraux, il se montre ultra-conservateur avec les Gouvernements réactionnaires. Je ne sais si V. E. a eu dans le temps communication de la réponse que
M. D'Avila a faite en date du 18 Juillet 1860 au Vicomte d'Alte au sujet de la protestation du Cardinal Antonelli du 18 Mars meme année contre l'annexion des Légations. Cette réponse se trouve à la page 32 d'un Compte rendu général du Ministre des affa'ires qu'on vient de faire imprimer. J'envoie ce rapport sous bande à V. E. Le Ministre Portugais dit que S. M. très fidèle a trouvé fondée en droit la protestation du Cardinal Antonelli et que la validité complète des faits qui se sont passés ne pourra dépendre que de l'approbation explicite des Puissances qu'i ont signé le traité de Vienne, traité que le Portugal Puissance signataire a le devoir de respecter. Je me dispense de tout commentaire sur cette pièce.
D'autre part il me revient de bonne source que le Ministre D'Avila aurait écrit au Ministre Portugais en Russie que pour la reconnaissance du Royaume d'Italie, le Portugal suivrait l'exemple des trois autres grandes Puissances. Mais malgré cela je crois qu'une attitude plus prononcée de la France pourrait contribuer à une solution plus prompte et plus favorable.
Il serait aussi à désirer que la Belgique se hatat de nous reconnaitre. Le Roi Léopold étant désormais le Chef de la famille des Cobourgs exerce une grande influence sur la Maison Royale de Portugal où il est hors de doute qu'une tendance allemande très prononcée parait prédominer à cause de son origine et de ses liaisons récents. Cette circonstance contribue aussi beaucoup à faire suivre une politique de tergiversations et de faiblesse politique qui est en con
tradiction avec toutes les expressions et les marques de sympathie qu'on montre en faveur de notre nationalité reconquise (1).
(l) Rapporto da Lisbona 26 aprile 1861 n. 10 sulle tergiversazioni di quel Governo.
IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 13 maggio 1681.
Je venais à peine d'adresser à V. E. ma dépeche télégraphique de tout à l'heure (2) pour l'informer du refus du Ministre de Bavière de prendre connaissance d'une communication de cette Chancellerie portant le cachet de Légation de
S. M. le Roi d'Italie, qu'à son tour l'Envoyé de Wurttemberg, auquel j'avais également adressé des lettres rogatoires avec le meme cachet, accompagnait sa réponse. des observations dont ci-joint se trouve la copie (3).
Si la forme qu'a donnée à sa communication le représentant du Wurttem-· berg est moins acerbe que le procédé du Ministre bavarois, il n'en est pas moins certain qu'au fond c'est la meme pensée qui a dicté leur conduite, et que tous deux ont agi d'un commun accord d'après les instructoins de leurs Gouvernements. Au surplus il est évident que l'Autriche est derrière toutes ces hostilités, et que n'ayant pu parvenir à obtenir une protestation formelle de la Prusse, elle espère arriver au meme résultat en conseillant et provoquant des ruptures partielles aux petits Etats, servilement inféodés à sa politique haineuse.
Ce que le futile prétexte d'un cachet extérieur a pu amener aujourd'hui de la part de la Bavière et du Wurttemberg, indique assez ce que sont disposées à faire à la première occasion les autres Cours secondaires, dont l'animosité et la jalousie concentrées contre le nouveau Royaume d'Italie égale la soumission absolue à l'Autriche.
Malgré l'importance qu'il y a à surveiller de près ici les manoeuvers ténébreuses de l'Autr'iche, je ne sais jusqu'à quel point il peut convenir au Gouvernement du Roi de maintenir un représentant près d'une Assemblée dont, si l'on en excepte le Danemark, la Hollande, la Prusse et les quelques Etats qui suivent sa politique, tout le reste se pose en ennemi déclaré du nouvel ordre de choses établi en Italie, et saisira toutes les occasions de prouver son stupide dévoument au Cabinet de Vienne en s'associant à ses profondes rancunes.
. (l) Questo rapporto era comunicato con dispaccio confidenziale 29 maggio 1861 all'Incaricato d'affari a Londra (Corti) con l'incarco di vedere se Lord J. Russell fosse dispostoad interporre i suoi buoni uffici per vincere le incertezze del Governo portoghese : c nouvelle marque d'amitié -scriveva Cavour -que nous apprécierions certainement à toute sa valeur •·
D'un autre còté, comme j'ai eu l'honneur d'en informer V. E. (1), il ne faut pas oublier que rien ne saurait etre plus agréable à l'Autriche que le fait éclatant d'une rupture avec la Confédération Germanique auquel par une de ces ruses qui lui sont familières elle ne manquerait pas de donner un caractère gén6ral résultant d'une communauté de vues et d'intérets avec toute l'Allemagne. Une autre consideration qui a aussi sa valeur c'est que le rappel du Représentant du Roi, à la suite de ce qui vient d'arriver, donnerait beaucoup trop d'importance à l'initiative ridicule prise par deux petits Etats dont la haine égale l'impuissance et qui, en s'imaginant, peut-etre, que l'on a pris au sérieux leurs observations, se donneraient les airs d'avoir amené une rupture avec l'ensemble des Etats Allemands.
Mais comme en définitive cette Légation ne peut pas s'exposer à recevoir une seconde fois les observations du premier petit représentant auquell'Autriche aura soufflé son role, je crois qu'en l'état il ne s'offre plus que deux moyens de parer pour quelques temps encore aux difficultés de la situation.
Le premier serait de me renfermer exclusivement dans mes attributions de Ministre près la Diète qui ne donnent lieu à aucune communication officielle, en évitant d'avoir avec les membres de l'Assemblée des relations d'affaires qui pourraient se traiter par l''intermédiaire du Ministre de Prusse à Turin.
Le second consisterait à prendre un simple congé qui en écartant toute espèce de difficulté aurait l'avantage de laisser intacte pour plus tard la reprise de relations diplomatiques régulières.
En croyant de mon devoir d'exposer à V. E. ma manière d'envisager la question, je n'ai pas besoin d'ajouter que je laisse à Sa haute sagesse le soin d'apprécier une situation qui devient de jour en jour plus délicate.
P. S. Le chargé d'affaires d'Espagne m'a dit hier soir qu'il venait de recevoir de son Gouvernement l'autorisation de viser les passeports délivrés « au nom du Roi d'Italie ».
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO
R. 141. Torino, 15 maggio 1861.
D'après ce que je suis autorisé à penser des dispositions de la Porte, je crois qu'au lieu de nous borner à sonder ses intentions, nous pouvons franchir le pas et lui notifier officiellement le titre de Roi d'Italie assumé par Notre Auguste Souverain. Je vous charge donc, Monsieur le Chevalier, de faire cette notification dans les termes que vous jugerez les plus convenables.
La Porte ne saurait oublier les services que lui a rendu, sous les auspices du Gouvernement du Roi, une partie de cette nation italienne qui vient heureusement de se constituer. Les sacrifices que nous avons fait pour aider la Porte à conjurer les périls qui la menaçaient et à maintenir son intégrité seront, je
(l} V. documento n. 75.
l'espère, aux yeux du Gouvernement Ottoman, un motif de plus de reconnaitre l'indépendance des provinces de l'Italie réunies sous le sceptre de S. M. L'exemple d'ailleurs de l'Angleterre est bien de nature à dissiper les hésitations de la Porte. Les raisons que vous développez à l'égard du traité de Commerce sont très sensées et très justes. Aussi je vous autorise à signer le traité sans retard. Vous devez vous servir, à cet effet, des nouveaux pleins pouvoirs que je vous ai envoyés, et prendre en conséquence la qualifi.cation, avec laquelle vous y etes désigné de Ministre du Roi d'Italie. C'est avec ce titre seulement que vous devez signer, et s'i, contre toute prévision, on vous faisait des difficultés à cet égard, vous vous abstiendrez de donner votre signature. Mais je suis presque convaincu que vous ne rencontrerez aucune objection.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 445)
T. 483. Parigi, 15 maggio 1861, ore 15,20 (per. ore 16,30).
Thouvenel trouve Pantaleoni bavard, il ne veut pas qu'il se mele du traité: il s'en servira uniquement pour avoir des renseignements sur le Sacré Collège après quoi il sera mieux de le laisser. Le Père Marie Louis est arrivé; j'en su'is enchanté et j'espère en tirer beaucoup parti. J'attends avec impatience votre courrier de Cabinet, 'il serait urgent d'insister auprès d'Hudson sur la nécessité que le Gouvernement Britannique laisse tomber la question romaine. Tachez qu'on ne commette pas d'indiscrétion à Turin.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 446)
L. P. Torino, 15 maggio 1861.
J'ai préparé le brouillon de lettre pour l'Empereur. Je l'ai envoyé à la Vénérie. Le Roi m'a fait dire qu'il me le rendrait à 5 heures; je ne sais si ce sera avec ou sans corrections: mais j'espère que de toute manière il pourra partir ce soir. Au reste le télégraphe vous l'apprendra.
Ce brouillon a couté à Artom et à moi beaucoup de peine; ce ne pouvait etre ni une justifi.cation, ni une profession de foi. Je désire qu'il soit du gout de l'Empereur et que sa réponse le soit du notre.
Je comprends que l'Empereur préfère que le traité ne soit connu qu'après le 11 juin; mais pour cela il faudrait qu'à Paris au lieu de nous accuser d'indiscrétion on gardat les secrets un peu mieux qu'on ne le fait. Pour vous donner une
preuve de la réserve des Parisiens, je vous dirai que ce matin meme quelqu'un arrivant de Paris, m'a communiqué que Madame de La Valette lui avait annoncé que son mari serait à Turin dans les premiers jours de Juillet. Il est fort difficile que cette nouvelle ne se répande pas dans la ville, et qu'elle ne revienne à Paris sous forme de correspondance. Je vous prie de citer le fait c'i-dessus à l'Empereur pour lui prouver que le plus souvent on met à notre charge des indiscrétions dont nous sommes parfaitement innocents.
J'ai reçu une lettre du Père Passaglia que vous trouverez ci-jointe. Vous voudrez bien me la renvoyer. Le Prince Napoléon m'a écrit depuis son retour à Paris. Veuillez le remercier de sa lettre. Quel malheur qu~il ait laissé échapper une occasion unique pour achever la réhabilitation, que son discours avait commencée!! Je crains bien qu'elle ne se représente plus.
Veuillez dire à M. Thouvenel que Rayneval est venu me lire de sa part une dépeche, où Gramont s'évertue à prouver que Antonelli et le Roi de Naples ne sont pour rien dans les mouvements réactionnaires des Abrusses et des autres Provinces Napolitaines. J'ai eu toutes les peines du monde à garder mon sérieux. Je me suis contenté de lui dire que ce n'était pas l'avis à Naples, ni de nos amis, ni de nos ennemis. Demain je répondrai d'une manière officielle à cette étrange communication en envoyant à Gropello (l) les extraits des lettres de Rome et de Naples, qui contiennent des faits nombreux et précis qui prouvent à l'évidence que Gramont est un menteur ou un imbécile, ou bien encore ce qui est plus probable tous les deux à la fois.
Le Roi me charge de vous dire qu'il vous autorise à revetir dès à présent l'uniforme de Lieutenant Colonel, en attendant qu'il vous fasse expédier votre brevet.
Le Roi m'a rendu le brouillon avec quelques corrections.
Je trouve que Thouvenel juge bien Pantaleoni. Faites lui faire un travail
sur le Conclave et renvoyez-le à Turin ou expédiez-le à Londres. C'est du reste
un parfait honnete homme sincèrement dévoué à la cause libérale.
Je vous quitte car le courrier va partir.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 449)
T. 486. Parigi, 17 maggio 1861, ore 16,55 (per. ore 18,20).
Thouvenel trouve la lettre du Roi très bien pour le Gouvernement français; demain il la présente à l'Empereur. Dimanche le Ministre des Affaires Etrangères recevra seui Pantaleoni et le chargera du travail sur !es Cardinaux; avec ce que mande Passaglia ce travail pourra etre complet. Ayant fait compliment à Thouvenel sur sa note lue au Sénat sur la Syrie, il m'a dit de vous dire confidentiellement que c'est un programme politique qui doit vous servir pour vous préparer
aux éventualités renvoyées au 1862. Quant à ce que vous dites sur Gramont, Thouvenel en a ri et dit que votre dernière hypothèse est peut etre juste; au reste on lui a fait sentir indirectement qu'il fera'it bien de se hàter à demander son congé. Je crains que Cadore fasse pas mieux et je l'ai dit à Thouvenel. Tout marche bien.
(l) Edita in Q. R., II, 448.
IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 19 maggio 1861.
Le meme jour où sous le cachet de la Légation d'Italie j'adressais aux Ministres de Bavière et de Wurttemberg des Lettres rogatoires dont l'une m'a été renvoyée, et l'autre a donné lieu aux observations que j'ai fait connaitre à V. E. par ma dépeche Confidentielle du 13 courant, je transmettais à l'Envoyé de Mecklembourg l'acte judiciaire ci-joint auquel à son tour il s'est refusé de donner cours en prétextant les memes raisons que ses collègues. Sa lettre que je crois de mon devoir de mettre ici sous les yeux de V. E. prouve jusqu'à l'évidence que sur la question des nouveaux timbres, comme sur toutes celles plus sérieuses qui pourront naitre plus tard, il y a accord complet entre les petits Etats soumis à pression Autrichienne, et que, comme j'ai eu l'honneur d'en informer V. E., la proposition de l'éloignement de cette Légation n'ayant pu etre présentée à la Diète par suite de l'opposition de la Prusse, le mot d'ordre a été donné par le Cabinet de Vienne de saisir tous les prétextes possibles pour arriver à des ruptures partielles. La preuve que dans cette circonstance les représentants en question ont agi dans la direction immediate de l'Autriche, c'est que je sais de source certaine qu'à peine le Ministre de Bavière m'avait-il renvoyé ma communication, qu'il se hàtait d'en aller informer le Président de la Diète, et que celui-ci à son tour en faisait instantanément l'objet d'une dépeche télégraphique à Vienne.
J'ignore si les deux nouveaux incidents que j'ai eu l'honneur de signaler à l'attention de V. E. depuis que j'ai reçu sa dépeche télégraphique du 15 (l) ne changeront rien à sa première détermination de laisser tomber le premier. Je ne dois pas cependant omettre d'ajouter que l'outrecuidance dont viennent de faire preuve certains représentants des Etats moyens, donnent à penser, que, à quelques rares exceptions près, les uns comme les autres ne s'arreteront pas là, et que si, sous le vain prétexte d'un simple cachet extérieur, leur mauvais vouloir est allé jusqu'à interrompre le cours de la justice internationale, il ne s'arretera probablement pas devant cette autre conséquence de leur politique servile, en refusant de reconnaitre la validité des passeports et visas portant le timbre de la Légation d'Italie à Francfort. Cette éventualité ne s'est pas encore, il est vrai, réal'isée, mais malgré la perturbation qu'elle apporterait dans les intérets des voyageurs italiens elle n'est nullement impossible.
Comme observation générale trouvant sa piace dans le meme ordre d'idées, je ne dois pas oublier de dire que le retard inexplicable qu'apporte le Gouvernement Français à reconnaitre le nouvel ordre de choses, à l'établissement duquel cependant il a si puissamment contribué, nous porte le plus grand préjudice en Allemagne, et que certainement il entre pour beaucoup dans la forme acerbe que donnent les Etats moyens à l'expression de leur haine jalouse contre le nouveau Royaume d'Italie.
(l) Cavour, al primo annunzio dell'incidente (cfr. a p. 131 n. 2 il telegramma n. 485 di Barrai del 13 maggio) aveva telegrafato a Barrai il 15 maggio (n. 322): Rien à jaire, laissez tomber l'incident.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 452)
L. P. Parigi, 20 maggio 1861.
Le Marquis De Lauzières partant ce soir pour Turin, je lui confie cette lettre et je garde Armillet jusqu'a ce que l'Empereur ait écrit la lettre projetée. J'écris à Minghetti pour lui présenter M. De Lauzières que j'ai engagé aux
conditions que Minghetti m'avait tracées. Je le recommande aussi à V. E.
M. Thouvenel a trouvé la lettre du Roi un peu longue surtout dans la partie où il explique les motifs de sa conduite. Peut-etre dans cette partie supprimera-t-on quelques détails, mais ceci plutòt dans notre intéret, car au point de vue français, M. Thouvenel a trouvé que la lettre renfermait tout ce qu'on pouvait désirer. Le Ministre a remis la lettre à l'Empereur samedi après le consei! des Ministres. Ce matin il en aura reparlé à S. M. et tout à l'heure je saurai ce qui en est.
La note de M. Thouvenel à Lavallette et le discours de Billault ont produit une énorme sensation dans le monde politique. Les hommes sensés ne se cachent pas tout ce qu'on nous promet de grave pour l'avenir, d'autant plus que les nouvelles qui arrivent de Constantinople ne sont pas de nature à rassurer sur la tranquillité dans les provinces ottomanes après le départ des français de Syrie.
M. de Flahault est arrivé hier inopinément de Londres. Il s'est rendu à Paris, dit-il, parceque dans une entrevue qu'il aurait eue avec Lord Russell, le Ministre de la Reine lui aurait promis une chose et, en attendant, Cowley aurait agi ici dans un sens diamétralement opposé à la promesse. Je ne sais pas précisément de quoi il s'agit, mais je crois savoir qu'il est question de l'Orient. J'espère en savoir plus loin dans la journée.
Je constate avec plaisir que I'idée de l'impossibilité de la puissance temporene du Pape fait d'enormes progrès, meme dans la haute société. Plusieurs personnes qui, il y a deux mois, étaient tout à fait hostiles aux idées que vous avez énoncées au Parlement, trouvent en elles aujourd'hui la seule solution possible. L'Impératrice meme, sans nous etre favorable, nous est un peu moins contraire.
Pantaleoni a eu hier un entretien avec M. Thouvenel. Je préfère que le
Ministre le voie seui, parceque le Docteur pourra mieux lui expliquer ses idées
et satisfaire aux demandes de S. E. sur les membres du Sacré Collège.
A ce sujet j'ai remarqué une divergence entre lui et le Prof. Passaglia à l'égard du Cardinal De Pietro. Pantaleoni ne le trouve pas papable. Passaglia au
contraire semble porter sur lui ses préférences, quoiqu'il lui reproche une grande ambition et peu de loyauté. Cette divergence n'échappera pas à la pénétration de
M. Thouvenel, à qui j'ai communiqué, traduite, la lettre de Passaglia.
Je ne pense pas que le Ministre accepte de Pantaleoni d'engager la conversation sur le traité; il garde, à cet endroit, la plus grande réserve; il l'étend mème à Benedetti. On veut, à ce sujet, garder le secret le plus absolu pour éviter que les catholiques du Sénat ne fassent une interpellation qui nous serait fatale en ce moment.
Je ne sais comment l'Empereur a été informé du langage digne et modéré, que V. E. a tenu sur le compte du Pape avec plusieurs français venus à Turin pour affaires de chemins de fer. Mais je sais que S. M. en a été très satisfait. Je n'ai pas besoin de vous dire combien l'Empereur tient aux procédés, surtout envers ceux que sa politique combat. Les Metternich, par exemple, sont toujours choyés à la Cour et on ne peut pas dire que la politique de la France soit trop favorable aux Augsbourgs. Le Prince de Reuss, Chargé d'affaires de Prusse, est de toutes les parties le plus intimes; il est mème amoureux de l'Impératrice et ça n'empèchera pas l'Empereur de prende les provinces rhénanes à peine il le pourra. Quant à nous, nous sommes toujours comme les lorettes qu'on ne reçoit que par la petite porte, en attendant qu'on nous ouvre à deux battants la grille des Tuileries.
Décidémént le Prince Napoléon n'a pas de chance. Voici une seconde tuile qui lui tombe sur la tète.
Vous savez que le Prince Murat a été élu Grand-Orient de la Maçonnerie pour 10 ans. Il attache beaucoup d'importance à cette belle position. Les dix ans touchant à leur terme, il s'agit de la réelection. Murat a su, je ne sais comment, que le Prince Napoléon ambitionnait sa piace. M. Seaulzé a été chargé de demander au Prince Napoléon s'il était vrai qu'il se mettait sur les rangs. S. A. a répondu qu'il n'y songeait pas mème. Il y a de cela un mois.
Murat a tenu cette déclarat'ion pour bonne quand l'autre jour il a dù se convaincre que son cousin luì faisait une véritable concurrence. Voilà le gros Murat en fureur, qui écrit une lettre pleine d'injures au Prince Napoléon. Celui-ci prie le Maréchal Magnan d'aller en demander satisfaction en son nom. Murat charge
M. Heeckeren de régler les condit'ions du duel. Persigny entre en scène et se mèle de l'affaire. Magnan s'aperçoit trop tard qu'il fait fausse route et va tout dévoiler à l'Empereur, qui, de son còté, s'impatiente et déclare vouloir mettre aux arrets les deux Princes. L'Impératrice, heureuse de taper sur la famille, revendique son ròle dans la pièce et dit à l'Empereur (avec assez de raison, il faut l'avouer) qu'il est ignoble que des membres de la famille prètent le flanc à devenir le sujet des risées du public, qui trouve étrange la cause du duel, et surtout la manière dont on s'y prend pour y arriver, en y mèlant Persigny, qui par sa position se trouve obligé d'empècher que le duel ait lieu.
Voilà une pièce qui serait digne des Bouffes parisiens si le nom du Prince Napoléon n'y était pas mèlé.
3 heures.
Je viens de chez M. Thouvenel. L'Empereur a été très satisfait de la lettre du Roi. Il a dit qu'il veut faire lui mème la réponse. M. Thouvenel croit que nous aurons lieu d'en ètre tout à fait contents. Cependant il me charge de dire à V. E. qu'Elle pourra y apporter les changemens qu'Elle croira. S. M. serait très pressée d'en finir, et est, pour cela, très impatient d'arriver à la clòture de ses Chambres, ne voulant rien faire avant cette époque.
J'ai trouvé le Ministre des Affaires Etrangères furieux (et l'Empereur l'est de meme) pour l'article signé Perego, inséré dans la Gazette de V érone du 9. On veut en faire un cas grave. C'est pour cela que je vous ai demandé par télégraphe des renseignemens pour établir la position officielle de Perego. Je connais ses antécédents, mais pour etre plus sur M. Thouvenel m'a chargé de vous en demander encore mieux.
Pantaleoni a fait assez bonne impress'ion sur le Ministre. Seulement il a un peu trop parlé. Au lieu de s'en tenir aux informations sur Rome, il a parlé des vues que l'Empereur peut avoir sur les frontières du Rhin. Vous comprenez que c'était aller un peu vite en besogne pour une première entrevue.
Dans tout le reste, il a été très bien. M. Thouvenel a beaucoup apprécié ses connaissances sur la situation du Pape par rapport à sa souveraineté temporelle. Il l'a chargé de faire là-dessus un rapport.
Pantaleoni a beaucoup été chez les Thiers, chez une foule d'Orléanistes et de Russes, ainsi qu'à l'Ambassade Anglaise, où il me dit avoir usé de la plus grande réserve. Il vous envoie ses appréciations. Quant à moi je n'attache pas une grande importance à l'opinion d'un monde qui n'est plus dans les affaires.
Le Père Marie sera reçu par M. Thouvenel. Comme vous le dites très bien, c'est un homme très capable, mais les renseignements que j'ai sur lui sont un peu douteux Confesseur de la Duchesse de Hamilton, élève du Père Ravignan, il a été dans toute la clique du noble faubourg. Je veux bien croire qu'il y ait apporté les memes idées qu'il a maintenant, mais, dans ce cas, comment expliquer ses liaisons et son influence dans une société professant des principes tout à fait opposés? Quant à mo'i je me suis tenu sur la réserve et dans quelques jours, j'en saurai plus loin sur sa position actuelle. N'aurez-vous pas été trop loin avec lui? Je sa'is encore qu'il est lié avec l'Abbé Hamelin, Curé de Sainte Clotilde à Paris, et connu par ses idées tout autres que les vòtres.
J'ai communiqué à M. Thouvenel les informations que Artom m'a envoyées ce matin sur le voyage du Cardinal Grassellini. Cette communication lui a fait bien du plaisir.
Je me suis bien plaint avec S. E. pour avoir communiqué à Gramont ce que le Père Passaglia nous disait sur les négociations d'Aguglia avec le Cardinal Antonelli. Le Ministre a été très fàché de cette betise de Gramont.
Je l'ai empeché de vous faire communiquer par Rayneval une nouvelle note informative envoyée par Gramont, où il dit avdir en main les preuves que les caisses de monnaie de cuivre envoyées de Rome à la frontière napolitaine sont tout simplement une spéculation de deux israélites et que François II est tout à fait étranger à cet envoi ainsi qu'à toutes les menées qu'on lui attribue.
Au reste M. Thouvenel est le premier à convenir que, depuis quelque tems,
M. de Gramont fait tout-à-fait fausse route et il est pressé de le voir venir en congé.
L'Empereur rumine dans sa tete et il a demandé à M. Thouvenel, si, dans l'état actuel de santé du Pape, il ne serait pas mieux, tout en reconnaissant l'Italie, de laisser à Rome ses troupes, qui serviraient à forcer l'élection du Pape que la France et l'Italie choisiraient d'accord. Ce n'est là qu'une idée, qui passe par la tete de l'Empereur, mais que je crois devoir vous signaler.
Je vous prie, Monsieur le Comte, de présenter mes vifs remercimens au Roi pour le grade de lieutenant colone! qu'il a bien voulu me conférer, et lui dire en meme tems qu'Armillet lui apportera une première expédition des reufs de perdrix qu'il désire.
Laffitte est revenu content pour son affaire. Il n'a cependant pas donné à mon beau frère la piace d'Oldofredi et m'a dit vous en avoir communiqué les raisons, que vous avez trouvées très justes, car la nomination de Ranco fait faire une économie à la Compagnie.
Il m'est impossible de répondre aujourd'hui mème à la lettre qu'Artom a bien voulu m'écrire. Je le ferai par Armillet. Pour le moment je me borne à dire qu'il est très difficile d'empecher la Patrie d'insérer des correspondances qui nous sont contraires. Delamarre est un fou sur lequel personne n'a d'infl.uence. J'en parlerai cependant à Laguéronnière. Quant au Pays, je pense que M. De Lauzières son ex-rédacteur pourra l'infl.uencer de Turin.
J'envoie à V. E. quelques exemplaires du Blue-Book français que je vous prie de faire distribuer à leurs destinataires. Je vous prie aussi de faire avoir à Castelli la lettre ci-jointe à son adresse.
Je jo'ins encore une lettre de remercimens adressée à V. E. par M. de St. Paul et que Benedetti me prie de vous faire parvenir.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 460)
L. P. Parigi, 23 maggio 1861.
Hier M. Thouvenel m'a donné lecture de la réponse que l'Empereur lui avait remise quelques istants avant. Cette lettre fait du traité relatif à Rome une condition sine qua non de la reconnaissance du Royaume. Aussitòt donc les deux autographes échangés,
M. Thouvenel désire que j'apporte à V. E. le projet définitif du traité en question.
La lettre de l'Empereur est assez bien. C'est vrai que le Ministre des Affaires Etrangères, qui se pique à raison d'etre bon rédacteur, ne l'a pas trouvée de son gout, mais il n'a pas osé y toucher, étant l'ouvrage de S. M. lui-meme.
Il a meme passé sur une phrase que je ne pouvais approuver. La-voici à peu près textuellement. « Malgré mes sympathies pour la cause italienne, les événements qui se sont passés en Italie ont laissé dans mon coeur un souvenir de regret ineffaçable ». Moins craintif que S. E. j'ai cru devoir en demander la suppress'ion. M. Thouvenel a saisi avec empressement l'occasion que je lui présentais de faire des observations à l'Empereur, et m'a promis d'obtenir que la phrase fut effacée par S. M. mème, me priant de renvoyer à aujourd'hui l'expédition de cette pièce à Turin.
Je me suis aussi rendu chez Conneau qui m'a demandé que je lui écrive un mot qui lui fournit le prétexte d'entrer en matière et qu'il put faire voir à S. M. ce que j'ai fait et je ne doute pas que ça réussisse.
M. Thouvenel me charge de vous dire qu'il conçoit très bien qu'à Turin on soit pressé pour la reconnaissance, mais il vous prie de ne point lui en vouloir si elle ne se fait pas aussi tòt qu'il le voudrait, car il est impossible de rien entreprendre avant la clòture des Chambres, comme j'ai déjà eu l'honneur de vous le dire. L'Empereur voudrait que les Chambres soient closes sous le coup de l'influence du dernier discours de M. Billault sur les affaires de Syrie. On veut éviter à tout prix une interpellation de quelque La Rochejaquelein.
M. de Flahault est encore ici; il se plaint beaucoup de la conduite du Cabinet anglais dans ces derniers tems. Ce langage frappe d'autant plus en venant d'un homme qui est presqu'autant anglais que français.
Le Gouvernement de l'Empereur presse beaucoup M. de Kisseleff pour que le Gouvernement russe cesse toute mesure coercitive contre la Pologne. M. Thouvenel m'a dit avoir tenu à cet égard un langage très ferme. Nous en verrons le résultat.
A Vienne on se t'ient sur d'avoir le dessus en Hongrie. M. le Prince de Metternich assure que son gouvernement peut compter sur la Croatie et que la Hongrie, désarmée, finira par accepter un compromis dans lequel l'Empereur François Joseph est disposé à aUer plus loin que ne le voudrait M. Schmerling lui mème.
L'Empereur ici, tout en désirant que l'esprit national se maintienne en Hongrie, désire qu'elle suive, pour le moment du moins, la révolution légale. Résistant autrement et n'ayant pas les moyens de se défendre, elle pourrait ètre écrasée et réduite à l'impuissance pour de longues années, ce qu'on voudrait éviter ici pour garder une force en vue des éventualités qui pourront surgir sur le Danube à la suite des affaires d'Orient.
M. de Gramont a décidément perdu la tète. Hier encore il a envoyé une nouvelle dépèche qui a l'air d'ètre écrite par le Cardinal Antonelli lui-mème.
M. Thouvenel, en me la lisant, me dit qu'elle fait un singulier contraste avec ce que vous lui avez mandé par Gropello. Il ne faut plus donner de l'importance à cela, ni se plaindre, pour le moment, au Gouvernement français de ce qu'on fait à Rome. Il faut laisser cette question tranquille jusqu'après la reconnaissance. Nous aurons alors, je crois, le droit de parler hautement. Jusque là il ne faut pas insister auprès de M. Thouvenel et le tracasser pour des choses auxquelles il ne peut pas remédier.
Le M'inistre juge comme vous la conduite de Gramont. Il ne veut pas le désavouer et mème il désire de ne pas en parler à l'Empereur pour ne point le taquiner dans un moment où nous devons amener la reconnaissance et un traité qui doit mettre un terme, quoique assez éloigné, à l'occupation française.
Demain M. Thouvenel recevra le Père Marie qui a chargé le Maréchal Mac Mahon de remettre à l'Empereur une très-belle lettre tendant à l'amener à obtenir à Rome la réunion d'un Concile cecuménique. Le Ministre des Affaires Etrangères
serait assez disposé à appuyer ce projet, mais il prévoit une résistance absolue du St. Père d'un cOté, et de l'autre, contrairement à l'avis du Père Marie, il craint que l'opinion du Concile serait favorable au Pouvoir temporel.
Je me déclare peu compétent dans la question, mais j'ai l'habitude de me méfier des politiques en soutane, d'autant plus quand ils sont réunis en Assemblée. A Milan on dit: «can mangia minga can ».
Pantaleoni travaille au tableau dont M. Thouvenel l'a chargé. J'ai beso'in de le voir ce matin pour le prier de tenir un langage qui rassure le Ministre et tous ceux qu'il voit sur la conservation de l'ordre à Rome après le départ des troupes françaises. Il faut meme que les tendances unitaires du projet soient mises un peu en doute. Si on prévoyait des mouvemens après le départ des troupes, cela entraverait la conclus'ion du traité. Quoi qu'il arrive après, M. Nigra saura bien se tirer d'affaire en contant des baringales à l'Empereur et à ses Ministres, tandis que moi je suis ici tout seui, n'ayant d'autre aide active que ce pauvre Conneau et un peu de sympathie de l'Empereur, je ne sais trop pourquoi.
L'affaire entre le Prince Napoléon et Murat a pris de très grandes proportions. J'ai lu la lettre écrite par ce dernier au Prince: c'est un amas d'injures à faire honneur à un voiturier. Les mots: làche, menteur, peureux, y sont répétés à satiété. Je ne comprends pas comment le Prince Napoléon ne l'ait pas étranglé.
L'Empereur est désolé de ce fàcheux incident. Persigny y est compromis et S. M. est très mécontent de lui.
Je ne sais guère comment tout cela ira finir; mais ce que je sais c'est que le nom du Pr'ince Napoléon est galvaudé partout. C'est là le coté sérieux pour nous. Quant à moi, je crois bon de briller au Palais Royal par mon absence.
J'ai dù, malgré moi, me meler à l'affaire du Due d'Aumale pour empecher qu'on y mèle le Roi. Je ne voudrais pas aUer maintenant conseiller à S. A. de casser la figure au Prince Murat.
La pauvre Princesse Clotilde est toute désolée: elle à tàché d'arranger la bagarre avec la Princesse Murat. Mais celle-ci, déjà froissée par la conduite de l'Empereur lors du manifeste aux Napolitains, n'a pas voulu agir sur son mari. La chose en est là.
2 heures.
M. Thouvenel v'ient de me remettre la lettre. La phrase a été retranchée comme j'en avais manifesté le désir. Je vous l'envoi ce soir par Armillet. L'important est dans le passage: ou que le St. Père sera menacé de voir les Etats qui lui restent envahis par une force régulière ou irrégulière, ou que la première hypothèse n'est près de se réaliser.
M. Thouvenel prie V. E. d'expédier au plus tot l'autographe du Roi afin de vous envoyer sans perte de temps la réponse de l'Empereur et pouvoir .lier
S. M. I. Il reste bien entendu, je vous le répète, que vous pourrez faire à la lettre de l'Empereur tous les changemens que vous jugerez convenables. Il n'y aura d'autre inconvénient que le retard.
C'est aussi entendu avec le Ministre qu'en remettant la lettre officielle à l'Empereur, je lui demanderai la copie du traité et du protocole séparé, où toutes les questions seront réglées, et je vous l'apporterai à Turin.
L'Impératrice travaille toujours contre nous. Malgré cela, M. Thouvenel est content, car il voit que la décision de l'Empereur est bien solidement arretée.
Conneau en juge de méme. Le docteur a mis sous les yeux de S. M. l'originai de la lettre du Père Passaglia que je vous renvoie ci-incluse.
L'Empereur vous fait dire que l'essentiel pour lui c'est de se mettre d'accord avec le Gouvernement du Roi pour trouver deux ou trois Cardinaux sur lesquels on puisse faire tomber l'élection du successeur de Pie IX. J'ai fait dire à S. M. que pour arriver à ce résultat, il fallait prendre des renseignemens de différentes sources et que V. E. y travaillait en ce moment.
Les Chambres françaises seront encore prorogées de 15 jours, ce qui nous portera au 20 juin. Ce retard très facheux est du au Ministre des finances qu'i a soumis aujourd'hui seulement son rapport sur le budget à la Commission. Il ne faut donc s'attendre à étre reconnus avant les premiers jours de juillet.
Je donne tous ces détails à V. E. pour qu'Elle puisse prendre ses mesures vis-à-vis du Roi et du Parlament.
Je sors de chez le Prince Napoléon. Son élection à Gran Orient de la Maçonnerie a eu lieu hier. Il est trés content de cette nomination quoique l'Empereur lui ait dit hier méme qu'il voulait que ni lui, n'i le Prince Murat, acceptassent. Le Prince Napoléon doit ce triomphe à son discours au Sénat et Murat doit sa défaite à son vote contre l'unité italienne et à la suppression d'un journal appartenant à la Maçonnerie.
Le Due de Gramont écrit aujourd'hui pour demander des explications sur ce qui est dit dans le Journal de Rome, de l'ordre donné à St. Martino de révoquer tous les Evéques qui seraient opposés au Gouvernement. Ceci ne mérite pas méme réponse. Le Due quittera Rome dans quelques jours.
L'Empereur a dit au Comte de Nieuwerkerke, qui est allé à Rome pour prendre possession du Musée Campana, de lui rendre compte de l'état des esprits dans la ville sainte.
En revenant de Rome, Nieuwerkerke passera par Turin et viendra vous voir. Il est tout à fait de nos am'is; je le recommande, ainsi que M. Giraud qui l'accompagne, à la bonté de V. E.
Armillet est tout chargé d'reufs de perdrix pour le Roi que je vous prie de lui envoyer de suite. Ci-joint des lettres pour Artom, Minghetti et Castelli.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 462)
T. 495. Parigi, 24 maggio 1861, ore 14.35 (per. ore 15,55).
Thouvenel demande des explications sur le décret du 5 mai donnant au Roi la faculté de révoquer et nommer les evéques; ça a fait un effet désastreux; L'Empereur lui méme demande si c'est là l'acheminement à la liberté de l'Eglise promise par vous. Père Marie en était ce matin exaspéré; dans ce moment ce décret pourrait avoir des conséquences fatales pour l'arrangement qu'on est en voie de préparer. Répondez par télégraphe. Armillet est parti hier au soir.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 463)
T. 331. Torino, 24 maggio 1861.
Nous n'avons jamais songé à modifier l'état de choses qui existait à Naples par rapport aux Eveques. Le décret du 5 ne parle nullement de la révocation des Eveques; il établit que les droits réservés au Gouvernement par les concordats avec Rome seraient exercés par le Roi et non par son Lieutenant. A Paris on s'est complétement mépris sur la portée de ce décret, qui, je le répète, ne diminue en rien les droits de Rome vis-à-vis des Eveques.
IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 467)
T. 505. Roma, 26 maggio 1861 (per. il 29).
(Annesso al D. 1137).
On copie maintenant chez moi pour plus de siì.reté les deux adresses (l) couvertes déjà de 10 mille signatures qu'on espère pouvoir expédier mercredi prochain. Le Prince de Piombino qui les a signées a été appellé par le Pape et il y ira aujourd'hui. La police n'a rien découvert et sur dix mille signatures, la plus part du peuple, pas un seui traitre, malgré la forte somme promise. Le Gouvernement en est indigné.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 471)
L. P. Torino, 27 maggio 1861
Je vous envoie par le courrier la lettre du Roi à l'Empereur. S. M. a cru convenable de l'écrire toute de sa main, ce qui est une attention dont on doit lui savoir gré.
Je vous envoie également la lettre de l'Empereur. Le Roi propose deux légères modifications; la première consiste à substituer aux paroles sans garantie sincère celles-ci: sans rien stipuler en faveur du Saint Siège. Si l'Empereur voyait quelque inconvénient à cette substitution, vous vous borneriez à insister pour la suppression de l'adjectif sincère ou la substitution par celui de sérieuse.
La seconde substitution consiste uniquement dans le changement du temps
d'un verbe. Au lieu de Je puis avoir, l'Empereur écrirait j'ai pu avoir. Cette
substitution n'altère nullement le sens de la phrase, puisque quelques lignes plus
bas l'Empereur dit j'ai cru et non je crois.
Ces deux modifications n'auraient pas de valeur, si la lettre de l'Empereur
n'était pas destinée à etre commentée en Italie par tous les partis, et si chacune
des paroles qu'elle contiendra ne devait etre pesée par nos ennemis pour en tirer
des conséquences malveillantes.
Je crois utile d'obtenir de l'Empereur un engagement formel. Mais une fois l'engagement pris, je pense qu'il n'est pas nécessaire de hater la conclusion du traité, si on ne peut pas le publier de suite. Ainsi lorsque le projet relatif vous sera remis, prenez vos mesures pour pouvoir demeurer à Turin aussi longtemps que cela sera nécessaire. Il sera bon qu'à cette occasion vous alliez faire une course à Milan.
Vous ferez b'ien de ramener Pantaleoni, qui, tout en disant de très bonnes choses à Thouvenel, se laisse emporter par son imagination à vouloir déjà déterminer la part que l'Italie aura dans les dépouilles de l'Orient.
Dites à Thouvenel que je vais écrire à St. Martin pour qu'on use aux deux français arrétés à Naples toute l'indulgence possible. Mais priez-le de vouloir bien prendre en considération la position difficile, qui nous est faite vis-à-vis du pays par la conduite imprudente de plusieurs agents français et par l'imprudence des français envers lesquels on se montre généreux par suite des instances du Gouvernement de l'Empereur.
Il est notoire à Naples que toute la correspondance bourbonienne passe par les mains de M. Aimé d'Aquin et que jusqu'à ces derniers temps Gramont et surtout M. Mangin préfet de Police à Rome favorisent tous les projets réactionnaires.
Mais ce qui a produit le plus facheux effet, c'est la publication que vient de faire M. le Vicomte de Noé, un des quatre français arretés à Messine et que nous avons mis en fiberté pour faire plaisir à M. Thouvenel. Il est impossible de pousser l'imprudence plus loin et de compromettre plus sottement le Consul de France qu'il rend en quelque façon son compfice.
En présPnce de tels faits, le Gouvernement est forcé à des mesures de rigueur qui lui répugnent; mais qui enfin sont d'une absolue nécessité. Il ne peut permettre que l'idée se répande, que le Gouvernement Français entend assurer à ses sujets le droit de conspirer impunément.
J'espère que la mauvaise impression produite par le décret du 5 mai est effacée.
(l) Allude a due indirizzi dei romani per !"annessione di Roma all'Italia, l"uno a Vittorio Emanuele II, !"altro a Napoleone III, editi in C. BIANCHI, Storia diplomatica della questione romana, in c Nuova Antologia», vol. XVI (febbraio 1871), pp. 394-396.
VITTORIO EMANUELE II A NAPOLEONE III
(Ed. in Q. R., II, 472) Torino, 27 maggio 1861.
Quelque pénible que fut pour moi l'interruption diplomatique entre nos deux gouvernements, je n'ai pas cru devoir m'adresser plus tòt à V. M. pour la prier de reconnaitre le nouveau royaume d'Italie. Non que ma confiance dans l'amitié dont Elle m'a donné tant de preuves ainsi que dans ses sentiments bienveillants envers mon pays ait été ébranlée par ce qui s'est passé; mais parce que j'ai apprécié les graves et puissants motifs qui ont déterminé V. M. à protester en quelque sorte contre une politique qui s'éloignait de la ligne que V. M. jugeait plus conforme aux intérets de l'Italie et de l'Europe.
Lorsque le sentiment impérieux de mes devoirs vis-à-vis des populations qui ont placé en moi toute leur confiance m'a décidé, à mon très vif regret, à ne pas suivre les conseils de V. M., je ne me suis pas dissimulé que la conduite de mon Gouvernement étant peu conforme aux traditions diplomatiques, soulèverait bien des doutes et que l'on pourrait se méprendre sur les motifs qui l'avaient inspirée.
Sans me plaindre de la mesure que V. M. a jugé alors de devoir adopter, j'ai voulu laisser aux événements le souci de mettre en relief les véritables causes de ma conduite, en démontrant qu'elle a eu pour résultat d'éviter de grands malheurs à l'Italie, de grands dangers à l'Europe.
Cette démonstration, que V. M. me permette de le dire, me parait complète aujourd'hui.
Une grande transformation politique qu'une force irrésistible de sentiment national préparait depuis longtemps, s'est accomplie sans que les principes de l'ordre social aient été ébranlés. Les populations des différentes provinces de l'Italie, laissées libres de se prononcer sur leur sort, ont manifesté soit directement dans les comices populaires, soit par la voix unanime de leurs représentants, la ferme volonté de ne former qu'une seule nation. J'ai pu satisfaire ce vreu si légitime sans rencontrer nulle part d'opposition sérieuse. Mon Gouvernement soutenu par l'opinion publique, fort de l'appu'i du Parlement a pu rétablir (partout) l'ordre et la sécurité et apaiser peu à peu l'agitation et le trouble que les grandes catastrophes amènent nécessairement à leur suite. La réaction et la révolution, soit qu'Elles agissent séparément, soit qu'Elles réunissent leurs efforts, sont également impuissantes à mettre en danger l'ordre de choses que le suffrage universel a créé en Italie. Les nombreux soldats de l'ancienne armée Napolitaine débandés et en arme ont bien pu exciter ça et là dans l'Italie Méridionale des désordres et commettre des actes déplorables. Mais ne trouvant aucun appui dans les populations, ils ne sont parvenus nulle part à créer un centre de résistance de quelque importance. Il a toujours été facile à mes troupes, dont le nombre dans ces provinces ne s'élève pas au tiers de ce que le gouvernement qui a été renversé entretenait habituellement sous les armes, de les disperser. La garde nationale qui est encore loin d'étre organisée, leur a prété dans toutes les occasions un concours spontané et efficace; le plus souvent elle est parvenue seule à
rétablir l'ordre et à réprimer des mouvements qui on bien plus le caractère du
brigandage que de la guerre civile.
Quelque soit donc la manière d'apprécier les derniers événements, il est de
toute évidence qu'ils ont eu pour résultat de créer dans la péninsule un état de
choses offrant toutes les garanties nécessaires au maintien de l'ordre et de la
stabilité. Fondée sur des bases solides la Monarchie Italienne n'a rien à craindre
à l'intérieur et chaque jour elle est plus en mesure de faire face aux dangers qui
pourraient venir de l'Etranger.
Néanmoins un sentiment d'inquiétude et de regret existe dans le creur de
la nation. Il est dù à l'état de nos relations avec la France. Les Italiens ne
10 -Doct~menti diplomatici -Serie I -Vol. I
peuvent s'habituer à l'idée de ne pas considérer comme leur meilleur ami V. M. qui a eu une si grande part à leur régénération, à ne pas regarder les Français comme des frères avec lesquels ils sont appelés à concourir au développement des grands principes de la civilisation moderne. V. M. peut faire cesser cette pénible situation. C'est dans ce but que je viens faire appel encore une fois à la haute et généreuse bienveillance de V. M.
Qu'Elle me permette d'espérer qu'une divergence d'opinion sur des faits désormais accomplis et qu'on ne saurait détruire sans un bouleversement universel ne séparera pas plus longtemps deux gouvernements qui reposent également sur la base de la souveraineté nationale. V. M. acquerra par là un nouveau titre à mon impérissable reconnaissance et à celle de tous les Italiens.
PROGETTO DI RISPOSTA DI NAPOLEONE III A VITTORIO EMANUELE II
(Ed. in Q. R., II, 473)
Parigi, maggio 1861.
Je dois répondre en toute franchise à la lettre que V. M. a bien voulu m'écrire. Elle ne peut pas douter de mon sincère regret de m'etre vu contraint de rompre mes relations officielles avec Elle. Mais je devais d'un cOté dégager ma responsabilité d'une politique que je désapprouvais et de l'autre je prévoyais de grands malheurs pour V. M. et aux yeux de l'Europe un affaiblissement moral.nuisible à la cause pour laquelle nous avions combattu ensemble.
Quoi qu'il soit, je reconnais avec V. M. combien il est désirable que nos deux pays sortent de cette position anormale. Les intérets matériels en souffrent autant que les intérets politiques et il n'est pas logique qu'après tant de sacrifices pour l'indépendance de l'Italie la France ait l'air de se montrer indifférente à sa régénération.
Je désire donc autant que V. M. renouer nos rapports officiels, mais je ne puis lui dissimuler l'obstacle principal.
Un Gouvernement est toujours lié par ses antécédents comme par ses engagements. Voilà onze ans que je soutiens à Rome le pouvoir du St. Père. Malgré mon désir de ne pas occuper militairement une partie du sol italien, les circonstances ont toujours été telles qu'il m'a été impossible d'évacuer Rome. En le faisant sans garanties sincères, j'aurais manqué à la confiance que le chef de la religion avait mise dans la protection de la France. La position est toujours la meme. Il ne m'est donc pas possible, je le déclare franchement à
V. M., de reconnaitre le nouveau Royaume d'Italie, tant que V. M. ne sera pas réconciliée avec le Pape, ou que le St. Père sera menacé de voir les Etats qui lui restent envahis par une force régulière ou irrégulière.
Dan cette circonstance, que V. M. en soit bien persuadée, je suis mù uniquement par le sentiment du devoir. Je puis avoir des opinions opposées à celles de V. M., croire que les tranformations politiques sont l'reuvre du temps, et qu'une aggrégation complète ne peut etre durable qu'autant qu'elle aura été longuement préparée par l'assimilation des intérets, des idées et des coutumes; en un mot je pense que l'Unité aurait du suivre et non précéder l'Union. Mais cette conviction n'influe en rien sur ma conduite. Les italiens doivent etre les meilleurs juges de ce qui leur convient, et ce n'est pas à moi issu de l'élection populaire de prétendre peser sur les décis'ions d'un peuple libre.
Je prie donc V. M. de faire tout ses efforts pour lever les obstacles qui s'opposent à notre complet accord afin que rien ne sépare plus deux gouvernements qui reposent sur la souveraineté nationale.
IL GENERALE KLAPKA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(A R B, cass. U", n. 13, co.)
L. P. Parigi, 27 maggio 1861.
J'ai trouvé à mon arrivée ici les personnes dont je vous avait parlé avant mon départ. Une d'elles est membre à la Diète et un des homm~s les plus influents et les plus enérgiques du parti. Ils m'ont fait l'exposé exacte de létat des choses en Hongrie. La perte que nous avons faite en la personne du comte Teleki a causé, dans le parti, un vide, qui jusqu'à présent n'a pas encore été comblé. La confiance absolue dont jouissait Teleki auprès de la nation s'explique tant parceque l'on savait que jamais il ne transigerait sur aucun de ses principes, tant en ne poussant pas les choses à l'excès, enfin, tout le monde savait qu'il faisait partie, et qu'il représentait le Comité. Notre parti (celui de l'independance absolue) a donc subì une perte, mais il n'en existe pas moins et forme toujours encore la majorité dans la Diète et l'immense majorité dans le pays.
Quant à M. Déak, il est entouré du respect et de la sympathie générale du pays. Hors de la petite différence soulevée par la question de « l'adresse ou de la resolution », son programme se trouve accepté par tout le monde. On l'accepte comme un des moyens de gagner du temps et de prévenir un conflit prématuré. On restera donc sur le terrain légal, mais M. Déak lui-meme ne se fait pas d'illusion, et dans sa pensée il n'admet qu'une grande crise qui puisse sauver la Hongrie. Jusqu'à ce que ce moment soit arrivé Déak reste le chef des partis réunis, combattant toujours la loi à la main; une fois cette lutte légale close, il fera place aux autres.
Voici maintenant les conseils que j'ai cru devoir faire parvenir à nos amis à la Diète et dans le pays, qui dirigent le mouvement. l) Soutenir Déak et son programme aussi longtemps qu'il n'y aura pas question de transaction. 2) Si Déak voulait transiger, se séparer immediatement de lui, et s'opposer à toute idée de transaction qui empièterait sur la constitution de 1848. 3) Hflter l'arrangement définitif de nos rapports avec la Croatie, en sacrifiant meme, s'il le fallait, des droits incontestables, comme celui sur le port de Fiume.
4) Organiser, autant que possible, militairement les districts limitrophes de la Moldavie et de la Servie et y faire importer les armes deposées déjà, ou qui seront ultérieurement deposées dans ces pays.
5) Soutenir et developper l'organisation déjà existante des débris de l'ancienne armée hongroise, par la formation des com'ités, ecc., ecc.; sous le but ostensible d'association de secours mutuels.
6) Continuer l'entretien des rapports avec les régiments hongrois.
Ce mode de procéder permettra au pays d'attendre s'il faut meme, jusqu'au printemps prochain laissant aussi à l'Italie, le temps qu'elle réclame pour achever et compléter son organisation. Mais pour l'éventualité ou l'Autriche forcerait la Hongrie de quitter le terrain légal et de sortir de la résistance passive, fort des promesses que vous savez, je les ai assurés de la coopération active de toutes les forces de l'Italie.
J'ai vu le Prince Napoléon et le Comte Vimercati. Le premier, ennuyé par bien des choses, se prépare à faire un voyage de deux mois dans la Mediterranée. Le Comte m'a fait part des inquietudes qu'on nourr'it en haut lieu au sujet de la question d'Orient. Il est à désirer que la crise qui doit venir de ce cOté, ne nous surprenne pas trop tòt.
Je vous prie, Monsieur le Comte, de ne pas oublier M. Cerutti et ce qui se rattache à sa mission.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
R. 329. Berlino, 27 maggio 1861.
M. le Baron de Schleinitz a dit à un de mes collègues qu'on lui faisait savoir de Turin que la Prusse devrait se presser de reconnaitre le Royaume d'Italie, si elle ne voulait pas se voir bientOt précédée par la France et la Russie. Il paraissait à S. E. que nous nous illusionnions en ce qui concerne au moins la Russie, et que quant à la Prusse rien n'était survenu qui put modifier son attitude expectante.
En effet, ainsi que j'ai pu m'en assurer hier dans un entretien avec le Ministre des Affaires Etrangères, ses dispositions n'ont point encore varié. Il veut temporiser, s'édifier sur la viabilité du nouvel Etat, laquelle serait contestée meme dans le monde impérialiste à Paris. D'ailleurs si l'opinion publique nous est favorable dans le Nord de l'Allemagne, elle ne l'est pas au meme degré dans le Midi; or la Prusse tient à ménager dans une certaine mesure des Gouvernements et des pays qui ne penchent déjà que trop vers l'Autriche. Cependant il est parfaitement exact-comme V. E. l'a declaré dans son éloquente réponse à l'interpellation de M. Tecchio, séanC€ du 21 mai-que les idées libérales gagnent du terrain dans les pays, et que nous pouvons en attendre les meillcurs résultats.
Sans faire de démarches directes pour éperonner le Cabinet de Berlin, je ne néglige aucune occasion pour rappeler adroitement les motifs qui devraient l'induire à nous accorder sa reconnaissance, et pour combattre les arguments par lesquels nos adversaires travaillent à le maintenir dans des hésitations qui sont du reste inhérentes à la politique prussienne.
Le Baron de Schleinitz m'a interrogé sur des négociations qui auraient eu lieu récemment entre Turin et Paris au sujet des affaires de Rome. N'ayant aucune instruction, sur ce point, je me suis borné à répondre par quelques observations générales. A cette occasion ce Ministre a démenti la nouvelle publiée dans les journaux, que la Prusse aurait donné son assentiment à certain projet d'occupation mixte du territoire romain par des troupes espagnoles, portugaises et bavaroises. Aucune démarche dans ce sens n'à été faite à Berlin.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 475)
T. 503. Paris, 28 maggio 1861, ore 16,10 (per. ore 17,45).
Thouvenel vous fait dire que l'Empereur est toujours bien ferme dans sa bonne disposition à notre égard. Il vous prie de mettre à la lettre du Roi la date de ju'in, laissant en blanc le jour que nous ajouterons ici; c'est désir de l'Empereur en outre de saisir le moment le plus opportun et ne laisser qu'un jour entre la réception de la lettre et sa réponse. Vous accompagnerez l'autographe du Roi par une lettre que vous m'adresserez officiellement disant que le Roi me charge comme officier de S. M. de remettre sa lettre à l'Empereur S. M. I. me donnera probablement sa réponse à porter au Roi avec le modèle du traité. Tout le reste suivra selon les dispositions données par vous qui ont été agrées par l'Empereur. Vous pouvez donc retarder l'envoi de la lettre du Roi jusqu'au premier juin.
S. M. m'a fait dire par Thouvenel qu'a son grand regret l'organisation de notre armée n'avance pas comme on dit; vous ferez bien de me faire écrire par Fanti ou du moins par Cugia une lettre que je puisse soummettre à l'Empereur disant ce qu'i s'est fait. L'insistance de l'Empereur et de Thouvenel à ce sujet mérite d'etre remarquée.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 479)
T. 337. Torino, 29 maggio 1861.
Le Roi vous autorise à apposer à sa lettre la date du premier juin. Je vous écrirai ce soir ou demain la lettre ostensible.
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 478)
T. 506. Parigi, 29 maggio 1861, ore 16,40 (per. ore 19).
L'Autriche et l'Espagne ont présenté hier une note collective protestant contre les principes de vos discours et la déclaration de Rome comme capitale du Royaume d'Italie. Elles déclarent que le règlement de la question Romaine ne peut se faire qu'avec leur intervention comme puissances catholiques. Thouvenel a répondu pour le moment à Mon et enverra ensuite la meme réponse à Metternich, demandant d'abord ce que les deux puissances entendent pour concourir avec la France au règlement de la question Romaine et les prévenant que la France n'entend nullement qu'on discute les faits accomplis; ensuite Thouvenel dit que le Gouvernement français reconnaissant le Royaume d'Italie prendra des garanties suffisantes pour assurer la continuation de sa sollicitude pour le Pape et si l'Espagne et l'Autriche veulent obtenir des assurances du Gouvernement du Roi elles n'ont qu'à suivre pour leur compte l'exemple de la France et prouver ainsi qu'elles n'ont en vue que l'intéret du Pape. L'Empereur a approuvé cette réponse et a poussé Thouvenel à l'envoyer au plus tòt possible officiellement. S. M. I. désire attendre à échanger les lettres que les Chambres touchent à leur fin, mais ses dispositions sont nullement changées.
IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE A LONDRA, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1329)
(Annesso cifrato a) R. s. n. Londra, 29 maggio 1861.
Lord Russell m'a dit que l'Ambassadeur Turc a été l'informer que son Gouvernement ayant consenti à l'union des Principautés Danubiennes durant la vie du Prince Couza, une conférence aurait à se réunir prochainement à Constantinople afin d'en régler les conditions. M. Mussurus lui demanda ce qu'on ferait pour la Sardaigne; Lord Russell lui répondit que le Roi d'Italie deva'it certainement y etre représenté et lui demanda à son tour s'il pensait que l'Italie devait s'appeler Sardaigne. L'Ambassadeur répondit qu'il croyait son Gouvernement plutòt disposé à admettre le représentant de l'Italie, mais il ignorait comment l'Autriche et la Russie envisageaient la question. Lord Russell ajouta qu'on pourrait peut-etre admettre le représentant italien comme plénipotentiaire du Roi Victor Emmanuel II.
IL SEGRETARIO GENERALE DEGLI ESTERI, CARUTTI, AL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 30 maggio 1861.
D'après les informations que vous m'avez fournies sur le malveillant procédé que viennent d'user envers vous les Ministres de la Bavière, du Wiirttemberg et du Mecklembourg en cette résidance, le Gouvernement du Roi s'est vu dans la nécessité de protéster contre une pareille conduite en retirant l'exequatur aux Agents Consulaires de ces puissances en Italie.
Je m'empresse. de vous transmettre ci-joint, pour votre information, copie de la dépeche que j'ai adressée à ce sujet à S. E. le Comte Brassier de S. Simon, qui est éventuellement chargé ici de la protection officieuse des sujets des puissances formant partie de la Confédération Germanique et qui n'ont pas de représentant.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(A R B, cass. U", n. 15)
L. p. 53. Parigi, 1 giugno 1861.
Je regrette de devoir faire partir Collino sans pouvoir vous envoyer la lettre de l'Empereur. L'échange des deux missives ne pourra avoir lieu que dans quelques jours, l'Empereur ne voulant pas laisser passer trop de tems entre l'échange, la conclusion du traité et la reconnaissance. J'espère que ce retard, qui n'en est pas un pour le fait, ne vous inquiétera nullement.
S. M. a renouvelé à la presse l'ordre de préparer les esprits à la reconnaissance du Royaume d'Italie.
M. Thouvenel, dans sa note en réponse à celle de l'Espagne et de l'Autriche, dont je vous ai parlé dans mon téle~ramme du 29 dernier, après avoir demandé aux deux Puissances quelle étendue elles entendaient donner à leur prétention d'intervenir dans le règlement de la question de Rome comme puissances catholiques, ajoute que la France, étant disposée à reconnaitre les faits accomplis en Italie, prend pour son compte des arrangements avec le Gouvernement du Roi de façon à prouver encore une fois à la Cour de Rome sa plus vive sollecitude à son égard.
Par une phrase, que je ne saurais vous répéter car M. Thouvenel m'a donné lecture lui-meme en courant de cette note, le Ministre conseille les deux Puissances à suivre l'exemple de la France et à prouver, par la reconnaissance du Royaume d'Italie, que leur sollicitude à l'égard du Souverain Pontife n'a aucune arrière pensée. M. Thouvenel est très content de son ceuvre et l'idée de mettre les Cabinets de Vienne et de Madrid dans l'embarras a beaucoup souri à l'Empereur.
M. de Gramont écrit nouvellement qu'il se tient plus loin que jamais de tout ce qui entoure François II. « Rien, dit-il, n'excite plus le dégout que de voir les memes hommes qui ont perdu la dynastie de Naples, travailler à la rendre à tout jamais impossible »·
L'Empereur est parti hier pour Fontainebleau. J'avais bien recommandé à la Princesse Mathilde de dire à l'Empereur qu'elle était bien pressée de voir la maison qu'elle vient d'acheter au lac Majeur, mais que jamais elle n'aurait consenti à s'y rendre avant la reprise des relations officielles.
L'Empereur lui a répondu que « dans la premiére dizaine de juillet tout sera fini». La Princesse lui dit alors qu'elle comptait se rendre meme à Naples. « Vous pourrez aller où vous voudrez, a repliqué l'Empereur, bien entendu excepte Rome et Venise ».
Le Prince Napoléon part demain pour l'Algérie. Il a quitté l'Empereur assez de mauvaise humeur. L'affaire d'Aumale, dont il n'a pas su profiter pour se réhabiliter; ses disputes avec le Prince Murat et tous les cancans pour la Grande Maitrise de la Maçonnerie, ont beaucoup indisposé S. M. qui est travaillé par l'Impératrice qui abhorre le Prince Napoléon plus que tous les autre membres de la famille Impériale.
Je regrette d'un còté le départ du Prince, mais je vois, de l'autre, qu'il est de son intéret de s'absenter pour quelque tems.
Dumas est ici. Il a été chez le Prince Napoléon et la Princesse Mathilde. Il est dans la débine et s'est recommandé à L.L. A.A. pour que le Gouvernement du Roi le charge d'écrire l'histoire des Bourbons de Naples. L'Empereur est assez disposé à l'aider indirectement, mais Dumas voudrait que notre Gouvernement l'aide financiairement dans son entreprise; il demande pour cela 25.000 fr. Le Prince Napoléon lui donne une lettre pour S. Martino; je lui en dannerai une moi aussi, mais, bien entendu, je ne lui parlerai pas de sa demande. C'est à V. E. de voir si une histoire, écrite dans ce moment, avec la verve de Dumas, et qui serait lue par toute la France ne vaut pas l'argent qu'il demande. Pour mon compte, je pense que ce serait une chose utile. Avec ça, il est bien entendu, Monsieur le Comte, que ce n'est pas une recommandation que je vous fais. Je crois seulement de mon devoir de vous signaler la demande et l'importance que j'y trouve peut-etre à tort.
M. Nigra pourra du reste vous renseigner là-dessus puisque il en sait bien plus loin que moi.
L'Impératrice, au grand désespoir de M. de Kisseleff, est toute sympathie pour la Pologne. En révanche elle devient chaque jour plus mal disposée pour nous. S. M. donne de l'importance et une certaine force fictive à cette ignoble aristocratie napolitaine qui est ici, et qui, après avoir laisser [sicJ tomber son pays dans l'abrutissement et expulser son Roi, s'est fait couvrir de décorations par celui dont elle n'a pas eu le courage de défendre le tròne et ne sait que le rendre le complice du brigandage et de l'assassinat. Je m'aperçois que mes phrases sentent un peu le Dumas. J'espère cependant que vous ne m'en attribuérez pas les opinions.
Clary, celui qui a fait la campagne de 1859 avec l'Empereur en uniforme de garde national et ami de Murat, a été à Naples. C'est une espèce d'imbécile bien connu comme tel. Malgré cela son jugement sur l'Italie méridionale est
pris au sérieux aux Tuileries et a eu assez d'infl.uence pour que l'Empereur chargeat Conneau de me dire que nous n'organisons rien et que notre Gouvernement n'à ni force ni énergie.
C'est désolant de se voir à la merci de pareils imbéciles. La Cour de l'Empereur ne saurait étre plus mauvaise pour nous. Et, à présent, voilà l'Empereur à Fontainebleau, entièrement livré à ses manceuvres. Il n'y aura point de grande récéption. Il n'y aura d'invité que la petite còterie de l'Impératrice pour continuer le roman de la Croix de Bernis dont je vous ai déjà parlé. Parole d'honneur, on se croirait au Trianon! Heureusement Napoléon III n'est pas Louis XVI. Il marche avec la révolution qu'il domine en temporisant, mais il a le défaut de négliger les détails, et de ne pas assez préparer le terrein aux événements.
Je suivrais les ordres de V. E. relativement aux carabines, mais je n'ai pu, jusqu'à présent, mettre la main sur le Colone! Filippi qu'il faut nécessairement que je voie avant de faire parvenir la demande à l'Empereur.
Vous trouverez ci-jointe une lettre de Klapka. Décidément je l'ai trouvé bien mieux que Kossuth. Moins poétique, il juge sans passion et ne passe pas, sans raison, de l'exaltation à l'abattement.
Quand Kossuth a été ici, à l'entendre, tout était perdu pour la Hongrie, et il n'y avait méme plus de Hongrie.
M. Thouvenel vous prie d'écrire à S. Martino d'avoir beaucoup d'égards pour M. Soulange Baudin, Consul de France à Naples, et de tàcher de s'en faire un ami. Le Ministre dit que c'est un très brave homme dont les rapports sur notre compte nous sont favorables.
Ecrivez aussi, je vous en prie, à S. Martino de faire surveiller M. Dojon, correspondant d'Havas. C'est de lui que viennent toutes les mauvaises relations que colportent tous les journaux. Je compte en parler à M. Havas pour qu'il se dépétre de cet animai; je ferai faire cette démarche par Benedetti qui est très lié avec lui.
M'étant plaint auprès du Ministre des Affaires Etrangères de la conduite d'Aimé d'Aquin, M. Thouvenel m'a dit qu'il ne pouvait y croire à moins d'en avoir des preuves incontestables.
M. Pantaleoni a fini son travail. Le Docteur a été par écrit ce qu'il est en paroles, c'est à dire trop long et un peu spécieux. Cependant on peut dire que son travail est bon et qu'il sera utile pourvu qu'il soit vrai, ce dont je ne puis juger.
Grace à sa manie de recueillir des renseignemens, M. Pantaleoni m'a pourtant fait ici deux ou trois brioches, toujours dans la meilleure intention. Entr'autres il a été chez l'abbé Déguerry, Curé de la Madeleine, nommé tout recemment Evéque de Marseille et il lui a tenu un language qu'il aurait été mieux de ne pas tenir et qui, certes, sera connu à Rome à l'heure qu'il est.
Le Père Marie est entré tout à fait dans l'ésprit de M. Thouvenel. Le
Maréchal Mac-Mahon lui avait promis de la faire recevoir par l'Empereur, mais
puis S. M. est partie sans le voir.
Je tacherai de faire réparer ceci par Conneau, mais j'aurais préféré que l'entrevue eiìt eu lieu par l'entremise du Due de Magenta par la raison qu'un tel intermédiaire aurait donné à la visite un tout autre caractère.
3 heures.
Le Prince Napoléon m'a encore fait chercher pour me faire voir une lettre
très affectueuse que l'Empereur lui a écrite dans laquelle S. M. dit qu'il ne
veut pas que son cousin parte sans etre sur que ses sentimens à son égard
sont toujours les memes et qu'il a pour lui la plus vive et sincère affection.
Le Prince m'a encore parlé de Dumas me chargeant de vous prier de
tacher de lui venir en aide pour lui faire écrire l'histoire projétée. Dumas
se borne maintenant à 20.000 fr., dont 4.000 d'abord et le reste à chaque
volume qui paraìtra. Ce serait un pamphlet plus qu'une histoire, mais un
pamphlet qui serait lu par toute la France et qui ne manquerait pas d'y
produire un certain effet.
Le Prince, lui meme, est disposé à lui donner 6.000 fr. Mocquart s'est
chargé de lui faire donner quelque chose par l'Empereur. On tache de lui
concéder un théatre ki pour le tirer de la misère; mais ce projet ne peut s'ef
fectuer que dans un an. En attendant, Dumas retourne à Naples; le journal
qu'il y écrit cessera de paraìtre. S. Martino pourra tirer de lui le parti qu'il
voudra en y mettant cependant quelque ménagement.
Ce matin il est arrivé une nouvelle lettre de Lavalette. Elle dit que la
question de Syrie est arrangée, mais elle porte des nouvelles les plus alarmantes
sur la question orientale en général. Suivant ce diplomate la Turquie ne peut
arriver au printems '62.
M. Thouvenel vous fait dire qu'il est impossible de modifier la phrase sans garanties sincères. On remplacerait simplement la parole sincères par la parole serieuses comme le porte votre seconde proposition. Toutes les autres modifications sont adoptées.
Je prie V. E. de me rappeler au bon souvenir de M. Nigra et de me mettre entièrement à sa disposition pour tout ce qui pourra lui etre agréable à Paris. Je joins des lettres pour le Roi, pour Minghetti et pour Castelli, et une de Pantaleoni pour V. E.
J'ai envoyé ce matin à M. Thouvenel un extrait du rapport que vous avez adressé à Pantaleoni. J'espère que votre santé sera tout à fait remise.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(Ed. in Q. R., II, 490)
T. 523. Parigi, 3 giugno 1861, ore 17,05 (per. ore 19,30).
L'Empereur m'a fait appeler et j'ai passé la journée d'hier à Fontainebleau; il s'est beaucoup intéressé à votre santé; il m'a longuement causé de toutes nos affaires et du moyen de procéder pour le retrait des troupes de Rome qui sera fait graduellement et dans un délai assez long; l'échange des lettres et du traìté auront lieu vers le 20. Le Prince de Capua qui depuis longtems
est à la charge de l'Empereur allait etre arreté pour dettes; S. M. l'a sauvé en lui donnant encore 30 mille francs. S. M. I. voudrait qu'on lui donne indemnité pour les biens privés qu'on lui a injustement confisqués; son mariage l'ayant mis mal avec toute sa famille il est dans une position exceptionnelle. S. M. m'a remis une espèce de note écrite par Mocquart et signée par le Prince que je vous enverrai par la première occasion. S. M. m'a autorisé à aller le voir au Chateau toutes les fois que je le juge convenable et me charge de vous dire de bien vous soigner et de prendre du repos. S. M. I. a dit: « Si le Comte de Cavour était obligé de quitter le Ministère meme pour cause de santé, je n'en ferais rien de la reconnaissance ~.
IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE A LONDRA, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR
(A R B, cass. U", n. 16)
R. s. n. Londra, 3 giugno 1861.
Dans le cours de la semaine j'ai eu l'honneur d'adresser à V. E. une pièce chiffrée pour lui soumettre quelques observations que Lord John Russell m'avait communiquées par suite d'un entretien qu'H avait eu avec l'Ambassadeur de Turquie au sujet du titre que notre Représentant assumerait dans la conférence à réunir pour régler les affaires des Principautés Danubiennes. S. S. n'est plus entré dans cette question lorsque je lui ai donné lecture de la dépeche de V. E. sur cette matière. J'ignore quelles sont les dispositions du Gouvernement du Sultan à l'égard de la reconnaissance du Royaume d'ltalie. Celles de l'Ambassade Turque à Londres ne sauraient etre meilleures. Lors de l'arrivée du Prince Butera à cette Légation, j'ai demandé d'une manière amicale à M. Mussurus s'il était disposé à recevoir des cartes de visite avec la qualité de Secretaire de Légation de S. M. le Roi d'ltalie. M. Mussurus me répondit que non seulement il recevrait et rendrait les ·cartes, mais que pour son compte il fasait les vreux les plus sincères pour l'unité italienne. M. Butera laissa en effet ses cartes officielles avec les miennes et l'Ambassadeur les rendit le lendemain avec sa qualité.
Je dois informer V. E. de la vive émotion qui a été causée à Londres par l'annonce de son indisposition. Beaucoup de monde est venu à la Légation s'enquérir de l'état de sa précieuse santé.
P. S. -Je viens de voir Lord John Russell pendant quelques instants car il était pressé de se rendre à la Chambre. Je lui ai communiqué le contenu des dépeches de V. E. du 29 et 31 mai. S. S. m'a dit qu'elle ne manquerait pas de conseiller au Gouvernement de Portugal de reconnaitre le Royaume d'Italie. Il a ajouté toutefo'is qu'il n'avait pas grande confiance dans le succès de ses démarches car toutes les fois que le Comte Lavradio l'avait entretenu de la question Italienne à propos du congrès, il lui avait dit qu'il fallait faire quelque chose pour le Pape. J'aurais soin d'insister auprès de S. S. à cet égard lorsque j'aurai l'occasion de le voir de nouveau.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 498)
T. 533. Parigi, 5 giugno 1861, ore 22 (per. ore 23,45).
Demain matin à 8 heures je vais à Fontainebleau; envoyez moi des nouvelles du Comte de Cavour avant mon départ.
IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI (Ed. in Q. R., II, 502)
T. 356. Torino, 6 giugno 1861:
Le Comte a expiré ce matin à 7 heures. Ses derniers moments ont été très calmes; il a parlé toujours avec une immense foi de l'avenir d'Italie. Le Roi est allé hier soir, il a été très cordial. Sous le rapport religieux tout était preparé d'avance et s'est passé très convenablement. Le deuil de la ville est immense. J'ai réuni le Conseil, je crois que nous indiquerons au Roi Ricasoli comme l'homme de la situation pour le Ministère. Rassurez la France et l'Europe que la politique de Cavour sera continuée, et que le Gouvernement ne transigera pas avec la révolution: voilà le but du moment.
IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI (Ed. in Q. R., II, 503)
T. 534. Parigi, 6 giugno 1861, ore 10,15 (per. ore 11,24).
J'ai jugé plus convenable de suspendre ma course à Fontainebleau jusqu'à ce que je connaisse les intentions du Roi. Je n'ai pas cru à propos de me montrer trop effrayé de l'Empereur. Approuvez-vous ma conduite? Cherchez un prétexte pour éloigner Pantaleoni car il me donne de l'embarras. Répondez par télégraphe.
IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI (Ed. in Q. R., II, 504)
T. 359. Torino, 6 giugno 1861.
Il est bien que vous allez à Fontainebleau. Dites à l'Empereur que, malgré le grand malheur qui vient de nous frapper, nous avons confiance dans l'avenir.
Le Roi est très bien disposé, il veut fermement la continuation de la politique du Comte de Cavour; il est résolu à ne pas transiger avec les partis extremes. Dites à l'Empereur que l'Italie toute entière fait appel plus que jamais à sa bienveillance et compte qu'il ne voudra pas abandonner l'reuvre qu'il a si généreusement initié.
IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 505)
T. 360. Torino, 6 giugno 1861.
J'approuve votre conduite. Le Roi a fait appeler Ricasoli. Le Ministère ne présentera pas ses démissions que lorsque le nouveau Cabinet sera constitué. Depuis deux jours j'ai la régence des Affaires Etrangères. Dites à Pantaleoni que sa présence nous serait très utile au Parlement et qu'il vienne le plus tOt possible.
IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI
(Ed. in Q. R., II, 506)
T. 537. Parigi, 6 giugno 1861, ore 16,25 (per. ore 18,45).
J'ai reçu votre dépeche chiffrée de ce matin. Thouvenel m'a donné rendez
vous pour demain matin à Fontainebleau. L'effet produit par la triste nouvelle
dépasse toute croyance. J'ai vu quelques Ministres et Benedetti qui sont cons
temés. Si vous avez quelque instruction à me donner pour mon entrevue de
demain envoyez-la cette nuit. Adressez vos dépeches toujours à Paris. Je tacherai
de rassurer l'Empereur et j'insisterai pour que rien ne soit changé à nos arrange
ments. Je vous informerai, en attendant j'ai bon espoir; il faut que notre courage
égale notre malheur.
Par suite d'une explication que j'ai eue avec Pantaleoni, il m'a promis de
ne plus faire des embarras.
IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI
(Ed. in Q. R., II, 509)
T. 541. Parigi, 7 giugno 1861, o1·e 18,40 (per. ore 21,50).
J'arrive de Fontainebleau; l'Empereur a été on ne peut plus bienveillant. Dites au Roi, qu'en face du grand malheur qui vient de frapper l'Italie S. M. I.
sent le besoin de resserrer les liens qui l'unissent au Roi et à la cause italienne. L'Empereur ne se cache pas les graves difficultés que le Roi rencontrera. J'ai témoigné à l'Empereur la plus vive reconnaissance au nom de S. M. et de l'Italie et soutenu par Thouvenel j'ai insisté pour qu'une démonstration fut faite qui coupe toute espérance à nos ennemis. L'Empereur a consenti a envoyer dès aujourd'hui à Vienne et à Madrid sa réponse dans laquelle est formellement annoncé sa ferme intention de reconnaitre le Royaume d'ltalie.
Rayneval sera remplacé par une personne qu'inspire grande confiance au Roi et au nouveau Ministère. S. M. I. approuve la nomination de Ricasoli. Il me charge de vous dire qu'il sait certainement que l'Angleterre a fait conseiller à François II de ne pas quitter Rome. L'Empereur a consenti en ma présence à tout changement proposé par le Comte de Cavour à sa lettre. Thouvenel regarde comme une grande victoire ce que nous avons obtenu, car le Prince de Metternich et tous nos ennemis travaillent pour passer quelque temps à Fontainebleau invités par l'Impératrice; mais c'est là méme que l'Ambassadeur d'Autriche recevra la réponse dont je parle plus haut. Ne craignez donc rien, l'Empereur sera inébranlable. Dites au Roi d'étre tranquille: l'alliance française est plus solide que jamais. Envoyez-moi une dépeche que je puisse faire voir demain à Thouvenel exprimant votre satisfaction. Vous recevrez officiellement des assurances du Gouvernement français que [sic] naturellement ne seront pas aussi explicites. L'Empereur désire que je fasse une course à Turin aussitòt le Ministère formé.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI
R. 332. Berlino, 7 giugno 1861.
Ne me fiant pas aux récits des journaux, j'avais prié M. le Chevalier Carutti de Cantogno de me renseigner, par le télégraphe, sur l'état de santé de M. le Comte de Cavour.
Je le remercie d'avoir déféré à mon désir. Les télégrammes que V. E. a bien voulu m'adresser de son còté laissaient pressentir la catastrophe qui plonge l'Italie dans la consternation. Notre diplomatie surtout doit porter le deuil, car sous la direction de M. le Comte de Cavour elle a joué un ròle dont elle doit etre fiére a juste titre.
Peut-étre serais-je trop partial si je voulais moi-méme faire les éloges de celui dont nous pleurons la perte. J e me bornerai a transmettre quelques uns de jugemens que j'ai recueilli ici.
Le Baron de Schleinitz en rendant justice aux talents hors ligne du Comte de Cavour, s'est plu à reconnaitre que sa présence aux affaires avait essentiellement contribué au maintien des bons rapports avec la Prusse. «Ses adversaires eux memes-ajoutait-il-sont forcés de convenir que sa disparition de la scène politique est un malheur des plus graves. C'est ainsi du moins que le M~nistre d'Autriche s'est prononcé quand je lui ai lu le télégramme de M. le Comte
Brassier de S. Simon. Je suis certain que le Roi, mon Auguste Souverain, sera
vivement affecté de la mort imprévue d'un personnage aussi marquant ».
Les Ministres de France et d'Angleterre m'ont à leur tour exprimé leurs
condoléances les mieux senties sur un événement aussi douloureux pour l'Italie
que pour l'Europe entière. Le nom de l'illustre défunt passera à la postérité la
plus reculée comme une gioire de notre siècle.
L'opinion publique est frappée de stupeur. Les fonds ont baissé. Je joins ici un article qui a paru ce matin dans le Publiciste. Chacun des journaux publiera également une nécrologie.
Plusieurs personnes en me faisant part de leurs regrets, manifestaient la crainte que désormais le Gouvernement de S. M. ne serait plus assez fort pour lutter contre le parti avancé qui avec un patriotisme aveugle voudrait nous lancer dans la voie des aventures. Je n'ai pas hésité à donner spontanément l'assurance la plus formelle que le Roi continuerait à etre maitre de la situation, et qu'il saurait, comme par le passé, s'entourer de Conseillers fermement résolus à sauvegarder les intérets de l'Italie, mais non moins décidés à conformer leur conduite aux exigences des grands intérets Européens. J'ai parlé dans le meme sens au Baron de Schleinitz.
En attendant de connaitre quel sera le nouveau Ministre des Affaires Etrangères, je me félicite d'etre sous les ordres d'un Ministère qui était initié aux hautes vues politiques de M. le Comte de Cavour.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI
R. 333. Berlino, 7 giugno 1861.
Je n'ai reçu que le 5 juin la dépéche (Cabinet) du 30 mai échu, sur le retrait de l'exequatur aux agents consulaires de Bavière, de Wiirttemberg et de Mecklembourg.
Le Baron de Schleinitz n'a pas hésité à me déclarer que les représentants de ces Puissances près la Diète German'ique avaient manqué de mesure vis-à-vis de notre Envoyé à Francfort. Au reste il semblait n'attacher aucune gravité à cet incident qui n'aurait, disait-il, d'autre conséquence que de charger la Légation et les Consulats de Prusse en Italie d'un surcroit de besogne. Il partageait du reste mon avis que les affaires ne marcheraient que mieux si on parvenait un jour à reunir en une seule main la protection des intérets allemands, vis-à-vis de l'étranger. Je lui ai fait observer, en souriant, que dans ce cas la Prusse devait nous savoir gré de la rapprocher d'un tel but.
Il est complètement inexact, malgré les assertions de l'Indépendance belge, que mes collègues de Bavière et de Wiirttemberg aient cherché à decider le Gouvernement Prussien à considérer ce retrait d'exéquatur comme une offense faite au nom allemand. Il se pourrait cependant qu'on méditàt quelque motion de ce genre à Francfort. J'aviserai à prévenir le coup. Lord Loftus me pretera son concours.
Du moment où les Envoyés des trois Cours allemandes précitées avaient refusé de recevoir des plis portant le cachet de la Légation de S. M. le Roi d'Italie, nous ne pouvions en effet rester sous le coup d'un procédé aussi blessant pour notre dignité. Je dois cependant noter ici que pour ce qui me concerne et précisement pour éviter de tels désagréments, je m'étais servi jusqu'ici d'un cachet à mes propres armes dans mes communications à des autorités avec les quelles nous ne nous sommes pas concertés préalablement, comme avec la Prusse, sur un modus vivendi. Je m'abstiens seulement d'employer l'ancienne dénomination de Sardaigne. C'est ainsi que j'ai agi vis-à-vis du Ministère Saxe, quand j'ai été chargé de régler l'extradition Voigt et Handwerk (dépeche de Turin n. 379). Néanmoins si V. E. est d'un avis contraire et qu'Elle pense que je doive suivre l'exemple de mon collègue de Francfort, je m'empresserai de m'y conformer.
VITTORIO EMANUELE II A NAPOLEONE III
(Ed. in Q. R., II, 510)
T. 365. Torino, 8 giugno 1861.
Je remercie V. M. de l'intéret qu'Elle prend au malheur qui vient de frapper mon pays et de la bienveillance avec laquelle Elle s'est exprimée à ce sujet avec Vimercati. Pour donner une preuve de mes sentiments vers le Comte de Cavour, j'ai ordonné que sa dépouille fut déposée à Superga où sont les tombeaux de ma famille (1). J'ai appelé le Baron Ricasoli a la Présidence du Conseil, qu'il a acceptée. Le Ministère actuel continue avec quelques modifications qui augmenteront sa force. V. M. I. peut etre sùre que Moi et mon Gouvernement nous saurons vaincre toutes les difficultés. Mais dans ce but je compte sur la constante bienveillance de
V. M. I. et sur son appui. La mort du Comte de Cavour me fait sentir encore plus vivement la nécessité de la prompte reconnaissance de mon Royaume de la pa>:t dE'
V. M. I. Ce serait un nouveau titre à la reconnaissance de l'Italie et à celle de Votre ami dévoué et fidèle allié.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI
R. 92. Londm, 8 giugno 1861.
J'ai l'honneur d'informer V. E. que je suis arrivé à Londres ce matin à
six heureus.
La mort du Comte de Cavour a pris tout le monde par surprise. Les bulle
tins attribuant quelque gravité à la maladie tardivement publiés par les journaux
ne faisaient nullement prévoir que cette catastrophe fut aussi imminente. Aussi,
en apprenant la fin de cette existence si essentielle dans l'état des choses en Europe, la stupeur a-t-elle été générale. Je devrais dire la douleur, car toute la nation parait avoir éprouvé ce sentiment. On m'assure que des placards hier dans la Cité invitaient tous les citoyens à témoigner par le deuil (to mourn) la tristesse produite dans la population. Les deux Chambres ont cru devoir marquer par une mention spéciale les sentiments que leur insp'irait le grande homme d'Etat. Le blàme dont n'a pas craint de le flétrir le Marquis de Bath, n'a servi qu'à produire l'effet contraire. Le Marquis est un jeune homme très borné et d'aucune espèce de portée politique.
A la Chambre des Communes un Irlandais s'étant permis des observations du meme genre, il souleva une réprobation telle qu'on l'empecha de prononcer un mot de plus. Un témoin oculaire m'assure avoir rarement assisté à une pareille scène. J'ai vu aujourd'hui Lord Palmerston, Lord John Russell et d'autres personnes de toutes classes de la société. Ce n'est point une métaphore ou une figure de rhétorique. Tout le monde m'a parlé avec une telle émotion de cet événe:ment que leurs yeux étaient remplis de larmes.
Lord John Russell m'a chargé de faire savoir spécialement au Gouvernement du Roi que Lord Clarendon avait regretté qu'une absence l'eiìt empeché d'exprimer son opinion en cette circostance. Meme Lord Malmesbury a voulu prononcer quelques mots pleins de sympathie. Par contre il n'y a eu qu'une seule voix pour condamner le système adopté par la faculté et qui a amené selon les Anglais, un résultat qu'il disent facile à prévoir et qui sera suivi d'éternels regrets.
Des marques aussi unanimes et aussi spontanées de sympathie de la part d'une nation comme l'Angleterre, seront une ligne glorieuse dans l'épitaphe du Comte de Cavour. Elles indiquent, en outre, par leur vivacité dans un pays supposé généralement froid et apathique, une force de sentiments qu'on aime à constater et dont l'importance n'échappera pas à V. E. Elles formeront certainement contraste avec la manière dont ce douloureux événement aura été apprécié en d'autres pays.
(l) Nel suo testamento il Cavour espresse in modo esplicito il desiderio di essere seppellito a Sàntena, e il Re, quindi, non potè dar corso alla sua decisione.
NAPOLEONE III A VITTORIO EMANUELE II (Ed. in Cavour-Nigra, IV, 1300)
T. 544. Fontainebleau, 9 giugno 1861, ore 14,05 (per. ore 15,30).
La mort de M. de Cavour est une grande perte que j'ai ressentie vivement. Je ferai mes efforts pour arriver au résultat que V. M. désire, mais il faut m'y aider. Je vous prie de toujours compter sur mon amitié.
IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI (Ed. in Q. R., II, 511)
T. 547. Parigi, 10 giugno 1861, ore 15,10 (per. ore 16,45).
Thouvenel, Persigny et Rouher ont tous écrit à l'Empereur pour l'engager à reconnaitre immédiatement le Royaume d'ltalie, en conservant la garnison
11 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I
française à Rome, jusqu'à ce que le Gouvernement du Roi puisse offrir des garanties d'arrangement et de sureté à la Religion et au Pape. Dans la note qu'on enverrait pour annoncer la reconnaissance, on répéterait quant à la Vénétie les memes protestations que l'Empereur a adressées à la Russie avant l'entrevue de Varsovie. Cet arrangement convient-il au Roi? Faut-il en pousser l'exécution? Donnez moi immédiatement des instructions. Aussitòt le Ministère composé, envoyez moi les noms.
IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 512)
D. s. n. Torino, l O giugno 1861.
J'ai envoyé votre dépeche au Roi. Mon opmwn est qu'il faut profiter du moment et accepter la combinaison proposée par Thouvenel, Persigny et Rouher. J e me réserve de vous dire l'opinion de Ricasoli.
Le Ministère est presque formé. Peruzzi, Bastogi et De Sanctis restent; Menabrea à la Marine, Miglietti Grace et justice, Scialoja Agricolture et commerce. Pour la guerre Della Rovere, mais on voudrait mettre Cugia ad interim pendant deux mois jusqu'à ce que Della Rovere ait complété l'organisation de la Sic'ile. Quant à moi j'hésite a garder l'Intérieur. Parfaitement d'accord avec Ricasoli sur la politique, il y a entre nous quelque différence sur l'organisation administrative. La publication du nouveau Ministère n'aura lieu que mercredi.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI (l)
(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 8-12)
R. CONFIDENZIALE S. n. Londra, 10 giugno 1861.
Dans les graves circonstances dans lesquelles nous nous trouvons soudainement placés, le Gouvernement du Roi tient, je pense, plus que jamais à etre exactement renseigné sur la manière dont l'Angleterre envisage quelques unes des questions qui préoccupent en ce moment les hommes politiques.
Revenu par conséquent immédiatement à mon poste, j'ai vu chaque jour depuis mon arrivée Lord Palmerston et une fois Lord J ohn Russell.
Leurs opinions, V. E. le devinera, je pense, facilement, sont que nous devons poursuivre une politique expectante et dilatoire, nous préoccupant plus de la consolidation de ce qui nous est échu en partage que poursuivant activement
la terminaison finale de la grande reuvre de l'unité, qu'ils envisagent pourtant comme la conséquence inévitable de cette meme politique de prudence et de sagesse qu'ils recommandent.
Lord Palmerston ne nous croit pas encore assez fortement organisés pour tenter les chances d'une guerre.
Il pense que l'Empereur Napoléon de son còté ne se sent pas encore tout à fait en mesure de se hasarder cette année encore une fois sur les champs de bataille. Il pense également que nous n'avons rien a craindre en fait d'attaques de la part de l'Autriche, trop affaiblie par ses divisions intérieures, pour songer à ajouter d'autres embarras. Il m'a dit avoir demandé au comte Apponyi avant-hier soir quel était son avis quant à ce qui se passa'it en Hongrie, et le Comte lui avait répondu que cela se passerait sous une forme de résistance passive, plutòt que d'amener une insurrection dans les rues. C'est peutetre là ce que craint davantage l'Autriche, car cette résistance la prive de la perception des impòts et c'est précisément en partie là-dessus que Lord Palmerston fonde son raisonnement sur ses intentions pacifiques à notre égard.
« Les rapports qui me parviennent sur la Vénétie -continua ce Ministre -sont des plus déplorables. L'un des rédacteurs du Morning Post qui en revient, dit que l'on ne peut comparer cet Etat qu'à l'Irlande après la famine. Mais cette province a l'air d'un camp retranché, les troupes s'y coudoient, les fortifications s'élèvent de tous còtés, et il est évident que si l'Autriche ne vous attaquera pas, elle n'en est pas moins résolue à la défensive ». Je dis à Lord Palmerston que je pensais justement interpréter les intentions du Gouvernement de S. M. en prévoyant que leur avis, quant à la conservation de la paix, serait d'accord avec celui de l'Angleterre. Quant à l'armée autrichienne, malgré cette accumulation de forces, elle me paraissait moins redoutable à cause du désaccord qui allait de pair avec celui des races dont elle se composait. Lord Palmerston dit que la discipline dans une armée pouvait beaucoup. Ce que je ne contestai nullement, ajoutant pourtant que si cette armée essayait une première défaite, cette discipline ne suffirait plus à empecher sa désorganisation totale. En quoi il fut de mon avis.
Ayant ainsi répondu au premier des deux points par lesquels j'avais commencé mon entretien, lui demandant ses prévisions sur les dangers qui pourraient nous menacer de la part de l'Autriche et de la France, Lord Palmerston me dit par rapport à la France qu'il était d'avis que l'Empereur n'assumerait pas une attitude hostile à l'Italie, malgré tous les conseils de son entourage qui nous était évidemment hostile, et malgré l'opinion que l'Empereur luimeme pourrait avoir conçue des dangers que ne manquerait pas d'entrainer pour la France la création du Royaume d'Italie.
Il est, je pense, inutile que je prie V. E. de ne jamais perdre de vue dans ses appréciations sur la politique de l'Angleterre et de la France relativement l'une à l'autre, que ces deux pays traversent en ce moment cette période intermédiaire qui est loin d'une alliance, sans etre encore entrée dans la ligne des hostilités. Cette définition est surtout applicable en ce moment; et je dois ajouter d'après les paroles de Lord Palmerston lui-meme, que nous pourrions nous trouver indirectement amenés à précipiter une terminaison hostile de la manière que voici.
Depuis longtemps, je pourrais presque dire, depuis un an, l'Angleterre reçoit de ses agens à l'étranger avis d'une active propagande exercée par la France dans l'ile de Sardaigne pour la détacher à son profit de l'union Italienne (1). Les Ministres Anglais m'ont souvent parlé de ce fait, alors que personne n'y songeait, et à plusieurs reprises ils ont appellé l'attention du Gouvernement du Roi sur cet agrandissement convoité par la France. J'ai cru de mon devoir parfois d'en faire mention dans ma correspondance avec cet illustre Ministre que l'Italie pleure en ce moment, et dans ma récente excursion en Piémont, dans la dernière conversation que j'ai eue avec lui, je suis revenu assez longuement sur ce point, lui rapportant meme ce que j'avais entendu de mes propres oreilles à Genes de la bouche de quelques Sardes que j'y avais rencontrés et qui s'accordait parfaitement avec les données qu'on avait ici.
On y parlait du mécontentement qui régnait dans l'Ile et était habilement exploité par des agents français, de tendances françaises qu'on y soulevait en comparant la situation de la Sardaigne avec celle de la Corse, on parlait meme d'autres démarches de M. Pietri entre la Corse et un comité établi à Portotorre.
Le comte Cavour déclara formellement que jamais il n'entendrait parler de pareils marchés et m'assura qu'il était question de publier quelques mots officiels dans la Gazette du Royaume. Quelques jours après il eut avec l'un des grands propriétaires de l'Ile (2) qui revenait de Cagl'iari (le jour meme où il se coucha hélas! pour ne plus se relever), une conversation qui roula principalement sur ce sujet important et dans laquelle il entendit la confirmation de la plupart des faits qui précèdent.
L'Angleterre est informée minutieusement de ces détails par ses agents consulaires, et comme j'avais l'honneur de le dire à V. E., on m'en parlait ici comme de chose positive alors que je croyais que ce n'étaient que les appréhensions d'une politique méticuleuse et pleine de préjugés contre la France.
Mais dans les conversations dont j'ai l'honneur de rendre compte à V. E., Lord Palmerston et moi revinmes sur ce sujet et il déclara très catégoriquement l'intention où était le Gouvernement Anglais d'empecher à tout prix une pareille augmentation du pouvoir maritime de la France dans la Méditerranée.
Il est meme digne de remarquer qu'en ne prenant purement que la ligne des intérets matériels, nous avons peut-etre moins d'utilité que l'Angleterre à empecher pareil transfert, vu que l'utilité problématique actuelle de la Sardaigne pourrait etre compensée par d'autres arrangements plus profitables, surtout si on y ajoutait un désir forme! des Sardes de se séparer de ndus.
' Mais il serait triste si la politique des Etats devait etre régie par de pareilles considérations. Lord Palmerston récapitulant les motifs qui ne pouvaient que nous convaincre de la nécessité de conserver l'ile, citait la dignité d'un grand état qui tend à repousser tout fractionnement qui de proche en proche établirait des précédents pour la Ligurie par exemple.
Il conseille vivement d'obtempérer aux légitimes demandes des Sardes, car les rapports consulaires établissent que réellement l'ile a été fort négligée depuis
longtemps. En rattachant l'ile par un bon service de bàteaux à Civita Vecchia, elle se trouvera réunie au continent et ralliée au système des ~roies ferrées. On augmentera la production en en favorisant l'écoulement, et se trouvant admis ainsi plus intimement dans la grande famille italienne par leurs intéréts ainsi que par leur langage et leurs tendances, la propagande française en perdra ses droits sur les Sardes.
Tels furent à peu près les raisonnements qui furent développés par Lord Palmerston d'une manière détaillée. Il ajouta avec beaucoup d'emphase qu'en tous cas il serait du devoir de l'Angleterre d'empécher toute cession de ce genre par tous les moyens en son pouvoir (1).
La seconde fois qu'il revint à la charge, je lui demandai s'il entendait par là que l'Angleterre ferait la guerre.
Lord Palmerston formula sa réponse à deux reprises différentes dans le cours de l'entretien, et cette réponse est en substance que la question d'un casus belli ne serait décidée qu'au moment où le cas se présenterait. Et en outre il ajouta qu'à coup sur cela mettrait, par le fait méme, fin à toute alliance avec la France en affectant de méme les rapports existants entre l'Angleterre et l'Italie.
J'ai cru essentiel de ne pas traiter à la légère ce point important parceque je suis convaincu que le Gouvernement du Roi, étant naturellement contraire à toute idée de cession ultérieure, la connaissance des opinions de l'Angleterre ne peut que donner plus de force à sa politique dans le cas où réellement la politique impériale pourrait vouloir se prévaloir des difficultés du moment pour poser des prétentions de ce genre.
Passant maintenant à un sujet différent qui a trait pourtant aux rapports de la France et de l'Angleterre au sujet de l'Italie, Lord John Russell m'a dit qu'ayant cru pouvoir conseiller à Paris, si réellement une occupation française était indispensable à Rome, qu'on la circonscrive à Rome seule et Civitavecchia; M. de Thouvenel avait pol'iment donné à entendre que l'Angleterre ferait bien de ne pas trop chercher à intervenir dans cette question catholique, la tendance en France étant évidemment de faire le contraire de ce qu'elle suggérerait.
Lord John ajoute en outre qu'à son grand étonnement il venait de recevoir de Constantinople par M. Musurus un télégramme fort effrayé ou l'on demandait ce que signifiait ce projet d'échange de la Vénétie contre l'Herzégovine espérant que l'Angleterre n'y preterait pas la main. Je répondis que c'était un bruit qui avait couru les journaux depuis plusieurs mois. Mais que rien à ma connaissance n'avait récemment donné une confirmation à ces rumeurs. Je me bornerai en terminant ce rapport à indiquer sommairement ce que les Ministres Anglais m'ont dit relativement aux autres questions de politique étrangère.
M. de Lavalette ayant voulu assumer un langage inconvenant dans la question de Syrie, les commissaires Anglais ont effectivement voulu le remettre à sa piace. Mais on s'attendait à un accord, grace à une proposi~ion, russe au fond, mais présentée par la Prusse, et à la quelle on était disposé ici à obtempérer.
C'était d'établir un chef chrétien unique pour les deux populations Druses et Maronites. Les Druses ayant été les agresseurs, L'Angleterre est disposée à admettre qu'ils doivent faire des concessions.
En outre elle se sent le pouvoir de les diriger gràce à l'ascendant que elle a su prendre sur eux. Seulement il est convenu que ce chef ne serait pas un Cleab.
A ma question s'il pensa'it que les désordres ne se renouvelleraient pas, Lord Palmerston a répondu qu'il ne le pensait pas. Que les Maronites ne se voyant plus soutenus par la présence des Français, se tiendraient tranquilles.
Les Druses seraient contenus par l'Angleterre qui leur a envoyé un agent à cet effet, un Anglais nommé Vood. En outre le troupes turques peuvent maintenir la tranquillité et sur mon hésitation à l'admettre, lord Palmerston me dit que les tures avaient en grande partie amenés les derniers désordres en tàchant pour contrecarrer les dispositions prises par les puissances en '40 ameuter les Druses et les Maronites pour se donner le droit de les remettre plus sous leur propre dépendance. Quant à l'objection que je lui opposais qu'étant mal payées ces troupes pilleraient Druses et Maronites, il affirma que les troupes recevaient habillement et nourriture mais pas de numéraire. Au reste la foi des hommes d'Etat d'ici dans la stabilité de la Turquie se maintient la meme.
On y est plus loin que jamais d'admettre le partage de l'Empire Ottoman et on n'y admettrait l'idée de l'occupation de la Syrie et de l'Egypte par l'Angleterre que pour empecher la France de mettre la main sur ce pays. Lord Palmerston s'est catégoriquement et une fois de plus expliqué dans ce sens sur cette question.
Dans les Principautés Danubiennes on semble croire ici qu'on ne réunira à ce sujet aucune commission ni a Constantinople ni à Paris. Mais qu'on échangera des Notes pour étabilir l'union des deux principautés sous le prince Couza, pendant sa vie.
Quant à l'Amérique, Lord Palmerston se déclara décidé à maintenir une stricte neutralité, malgré le langage agressif et emporté de M. Seward, qui dit qu'il eroit pouvoir à force de menaces et d'exagérations entrainer l'Angleterre à faire cause commune avec le Nord. Ce mème M. Seward se trouvant en Angleterre, il y a quelques années, disait à Lord Palmerston qu'étant dest'iné à devenir secrétaire d'Etat pour le prochain Gouvernement des Etat-Unis, il arrangerait les choses selon ses idées et annexerait le Canada.
Ces propos pleins de jactance firent hausser les épaules à Lord Palmerston et l'empèchèrent certes de donner la main à M. Seward.
J'ai demandé à Lord Palmerston, s'il ne craignait pas qu'on ne travaille à séparer le Canada de l'Angleterre. Il me répondit que cette Colonie était satisfaite du self-gouvernement qu'on lui laissait et avait fait preuve de ses sentiments au dernier voyage du Prince de Galles. Lord Palmerston ne semble au reste pas porté à donner beaucoup de regret à la séparation des Etats-Unis en deux parties et malgré les vanteries du Nord il croit la séparation devenue désormais inévitable.
Je profite aujourd'hui du Courrier Anglais pour trasmettre à V. E. ce rapport confidentiel, dans le quel j'ai tàché de réunir sans rétard les notions qui m'ont paru pouvoir l'intérésser.
(l) La lettera è indirizzata impersonalmente al Ministro degli Esteri che, il 10 giugno 1861, non era stato ancora nominato.
(l) -Jusqu'à ce que je serai au Ministère, ou à la Chambre, pas une parcelle de sol italien ne sera cédé [Notazione marginale Ricasoli]. (2) -Il marchese Salvatore Pes di Villamarina.(l) II n'en est pas besoin [Notazione margine Ricasoli].
IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI
CA C R, Carte Vimercati)
L. P. 54. Parigi, 10 giugno 1861.
Le coup terrible qui vient de nous frapper m'a tellement accablé qu'il a fallu toute la force du raisonnement et de la nécessité pour m'empècher de tomber dans l'abattement. J'ai fait appel à toutes mes forces pour conserver ma tète et tirer ici tout le parti possible de la génerosité et de la grandeur d'àme de l'Empereur.
Ma première pensée a été de me rendre immédiatement à Fontainebleau, mais reflexion faite, j'ai jugé plus convenable d'attendre pour connaitre les intentions du Roi et mème me faire appeler par l'Empereur. Effectivement le 6 au soir M. Benedetti me communique de la part de M. Thouvenel, qui était absent, le désir de S. M. de me voir avec lui à Fontainebleau. Je me rendis aux ordres et le lendemain 7 à 9 heures du matin nous rencontràmes l'Empereur, qui me prit à part, et commença par me témoigner le véritable chagrin que la mort du Comte de Cavour lui avait causé. Je saisis le moment pour lui dire que l'Italie et le Roi avaient plus que jamais besoin de son appui. Je lui témoignai la pleine confiance que nous avions en sa personne, surs qu'il n'aurait pas voulu faire tomber sur nous les tristes conséquences du grand malheur qu'i venait de nous frapper. Les paroles de l'Empereur furent réellement bonnes tellement affectueuses que j'ai pu à peine cacher l'émotion qu'elles avaient produite sur moi.
L'Empereur me dit, tranquillisez-vous, rien ne sera changé à mes projets et mème je sens la nécessité de vous donner un appui, si non plus efficace, au moins plus apparent. Alors je fis connaitre à l'Empereur l'intention du Roi de charger S. E. le Baron Ricasoli de la formation d'un nouveau Cabinet. L'Empereur approuva le choix et reconnu que ce personnage éta'it l'homme de la situation. Il semble cependant croire que le Baron Ricasoli étant le Président du Conseil aurait pris la direction des affaires intérieures, vu la fermeté de son caractère l'aurait mis plus que tout autre à mème de contenir les partis.
S. M. me demanda si je savais qui pourrait ètre appelé au Ministère de la guerre, je lui répondis que pour le moment je n'avais aucune idée. L'Empereur me demanda ensuite des details sur vos antécedents, que nul n'était plus que moi à mème de lui donner. S. M. me dit ensuite qu'il croyait qu'il fallait aussi, si non pour le moment, du moins dans un avenir rapproché, compter avec M. Rattazzi, et je dois dire qu'il parle de lui sans ressentiment et dans un sens plutot bienveillant. Toutes ses demandes furent faites par l'Empereur dans le but d'avoir des connaissances sur les personnages dont il m'a parlé. Il ajouta que son affection pour l'Italie n'allait pas certes à vouloir injluencer le Roi, dans le choix des hommes qu'il croyait utile d'appeler au pouvoir. Je crois devoir vous signaler cette dernière phrase car je ne voudrais pas qu'il entrat dans votre esprit la pensée que la douleur qui m'accablait, ait pu un seui instant me faire oublier aux yeux de l'Empereur la dignité du Roi et l'indépendance de notre pays. L'Empereur me congédia en me disant d'attendre qu'il m'aurait fait de nouveau appeler et que nous aurions causé avec M. Thouvenel.
Au bout d'une heure on me fit entrer dans le Cabinet de l'Empereur et là
S. M. me renouvela, en présence de M. Thouvenel, les memes demandes qu'il m'avait faites avant, en me répetant les memes assurances.
Ici M. Thouvenel fit sentir à l'Empereur la nécessité d'empecher promptement que les ennemis de l'ltalie puissent croire à un changement de la politique de la France. L'Empereur adhère à ce que la note en réponse à la note collective de l'Espagne et de l'Autriche, sur la question de Rome fiìt envoyée au plus tòt.
S. M. dit à M. Thouvenel de lui donner lecture de cette note dont je connaissa'is déjà le sens et j'ai pu m'aperçevoir que la phrase où l'on exprimait l'intention de reconnaitre le royaume d'ltalie, avait été remplacée par une autre bien plus accentuée et explicite.
L'Empereur m'a beaucoup parlé du Roi et de l'Italie du Midi, me demandant des détails sur M. de S. Martino. Il parla du Général la Rovere et M. Thouvenel dit qu'il voyait avec une très grande satisfaction qu'il réussissait parfaitement en Sicile.
Je me permets ici de vous faire observer, M. le Ministre, que c'est là un objet de l'attention speciale du Gouvernement français. M. Thouvenel personnellement tient à ce que ce pays soit bien gouverné et dirigé par un homme dont le Roi et l'Italie puissent etre parfaitement siìrs soit comme capacité, soit comme dévouement. Au moment où ces idées ont été exprimées je ne connaissais pas encore que le général de la Rovere fiìt en vue pour entrer au Ministère. Maintenant je crois que le sens des paroles prononcèes par M. Thouvenel en presence de l'Empereur, est, qu'on regretterait beaucoup ic'i qu'on fùt obligé de rappeler le Général de la Rovere de Sicile.
L'entretien fiìt très long. Je me borne pour le moment à vous donner par cette lettre les points saillants de cette conversation, et me réserve de vous en donner les détails interessants de vive voix à ma première entrevue avec vous; puisque je sais que l'Empereur aussi bien que M. Thouvenel désirent que j'aille faire une course à Turin à peine le Ministère sera constitué.
L'Empereur exprima a M. Thouvenel son intention que la note à l'Autriche et à l'Espagne fiìt envoyée le jour meme avec la date du jour de la mort de
M. de Cavour.
Sa Majesté fit servir au Ministre des Affaires Etrangères et à moi le déjeuné dans sa chambre, d'où il sortit à l'entrée de l'Impératrice qu'i resta, dit-elle, nous tenir compagnie.
Le respectueux attachement que je porte à l'Empereur m'empèche de vous signaler sa conversation. Qu'il suffise de vous dire, M. le Ministre, que M. Thou\tenel n'en revenait pas.
Dans le trajet de Fontainebleau à Paris, le Ministre et moi nous entràmes dans tous les détails sur ce qu'il y avait à faire. Il reconnut d'abord qu'il était
possible de laisser à Turin M. de Rayneval et me dit avoir expr'imé à l'Empereur son intention d'envoyer en mission temporaire jusqu'à la reconnaissance M. Benedetti qui est tout-à-fa'it dans nos idées. Je fis observer à M. Thouvenel que ce choix qui n'aurait pu etre meilleur pour nous, avait un inconvénient sérieux, auquel il fallait songer.
M. Benedetti a été celui qui signa à Turin la traité de Nice et de la Savoie. Son arrivée à Turin ne manquerait pas de donner de la consistance aux mensonges de Mazzini, sur la cession de la Sardaigne.
3 heures.
J'ai vu M. Thouvenel, qui a adressé un long mémoire à l'Empereur pour l'engager à reconnaitre immédiatement le royaume d'Italie. Le Ministre luimeme m'a lu ce mémoire fait par Benedetti dans un sens beaucoup plus énergique, que le ministre a cru devo'ir mitiger. Benedetti, qui tient à son reuvre, m'a lu à son tour l'originai qui servait beaucoup mieux nos intérets. A la suite
M. Thouvenel m'a lu le projet de note qu'on se proposerait d'envoyer à Turin pour motiver la reconnaissance. Il y est clairement exprimé que le gouvernement français reconnaissant l'Italie n'entend pas rétirer ses troupes de Rome et qu'elles y resteront jusqu'à ce que le gouvernement du Roi donnerait au Pape les garanties de sureté suffisantes, ou bien il se mettrait d'accord avec le S. Père lui meme pour un arrangement entr'eux. Quant à la Vénétie, on reproduirait les memes déclarations qui on été faites par l'Empereur avant l'entrevue de Varsovie. Vous trouverez ces déclarations dans le dernier recueil de documents diplomatiques publié par le gouvernement français. L'intention de M. Thouvenel à laisser ses troupes à Rome jusqu'à la mort du Pape que de nouvelles lettres de Rome assurent ne pas pouvoir vivre longtems. Ayant les troupes françaises sur le lieu on pourrait agir plus énergiquement sur le Conclave, car on pourrait leur dire, «si vous n'élisez pas un Pape qui nous convienne, l'armée française se retirera de suite ». Il va sans dire qu'on s'entendrait avec le gouvernement du Roi pour proposer la candidature d'un pontife favorable aux idées nouvelles.
J'attends la réponse au télégramme que je vous ai envoyé tout-à-l'heure pour savoir si cet arrangement serait accepté par le Roi, et par le Baron Ricasoli, qui avait déjà donné son appui au projet que j'ai porté à Turin. MM. Persigny et Rouher ont tous les deux appuyé par des lettres séparées à l'Empereur. Quant-à-moi je n'ose en faire parler à S. M. ignorant les intentions du gouvernement du Roi.
Le Ministre des Affaires Etrangères désire que je me rends à Turin aussitòt le nouveau Cabinet constitué. Cette course de quelques heures sera indispensable pour continuer l'accord intime entre les deux gouvernements.
L'Empereur m'a rem'is la demande du Prince de Capoue, pour la restitution de ses biens particuliers. J'avais déjà entretenu le Comte de Cavour de cette affaire, je porterai cette pièce moi meme à Turin, et vous donnerai toutes les explications à ce sujet.
L'Impératrice insiste plus que jamais pour qu'on évacue le palais de la Duchesse de Bivona à Naples. Veuillez, je vous en prie, adhérer à ce desir et òter au plus tòt ce pretexte de mauvaise humeur.
Je confie cette lettre au Docteur Pantaleoni et je vous prie de vouloir bien faire remettre la lettre ci-jo'inte pour Castelli.
M. Thouvenel voit plus que jamais le nécessité d'avoir ici M. Nigra.
IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI
T. 369. Torino, 11 giugno 1861.
Je viens de voir Ricasoli. Il accepte la séparation des deux questions. La reconnaissance immédiate est la grande affaire sur la quelle il faut concentrer maintenant tous !es efforts. Le renouvellement des protestations contenues dans l'article premier du Memorandum auquel vous faites allusion, ne change en rien la position. La question romaine serait laissée de còté pour le moment; cela n'empecherait pas de la reprendre en sous-ceuvre plus tard. La reconnaissance serait meme un acheminement à des négociations ultérieures à ce sujet. Remerciez vivement Thouvenel, Persigny et Rouher. Les nouvelles de Naples et de Sicile constatent une amélioration sensible dans la sureté publique et dans l'opinion. Je reste au Ministère de l'Intérieur.
IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI
(Ed. in Q. R., II, 514)
T. 549. Parigi, 11 giugno 1861, ore 19,55 (per. ore 22,10).
L'Empereur n'a pas encore répondu aux lettres des Ministres sur la reconnaissance. Le Conseil des Ministres qui devait avoir lieu demain a été différé à Vendredi. Nos ennemis travaillent avec acharnement pour empecher la reconnaissance; ce n'est plus la question italienne qui est maintenant en jeu ici, mais la lutte entre le nouveau et le vieux parti auquel l'Empereur ne peut appartenir. La difficulté est seulement de l'amener à la reconnaissance avant la clòture des Chambres. Une personne va demain à Fontainebleau pour travailler dans notre sens. Persigny fera de meme. Je retarde mon voyage à Turin à moins que l'Empereur ou Thouvenel m'engage à le hater; je ne crois pas convenable d'abandonner le champ à nos ennemis. Demandez au Roi et à Ricasoli si je dois continuer mon ceuvre. La mission que je remplis ici exige toute confiance; il faut donc que je sache si je jouis de celle des nouveaux Ministres. Répondez par télégraphe. Dumas est à Naples.
IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 515)
T. 391. Torino, 12 giugno 1861.
Soyez parfaitement sur que vous avez la confìance entière du Gouvernement. Continuez vos efforts.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 551. Parigi, 13 giugno 1861, ore 0,35 (per. ore 2,10).
L'Empereur est décidé à nous reconnaitre immédiatement pourvu que le Gouvernement du Roi promette simplement de respecter le territoire actuel du St. Père et ne demande point au Gouvernement Français engagement de rappeler ses troupes de Rome. Thouvenel me dit qu'en mettant ces conditions l'Empereur obéit à une nécessité absolue de prévoyance vis-à-vis de l'immense opposition que rencontre ici la reconnaissance. C'est un énorme succès d'avoir amené" S. M. I. à ce point. Répondez par télégraphe, car S. M. I. désire une réponse immédiate. Ce soir détails par courrier. Dites à Minghetti que la maladie du Prince Murat n'a rien d'alarmant.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 552. Parigi, 13 giugno 1861, ore 14,45 (per. ore 15,10).
Je viens de chez le Ministre des Affaires Etrangères où j'ai été pour connaitre l'étendue qu'il donnait à la phrase de sa lettre d'hier: « si votre Gouvernement promet de respecter le territoire actuel du St. Père et de s'abstenir de demander le rappel de nos troupes ». Suivant Thouvenel ceci n'infirmerait en rien la solution avenir de la question Romaine, et son opinion personnelle est que dans quelques mois, quand l'Empereur se sera convaincu de la solidité du Gouvernement et aura vu que les difficultés auront diminuées en Italie, on devra donner suite au Traité projeté qui permette à la France de rappeler ses troupes. La question de la reconnaissance soulève ici de toute part tant d'opposition que l'Empereur est forcé d'employer, pour le moment du moins, certains ménagements. Je n'envoie pas de courrier ce soir parce que Thouvenel désire qu'après qu'il aura vu l'Empereur demain, je me rende moi-meme à Turin pour m'éxpli· quer avec V. E. sur toutes les questions.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI,
AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 516)
T. 374. Torino, 13 giugno 1861, ore 18,10 (pe1-. ore 20,40).
Le Gouvernement du Roi est loin de penser qu'il soit utile à la cause italienne d'attaquer le territoire actuel du St. Père. Il accepte par conséquent la condition de respecter ce territoire. Etant convaincu que la nécessité de rap· peler les troupes de Rome se fera sentir chaque jour plus vivement, il n'insiste pas auprès de l'Empereur dans ce but, tout en se reservant de faciliter l'exécution de cette mesure lorsque l'Empereur croira le moment venu de l'adopter. Nous attendons donc avec confiance que le Gouvernement Français nous reconnaisse immédiatement.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 553. Parigi, 13 giugno 1861, ore 18,12 (per. ore 20,40).
J'attends avec impatience votre réponse au sujet de la reconnaissance. Demain il y a Conse'il des Ministres à Fontainebleau; Thouvenel part d'ici à 8 heures et il voudrait pouvoir dire quelque chose à S. M. I. Il ne s'agit plus de faire un Traité qui devrait etre soumis aux Chambres auparavant, mais de la simple assurance d'observer les deux conditions demandées. Mon devoir est de faire connaitre à V. E. que toute la diplomatie ed 1es Corps de l'Etat tàchent du moins de détourner l'Empereur de toute idée de reconnaissance.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 517)
T. 375. Torino, 13 giugno 1861, ore 21,30.
Retenez que soit à l'extérieur, soit à l'intérieur le Gouvernement du Roi suivra les déclarations qu'il a fait hier à la Chambre. Il sera inflexible autant que calme et prudent; il montrera une solidité qui devra apparaitre d'autant plus étonnante que les amis, sans le vouloir, retardant à nous reconnaitre, flattent et encouragent les mauvaises passions des ennemis de l'Italie, qui le "lont aussi de l'Empereur. Nous résisterons pourtant à tous, j'en ai foi!
IL CONTE VIMERCATI
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 554. Parigi, 14 giugno 1861, ore 14,05 (per. ore 15,30).
Ce matin avant de partir pour Fontainebleau, Thouvenel m'a écrit que, vu les dispositions contenues dans votre première dépeche chiffrée d'hier il a la ferme conviction de tout terminer avec l'Empereur. S. E. pour hater la reconnaissance m'engage à demander l'autorisation de remettre la lettre du Roi que j'ai ici. V. E. en a copie et verra qu'elle peut servir pour la combinaison actuelle aussi bien que pour la précédente. Thouvenel croit que S. M. I. verrait avec plaisir que je me rende à Turin demain pour vous expliquer de vive voix les raisons pour lesquelles, malgré ses véritables sympathies, est obligé de ménager les partis qui sont ses ennemis comme les notres, ce qui fait qu'on doive sacrifier les apparences pour sauver la réalité. Je ferai mon profit de votre dépeche télégraphique d'hier au soir. Seui votre fermeté à soutenir l'idée nationale et les ménagements dans les formes peuvent nous conduire au but de tout creur italien. Veuillez bien me dire si je dois adhérer au désir de l'Empereur et de Thouvenel que je fasse une course à Turin.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 518)
T. 376. Torino, 14 giugno 1861, ore 23.
Vous etes autorisé à montrer la lettre et venir à Turin.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 336. Berlino, 14 giugno 1861.
Monsieur... (l) dont j'ai reçu la visite hier, m'a donné les détails suivants sur les dispositions du Roi de Prusse à notre endroit. Il se trouvait au Palais précisément lorqu'est arrivée la nouvelle si imprévue de la mort de M. le Comte de Cavour. Sa Majesté s'est exprimée de la manière la plus convenable sur l'immense perte que nous avions faite d'un homme d'Etat dont Elle appréciait pleine
talès, Ministre de Prusse à Paris, qui retourne aujourd'hui à son poste après avoir eu un entretien avec le Roi qui lui accorde beaucoup de confìance •·
ment le haut mérite. Il résulte de différentes conversations que Monsieur... a eues avec son Souverain, que ses sentiments ne nous sont aucunement hostiles. Il y a meme une amélioration sensible qui s'est opérée graduellement dans son esprit depuis quelques mois. Ainsi il convient d'avoir agi sagement en résistant aux suggestions de rappeler son représentant près notre Cour. Il y a plus. Il commence à comprendre que le projet si souvent mis sur le tapis d'une confédération italienne, ne pourrait se réaliser que sous des conditions aléatoires, et que dès lors l'unitarisme serait préférable. Mais ses scrupules légitimistes le font hésiter à se prononcer dans un sens qui équivaudrait au coup de grace pour les dynasties déchues. La Cour de Prusse veut d'ailleurs, par une prudente réserve, éviter de rompre en visière avec le midi de l'Allemagne où les gouvernements, et meme une partie assez considérable de la population, blament notre politique dans le but de se rendre agréables à l'Autriche.
Guillaume I, satisfait de son attitude expectante à notre égard et s'exagérant peut-etre le service rendu en nous laissant M. le Comte de Brassier de St. Simon, voudrait qu'à notre tour, lui sachant gré de sa conduite, nous ne cherchassions pas à peser sur ses déterminations pour une reconnaissance officielle, après meme que la France s'y sera décidée. Monsieur... ajoutait: «Vouloir exercer en ce moment une pression à cet effet, vouloir nous soumettre à une forte épreuve, ce serait une maladresse. Comptez plutOt sur le bénéfice du temps. Moi-meme je ne perdrai pas de vue cette question, et, sans rien brusquer, je préparerai le terrain ».
V. E. voit, d'après ces indications, que si le Roi Guillaume n'est pas encore entièrement converti à notre cause, il y a chez lui progrès réel. Et je suis assez de l'avis de Monsieur... qu'il vaut mieux ne rien précipiter. Quant au Ministère, il ne serait pas faché -le bon sens me porte à le crdire -d'une volteface de
S. M. L'élément libéral gagne à vue d'rei!. Les élections au mois d'octobre constateront ce fait. Or, par une reconnaissance du Royaume d'Italie, il raffermirait sa popularité passablement ébranlée.
La presque unanimité des journaux de ce pays a payé un juste tribut d'éloges et de regrets, à la mémoire de M. le Comte de Cavour. La Gazette Prussienne jusqu'ici s'est tue, de crainte probablement de dire trop ou pas assez. La presse officieuse autrichienne a eu de moins le courage de son opinion. V. E. aura remarqué cette phrase de la Donau Zeitung, organe ministériel: « Le Comte de Cavour succombe dans un moment où sa mort devient plus dangereuse que ne l'eut été sa vie». Le Comte Karoly, Envoyé d'Autriche déclarait, le 6 Juin, au Baron de Schleinitz, que cet événement était une grande calamité. Le meme jour, il aurait été plus explicite vis-à-vis de M. de Mohrenheim, le Chargé d'Affaires de Russie en l'absence du Baron de Budberg. « M. de Cavour -disait-il aurait diì mourir trois mois plus tard, laps de temps encore nécessaire pour régler nos questions intérieures ».
Ce propos, si tant est qu'il ait été tenu, serait assez significatif; mais je doute presque de son authent'icité, car M. de Mohrenheim est un peu hableur de sa nature; d'ailleurs, à la date du 6, ce ne pouvait etre qu'une appréciation tout à fait individuelle, et dont la responsabilité par conséquent ne saurait remonter jusque au Cabinet de Vienne. Il n'est pas moins vrai que si celui-ci pleure ce sont des larmes de crocodile.
(l) Il nome che manca è rivelato dal seguente annesso cifrato al rapporto: • Les dét~>Us confìdentiels contenus dans la première partie de cette dépéche proviennent du Comte de Pour
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 555. Parigi, 15 giugno 1861, ore 10,45 (per. ore 11,10).
Je vous demande l'autorisation de remettre à Thouvenell'original de la lettre autographe du Roi pour etre remise à l'Empereur; cela hatera la reconnaissance. M'y autorisez vous?
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI
(Ed. in Q. R., II, 518)
T. 377. Torino, 15 giugno 1861, ore 12.
Je vous autorise a remettre à Thouvenel la lettre du Roi.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 557. Parigi, 15 giugno 1861, ore 13,25 (per. ore 14,30).
Tout est arrangé. Je pars ce soir, précédant d'un jour la note officielle qui vous sera remise par Rayneval, vous annonçant la reconnaissance du Royaume d'Italie. La lutte a encore été très vive. L'Autriche protestera, en accusant la France d'une infraction au Traité de Zurich.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, THOUVENEL, ALL'INCARICATO D'AFFARI FRANCESE A TORINO, RAYNEVAL (l)
(Ed. in L. V., l, pp. 1-2 e Ricasoli, VI, pp. 18-19) Parigi, 15 giugno 1861.
Le Roi Victor Emmanuel a adressé à l'Empereur une lettre qui a pour objet de demander à S. M. de le reconnaitre comme Roi d'Italie. L'Empereur a accueilli cette communication avec les sentiments de bienveillance qui l'animent envers l'Italie et S. M. est d'autant plus disposée à en donner un nouveau gage en accé
dant au vreu du Roi, que notre abstention, dans les circonstances actuelles, pourrait faire naitre des conjectures erronées et etre considérée comme l'indice d'une politique qui n'est pas celle du Gouvernement Impérial. Mais, si nous tenons à ne pas laisser à ce sujet de doutes sur nos intentions, il est toutefois des nécessités que nous ne pouvons perdre de vue, et nous devons prendre soin que notre reconnaissance ne soit pas interprétée d'une façon inexacte en Italie ou en Europe.
Le Gouvernement de S. M. n'a caché, en aucune circonstance, son opinion sur les événements qui ont éclaté l'an dernier dans la Péninsule. La reconnaissance de l'état de choses qui en est résulté ne pourrait donc en etre la garantie de meme qu'elle ne saurait impliquer l'approbation rétrospective d'une politique au sujet de laquelle nous nous sommes constamment réservé une entière liberté d'appréciation. Encore moins l'Italie serait elle fondée à y trouver un encouragement à des entreprises de nature à compromettre la paix générale. Notre manière de voir n'a pas changé depuis l'entrevue de Varsovie, où nous avons eu occasion de la faire connaitre à l'Europe comme au Cabinet de Turin. En déclarant alors que nous considérions le principe de non-intervention comme une règle de conduite pour toutes les puissances, nous ajoutions qu'une agression de la part des Italiens n'obtiendrait pas, quelles que pussent en etre les suites, l'approbation du Gouvernement de l'Empereur. Nous sommes restés dans les memes sentiments et nous déclinons d'avance toute solidarité dans des projets dont le Gouvernement Italien aurait seui à assumer les périls et à subir les conséquences.
Le Cabinet de Turin, d'autre part, se rendra compte des devoirs que notre position nous crée envers le Saint-Siège, et je croirais superflu d'ajouter qu'en nouant des rapports officiels avec le Gouvernement Italien nous n'entendrons nullement affaiblir la valeur des protestations formulées par la Cour de Rome contre l'invasion de plusieurs provinces des Etats Pontificaux. Pas plus que nous, le Gouvernement du Roi Victor Emmanuel ne saurait contester la puissance des considérations de toute nature qui se rattachent à la question Romaine et dominent nécessairement nos déterminations et il comprendrai, qu'en reconnaissant le Roi d'Italie, nous devons continuer d'occuper Rome tant que des garanties suffisantes ne couvriront pas les intérets qui nous y ont amenés.
Les Gouvernement de l'Empereur a jugé nécessaire d'entrer, en un pareil moment, dans les explications les plus franches avec le Cabinet de Turin. Nous avons la confiance qu'il en appréciera le caractère et l'objet.
Vous voudrez bien, Monsieur, donner lecture et remettre copie de cette dépeche à M. le baron Ricasoli.
(l) Comunicato a Ricasoli il 20 giugno 1861.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 48, n. 34, orig. outogr.)
L. P. l. Londra, 17 giugno 1861.
Permetta a chi è probabilmente quasi uno sconosciuto per lei di offrirle l'espressione sincera di gran soddisfazione che provai quand'ebbi la nuova della
accettazione dell'alto impiego a cui ella venne chiamato dal Re ed acclamato
dalla Nazione come l'uomo di Stato il più atto a condurre a termine la grande
impresa del movimento italiano. D'onde venga questa confidenza degli Italiani.
in lei si trova additato dalla storia delle ora scorse vicende. Ed in questi gravi
momenti, che ancora dovremo traversare, senno e fermezza ci vuole. E queste
qualità la Nazione le riconobbe in lei.
Io perdo nel Conte di Cavour il migliore dei superiori ed un Capo che
mai mi fece sentire parola severa o di rimprovero, ma che anzi, con un'amo
revolezza ed indulgenza al di là dei miei meriti sempre, per dir così, pensò ad
antivenire a qualunque domanda avessi potuto dirigergli. Ed era tale la mia
fiducia in lui che per conseguenza naturale ne venne che io me ne rimettessi
a lui per qualunque cosa riguardasse la legazione o la mia posizione nella
carriera, !imitandomi puramente ad accennare quanto mi sembrasse opportuno,
senza mai nulla chiedere direttamente. E questo sistema ella mi permetterà,
~ignor Barone, di continuarlo anche con lei. Non mancherà chi le dirigerà
domande e petizioni. Sarà dunque un sollievo il pensare che dalla Legazione
in Londra, finchè vi rimarrò, nulla ha a temere a questo riguardo. La sola
eccezione a questa regola sarebbe più apparente che vera, poichè la sola cosa
che fino ad un certo punto le domanderei sarebbe di dest'ituirmi. Almeno in
certe date circostanze che non sarà forse inutile di spiegare.
Coll'ammasso d'occupazioni che ella deve avere non può essere che con
gran esitanza che io mi permetterò di pregarla di dar qualche momento di
attenzione alle mie circostanze individuali, benchè in relazione col posto che
mi trovo occupare in Londra. Ma è forse indispensabile ad un capo di cono
scere il carattere dei suoi subordinati.
Mi sia lecito, prima di tutto, dirle che chiedo permesso d'indirizzarmi a
lei, come ad un amico di mio zio Massimo, cioè schiettamente e in tutta
confidenza.
Sia difetto o virtù io mi trovo frequentemente sotto al peso di una gran diffidenza di me stesso e quindi ne venne (e devo talvolta ridere di me stesso) che in varie circostanze pregai il Conte Cavour di esaminare ben bene se non sarebbe stato meglio mandar un altro Ministro a Londra. Queste istanze le feci a voce e le feci per iscritto. Le feci quando all'occasione della cattura del Cagliari ebbi un dissidio col Ministero Tory. Le feci quando, fatte le annessioni, non era più rappresentato il Piemonte, ma l'Italia intiera. Cito questo . perchè me ne ricordo. Tralascio le altre. Colla solita sua bontà Cavour mi confortò ed incoraggì a continuare. Ma se le sue idee, signor Barone, menomamente non si combinassero con le mie, o se per caso, benchè avendo confidenza in me, credesse d'averne maggiormente in quelchedun altro, la prego caldamente a non lasciarsi fermare da nessuna considerazione personale a mio riguardo. Egli è evidente che pei posti soprattutto di Parigi e di Londra, ella deve avere persone che le ispirino confidenza eccezionale. Ed anche a merito pari, è naturale che si preferisca chi da lungo tempo si è conosciuto. Si accerti che parlandole così io non fo frasi, ma le dico francamente che chiunque ella mandasse sarebbe sicuro d'avere, per parte mia, qualunque maggiore assistenza fosse in mio potere di dargli. Mi pare che sia un dovere per ogni cittadino di
servire il paese secondo i mezzi che Domineddio gli ha concessi. Ma avendo
12 -Documenti diplomatici -Serie I-Vol. I
ora servito, bene o male, come diplomatico, per 23 anni, non ho nissuna difficoltà a far posto agli altri, ed anzi mi sembrerebbe da desiderarsi un'epoca di riposo. Non essendo una carriera come una moglie, ho sempre gelosamente cercato di tenermi perfettamente indipendente da essa e di così combinare i casi miei che in nulla dovessi dipendere dai pubblici impieghi. Ond'è che mi sono avvezzato a vivere per dir così con un piè nella staffa per andarmene nel)(cl vita privata appena ne avessi avuta la menoma ragione plausibile. Questo modo di vedere le proverà che non solo non mi lagnerei se fossi rimpiazzato, ma lo stimerei cosa sì giusta da proporla io per il primo. Questa dunque è questione da esaminarsi sotto un triplice aspetto. Sul giudizio che ella ne porta. Sul modo relativo a me e che ora ho avuto l'onore di esporle; e in terzo luogo in relazione alla legazione ed agli affari. Questi non possono realmente farsi bene se non si ha la coscienza di possedere intera la confidenza dei superiori. Una legazione, soprattutto nelle circostanze imminenti, richiedendo un importante stabilimento e spese ingenti ond'essere al caso di rappresentare un gran paese, non può farsi questo se non da chi ha garanzie di stabilità. Per esempio, in questi mesi, prima dell'Esposizione del '62, dovrà il Ministro di S. M. mutar casa, non essendo l'attuale importante abbastanza. Dovranno provvedersi argenterie ed altre suppellettili atte a quella rappresentanza da prevedersi quando tanti Italiani visiteranno l'Esposizione l'anno venturo e fors'anche principi della famiglia reale. Nascono qui altri quesiti di primaria importanza e di cui la soluzione dipende forse più da circostanze ancora dubbie, ma che sarebbe indispensabile veder
decise quanto prima.
Intendo dire se la Legazione italiana in Londra, se un'Ambasciata venisse stabilita a Parigi, non diverrebbe AmbasCiata essa pure?
Credo qui poter rimarcare che essendo, penso, intenzione nostra asserire in faccia ai Gabinetti europei una posizione effettiva di potenza di primo ordine, se noi medesimi ammettiamo pei nostri rappresentanti una posizione secondaria, faremo precisamente gli affari di quelle potenze che amerebbero cacciarci in seconda linea.
L'Inghilterra stessa sentì talmente in quel modo, che si determinò un anno fa a stabilire un ambasciatore a Vienna, non volendo accettare una posizione seconda a nissuno. Qui a Londra abbiamo ambascierie di Francia, Russia, Austria e perfino Turchia.
Il Governo del Re vedrà dunque cosa penserà bene di fare. Non predico per me, perchè, siccome Ella vede, non cerco nemmeno di conservarmi come Ministro, e, se vi fosse intenzione di rimpiazzarmi, la nomina di un ambasciatore ne darebbe forse addizionalmente un motivo plausibile. Ma naturalmente, anche in questo caso, mi parrebbe giusto che mi si dicesse francamente quali sieno le intenzioni del Governo del Re. Stabilita che siasi la questione principale, chiederei permesso all'E. V. di scriverle quelle idee che mi sembrerebbero indicate per la parte finanziaria.
Il Conte di Cavour stimò opportuno, col principiare del '61, di aumentare
lo stipendio mio portandolo in complesso a centomila franchi. Benchè dovessi
quest'aumento ad un atto suo spontaneo, non credetti dovergli celare che si
doveva, oltre ad un'abitazione più vasta, dar dei pranzi, che non bastava.
Temendo che non mi s'accusi d'avarizia, m'affretto ad aggiungere che per me non insisterò mai sulla quistione finanziaria, essendo deciso a far sempre in proporzione di quanto mi si fisserà. Non fo dunque suggerimenti, ma osservazioni. Se poi fosse nelle intenzioni di V. E. che io rimanga come Regio Rappresentante in Londra, mi permetta che io le scriva sempre siccome ho fatto sempre con i miei superiori e come Ella scriverebbe a me: schiettamente e senza restrizioni.
Col Conte di Cavour la parte più importante e segreta degli affari diplomatici si faceva per mezzo di lettere particolari. È lecito in queste entrare in certi particolari minuti e direi quasi intimi che sembrerebbero mancare di gravità in una redazione ufficiale. Anzi generalmente davo in un dispaccio un sunto officiale della mia corrispondenza privata, onde al caso si potesse far vedere ai deputati. Se V. E. lo crederà bene, si continuerà nell'istessa guisa.
Qualunque cosa fosse per succedere a questo mio riguardo, avrei sempre la coscienza d'avere, in questi tredici anni che fui a Londra, contribuito a collocare la legazione del Re in una posizione eccezionale, non escluse quelle delle grandi potenze. Credo che nissuno mi potrà accusare di presunzione se la dico la più popolare e la più stimata.
Veramente deggio vergognarmi delle dimensioni che ha preso questo mio scritto. Gran fortuna è la mia di trovarmi in relazione diretta con un illustre cittadino che da tanfi anni ho conosciuto qual uno dei più chiari ingegni di Italia. E questo sia la mia scusa. E sarà mia gran ventura se da lei la mia collaborazione non verrà giudicata del tutto inutile. Scrissi col cuor sulla mano perchè sapevo a chi scrivevo.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 48, n. 35, orig. autogr.)
L. P. 2. Londra, 17 giugno 1861.
Lo stato delle relazioni tra l'Italia e l'Inghilterra essendo qual può bra
marsi ed essendo i Parlamenti nei due paesi occupati essenzialmente di legi
slazione locale, temo la mia corrispondenza non sia per riuscire in questo
momento poco interessante.
La ricognizione del Regno Italico per parte della Francia pare abbia, forse,
preso gli uomini politici di questo paese un po' per sorpresa. Almeno, temen
dosi che la morte del Conte di Cavour non avesse avuto per risultato di dar
forza a quel partito che avvicina l'Imperatore ed avversa l'Italia, si seppe,
'con un po' di sorpresa, che invece quel Sovrano perseverava in altre idee.
Siccome la simpatia che provasi per la causa d'Italia è sincera, così si è favo
revolmente accettato quest'indizio di buone intenzioni. Questo non impedisce
naturalmente che, con l'usata diffidenza riguardo al Governo imperiale, gli
Inglesi non cerchino di indovinare il motivo di questa nuova mossa e sien
pronti a vedervi intenzioni politiche per l'avvenire.
La voce corsa nei giornali francesi di un riavvicinamento dell'Austria e
dell'Inghilterra in presenza delle complicazioni in Oriente, mi è stata sup
posta verosimile. Ma aspetto a parlarne all'E. V. quando avrò riuniti dati più
precisi.
La quistione romana, e soprattutto le riserve che pare siansi fatte a Parigi a questo riguardo nel riconoscere il nuovo Regno, sono oggetto di gran curiosità fra gli uomini politici inglesi, dai quali sono di frequente interrogato. Intanto si è sparsa la voce dell'indisposizione del Papa e credesi che, ove occorresse una vacanza, più facilmente si potrebbe improvvisare una soluzione che permetterebbe al successore d'accettare il fatto compiuto.
Un cattolico liberale inglese, il quale conosce a fondo le opinioni cattoliche in Inghilterra, mi diceva ieri sera essere opinione generale che il clero non potrebbe ricusarsi ad accettare fatti imposti, mentre mai potrebbe dare la sua adesione a quelli che s'i dovessero ancora compiere. Vidi una lettera di Roma, che parlava dei Cardinali come assai sbigottiti dalla morte del Conte di Cavour e dicevano: vivo costui, eravamo sicuri d'escir per la porta, mentre ora potrebbe occorrere che uscissimo dalla finestra.
Lord Palmerston lodò assai, due giorni fa, la prudenza usata dal Conte di Cavour nel non promuovere disturbi popolari a Roma, che avessero dati ai Francesi, per rimanervi, pretesti simili a quelli che egli gli accusa d'aver cercato e sperato in Siria. Ed avendovi dovuto rinunziare, per essere le popolazioni tranquille, essi hanno, dice Lord Palmerston, pensato bene di far le cose da signori.
Ho consultato il Times sull'opportunità di promuovere, coi giornali inglesi, una sottoscrizione al monumento Cavour. Tante furono le sottoscrizioni fatte quest'anno che si pensò preferibile prescinderne. Ma fu parere dei Lords Palmerston e Shaftesbury e di Panizzi di promuovere una sottoscrizione privata di, per es., 50 gran nomi a cinque lire sterline l'una, e quindi poi il giornalismo potrebbe parlarne. Un simile tributo sarebbe quanto, mai onorevole per la memoria del Conte di Cavour.
Avevo pure pensato di far un funerale: ma il mio prete della Legazione pretende che il clero inglese vi metterebbe tutta la cattiva grazia possibile. Intanto si stanno preparando, sull'illustre defunto, due articoli biografici, l'uno pel Quartely e l'altro per L'Edinburgh Review.
IL MINISTRO FRANCESE DEGLI INTERNI, PERSIGNY (1), AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 19-21)
L. P. Parigi, 17 giugno 1861.
Je vous remercie de tout mon creur de la confiance si flatteuse que vous me montrez. J'en accepte avec d'autant plus de reconnaissance le témoignage que j'ai la convinction de la mériter en ce qui concerne la pureté de mon intention.
Vous savez déjà que la France reconnait le royaume d'ltalie et qu'ainsl vos observations aussi justes que fondées ont été devancées par l'Empereur. Mais je suis heureux de cette circonstance pour vous faire connaitre aussi nettement que possible notre situation.
L'indépendance de l'Italie a été le seul but de la guerre d'Italie. Ce que la France a voulu ce n'était pas de substituer sa domination à la domination autrichienne, car ce vol aussi impolitique qu'odieux n'aurait abouti qu'à soulever contre nous tous les sentiments d'un peuple généreux et à nous imposer tous les inconvénients de la conquéte sans aucun de ses avantages. Bien loin d'ambitionner l'héritage de l'Autriche en ltalie, et en dehors de toute considération morale, nous ne pouvions rien désirer plus ardemment que la formation en Italie d'un grand gouvernement issu comme nous du suffrage universel, et participant des mémes principes et des mémes intentions. L'Italie grande et forte c'est l'annullation de l'Autriche comme puissance agressive et par conséquence de la Sa'inte Alliance elle-méme. Car une fois réduite à l'impuissance les éléments d'une coalition contre la France n'existent plus nulle part. L'indépendance de l'Italie, sans parler des sentiments qu'excite cette grande et noble cause, voilà l'intérét véritable de la France, voilà l'idée claire et nette qui est le principe de tonte notre politique. Mais, malheureusement, à còté de ce grand intérét et de cette grande cause, un autre intérét trouble et embarasse notre politique, car la France se trouve placée entre deux choses qu'elle ne peut sacrifier ni l'une ni l'autre. Comme français et issu de la révolution française l'Empereur est naturellement dévoué à l'indépendance italienne, mais comme catholique, et quelle que soit l'impossibirité des prétres à Rome, il ne peut prendre aux yeux des catholiques de l'Europe l'attitude d'un persécuteur de l'Eglise. Entre ces deux causes qui semblent irréconciliables l'Empereur n'a malheureusement pas la possibilité de ces allures franches et nettes qui d'ordinaire facilitent les solutions; et de là ces accusations injustes et passionées de dublicité de la part de ceux-là mémes qui connaissent le mieux la raison de son attitude. Pour moi, quoique convaincu de l'immense supériorité du parti libéral en France sur ce qu'on appelle le parti catholique, je ne croirais pas devoi:r; conseiller à l'Empereur rien qui put lui donner l'apparence non seulement de persécuter l'Eglise, mais de ne pas faire tout ce qui est en son pouvoir pour protéger le pape.
Voilà, monsieur le Baron, la vérité de la situation. C'est une difficulté grave dont vous étes victime comme nous, et que nous· ne pouvons pas plus supprimer les uns que les autres. Mais si vous comprenez bien cette situation la plus grande partie de la difficulté se trouvera d'avance écartée. Je vous engage donc à n'attacher jamais qu'une importance conventionnelle aux formes, aux réserves, aux formules destinées à ménager l'opinion divisée sur ce grand débat. Confìez-vous à la pensée vraie et pure de l'Empereur qui veut, et veut fortement que l'Italie se constitue dans toute son indépendance. Ne croyez pas surtout à cette fausse appréciation de Lord Palmerston qui semble croire que nous ne restons à Rome que pour garder un pied en Italie. Je professe une haute estime et un sincère attachement pour ce grand homme d'état, mais il se trompe ou il se laisse tromper sur ce point. Le but, le seui but auquel nous tendions avec ardeur c'est de trouver avec vous des combinaisons qui en
assurant l'indépendance spirituelle du Saint-Père, nous autorisent à quitter Rome. Aidez-nous à cette ceuvre que nous désirons autant que vous-mémes, et croyez surtout à la sincérité de l'Empereur.
Je finis, Monsieur le Baron, en vous remerciant de nouveau des preuves de confiance que vous venez de me donner. Laissez-moi vous dire que je serai heureux d'y répondre dans toutes les circostances où vous croirez bon de mettre à l'épreuve mon amour pour la cause de l'Italie, ma respectuese sympathie pour votre Rdi, et la haute et profonde estime que vous m'inspirez.
(l) Sul retroscena dei rapporti diretti tra il Persigny e il Ricasoli, cfr. LYNN M. CASE, Franco-Ita!ian Relations 1860-1865, Philadelphia 1932, pp. 113-114.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 337. Berlino, 18 giugno 1861.
Le Prince de la Tour d'Auvergne m'a communiqué hier matin, avant meme d'en avoir parlé au Baron de Schleinitz, la dépéche (15 juin) adressée par
M. Thouvenel à M. de Rayneval relativement à la reconnaissance du Royaume d'Italie. Il avait reçu également une dépéche confidentielle expliquant les motifs, d'un ordre européen, qui avaient engagé le Cabinet de Tuileries à ne pas différer davantage un acte aussi important.
De plus M. Thouvenel écrivait par cette méme expédition une lettre particulière. En voici quelques passages dont mon collègue de France m'a donné lecture, en me recommandant le secret le plus absolu. « J'ai passé plusieurs nuits blanches. Ce n'est pas sans avoir murement pesé le pour et le contre que j'ai franchi le fossé, en conseillant à l'Empereur une reconnaissance qui nous mettra mieux en mesure d'éxercer une influence modératrice à Turin. J'espère que je n'aurai pas à me repentir. Mais je puis vous assurer en mon ame et conscience, que je n'ai été inspiré que par des pensées conservatrices et pacifiques. La Prusse, en suivant notre exemple, ferait un acte d'un intérét grandement européen; mai si je n'ose y compter j'espère du moins qu'en se plaçant à notre point de vue, elle saura apprécier convenablement notre conduite ».
Dans la soirée j'ai rencontré le Baron de Schleinitz. Un télégramme venait de lui annoncer, sans en préciser la teneur, l'arrivée à Turin de la dépéche précitée du 15 juin. Il ne pouvait donc pas encore en juger la portée. Il lui semblait toutefois que du moment où l'on reconnaissait, les réserves n'étaient guère de mise.
J'aurais pu l'édifier sur ce point, mais j'ai du me taire par égard pour
M. de La Tour d'Auvergne qui m'ava'it demandé le secret. Je me suis borné, en me basant sur l'opinion émise par mon interlocuteur, à exprimer l'espoir que, lorsque la Prusse nous reconnaitrait à son tour, elle le ferait largement, à savoir d'une manière conforme à sa dignité aussi bien qu'à la notre. Il ne s'est pas prononcé, en prétextant, comme fin de non recevoir, que pour la Prusse le moment n'était pas encore venu de prendre une décision.
En attendant il se félicitait d'avoir su résister aux insinuations tendantes à une rupture, car s'il eùt cédé, le Cabinet de Berlin se serait trouvé, comme la Russie, dans une grave embarras pour renouer les rapports diplomatiques.
M. de Schleinitz m'a dit en outre avoir lu une intéressante dépeche sur le premier entretien entre le Comte Brassier et V. E. dont le langage avait été correcte et des plus satisfaisants. Il ne doutait pas que les relations entre nos deux Gouvernements se maintiendraient sur un bon pied, malgré la perte immense que nous avions faite dans la personne de M. le Comte de Cavour. Ce Ministre éminent, par sa note du 29 mai (retrait d'exéquatur), a donné une dernière preuve d'énergie, et, qui plus est, d'habilité en mettant les rieurs de son còté. M. de Schleinitz m'a parlé ensuite dans les termes les plus honorables de V. E. avec laquelle il comptait bien entretenir les meilleurs rapports.
Ce n'est qu'aujourd'hui que le Comte de La Tour d'Auvergne s'est acqu'itté des instructions de son Gouvernement. Il a longuement développé les motifs qui ont provoqué la détermination récente de l'Empereur Napoléon. M. de Schleinitz a fini par convenir que s'il avait été en lieu et piace de M. Thouvenel, aurait probablement donné le meme conseil à son Souverain, et qu'à ses yeux la garantie la plus sùre contre tout désordre était le maintien des troupes françaises à Rome: -(ces derniers mots ne s'accordent pas trop avec son opinion de la veille sur les réserves). Le Ministre de France pour renforcer ses arguments, déclarait qu'une reconnaissance de l'Italie ajouterait tellement les chances à la conservation de la paix générale, que l'Autriche elle meme devrait applaudir à la résolution du Cabinet des Tuileries. M. de Schleinitz ne croyait pas à de semblables dispositions chez une Puissance qui avait espéré sans doute que le bien sortirait du mal. Si elle spécule sur le désordre, ses projets ne sont pas très redoutables; car -soit dit passant -sa position est loin de s'améliorer. Tout récemment le Ministre de Turquie à Vienne interpellait le Comte de Rechberg sur une concentration de troupes (vingt m'ille hommes) vers l'Herzégovine. M. de Rechberg en cherchant à justifier une mesure purement défensive, faisait cet aveu: « Nous devons prendre certaines précautions, lorsque nous ne rencontrons de tous cotés que des adversaires ».
J"e m'abstiens d'ajouter des commentaires sur la dépeche française du 15 juin. Que les réserves soient sérieuses ou de pure forme, un grand pas est fait. L'avenir fera le reste. Bien souvent déjà on a cherché à barrer la voie qui mène à l'unité de l'Italie. Le bon sens de nos populations, la fermeté de nos hommes d'Etat, nommément dans l'Italie centrale, après le paix de Villafranca, ont su écarter les obstacles. Le passé est un garant de l'avenir.
IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 19. Costantinopoli, 19 giugno 1861
Je n'ai pas cru opportun de répliquer par écrit à la réponse que la Sublime Porte a faite à la notification officielle de la Constitution du Royaume d'Ital'ie, et dont j'ai transmis à V. E. copie par le dernier courrier (1). Toutefois, cornme vous avez du le remarquer, cette réponse conçue en termes très courtois allègue certaines raisons spéciales qui l'empechent, dit-elle, de reconnaìtre immédiatement le nouveau Royaume, tandis que les déclarations verbales antérieures semblaient au contraire tout à fait favorables. J'ai du demander à Aali Pacha quelques explications à cet égard. Je fus assez étonné d'entendre de sa bouche que ce retard était causé par suite des informations puisées à bonne source concernant un pian élaboré par feu le Comte Cavour relativement au rachat de la Vénétie, lequel se serait effectué par le moyen d'une cession de quelques provinces turques (Croatie-Bosnie et Herzégovine) à l'Autriche avec une indennité pécuniaire à la Porte. Je ne crois pas en vérité que ce soit là la véritable raison, mais bien un simple prétexte, pour colorer un refus dans le but de gagner du tems et attendre que d'autres puissances, notamment la France, ait formellement reconnu le Roi d'Italie. J'ai meme quelque soupçon que ce revirement de la Porte ne soit du à la malveillante influence de quelques représentants de certaines Puissances, avec lesquels je me trouve en conflit depuis cette malencontreuse affaire des armes. Le Marquis de Lavalette non seulement n'a point fait d'opposition, mais j'ai la certitude qu'il a pris lui mème l'initiative de ses bons offices, bien que je ne pouvais pas le presser trop à cet égard par la raison bien évidente que la France elle mème n'avait pas encore jugé opportun de nous reconnaìtre.
Vous comprenez, Monsieur le Baron, que je ne pouvais pas entrer en discus-· sion avec Aali Pacha sur le mérite de ce pian qu'il attribue gratuitement au Comte Cavour, ni l'admettre, ni le réfuter. Je me bornai donc à lui déclarer que, si un tel plan avait été élaboré, ou produit d'une manière sérieuse, le Comte Cavour, avant de lui donner suite, n'ignorant pas que personne mieux que moi n'était en position de lui donner des renseignements sur la possibilité de son exécution, en ce qui touche le consentement de la Porte, m'aurait interpellé officieusement et confidentiellement. Or, je le déclarai formellement à Aal'i Pacha, M. de Cavour ne m'a pas jamais, et sous aucune forme, directement ou indirectement, laissé entrevoir un pareil projet, et que j'étais donc parfaitement en droit de supposer, que l'existence de ce pian attribué au Comte Cavour était une insinuation de quelques Puissances qui ne demanderait pas mieux de nous brouiller avec tout le monde pour éluder ou empècher la reconnaissance du Royaume d'Italie.
Le Ministre Ottoman m'a paru satisfait et me promit d'en parler au Conseil, afin d'accélérer l'acceptation du titre de Roi d'ltalie, et de faire disparaìtre les mauvaises impressions (2).
Après ces explications j'eus avec Aali Pacha une séance très longue au sujet du Traité de Commerce, que je lui avais présenté et qui n'est autre chose que
l'amalgame de deux Traités français et anglais, qui ont été dernièrement conclus avec la Porte. Il va sans dire que tout le texte du projet e:-:t conçu par le Royaume d'Italie et pas autrement; y compris les Etats qui ont été dernièrement annexés. Nous nous sommes à peu près entendus sur toutes les dispositions, exceptés quelques détails de peu d'importance.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO
(Ed. in L. V., l, pp. 3-5)
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 21 giugno 1861.
Le Chargé des Affaires de France est venu me donner communication de la dépèche dont vous trouverez ci-joint une copie.
Dans cette dépèche S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de l'Empereur déclare que S. M. l. est prete à nous donner un nouveau gage de ses sentiments de bienveillance en reconnaissant le Royaume d'Italie. Il ajoute toutefois que cet acte aurait surtout pour but d'empècher des conjectures erronées et qu'il ne saurait impliquer l'approbation rétrospective d'une politique au sujet de laquelle le Gouvernement de S. M. I. s'est constamment réservé une entière liberté d'appréciation. Encore moins serions nous fondés d'après cette dépèche à voir dans la reconnaissance de la France un encouragement à des entreprises de nature à compromettre la paix générale. Rappelant les déclarations du Gouvernement Français à l'époque de l'entrevue de Varsovie, M. Thouvenel répète qu''il continue à regarder le principe de non-intervention comme une règle de conduite pour toutes les puissances, mais il déclare que le Cabinet des Tuileries déclinerait d'avance toute responsabilité dans des projets d'agression dont nous aurions à assumer les périls et à subir les conséquences.
Passant ensuite à expliquer la position de la France vis-à-vis de la Cour de Rome, M. Thouvenel rappelle que des puissantes considérations obligent le Gouvernement Impérial à continuer d'occuper Rome, tant que des garanties suffisantes ne couvriront pas les intérèts religieux que l'Empereur a justement a creur de protéger, et il exprime la confiance que le Gouvernement du Roi saura apprécier le caractère et l'objet de ces franches explications.
Avant de vous faire connaitre ma manière de voir sur les considérations développées dans la dépèche de M. Thouvenel, je dois vous prier, Monsieur le Comte, d'esprimer à M. le Ministre des Affaires Etrangères ma vive et profonde gratitude ·pour la précieuse marque de sympatie que l'Empereur est disposé à donner à notre cause nationale en reconnaissant le Royaume d'Italie.
Cet acte revèt dans les circonstances actuelles une valeur toute particulière, et les Italiens seront profondément touchés en voyant que S. M. l. bien qu'Elle n'ait pas modifiée son jugement sur les événements qui se sont passés l'an dernier dans la péninsule, est disposée à donner à l'Italie, encore attristée d'un grand deuil national, une preuve si éclatante de sa haute et généreuse bienveillance.
En vous priant d'etre l'organe de ces sentiments auprès du Gouvernement de l'Empereur, je ne fais que suivre l'exemple du grand citoyen dont nous pleurons la mort. J'apprécie comme lui à sa valeur la franchise avec laquelle le Gouvernement Impérial a bien voulu nous faire connaitre sa manière de voir sur les événements qui pourraient surven'ir en Italie. Je ne saurais mieux répondre à cette preuve de confiance qu'en exprimant avec une égale franchise et sans aucune réticence toute ma pensée.
Chargé par la confiance du Roi de remplacer le Comte de Cavour à la Présidence du Conseil et dans la direction de la politique extérieure, j'ai trouvé mon programme tracé d'avance dans les votes récents que les deux Chambre du Parlement ont eu l'occasion d'émettre sur les questions les plus importantes pour l'avenir de l'Italie.
Après de longs et mémorables débats le Parlement, tout en affirmant d'une manière solennelle le droit de la nation à se constituer dans sa complète unité, a exprimé l'espoir que les progrès que la cause de l'Italie fait chaque jour dans la conscience publique améneraient peu à peu et sans secousse la solution si ardemment souhaitée par les Italiens.
Cette confiance dans la justice de notre cause, dans la sagesse des Gouvernements Européens ainsi que dans l'appui chaque jour plus puissant de l'opinion publique, que le Comte de Cavour exprimait avec tant d'éloquence peu de temps avant sa mort, a passé tout entière dans l'administration que j'ai l'honneur de présider. Le Roi et ses Ministres sont toujours convaincus que c'est en organisant les forces du pays et en donnant à l'Europe l'exemple d'une marche sage et régulière, que nous réussirons à sauvegarder nos droits sans exposer l'Italie à des agitations stériles et l'Europe à des dangereuses complications.
Vous pouvez donc, Monsieur le Comte, rassurer complètement le Gouvernement de l'Empereur sur nos intentions au sujet de la politique extérieure. Méanmoins les déclarations de M. Thouvenel, relativement à la question romaine, m'obligent à ajouter quelques mots à cet égard.
Vous savez, Monsieur le Comte, de quelle manière cette question est envisagée par le Gouvernement du Roi. Notre vceu est de rendre à l'Italie sa glorieuse Capitale, mais notre intention est de ne rien òter à la grandeur de l'Eglise, à l'indépendance du Chef Auguste de la religion Catholique. Nous aimons par conséquent à espérer que l'Empereur pourra dans quelque temps rappeler ses troupes de Rome sans que cette mesure fasse éprouver aux catholiques sincères des appréhensions que nous serions les premiers à regretter. Les intérets meme de la France, nous en avons la conviction, décideront le Gouvernement Français à prendre cette détermination. Tout en laissant à la haute sagesse de l'Empereur d'apprécier le moment où Rome pourra etre sans danger laissée à elle meme, nous nous ferons toujours un devoir de faciliter cette solution, et nous espérons que le Gouvernement Français ne nous refusera pas ses bons offices pour amener la Cour de Rome à accepter un accord qui serait fertile en conséquences heureuses pour l'avenir de la religion aussi bien que pour le sort de l'Italie.
Veuillez donner lecture et copie de cette dépeche à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 563. Parigi, 23 giugno 1861, ore 11,55 (per. ore 14,55).
Il est impossible à Thouvenel de voir l'Empereur avant demain à 2 h.; j'aurai sa réponse demain soir à 8 h. Le Ministre des Affaires Etrangères ne revenant de Fontainebleau qu'à 7 h. j'espère que vous pourrez faire la communication à la Chambre mardi, présentant la Note française et votre réponse, car le Moniteur, en publiant la reconnaissance, fera connaitre les réserves concernant Rome. Thouvenel est content de votre réponse. Une dépeche télégrafique de Costantinople annonce imminente la mort du Sultan qui a fait appeller son frère pour lui recommander sa famille et l'Empire.
IL PRESIDENTE DEL COl'JSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI
T. 386. Torino, 24 giugno 1861, ore 21,.'10.
Dites moi SI ]e puis donner aussi commun'ication des pièces comme me faisait espérer votre télégramme d'hier. Le Comte Arese partira vendredi sans attendre la réponse de l'Empereur au Roi qui pourtant ne tardera pas.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 565. Parigi, 24 giugno 1861, ore 23,15 (per. ore 0,15 del 25).
Par suite de vives instances, l'Empereur a pris la détermination qui vous aura été déjà annoncé par une dépeche télégraphique expédiée aujourd'hui à 2 h. à Rayneval. S. M. I. a décidé que les deux notes officielles seront seulement citées au Moniteur. Pressez le départ d'Arese, après quoi l'Empereur enverra une lettre autographe très aimable au Roi.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO
(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 23-27)
L. P. l. Torino, 24 giugno 1861.
Ella ha avuto fiducia in me, e mi ha scritto con intimità; cosi ella mi ha reso giustizia, ed io risponderò alla fiducia mostratami.
Ho "indugiato in replicarle perchè le cose sono molte ed in specie in questi primi momenti d'un nuovo ufficio; e neppure tutti i momenti che potrei dir liberi, possono fare per me, che ho già tanto stanca la vista, che m'è impossibile talvolta di lavorare.
Entro tosto in materia.
Io penso che una Legazione italiana a Londra debba oggi tenersi in grado cospicuo, e non inferiore a quello delle altre potenze di primo ordine. Amerei in proposito ricevere da Lei informazioni giuste, onde potessi regolare il mio criterio, in ispecie per apparecchiare il Bilancio per il Ministero degli Esteri per l'anno 1862.
La ricognizione del nuovo Regno per parte della Francia è senza condizioni
o riserve che offendano la nostra dignità e impediscano lo svolgimento ulteriore della nostra nazionalità. Così dunque io non ho niente a lamentarmi. Ciò nonostante gli Italiani, e con essi il mondo civile, ed inoltre i Cattolici sinceri, debbono deplorare la ostinazione Romana, e debbono adoperare senza posa per una soluzione sapiente e sollecita dell'affare romano. Le circostanze che lo impongono sono tali, che ove si aspetti la soluzione unicamente dal tempo, il che vuoi dire dalla progressione degli eccessi, che in ogni maniera di violenza e di stupidità s'i commettono dalla Curia Romana, io prevedo una soluzione brusca e dannosa agl'interessi stessi della Chiesa Romana. Io non temo nulla di protondamente lesivo alla nostra causa nel prolungamento di questo stato di cose, che in Roma si mantiene sotto lo scudo delle armi francesi; ma vedo però che l'indugio genera e genererà molti danni; sarà una continua offesa all'umanità, un vituperio alla Religione, che si deve da tutti deplorare. Così una proposta che potesse conciliare i veri e sacri interessi della Chiesa, senza danneggiare i supremi ed imprescrittibili diritti nazionali, sarebbe oltremodo desiderabile. Non dipenderebbe dal Governo del Re che tale proposta non si facesse, e tale che armonizzerebbe compiutamente con i grandi principii di libertà, dai quali ogni rigenerazione deve venire. Separazione della potestà temporale e libertà piena della Chiesa, e indipendenza nell'amministrazione di se stessa, devono esserne i cardini. D'altronde non è credibile che riformandosi tutte le istituzioni sociali, quella della Chiesa possa durare attaccandosi al passato, piuttosto che rigenerandosi nelle fonti della sapienza divina.
Egli è pur certo che persistendo nelle pastoie, in cui l'Imperatore de' Francesi tiene l'affare di Roma, questo s'invelenisce, s'imputridisce ognora più; e l'Italia, che sola oggi mostra saggezza, avrà ed ha da faticare assai per non restare offesa dalle conseguenze. L'Imperatore stesso non vuole accorgersi che questo stato di cose ha per effetto di frapporre un ostacolo alla simpatia che dovrebbe correre naturalmente viva tra i due popoli francese ed italiano, e che correrebbe quando cessasse l'occupazione Romana; neppure si accorge che il suo contegno nelle cose Romane da un lato gli attira odio, senza che ispiri amore alla parte liberale.
Si opina che morto il Papa attuale, il nuovo accetterebbe i fatti compiuti. Forse non si pensa che occorrerebbe eziandio rilasciare il resto degli antichi Stati Papali; ossia farebbe d'uopo rinunziare al potere temporale. Così dovrebbe fare e forse farebbe, se le truppe francesi in tal caso lasciassero Roma. Io credo che l'Imperatore dei Francesi, a sede vacante, dovrebbe almeno farsi surrogare dalle truppe del Re d'Italia; nè io avrei ritegno di promettere che vi stassero a tutela del Santo Padre per un tempo, che dovrebbe essere sufficiente a combinare il modo per la sistemazione ulteriore del Capo della Chiesa Cattolica. Dovrebbe bene pensarci l'Imperatore di non impegnarsi con un nuovo Papa, che potrebbe, forse, volere proseguire per la via di ostinazione del predecessore; dovrebbe guardar bene a non continuare per una via che offende tuttogiorno il grande principio di non intervento da lui fondato, come offende la dignità della nazione francese, la dignità e gl'interessi d'Italia, e mantiene nel Cattolicismo un germe che può portare alle più gravi, alle più disastrose conseguenze.
Io concludo che mantenere questo stato di cose in Roma è contrario alla Chiesa Cattolica, è pernicioso all'Imperatore e alla Francia; mantiene nel seno degl'Italiani un fomite perenne d'inquietezza e di malessere; minaccia una soluzione violenta, e dannosa al principio di umanità. È al contrario di utile grande per la Chiesa, per la Francia e per l'Italia che la soluzione delle cose romane avvenga sotto l'azione dei grandi principii di umanità e di libertà. Perché questo non avviene? Roma e Francia sono sotto lo stesso malefico influsso. L'Italia al contrario, tenendosi nella via della sapienza, porge alla Francia e a Roma il vero scioglimento, libertà piena alla Chiesa; ma infine l'Italia stessa durerà in una paziente sapienza così stupidamente sottoposta a durissime pruove? Quanto a me, deciso di non darmi riposo per arrivare a una soluzione, manterrò per dovere e per convinzione ovunque l'ordine, e non permetterò che si attenti in alcuna parte del Regno alla inviolabilità del territorio, che resta ancora consegnato * all"infernale * Governo della Curia Romana. Confido però nella saggezza dei Governi.
In una felice e pronta soluzione delle cose romane, vedrei facilitarsi anco l'acquisto della Venezia. In un riscatto con denaro io non conto. È un modo, che un Governo che si rispetti, non accetterebbe mai! Quando la soluzione debba esser pacifica, io non la vedo che in un compenso di territorio. D'onde trarsi questo territorio equivalente alla Venezia?
Ho riso in questi giorni per la semplicità, con che si crede costà alla cessione della Sardegna. Io non amo sentirne parlare. Finché io sia vivo, e solamente Deputato, non si cederà un pollice di territorio italiano. In Italia non v'è territorio altro che italiano, e vi sono parti che ancora non appartengono agl'Italiani, e a loro dovranno appartenere. Io dico al Governo Inglese e agl'Inglesi: «Non vi lasciate pigliare dalle paure di cessioni, e piuttosto cooperate al riacquisto di quanto non è ancora degl'Italiani; questo riacquisto in un modo o nell'altro deve farsi; ove le vie pacifiche non bastino, verrà l'occasione per la riconquista ».
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(A R B, cass. 48, n. 70, orig. autogr.)
L. P. 3. Londra, 24 giugno 1861.
Mi recai ieri da Lord John Russell ed avendogli chiesto che notizie avea da Torino, egli mi disse che indirettamente egli aveva inteso, per mezzo di Lord Ellenborough, che ove un movimento ostile si fosse dichiarato in Ungheria, credeva difficile l'E. V. che l'Italia potesse starsene con le mani alla cintola. Lord
John non diede un parere a questo riguardo, limitandosi ad osservare che per mezzo del Conte Appony l'Austria asseriva di non voler prendere in Ungheria misure estreme. Ora e sopratutto dopo recenti eventualità, il partito liberale in Ungheria non parendo disposto a prendere le armi, era da sperarsi fra queste due attitudini passive che la pace non sarebbe turbata. Dissi allora che il passivo pareva stesse certamente a favore dell'Austria, poiché non gli si pagavano le imposte. E Lord John assenti, aggiungendo che certamente questo potrebbe dar luogo a contese con spargimento di sangue. Doversi aspettare per giudicare la situazione che altri ragguagli si fossero ottenuti.
Passando quindi alla quistione romana, egli disse che benchè forse non credesse interamente d'andar così lontano come l'illustre Conte di Cavour, però non potersi sicuramente negare che l'occupazione armata per parte dei Francesi di Roma, non presentasse una strana anomalia in un paese che si voleva libero e che trovavasi per dir così tagliato in due da questa posizione strategica e politica di una nazione forestiera. Averne egli fatto parola col conte di Flahault, il quale recentemente gli venne a leggere la risposta data all'insistenza dell'Austria e della Spagna. Ma limitarsi Thouvenel a rispondere che i motivi che avean condotta l'armata francese a Roma, esistendo tuttora, non si pensava a levarla. Interpretai questa risposta quasi volesse significare che esistendo tuttora il pericolo di un intervento austriaco o spagnolo, la Francia credesse dover impedirlo colla presenza delle sue truppe. E spiegava questa supposizione dall'idea che l'Imperatore fosse stanco della posizione falsa ch'avea in Italia, e non desiderasse prolungarla indefinitivamente. Lord John rispose che forse poteva esser così, ma tutt'assieme dava a temere che per un motivo o l'altro la cosa non fosse presta a finire. Avend'io fatta allusione a quanto disse ultimamente alla Camera, egli mi fece notare che erroneamente qualche giornale estero aveva attribuito, come venendo da lui, una risposta la quale era soltanto una citazione di quella di Thouvenel.
Alla mia interrogazione se l'Inghilterra avrebbe visto di buon occhio una soluzione presa di concerto fra le sole potenze cattoliche, disse che tutt'altro: l'Inghilterra, senza precisamente opporvisi, avrebbe trovato un tal modo di procedere senza lei passabilmente offensivo.
Mi disse poi che aveva permesso a suo nipote Odo Russell di venire a Londra per qualche settimana desiderando sapere da lui direttamente come stessero le cose.
Gli feci osservare essere opinione di molti che il Papa stava in grave pericolo della vita e che potendo, da un momento all'altro, aver luogo una sede vacante intrighi senza fine erano da aspettarsi da varie potenze epperciò lo facevo giudice dell'opportunità di questa assenza.
Sembrò Lord J ohn colpito da questa idea, ma disse che finora le notizie che riceveva non gli davano a credere un pericolo immediato.
Avendo io nella conversazione fatto allus'ione all'opportunità in simil caso di cogliere il destro d'una tal transizione tra un pontificato e l'altro per stabilire a Roma un nuovo ordine di cose che possa essere accettato dal successore di Pio IX, Lord John rispose interamente in quel senso ed aver egli particolarmente scritto nel modo istesso nelle sue istruzioni confidenziali. Ed (io) gli citai l'opinione analoga del primo Napoleone, come conforme alla sua.
Mi diè lettura di una lettera particolare di suo nipote Odo da Roma, in cui diceva aver il Papa consigliato ai Cardinali, ov'egli venisse· a morire, d'adunarsi ed eleggere immediatamente un successore prima che o i liberali o la politica estera potessero intervenire; i Cardinali avrebbero ricevuto freddamente questo suggerimento dicendo, morta S. S. non aver egli il diritto di dar disposizioni per la nomina d'un successore. E ch'eran di parere che non prima del solito, cioè di nove giorni, si dovesse adunare il Conclave. Questo concorderebbe con quanto si diceva qua, desiderarsi cioè da gran parte del clero che fatti compiuti li mettano al caso d'accettarli.
Odo Russell soggiunse che morto il Papa dovrà il Cardinale Antonelli sottrarsi colla fuga alla vendetta dei numerosi suoi nemici, fra cui parecchi Cardinali. Dice la lettera che Gramont e Goyon non van d'accordo. E quanto alla salute del Papa, non la vede tanto in nero.
Tanto Lord John come Lord Palmerston mi dissero di aver ricevuto da Parigi le osservazioni le più officiali e le più decise sulla non esistenza di viste francesi sulla Sardegna. S'aggiungeva che se il Governo italiano credeva alla presenza di propagandisti nell'isola, dovea arrestarli. E disse il Thouvenel d'aver date istruzioni severe ai Consoli francesi in Sardegna, onde impediscano, qualunque influenza francese d'esercitarsi in quel senso. Dietro al principio che chi sprezza apprezza, essi dicono che non val la pena per un simile paese d'incontrar difficoltà massime.
Lord John soggiunge che i rapporti di due Consoli inglesi in Sardegna non lo aiutavan punto. L'uno dicendo non esistervi propaganda francese. L'altro invece affermando il contrario.
Il Conte Flahault anche lui spontaneamente mi venne a parlare a questo proposito trattando d'assurdi i rumori di questo genere.
I due Ministri inglesi mi dissero poi di nulla ancora aver ricevuto in proposito da V. E. Al che risposi esser sicuramente inutile una risposta per parte dell'E. V., essendo i suoi principii abbastanza conosciuti. E mi sembrarono dello stesso parere.
Lord John mi disse avergli Hudson scritto che il dottor Pantaleoni, dopo aver visto parecchie volte Thouvenel, era tornato a Torino. Mi espresse il suo rincrescimento di non averlo visto a Londra, e soggiunse ridendo che anni sono Pantaleoni aveagli detto esser suo parere che soltanto si dovesse desiderare una riforma nel Governo Pontificio, ma voler i Romani sopprimerlo affatto. Disse allora Lord John che i Romani avean ragione ed avrebbe desiderato ora domandare a Pantaleoni chi dei due ora trovasi aver avuto ragione.
Credo necessario, vedendo con quale insistenza i giornali del continente spacciano tali assurdità, di dar la smentita la più completa ai rumori che si sono sparsi relativamente alla salute della Regina Vittoria. Trovasi precisamente di servizio, in questo momento, una delle figlie di Lady Palmerston, e sicuramente, se esistesse qualcosa di simil fatta, non potrebbe mai esser il segreto così gelosamente custodito che non se ne sapesse qualche cosa. La Regina è stata addoloratissima della morte di sua madre; ma trovasi, del resto, come al solito. Non posso spiegarmi questa notizia se non perché da qualche anno si pretendeva che i medici eran di parere, che ove S. M. non avesse avuto più figli, questo avrebbe influito sulle sue facoltà mentali.
S'aspettano stasera in Londra il Conte e la Contessa di Persigny. Non si attribuisce però alla venuta dell'ex-Ambasciatore nessun scopo politico. Viene ad accompagnare sua moglie desiderosissima di rivedere gli amici suoi in Londra.
P. S.-Credo necessario d'informare l'E. V. che in certi casi in cui per ]ettere di affari devo servirmi della posta, che per accordo preso con una persona fidatissima gliele trasmetto in un semplice involto senza indirizzo, onde così vengano recapitate all'E. V .
IL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 566. Parigi, 25 giugno 1861, ore 9 (per. ore 11).
Le Moniteur de ce matin annonce la reconnaissance dans ces termes: «L'Empereur a reconnu le Rdi Victor Emmanuel comme Roi d'Italie. En notifiant cette détermination ati Cabinet de Turin le Gouvernement de S. M. I. a déclaré qu'il déclinait d'avance toute solidarité dans les entreprises de nature à troubler la paix de l'Europe, et que les troupes françaises continueront à occuper Rome tant que les intérets qui les y ont amenées ne seront pas couverts par des garanties suffisantes ».
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 567. Parigi, 25 giugno 1861, ore 11,42 (per. ore 14,15).
Les notes ne seront pas publiées dans le Moniteur pour vous laisser pleine liberté d'action; si pourtant vous le jugez convenable, vous pourrez le publier m'en prévenant par télégraphe. Il est presque impossible que l'Empereur reçoive Piombino dans ce moment; Thouvenel est d'avis qu'il ne le reçoive point. Arese est attendu avec empressement par S. M. I. et meme par l'Impératrice; sa venue ici fera grand bien. La Valette a reçu ordre de ne pas quitter Constantinople vu l'état du Sultan. Pour le moment on n'enverra pas d'Ambassadeur à Turin, mais un simple Ministre Plénipotentiaire. Je travaille de mon mieux pour avoir Benedetti.
IL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 568. Parigi, 25 giugno 1861, ore 12,15 (per. ore 14,20).
A dix heures j'ai présenté à Thouvenel votre dépeche du 21. Thouvenel a témoigné sa satisfaction pour l'heureux succès des négociations ayant pour but
la reconnaissance du Royaume d'Italie et son espoir dans la continuation des bons rapports entre la France et l'Italie. L'état de sainté du Sultan qui était très compromis hier n'est plus aujourd'hui si alarmant. La Valette a reçu l'ordre de rentrer à Constantinople.
IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 569. Costantinopoli, 25 giugno 1861, ore 14 (per. ore 17,40\
S. M. le Sultan est décédé ce matin; son frère Abdul-Aziz Effendi lui succède. Tout est maintenant tranquille. Je prie V. E. de me prévenir aussitòt que la reconnaissance du Royaume d'Italie de la part de la France aura lieu afin d'accélérer la conclusion du Traité de commerce.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(Ed. in Ricasoli, VI pp. 28-32) (l)
L. P. 55. Pm·igi, 25 giugno 1861.
En arrivant à Paris je me suis empressé de me rendre chez le Ministre des Affaires Etrangères qui m'attendait avec impatience. La réponse envoyée par le gouvernement du Roi au Cabinet des Tuileries, a été trouvée satisfaisante par
M. Thouvenel, qui s'est chargé de la remettre le lendemain à l'Empereur.
Sur mes instances ré'itérées, pour qu'il allàt voir l'Empereur le jour meme pour mettre V. E. en mesure d'annoncer à la Chambre la reconnaissance du Roi d'Italie pour le lundi 24 le Ministre m'a demontré l'impossibilité pour lui de se rendre à mon désir, n'osant aller chez S. M. avant le moment que l'Empereur lui avait fixé. D'ailleurs, a-t-il ajouté, il est impossible que la reconnaissance soit publiée, sans que la réponse du Cabinet de Turin soit connue par le Conseil des Ministres, convoqué pour lundi, à cet effet.
Cette réponse très catégorique et faite malgré mes vives instances a motivé ma première dépeche, dans laquelle je vous annonçais l'impossibirité d'adhérer à votre désir, et la nécessité de différer à aujourd'hui la communication au Parlement.
L'Empereur toujours animé des memes sentiments de bienveillance pour le gouvernement du Roi, vous a envoyé de Fontainebleau, hier à deux heures, l'autorisation désirée par V. E. J'ignore si elle est arrivée à temps.
13 -Documenti diplonuth-i -Serie I-Vol. I
Dès ma prem1ere entrevue avec M. Thouvenel, je l'ai trouvé très préoccupé des complications que pourrait amener la mort imminente du Sultan. Ordre immédiat a été envoyé à M. de Lavalette de ne pas quitter son poste pour le moment, sa présence à Constantinople étant jugée indispensable.
L'Empereur semble avoir changé d'avis sur ses intentions de ériger en Ambassade la Légat'ion de Turin. C'est seulement dans quelques mois que cet acte qui implique une nouvelle marque de sympathie aura lieu.
La nécessité de laisser M. Lavalette à Constantinople et le désir de ne pas envoyer de suite un Ambassadeur, font de soi-meme tomber la possibilité d'avoir à Turin ce diplomate dont les antécédents et les opinions auraient parfaitement convenu au gouvernement du Roi.
Fermement convaincu de la nécessité exprimée par V. E. d'avoir à Turin un représentant français, qui ne fut pas comme la plupart des diplomates de ce pays contraire à l'Italie et aux véritables idées de l'Empereur, j'ai cru servir aux intentions de V. E. en renouvelant tous mes efforts, pour que le choix du Ministre tombat sur Benedetti.
J'ai taché de vaincre les répugnances que M. Thouvenel éprouve à se séparer de son habile secrétaire général. Il en a parlé à l'Empereur, auquel je n'ai pas manqué de faire parvenir de mon còté les plus vives sollicitations à ce sujet.
Je ne puis encore vous envoyer une formelle assurance sur l'accomplissement de notre désir, mais je puis assurer V. E. que S. M. s'est montré très favorable à ce sujet.
Le Père Louis Marie, des Carmes déchaussés, qui était entré en rapports avec M. de Cavour et qui l'avait meme étonné par la largeur de ses vues en matière religieuse, ayant pleinement adopté le principe de libre Eglise en libre Etat, est revenu de Rome, où il avait été envoyé par l'Empereur d'accord avec M. Thouvenel et Cavour. Il apporte que la mort du célèbre Ministre a causé à Rome la plus vive émotion parm'i tous les Cardinaux, notamment ceux qui s'étaient montrés favorables au projet que le Cabinet de Turin avait fait parvenir au sacre Collège.
La situation de la ville éternelle est peinte par le Père Louis avec des couleurs très sombres; le parti de Monseigneur de Mérode est plus exalté que jamais, et on croit que s'il ne rencontre pas d'obstacles dans le S. Père, il ne tardera pas à compromettre tout-à-fait les intérets dont il s'est fait le champion.
L'avis du Père Luis est que le gouvernement du Roi ne devait pas tarder
à faire connaitre au S. Père ses intentions bien arretées de maintenir en cas
d'arrangement les conditions proposées jadis par le Comte de Cavour. Cette
démarche sera d'autant plus nécessaire en vue de l'état de santé du Pape qui
parait, au dire général, ne pas pouvoir vivre au delà de l'automne.
Les renseignements arrivés au Ministre des Affaires Etrangères confirment les assertions du Père Mar'ie sur la santé du S. Pontife.
L'occupation de Rome par l'armée française qui certes durera plusieurs
mois encore pourra etre, selon M. Thouvenel et l'Empereur, d'un grand poids
sur l'élection d'un nouveau Pape, et il sera d'autant plus facile au gouver
nement de l'Empereur d'exercer son infiuence, si des Cardinaux encouragés par les démarches constantes du gouvernement du Roi pour amener un arrangement, auront le moyen de se montrer favorables au nouvel état de choses.
Le général Klapka est ici de retour de Londres, il se rend à Genève où le général Tlirr doit le rejoindre. La Hongrie suivra décidément sa révolution légale sans amener une conflagration, qui donnerait dans ce moment gain de cause à l'Autriche et qui aurait pour résultat de désarmer et d'affaiblir le pays, par des moyens indirects. L'Empereur ne manque pas d'encourager les chefs Hongrois dans la voie de la modération, les événements étant éloignés pour le moment, il faut tacher de les préparer pour l'avenir.
La question d'Orient, le mouvement des nationalités, et le mécontentement de toutes les populations Allemandes, offrent les éléments qui pourront ouvrir à la France la voie à ses veritables tendances, d'autant plus qu'en France la politique Imperiale commence à etre comprise, et les partis à etre clairement dessinés.
Le Comte Arese est attendu ici. J'ai eu l'honneur de le dire à V. E. sa venue ne pourra qu'apporter une influence salutaire à notre cause.
L'Empereur enverra un général de sa maison pour complimenter le Roi et lui apporter une lettre autographe adaptée à la circonstance, et s'i l'Empereur ne repond pas à présent à la lettre du Roi, c'est seulement pour éviter de répéter dans la lettre les phrases de réserve qu'ont été écrites dans la note qui à servi de base à la reconnaissance.
Les répéter, ce serait vouloir s'immiscer trop directement et vouloir donner à ces réserves une étendue plus grande qu'elles n'ont pas elles memes. Thouvenel a l'intention de proposer à l'Empereur d'envoyer le Maréchal Niel, ou le général Fleury.
Je me permets de faire observer à V. E. qu'il serait utile de pourvoir le plus tòt possible à l'envoi du M'inistre ici, pour que la lacune des rapports officiels ne soit plus prolongée.
Je prierai aussi V. E. de vouloir bien me faire connaitre ses intentions au sujet de la question de Rome, car M. Thouvenel désirait se mettre d'accord pour statuer préalablement sur le choix du nouveau Pape qui devrait etre fait, d'accord entre les deux gouvernements, comme a été arreté avec M. de Cavour.
M. Boittelle, préfet de police, me charge de Vous prévenir que Mazzini déploye toute son activité pour provoquer un mouvement dans les états du P ape.
On vous recommande M. le Baron da faire b'ien surveiller les frontières. C'est sur Garibaldi que Mazzini tache aussi d'exercer son influence malfaisante. Il parait que Garibaldi a fait en France et en Angleterre des demandes d'argent.
M. de Metternich est très mécontent de son séjour à Fontainebleau. Il passe ses journées avec l'Impératrice, mais l'Empereur ne se laisse voir que très peu le tenant complètement à l'écart et réfusant toute conversation d'apparence. M. La Guerronnière directeur de la Presse ne demande pas mieux que de se mettre à votre disposition pour tout ce qui pourra vous etre agréable,
lui ayant manifesté ainsi qu'à M. de Persigny votre désir que la presse française eiìt soin de présenter la question italienne à son véritable point de vue. MM. Laguerronnière et Persigny se sont démontrés tout à fait favorables à ce désir. Je confie cette lettre à M. le Comte Greppi, premier secrétaire de Légation à Berlin, qui se rend à Tur'in ce soir.
(l) Se ne dà peraltro il testo collazionato sull'originale esistente in A C R.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI
T. 390. Torino, 26 giugno 1861, ore 16,30.
Le Gouvernement du Roi a décidé de déposer demain à la Chambre les Notes officielles échangées avec le Gouvernement Impérial.
IL MINISTRO FRANCESE DEGLI ESTERI, THOUVENEL, ALL'INCARICATO D'AFFARI FRANCESE A TORINO, RAYNEVAL (l)
(Ed. in L. V., I., 1861, pp. 8-9)
Parigi, 26 giugno 1861.
Le bruit s'étant répandu que le Gouvernement de l'Empereur cherchait à obtenir la cession de l'ile de Sardaigne, j'ai cru devoir inviter notre consul à Cagliari à saisir toutes les occasions de démentir cette assertion. Je vous envoie ci-jointe, en copie, la dépeche que j'ai écrit à ce sujet à M. Grosse, et dont vous pourrez faire usage ainsi que vous le jugerez convenable.
ALLEGATO.
Paris, 11 juin 1861.
Monsieur,
vous aurez remarqué que le bruit s'est un moment répandu de l'intention où serait le Gouvernement de l'Empereur d'obtenir la cession de la Sardaigne, et que l'on a été jusqu'à prétendre que des agents français parcouraient l'ile pour préparer les populations à l'annexion de leur pays à la France. Vous savez, Monsieur, que ces conjectures ne sauraient avoir aucun fondement, et que nous n'avons jamais donné le moindre prétexte autorisant à nous preter un pareil dessein. Nous devons donc démentir hautement de si étranges assertions, qui tendent à faire suspecter notre loyauté; et je vous prie de saisir, de votre còté, toutes les occasions qui vous seront offertes pour empecher qu'elles soient plus longtemps propagées dans votre résidence. Ces rumeurs ayant été reproduites par les correspondants des journaux de Londres, vous voudrez bien vous en expliquer très-nettement, dès que vous en trouverez le moment opportun, aussi bien avec votre collègue d'Angleterre qu'avec les autorités locales.
THOUVENEL
(l) Comunicato a Ricasoli da Rayneval.
VITTORIO EMANUELE II A NAPOLEONE III
(Ed. in R. BoNFADINI, Vita di F. Arese, Torino 1894, pp. 272-273).
Torino, 27 giugno 1861.
Les événements qui se sont dernièrement accomplis dans la Péninsule italienne et qui sont le résultat de la volonté libre et spontanée des populations, m'ont décidé à sanctionner la loi que le Parlement a votée et par laquelle j'assume pour moi et pour mes successeurs le titre de Roi d'Italie. Cet acte se trouvant ainsi consacré solennellement, je charge le Comte François Arese, sénateur du Royaume, d'en apporter personnellement à V. M. I. la notification, en qualité de mon ambassadeur extraordinaire. Je suis persuadé que V. M. verra avec plaisir le choix que je viens de faire de ce personnage pour cette honorable mission, et qu'Elle voudra bien l'accueillir avec sa bienveillance accoutumée. Je prie en conséquence V. M. de prèter une foi entière à tout ce que le Comte Arese aura l'honneur de lui dire de ma part et surtout lorsqu'il l'assurera des vceux ardents que je ne cesse de faire pour le bonheur de V. M. et de Sa Maison Impériale et pour la prospérité de la France. Ces vceux sont une suite des sentiments très vifs de haute estime et d'inaltérable amitié avec lesquels je suis.
ISTRUZIONI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE
(Ed. in R. BONFADINI, op. cit., pp. 276-278)
Torino, 27 giugno 1861.
l. Dimostrare all'Imperatore l'impossibilità che il Papato rimanga nelle attuali condizioni e che a Roma le cose continuino lungo tempo nello stato presente, senza divenire per l'Italia una piaga logoratrice. Dedurre la necessità che la Questione Romana progredisca, almeno d'un passo, prima che il Parlamento si riunisca di nuovo nella sessione autunnale.
2. -Ciò posto, prevedere le due ipotesi: Papa vivo, o vacanza nella Santa Sede. 3. -Finchè vive il Papa, il Governo del Re deve continuare a far proposte di conciliazione. Questi negoziati, diretti fra il Governo del Re e quello della Santa Sede, avranno per lo meno il vantaggio di metter sempre più nel torto la Curia romana. 4. -Pregare l'Imperatore di adoperare tutta la sua influenza per agevolare queste trattative. Il richiamo delle truppe francesi sarebbe il mezzo più effi. cace per costringere la Curia romana ad addivenire agli accordi. 5. -Per agevolare all'Imperatore il richiamo delle sue truppe, il Governo del Re è disposto ad accettare il disegno di trattato proposto dal Principe Napoleone e formulato in cinque punti mediante una lettera in data 13 aprile 1861, che fu approvata dall'Imperatore. 6. -Ove questo disegno non potesse più essere eseguito, il Presidente del Consiglio acconsentirebbe anche a sostituire alle truppe francesi una guarnigione italiana, la quale non avrebbe pur sempre altro ufficio che di mantenere l'ordine, senza pregiudicare punto le questioni di sovranità per le quali si continuerebbe a trattare. La guarnigione potrebbe anche essere mista, di truppe italiane e francesi o di truppe italiane e papaline. 7. -Nei negoziati fra il Governo del Re e la Corte Romana, si continuerebbe a pigliar per base il principio: «Libera Chiesa in libero Stato ». Sarebbero mantenute in massima le istruzioni date al Padre Passaglia. 8. -Ove ciò non bastasse, e l'Imperatore lo credesse necessario, si potrebbe eziandio mettere innanzi il disegno di lasciare al Papa la città Leonina. 9. -In caso di morte del Pontefice, l'Imperatore ed il Re dovrebbero segretamente accordarsi sulla condotta a tenere sia rispetto al Conclave, sia rispetto alla popolazione romana. 10. -Rispetto al Conclave, occorre esercitare ogni mezzo d'influenza per formare un partito energico e liberale che facesse adottare e giurare dai Cardinali costituzioni consone al principio degli accordi proposti. I capi più adatti a ciò sarebbe i cardinali Di Pietro e De Silvestri. Conviene inoltre far uso delle esclusive spettanti alla Francia ed al Portogallo e preparare la via all'elezione d'un Papa liberale. È perciò necessario accordarsi sul candidato (Santucci, Bofondi). 11. -Rispetto alle popolazioni fa d'uopo pregare l'Imperatore di permettere che, tosto morto il Pontefice, ed appena i Cardinali saranno riuniti in Conclave, si voti per suffragio universale l'annessione di Roma al Regno d'Italia. Mancando il principio del diritto regio: «Le mort saisit le vif », la sovranità durante la vacanza della Santa Sede deve far ritorno al popolo, il quale può esercitarla senza violare i riguardi di gratitudine o di riverenza verso un titolare esistente. Ogni difficoltà sarebbe così agevolmente superata, ed il nuovo Papa, trovando già cessato di fatto il potere temporale, potrebbe più convenientemente rassegnarsi al nuovo ordine di cose. Ma siccome è a temersi che i Cardinali cerchino di tener nascosta la morte del Pontefice e riunirsi segretamente per procedere, omessa ogni canonica formalità, ad una frettolosa ed arbitraria elezione, fa d'uopo ottener che l'Imperatore sostituisca a Goyon ed a Gramont altri uomini, che possano mettersi compiutamente d'accordo cogli agenti del Governo italiano. La stessa presenza delle truppe francesi a Roma servirebbe in questa ipotesi a guarentire la legalità e la sincerità del voto d'annessione emesso per suffragio universale.L'Imperatore, riconoscendo l'autorità ed efficacia di questo voto, non farebbe che applicare a Roma, ne:i momento in cui niun vincolo personale lo lega col Pontefice futuro, quel rispetto della volontà popolare ch'egli ha gloriosamente introdotto nel pubblico diritto europeo. A questo principio rendeva esplicito omaggio il signor ministro Thouvenel, anche in ciò che riguarda la Questione Romana, nella bellissima e recente sua nota (6 giugno 1861) alla Spagna ed all'Austria.
12. In caso di elezione fatta altrove che a Roma, e particolarmente sul territorio austriaco, il Governo italiano spera che l'Imperatore sarà d'accordo col Re nel non ammettere la validità dell'elezione.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, THOUVENEL
(Ed. in A. PrNGAUD, B. Ricasoli e la questione romana in • Nuova Antologia •, l febbraio 1932, pp. 364-365)
L. P. Torino, 27 giugno 1861.
Accordez-moi votre bienveillance et veuillez me permettre d'ouvrir toute entière mon àme sur les affaires de Rome. Premièrement, en mon nom et au nom de tous mes concitoyens, je vous professe une bien vive reconnaissancc pour l'heureux résultat qui, moyennant vos sages conseils, rétablit entre la France et l'Italie ces bons rapports qui, à mon avis, sont destinés à se raffermir tous les jours davantage, et à produire des bienfaisants effets sur les conditions de l'Europe.
Je passe à parler de Rome.
La France et l'Italie ont le meme intéret dans le règlement de l'affaire de Rome. J'ose meme dire que l'intéret est encore plus grand du còté de l'Empereur et de son gouvernement. L'Italie souffre de cette agitation qui trouve sa cause dans les conditions violentes de Rome, mais enfìn elle est dans son droit, la raison et la confìance publique sont pour elle; l'Italie est dans une position nette. La France ne l'est pas. L'occupation de Rome est la violation d'un grand principe, qui fait l'honneur de la France de l'avoir proclamé et sérieusement soutenu au prix du sang. Le gouvernement impérial par cette occupation maintient et alimente la résistance obstinée et anti-chrétienne du gouvernement romain, qu'on peut maintenant juger comme un pouvoir factieux, qui veut se maintenir par tous les moyens possibles contre la volonté de Dieu et des hommes. Ce fait malheureusement doit avoir deux fàcheuses conséquences: lo de refroidir la sympathie des Italiens envers l'Empereur, et d'empecher ainsi qu'une force libérale imposante se forme en France, et sur laquelle le gouvernement puisse s'appuyer comme inévitable base à toute autorité ; 2o d'empecher que Rome se détache avec loyauté et franchise d'un pouvoir tout à fait contraire à (l) la grandeur et à la force de l'Eglise.
L'obstination de Rome, entretenue par la sureté que Rome trouve dans la présence des troupes françaises, aura de bien tristes conséquences. J'en suis sur. Je vois les choses de près, et je suis en état de mieux en juger.
Le gouvernement du Roi juge les choses avec calme, et de la hauteur d'un grand principe; autant qu'il dépend de lui, il empechera la ruine du Pontifìcat, tout en aidant la réforme inévitable de l'Eglise romaine. La réforme doit nécessairement se faire à la suite de l'abandon du pouvoir temporel et de l'application du principe de liberté. La réforme sera la régénération de l'Eglise et du principe religieux, sera l'étendue du catholicisme. Le Pape gagnera encore des millions de fìdèles. Mais il faut de la bonne volonté, et sans retard. Persévérant dans l'obstination et dans la violence, laissant que le mal par son excès ouvre le chemin au remède, je crains que le remède tardera trop et que l'opportunité sera perdue. Je déplorerai cela comme homme d'Etat; mais comme citoyen, je suis sur que l'Italie y gagnera. Veuillez bien, Excellence, considérer quelle sera la position de la France en ce cas extreme. On ne peut pas la préciser, mais on peut la pressentir très grave et difficile. Il me parait que nous devons travailler ensemble pour trouver une solution sage de cette affaire de Rome. Il me parait que la France doive aider le gouvernement du Roi, afìn qu'il puisse s'entendre avec le Pape et ses cardinaux et préparer à l'Eglise un avenir meilleur en la faisant revivre de ses propres cendres.
Quant à notre intérieur, nous rencontrons des diffìcultés qui sont naturelles à cet état de choses. Les réactionnaires et les mazziniens s'agitent et mettent en commun leurs efforts sous le prétexte de l'espoir que Rome maintient; mais le gouvernement ne cédera devant aucune tentative, soyez-en sur, et il a la force pour combattre les brigands et les factieux.
Mais, je répète encore, il faut presser la solution de Rome, parce que je n'ai pas d'espoir, meme sur un nouveau Pape, s'il se trouvera soutenu par les troupes françaises.
Je soumets ces questions à votre haute sagesse.
(l) Nel testo edito dal Pingaud mancano le parole • contraire à ».
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOL!
(Ed. in Ricasoli, VI, p. 32)
T. 575. Parigi, 27 giugno 1861, ore 20,25 (per. ore 22,10).
Votre discours à la Chambre pour communiquer la reconnaissance a produit le meilleur effet. Le Général Fleury qui revient de Fontainebleau m'a dit que l'Empereur en a été très satisfait. Je n'ai pu dire à Thouvenel que vous publiez les deux notes, car il est à la campagne jusqu'à ce soir. La mort du Sultan fait craindre ici des graves complications. On craint que le nouveau Sultan tombe sous l'influence anglaise. La santé du Pape empire toujours plus. L'Empereur parait retarder de quelques jours son voyage à Vichy. Prévenez-en Arese.
IL MINISTRO A MADRID, TECCO,
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 173. Madrid, 27 giugno 1861.
Alcuni gravi diplomatici incidenti massimamente relativi alla nostra causa nazionale vennero in questi giorni a produrre su questo Governo quasi una sorpresa altrettanto poco gradita quanto d'altronde da esso, a dir vero, ben meritata.
L'uno dei detti incidenti si fu la comunicazione al Governo istesso, per parte di questo Incaricato d'Affari di Francia, Conte di Bondy, sul fatto del riconoscimento del Regno d'Italia dall'Imperatore dei Francesi, comunicazione su cui mi diedi già premura d'informare telegraficamente V. E.
Non ebbi a meravigliarmi che tale comunicazione sia tornata, come si seppe, assai poco gradita a questo Ministro degli Affari Esteri dopo quanto già avevo dovuto portare a cognizione di V. E. sulle strane difficoltà, da lui poco anzi sì mal a proposito elevate riguardo al modo provvisorio precedente
mente convenuto per le nostre relazioni con questo Governo. Nell'elevare che fece allora simili difficoltà, doveva egli naturalmente lusingarsi che il riconoscimento della Francia sarebbe stato ancora almeno ritardato.
All'ora menzionato diplomatico incidente se ne aggiunse ben tosto un altro anche più disaggradevole al certo per lo stesso Governo, quale fu la pubblicazione da giornale straniero della risposta del signor Thouvenel ad una nota, in cui l'ambasciatore di Spagna in Parigi in ~ocietà con quello di Austria eccitava ad un accordo di Cattoliche Potenze in favore del potere temporale del Papa. Simile inattesa rivelazione infatti venne a mostrare al pubblico quanto questo Governo fossesi lasciato vergognosamente illudere dal pseudo liberale signor Mon per assumere l'odiosa solidarietà di una proposta comune coll'Austria, e ciò dopo aver sempre vantato da parte sua principii liberali non solo, ma ben anco vive simpatie per la causa nazionale d'Italia.
Per singolare coincidenza poi venne qui pure a colpire il pubblico un'altra rivelazione ancora la quale sebbene in tutt'altro oggetto non fu però meno spiacevole a questo Gabinetto; comparve infatti pubblicata da straniera stampa una proclamazione dell'Imperatore di Marocco, da cui risulterebbe che egli già pronto e risoluto ad entrare in una nuova guerra colla Spagna ne sarebbe stato solo ritenuto dalla mediazione della Francia. Ora secondo queste pubblicazioni ministeriali in proposito, la vertenza col Marocco sarebbesi dovuta trovare in ben altri termini poiché perentoriamente in sè dichiarava che il governo da se solo negoziava col Marocco per ottenere pacificamente come si sperava le nuove da lui domandate guarentigie, le quali d'altronde senza ricorrere a mediazione straniera avrebbe rivendicate pure occorrendo colle armi.
Le accennate rivelazioni senza parlar d'altre meno gravi forse, ma egualmente spiacevoli, come sulla vertenza Messicana, sono tali da portare un colpo assai sensibile al prestigio del Ministero attuale e la stampa dell'opposizione non senza ragione esacerbata per gli ultimi rigori eccessivi con cui si servì contr'essa in questi giorni, si servirà di tutto ciò come di arma contundente,
che può produrre non lieve effetto sulla pubblica opinione. Si sa d'altra parte che i nemici di questa situazione in Parigi, Narvaez segnatamente, già concertano qui coi capi della coalizione antiministeriale per preparare un nuovo ministero.
La caduta dell'attuale è quindi diventata più o meno probabile e forse non lontana. Ma su quest'ultimo punto come su altri relativi mi riservo a spiegarmi meglio con prossima occasione.
Il ristabilimento della Regina dopo il suo ultimo parto va ad accrescere questi giorni nuove feste a Corte. Le circostanze non mi permetterebbero di assistervi convenevolmente. Mi lusingo d'interpretare le intenzioni di V. E. valendomi della facoltà già accordatami eventualmente dal compianto di Lei Predecessore di assentarmi alcuni giorni per ragioni di salute lasciando in tal caso questo Segretario di Legazione alla spedizione degli affari.
L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 15. Lisbona, 28 giugno 1861.
Je m'empresse d'envoyer à V. E. la traduction de la Note du Ministre des Affaires Etrangères en date d'hier par laquelle M. d'Avila déclare que dorénavant je serai reçu comme Chargé d'Affaires de S. M. le Roi d'Italie (1).
Ci-joint j'ai l'honneur de trahsmettre également a V. E. copie de la Note que j'avais dans le temps adressée à ce Gouvernement pour lui notifì.er le vote du Parlement sanctionné par le Roi (2).
Deux sont les causes principales qui ont déterminé le Cabinet à nous reconnaitre en ce moment. La première, ainsi que j'ai eu l'honneur d'en informer le Prédécesseur de V. E., c'est qu'on voulait attendre que la France eut reconnu officiellement le Royaume d'Italie. Cette décision de suivre l'exemple de la France, outre de le mettre à l'abri de tout embarras à l'égard des autres Puissances catholiques, avait l'autre but de donner une espèce de démenti à l'opinion généralement accreditée que le Portugal dans les questions politiques est toujours à la remorque de l'Angleterre. Il est vrai que dans l'intervalle entre la reconnaissance de l'Angleterre et celle de la France il y a eu assez de temps pour que le Portugal eut pu nous reconnaitre et montrer ainsi son indépendance, soi t vis-à-vis de l'Angleterre soit vis-à-vis de la France, dont il a suivi immédiatement l'exemple.
La seconde cause qui a décidé le Cabinet à ne plus différer cet acte, ne fut ce que pour quelques jours, a été la discussion qui devait commencer aujourd'hui ou demain à la Chambre des Députés sur la réponse au Discours de la
n. -175.Couronne. Ainsi que je l'avais annoncé dans mes dépèches précédentes, plusieurs orateurs étaient décidés de traiter la question d'Italie et de s'en servir pour faire éprouver un échec au Cabinet actuel. La cause italienne aurait trouvé de la sympathie mème auprès de plusieurs députés ministériels, parmi lesquels on comptait ceux de Porto, et l'Opposition croyait non sans raison d'obtenir une victoire brillante. Le Ministère s'étant haté de reconnaitre le Royaume d'Italie avant cette discussion, a òté à l'opposition l'occasion la plus probable d'arriver au pouvoir en provoquant un vote de blame sur une question politique importante.
La nouvelle de la reconnaissance du Royaume d'Italie a été accueillie avec faveur à Lisbone, où la sympathie est générale pour notre pays et pour toutes les causes de la liberté.
IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOI.I
R. CONFIDENZIALE. Francoforte, 28 giugno 1861.
Le nouveau Ministre des Affaires Etrangères de Bade, M. de Roggenbach, dont j'ai déjà fait connaitre à V. E. les tendances libérales, est venu ici s'entendre avec la Légation de Prusse sur différentes questions de la politique .fédérale, et pendant les quelques instants qu'il est resté à Francfort, il a chargé quelqu'un de cette Mission de venir me dire confidentiellement que le Gouvernement Badois ne partageait point les sentiments hostiles des Etats secondaires contre le nouveau Royaume d'Italie, pour lequel au contraire il avait les plus grandes sympathies. M. de Roggenbach a ajouté que naturellement le Gouvernement Badois ne pouvait pas prendre l'initiative d'une reconnaissance qui appartenait d'abord à la Prusse, mais que sitòt que cette Puissance aurait reconnu le nouvel ordre de choses en Italie, le Gouvernement GranDuca! s'empresserait de suivre cet exemple, et qu'en attendant il était bien aise de faire connaitre ses sentiments à cet égard.
Je n'ai pas besoin de faire ressortir l'importance de la démarche du Ministre appelé à diriger la politique d'un Etat qui par sa position dans la Confédération, aussi bien que par l'étendue de son territoire, vient immédiatement après les Royaumes de Hanòvre et de Bavière. Ces témoignages de sympathie, sont d'autant plus précieux, que, comme j'ai eu souvent l'occasion de la faire observer, si les populations allemandes sont favorables à l'unité Italienne dans laquelle elles voient poindre celle de l'Allemagne, par contre les Gouvernements secondaires y sont systématiquement opposés; et à ce point de vue l'expression des sentiments du Gouvernement Badois en notre faveur est un fait très remarquable qu'il importe, je crois, d'accueillir avec tout l'empressement qu'il mérite.
Quoique M. de Roggenbach ait dit à la personne chargée de me faire cette confidence, que la position du Gouvernement Badois vis-à-vis de ses confédérés l'obligeait à la plus grande prudence, je n'aurais pas cru dépasser les limites de
la réserve qui m'était commandée, en allant lui porter moi meme l'expression de mes remerciements; mais il n'avait fait que rester quelques heures à Francfort et était immédiatement reparti. Toutefois si V. E. le juge à propos, je puis parfaitement sous prétexte d'aller passer quelques jours à Bade me rendre à Carlsruhe qui est sur la route, et en allant faire visite au Baron de Roggenbach répondre à l'expression des sympathies de son Gouvernement par un acte de politesse. C'est aussi l'avis de la personne qui a bien voulu etre l'intermédiaire de ses confidences. Mais avant de faire une pareille démarche, j'ai dù nécessairement prendre les ordres de V. E., et attendre ses instructions.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (Ed. in Ricasoli, VI, p. 33)
T. 577. Parigi, 29 giugno 1861, o1·e 16,55 (per. ore 20,30).
L'Empereur m'a témoigné sa satisfaction pour la manière dont vous avez annoncé aux Chambres la reconnaissance. Il m'a chargé de faire parvenir au Roi l'expression de toute sa sympathie.
S. M. I. désire qu'on fasse arriver aux Hongrois des conseils de prudence afin d'éviter tout conflit qui dans ce moment leur serait fatale et enlèverait des forces qui pourraient etre utiles pour l'avenir.
Il est impossible que l'Empereur et meme Thouvenel reçoivent la Députation Romaine au moment meme où on a fait des réserves en faveur du Pape. C'est précisement parcequ'il veut rappeler ses troupes que l'Empereur veut éviter qu'on croie qu'il cède à une pression. La Députation Romaine a compris ces raisons (1).
Le choix du Ministre à envoyer à Turin présente la plus grande difficulté; Arese étant ici nous travaillerons ensemble à contrebalancer les mauvaises influences. C'est décidément le Général Fleury qui ira complimenter le Roi. S. M. I. est très contente de l'envoi de Nigra ici. L'Empereur part le 3 pour Vichy. L'Impératrice vous remercie pour l'évacuation du Palais Bivona. L'Empereur vous recommande l'affaire du comte de Capoue.
IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. CONFIDENZIALE. Francoforte, 29 giugno 1861.
Il me revient de bonne source que depuis le retrait de l'exéquatur par le Gouvernement du Roi aux Consuls de Bavière, de Mecklembourg et de Wiirt
• come una votazione completa di quasi tutti i cittadini Romani abili al voto •·
temberg, ces trois petits Etats ont eu à plusieurs reprises et tout dernièrement encore la pensée de saisir la Diète d'une proposition tendant à faire remettre leurs passeports aux agents de S. M. en Allemagne. Mais l'Autriche consultée, les en a fortement dissuadés parce qu'elle ne veut pas en raison de l'Italie avoir de nouvelles affaires sur les bras. Pour le moment donc, et surtout après la reconnaissance du Royaume d'Italie par la France, le mauvais vouloir des petits Etats en question se trouve paralysé. C'est là du moins l'opinion de la personne qui est venue me confider ce qui précède, en voulant bien me promettre de me tenir au courant de ce qui pourrait etre tenté plus tard.
(l) Non potendo fare altro, il principe di Piombino comunicava a Ricasoli il 3 luglio 1861 (A R B, cass. 48, n. 121, orig. autogr.) che aveva visto il Dott. Conneau e si era sforzato di dimostrargli che la petizione, sebbene non giungesse a 10.000 firme, tuttavia doveva ritenersi
IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 97. Roma, 29 giugno 1861.
Ieri soltanto venne qui conosciuto, in modo positivo, l'articolo del Moniteur sul riconoscimento, per parte dell'Imperatore, del Regno Italico, notizia che dava luogo da due giorni a più versioni in aperta contraddizione tra loro. Il partito liberale ne rimase soddisfatto, malgrado la riserva spettante agli affari di Roma, che si lusinga di veder elusa tra breve. Mi si assicura che l'opposto partito egualmente non ne fu scontento, lasciando detta nota tutta la latitudine di interpretare qual sorta d'interessi trattenga qui le truppe francesi, a tutela della S. Sede, e che spera perciò indefinitivamente.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE
(Ed. in R. BONFADINI, op. cit., pp. 288-89).
L. P. Torino, 1 luglio 1861.
Roma prosegue n~lle sue pazzie. Ti ho oggi comunicato un telegramma pervenutomi dal nostro Console a Roma (l). Come si può lasciare ancor sussistere quella caverna d'infamità; come lasciare andare alla propria rovina il Papa? Tu sai che tra le speranze che mi corrono vi è quella che il Papa purificato possa rigenerarsi fondando il vero Cattolicismo; cioè una Religione più universale che non è quella che si chiama Romana; ma se si lascia andare il Papa alla propria distruzione, resterà del Romanismo un mucchio di rovine. Dimmi se sia da cattolici sinceri
e da uomini di senno di lasciare andare le cose di Roma alla disperata! Converrebbe far bene capire queste cose costaggiù.
Se succedesse qualche sollevazione nelle provincie di Viterbo, cosa farebbero le truppe Francesi di Roma? Vi si condurrebbero per rimettere l'ordine? Sarei curioso di avere una risposta. Fra le occupazioni miste si potrebbe combinare che le truppe francesi stessero a Roma, e le italiane nella provincia Viterbese. Sarebbe anche questo un passo.
Importa grandemente rimanere chiari pel caso di morte del Papa, per essere questa una eventualità gravissima e prossimissima.
Ti unisco le parole che io ho detto alla Camera, e dalle quali vedrai qual sia il mio pensiero rispetto a Roma (1). Ora v'è tempo, forzando le cose può non esserci più tempo.
(l) Evidentemente accenna al te!. n. 580 dell'l luglio, ore 7,45, per. a Torino alle 9, del console Teccio : c La réaction tente les derniers efforts; bandes armées se dirigent par differents points sur Aquila. Une échauffourée a eu lieu ici entre gendarmes et population: quelques blessés et un gendarme tué •
L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 36-39)
L. P. Parigi, 1 luglio 1861.
Approfitto della partenza del generai Cucchiari per renderti conto del mio primo colloquio con Thouvenel.
Lo vidi ieri verso le 2. Dopo i complimenti d'uso, gli consegnai la tua lettera, ch'egli lesse tosto, chiedendomi se io ne conoscevo il contenuto. Sulla mia risposta negativa, egli me ne diede lettura, e soggiunse:
«Il parait que le baron Ricasoli est très-pressé et qu'il ne tient aucun compte de nos difficultés intérieures. J'ai eu beaucoup de peine à obtenir la reconnaissance du Royaume d'Italie: mais quant à Rome je n'ai aucun espoir de réussir pour le moment ».
Intavolata in tal modo la conversazione, gli esposi tutte le considerazioni che ci fanno vivamente desiderare una pronta soluzione della questione romana. Credo inutile di ripetere a te le mie parole; mi limito a riferirti testualmente quelle di Thouvenel.
-Vous ne pouvez douter-mi disse-du désir de l'Empereur de rappeler ses troupes de Rome. Mais il voit l'impossibilité de le faire avant la mort de Pie IX. L'Empereur croirait manquer à l'honneur en abandonnant en ce moment le Pape, dont il a pris la défense pendant ces douze années. A en juger par l'opposition qu'a rencontré dans le Conseil des Ministres, dans le Sénat et dans le Corps législatif la reconnaissance du Royaume d'Italie, le rappel des troupes fait en ce moment provoquerait une agitation qui comprometterait sérieusement la tranquillité de la France et mettrait en danger la dynastie impériale. Il faut donc renvoyer cette décision jusqu'au moment où un nouveau Pape occupera le siège de Saint-Pierre.
-Mais alors -lo interruppi io -vous vous trouverez dans les mémes difficultés et dans les mémes incertitudes.
-Une fois le Pape changé -riprese Thouvenel -le rappel des troupes deviendrait plus facile. Car des deux choses l'une: ou le nouveau Pape s'arrangerait avec vous, et nous pourrons nous retirer avec honneur: ou il continuerait dans les erremens actuels, et nous le laisserons agir à sa guise en lui laissant toute la responsabilité de sa conduite.
-Nous sommes prets -gli risposi -à traiter tout de suite directement avec Rome sur les bases énoncées dans le projet de Passaglia.
-J'en suis convaincu-riprese Thouvenel-mais c'est la Cour de Rome qui ne veut pas entendre parler de négociations. Son entetement à ce sujet va au point que lorsque l'Espagne écrivit la note que vous connaissez, Antonelli adressa à Madrid un office pour prier le Cabinet Espagnol à ne pas se meler de ce qui ne le regarde pas.
-Il est cependant impossibile -aggiunsi io -que les choses restent indéfiniment dans cet état. Tant que vous resterez à Rome, les Cardinaux ne céderont point: le Pape, quoique maladif, peut vivre longtemps encore et ce seront les mazziniens qui profiteront de toutes ces hésitations.
-Ne craignez pas-replicò il Ministro -qu'il se passe longtemps avant qu'il y ait une vacance du St. Siège. La santé du Pape empire chaque jour, et bien des choses peuvent arriver avant le mois de novembre. La garnison française nous sera fort utile pendant le Conclave. Nous sommes prets à nous mettre d'accord avec vous sur le nouveau Pape. Santucci nous va: il y aurait aussi De Andrea, mais il n'est pas papable ».
Allora io lo interruppi per esporgli l'idea di far votare l'annessione per suf~ fragio universale, appena riunito il Conclave. Egli rispose:
« L'expédient est ingénieux, mais il aurait trop l'air d'un tour de passepasse. D'ailleurs je ne comprends pas trop comment le Pape et le Roi pourront rester dans la meme ville. S'ils sont d'accord, ils pourront exercer une influence immense sur tout le monde catholique: s'ils ne· le sont pas, le Pape sera bien obligé de s'en aller de Rome. Mieux vaudrait renoncer à faire de Rome votre capitale ou chercher un autre endroit pour le Pape ».
Misi allora innanzi il disegno della città Leonina, ma non parve ch'egli lo credesse eseguibile. Volendo riservar materia per un altro colloquio sullo stesso argomento, gli chiesi che cosa pensava sull'Ungheria.
-Dans un mois -mi disse egli -la question sera mure, et il sera temps àe prendre une décision. Continuez à precher la patience aux hongrois. Qu'ils ne fassent pas d'imprudences. Ils n'ont pas d'armes, ils seraient écrasés. D'ailleurs seriez-vous prets, le cas échéant, à attaquer la Vénétie?
-Tout seuls? -chiesi francamente. -Vous seuls avec les hongrois. Combien de soldats auriez-vous à mettre en ligne? -Notre effectif actuel ne dépasse pas 150.000 hommes. Mais je n'ai pas encore des données officielles à ce sujet. -Ce chiffre n'est pas suffisant. Il ne faut pas risquer ce que vous avez obtenu. Ayez patience, attendez des occasions qui vous ne manqueront point.
Gli chiesi allora come dovevo regolarmi pel ricevimento ufficiale.
-Je serai d'avis-mi rispose-que nous nous passions de la cérémonie. Je ferai annoncer au Moniteur que l'Empereur vous a reçu en audience publique et que vous lui avez remis la lettre du Roi. Cela fait, votre ambassade est finie : vous pouvez rester à Paris sans caractère officiel, et n'aurez aucune visite à faire ni à recevoir du Corps Diplomatique. Du reste vous parlerez de cela vous-meme avec l'Empereur. Je lui ai annoncé votre arrivée: il me fera bientòt connaitre ses ordres à cet égard.
Presi allora commiato da lui, e verso sera ricevetti un bigliettino col quale mi comunicò il seguente dispaccio dell'Imperatore: « Priez Arese de venir demain diner et coucher à Fontainebleau >.
Partirò oggi dopo mezzodì e ritornerò a Parigi domani probabilmente coll'Imperatore, il quale parte mercoledì per Vichy. Giovedì pranziamo da Thouvenel. Nulla è deciso ancora quanto al ministro francese a Torino. Però l'Imperatore è deciso a non innalzare per ora ad ambasciata la sua legazione a Torino. Cercherò di far nominare Lavalette o Benedetti. Si parla pure d'i La Tour d'Auvergne. Talleyrand è già nominato a Bruxelles. Ti scriverò dopo aver parlato coll'Imperatore, ed all'uopo spedirò un corriere.
(l) Allude alle dichiarazioni fatte alla Camera dei Deputati nella tornata del l luglio 1861 nella discussione per un prestito di 500 milioni: cfr. Ricasoli, VI, pp. 439-440.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(A R B, cass. 48, n. 101, orig. autogr.)
L. P. 8. Londra, 1 luglio 1861
Ho letto col massimo interesse la lettera ch'Ella mi ha fatto l'onore di scrivermi e che inoltre mi fece gran piacere provandomi ch'Ella m'aveva inteso. Le domandai confidenza. E scrivendomi siccome Ella fece, mi diede una prova che aderiva alla mia domanda. Epperciò, benchè io non abbia trovato una risposta diretta al mio quesito sulle sue intenzioni a mio riguardo, ho dovuto però dal complesso della lettera conchiudere nulla volersi innovare.
Ove poi fosse altrimenti, di nuovo la pregherei, come un atto di giustizia, di rendermene avvisato, poichè sto per incontrare non lievi spese nel riordinare il materiale della Legazione del Re. V. S. ha una riputazione cosi stabilita di fermezza e di droiture che confido in lei come se l'avessi conosciuta da trenta anni. E questo inoltre mi ispira una confidenza che nell'istessa maniera mi fa scrivere come ad un amico.
Le dirò dunque che da un amico mio mi [si] mandò da Parigi la lettera torinese dell'Independance, che qui unisco, e nello stesso tempo mi si faceva sapere lavorarsi da Parigi a far sì che venga al posto di Londra un Ministro più devoto alla politica francese di me che sono, com'Ella saprà, accusato di gallofobia. Mi si aggiungeva del resto essere la E. V. anche accusata dell'istesso peccato e che erasi, per conseguenza, piuttosto accettato che desiderato la sua elevazione al posto di primo Ministro. Almeno s'avrebbe voluto che la direzione degli Affari esteri restasse in mano di persona più devota agli interessi francesi. Ed anche questo andando fallito; almeno desideravasi che a Parigi e a Londra s'avessero diplomatici accetti alla Corte Imperiale. Ecco quanto mi si faceva sapere a voce per la mia norma. Ora credo, per amor di giustizia, dover aggiungere che chi mi dava questa prova d'amicizia forse era male informato, e si può anche talvolta accusare d'un po' di credulità ben intenzionata. Ma questo mi faceva però desiderare di veder chiarirsi quei dubbi che simili comunicazioni non potevano non far nascere in me.
Intanto, appena giunto a Londra, capitò da me Persigny. Non so se l'E. V. è informata di certe stranezze a mio riguardo di questo mio ex collega, il quale persuaso lui e ripetendo a Parigi che per mezzo della mia intrinsichezza colla famiglia di Lord Palmerston io esercitassi su di lui un'illimitata influenza e cosi me ne valessi per destare diffidenze fra la Francia e l'Inghilterra, cercò realmente di nuocermi presso il mio Governo. E se non riuscl, lo dovetti prima al senno e alla bontà per me del Conte di Cavour, poi alle varie altre stramberie di Persigny, le quali provarono sempre più che, benchè uomo onesto, avea però il cervello guasto. Che anzi un giorno mi scrisse Cavour: «Persigny s'en prend à nous de ce qu'il n'a pu faire comprendre au Cabinet Anglais l'absurde politique de l'Empereur par rapport à l'Italie ». Per consiglio di Cavour aveva usato pazienza finchè rimase qui come ambasciatore; ma poi, non potendo a meno di risentirmi di una specie di persecuzione, gli feci sapere che avrei sospeso quelle intime relazioni sin qui avutesi.
Ma appena giunto capitò da me. E nello stendergli la mano non credetti più dover esitare a spiegarmi chiaramente. Egli protestò di non aver mai voluto attaccare nè le mie intenzioni, nè i miei sentimenti di onoratezza. Io, naturalmente, asserii che delitto avrei stimato una politica che avesse finito col produrre scissione tra la Francia e l'Inghilterra, mettendoci nel difficilissimo incarico di scegliere fra l'una e l'altra. Ma soggiunsi anche esser io Italiano prima di tutto e non poter prendere il mot d'ordre da Parigi. Malgrado queste sue prevenzioni contro me, ringraziai caldamente Persigny di quanto esso aveva fatto pel nostro paese, essendo realmente, credo, il solo che ci assista nei Consigli imperiali.
Il risultato fu che ci lasciammo in buoni termini. Del resto Persigny è venuto qua senza missione di sorta. Lord John mi domandò perchè fosse venuto, e Lord Palmerston, benchè lo stimi come onest'uomo, consigliò però a sua moglie una certa riservatezza nel riceverlo. Del resto, appena giunti, marito e moglie vennero dai Palmerston, i quali con me gli invitarono a pranzo l'indomani.
Tornando ora alla lettera di V. E., ne comunicai le parti che credetti più utili a Lord Palmerston ed a Lord John, i quali ne approvarono pienamente le tendenze. Anzi non posso a meno, nella sciagura che ci ha percosso colla perdita del nostro gran cittadino, di non ritrovare benefica sempre la mano della Provvidenza la quale aveva riservato, per metterlo a capo d'una gran nazione per dir così rinascente, un uomo di pensieri elevati come V. E. Con sentimenti di tal fatta si possono realmente fondar li Stati, mi direva ultimamente ancora mio zio Massimo, che una nazione esordiente ha d'uopo appoggiarsi su principi elevati, evitando invece quanto potrebbe abbassarla e parer concedere qualcosa alle sfere inferiori. Ella non può a meno di riuscire ad ottenere plauso in Inghilterra per la semplice ragione ch'Ella pensa ed agisce da gentleman, parola che per l'Inglese riassume quanto v'ha di elevato e di distinto.
14 -Documenti diplomatici -Serie I -\'ol. I
Solo chi visse in relazioni intime e dirette con quel grand'uomo di Stato di cui lamentiamo la perdita, potrà capire l'abnegazione di cui dovette far prova tutta la vita, onde ottenere fini grandi con strumenti che forse gli andavano tutt'altro che a genio, facendo fondamento sulla politica francese, mentre le sue idee erano più inglesi, ed accettando impegni che lo legavano irrevocabilmente a quella politica, e che lo obbligavano per arrivare alla realizzazione di una grande idea, a compromettersi talvolta con quegli stessi uomini di Stato inglesi che sommamente onorava.
È inutile il dissimularlo. Dessi avean bensì conservata la loro ammirazione pei suoi gran talenti, ma dopo le inesatte asseverazioni sull'affare di Savoia e Nizza, non si potevano difendere da quella diffidenza che un giorno faceva, in un biglietto confidenziale di Lord John a Lord Palmerston, scrivere: «Non obblighiamo Cavour a dirci più inesattezze (la parola era più forte) di quanto sia indispensabile».
V. E. vedrà dunque quanto sia vantaggioso che la politica d'Italia sia diretta da persona che, come H Barone Ricasoli, ha nella storia contemporanea potuto acquistarsi un si chiaro nome. Questo sentono i Ministri inglesi e gli amici nostri, e lo sentirono soprattutto dal contenuto dell'ultima sua lettera. Ed io mi stimo fortunato il constatare il fatto e di poterle trasmettere quest'attestazione di stima. Ricompensa ambita e meritata dagli uomini che la pensano come Lei.
Non devo però celarle che tali furono le impressioni lasciate dal sistema, sfortunatamente or ora invalso e finito, che riguardo alla Sardegna non si crede assolutamente scevra di reticenze l'espressione che non si cederà un pollice di territorio italiano, chiedendosi da taluni se, fuori di terraferma e dei paesi di Sicilia, si considerino le altre isole come terre italiane. Questo le dico acciò esplicite sieno le espressioni che verranno usate a questo riguardo. Del resto van scemando le inquietudini a questo riguardo; ma, lo ripeto, c'entra in questo soprattutto l'uomo più che la fraseologia.
Gran buon effetto produssero parimenti le parole da Lei pronunziate al Parlamento. S'ha gran confidenza pure nella lealtà del Re. Da taluni giudicaronsi un po' pericolose le parole pronunziate da S. M. in risposta alla Deputazione romana, ma nessuno dei Ministri me ne parlò. Quanto alla quistione romana, i Ministri vanno pienamente d'accordo con Lei su tutti i punti essenziali e teoretici. Ma credo si desidererebbe di sapere più precisamente quali siano le intenzioni ed il programma, per dir così, del Governo del Re. Hudson rispose brevemente a Lord John che V. E. aderiva alle idee di Lord John a questo riguardo. Ma, siccome mi disse questo Ministro ieri, avendone espresse varie, non sa precisamente di quali si tratti. La venuta di Persigny mi pare in questo senso una gran fortuna da non lasciarsi scappare. Persigny non ignora che i Ministri inglesi, e principalmente Lord Palmerston, lo stimano come galantuomo, se non come uomo sempre savio. Il suo soggiorno, sia come esule sia come ambasciatore a Londra, gli ha ispirato gran venerazione per le cose inglesi. Trovandosi come semplice viaggiatore e libero, per qualche giorno, dai tedi inseparabili della vita ministeriale, egli trovasi in migliori disposizioni di spirito. Oltre all'idea dominante sua attualmente dell'Orleanismo e la necessità di distruggerlo, egli ha una mania contro la gente pretesca di qualunque sorta. Affermò a me e a Lord Palmerston che quanto avea fatto per smascherarli era nulla, in paragone di quanto stava per fare. Esser stato errore l'aver avuto per loro troppi riguardi. Se dunque Lord Palmerston e Lord John, i quali mi si dichiararono prontissimi a farlo, possono ragionarlo sulla necessità d'agire prontamente e deliberatamente contro la Corte di Roma, forse, tornando a Parigi, egli potrà parlare all'Imperatore nell'istesso senso. Mentre se venisse da me o mi accuserebbe di spingere i Ministri inglesi in una direzione antifrancese o mi crederebbe pregiudicato. Ma, lo ripeto, ci mancano dati precisi e non conviene perder tempo dovendosi fermar pochi giorni. Thouvenel è già un tutt'altro uomo dicendo a Cowley di non mischiarsene troppo. Però, mi disse ieri Lord J ohn, che Flahault pure diceva che il nostro Governo dovrebbe assistere l'Imperatore proponendo una combinazione accettabile per uscir d'imbroglio. Par che base di questa combinazione sarebbe una parte, benchè minima, della città di Roma lasciata al Papa.
Lord Palmerston prese ad esaminare a lungo nella sua conversazione il punto speciale di far sì che il Papa resti indipendente e fino a che punto egli e i suoi Cardinali dovrebbero considerarsi come dovendo rendere qualcosa a Cesare. Ed io gli rispondevo doversi ad un certo segno prender per paragone la libertà spirituale di cui godrebbe il Papa se avesse dovuto scappar in Inghilterra. Ma da noi si domanderebbe di più. Feci osservare che per ora il Sacro Collegio era ancora a tempo a propor condizioni. Ma se succedeva qualche trambusto dovrebbe accettarle. Opinò Lord Palmerston che fracasso non succederebbe stante la presenza francese. Ed inoltre egli pare, sembra, colpito dall'idea che la Francia voglia, rimanendo con 20.000 uomini a Roma, conservarsi una posizione strategica sia per tenersi l'Italia in sua balìa, sia per favorire le pretese dei Murattisti ove potessero aver successo.
Se V. E. lo crederà utile e mi darà qualche ragguaglio più preciso sulle sue intenzioni riguardo alla soluzione della questione romana, gliene sarò riconoscente e me ne servirò nel modo sovrindicato.
Al fine di farmi un'idea più precisa delle intenzioni del Governo Inglese, domandai a Lord John se egli sarebbe intenzionato d'elevare la legazione inglese al primo rango in Italia. Mi disse che non credeva che vi fosse una tal intenzione, poichè dovrebbesi far lo stesso per la Prussia. Del resto scriverglisi da Parigi che per ora rimarrebbe un Ministro e non un ambasciatore. Resta dunque più facile ragionare sull'occorrente al Ministro di S. M. Mi riservo di dar alcune cifre in proposito, che saran prendendo per base quanto Hudson riceve a Torino, cioè 125.000 franchi, e, tenendo conto della differenza delle capitali, nessuno, credo, potrà dirlo esagerato.
La sottoscrizione inglese al monumento Cavour ha camminato ammirabilmente e le mando circa 120 dei più bei nomi d'Inghilterra. Se posso, le manderò, a sigillo volante, la lettera diretta al Sindaco di Torino. La pregherei a voler far sì che nella stampa si dia una certa importanza a quest'atto di simpatia e, se lo crede opportuno, V. E. non avrebbe difficoltà a scrivere una lettera di quattro righe a Lord Shaftesbury, che tanto si adoperò in questa come in altre occasioni a pro dell'Italia.
P. S. -Ho l'onore di trasmetterle, a sigillo volante, la lettera al Sindaco di Torino. Lord Shaftesbury si raccomanda acciò sia immediatamente mandata al Conte Cossilla.
CIRCOLARE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AGLI AGENTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO
Torino, 2 luglio 1861.
La Camera dei Deputati ha approvato nella sua adunanza di ieri, con voto quasi unanime, la legge per cui vien fatta facoltà al Governo del Re di contrarre un prestito di 500 milioni effettivi. Intesa a somministrare i mezzi di saldare le spese cagionate dai meravigliosi avvenimenti trascorsi, di sopperire alle esigenze future, la legge del prestito era essenzialmente un provvedimento politico. La discussione di quella legge doveva pertanto collocare il Gabinetto, che una sventura irreparabile ha chiamato alla direzione della cosa pubblica, in presenza della manifestazione legale dei sentimenti e delle convinzioni del paese. Il voto che verrebbe reso, sarebbe come la misura ed il criterio della confidenza ispirata dal presente Ministero, del concorso che ei può ripromettersi dal Parlamento e dalla nazione.
L'esito di questa prova, sono lieto di constatarlo, ha pienamente corrisposto al concetto ed alle speranze che induceva a nudrire la rappresentanza di un paese che frammezzo a cosi straordinarie vicende ha dato saggio costante e luminoso di patriottismo, di politica saviezza, e del fermo suo proposito di accettare con animo volonteroso quanti sagrifizi richiedesse l'opera della sua indipendenza e della sua unità nazionale.
Non ho d'uopo, sig...., di farle notare tutta l'importanza della deliberazione presa dalla Camera colla quasi unanimità dei suffragi. Quest'importanza è di tanto maggiore che la legge del prestito provvede ai più gravi ai più vitali interessi della patria nostra, e che avevale preceduta il voto dell'altra legge rilevantissima per cui venne creato un solo debito pubblico per l'intiera Italia. Tali risultamenti avranno, ne son persuaso, benefico influsso sulla situazione nostra, non meno all'interno che rispetto all'estero. Dopo d'avere costituita l'unità nazionale, noi saremo giunti così a fondare eziandio l'unità finanziaria d'Italia. Confortati dal credito pubblico e dalla pubblica opinione, noi speriamo ci verrà dato parimenti, mercè l'incremento della ricchezza nazionale, e mercè una amministrazione previdente, solerte, e misurata, di riparare ai disavanzi cagionati da una lotta di più anni, e di ristabilire fra non molto l'equilibrio fra le entrate e le spese. Il programma esposto con tanta chiarezza e precisione su questo proposito dal mio on. Collega il Ministro delle Finanze porge ogni maggior sicurezza e noi vogliamo confidare sarà accolto con non minor favore dall'opinione straniera che noi sia stato in seno al Parlamento nostro e dal nostro paese.
Dal canto mio ho creduto dovere in occasione così solenne chiarire nuovamente e con tutta la franchezza di un intimo convincimento gli intendimenti del Governo del Re nella sua azione all'interno ed all'estero. La nostra politica si riassume nello svolgere all'interno la prosperità nazionale, col promuovere il commercio, le industrie e le arti, col dare agli interessi municipali e provinciali ampio mezzo di venir soddisfatti, col tutelare risolutamente e fermamente l'ordine pubblico senza venir meno al rispetto delle leggi, ed alla sincera applicazione di quei liberali principii che informano le nostre istituzioni.
Riguardo all'estero, il Governo del Re non può perdere di mira il compimento di quell'opera che venne con tanta costanza condotta ormai al desiderato suo termine. Ma nel volgere ogni nostra sollecitudine in far sì che l'indipendenza nazionale venga totalmente compiuta, fj.denti nella ragione e nelle simpatie d'Europa, noi non ci faremo provocatori di crisi le quali dovessero turbare la pace generale e mettere a repentaglio gli interessi stessi della causa Italiana. Questa politica, io non potrei dubitarne, otterrà l'approvazione delle potenze amiche, e le renderà propense al compimento dei nostri destini.
Nel vedere l'Italia riconosciuta già dai principali Governi d'Europa, assodata ormai negli interni suoi ordinamenti, pronta a prestar al Governo ogni maniera di concorso, ci è lecito portar fiducia che i dubbi che ancora potevano sussistere presso alcuni Governi non tarderanno a far luogo ad un sentimento di fondata sicurezza intorno allo stabile e regolare andamento del nuovo ordine di cose, ed all'assetto definitivo dell'Italia.
Autorizzo la S. V. Ill.ma a valersi di questi dati e di queste osservazioni nei suoi rapporti col Governo presso cui è accreditata.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO
D. s. n. Torino, 2 luglio 1861.
Ho ricevuto il dispaccio confidenziale del 20 scaduto giugno in cui la
S. V. Ill.ma riferisce la difficoltà che nelle provincie e talvolta eziandio nella Capitale vengono frapposte al pieno e sincero eseguimento degli accordi stati presi col Governo di S. M. Cattolica per dare provvisoria norma ai reciproci rapporti sinché sia dalla Corte di Spagna riconosciuto il Regno d'Italia. Questi accordi, mi sia lecito il qui riepilogarli, recavano che niun ostacolo verrebbe fatto al visto per parte delle Autorità Spagnuole dei passaporti ed altri documenti spediti dalla Real Legazione o dagli Agenti Consolari d'Italia; che per riguardo alle opinioni di S. M. Cattolica la S. V. Ill.ma terrebbe nella sua corrispondenza un modo che non l'obbligasse a menzionare affrettatamente il titolo di Re d'Italia assunto dall'Augusto Nostro Sovrano; che dal canto suo il Ministero Spagnuolo per non fare aperta opposizione a quel titolo usando l'antico di Re di Sardegna si restringerebbe ne' suo'i indirizzi a qualificare la S. V. Ill.ma di Ministro, etc., di S. M. il Re Vittorio Emanuele II.
Se queste intelligenze dinotavano da ambe le parti sentimenti di conciliazione e desiderio di continuare in quei termini di benevolenza che sempre avevano segnate le relazioni fra i due Governi, mal potrebbe disconoscersi che nel proporre quel temperamento noi abbiamo dato alla Corte di Spagna tanto maggior prova di deferenza quanto erano minori le concessioni che per noi le venivano chieste. Il Governo del Re doveva dunque tenere e tiene tuttora per fermo che l'osservanza delle basi convenute, come affidata alla lealtà ben conosciuta del Governo di S. M. Cattolica non possa patire alterazione. Noi vogliamo credere pertanto che se nacquero difficoltà, queste siano un semplice malinteso di Autorità subalterne, e non già un effetto di istruzioni diramate dal Gabinetto di Madrid. Ma se, ciò che sono alieno dal supporre, io andassi errato in questa mia credenza, allora io dovrei arguirne con sommo _mio rammarico che il Governo di S. M. Cattolica, non tiene in tutto quel pregio che noi teniamo giustamente le amichevoli relazioni, che sinora esistettero fra i due Stati, e che sarebbe sommamente increscevole per noi il non poter coltivare con quella sollecitudine di cui ci fu grato in ogni congiuntura il dare testimonianza.
Invito la S. V. Ill.ma a leggere il presente dispaccio a S. E. il Ministro degli Affari Esteri di S. M. Cattolica ed a farmi conoscere il risultato che avrà avuto questa comunicazione.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE
(Ed. in R. BONFADINI, op. cit., p. 286)
T. 399. Torino, 3 luglio 1861, ore 13.
Le décret dictatorial déclare appartenir à l'Etat les biens des Bourbons (l); il faut le Parlement pour l'abroger; ni le Parlement l'abrogerait ni le Gouvernement le proposerait parce qu'il ne pourrait faire chose contraire a sa conscience et à l'opinion publique. Du reste comment peut-on imaginer que celui qui a perdu une couronne, puisse se calmer à la restitution de quelques biens, tandis qu'il est déjà en possession de valeurs volés quatre fois plus forts que les biens saisis, et dont il se serve pour nourrir des réactions téméraires et stériles au but qu'on se propose, plutòt que d'en jouir paisiblement? A-t-on oublié les exemples des Dynasties déchues françaises? On aurait le moyen de tout sauver, exceptés les Bourbons qui ne le méritent pas. Le Gouvernement de l'Italie propose ce moyen, et on le repousse et on l'ajourne à un moment qui aura le tort du fameux trop tard. Laissant aller la Cour de Rome en proie de ses passions, je prévois une catastrophe dans l'Eglise Romaine que le Gouvernement du Roi et en bonne politique et par des considérations politiques voudrait prévenir. Rome est pour l'Italie une cause de trouble très dangereux, une menace continuelle à l'ordre public. Les républicains travaillent les populations leur indiquant les troupes françaises comme la seule cause qui empeche la solution romaine dans le sens national. Que l'Empereur y réfléchisse bien s'il est de son intéret d'entretenir une source continuelle d'intrigues, de conspiration et de trouble. Quant à moi je résisterai jusqu'à me faire écraser contre tout désordre ou qu'il vienne d'en bas ou d'en haut, du còté rouge ou du còté noir, et l'Italie doit se compléter coute qui coute, et malgré tous les obstacles. Thouvenel dit que je suis pressé, j'en ai raison;
dans ma lettre particulière j'ai employé le langage simple comme la vérité, sans figures oratoires; j'ai envisagé la chose au véritable point de l'intérét français et italien. J'ai rempli un devoir. Est-il vrai que les troupes françaises évacuent Civita-Castellana, Viterbo et Bagnorea?
(l) Con telegramma della mezzanotte del 2 luglio n. 585 (R. BoNFADINI, op. cit., p. 285), l'Arese aveva comunicato a Ricasoli che l'Imperatore desiderava sapere se il Governo 1taliano fosse disposto a restituire a Franeesco II i beni privati confiscati in cambio della part8nzada Roma.
L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(Ed. in R. BONFADINI, op. cit., p. 287)
T. 586. Parigi, 3 luglio 1861, ore 13,10 (per. ore 16,20).
Votre discours sur l'emprunt est très mal interprété ici. Faites déclarer par l'Opinione dans un article, que en parlant d'une occasion favorable vous vouliez faire allusion à la question d'Orient.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE
T. 400. Torino, 3 luglio 1861, ore 24.
Je ne sais pas si les interprétations dont parle votre chiffre, sont basées sur le texte officiel de mon discours. J'ai dit: «L'opportunité qui se prépare et surgit au sein du temps ouvrira la route de Venise ». Il s'agit d'une opportunité qu'on espère et qu'on ne détermine pas: et dans l'état de l'opinion en Italie qui affirme son droit sans vouloir cependant troubler la paix européenne, je ne comprend pas que le Gouvernement Italien put dire moins pour satisfaire les légitimes aspirations nationales sans éveiller des susceptibilités diplomatiques. On doit bien se pénétrer de la mission d'un gouvernement chargé de constituer la nation après une remarquable révolution. Il doit fortifier son autorité en se montrant aussi décidé à soutenir les droits de la nation qu'à CO!l}battre l'anarchie chez lui; ce qui revient au méme que défendre l'ordre public en Europe. Cependant pour preuve de bon vouloir envers le Gouvernement de l'Empereur, l'Opinione parlera dans le sens que vous indiquez.
L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(Ed. in R. BoNFADINI, op. cit., pp. 282-84)
L. P. Parigi, 3 luglio 1861.
Lunedì alle tre dopo mezzodì giunsi a Fontainebleau. Rimasi stupito vedendo alla stazione le vetture di Corte con piqueur e scudiero e tutta la pompa pel ricevimento ufficiale dell'Ambasciatore.
Le prime parole dell'Imperatore furono: Comment vous n'étes pas en uniforme? Gli risposi che credevo che la cerimonia ufficiale non avesse luogo subito. Dopo qualche scherzo su questo argomento, si passò a cose più serie. Non potendo riferirti testualmente tutti i discorsi tenuti nei tre lunghi colloqui che avemmo insieme, te ne dirò il sunto, riservandomi di aggiungere a voce al mio ritorno qualche particolare. L'Imperatore mi ripeté ch'egli sarebbe lietissimo di poter richiamare le sue truppe. Trovatemi, egli disse, qualche modo onorevole d'uscirne ed io vi lascio liberi d'agire, sotto la vostra intera responsabilità, secondo i vostri interessi. Ma io non posso richiamare le truppe senza che la sicurezza del Papa sia garantita, e che per conseguenza voi siate d'accordo colla ·corte Romana; ora finché vive il Papa attuale è vana ogni lusinga di potere neanche intavolare dei negoziati. L'Imperatore soggiunse che egli è pronto a combinare i suoi sforzi coi nostri per ottener in caso di Conclave l'elezione d'un Papa liberale. Egli approva la scelta del Santucci, ma dubita che questi, una volta eletto, accetti senza restrizione il progetto del Passaglia e del Pantaleoni e rinunci affatto al potere temporale. Se poi il nuovo Papa fosse affatto retrivo, l'Imperatore non essendo legato con lui da tante ragioni di deferenza, richiamerebbe le sue truppe.
Alla mia proposta di riprendere i negoziati sulla base dei cinque punti proposti dal Principe Napoleone, l'Imperatore rispose ch'egli ebbe recentemente a convincersi della impossibilità di mettere ora in esecuzione quel disegno.
Il disegno della Città Leonina è pure giudicato poco eseguibile dall'Imperatore. In ogni caso, egli mi disse, questo disegno presuppone un accordo col Papa e questi è irremovibile nel suo rifiuto di trattare. E qui tornarono in campo le obbiezioni già fatte dal Thouvenel sulla pratica impossibilità che il Re ed il Papa coesistano a Roma, sulle conseguenze che un tale stato di cose avrebbe per l'Europa, ecc.
Insomma l'Imperatore non vede alcun modo conveniente di risolvere a priori la questione romana; egli crede che il partito migliore sia quello di trar profitto dei cambiamenti che devono in un'epoca prossima avverarsi nelle circostanze di fatto. Egli inclinerebbe tuttavia a far studiare il disegno di stabilire a Roma una condizione di cose analoga a quella esistente nei Principati Danubiani. Il papa riterrebbe cioè l'alta sovranità su Roma e nel patrimonio di S. Pietro. Il Re amministrerebbe e governerebbe Roma ed il suo territorio in modo analogo alle altre parti dello Stato. Credetti opportuno di non accogliere nemmeno la discussione su questo disegno, che richiamerebbe in campo l'antico concetto del Vicariato.
Venendo alla politica generale, l'Imperatore non mi nascose che l'ultimo tuo
discorso non fece sopra di lui buona impressione ed a me certamente non fece
un letto di rose. Egli mi disse chiaramente: O voi potete far da voi soli, ed in
questo caso siete liberi d'agire come credete e di correre tutti i rischi della vostra
condotta. O voi avete bisogno dell'aiuto della Francia, ed è ragionevole che te
niate conto non solo dei suoi interessi, ma altresì delle sue opinioni e dei suoi
desideri. Quando eravate uno Stato di quarto ordine, niuno badava ai discorsi
imprudenti dei vostri Ministri. L'esagerazione dell'audacia può essere nei deboli
una virtù. Ma ora che senza esser ancora una grande potenza, diveniste un grande
Stato, dovete apprendere il linguaggio temperato e conveniente che parlano in pubblico gli uomini di Stato europei. Minacciare senza essere forti è il calcolo più fallace: compromettere i propri amici è il vero modo di non averne alcuno.
Venendo all'Ungheria, egli mi disse che le notizie più recenti di Vienna gli facevano credere imminente lo scoppio di un'insurrezione: che questo era appunto nei voti del Governo Austriaco, il quale coi 40.000 uomini che ha in Ungheria avrebbe schiacciato i ribelli, e che se l'Italia si compromette correrà gravissimi pericoli. Aggiunse che la Russia è finora contro di noi e che invece la Prussia ci riconoscerà forse fra qualche tempo, se noi evitiamo ogni sospetto di voler turbare la pace; perciò egli è di tutta necessità l'esser cauti e prudenti anche nelle parole. Altre cose aggiunse che ti dirò a voce. Lo vedrò ancora questa sera alle sette, e ti manderò se occorre per telegrafo ciò ch'egli mi dirà di più importante.
IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 3 luglio 1861.
Faisant suite à ma dépeche confidentielle du 30 juin dernier (1), je viens ajouter aujourd'hui que l'un des arguments qui a encore employé le Ministre d'Autriche pour dissuader les Envoyés de Mecklembourg, de Bavière, et de Wiirttemberg de présenter à la Diète une proposition de représailles relative au retrait de l'exequatur de leurs Consuls dans les Etats du Roi, a été que la Prusse s'opposerait certainement à sa prise en considération, et qu'il y avait déjà assez de points de dissidence avec le Cabinet de Berlin, sans ajouter encore celui-là. Le plus récalcitrant des trois Envoyés a été celui de Bavière, M. de Pfordten, qui aux observations de M. de Kiibeck a répondu qu''il considérait la mesure prise par le Gouvernement du Roi comme une injure faite à toute l'Allemagne, et que s'il avait encore été Ministre des Affaires Etrangères, il n'eut pas hésité, sans consulter personne, à donner l'ordre au représentant de Bavière de demander à la Diète l'éloignement immédiat de cette légation. Au reste ces trois Messieurs tout en étant animés de la meme haine contre tout ce qui se rapporte à l'unité d'Italie, étaient loin d'etre d'accord sur la rédaction de la motion à présenter: chacun d'eux voulait y mettre son mot, et le résultat de tant d'intelligences réunies a été que l'on ne ferait rien, pour le moment, que l'on attendrait.
M. le Baron de Oettzen, Ministre des Affaires Etrangères de Mecklembourg, qui a passé ici quelques jours, a été également de cet avis, et l'on est maintenant décidé à en rester là.
En resumé toutes ces petites passions retrospectives n'on abouti à rien, et en présence de l'opinion de l'Allemagne si favorable à l'Italie, sont venues donner une nouvelle preuve du manque d'accord complet et de l'impuissance radicale des Gouvernements actuels.
Mais en terminant, pour donner à V. E. une idée des étranges illusions dont on se berce encore à Vienne, je ne dois pas oublier d'ajouter que pour continuer à exercer son action et son influence sur les petits Etats, l'Autriche, dans cette circonstance comme dans toutes celles qui se présentent, ne cesse de répéter sur tous les tons, que ce qui se passe en Italie n'a « à ses yeux qu'un caractère provisoire et que, comme le dit souvent le Président de la Diète, l'on reviendra sur tout cela».
(l) Recte: 29: cfr. n. 178.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 4 luglio 1861.
J'ai appris avec une sincère satisfaction, par votre dépèche confidentielle du 24 du mois de juin dernier (1), les conseils et les efforts que le Gouvernement de S. M. Britannique ne cesse d'employer pour nous aider à compléter l'cevre de notre indépendance, et pour obtenir au Royaume d'Italie la reconnaissance des Gouvernements qui hésitent encor à donner leur adhésion au nouvel ordre de choses. Ce sont là des nouveaux et constants témoignages d'une amitié qui nous a déjà rendu d'immenses services, et qui ne s'est jamais démentie. Le Cabinet Britannique sait trop tout le prix que ses conseils ont à nos yeux pour ne pas ètre assuré de l'accueil qu'ils trouveront toujours de notre part.
Mais l'avis, très bienveillant sans doute et très sage, que Lord John Russell vous a donné sur notre attitude envers la Prusse me parait supposer des renseignements qui manqueraient d'exactitude. Tenant compte des dispositions de la Cour de Prusse et voulant éviter avec le plus grand soin des difficultés inutiles, loin d'insister pour une reconnaissance plus ou moins immédiate, le Gouvernement du Roi a toujours déclaré au Cabìnet de Berlin que nous le laissions parfaitement libre de juger du moment où il croìrait pouvoir nous reconnaitre sans aucune répugnance pour ses principes, aucun inconvénient pour sa politique.
Tout ce que nous avons demandé, et cette demande a été accueillie, avec empressement par la Prusse, c'est que des mesures transitoires fussent adoptées entre les deux Etats pour la continuation de ces bons rapports qui existaint entre eux et qui effectivement n'ont subi aucune espèce d'altération. Nous ne voyons pas de motif de ne pas persévérer dans cette réserve. Nous aimons à espérer qu'en voyant le nouvel ordre des choses se consolider, en nous voyant suivre une politique modérée et rassurante, la Prusse sera portée à imiter l'exemple de l'Angleterre et de la France.
Quant à l'étrange bruit de cessions, que la mauvaise foi seule peut s'obstiner à propager, je suis bien aise que la France l'ait démenti catégoriquement. Comme l'avaìt déjà solennement déclaré M. le Comte de Cavour, comme je viens
...
d'en répéter moi mème la déclaration la plus formelle à la Chambre, une cession quelconque de territoire italien est moralement impossible et le Gouvernement du Roi n'y consentirait jamais.
(l) Allude alla confidenziale n. CCIII, il cui contenuto coincide in gran parte con quello della particolare dello stesso giorno pubblicata al n. 162.
L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (Ed. in R. BONFADINI, op. cit., p. 287)
T. 599. Parigi, 4 luglio 1861, ore 9,35 (per. ore 10,40).
J'ai vu l'Empereur hier au soir; il est dans les mèmes dispositions que Thouvenel à ne rien décider à présent. Je commence aujourd'hui mes visites aux Ministres et aux hommes d'Etat. Il est faux que les troupes françaises soient retirées de Viterbo. Le Général Fleury ira à Turin porter au Roi la réponse de l'Empereur. Du reste rien de nouveau.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLJ, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA
T. 404. Torino, .5 luglio 1861, ore 16.
La santé du Saint Père donne des inquiétudes les plus sérieuses. Les Puissances catholiques doivent en conséquence se préoccuper de l'élection future. Je vous prie de présentir adroitement les intentions du Cabinet de Lisbonne et de me faire connaitre s'il serait disposé à se concerter avec nous à l'égard d'une éventualité d'une si haute importance. Vous ne devez engager en aucune manière l'action du Gouvernement du Roi ni autoriser le Cabinet Portugais à croire que vous faites cette ouverture par ordre exprès du Ministère. D'après les réponses qu'on vous fera, je vous donnerai des instructions ultérieures. Soyez très circonspect vis-à-vis des Membres du Corps diplomatique étranger sans exception.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE (Ed. in R. BONFADINI, op. cit., p. 288)
T. 406. Torino, 5 luglio 1861, ore 21,30.
Nous n'avons jamais eu l'idée de faire notre emprunt sous forme de loterie (1). J'ai le plaisir de vous dire que mon discours à la Chambre a produit une heureuse impression à l'intérieur, a donné de la force au Gouvernement et a imposé subjection aux exaltés.
(l) Alle 17,26 dello stesso giorno l'Arese aveva telegrafato (n. 594) la voce di!Tusa a Parigi e riferitagli dal Persigny che il prestito italiano sarebbe stato emesso sotto forma di lotteria, forma che avrebbe impedito la quotazione in Borsa (R. BoNFADINI, op. cit., p. 283).
RESOCONTO DEL PROFESSOR BIANCHI (l) SUL COLLOQUIO CON KOSSUTH (A R B, Cass. D. 2, n. 82, co.)
Torino (Albergo Trombetta), 5 luglio 1861, ore 20.
Presento una lettera del B(arone). K. si congratula di rivedermi: ricorda il nostro colloquio del luglio '59 dopo Villafranca, e soggiunse: Vedete, io aveva ragione di dirvi che non avreste avuto bisogno dei miei Ungheresi, perchè non ci sarebbe intervento. Veniamo alla questione. Egli starà agli ordini del
B. per la nota risposta. Intanto è lieto poter dare buone notizie. Tempo fa passando per Parigi si presentò come al solito a Thouvenel, dicendogli che si teneva agli ordini dell'Imperatore, che non dimandava udienze, ma faceva sapere essere presente se mai l'Imperatore avesse voluto vederlo. L'Imperatore gli fece dire da Thouvenel: Dites d Kossuth qu'd présent iZ faut que je fasse le mort. Ora però l'Imperatore ha degnato di fargli sapere che è contento, molto contento dell'andamento delle cose in Ungheria, che loda l'accorgimento, la dignità, la moderazione della Dieta; ma esser necessario che il nobile popolo Ungherese conduca le cose con pazienza fino alla futura primavera perchè allora egli l'Imperatore sarà pronto, ma quello che si dice pronto. L'Indirizzo Deak era appunto combinato in modo da dar luogo a lunghe discussioni e guadagnar tempo: Francesco Giuseppe vi era chiamato Re. Ora niuno è Re d'Ungheria se non è coronato coi riti consacrati. La Dieta pertanto cancellò dall'Indirizzo la parola, che sarebbe sembrata un implicito riconoscimento, e tolse un paragrafo che si prestava alla medesima interpretazione. L'Austria ricusò ricevere quest'Indirizzo, allegando la forma poco rispettosa e conveniente. La Dieta delibera se restituirà o no il titolo e il paragrafo controversi. Non è probabile che la Dieta venga a transazione; se ciò accadesse l'indipendenza dell'Ungheria sarebbe compromessa per un tempo di cui non è prevedibile la durata. Per sostenere il morale del paese Kossuth soggiunge avere scritto lettere ai capi e fatto sapere per telegrafo il discorso pronunziato dal B(arone) alla Camera il 1° corrente. Ciò egli reputa molto giovevole. Se l'Ungheria venisse a transazione colla Casa d'Asburgo, l'Italia mancherebbe di un aiuto e forse per la forza delle cose potrebbe avere se non un nemico di più, almeno un esercito più numeroso da combattere.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 342. Berlino, 5 luglio 1861. Le Baron de Schleinitz m'a dit hier qu'il lui revenait que certaines phrases
du dernier discours prononcé par V. E., lors de la discussion de l'emprunt, avaient produit partout une vive alarme.
grazione ungherese.
J'ai invité M. de Schleinitz à attendre le texte méme du discours -connu jusqu'ici que par des extraits télégraphiques --avant d'en apprécier la véri-table portée. Au reste je me suis référé au programme adopté par notre Ministère de continuer la pol!itique de M. le Comte de Cavour, à savoir celle d'affirmer le droit de l'Italie de se constituer une nation unie, de procéder avec énergie, mais aussi avec prudence parce que nous visions à atteindre ce but sans secousse, et sans compromettre la paix de l'Europe. J'ai cité à cet effet des passages de la dépéche du 21 juin à notre Chargé d'Affaires à Paris. Pour dissiper les ombrages causés non seulement par les allusions à Venise, mais aussi par la revendication des frontières naturelles, j'ai rappelé le contenu de la dépéche du 16 mars 1861 (Cabinet) au Marquis d'Azeglio, et la déclaration des plus explicites que j'avais été chargé de faire sur notre ferme intention de respecter en toute chose les droits de la Confédération germanique (dépeche Cabinet du 2 janvier 1861: décret du Commissaire dans les Marches relativement au Lloyd autrichien).
Le Baron de Schleinitz a paru accuellir avec satisfaction ces explications, du moins m'a-t-il donné l'assurance que le Gouvernement Prussien ne se laisserait pas entrainer par des opinions préconçues. Il se réservait de nous juger d'après nos actes. J'ai ajouté que les antécédents de V. E., non moins que ces circulaires récents, étaient la meilleure garantie qu'Elle saurait, sans recourir à des moyens téméraires, compléter la grande oeuvre de notre indépendance.
La politique prussienne est si vacillante, si indécise que je m'explique jusqu'à un certain point que ses hommes d'Etat se troublent à la lecture d'un discours empreint d'un esprit aussi résolu et de convinctions patriotiques aussi profondes. C'est pourquoi j'ai cru convenable d'y joindre quelques remarques en guise de calmant, mais sans me permettre toutefois de modifier un langage qui ne saurait mieux répondre à nos légitimes aspirations.
J'ai pu nouvellement m'assurer dans mon entretien avec le Baron de Schleinitz que la Prusse n'est pas à la veille de nous reconnaitre. Le Cabinet de Berlin, malgré mes insinuations indirectes, persiste à garder une attitude expectante et d'observation. Il veut avant tout se convaincre si nous réussirons à nous consolider dans l'Italie méridionale. Sous ce rapport il importerait que je fusse à méme de fournir quelques détails sur la situation des provinces napolitaines, situation que nos adversaires exploitent en la représentant sous les couleurs les plus sombres.
(l) Celestino Bianchi, segretario particolare del Ricasoli, manteneva i contatti con l'emi
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 343. Berlino, 5 luglio 1861.
La question de la prestation du serment par les Etats de la Monarchie, est résolue dans le sens constitutionnel. Les fétes se borneront au couronnement à Konisberg et à l'entrée solennelle a Berlin du Roi Guillaume 1er. Sa cassette particulière en couvrira les frais évalués a 300.000 thalers.
La crise ministérielle est ainsi écartée, ou plutòt elle est ajournée jusqu'aux élections prochaines. Cependant la position du Baron de Schleinitz n'est pas encore définitivement réglée.
On désigne trois candidats à sa succession: le Comte Bernstorff, M. de Bismark et M. d'Usedom, Ministres de Prusse à Londres, S. Petersbourg et Francfort. Le Comte Bernstorff tient trop à l'extrème droite pour avoir des chances sérieuses. M. de Bismark a trop d'énergie pour s'accomoder de l'esprit irrésolu de son Souverain. Ce diplomate penche pour l'alliance avec la France et la Russie. Il serait mème disposé a faire bon marché de la rive gauche du Rhin, moyennant une large compensat!ion dans le Nord de l'Allemagne. M. Usedom conviendrait peut-ètre mieux à la Cour. Il est doué de plus de finesse que ses compétiteurs. Il saurait admettre des tempéraments dans la poursuite de ses projets favorables à la suprématie de son Pays dans la Confédération germanique. M. Usedom ayant résidé plusieurs années à Rome est versé dans !es affaires italiennes et sous ce rapport peut-ètre nous rendrait-il quelques services.
En attendant le Roi d'ésire que M. de Schleinitz reste à son poste.
Au reste une modification ministérielle ne changerait pas de sitòt l'attitude expectante du Gouvernement à notre égard. Il nous reconnaitra quand il se connaitra lui mème!
Quant à la Russie, elle ne songe pas encore non plus à nouer des relations officielles avec le Royaume d'Italie. Telle est du moins l'impression .du Due de Montebello en suite de ses entretiens avec le Prince Gortschakoff. Celui-ci se montre très peu satisfait de la reconnaissance de la France, acte qui ne s'accorderait guère avec les déclarations transmises l'année dernière à Varsovie par l'Empereur Napoléon, nommément avec le troisième point du Memorandum soumis aux trois Souverains du Nord: « les circonscriptions territoriales de l'Italie et l'établissement des pouvoirs destinés à gouverner les divers Etats de la Péninsule seront réglés par un Congrès ~. Le Prince Gortschakoff semble oublier que les négociations de Varsovie n'ont abouti qu'à un résultat négatif, en laissant d'ailleurs à la France pleine liberté de prendre conseil de ses propres convenances.
Au sujet de l'Autriche je sais de très bonne source qu'elle a l'intime conviction qu'une agression de sa part contre l'Italie aurait pour conséquence inévitable une guerre avec la France. Cette considération seule l'oblige d'ajourner l'exécution de ses projets vindicatifs.
En attendant voici l'impression rapportée, il y a peu de jours, par une course à Vienne. M. de Schmerling ne désespère pas, tant s'en faut, de faire entendre raison aux hongrois, de mème qu'aux autres Provinces aux quelles on prète des tendances séparatistes. Leurs députés actuels ne reflètent pas l'opinion de la majorité. Partout il existe un grand nombre d'indécis qui finiront par comprendre que leurs véritables intérèts seront mieux sauvegardés par une union étroite entre les différentes parties de l' Empire. En Hongrie notamment la masse du peuple n'aurait aucune velleité d'autonomie complète. Si les Chambres continuent à y formuler des prétentions inadmissibles, elles seront dissoutes, et des élections directes ameneront des élémens plus maniables. Il sera possible alors d'avoir une représentation plus homogène dans le Conseil de l' Empire
(Reichsrath).
M. de Schmerling est peut-etre en bonne foi. Mais, au dire de plusieurs personnes très sensées, la Cour et le Comte de Rechberg jouent à la constitution, en attendant le moment opportun pour jeter par dessus bord leur masque de Iibéralisme, leur appareil fantasmagorique.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE (Ed. in R. BONFADINI, op. cit., pp. 289-90)
L. P. Torino, 6 luglio 1861.
Ricevo la tua lettera del 3 luglio corrente.
In verità non sono arrivato a capire il pensiero intimo dell'Imperatore su Roma. Sembra che oggi non voglia nulla fare per scioglierla, voglia meglio rimettersi al tempo di un nuovo Papa, pure influendo ad una elezione favorevole alla elezione di un Papa che sia disposto ad abbandonare un potere che è l'annientamento della grandezza e autorità spirituale.
Questa idea io la comprenderei meglio se fosse aggiunto, che ove il Papa nuovo persistesse un po' più o un po' meno nelle idee del vecchio, l'Imperatore richiamerebbe le sue truppe.
Qui sorge appunto al pensiero il caso d'un Papa che resista a quella conciliazione che solo può essere compatibile con il diritto nazionale. Che faranno allora le truppe francesi? A me pare che il Governo francese dovrebbe fin d'ora rendersi conto di questa eventualità, che per quanto si può prevedere per l'esperienza del passato, è la più probabile.
A fermare poi i miei giudizi su questo molto grave oggetto aspetterò il tuo ritorno.
Ho poi la soddisfazione di potere dichiarare, anco più largamente che non feci nel mio telegramma di ieri, che le mie parole all'occasione del prestito furono molto favorevolmente accolte dagli Italiani! Io non so concepire né un Governo debole, né un Governo matto. So concepire un Governo che conosce molto nettamente quello che deve volere, e deve avere animo di saperlo dire nettamente alla Nazione e al tempo stesso deve sapere dire con quali modi vuole conseguire Io scopo prefissosi. Io credo di avere enunciato il pensiero e il dovere del Governo in modo netto, e così è stato inteso all'interno, e ne ho avuti attestati non dubbi.
II Governo è oggi rafforzato dentro e fuori il Parlamento, e i matti hanno inteso che il Governo vuoi fare lui, e non ammette compartecipi estranei al potere esecutivo, nel quale sta la responsabilità e insieme l'autorità. In questa franca esposizione vi concorrono tutte le ragioni di ordine pubblico e di convenienza politica, e, invero, credo che l'Imperatore dei Francesi sia più d'accordo meco nel fondo dell'animo, che con le parole a te dirette non abbia mostrato d'esserlo. V'è una questione pregiudiziale, amico mio, ed è, che io non potrei tenere altro linguaggio da quello tenuto e aspetto dal Re e dal Parlamento la censura che mi può veramente convenire.
Credo pure in coscienza che consolidando il Governo del Re rendo un grande servizio, non solo all'Italia, ma pure all'Imperatore, il quale, ha troppa mente, per non capire che l'Italia è per Lui un solido rinfranco.
L'INCARICATO D'AFFARI PORTOGHESE, DE CASTRO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
Torino, 6 luglio 1861.
Le Gouvernement de Sa Majesté, tout en me transmettant copie de la Note qui a été adressée, le 27 du mois passé, à Monsieur le Comte de la Minerva pour lui communiquer que Sa Majesté le Roi Don Pedro V a reconnu le titre de Roi d'Italie, que Sa Majesté Victor Emmanuel Il, d'accord avec le vote du Parlement italien, avait pris pour lui et Ses Successeurs, m'ordonne de porter ce fait à la connaissance de V. E., et en mème temps de vous prévenir que le Gouvsrnement de Sa Majesté Très-Fidèle n'entend pas renoncer, par l'acte de reconnaissance du Royaume d'Italie, au droit, qu'il tient, de faire partie d'un Congrès des Puissances Européennes qui ait à résoudre définitivement les questions auxquelles l'organisation du mème Royaume peut donner lieu.
IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 597. Costantinopoli, 6 luglio 1861, ore 20 (per. ore 23,30).
Par note officielle d'aujourd'hui le Gouvernement Ottoman reconnait le Royaume d'ltalie (1). Le 8 j'adresserai les félicitations du Roi au Sultan; je signerai le Traité de Commerce le 9 ou le 10 et je partirai dans le courant de la semaine.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO
(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 42-44)
L. P. Torino, 7 luglio 1861.
La ringrazio delle notizie, le quali lasciano a desiderare nel Gabinetto di Madrid una più buona volontà verso il Regno d'Italia, di quella che ha
mostrata finora. Il fatto però ch'Ella mi cita della mediazione della Francia nella vertenza fra la Spagna e il Marocco, mediazione solennemente confes~ sata dall'Imperatore del Marocco stesso, potrebbe porgere indizio di una qualche influenza che l'Imperatore dei Francesi esercita già o tenderebbe ad esercitare sulla politica spagnola: nel qual caso non sarebbe improbabile che in un tempo più o meno vicino il Gabinetto di Madrid si piegasse a riconoscere il Regno d'Italia, ponendo all'atto quelle medesime clausole e riserve che il Gabinetto di S. M. I. ha creduto di usare. Ad ogni modo non saprei vedere quale guadagno potrebbe fare l'Italia nel caso di una crisi ministeriale in genere, e nella formazione di un Ministero Narvaez in ispecie.
I Ministeri della Spagna, sia per antica abitudine, sia perchè il reggimento costituzionale vi ha allignato a stento e frammesso alla tempesta delle guerre civili e dei colpi di Stato, subiscono ancora troppo le influenze di palazzo, e sorgono e cadono per intrighi di camarille, più che per impulso di maggioranze parlamentari. Quindi nel caso nostro non apparisce chiaro, mi sembra, se l'attitudine del Ministero attuale nella questione italiana, sia inspirata da convincimenti proprii, o da alte volontà, alle quali ei non abbia coraggio di contrastare, o dalla maggioranza delle Cortes rappresentante un paese schiavo ancora delle superstizioni antiche e animato da quel brutale fanatismo religioso, che gli lasciò in retaggio, insieme con l'ignoranza e la miseria, Filippo II. Su ciascuno di questi punti vorrei ch'Ella si compiacesse darmi chiare e precise informazioni, affinchè potessi farmi adeguata idea dello stato delle cose e delle idee in codesto regno per mia norma nell'avvenire: e le sarei grato se Ella volesse aggiungervi qualche ragguaglio sull'influenza che oggi è più preponderante in Spagna, se quella di Saint-James o quella delle Tuileries; se la crisi ministeriale apparisce probabile e prossima; se veramente vi abbia possibilità d'un Ministero Narvaez, e nel caso con quali idee di politica interna ed esterna quest'uomo di Stato verrebbe al potere, e se si congettura quanta parte potrebbe avere la Francia in questo fatto e di qual occhio lo vedrebbe. La sua abilità conosciuta saprà senza dubbio procurarsi nozioni esatte su quanto le vado indicando, e le assicuro che mi arriveranno molto gradite. Quanto all'ultima parte del suo dispaccio, io penso come lei, ch'Ella non debba comparire a Corte in occasioni solenni, se non come Ministro e rappresentante di S. M. il Re d'Italia. Finchè ciò non possa farsi, io l'autorizzo ad assèntarsi in simili occasioni, siccome da lei viene proposto. L'Italia ormai è un regno di 22 milioni; ha diritto al rispetto delle Nazioni d'Europa, al fianco delle quali si è collòcata prendendo il posto che le spetta: il Governo del Re, mentre
lintende di compiere l'opera della ricostituzione della Nazione, rendendole Roma e Venezia, vuole che sia serbata in faccia a tutti i propri rappresentanti la dignità nazionale; ed essi. troveranno sempre nel Governo del Re le migliori disposizioni per sostenerli, quando uopo ve n'abbia.
Non ho bisogno di dirle quale sia la linea politica che intendiamo seguire, poichè la manifestano chiaramente i discorsi da me pronunziati al Parlamento Nazionale. Ella vorrà certamente uniformarsi al loro spirito, e, sia nelle private conversazioni, sia per mezzo della stampa liberale, propagare questi sentimenti e questi principii. Io non dubito che le aspirazioni e gli sforzi dell'Italia per emanciparsi dallo straniero e per costituirsi in nazione non debbano trovare
15 . Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I
più calde simpatie nella Spagna, in quel nobile paese che combatté per ottocento anni continui, a fine di liberarsi dalla dominazione dei Mori; e da più di trent'anni combatte pel trionfo e il consolidamento delle istituzioni liberali.
(l) Sciogliendo la riserva della nota dell'H giugno, la nota del 6 luglio comunicava il riconoscimento del Regno d'Italia da parte della Turchia: cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'ltatia, 27 luglio 1861, n. 182.
IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 176. Madrid, 7 luglio 1861.
Come non mi era difficile il presagirlo, il moto democratico di Loja dovette cedere tosto di fronte alle forze del Governo Spagnuolo non tardò a dirigervi da ogni parte per la sua pronta soppressione. Infatti oltre le prime colonne di truppe spedite contro gli insorti da Granata e da Malaga una terza colonna tenne lor dietro da Cordova mentre di qua partiva con altre forze il secondo Comandante militare di questa Capitale incaricato di prendere il comando di tutte le truppe destinate ad agire contro i rivoltosi di quella città!
Sebbene poi in quest'intervallo la banda rivoluzionaria che sotto gli ordini del capo R. Perez del Alamo aveva occupato Loja vi si fosse dal canto suo considerevolmente accresciuta ed ivi pure fortificata con barricate e trincee vedendosi tuttavia alfine già quasi interamente circondata da forze del Governo talmente superiori che ogni resistenza sarebbe stata vana abbandonò detta città secretamente nella notte dal 4 al 5 corrente uscendone dalla sola parte donde le comunicazioni non erano ancora intercettate colle vicine montagne e si ritirò nelle anfrattuosità della Sierra Nevada.
Le truppe del Governo occupata Loja si diedero ad inseguire tosto i rivoltosi fuggitivi e raggiuntone il nucleo principale, dopo un breve combattimento, in cui oltre a non pochi morti e feriti caddero pure fra i prigionieri alcuni dei principali autori del movimento, il resto degli insorti si disperse intieramente ed alcuni pochi rimasti col capo Perez, valendosi della cognizione che hanno come contrabbandieri dei passaggi di quei monti che conducono verso la sierra di Ronda e Gibilterra, non cercano ormai che di giungere colà a porsi in salvo.
Intanto Commissioni militari vennero tosto istituite sui luoghi per condannare i sollevati che son già caduti ed andranno cadendo in potere delle truppe del Governo. Non si ha quindi ormai più che ad aspettare le tristi notizie di sanguinose esecuzioni. Egli è da deplorarsi altamente che fra i principali insorti caduti prigionieri si vedano pure figurare persone di bella fama come l'Enriquez, Alcade Corregidor (Sindaco o Podestà) di Loja istessa nonchè alcuni giovani di buone famiglie di quella città come pure di varii altri luoghi di quella provincia segnatamente tutta la famiglia del così detto Sombrerero di Alhama composta del padre con tre giovanetti figli.
La clemenza parrebbe però tanto più opportuna quanto la repressione è stata più pronta e compiuta senza che d'altronde i sollevati siansi resi colpevoli di delitti atroci contro le persone e le proprietà private; ma come già ebbi ad osservare preventivamente tale clemenza è più da desiderarsi che da sperare
in un paese ove troppo inveterate sono certe crudeli tradizioni trista eredità delle guerre civili.
In quanto agli elementi principali che produssero lo sciagurato moto democratico testè espresso, ciò che se ne venne sinora a conoscere ulteriormente non fa che confermare le mie prime indicazioni in proposito.
In un colloquio che ebbi ieri con questo Ministro delle estere relazioni si rivenne sull'argomento della famosa nota che, data dall'Ambasciatore Spagnolo in Parigi simultaneamente ad altra del Rappresentante Austriaco nella stessa città sulle cose d'Italia, ne aveva di recente provocata identica risposta dal Gabinetto Francese, porgendo così motivo di supporre quasi un accordo della Spagna col nemico d'Italia, come già avevo avuto occasione di farne cenno allo stesso Ministro. Su tale argomento il signor Collantes non esitò a rinnovare la sua precedente osservazione che non eravi stato in ciò accordo veruno coll'Austria contro la causa nazionale d'Italia, ma bensì solo che la Spagna, essendosi diretta a tutte le Potenze cattoliche per provocare una conferenza all'oggetto di avvisare in essa ai mezzi di meglio assicurare l'indipendenza del
S. Pontefice, l'Austria sola s'era mostrata disposta a concorrere a questo oggetto speciale, ma che il Governo spagnolo con ciò non aveva inteso né intendeva entrare in ulteriori intelligenze con quella Potenza.
Nell'accogliere dal canto mio con gradimento tali dichiarazioni del Ministro mi permisi tuttavia di osservare ancora che, se le altre Potenze cattoliche interessate al medesimo titolo in favore del S. Pontefice non crederono in tal caso di doversi unire all'Austria, mi pareva risultarne che l'interesse religioso mostrato esclusivamente da questa sola Potenza veniva ad essere più che sospetto di altre mire.
Qui però accennava il Ministro su tal proposito alla circostanza, che le altre Potenze cattoliche non eransi forse credute competenti a deliberare su quanto era stato !issato dai trattati del 1815 per non essere esse intervenute alla loro confezione come l'Austria. Tale osservazione, ripresi io allora, parrebbemi ben piuttosto concludente contro l'Austria istessa; la quale, dopo avere essa la prima infranto nel caso di Cracovia quei trattati appunto che tanto aveva contribuito a fare in suo proprio favore, mal può pretendere d'imporne ora l'osservazione a coloro i quali non fecero allora che subirli. Soggiunsi pur anco che dopo la solenne restaurazione in Francia della Dinastia Napoleonica, la cui perpetua esclusione aveva pur formato la base di tutto il compatto del '15, mal sapevo persuadermi che si potesse ancora sul serio invocare il resto di quelle leonine stipulazioni. Finii col dire che in quanto all'indicatomi scopo religioso, quello cioè di assicurare in modo degno ed efficace alla
S. Sede la più decorosa indipendenza per l'esercizio del suo potere spirituale, mi pareva pur evidente che nessuno al certo se non il Governo nazionale italiano era in grado di ciò fare; a meno che si osasse pretendere coll'Austria, essere più conforme alla dignità del S. Pontefice il continuare ad essere mantenuto colla sola forza soldatesca straniera in una posizione non meno incompatibile col carattere essenziale istesso dell'Augusta Sua Spirituale Autorità, che colla volontà del popolo ove risiede.
Queste mie semplici osservazioni mi parvero assai bene accolte dal Ministro di Stato che d'altronde non vi fece alcuna replica; anzi passò più ad accennare al suo rincrescimento per certe difficoltà che erano insorte qua e là momentaneamente nelle nostre relazioni, dicendosi desideroso di appianarle sempre per quanto possibile. E qui mi è grato poter ora dal canto mio soggiungere che in questi ultimi giorni non si rinnovò più veruna di quelle difficoltà di cui ebbi già a far cenno confidenziale all'E. V. E varii articoli successivi nei periodici ispirati dal Ministero vennero accennando in modo soddisfacente allo stato delle nostre relazioni. Mi permetto di qui acchiudere come saggio l'ultimo di detti cenni comparso or ora nel giornale semiufficiale la Correspondencia (l) da cui rimane anche confermato ciò che già mi era lusingato di rilevare del buono effetto prodotto dalla mia ultima conferenza sull'animo dell'anzidetto Ministero.
P. S. Al momento di chiudere questo mio rapporto mi pervenne il dispaccio di Gabinetto di cui V. E. mi onorava sotto la data del 2 del corrente luglio. Mentre mi reco quindi a grata premura di porgergliene le più sentite grazie godo pure ad un tempo, che da quanto precede l'E. V. possa sin d'ora rilevare essersi già le mie relazioni di officio con questo Governo felicemente modificate per modo da rispondere alla giusta sollecitudine insieme alla fiduciosa speranza che nel precitato dispaccio Ella compiacevasi su tal proposito manifestarmi.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(A R B, cass. 48, orig. autogr.)
L. P. 9. Londra, 8 luglio 1861.
Non ho gran cosa da scriverle per que~to corriere. Ho veduto Lord John ieri, al quale piacque molto la circolare direttami da V. E. in data dei 2 luglio. Lodò quanto in essa dicevasi riguardo al non provocare crisi all'estero. Fece, quasi scherzando, l'osservazione che ogni Ministro aveva un'espressione sua propria onde definire il suo special programma e notò parlare in tale guisa V. E. del compimento dell'apra. Soggiunse che egli intendeva benissimo com'Ella potesse e dovesse parlare in quel modo deciso e risoluto che fece. Non doversi naturalmente aspettare che un Ministro inglese andasse tant'oltre, appunto perché non erano affari direttamente suoi, ed ognuno era miglior giudice di quanto fosse opportuno.
A suo parere l'Imperatore non sarebbe disposto ad acconsentire ad una totale cessione di Roma e del potere temporale, bensi accetterebbe di lasciar la Città Leonina al Papa.
Persigny, per quel poco che gliene disse, pare abbia sostenuto opinioni che sono anacronismi, riparlando d'un dominio da lasciarsi in principio generale al Papa, mentre il Re ne avrebbe l'amministrazione effettiva. In fatti la solita idea del Vicariato. Lord John pare gli abbia detto esser queste cose non più di questi
tempi e del resto, come al solito, non fece molta attenzione a quanto gli disse, né molto si curò di rispondergli. Intanto Thouvenel seguita a mostrar gelosia di qualunque parte l'Inghilterra volesse arrogarsi coi consigli in questa materia. E non piace poi nemmeno a Lord John quell'ansietà dubbiosa che mostrano i Francesi riguardo allo stato di Napoli e della Sicilia, parendo che così da quanto succede ne vogliano trarre argomento d'impossibilità d'unificare l'Italia. Naturalmente risposi esser colpa, in gran parte, dei Francesi e dell'occupazione loro, se il Re di Napoli dirigeva la reazione ed i suoi complotti.
Il Duca di Modena ha mandato qua un tal capitano Macdonald con carte e ragionamenti in sua difesa. Costui è incaricato di fare il suggeritore a Normanby.
Intanto osservai, in varie circostanze, in questi ultimi giorni, che il partito Tory, presumendo di poter tornare al potere, né curandosi di vivere in ostilità con noi, ha mutato modi con me e molto si è mansuefatto. Pare che voglian dire: c non all'unità d'Italia facevamo obbiezioni, ma al modo con cui Cavour l'eseguì. Ora poi accettiamo fatti i quali crearono un potere che, all'occasione, può dar fastidi alla Francia. Dunque si accettino i fatti compiuti e siamo amici :.. Evidentemente gli trover~mo sempre nemicissimi su qualunque idea di riprendere Venezia all'Austria, a meno che questa volontariamente vi aderisca. Anzi, due giorni sono, a casa di Lord Derby, Seymour Fitzgerald, uno dei loro caporioni, biasimò il linguaggio esplicito di V. E., dicendolo non chiesto dalle circostanze. Ma gli risposi, che se non suonava armoniosamente a certe orecchie inglesi, questo discorso aveva fatto gran bene all'Italia rassicurando gli spiriti e facendoli avere piena confidenza nel Ministero del Re. Cosi pure rendevansi nulli i tentativi dei partiti estremi d'impadronirsi della direzione del movimento. Ci scusasse dunque se parlavamo per noi e non per l'Inghilterra a l'estero.
Ma, le ripeto, che affermazioni venute da lei producono effetti rassicuranti e quanto alla cessione della Sardegna, benché rimanga esatta l'osservazione che feci, preferirsi che si dicesse una buona volta per nome che non si cederà la Sardegna, invece d'una formula che a taluni pare un po' farisaica. Nullameno il carattere elevato di V. E. impedisce i dubbi e fa appunto quanto le dissi, ponendo alta la politica che regge l'Italia.
Mentre sul continente s'è menato gran rumore di quanto si disse in Parlamento riguardo alla Polonia, qua gli amici dei Polacchi si lagnano del carattere evasivo delle risposte che vennero date dal Ministero. Czartorisky e Zamojsky da un pezzo eran qua lavorando indefessamente. Onde i Ministri non credettero dover ricusare né di dare comunicazione di documenti, né di dire qualche frase. Ma si avrebbe torto di vederci sotto altri arcani fuori di una certa soddisfazione a contrariarci la Russia per le tendenze che dimostra verso la Francia.
L'occupazione possibile di Tetuan o Tangeri dalla Spagna, potrebbe dar luogo a serie rimostranze per parte dell'Inghilterra, tanto più che l'opposizione pare voglia tenere un linguaggio energico a tal proposito.
P. S. Credo di dover aggiungere, riguardo a Napoli, che ognuno che me ne parla esprime il voto che il Governo usi gran fermezza, senz'andar ad eccessi di repressione. Ma il principale redattore del Times non esitò, sabato scorso, a indicarmi la fucilazione in grande, come essendo nell'opinione sua il solo rimedio.
(l) :i!: allegato al rapporto un piccolissimo ritaglio del giornale che sembra inutile trascrivere, essendone il contenuto accennato nel testo.
IL MINISTRO FRANCESE DEGLI ESTERI, THOUVENEL,
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 44-46)
L. P. Parigi, 8 luglio 1861.
J'ai reçu la lettre que V. E. m'a fait l'honneur de m'écrire en date du 27 juin, et la complète franchise qui vous l'a dictée inspirera aussi ma réponse. En reconnaissant le titre que le Parlement italien a déféré au Roi Victor Emmanuel, l'Empereur a voulu qu'une plus longue abstention de la France, dans un moment où l'on n'aurait pas manqué de lui donner une signification hostile, ne vint pas accroitre les embarras et les difficultés que devait nécessairement rencontrer dans la Péninsule l'établissement d'une monarchie unitaire. Sa Majesté a pensé qu'il n'était conforme, ni à l'origine de son pouvoir, ni aux sentiments de bienveillance dont Elle est animée pour l'Italie, de paraitre contester à une nation voisine et arnie le droit de régler en pleine liberté les condition de son existence politique. Mais j'ai été chargé, en mème temps, de déclarer loyalement qu'il était deux points que nous n'envisageons pas comme le Cabinet de Turin, et au sujet desquels nous réservions nos opinions. L'un de ces points concerne Rome.
Si je ne désire pas moins que V. E. la solution de ce grand problème, je ne dois pas lui cacher que son còté religieux est tout aussi important pour le monde chrétien que son còté politique peut l'ètre pour l'Italie, et que ce double intérèt ne saurait ètre trop murement pesé. C'est l'intérèt religieux, qui, aux yeux de l'immense majorité des Français, semble inséparable du maintien du pouvoir du Pape à Rome, ou, tout au moins, exclusif de la résidence dans la mème ville d'un Souverain puissant et du Chef de la Catholicité, c'est cet intérèt, dis-je, que les circonstances ont placé sous notre sauve-garde, et notre honneur, non moins que notre conscience, ne nous permet pas de rappeler nos troupes tant qu'un accord, bien difficile non seulement à conclure aujourd'hui, mais mème à négocier, ne se sera pas établi entre le Sant-Siège et le Roi d'Italie. L'Empereur a fait connaitre à cet égard son opinion tout entière à M. le Comte Arese, et elle est conforme à celle que je vous exprime.
Je n'hésite donc pas à souhaiter, pour le maintien des bonnes relations de la France et de l'ltalie, que cette question brillante puisse ètre ajournée à des temps plus propices et plus calmes. Si V. E. me le permet, j'en dirai autant de la question de la Vénétie, et j'émettrai également le vreu que l'Autriche, à la veille d'entrer en arrangement avec la Hongrie, n'ait pas à voir dans l'expression trop vive et trop ardente du désir des ltaliens une provocation qui lui rendrait sa liberté d'action, sans qu'il nous fUt possible d'opposer le principe de non intervention à une grande Puissance se prétendant blessée dans son honneur, et déclarant ne pas ètre obligée d'attendre qu'un adversaire, qui annonce hautement et d'avance l'intention de la combattre, soit armé contre elle de tous ses moyens d'attaque.
L'ltalie en deux ans, Monsieur le Baron, a été récompensée de ses longues souffrances; elle a fait pour son unité, dans ce court intervalle ce que d'autres nations ont mis des siècles à accomplir. N'y a-t-il pas là pour les esprits patriotiques, fermes et sensés comme le votre un légitime motif de patience et d'espoir, et le travail d'assimilation à opérer à l'intérieur ne leur ouvre-t-il pas un champ assez vaste et assez fécond? Je terminerai, comme j'ai commencé, en répétant à
V. E. que sa franchise a excité la mienne, et je me plais à croire qu'elle n'y verra qu'une expression de mes bien sincères sympathies pour la cause italienne.
L'INVIATO STRAORDINARIO PRESSO LE CORTI DI SVEZIA E DANIMARCA, TORRE ARSA (1), AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(A R B, Cass. D 2, n. 40)
L. P. Stoccolma, 8 luglio 1861.
Partendo domani alla volta di Torino l'inviato straordinario di questo Governo colla risposta alla lettera Reale ch'ebbi l'onore di presentare, credo mio dovere non perder tempo a portare confidenzialmente alla conoscenza dell'E. V. le cose più essenziali dettemi dal Re il giorno che pranzai alla Corte, ed alcune mie particolari osservazioni che possono, forse, contribuire a rendere più facili le nostre relazioni con questo paese.
Le intenzioni di S. M. il Re Carlo XV verso l'Italia sono quali noi possiamo desiderarle e quel che più vale la M. S. sa valutare di quanto interesse sia per la Svezia lo avvicinarsi a preferenza alla Francia ed a noi. Il Re è giovane ed ardente, e quindi vagheggia con affetto l'alta missione alla quale potrebbe essere destinata la sua patria nel Nord per lo svolgersi di certi avvenimenti. E son persuaso che se la questione dei Ducati dovesse produrre una guerra tra la Germania e la Danimarca la Svezia non mancherebbe di far per questa qualunque sacrifizio. Principale cura sono quindi del Re l'esercito, e la marina onde avere all'occorrenza 80 mila uomini circa sotto le armi.
Parlando francamente dei nostri rapporti accennai all'utilità di un trattato di commercio tra i due paesi, e S. M. colla più cordiale sollecitudine, dissemi subito che ne comprendeva pienamente l'importanza, e che avrebbe dato gli ordini opportuni perché dal suo inviato costi se ne fossero tosto iniziate le trattative. Convinto, in quanto a me dell'utilità che principalmente ne ritrarrebbero le nostre provincie meridionali spero che l'E. V. non vorrà disapprovarmi per l'iniziativa presa.
Durante il pranzo, e dopo S. M. parlommi a lungo con amichevole espansione del nostro Augusto Sovrano, ed avendo finito per chiedermi se io credevo che poteva riuscire gradito il suo ritratto, e qualche altro piccolo regalo a S. M. il Re d'Italia, si mostrò contento della mia assicurazione della riconoscenza colla quale sarebbero state accolte queste prove di cordiale amicizia, e mi diede tosto un suo bel ritratto in fotografia per io presentarlo da parte sua al nostro Sovrano,
p. -120, era stato incaricato di una « missione straordinaria » presso le Corti di Stoccolma e Copenhagen: in A. E. si conservano le istruzioni direttegli dal Ministero, i suoi rapporti ufficiali da Stoccolma e Copenhagen, nonchè una relazione di carattere storico-politico sui paesi scandinavi, da lui stesa al ritorno in Torino il 25 agosto 1861.accennando nello stesso tempo di volermi aggiungere qualche altro oggetto alla mia partenza.
S. M. mi parlò del Generale Bildt, che viene costi come inviato straordinario, con molto vantaggio designandolo come il suo migliore amico, e per meriti distinti destinato tra non molto ad un'alta posizione in questo paese. Dopo il pranzo S. M. degnossi di presentarmelo personalmente, e cosi avendo avuto l'ag'io di conversare seco per qualche tempo potei convincermi che il Generale divide le aspirazioni del suo Re, e che apprezza le grandi quistioni che attualmente interessano l'Europa perfettamente come vanno riguardate dal Gabinetto che l'E. V. degnamente dirigge e presiede.
S. A. R. il Principe Oscar, fratello prediletto del Re, mi trattenne più a lungo parlandomi più particolarmente delle cose d'Italia, ed io mi lusingo di aver confermato l'A. S. R. nell'opinione che l'unica soluzione possibile della quistione italiana, e la più conforme agli interessi generali dell'Europa, si era quella che ormai è da annoverare, grazie al cielo, ne' fatti compiti.
Il Ministro degli Affari Esteri, S. E. il Conte Manderstroem è stato ammalato con un attacco d'asma, e perciò non mi è riuscito vederlo pria di sabato ad un pranzo ch'ebbe la cortesia di darmi. Egli è certamente un uomo distinto, ma se dovessi credere ad una mia prima impressione lo direi un diplomatico della vecchia scuola, e di quelli perciò che accettano il nuovo ordine di cose in Europa con una certa diffidenza, e non come un vero progresso per l'umanità. Buon per noi se mai il mio giudizio si apponesse al vero, che in questo paese l'importanza dei Ministri non eguaglia quella che si hanno negli altri paesi costituzionali. Qui mercé la stessa costituzione il Re regna e governa, e perciò i Ministri sono veri delegati del potere esecutivo, e non consiglieri della Corona rappresentanti l'opinione politica dominante nello Stato. Qui insomma si può esser Ministro per la sola autorità e volontà del Re ch'esercita un potere maggiore di quello che avrebbe voluto forse attribuirgli la costituzione. Qui perciò è essenziale che un agente diplomatico riesca più d'ogni altro gradito al Capo dello Stato.
Le accoglienze a me fatte dal Re, dalla Corte, dal governo e dal popolo sono state veramente al di là di ogni mia aspettazione e quindi io non manco, per come mi è stato anche ordinato dall'E. V. di mostrarne la dovuta riconoscenza. Il Ministro degli Stati Uniti d'America era qui da un mese e mezzo, e fu ricevuto dal Re la prima volta la dimane del mio arrivo, e dopo di me. Verso il 15 del mese dimanderò la mia udienza di congedo, e poscia mi preparerò a lasciare questa capitale per essere a Copenhagen verso il 30 onde attendervi il Re di Danimarca che vi ritornerà da un suo viaggio nelle provincie al cominciare di Agosto.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 46-50)
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 9 luglio 1861.
Un fait que je regrette, quelque exceptionnelles que soient les circonstances qui I'ont amené, a fourni à M. le Comte de Goyon, Commandant en Chef des troupes françaises dans les Etats du Saint Siège, l'occasion d'adresser au Consul du Roi à Rome une lettre que je dois vous charger de mettre sous les yeux de
S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de S. M. l'Empereur {1).
Les brigands qui envoyés ou soudoyés de Rome infestent les provinces limitrophes, après avoir ravagé le pays, cherchent et trouvent avec une facilité déplorable un abri sur le territoire pontificai. Un détachement de nos troupes ignorant selon toute apparence la véritable limite, où dans la chaleur de la poursuite, franchissait dernièrement la frontière et opérait à Rio Freddo l'arrestation d'un de ces individus les plus dangereux et les plus coupables. C'est là sans doute à ne considérer que les strictes règles du droit, une violation de frontière, provoquée toutefois par des attentats à la sfireté publique dont il serait impossible de ne pas rendre responsable la négligence ou la connivence des autorités pontificales.
Mais pareilles violations de limites arrivent quelque fois sur d'autres territoires dans des conjonctures infiniment moins pressantes et loin de recourir à des menaces ou à des recriminations blessantes, les états intéressées s'empressent toujours de régler de la manière la plus courtoise ces sortes d'affaires.
En employant un langage qui s'écarte des formes usitées entre Gouvernement et Gouvernement et qui, s'il était connu, ne pourrait qu'etre regardé par la nation italienne comme une offense à sa dignité, Monsieur le Comte de Goyon ne s'est certainement pas inspiré aux sentiments qui animent la France, et le Gouvernement de l'Empereur, j'en suis sur, n'en sera pas moins aftligé que nous l'avons été nous memes.
Dans cette conviction, Monsieur le Comte, je me serais volontiers abstenu de signaler au Gouvernement de l'Empereur le procédé de Monsieur de Goyon, si l'incident dont il s'agit ne révélait toujours d'avantage les inconvénients très graves de la situation qui est faite à la France en meme temps qu'à nous par ce qui se passe dans les états du Sait-Siège.
Nous ne saurions assurément nous préoccuper du danger de « rencontres vigoureuses et facheuses » auxquelles fait allusion la lettre de l'honorable Général. Nos soldats sont pénétrés d'une trop juste admiration pour cette vaillante armée qui a si noblement soutenu à Magenta et à Solferino les intérets de notre cause nationale; ils savent trop tout ce que l'Italie doit à la France de services et de reconnaissance, pour qu'on ait à craindre jamais qu'une extrémité quelconque puisse les exposer au malheur d'une collision. Mais d'autres périls plus réels et plus graves doivent nous inspirer de vives et sérieuses inquiétudes, et ce n'est pas d'aujourd'hui seulement que le Gouvernement du Roi a du s'en ouvrir avec la franchise et la confiance que lui inspire l'amitié de la France.
Nous respectons les motifs qui ont déterminé l'Empereur à prolonger le séjour de ses troupes dans une province que les Italiens considèrent comme une
tout •·
des portions les plus importantes de leur patrie, dans une ville que tout désigne
comme la Capitale naturelle de l'Italie sans qu'elle cesse d'etre le centre de la
catholicité. Nous sommes persuadés que dans la haute sagesse de notre Auguste
Allié le drapeau français n'est pas et ne peut pas etre un obstacle à la consolida
tion de notre unité nationale, à l'accomplissement d'une reuvre qui est tout aussi
l'reuvre de la France que la nòtre. Aussi les italiens, malgré l'anxiété toute
naturelle qu'ils éprouvent en présence d'une question si vitale pour leur patrie,
ne cessent-ils d'avoir une entière confiance dans la politique éclairée, dans les
sentiments généreux de l'Empereur, comme dans un constant accord entre le
Gouvernement du Roi et le Gouvernement Français.
Cependant nous ne saurions cacher que les tentatives qui de Rome viennent
troubler constamment et d'une façon si grave la tranquillité de nos provinces
méridionales produisent dans l'esprit de nos populations un effet déplorable. La
conscience publique en est justement émue, le sentiment national en est irrité.
L'opinion de tous les gens honnetes demande vivement que le Gouvernement du Roi prenne avec vigueur toutes le mesures nécessaires pour protéger la vie, la propriété, le repos de ses sujets, qu'il tache d'obtenir de la bienveillante sollicitude de la France pour l'Italie, qu'on cesse enfin d'abuser de la protection du drapeau français pour organiser impunément à quelques pas de nos frontières des brigandages et des atrocités qui répugnent à tous les principes de la société civile, à tout sentiment d'humanité, à l'esprit et à la morale de la religion chrétienne.
Le Gouvernement de l'Empereur qui en reconnaissant le Royaume d'Italie nous a donné un gage précieux de l'intéret qu'il porte à notre pays, déplore sans doute tout autant que nous qu'on se couvre de son nom et de sa puissance pour faire appel aux passions les plus brutales et ensanglanter nos provinces voisines.
Mais ce n'est que l'autorité de la France elle meme qui peut efficacement couper court à de semblables excès. Si un pareil état de choses se prolongeait, je dois le dire avec douleur, le prestige du Gouvernement du Roi, l'infiuence salutaire qu'il exerce sur les esprits, en subiraient une profonde atteinte.
Jusqu'ici nous avons pu réussir à guider et contenir le mouvement italien dans une voie qui lui a mérité les sympathies de l'Europe. Mais, si en présence de la sécurité avec laquelle une réaction qui n'a pas de raison d'etre, profite de l'occupation française pour troubler le repos de l'Italie, nous devions nous montrer presqu'impuissants à défendre nos frontières et à faire valoir nos droits, notre tache deviendrait bien plus difficile, et les aspirations nationales pourraient prendre un essor compromettant pour le maintien de ces principes d'ordre et de modération qui n'ont cessé de régner jusqu'à ce jour.
C'est sur ce danger, Monsieur le Comte, plus encore que sur un incident isolé que je vous engage à appeler de nouveau l'attention du Gouvernement de l'Empereur. L'évidence meme du mal lui fera sentir, j'ose m'en fiatter, combien il est urgent de hater d'accord avec nous une solution qui sans nuire aucunement à ces grands intérets spirituels, que nous avons tous à creur de sauvegarder, donne à l'Italie la sécurité et la satisfaction qu'elle a lieu d'espérer et d'attendre du concours bienveillant de la France.
(l) • Je vous prie -aveva scritto il Goyon al Teccio di Bayo il 29 giugno -de nous donner des explications nettes sur cette violation de territoire. J'envoie nos officiers sur les lieux pour réclamer l'homme qui a été indftment arrété. Je ferai, s'il le faut, occuper la frontière, et dans ce cas, j'ai l'honneur de vous faire observer que de pareils faits ne se produiraient pas sans rencontres vigoureuses et fàcheuses. Nous ne pouvons admettre que on viole pour quoi que ce soit le territoire confié à notre garde. Nous sommes Français avant
NAPOLEONE III A VITTORIO EMANUELE II (l) (Ed. in Cavour -Nigra, IV, 1301)
Vichy, 10 luglio 1861.
Je me suis plu à recevoir avec distinction le comte Francesco Arese, Sénateur, que vous m'avez envoyé pour m'apporter la notification de l'acte législatif, qui confère à V. M. le titre de Roi d'ltalie. Je charge particulièrement mon aide de camp et premier écuyer le Général Fleury, qui vous est connu, de vous exprimer en qualité de mon envoyé extraordinaire toute la satisfaction que m'a causée le choix d'un personnage aussi distingué que le Comte Arese pour remplir cette haute mission et le vif intérèt que j'attache aux grands événements qui se sont accomplis dans la péninsule. Je fais des vreux pour que l'ltalie repose en paix et prospérité sous votre sagesse, et je vous prie de croire à tout ce que vous dira de ma part le Général Fleury, surtout lorsqu'il vous exprimera les sentiments de haute estime et d'inviolable amitié, avec lesquels je suis, Monsieur mon frère, de V. M. le bon frère.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 344. Berlino, 11 luglio 1861.
Ainsi qu'il résulte de mon rapport n. 342 j'avais devancé vos instructions. Mais la circulaire du 2 juillet m'a mis à mème de fournir hier au Ministre des Affaires Etrangères de Prusse des données et des observations qui ne pouvaient manquer de produire le meilleur effet, parce que mon langage était autorisé par
V. E. J'ai cité, entre autres, textuellement les articles concernant la politique extérieure. Le Baron de Schleinitz m'en a témoigné toute sa satisfaction.
J'ai ensuite donné lecture de la dépèche (Cabinet) du 5 juillet sur les affaires de Naples, afin de prouver de plus en plus à ce Ministre, que nous étions maitres de la situation en Italie. J'ai mème exprimé l'espoir que, du moment où nous offrions de sérieuses garanties sur la marche régulière des choses, la Prusse ne tarderait pas à suivre l'exemple des Puissances qui déjà ont reconnu le Royaume d'Italie.
M. de Schleinitz faisait des vceux pour que nous réussissions, dans l"intérèt de notre propre cause, à pacifier entièrement les provinces napolitaines. Il semblait craindre cependant qu'après avoir triomphé des difficultés dans l'Italie méridionale, nous ne fussions tentés de nous retourner avec toutes nos forces contre Rome et Venise.
Quant à la reconnaissance, le Gouvernement Prussien réserve toujours sa décision. Il se fiatte qu'en attendant nous saurons à notre tour nous abstenir de lui adresser une mise en demeure de se prononcer. Il croit avoir des titres à invoquer pour que nous usions de quelque ménagement sur ce point. Nous avions déjà reçu de nombreuses preuves de son désir de maintenir de bonnes relations avec le Cabinet de Turin, et tout récemment encore il avait témoigné de sa bienveillance. Le Mecklembourg voulait saisir la Diète Germanique de la question du retrait d'exéquatur aux Consuls de trois Puissances allemandes, et provoquer des mesures de représailles. Le Gouvernement Prussien ayant eu vent de ce projet, il est parvenu à l'ajourner indéfiniment.
J'ai remercié M. de Schleinitz de ces procédés qui m'inspiraient la confiance que le Cabinet de Berlin ne s'arretrait pas à mi-chemin, et cela dans son intéret aussi bien que dans le nòtre.
(l) La lettera fu recata al Re dall'Arese, partito da Parigi 1'11 luglio, avendo compiutocosi la sua missione straordinaria.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 345. Berlino, 11 luglio 1861.
V. E. aura vu par ma dépeche précédente que j'ai parlé, incidemment, au
Bar011 de Schleinitz de la question de reconnaissance.
Voici pourquoi.
Il est décidé que M. de Schleinitz cédera dans quelques semaines son portefeuille au Comte de Bernstorff, Ministre de Prusse à Londres, qui a évincé, contre toute prévision, les autres candidats. Le futur Ministre des Affaires Etrangères est personnellement mal disposé pour l'Autriche où il représentait son pays en 1850. Le Prince Schwartzenberg avait demandé et obtenu son rappel. Lors meme qu'il chercherait aujourd'hui à se remettre dans les bonnes graces de l'Empereur François-Joseph, mes appréhensions ne se porteraient pas de ce cOté; car, en dépit des hommes, la force des choses l'emportera toujours sur les velleités de rapprochement intime entre deux Puissances rivales. Je crains bien plutòt les tendances réactionnaires, l'esprit routinier, les principes légitimistes, le caractère hautain et cassant de ce diplomate de la vieille école. On devrait supposer qu'en acceptant de siéger dans un Ministère libéral, il en adoptera les idées. Mais le libéralisme des membres actuels du Cabinet ne sait-il pas transiger avec l'entourage rétrograde du Roi? Et d'ailleurs le Comte Bernstorff ne se croira aucunement solidaire de la politique intérieure. Dans ces circostances nous perdrons au change; car si M. de Schleinitz ne s'est pas s'ignalé par une gestion brillante, il a su du moins prévenir bien des complications par une attitude conciliante. Il conviendrait par conséquent d'utiliser, si possible, l'intervalle assez court qui s'écoulera avant l'arrivée au pouvoir de M. de Bernstorff, pour tàcher de vaincre les hésitations du Cabinet de Berlin à notre égard.
Il serait, il va sans dire, au dessous de notre dignité d'insister nous memes trop vivement -je me suis borné pour mon compte à de simples observations mais peut-etre serait-il le cas d'invoquer les bons offices de l'Angleterre. Les conjonctures seraient assez propices en ce sens, que la Prusse, mécontente de l'attitude de certains Etats du Midi de l'Allemagne qui agissent à l'instigation de l'Autriche, commence à se repentir d'avoir usé de trop de condescendance à leur endroit. J'ai parlé sur ce sujet à Lord Loftus qui a paru comprendre mes arguments.
Le concours de la France nous serait aussi très précieux; mais j'ose à peine y compter, car l'amitié qu'elle nous porte n'est point assez désintéressée pour qu'elle veuille s'employer activement à nous ménager de nouveaux alliés. En effet jusqu'ici le Prince de La Tour d'Auvergne n'a été chargé d'aucune démarche officielle dans ce but.
C'est vraiment dommage que M. de Bismark n'ait pas été appelé à recueillir la successione de M. de Schleinitz, car il n'eut pas hésité à proposer au Roi Guiillaume de reconnaitre sans plus tarder le Roi d'Italie. M. d'Usedom également, sans etre aussi résolu dans ses allures, n'aurait pas manqué de precher en notre faveur.
Je vous serais reconnaissant, Monsieur le Baron, si vous vouliez me communiquer le jugement que le Marquis d'Azeglio porte et qu'il est parfaitement à meme de porter sur M. de Bernstorff, son collègue de Londres.
Voici un article de la National Zeitung qui réclame une prompte reconnaissance du Royaume d'Italie.
P. S. -Le Baron de Schleinitz sera nommé, assure-t-on, Ministre de la Maison du Roi.
IL MINISTRO AD ATENE, MAMIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. l. Atene, 6-11 Zuglio 1861.
Io giungeva in Atene il 6 del corrente e subito fui visitato dal Prefetto di Polizia che fecemi le più larghe profferte a suo nome ed a quello del Ministro degli affari interni. Altrettanto io ne riceveva dal Ministro degli esteri Signor Conduriotis.
Istruito da loro che S. M. il Re Ottone era in procinto di lasciare Atene e che aveva differito di qualche giorno il suo viaggio per potere accogliere il nuovo Ministro del Re d'Italia, mi affrettai di chiedere udienza la quale ottenni immediatamente e fu nel fatto la più cortese ed affabile che potesse desiderarsi.
Venni introdotto nella Sala del Trono dal Signor Conduriotis che è parimente Ministro della Real Casa; il Re mi vi attendeva circondato da suoi. ajutanti e altri dignitari. Io pronunciai a un dipresso le infrascritte parole:
Sire
c: Le Roi Victor Emmanuel II mon auguste maitre m'a fait l'insigne honneur de me nommer son envoyé extraodinaire et son ministre plénipotentiaire près
de V. M. J'ai le bonheur de remettre dans Vos mains la lettre où il se plait à Vous informer de ma noble mission.
«Il lui importe beaucoup de Vous prouver, Sire, combien il a été touché du vif intéret et de l'affectueux empressement avec lequel V. M. a bien voulu reconnaitre d'une manière officielle son nouveau titre de Roi d'Italie, titre glorieux qu'il doit à la protection de la Divine providence, au vote populaire et à la valeur de son bras.
«En meme temps il a désiré de resserrer de plus en plus les rapports d'amitié et, j'oserais dire, de fraternité naturelle qui existent entre la Grèce et l'Italie; ces deux pays qui se partagent l'honneur d'avoir posé les bases de la civilisation de tout l'Occident. Personne, d'ailleurs ne peut ignorer que plusieurs provinces de l'Italie méridionale sont fières de leur origine hellénique.
« Quant à moi, chargé de représenter à la Cour d'Athènes le Roi d'ltalie, et dont Vous avez daigné, Sire, agréer le choix, je m'efforcerai par toutes mes pensées et par tous actes de mériter complètement Votre Royale bienveillance '>.
Il Re mi si fece molto accosto per bene udirmi essendo di grosso orecchio.
Gentilissima e cordiale fu la risposta di lui; insistette sul punto dell'amicizia fra i due stati, toccò della utilità reciproca di ricavarsi dalle relazioni più frequenti e più intime, si rallegrò della nostra risurrezione, lodava le scienze e le arti italiane, e compiva il suo parlare ripetendo la molta soddisfazione che recavagli di vedere in Atene la nuova legazione italiana, aggiungendo parole soverchiamente lodative per la persona dell'Inviato. Dopo ciò entrava meco in discorsi più famigliari e chiedevami con premura notizie del Re e della Reale famiglia, mostrando piacere di essere informato di parecchi particolari della nostra corte.
In tutto questo, Eccellenza, io dovetti accorgermi della grande riservatezza anzi del compiuto silenzio tenuto da S. M. rispetto ai principii politici, e così mi compiacqui doppiamente di avere io fatto altrettanto nel mio breve discorso per non isgradire al principe nè ingelosire gli altri ministri rappresentanti. Solo stimai mio debito di accennare le cagioni poderose per cui è divenuto legittimo e sacro il titolo di Re d'Italia assunto dal nostro Monarca.
Venuto poi in presenza della Regina, conobbi alle prime parole di Lei il suo spirito disinvolto, la pronta e fine intelligenza, l'animo elevato e più che muliebre. Fra l'altre cose che le dissi fu questa fondata nella verità, che sebbene io avessi appena girato l'occhio sopra Atene ed i suoi contorni, incontravo da pertutto miglioramenti e perfezionamenti che portavano il nome di lei, ovvero da Lei pigliato aveano un qualche principio. Sfavillò negli occhi di molto compiacimento, ma stimò convenevole il cambiar subito di proposito.
Due giorni dopo, tornai a Corte per presentare alle LL. MM. il mio Segretario Privato Nobile Signor Conc~ni, e il Comandante del Vittorio Emanuele Marchese di Montezemolo con tutta la ufficialità sua. Il Re e la Reg'ina volgevano parole graziose a ciascuno in particolare e non nascondevano la loro curiosità di sapere lo stato attuale della nostra marineria della quale mi sono avveduto che qui si aspettano grandi cose.
Compita la visita, io, il Comandante Montezemolo, il Comandante in seconda Signor Ansaldi, e il tenente Signor Giribaldi siamo stati commensali delle Loro Maestà. Il Re aveva fatto invitare molti dignitari, e alcuni insigni professori dell'Università. Io sedetti alla destra della Regina, la quale quanto durò il desinare e più tempo dopo (scusi l'E. V. questa minuzia) conversò meco senza quasi interruzione, e entrò in discorsi di antichità, di lettere, di lingue, e di cento altri argomenti, mostrando pel sottoscritto una particolarissima degnazione da tutti avvertita. Non ometterò di ricordare che S. M. il Re, ambidue le volte che ho avuto l'onore di visitarlo, non si fregiava di altro ordine cavalleresco, eccetto quello della Nunziata.
Egli andrà domani al Pireo per salire sopra un piccolo ma elegante Vapore greco che porta il suo nome. Io mi troverò colà come a caso, e non mancherò di ossequiarlo a bordo del suo legno e accompagnarlo coi miei auguri. Di tali uffici qui non si può fare a meno. Il Re dicesi va in Baviera e dopo breve dimora a Monaco, assaggerà la virtù di qualche acqua termale. Aggiungesi che tratterà in famiglia la questione gelosa e difficile della successione al trono ellenico, definendo e assicurando la quale, spera di togliere esca ai partiti; dapoichè il Governo stesso va confessando che l'ultima cospirazione era macchinata col fine di mutare la persona regnante. Io ne scriverò alla distesa a V.
E. nell'ordinario prossimo. Intanto non voglio tacerle che interpretando io le intezioni sempre cortesi e nobili di cotesto Governo Italiano proposi al Re d'i valersi della nostra pirofregata il Vittorio Emanuele, ovunque gli fosse bisogno
o piacere di condursi. Il Re sebbene non accettava, mostrò di gradire altamente l'offerta e ne fece vivi ringraziamenti a me ed al Comandante.
Pochi rappresentanti delle Corti estere sono qui a questi mesi; e ognuno che può, si ripara dai caldi stemperatissimi nei radi luoghi freschi e ombrosi dell'Attica. Perciò infino ad ora, non ho conosciuto di persona fuori che il Ministro Ottomano Signor Photiadès il quale ieri dettesi premura di comunicarmi con lettera tutta di sua mano la nuova della ricognizione ufficiale che fa la sua Corte del Regno d'Italia. L'ho ringraziato con le migliori parole che ho saputo. È un giovine di mente svegliàta, ricco e alquanto sfarzoso. Si ripromette ogni bene dal nuovo Sultano cui attribuisce meriti singolari e afferma essere deliberato a proseguire con somma energia l'opera della civiltà, né appartenere punto, come ne correva voce, alla setta degli Ulemi fanatici e dei retrivi. Staremo a vedere.
V. E. intende che io non dovea far visita né all'Austria, né alla Russia, né ad alcun altro potentato che nega di riconoscerei. Ho fatta eccezione per la Prussia la quale non ha mai rivocato da Torino il suo Ministro. Ma l'inviato Russo sembra dolersi d'essere escluso e m'ha per vie indirette fatto conoscere il gran desiderio che avrebbe d'una mia visita! Questo prova che cominciamo ad aver qualche peso nella bilancia europea, e che prestissimo la Russia saluterà officialmente il Monarca d'Italia.
Tutto il popolo greco, può dirsi, à festeggiato in suo cuore l'arrivo della Legazione italiana, e crede che al presente la sola nostra nazione gli può recare ajuto efficace e disinteressato. Nel rendere io visita al Prefetto di polizia, uomo assai gradito alla Corte l'udii non senza maraviglia significarmi che la speranza dei Greci è fondata sulle buone sorti d'Italia e confidarsi essi nelle origini che abbiamo comuni e per le quali componiamo quasi un popolo solo. Tutto ciò non sembra detto fortuitamente né senza permissione della Regina; e dico della Regina perché il Ministro Conduriotis discorrendo meco jeri l'altro in Palazzo attribuiva a Lei sentimenti ed espressioni molto simili alle riferite. Il Conduriotis ha fama di probità specchiatissima, né debbo sospettare nelle sue parole un'arte di provocazione per leggermi dentro l'animo; ad ogni modo, le mie risposte furono modeste e non uscirono dai generali.
Gli italiani di qui, genterella di poca importanza, ed alcuni giovani greci aveano apparecchiato un inno da cantarsi con qualche solennità per festeggiare l'arrivo della legazione Italiana. La polizia stimò bene di non permetterlo, veduta la condizione dei tempi e considerato che molte importanti carcerazioni politiche sono accadute solo un quindici giorni addietro e si sta ancora rintracciando tutte le fila d'una non leggiera cospirazione. Ma la Polizia stessa e il Ministro dell'Interno sonosi largamente scusati della proibizione volendo anzi tutto che la non sia reputata per conto niuno come un segno di poco rispetto e di poca affezione all'inviato di Re Vittorio Emanuele.
Darò più tardi a V. E. quella spiegazione dell'accidente e di più altre cose che mi apparisce la più chiara. Ma come ciò stia, certo è che noi possiamo con mediocre diligenza e fatica estendere qui e nei contermini paesi la nostra influenza, e ingrandirla di giorno in giorno, e oso affermare, recarla a un segno al quale forse nessuna potenza può giungere, sebbene fornita di gagliardissimi e copiosissimi mezzi. E per citarne uno di questi, fo noto a V. E. che la Francia, l'Inghilterra, la Russia mai non mancano di tenere nel Pireo un loro legno da guerra a tutta requisizione dei rispettivi Ministri. Noi non solo non vi abbiamo stazione di navi da guerra, ma passano parecchi anni senza che vi si faccia vedere la nostra bandiera.
Nell'abboccamento prossimo che avrò col Ministro degli Esteri gli terrò discorso fondato e premuroso del Trattato postale fra i due paesi; ed ho viva speranza che in pochissimo altro tempo sarà condotto al suo termine.
11 luglio.
Questa mane il Re giungeva al Pireo verso le otto e un quarto. Ricevette allo scalo gli omaggi e saluti di molti Senatori e altri personaggi del Regno poi salpò sopra una picciola nave molto bene accomodata ed ornata. La Regina lo accompagna infino a Kalimaki, dove il Re si condurrà a "Qordo dell'Ottone legno della compagnia greca dei Vapori corrieri, né si fermerà mai per via insino a Venezia. Io mi son fatto debito di visitarlo a bordo e mi à di nuovo accolto con isquisita gentilezza di parole e di maniere.
lo vorrei da ultimo pregare l'E. V. d'una condiscendenza che tornerebbe al sottoscritto decorosa e graditissima: e sarebbe di concedermi che il nobile Signor Concini mio Segretario privato potesse vestire la divisa di Addetto alla Legazione. Ciò darebbegli facoltà di essere ammesso alle feste di Corte e crescerebbe, come, si suoi dire, un poco di lustro al seguito dell'Inviato. Le altre principali legazioni di qui compongonsi di parecchie persone; l'Italia, d'un solo segretario di seconda classe dopo il Ministro.
VITTORIO EMANUELE II A VIMERCATI
(A. c. R.)
L. P. Torino, 11 luglio 1861.
La ringrazio delle sue due lettere (1). Deploro molto le parole dette dal
Barone al Parlamento di cui prima non fece confidenza né a me né a nessuno
al Ministero.
Deploro pure che la missione d'Arese sia stata come fù ma se Arese a cui parlai a lungo, si fosse tenuto nei termini da me fissati ciò non sarebbe successo. Io non ho cambiato in niente la mia maniera di pensare da quando lo viddi, sulla questione Romana. Ma è una questione di tempo e non ambisco nemmeno per ora di andarci e nemmeno per qualche tempo, so benissimo che la Francia per ora non può fare diverso da quel che fa e sono fermo nelle mie idee che la questione della Venezia in qualunque maniera giunga è sempre a preferire che preceda la questione Romana. Ora non si metta in pena di ciò che è successo, niente è peggiorato per ciò e ne siamo all'istesso punto, assicuri frattanto l'Imperatore che sono fermo nelle mie idee che sono tali come le espressi. Altri potranno dire parole ma fatti salvo che lo voglia io, nessuno. Bisogna però calcolare un caso solo per ora e questo è importante. Sapere in che intenzione sarebbe l'Imperatore in caso di morte del Papa, e cosa potressimo fare noi o per accertarsi la nuova nomina d'accordo con lui preventivamente o per profittare della circostanza del momento se ciò accadesse. Cioè quello che bisognerebbe bene combinare prima per agire lestamente al momento senza titubazione, ma salvo questo caso aspettare dal tempo e finire prima la questione Veneta. Dica all'Imperatore che mi finisca il tormento di Francesco II a Roma che è un gran bugiardo.
Riguardo a Nigra esso partirà subito che la missione di Fleury si è compiuta, si intenderà con me prima di partire e la prego di mettersi perfettamente d'accordo con lui.
Per la sua nomina la cosa sarà fatta in pari tempo e non in segreto ma al chiaro del sole e del Mondo intiero. Ringrazi Thouvenel da mia parte e lo assicuri dell'interesse che tutti due prendiamo per i nostri affari. Sappia dirmi dove mi hanno portato la mia figlia, mi si dice che è partita pel Canadà .
IL CAVALIER UCCELLI (2) AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 49, n. 18, orig. autogr.)
L. P. Parigi, 11 luglio 1861.
Ho creduto conveniente non presentare la lettera al Conte di Persigny finché Arese rimaneva a Parigi, sia per non ferire le di lui suscettibilità, sia perchè
L. CHIALA, Torino 1890, pp. 368-370).
16 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I
Thouvenel non ne venisse avvertito, giacché qualunque sia la segretezza che uno
possa mettere in opera, Parigi è così pettegolo che tutto viene a risapersi.
Thouvenel, favorevolissimo alla nostra causa, va in congedo domani, sabato
adunque avrò l'onore di recarmi al Ministero dell'Interno e per quanto è nelle
mie facoltà cercherò di far comprendere tutta la gravità della nostra posizione,
e tutto l'interesse che il governo italiano prende a una soluzione pronta e defini
tiva della questione Romana.
Insisterò più specialmente sulla convenienza politica e sui pericoli religiosi,
sul bisogno urgentissimo di entrare in trattative, come sulla necessità che ci in
combe di svolgere queste trattative in modo consentaneo al principio nazionale.
Non insisterò gran fatto sulla questione di diritto, poiché il Governo francese
tiene molto a non perdere l'aureola di Stato conservatore e antirivoluzionario,
molto più che la questione di Roma conspira con tutti i partiti a danno del Bona
partismo. Le provincie per il momento sono più invelenite della Capitale, la quale
si affiacchisce nel suo zelo cattolico, e comincia ad assuefarsi all'idea di Roma
italiana. Fra sei mesi Parigi o per stanchezza o per persuasione sarà convinta che
il Papato temporale non ha più ragioni di esistere e continuare.
Walewski, checché ne dica il Conte Arese, continua nelle sue intemperanze
austriache, ma appunto perché troppo esagerato, non è da reputarsi pericoloso,
inoltre la sua posizione al Ministero di Stato è molto teatrale, e quasi niente
politica.
Son felice di sentire che Ella pensi a proporre un progetto per le cose di Roma, è ottimo divisamento, giacchè in questo importantissimo affare è nostro interesse mostrare un'attività perenne e quasi direi esagerata. Da alcuni giorni prende consistenza la voce che il Conte Persigny lasci il Ministero degli Interni per l'Ambasciata di Londra, ove il Conte Flahault decrepito di corpo e di spirito non può gran fatto giovare ai disegni dell'Imperatore, inoltre si aggiunge che l'attuale Ministro degli Interni non sia così attivo, e così tenero del suo dicastero, forse per mancanza di attitudine, forse per voglia di maggior quiete. Sarebbe una disgrazia per noi, giacché è impossibile che esista al mondo un uomo più antiaustriaco del Conte Persigny.
I legittimisti francesi e napoletani si agitano assai, però con magro costrutto: si tengono sedute e conciliaboli dalla Duchessa di Bivona, dalla Marchesa di San Giuliano, di più la Marchesa di Brende (credo sorella del deputato Caracciolo) viaggia in su e in giù tra Parigi e Orléans, colla scusa apparente di un figlio posto a studi in quel seminario, ma collo scopo reale di confabulare col vescovo Dupanloup, primo agitatore del clero francese.
Il Re di Napoli non lascerà mai Roma, ve lo trattengono tutte le ciancie di questi imbroglioni, e le sue speranze chimeriche, per cui l'idea di voler purificare il Vaticano coi ragionamenti e colle persuasioni mi sembra vacua e interamente ineseguibile.
Aggiungo due righe sopra un fatto di mediocre importanza. Si tratta di un tal Vescovo Sokolski di Bulgaria che dicono esser passato dalla Chiesa Latina alla Chiesa Greco-Russa, lasciando i suoi antichi amministrati nell'incertezza e nel disordine. Cause di denaro sembrano aver prodotto l'apostasia di questo Prelato. Non sarebbe inopportuno, a parer mio, che la nostra Legazione di Costantinopoli si occupasse di questo affare, e se poche migliaia di franchi potessero essere sufficienti, cercare di ritenere in seno del cattolicesimo queste pecorelle neofite e periclitanti.
Prenda lo scherzo per quello che vale. Ho da ringraziarla in mille modi dei suoi buoni uffici a mio riguardo e rinnovarle le mie più vive istanze, giacché non posso dirle quanto sarebbe per me doloroso il non poter essere utile in guisa veruna al mio paese.
(l) Le due lettere del Vimercati mancano. ma il loro tenore può rilevarsi da quanto il Vimercati scriveva al Castelli il 5 luglio 1861 (Carteggio politico di M. Caste!li, edito da
(2) Fabio Uccelli, giornalista e poligrafo fiorentino (cfr. su lui F. MARTINI, Fra un sigaro e l'altro, Milano 1876, pp. 186-192; G. MAzzoNr, L'Ottocento, Milano 1934, p. 1391), era stato incaricato d'una missione personale del Ricasoli presso il Persigny.
NAPOLEONE III A VITTORIO EMANUELE II (l)
(Ed. in Q. R.• II, 520)
Vichy, 12 luglio 1861.
J'ai été heureux de pouvoir reconnaitre le nouveau royaume d'Italie au moment meme où V. M. perdait l'homme distingué qui avait le plus contribué à la régénération de son pays. Par là j'ai voulu donner une nouvelle preuve de ma simpathie à une cause pour laquelle nous avions combattu ensemble. Mais en reprenant nos rapports officiels, je suis obligé de faire mes réserves pour l'avenir.
Un gouvernement est toujours lié par ses antécédents. Voilà onze ans que je soutiens à Rome le pouvoir du Saint Père. Malgré mon désir de ne pas occuper militairement une portion du sol italien, les circonstances ont toujours été telles qu'il m'a été impossible d'évacuer Rome. En le faisant sans garanties sérieuses, j'aurais manqué à la confiance que le chef de notre religion avait mise dans la protection de la France. La position est toujours la meme. Je dois donc déclarer franchement à V. M. que tout en reconnaissant le nouveau royaume d'Italie, je laisserai mes troupes à Rome, tant que V. M. ne sera pas réconciliée avec le Pape, et tant que le Saint Père sera menacé de voir les Etats qui lui restent envahis par une force régulière ou irrégulière.
Dans cette circonstance, que V. M. en soit bien persuadée, je suis mù uniquement par le sentiment du devoir. Je puis avoir des opinions opposées à celles de V. M., croire que les transformations politiques sont l'ceuvre du temps, et qu'une aggrégation complète ne peut etre durable qu'autant qu'elle aura été longuement préparée par l'assimilation des intérets, des idées et des coutumes; en un mot je pense que l'Unité aurait dù suivre et non précéder l'Union. Mais cette conviction n'influe en rien sur ma conduite. Les italiens sont les meilleurs juges de ce qui leur convient, et ce n'est pas à moi, issu de l'élection populaire de prétendre peser sur les décisions d'un peuple libre.
J'espère donc que V. M. unira ses efforts aux miens pour que dans l'avenir rien ne vienne troubler la bonne harmonie si heureusement rétablie entre nos Gouvernements.
(l) Questa lettera fu presentata al Re dal generale Fleury il 17 luglio, cfr. Gazzetta Ufficiale, 18 luglio 1861, n. 174.
L'INCARICATO D'AFFARI, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
L. RISERVATA S. n. Lisbona, 13 luglio 1861.
En causant avec le Ministre des Affaires Etrangères sur les conditions actuelles de Rome, sur la question romaine et sur les conséquences plus ou mo'ins favorables, que l'éventualité de la mort du Pape pourrait avoir pour l'intéret en général de l'Italie et pour le pouvoir temporel, et en lui faisant allusion à l'infl.uence que le Portugal exerce dans le Conclave par son droit de veto, je me suis permis de lui dire qu'il devrait dans l'utilité meme de son Pays unir son infl.uence à celle que nous pourrions exercer, afin de paralyser les intrigues que les Cours d'Autriche et d'Espagne ne manqueraient pas de faire pour que le choix tombàt sur un Cardinal ennemi de toute conciliation, ou, ce qui serait encore pis, sur un Cardinal non italien contrairement à la tradition inveterée du Sacré Collège.
S. E., après avoir généralisé la question politique, a fini par me dire que ce serait vouloir prévoir l'inconnu, que de vouloir dès à présent porter un jugement quelconque sur les conséquences de la mort du Pape. Quant à ce que je lui disais sur l'utilité d'unir leur influence à la nòtre, il me fit observer avant tout que la santé du Pape d'après les dernières nouvelles s'était de beaucoup améliorée; mais un moment après il me demanda tout court de combien de voix nous croyons pouvoir disposer. Je lui ai dit que je ne pouvais rien préciser à cet égard, car depuis mon départ de Rome plusieurs Cardinaux que je connaisf:ais étaient morts, et que, les circonstances ayant beaucoup changé des opinions individuelles auraient pu se modifier, soit dans un sens, soit dans un autre. Mais je lui ai fait observer,
qu'il ne s'agissait pas d'évaluer à priori un nombre quelconque de voix, mais plutòt de renforcer par leur concours l'infiuence que l'union de deux Gouvernements catholiques et libéraux pourrait exercer sur la partie des Cardinaux qui aimeraient à en venir à une conciliation dans le sens réclamé par les circonstances actuelles. Après cela M. d'Avila ayant tourné la conversation sur d'autres objets,
je n'ai pas voulu insister de ma part, de crainte qu'il ne pensat que je lui tenais
ce langage d'après des instructions que je n'avais pas.
En rapportant cette conversation toute académique, s'il m'était permis d'exprimer à V. E. ma manière de voir sur cette question, je serais porté à croire que le Gouvernement Portugais, dans le cas où l'eventualité du Conclave se vérifie, tàchera de se tenir à l'écart autant que possible de toute intrigue, comme il l'a fait jusqu'à présent dans les grandes questions, sans toutefois renoncer à son droit de veto; et tout au plus le fond des instructions qu'il donnera à son ambassadeur à Rome, sera de se rapprocher à la France à préférence de toute autre Puissance.
IL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
L. P. 10. Parigi, 14 luglio 1861.
Coll'ordinario postale di ieri pervenivami il dispaccio che l'E. V. mi faceva l'onore di rivolgere, sotto la data del 9 corr. mese s. n., per darmi l'incarico di
porre sotto gli occhi di questo Sig. Ministro degli Affari Esteri una lettera che il Sig. Conte di Goyon, Comandante in Capo del Corpo di occupazione francese negli Stati del Papa, indirizzava il 29 del pp. giugno al Console di S. M. in Roma, in occasione dell'involontaria violazione di frontiera commessa a Rio-Freddo da alcuni nostri soldati. L'E. V., nell'ordinarmi di far noto al Governo dell'Imperatore il tenore della lettera del Signor di Goyon, mi ingiungeva di chiamar principalmente la seria attenzione del Sig. Ministro degli Affari Esteri, più che sull'incidente che ha fornito pretesto allo scritto del Signor Goyon, sull'attuale situazione delle cose che riesce in pari tempo d'imbarazzo per la Francia e di pregiudizio per l'Italia.
Nell'assenza del Sig. Thouvenel, partito da pochi giorni in congedo da Parigi, ho creduto dover mio rivolgermi al Sig. Benedetti che è in questo momento a capo della Direzione Politica, tanto più che il Sig. Billault, attualmente incaricato della reggenza interina del Ministero degli Affari Esteri non ricevendo in udienza il Corpo Diplomatico che ogni giovedì, avrei dovuto ritardare di troppo a fare a questo Governo la comunicazione di cui l'E. V. mi aveva dato l'incarico.
Misi sotto gli occhi del Sig. Benedetti la lettera del Sig. di Goyon, sul tenore della medesima attirai la sua attenzione, ed avvalendomi degli argomenti svolti nel dispaccio di V. E. di cui diedi pure lettura in parte al Sig. Benedetti, lo richiedeva di voler far prendere in considerazione al Governo Imperiale l'urgente necessità di addivenire ad una soluzione degli affari di Roma, la quale, nel porre in salvo gli interessi religiosi della Cattolicità, desse all'Italia quelle garanzie d'ordine e di sicurezza di cui ha bisogno per compiere l'opera della sua unificazione nazionale.
Prestavami sostenuta attenzione il Sig. Benedetti e quindi, siccome la mia comunicazione concerneva sia l'incidente della lettera del Conte di Goyon, sia la questione più essenziale ed importante della presenza delle truppe francesi in Roma, davami egli ai due punti sopradetti il seguente riscontro.
Il Sig. Benedetti dicevami che la lettera del Sig. di Goyon, di cui il Ministero degli Affari Esteri avea già avuto copia dal Dipartimento della Guerra, non dovea considerarsi come contenente espressioni offensive alla dignità della nazione italiana: imperocché -dicevami il Sig. Benedetti -tale lettera non è già un uffizio che sia stato scambiato tra Governo e Governo, nel qual caso i termini potrebbero scostarsi alquanto dagli usi diplomatici, ma bensì è una comunicazione che un Capo d'Armata indirizza ad un Agente Estero per ottener spiegazioni sul fatto di una violazione di territorio: lo scritto può risentirsi alquanto del carattere militare di chi lo vergava, ma le ultime parole « Nous sommes Français avant tout » tolgono alle espressioni antecedenti ogni qualunque malevola significazione. Infatti il Generai di Goyon colle predette parole -seguitava il Signor Benedetti -ha voluto dire, che, benché le due nazioni ed i due Governi fossero fra loro uniti dai vincoli della più stretta amicizia e simpatia, e le due Armate si fossero trovate a fianco l'una dell'altra in presenza di un comune nemico, pure, in un caso dato, le truppe francesi di occupazione in Roma non potrebbero ricordarsi che degli ordini ricevuti, che della loro qualità di francesi.
In quanto alla questione principale, vale a dire alla questione di Roma, il Sig. Benedetti disse che il Governo Imperiale, al par del Governo d'Italia, desiderava grandemente che questo nodo di intricate e spinose difficoltà venisse tolto in qualche modo, e che ciò non potrebbe verificarsi che in seguito di accomodi che fossero per intervenire tra la Corte Papale ed il Governo del Re: esser cosa conveniente che i segreti e confidenziali negoziati, intavolati al tempo del Conte di Cavour, venissero o continuati o ripresi: esser questo l'unico modo di poter sperare una qualche soluzione alla questione di Roma; imperocché il Santo Padre avrebbe dichiarato che, se le truppe francesi abbandonassero Roma, Egli puranco in questi momenti sarebbe partito da quella Città: in tale stato di cose esser per ora impossibile che l'Imperatore Napoleone giudichi opportuno di richiamare le sue truppe dallo Stato Pontificio.
Finito che ebbe di parlare il Sig. Benedetti, credetti dovergli fare osservare che l'interpretazione che egli dava alle parole del Sig. Generale Goyon mi pareva più speciosa che vera, e che per fermo gli antecedenti del Signor Generale di Goyon erano tali da giustificare quella interpretazione che da noi si era data alla lettera a cui si allude: che del resto siccome il Governo del Re più assai che dell'incidente si dava pensiero della gravissima situazione fatta alla Francia ed all'Italia per la presenza delle truppe imperiali a Roma, cosi io rinnovava a lui la preghiera di voler più sul secondo soggetto che sul primo attirar l'attenzione del Governo dell'Imperatore. Richiesi in pari tempo il Sig. Benedetti di voler ragguagliare il Sig. Billault della comunicazione che io gli aveva fatto per ordine di V. E., affinché questo Ministro, quantunque interinalmente incaricato della gestione degli affari esteri, potesse egli puranco essere informato degli inconvenienti che sorgono giornalmente per lo stato di cose esistente in Roma e del desiderio vivissimo dell'E. V. che a tali inconvenienti si tolga la principale ed unica cagione. In tal guisa il Sig. Billault potrà, nel render conto della sua gestione, tener discorso su questa grave difficoltà all'Imperatore che, reduce dalle acque di Vichy, il 25 di questo mese, si fermerà alquanti giorni sia a Parigi che a Fontainebleau prima di dar principio alla rassegna di Chàlons, e ad altre escursioni autunnali.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL
(Ed. con alcune varianti in Ricasoli, VI, pp. 51-59).
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 15 luglio 1861.
Depuis mon arrivée au Ministère j'ai attentivement suivi votre correspondance politique, et -je me hàte de le déclarer-elle m'a donné la meilleure opinion de votre capacité comme de votre dévoument. La connaissance que vous avez de la situation de l'Allemagne aussi bien que de la situation de l'Italie, peut vous mettre à meme de rendre d'utiles services à notre pays, et vous verrez sans doute avec plaisir que je vienne faire particulièrement appel à votre concours.
A mesure que le temps et la réfiéxion ont permis aux passions de se calmer une amélioration sensible et sans cesse progressive s'est manifestée dans l'opinion publique de l'Allemagne à l'égard de l'Italie. Les préventions et les fausses susceptibilités s'effacent peu à peu devant les faits et les intérets réels; le bon
sens et la probité des Allemands vont triomphant chaque jour davantage de
préjugés que l'Autriche s'efforçait de semer et d'entretenir dans l'intérèt d'une
domination qui lui échappe.
Ce mouvement de l'opinion il importe grandement de le cultiver; c'est
mème pour nous un devoir essentiel. Deux questions restent encore à résoudre
pour achever l'reuvre de notre indépendance, pour que l'Italie n'ait pas à
redouter de retomber dans les anciennes divisions, dans l'ancienne servitude:
la question de Rome, la question de notre unité nationale.
La question de Rome, la plus grave de toutes, car elle implique à la fois les intérèts spirituels du monde catholique et les intérèts nationaux de tout un peuple, commence à sortir de ces obscurités qui l'enveloppaient, et nous devons une sincère reconnaissance à ces courageux publicistes qui en Allemagne aussi n'ont pas hésité à opposer à des erreurs et à des préventions que le temps avait rendues respectables, les plus solides convictions de la raison humaine et de la foi religieuse.
Si nous, si les Italiens demandent avec instance que Rome soit rendue à l'Italie, qu'elle devienne la Capitale d'un Royaume qui naguère n'était encore regardé que comme une utopie, ce n'est point par une puérile imitation d'une époque dont le retour ne serait ni possible ni désirable, ce n'est point dans une idée de domination, ce n'est pas pour dicter du haut du Capitole des lois que le monde n'accueillerait plus, car le temps des dominations exclusives est heureusement et définitivement passé.
Des raisons bien plus justes, des nécessités bien plus impérieuses pous
sent les Italiens à faire de la ville éternelle le siège de leur gouvernement. Par ses traditions Rome est la seule grande cité italienne devant laquelle toutes les gloires, toutes les ambitions municipales puissent s' incliner. Par sa position, elle est le point naturel de raccordement entre l'Italie méridionale et l'Italie septentrionale, elle est un centre d'où il devient facile au gouvernement d'administrer avec une égale célérité toutes les parties de la péninsule.
D'autre part, il faudrait un grand aveuglement pour ne pas le reconnaitre, tant que Rome est le siège d'un pouvoir que sa faiblesse mème et la répulsion irresistible qu'il inspire à ses sujets forcent à s'appujer sur l'étranger, elle sera toujours un foyer d'intrigues et de complots contre notre vie nationale. Elle sera toujours un appel incessant aux ingérences et à la domination étrangère, un obstacle à ce que l'Italie devienne assez unie, assez forte pour vivre tranquillement dans ses confins, et se vouer au développement pacifique de ses ressources.
Ce sont là des vérités palpables, que l'histoire des siècles passés n'a que trop mises en évidence et que sont journellement confermées par les efforts incessants que la Cour de Rome met en reuvre pour défruire à sa naissance l'indépendence et l'unité de notre patrie. Mais nous ne serions pas si déterminés à poursuivre notre but, s'il ne s'agissait que de nos convenances et mème des nécessités de notre position actuelle, si nous n'avions la conscience d'un droit positif, imprescriptible, si nous n'ét'ions convaincus de servir la cause du progrès religieux et civil de la société tout autant que la cause de notre regénération nationale. Je ne discuterai pas ici les titres sur lesquels repose le pouvoir temporel du Saint-Siège. Son origine purement humaine n'est nullement inhérente à la mission du successeur de Saint Pierre. Les Papes, on le sait, ont possédé d'abord
à titre féodal prenant l'investiture des Empereurs peu soucieux de laisser à l'église en Italie un pouvoir qu'ils n'étaient pas à méme d'exercer. La dédition et la conquete vinrent ensuite augmenter la puissance temporelle du Saint Siège. Mais les moyens employés pour l'étendre furent souvent en opposition avec les préceptes de la religion chrétienne et de la justice naturelle. Si à quelques moments donnés de l'histoire la Souverainété temporelle des Papes a pu produire certains effets utiles à la Société civile, il serait impossible d'admettre qu'elle ait jamais été nécessaire à l'indépendance du Saint Siège. Tout au contraire l'autorité spirituelle du Chef August de l'Eglise s'est affaiblie à mesure que sa domination temporelle a pris de plus vastes proportions. Le pouvoir temporel du Pontificat Romain n'a été bientòt qu'une source de corruption pour l'Eglise, d'agitations et de conflits pour la Société.
L'incompatibilité des devoirs du Ministère Sacerdotal avec les devoirs si compliqués et si divers d'un bon Gouvernement est évidente. Il n'est pas possible de bien remplir les uns, sans négliger les autres. La situation matérielle et morale des Etats du Saint-Siège en est la preuve la plus frappante.
Devant les maux qui résultèrent nécessairement et partout de la confusion des deux pouvoirs, leur séparation est devenue comme un dogme des temps modernes, et il n'est désormais presque plus d'esprit éclairé et de bonne foi qui ne rende hommage à la sublime maxime du divin fondateur de l'Eglise, que son règne n'est pas et ne peut pas étre de ce monde. Les progrès de la civilisation, la liberté politique, la liberté religieuse généralement admises permettent de réaliser cette séparation sans que le monde catholique puisse raisonnablement craindre que l'indépendance spirituelle de l'Eglise [en] soit aucunement atteinte. L'Allemagne doit d'autant plus se persuader de la justesse de ces principes qu'elle méme a longtems éprouvé, quoique dans une mesure beaucoup moindre que nous, les inconvénients inséparables de la confusion des deux pouvoirs et qu'il lui a fallu subir les cruelles péripéties d'une guerre de trente ans et l'humiliante bien que salutaire mesure d'une médiatisation imposée par un conquérant étranger pour voir disparaitre de son sein l'anomalie et le scandale de ces principautés ecclésiastiques qui déshonoraient la religion et corrompaient les moeurs par le faste licencieux de leurs Cours.
L'Allemagne et l'Europe devraient donc savoir gré à l'Italie de ses efforts pacifiques pour résoudre à l'avantage de tous les Gouvernemens et de tous les pays, sans commotion, sans secousse, sans excès, un problème qui ailleurs a semé de si funestes divisions et couté tant de sang et de sacrifices. Cette solution que nous demandons à la liberté, ne compromet nullement l'indépendance spirituelle et le prestige de l'Eglise: elle aura au contraire pour effet de mettre l'exercice du Ministère Sacerdotal au dessus des contestations mondaines, et d'étendre sa légitime influence sur les consciences.
Quant à l'unité de l'Italie à laquelle nous aspirons et que nous désirons si ardemment et si fermement de compléter, notre droit ne saurait consciencieusement étre révoqué en doute. Les nations comme la famille sont une création de la Providence. Lorsque tous les éléments concourent pour qu'un peuple se sente appelé à reconstituer sa nationalité, opposer à ce mouvement des obstacles, le réprimer par la force, ce serait provoquer sans fruit et sans but des explosions et des violences qui mettraient en péril non seulement la paix et la tranquillité générale, mais le principes mème qui sont la base de l'ordre social. Par contre un peuple constitué dans ses limites et dans ses conditions naturelles apporte par le fait méme de sa constitution un concours moral à l'amélioration des destinées des autres peuples. En vertu de certe loi d'équilibre qui régit tout aussi bien le monde moral que le monde physique, les progrès accomplis dans un pays se com:muniquE>nt nécéssairement à tout ce qui l'entoure. L'histoire des dernières années atteste combien le mouvement italien a été cause d'heureuses conséquences pour le succès du mouvement libéral en Europe et particulièrement en Allemagne. L'Autriche meme a été obligée de rendre hommage aux principes de liberté et jusqu'à un certain point aux légitimes exigences de l'esprit natiou.al.
L'ltalie a eu la sagesse et le rare bonheur d'arriver presque au terme de sa marche vers l'unité sans écarts révolutionnaires, sans provoquer de conflagration en Europe. Notre plus ardent désir, comme notre plus ferme résolution, est de ne pas dévier de cette voie. Mais pour cela il faut que la sagesse de l'Europe au lieu de nous susciter des diffìcultés nous vienne en aide. Le revirement qui à cet égard s'opère en Allemagne est de bon augure. A bout d'arguments pour justifìer sa domination sur la Vénétie, pour résister au courant de l'opinion des Cabinets comme des peuples qui lui conseillent de renoncer à une domination désastreuse pour ses fìnances, menaçante pour son avenir, l'Autriche a prétendu prouver à l'Allemagne que la possession de ce pays si malheureux et si digne d'un sort meilleur est nécessaire à la défense du territoire germanique, à la liberté et au développement de ses relations com merciales et maritimes. Heureusement les raisonnements de l'Autriche ne sonl pas mieux fondés sur la science stratégique que sur les droits des nations, et il y a en Allemagne des militaires trop instruits pour ne pas sentir la futilité de ces arguments. Une nation de 40 millions d'habitants braves et aguerris qui a des frontières très bien disposées pour la défense n'a pas besoin de posséder quelques lieues de territoire et quelques forteresses sur le sol étranger pour sauvegarder sa sécurité et son indépendance.
L'Italie d'ailleurs réunie en un seul corps n'aura jamais aucun intérét à menacer ses voisins, à sortir de ses frontières ou à permettre que son territoire serve d'appui à des invasions étrangères. Si l'on veut en conséquence que nous ne soyons pas comme une menace perpétuelle pour le repos de l'Europe on n'a qu'à nous donner ce qui est nécessaire à notre existence. Alors nous ne demanderons pas mieux que de jouir en paix des admirables ressources d'un pays qui n'a rien à envier aux autres et pour qui des idées de conquéte ou d'agression seraient un non-sens impossible à concevoir. Et quant au commerce le système de liberté inauguré en Italie et que l'Italie a tout intérèt à maintenir assure au trafìc età la navigation de l'Allemagne plus de facilité, plus d'avantage que n'en pourrait jamais espérer sous la domination de l'Autriche. Notre législation douanière, nos tarifs, nos conventions sont là pour le prouver.
Je suis entré avec vous, Monsieur le Comte, dans ces développemens parce que vous pourrez vous en servir utilement dans vos rapports avec les hommes politiques de l'Allemagne, dans l'action que vous ètes appelé à exercer sur l'opinion publique. La presse libérale allemande vient déjà de montrer des dispositions favorable aux droits de l'Italie. Il faut l'encourager dans cette voie, il faut qu'au moyen du journalisme vous tàchiez de faire répandre dans les masses des vérités qui une fois généralement admises ne manqueront pas d'exercer une excellente influence sur les Gouvernement allemands et de rendre possible, comme nous en formons des vreux sincères, de compléter l'indépendance de l'Italie tout en évitant le double fléau de la révolution et de la guerre.
Quant à la manière d'agir sur la presse je m'en rapporte, Monsieur le Comte, à votre sagacité, et à votre tact, et si des moyens niatériels vous étaient nécessaires je vous engage à me l'indiquer. En mème temps vous aurez soin de concilier toujours plus à notre cause la faveur des Diplomates qui, comme le Ministre de Bade à la Diète, se mettant au dessus de vulgaires préjugés savent apprécier la justice de nos tendances nationales, et ne pas faire à l'Italie un grief de vouloir cette liberté et cette indépendance dont l'Allemagne se montre pour son propre compte si justement jalouse.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY (l)
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 15 luglio 1861.
Je viens de recevoir les dépèches N. 342 et 343 de la série politique que vous m'avez fait l'honneur de m'adresser en date du 5 de ce mois.
Dans l'état d'incertitude et de tension qui règne encore en Europe, je suis peu surpris que mes déclarations au Parlament National aient suscité quelque alarme. En donnant des explications que j'approuve, en les appuyant sur des documents dont j'accepte la solidarité, bien qu'il n'émanent pas de mon initiative, car la politique du Gouvernement du Roi reste la mème, vous ètes venu, Monsieur le Comte, au devant de ma pensée et de mes désirs.
Cependant, qu'il me soit permis de le dire, ces alarmes étaient elles fondées, les interpretations qu'elles supposent sont elles justes?
Qu'on se reporte aux circonstances dans lesquelles j'ai parlé, et on trouvera que mes paroles n'annoncent ni des vues agressives, ni des impatiences périlleuses.
J'avouerai sans peine, Monsieur le Comte, que, peu habitué aux réserves calculées du langage diplomatique, il m'eut été difficile d'employer des formules dont je suis loin pourtant de méconnaitre les avantages. Dans la situation d'ailleurs où je me trouvais en présence du Parlement et du pays, dans notre situation mème vis-à-vis de l'étranger, les réticences et les ambiguités auraient pu éveiller des appréhensions sérieuses en Italie sans inspirer plus de sécurité à l'Europe.
Appelé depuis peu de jours par la bonté du Roi à la direction des affaires,
si je pouvais compter sur la confiance de la Chambre et du pays, c'est
moins certainement comme Ministre que comme individu, comme Italien profon
dément convaincu des droits, profondément dévoué au bonheur de sa patrie.
Cependant, je dois à ma loyauté de le déclarer, je ne saurais regretter sous un point de vue très essentiel la netteté et la franchise de mes paroles. Il y a dans la politique du Gouvernement du Roi par rapport à l'Italie deux questions distinctes, la question de principes, et la question qu'on pourrait appeler d'opportunité et de convenance.
Or sur la question de principes il serait impossible de transiger. Comme Ministre tout autant que comme individu, je crois qu'il est de mon devoir d'affirmer hautement les droits de l'ltalie; son droit de compléter son unité, d'assurer son indépendance et son repos, en revendiquant Rome comme sa capitale naturelle, en revendiquant la Vénétie comme partie intégrante du sol italien, de la nationalité italienne. Que ces principes soient admis, que les Puissances au lieu de les combattre, au lieu d'y susciter des obstacles, cherchent à les faire prévaloir dans les conseils de l'Europe, et la question sera immensément simplifiée; on aura enlevé à la situation une grande partie de ses incertitudes et de ses périls.
Rassuré sur le but fina! de ses efforts le Gouvernement du Roi tient trop de compte de la position des autres Gouvernements, des diffi.cultés qu'ils ont eux mèmes à vaincre, des intérèts qu'ils ont à ménager, pour qu'il veuille forcer le cours des événements et précipiter un dénoument qu'il serait heureux de pouvoir se promettre de la sagesse et de la justice de l'Europe.
Pourquoi des Gouvernements aussi éclairés, aussi patriotiques et aussi justes que la Prusse, ne voudraient-ils pas confirmer par leur attitude ces légitimes espérances, et aider de leur influence un résultat aussi utile au maintien de la paix générale qu'aux intérèts de la civilisation?
Ce n'est point, vous le savez, Monsieur le Comte, par un esprit de domination, par une timide condescendance à des exigences révolutionnaires que le Gouvernement du Roi se fait l'interprète et l'appui des vreux qui portent les ltaliens vers Rome et vers Venise. Des principes d'un ordre supérieur guident notre conduite.
Par sa position géographique, comme par ses traditions, Rome est le centre nature! de l'Italie, et on pourrait diffi.cilement concevoir le Royaume d'Italie fortement constitué sans lui donner Rome pour Capitale. Sa faiblesse engage et engagera toujours le Gouvernement Pontificai a chercher des appuis dans la protection et dans les armes étrangères. Aujoud'hui mème c'est à l'ombre d'un drapeau étranger, quoiqu'ami des Italiens, qu'on ourdit à Rome ces complots, qu'on y organise ces brigandages qui répandent la terreur dans nos provinces méridionales.
Le pouvoir temporel des papes est désormais condamné autant par l'esprit de la religion chrétienne, que par les intérèts de la société civile. Il y a entre l'exercice du Ministère sacerdotal et les sollicitudes du gouvernement temporel des incompatibilités radicales. Les populations en souffrent et ne veulent plus supporter un régime qui les condamne à l'inertie, à un abaissement matériel et intellectuel qui contraste tristement avec les progrès de tous les autres pays de l'Europe civilisée. Tant que cet état de choses dure, on tourne dans un cercle vicieux et terrible, l'insurrection des masses ou l'occupation étrangère. Or l'Italie, l'Europe méme ne peuvent pas accepter indéfiniment une situation qui compromet sans cesse son repos.
L'Allemagne sait par expenence combien la confusion des deux pouvoirs lui a été funeste. La séparation qui a été chez elle le fruit de luttes longues et sanglantes, peut etre obtenue en Italie sans bouleversement, sans secousse, gràce aux progrès de la foi religieuse et des institutions politiques.
L'Eglise et son Auguste Chef trouveront sans doute dans l'entière liberté que le Royaume Italien est pret à garantir au pouvoir spirituel, dans le sentiment religieux et dans le respect des populations, plus d'indépendance et plus de dignité qu'ils n'en reçoivent d'une souveraineté temporelle odieuse aux sujets, et qui ne peut exister sans le secours des bayonettes étrangères.
En nous efforçant de parvenir sur les bases que le Gouvernement a proclamées à la séparation et à l'indépendance reciproque des deux pouvoirs, nous croyons rendre un immense service aux Gouvernements, non moins qu'à la civilisation et à l'humanité.
Mais ce n'est point à la violence et à des troubles, c'est à l'opinion publique, c'est à la raison, c'est enfin à des accords qui concilient autant que possible tous les grands intérets qui sont en cause, que nous voulons demander la réalisation de ce but.
Je croirais presque superflu, Monsieur le Comte, de revenir ici sur les droits et sur les devoirs du Gouvernement Italien relativement à la Vénétie. Vingt deux millions d'Italiens ne peuvent pas, on le comprend, démeurer indifférents au sort de leurs malheureux frères retenus encore sous une domination qu'ils abhorrent et à laquelle ils veulent absolument se soustraire. L'indépendance de l'Italie ne sera d'ailleurs que nominale tant qu'une armée étrangère, campée au milieu de redoutables forteresses, pourra attendre le moment de renverser le nouvel ordre de choses. Or toute nation a le droit, le devoir meme d'assurer sa propre existence. Demander aux Italiens de renoncer à la Vénétie c'est leur demander une abnégation contraire à la nature, contraire à la justice. Mais en ne jamais perdant de vue un objet indispensable à notre sécurité, à notre existence, le Gouvernement du Roi saura également faire la part des circonstances, et ne pas provoquer prématurément une lutte qu'il désire sincèrement d'éviter. Une solution pacifique ne nous parait ni impossible ni d'une difficulté extreme, pourvu qu'on la cherche de bonne foi, pourvu qu'on accepte une transformation évidemment providentielle et qui est bien plus propre à garantir la paix et l'équilibre de l'Europe, que ces combinaisons artificielles qui finessent toujours par se briser contre les tendances naturelles des peuples.
Vous pourrez assurer en attendant que le Gouvernement du Roi est fermement décidé à maintenir la tranquillité publique, à ne tolérer aucune espèce de desordre de quelques parte qu'il vienne, de quelque drapeau qu'il se couvre.
(l) In italiano e con la data (errata per evidente lapsus) del 5 luglio, questo dispaccio è stato pubblicato da C. BIANCHI, Storia diplomatica della questione romana, in • Nuova Antologia •, vol. XVI (1871), pp. 353-355.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 49, n. 27, orig. autogr.)
L. P. 10. Londra, 15 luglio 1861.
Mi venne riferito da persona ottimamente informata trovarsi fra le carte di Lord Palmerston un sunto di conversazione tra l'Imperatore e il principe di Metternich a Fontainebleau. Questa conversazione non veniva al riferente che di seconda mano. Senza rendermi mallevadore della sua realtà, ecco quanto mi ripetè a questo riguardo Lord John Russell che fui a trovare ieri e che, senza !asciargli vedere come fossi informato, portai a discorrere sull'argomento.
Prima di partirsene dalla visita di Fontainebleau il principe Metternich, corredato di un fascio di giornali tedeschi che più o meno lo motteggiavano sulla figura fatta da lui, per essersi scelto il momento di questa visita per riconoscere l'Italia, domandò, non solo di abboccarsi coll'Imperato.re, ma di saper da lui, questa volta almeno, quali fossero le sue viste politiche onde farle sapere al Governo a Vienna e probabilmente così esonerarsi della taccia di nullità che gli si rinfacciava.
L'Imperatore avrebbe acconsentito a parlare e (secondo me con sincerità apparente) gli avrebbe parlato nel modo seguente.
Esser egli di parere che le alleanze fra le nazioni non son durevoli se non basate sugli interessi reciproci. Pochi paesi prestarsi più dell'Austria a quest'armonia. Per esempio esser d'intoppo per la Russia la questione polacca, in cui la Francia avea naturalmente altri modi di vedere. Esser l'alleanza con l'Inghilterra piuttosto un timore reciproco per le forze immense che in ambo i lati si trovavano e potran produrre immensi danni. Ma non esservi simpatie fra i due. Non so come giudicò la Prussia. È facile però indovinare. Francia ed Austria invece cattoliche entrambe ed avendo interessi comuni eran fatte per intendersela.
Solo esisteva un motivo di dissidio. La questione della Venezia. L'Imperatore avrebbe schiettamente dichiarato esser suo parere che la Venezia dovesse essere unita al Regno d'Italia. Aver pensato in quel modo in principio alla guerra né aver motivo, malgrado le fasi percorse, di pensare altrimenti. Una volta intesi su questo punto, nulla impedirebbe i due paesi di collegarsi per decidere questioni europee.
Il principe avrebbe fatto obbiezioni e dato ad intendere che inutilmente spererebbesi che l'Austria aderisse a questo modo di vedere. Domandò dunque se l'Imperatore penserebbe impiegare per forzarnela le armi. Napoleone promise e dichiarò di no. Dimandò allora il diplomatico se la Francia avrebbe appoggiato moralmente e diplomaticamente una tale transazione. L'Imperatore solennemente ancora prese impegni di non farlo.
Ecco esattamente quanto mi venne riferito. Quanto Lord John mi ripetè s'accordava perfettamente con quanto mi venne narrato esser stato messo sotto gli occhi di Lord Palmerston.
Il giorno prima (sabbato) Panizzi mi diede da pranzo con uno dei senatori il quale gode dell'intiera confidenza dell'Imperatrice. Costui trovossi a Fontainebleau tutto il tempo che vi rimase la Corte. Credetti bene di citar questa conversazione prima per sapere se fosse vera, quindi onde si sapesse a Parigi ad ogni modo le voci che correvano nel Gabinetto Inglese.
Costui non prestò fede a questa conversazione, aggiungendo che ove si fosse
discorso di materie così importanti egli avrebbe finito per saperne qualcosa. Disse che il principe Metternich aveva la posizione d'un perfetto gentiluomo, ma credeva poter dire che a Fontainebleau non avea discorso coll'Imperatore più di cinque o dieci minuti e mai su questioni gravi.
Domandai come un paese scaltro come l'Austria potesse avere in una simil corte per rappresentante un imbecille; si strinse nelle spalle e non rispose.
L'impressione prodotta in me è che l'Imperatore abbia, secondo l'usanza sua, voluto corbellare l'Impero Austriaco, facendogli quel male che sappiamo ma con bei modi e con belle parole. Vedendo il principe istizzito e venutogli a dimandare se propriamente intendesse canzonarlo, rispose con la massima urbanità che poiché non era da tanto da accorgesene, lo canzonerebbe un po' più, finchè la dose fosse compiuta che lui stesso finisse più tardi per non esser obbligato di interrogare altrui.
Ad ogni modo quanto precede non potrà a meno che interessare l'E. V.
Panizzi e Lacaita, avendo con lavoro improbo percorso tutto il dossier concernente il Duca di Modena, credono d'aver messo il dito su documenti comprovanti le asserzioni di Gladstone alla Camera dei Comuni. Essi si lusingano di aver ridotto al silenzio Lord Normanby. E vedo infatti che dovendo egli aver fatte le sue interpellanze, venerdì non fiatò punto. Locchè sarebbe eccellente.
Il Ministero Inglese deve necessariamente modificarsi, essendo il Ministro della Guerra talmente ammalato che non si crede possa vivere due mesi. Naturalmente non si tratta che di rimpastare altrimenti la composizione attuale. Ma sino a ieri non erasi presa risoluzione definitiva.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 348. Berlino, 15 luglio 1861.
Hier le Baron de Schleinitz m'a annoncé lui mème sa prochaine sortie du Ministère. Le moment lui avait semblé opportun, et il s'était empressé de le saisir pour rentrer dans une vie paisible nécessaire au rétablissement de sa santé délabrée. Dans une dixaine de jours il quittera Berlin. Le Sous-Secrétaire d'Etat, M. de Griiner, fera l'intérim. Le Comte de Bernstorff n'entrera en fonctions que dans quelques semaines à son retour de Carlsbad.
A propos de son successeur, il m'a dit qu'on se tromperait fort si on acceptait certains jugements sévères propagés à son égard dans le Corps diplomatique. Il n'est ni cassant, ni intraitable. Le seul défaut qu'on pourrait lui reprocher, ce serait de tenir extrèmement à certains préjugés aristocratiques, et de le faire trop sentir. Au reste c'est un homme d'Etat parfaitement loyal, raisonnable et conciliant. Le fait est que le Roi ne pouvait mieux choisir parmi les élements qu'il ava'it sous la main. D'après ses antécédents à Vienne, on ne saurait le ranger dans le nombre des partisans chaleureux de l'Autriche. Vis-à-vis de la France, il est d'avis que, comme tout voisin puissant, il convient de s'entourer de mille précautions, mais on aurait tort de le classer parmi les gallophobes. Pour ce qui nous concerne, nous le trouverons sans préventions. Lors de la guerre d'Italie en 1859, il était sans doute très contraire à notre politique, mais depuis lors les événements ont marché. Il s'est produit un nouvel ordre de faits qui en acquérant une certaine consistance, ont amené dans son esprit des témpéraments propres à
accomoder les affaires. n lui sera méme plus facile qu'à son prédécesseur de surmonter les obstacles qui s'opposent enco1·e à la reconnaissance du Royaume d'Italie.
M. de Schleinitz ne s'est pas expliqué davantage. Il voulait peut-etre me laisser comprendre qu'en suite des affinités de M. de Bernstorff avec le parti réactionnaire quant au régime intérieur, ses propositions à notre égard auraient plus de chances d'etre accueillies, en ce sens qu'elles paraitraient moins suspectes au Roi et à son entourage que celles d'un Ministre à principes libéraux.
J'ai été bien aise d'entendre cette opinion de M. de Schleinitz. Je l'ai remercié des bons rapports qu'il avait constamment entretenus avec moi. Il s'est plu, de son còté, à m'assurer qu'il avait été entièrement satisfait du tact et de la mesure que j'avais montrés dans des circonstances où mon ròle était des plus épineux soit vis-à-vis du Gouvernement Prussien, soit vis-à-vis de la majorité de mes collègues. Aussi se ferait-il un véritable plaisir de me recommander à la bienveillance du Comte Bernstorff.
J'ai répondu que si j'avais obtenu par mon attitude des suffrages aussi précieux, le mérite en revenait exclusivement à mon Gouvernement dont je n'avais fait que suivre, à la lettre, les instructions toujours empreintes d'un vif sentiment d'amitié pour la Prusse.
IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 349. Berlino, 15 luglio 1861.
Il me revient que le Cabinet de Pétersbourg a écrit une note des plus ressenties à Paris à propos de la reconnaissance du Roi d'ltalie par la France.
M. de Bismark l'explique ainsi: le Prince Gortschakoff est obligé de temps en temps de laisser échapper quelques bouffées de mauvaise humeur. C'est en quelque sorte une soupape de siìreté. Pour conserver son portefeuille, il fait un peu la cour aux sentiments légitimistes de l'Empereur Alexandre surtout en faveur de François Il. Sans nous etre hostile, il pense que l'expérience que nous avons faite dans les Deux Siciles, est décisive, que cette expérience a tourné contre nous, et qu'il serait temps d'eu venir à une autre combinaison, celle de couper l'ltalie en trois parts!
Il me revient également que le Roi de Prusse, à son départ de Berlin, était assez disposé à faire visite à l'empereur Napoléon au Camp de Chalons. L'entrevue est donc assez probable.
J'ai l'honneur d'accuser réception de la dépèche de V. E. n. 389 du 8 juillet. Le Baron de Schleinitz a déjà envoyé au Consul de Prusse à Amsterdam les ordres nécessaires pour le visa de nos passeports. J e dois noter ici que sauf les Belges, les Hollandais et les Anglais, les autres sujets ètrangers doivent encore se munir de passeport et de visa pour passer la frontière de ce pays.
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(A R B, cass. 49, n. 79, orig. autogr.)
L. P. Parigi, 15 luglio 18fil.
Questa mattina ho potuto finalmente abboccarmi col Conte di Persigny e rimettergli la lettera ch'Ella ebbe la gentilezza di inviarmi. La nostra conversazione ha durato più di tre quarti d'ora e ad ogni istante ho potuto convincermi ch'egli ama sinceramente e con profonda convinzione la nostra causa, e che nel tempo stesso egli nutre aperta fiducia sull'energia, sulla lealtà e sulla forza del Governo del Re. Questo modo di sentire del Conte di Persigny io debbo esprimere tutto intero, giacché non mi sembrava dettato né enfaticamente, né colla fatua leggerezza di chi vuole dilungarsi in complimenti; soprattutto egli sembrava far caso immenso dell'autorità ch'Ella ha saputo così facilmente raggiungere; autorità essenzialmente personale e scevra per intero di vincoli di partiti, come di antecedenti che possano far dubitare dell'avvenire.
Venendo in seguito a parlare di Roma, il Ministro ha cominciato col dirmi essere il governo dell'Imperatore sicuro della Francia: Vescovi, legittimisti, orleanisti e agitatori clericali esser cose di poco momento, senza consistenza e senza base. Le ultime elezioni hanno provato questa opinione vittoriosamente giacché non un solo dei candidati presentati dalla reazione ha potuto riescire a penetrare nei consigli generali, quantunque gli sforzi per conseguire questo scopo non fossero stati né scarsi, né deboli. Infine il Conte di Persigny è convintissimo che il paese cammina col Governo e che ciò che fa l'Imperatore è per la maggiorità ben fatto, a condizione però di continuare in quelle vie di moderazione fino adesso percorse, ed allontanare per sempre i modi audaci e le agitazioni brusche ed intempestive.
Queste assicurazioni date dallo stesso Ministro dell'Interno hanno in realtà una grande importanza, giacché servono a smentire la credenza invalsa fra molti in Italia, che l'Imperatore cioè fosse impotente a dominare il clero, e che la questione romana fosse per lui una questione di politica interna piuttosto che un inciampo suscitato dalla Curia pontificia.
Ad onta che la situazione in Francia sia notevolmente migliore, ad onta che gli animi sieno meno agitati dalle passioni religiose, è egli prudente lasciar Roma in un tratto e abbandonare il Capo della Chiesa nelle mani della rivoluzione italiana trionfante? Questo è ciò che non consente né può consentire l'Imperatore senza turbare la gran massa del popolo, che non s'occupa di politica, ma che rispetta il culto in cui venne elevato, come si rispetta tutto ciò che è abituale e tradizionale.
Non si vuole in alcuna guisa effaroucher le genti timide, e di mediocre intelligenza, senza offrir loro una ragione apparentemente logica e plausibile; non si vuole infine dare in olocausto il Pontefice senza esser prima convinti che Roma continuerà ad essere in futuro, come per il passato, la sede ed il tempio massimo del cattolicismo.
Ciò è base fondamentale di tutto, ciò è punto sul quale non possono accettarsi né dubbi, né obbiezioni; che Roma diventi la Capitale politica dell'Italia, che il Parlamento e il Re vi facciano continua residenza non debbono essere ragioni, né cause perché il Papato se ne allontani e perché il Vaticano non seguiti ad essere la reggia dei successori di San Pietro.
Per ottenere questo risultato, al quale veramente tendono tutti i nostri sforzi, per ottenere in ultima analisi che la Francia lasci Roma atta a contenere nel suo seno il capo della Nazione e il capo della Chiesa, il Conte Persigny consiglia il Governo italiano a dichiarare solennemente in ogni circostanza ed in qualunque momento che Roma e il suo territorio saranno aggregati alle altre provincie italiane senza invasioni, senza misure e modi rivoluzionari, e senza nulla ch'abbia l'apparenza di conquista e di violenza, ma di pieno accordo colla Francia e col Papato medesimo, si dovessero anche aspettare mesi ed anni per raggiungere questo scopo definitivo.
Quando l'Italia avrà solennemente dichiarato di non giungere a Roma che per questa via, quando il Governo del Re Vittorio Emanuele II, potrà mostrare alla Francia ed all'Europa ch'egli è tanto forte da impedire agitazioni e movimenti insurrezionali, come pure tanto autorevole da sapersi conservare in Parlamento un prestigio ed un potere incontrastabile, allora il Governo dell'Imperatore potrà soltanto ritirare le sue truppe da Roma, perché sicuro della lealtà, dell'influenza e dell'energia del Gabinetto italiano, sicurezza che il Governo imperiale potrà facilmente raggiungere riflettendo al carattere nobile, elevato e previdente del Barone Ricasoli e che porrà Napoleone III nella posizione di giustificarsi in faccia dei suoi sudditi e dell'Europa intera.
Abbandonata Roma senza sotterfugi, e senza l'apparenza di aver fatta un'altra concessione alla rivoluzione italiana, il papato cade in sfacelo e dopo poche ore si trova evidentemente costretto a trattare col Governo del Re, per conseguenza a cedere ogni e qualunque diritto di esistenza temporale.
Inoltre può darsi il caso che il Pontefice attuale, di già sensibilmente malato, possa soccombere da un momento all'altro, in questo caso sarebbe bene fatto, il procedere immediatamente ad un suffragio universale che porrebbe le basi di un nuovo diritto in Roma, innanzi che l'altro Pontefice venisse eletto ed acclamato. Non mi dilungherò su questo progetto perché di già noto a Torino, e perché posto in disparte per il miglioramento avvenuto nella salute del Pontefice.
Queste, presso a poco, sono state le idee che il Conte di Persigny mi ha esternate con estrema benevolenza e con singolare energia di linguaggio; egli inoltre ha voluto formulare concisamente la sua maniera di vedere aggiungendo:
qu'il faut aller à Rome ayant l'idée de ne vouloir point y aller.
Ciò solo può permettere all'Imperatore di ritirare decorosamente le sue truppe, dar della polvere negli occhi alla gran massa dei popolani suoi sudditi e giustificarsi col Papato e coll'Europa.
L'attitudine del Governo italiano ed il suo prestigio in casa e all'estero, sono la via per cui è soltanto permesso di ritirare le truppe francesi. Le debolezze, le provocazioni insensate, e il desiderio continuamente espresso sia dal Parlamento, sia dal Governo del Re di volere ad ogni guisa giungere a Roma non servirebbero che a prorogare l'occupazione e nuocere al consolidamento della nostra unità!
17 . Documenti diplomatici . Serie I . Vol. I
Il Conte di Persigny mi ha permesso di andare a trovarlo quando meglio io lo desiderassi, ciò che non mancherò di fare ogni qualvolta io voglia più addentro approfondire le di lui idee sulla questione italiana.
Avendo inteso dire e letto sui fogli che Caracciolo partirà per Lisbona per complimentare il Re di Portogallo, ho pensato ai corrispondenti dei principali giornali di quella Capitale e tutti mi hanno assicurato che sarà fatto il possibile perché il ricevimento sia quale si conviene all'inviato di un gran popolo. Ho di già fatto spedire alcuni dettagli biografici sopra l'Ammiraglio Caracciolo, come pure sopra l'on. Camillo.
Il miglior modo per giungere a Lisbona è di prendere il vapore transatlantico che parte da Bordeaux ogni 24 del mese, la via per la Spagna essendo troppo ardua, e i piroscafi che partono regolarmente da Nantes essendo troppo meschini e lenti.
Ho grande difficoltà a distruggere giornalmente le cattive impressioni che fanno a Parigi i discorsi di certi italiani di Firenze e d'altri luoghi tendenti a far vedere i nostri più vitali interessi sotto un aspetto falso e precario, ed a considerare l'unità della Penisola come chimerica e assolutamente impraticabile.
Fabrizi mi scrisse, e non mi dette notizie soddisfacenti della mia candidatura, vedremo. Se Ella credesse opportuno di farmi accompagnare in guisa di segretario taluno dei personaggi che saranno in seguito incaricati di notificare all'estero l'esaltazione del Re Vittorio a Re d'Italia, reputo che ciò potrà giovarmi, se non altro per levarmi d'addosso l'oscurità del nome, grande ostacolo per farsi eleggere in casa e fuori.
IL MINISTRO AD ATENE, MAMIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 2. Atene, 16 luglio 1861.
lo non posso intrattenere l'E. V. d'altre cose che delle importanti alla scienza di stato ed alla Diplomazia. In diverso caso io non mi asterrei di parlarle di ciò che modernamente chiamiamo impressioni di viaggio, le quali riuscirebbero nuove e curiose. Rispetto all'informare l'E. V. della vera condizione politica di questo regno, m'accorgo di aver bisogno d'altro più tempo, non volendo arrischiare i giudicj e fondarli sopra fatti o mal conosciuti o troppo parziali. Intanto, non Le tacerò come a prima vista appariscono contrasti e differenze singolarissime e non facilmente esplicabili. Il Re sebbene mostri uno zelo ardente per la causa nazionale, affetti in ogni cosa di grecizzare, tengasi allato gli avanzi dei vecchi combattitori della indipendenza ellenica e i figliuoli o nipoti dei già defunti, sebbene nel '54 tentasse più o meno copertamente di cacciare i Turchi dalla Tessaglia ed altre provincie, adempia tutto che cattolico le cerimonie della Chiesa ortodossa con iscrupolosità, e nella vita privata tenga costumi severissimi, non giunge a captivarsi l'animo dei suoi sudditi. Tre mezzi egli aveva per sovrastare e dominare con soddisfazione e amore dei popoli. Osservare gelosamente lo Statuto, lasciando ogni cosa nelle mani dei più notabili cittadini. lnsignorirsi della opinione pubblica per maniera da condurre gli affari secondo i propri concetti ma consentiti sempre e partecipati dal Parlamento; sospendere la Costituzione e dichiararsi dittatore per salvare la patria. Questo terzo partito ricercava un ingegno grande e la fortuna compagna a qualche impresa ardita e magnanima. Ingegno e scienza poco minore domandavasi dal secondo partito. Il primo invece confacevasi a capello col carattere tardo e fiacco del Principe e con la scarsa sua istruzione non emendata da naturale acutezza e da pronto e profondo intelletto. Per isventura, Egli entrò in una via che non è dispotismo, e non è sincera legalità. Pervenne a disfare i vecchi partiti senza crearne uno nuovo o ciò che era meglio, senza accordare le intelligenze e le volontà intorno un sistema largo, generoso e pratico bene conformato alle ardite speranze e alle aspirazioni incessanti della nazione. I capi più notabili dell'opposizione costituzionale avendo mancato essi pure il più delle volte d'idee pratiche e abilmente connesse, e taluno essendosi lasciato guadagnare e sforzare, è stato agevole alla corona lo screditarli, in un Regno di poco più d'un milione di cittadini, anzi in questa sola Atene dove quasi tutta la vita politica si raduna, sorgono guerriciole infinite più di persone che di idee e sembrano le moltitudini essere cadute in una trista indifferenza della cosa pubblica e delle politiche istituzioni.
D'altra parte, fa singolare contrasto a tutto ciò l'amore sincero e profondo che porta questo popolo alla libertà e all'uguaglianza civile. Tuttogiorno parla e discute avvenimenti e faccende politiche; egli come i suoi padri vivrebbe volentieri sempre fuori di casa sulle piazze e nei Caffè (che sono le Agore moderne) leggendo gazzette e inframmettendo alla lettura commenti spesso mordaci e ognora avveduti e sensati. Ciò nulla ostante, la libertà individuale non è quale domanderebbero i diritti costituzionali; e il Governo non si perita mai nell'usare e strausare dei mezzi che stima di possedere per vincere le opposizioni tenaci ed incomode. Trattiene, per esempio, a sua volontà e per più mesi negli uffici di posta i giornali; sospende pe' suoi partegiani la riscossione delle tasse, mentre l'affretta con ogni rigore per cittadini che gli votano o scrivono contro. Tutto ciò, costituisce in fondo una specie di lotta assidua e di crescente diffidenza fra il governo e il popolo; il che potrebbe degenerare in aperta rivolta, quando le cose d'Oriente vacillassero, e i gran potentati non fossero in condizione di accorrere uniti a porre il piede sulle sorgenti faville. Ma per non istancare l'E. V. con le sole generalità che forse non ha bisogno di sapere dalle mie Relazioni, verrò ai particolari importanti dell'ultima cospirazione. I migliori cittadini e i pubblicisti più istruiti del Regno, dopo avere per qualche anno illuminato le moltitudini circa i difetti più gravi dell'amministrazione e la continua violazione dello Statuto si accordarono a fare una prova assai vigorosa e vincendo le arti innumerevoli e astutissime della Corte pervenire ad avere nel Parlamento una pluralità liberale. Così sperarono di costringere la Corona a mutar registro e che lo Statuto e il governo risponsabile dei Ministri diventasse una verità. La prova ebbe esito buono; nella Camera dei Deputati l'opposizione poté contare un qualche voto di più del partito contrario. Tentò il re primamente di scomporre quella debole maggioranza chiamando a Corte uno dopo l'altro i membri dell'opposizione, ma cosa molto rara in Atene, non riuscì nell'intento. Allora disciolse la Camera e promulgò le nuove elezioni. Ciò che ha fatto o lasciato fare per rivolgerle a suo favore è incredibile e inaudito nei moderni regni costituzionali e sarebbe tedioso a dinumerare e descrivere; quale sa ne ho accennato più sopra. Aggiungerò solo che le elezioni le
quali dovrebbero esser compite in ogni dove quasi contemporaneamente, durarono qui di là da tre mesi. In tal modo il Governo ha riconquistato per sé la pluralità dei suffragi. Caduta la speranza di rimetter le cose nella via legale e sincera dello Statuto, accadde in Grecia quello che da pertutto, si macchinò di soppiatto e fu risoluta la cacciata del Re. Io giudico che più unione e maggior coraggio civile avrebbe, anni sono, impedito al male di procedere fino a tale estremo; ed oggi medesimo vi sarebbero rimedi molto più efficaci e fruttiferi della cospirazione. Ma i greci la pensano diversamente. Ora, il concetto loro si è di andar maturando la rivolta al punto da ripetere lo stesso fatto del Quarantaquattro, quando senza spargere sangue nè turbare il paese forzarono il Re ad accettare la Statuto. Sperano dunque un bel giorno con un soprassalto mandar via il Re e la Regina, radunare immediate un'assemblea Costituente allato ad una Reggenza, e non dubitano di affermare che la quasi unanimità di quella proclamerà Re di Grecia o il secondogenito di Vittorio Emanuele o il figliuolo del Duca di Genova. Questo lavoro dei più caldi liberali non ha potuto procedere, come è naturale, tanto occulto ed ignoto che alla Corte non ne sia pervenuto sentore. Quindi un mese fa, dietro alcuni indizii deliberava d'incarcerare molte persone, la più parte ufficiali del piccolo esercito. Tra essi v'ha un colonnello e altri ufficiali superiori e quasi tutti appartengono alle principali famiglie del Regno. Di poi il Governo rivolsesi alla stampa periodica; comperò con somme non leggiere parecchi giornali; alcuni cessarono di venire in luce avendo i compilatori o carcerati o latitanti. Ma il processo non conduce a importanti rivelazioni; e la polizia e la Corte trovansi impacciate e dolenti. Spargono intanto che tutto ciò accade per gli intrighi della Russia e la cospirazione avere avuto per fine d'alzare al trono di Grecia un Ypsilanti che dimora in Parigi ed ha per moglie una figliuola dello straricco banchiere Sina di Vienna. Il fatto sta che un solo degli ufficiali incarcerati pare avesse accettata la candidatura dell'Ypsilanti. Ma in genere quegli ufficiali ed altri loro colleghi vogliono la cacciata dei Turchi e l'ingrandimento del Regno; e si confidano pel resto ai patrioti che stimano saldi ed incorrotti. Il capo conosciuto di tutta l'opposizione è il vecchio e venerabile Canaris che i gendarmi avrebbero già menato prigione se non si temesse un troppo vivo risentimento del popolo. Intanto, il paese si mostra impassibile e lascia rimanendosi taciturno che il corso ordinario del processo e del giudicio arrivi al suo termine. Ma s'io debbo credere a persone che io stimo assai probe e compiutamente istruite la quiete e la impassibilità non sono altro che una savia e ben calcolata aspettazione. Il Governo, si aggiunge, non ha modo legale alcuno di condannare gli imputati, e rimarrà con un pugno di mosche in mano. Il vecchio Canaris dice che il Re e la Camarilla
sono tanto spregievoli da non meritare che si sparga a loro cagione una sola stilla di sangue greco, cadranno come un frutto vizzo ed inverminito. Tutto ciò può stare; ma io debbo a V. E. far noto che questo popolo non è gran fatto coraggioso, e d'altra parte il governo ha in questi sedici anni di falso reggimento costituzionale imparato assai i modi di corrompere i poco sani e illudere e tener a bada i più integri. E quando anche dal processo politico attuale non esca veruna condanna giuridica, il governo troverà mezzo di perdere gli imputati ad esempio e paura degli altri. Però deesi dubitare grandemente che le speranze dei patrioti si avverino, quando niuna esteriore circostanza non venga a soccorrerli. Certo è, nondimeno, che il popolo greco non ha più fede alcuna nella diplomazia inglese, russa e francese e che solo l'Italia chiama oggi a sé le simpatie vivissime e generali della nazione. A me seguitano gli uomini di governo a fare carezze. Ma nel cuor loro vivono in serio sospetto. Rinnovo all'E. V. la preghiera di far vedere qui il più spesso che mai sia fattibile la nostra bandiera.
[P. S.]. -Giungeva questa mane col piroscafo francese il Signor Conte Greppi Segretario di Legazione. Io debbo molte grazie a V. E. di aver posto al mio fianco un signore de' più compiti e degni che possieda la nostra diplomazia. Esso mi recava i sigilli e la cifra.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(A R B, cass. 49, n. 43, orig. autogr.)
L. P. 57. Parigi, 16 luglio 1861.
Un'occasione sicura mi porge mezzo d'indirizzarle stassera la presente. Le notizie che giungono di Roma al Ministero degli Esteri di qui accennano tutte alle mene di Francesco II divenute sempre più attive ed intraprendenti.
A tal riguardo una comunicazione assai esplicita fu inviata al Duca di Cadore con ordine di darne conoscenza al Card. Antonelli. In essa ancora una volta si chiama l'attenzione del Governo Papale sulle funeste conseguenze cui la sua cieca accondiscendenza alle mene sopradette condurrà inevitabilmente la Corte di Roma.
Dal canto suo il Duca di Cadore scrive al Ministero e fa conoscere direttamente all'Imperatore che lo stesso Antonelli è insufficiente per resistere alle pazze imprese del Merode col quale il Card. è realmente in assai mali termini.
Parmi qui (mi permetta V. E. di dirle la mia opinione), il caso di far rinnovare col mezzo di Pantaleoni e dell'Aguglia certe proposte che furono intavolate dal Conte di Cavour e non respinte dall'Antonelli. Il sig. Benedetti che veggo ogni giorno e che è quello che di fatto rimpiazza il Ministro Thouvenel, mi diceva essere importante che si continuino a Roma le pratiche. Queste a parer suo non avranno buon esito, ma facendosi strada fra i Cardinali che potranno conoscere i vantaggi delle proposizioni nostre preparano il terreno, occorrendo un Conclave durante il quale sarà indispensabile che la Francia permetta la votazione' degli Stati Pontifici a suffragio universale. Quest'idea che io vo spargendo fra le persone del Governo, guadagna ogni dì terreno né dispero che l'abilità del Ministro Nigra saprà farla affatto trionfare, se altro mezzo non potrà trovarsi prima
che ci permetta di mandare ad effetto il trattato colla Francia di cui V. E. conosce le condizioni.
A parer mio sono questi due i soli mezzi con cui si possa far avanzare la questione romana che è qui più grave che non fra noi ove il potere temporale, che per tanti secoli fece la rovina d'Italia, non trova più guarì difensori.
Gropello mi fece leggere la lettera scritta dal generale Goyon a proposito della violazione del territorio pontificio. I termini di questa lettera furono difesi ufficialmente dal sig. Benedetti, ma, confidenzialmente, egli stesso mi diceva
quella lettera essere degna del suo autore, conosciuto qui come uomo di poca vaglia e le cui parole non hanno autorità alcuna.
Al Ministero degli Esteri si giudica come fatale all'Ungheria la divergenza fra i Croati e gli Ungaresi e l'Imperatore disse a me alcun tempo fa che dal loro accordo dipendeva la rovina assoluta dell'Impero austriaco. A questa eventualità si riferivano certi progetti che l'Imperatore Napoleone avrebbe favoriti qual mezzo per avvicinarlo alle frontiere del Reno da cui il suo pensiero e la sua politica non si staccheranno giammai.
Il Delamarre, proprietario della Patrie, fu assai amaramente rimproverato per quel suo malaugurato articolo sulla Sardegna che acquistò una certa importanza dal precedente dell'essere stato lo stesso giornale che prima predicò la cessione di Nizza e Savoia. Ma allora le cose stavano altrimenti, ed ora è inutile che io assicuri V. E. che di questa nuova cessione non esiste qui neppur l'ombra di pensiero in alcuno.
Il Gen. Fleury debb'essere giunto oggi a Torino. Mi fu impossibile di ritardarne la partenza perché questa ebbe luogo da Vichy e troppo tardi mi giunse il dispaccio in proposito. Quantunque il Gen. Fleury sia stato dall'Imperatore mandato a Verona per trattar della pace combinata a Villafranca egli ci è il più favorevole fra quanti circondano l'Imperatore.
Vorrei che V. E. e tutte le persone che parleranno con lui non dessero troppa importanza ai torbidi delle provincie napoletane. Di queste si mena già qui troppo rumore perché è interesse degli agenti del Borbone a Parigi di esagerarne l'importanza.
Spero che il Gen. Cialdini dirà parole di moderazione e agirà con energia. Sarebbero fatali gli ordini del giorno minacciosi come pure il parlare delle esecuzioni necessarie per reprimere il brigantaggio. Spero che V. E. sarà contenta delle corrispondenze che fo giornalmente inserire nel Débats, nella Patrie, nel Pays e nel Nord, ma per questo avrei bisogno di conoscere un po' bene ciò che succede nel Regno. Dovrebbe V. E. incaricare taluno di scrivermi queste notizie che non essendo cose segrete mi possono giungere per la via ordinaria della posta.
Sarei di parere, se V. E. lo crede opportuno, di far pervenire all'Imperatore copia della lettera del gen. Goyon. Ciò avrà per effetto di fargli sentire una volta di più gli inconvenienti dell'occupazione francese negli stati del Papa. Il Prefetto di Polizia, sig. Boittelle, che vidi ieri, mi dice che Mazzini ha spedito vari messi a Garibaldi ed altri viaggiano continuamente da Milano a Londra.
Sebbene l'Imperatore abbia risposto che nulla per ora può farsi circa la questione romana, ed il sig. Thouvenel l'abbia, rispondendo a V. E., rimandata per questa questione al contenuto nella nota pel riconoscimento del Regno d'Italia, ho ferma convinzione che l'Imperatore vuole che le sue truppe lascino Roma al più presto.
Tutto sta ora nel trovare un mezzo o preparare un evento che possa servire di causa o di pretesto alla conclusione d'un trattato alle migliori condizioni possibili, ma per giungere a questo risultato è uopo tacer di Roma e del ritiro delle truppe fino a che, ripeto, il destro ci si porga di agire con energia per ottenere il nostro scopo.
L'Imperatore è di carattere assai indeciso ed incerto; per ottenere da lui è uopo spingerlo a tempo evitando ogni inutile insistenza. Il Ministro Nigra saprà
ben cogliere il suo destro e lui solo potrà ottenere dall'Imperatore più che qualunque persona amica cui è più facile il dare un rifiuto. Ho ricevuto il suo dispaccio in cui V. E. mi dice di rimanere; io sto attendendo sue lettere, l'arrivo del Comm. Nigra e gli ordini del Re.
S.A.I. -la Principessa Matilde, che ha comprato una villa sul Lago Maggiore, deve mandare colà varie casse di oggetti di sua spettanza e vi si recherà ella stessa nel prossimo mese. S. A. desidera che sia allargata l'entrata in franchigia di dogana per questi oggetti. È questa una cortesia che già aveva promesso a S.A.I. -il Conte Cavour.L'Imperatore mi ha fatto riparlare dal sig. Mocquard circa l'affare del Principe di Capua. S. M. spera che quanto fu risposto relativamente agli altri Borboni, non sarà applicato al Capua.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 17 luglio 1861 (1).
Je m'empresse de porter à votre connaissance que S. E. le Général Fleury vient d'arriver à Turin et qu'il m'a remis aujourd'hui la copie de la lettre que
S. M. l'Empereur Napoléon a bien voulu écrire au Roi, notre Auguste Souverain, en réponse à celle qui lui a été remise par le Comte Arese. S. M. le Roi recevra bientot officiellement l'Envoyé extraordinaire de l'Empereur. En attendant je dois vous prier d'exprimer encore une fois à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères la vive satisfaction que j'éprouve en voyant les rélations officielles se rétablir entre la France et l'Italie sur le pied le plus amicai.
Veuillez en meme tems communiquer officiellement au Gouvernement de l'Empereur que S. M. a l'intention de nommer le Chevalier Nigra son Envoyé extraordinaire et Ministre plénipotentiaire à Paris. Le Gouvernement du Roi a des raisons pour espérer que ce choix sera agréable à S. M. I. et il ne doute pas que ce diplomate distingué qui a déjà rempli les memes fonctions d'une manière très satisfaisante, continuera à jouir de la confiance et de la bienveillance de l'Empereur. Nous serions cependant doublement reconnaissants à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères s'il voulait renouveler officiellement l'assurance que ce
choix convient au Gouvernement Impérial, et vous donner en meme temps communication officielle de la nomination du nouveau Ministre de France à Turin.
Le Comte Arese a acquis, dans les entrevues confidentielles qu'il a eues à Paris, l'espoir qu'un diplomate bien connu à Turin pour la part importante qu'il a eue dans les affaires d'Italie, ainsi que pour ses sympathies pour notre pays, serait désigné à succéder au Baron de Talleyrand (2). Je serais heureux
de recevoir officiellement la confirmation de cette nouvelle, et je n'attends qu'une réponse qui òte tout doute à ce sujet pour munir le Chevalier Nigra des lettres de créance qu'il pourrait présenter à S. M. I. à son retonr de Vichy. De cette manière tous les arrangements seraient pris pour maintenir et resserrer encore l'entente cordiale que des événements glorieux et à jamais ineffaçables du creur des Italiens ont rétablie entre le Gouvernement du Roi et celui de l'Empereur.
Veu'illez me faire connaitre la réponse de S. E. M. Thouvenel.
IL MINISTRO DEGLI INTERNI, MINGHETTI, AL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO
T. 417. Torino, 18 luglio 1861, ore 10.
Père Passaglia peut aborder la question dans le sens des instructions Cavour pour en référer sans prendre aucun engagement (1).
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY
D. CONFIDENZIALE. Torino, 18 luglio 1861.
Votre rapport n. 346 série politique, contenait une lettre adressée par S. M. le Roi de Bavière à S. M. le Roi de Sardaigne (2). Ayant pris les ordres du Roi, je vous renvoye cette lettre, et je vous prie de la rendre au Ministre de Ba.. vière. En faisant avec les procédés les plus convenables cette restitution, vous aurez soin d'expliquer à votre collègue que le Roi Victor Emmanuel se serait preté sans diffìculté à tous les arrangements nécessaires pour ne pas interrompre avec les Cours qui n'ont pas reconnu le Royaume d'Italie les rapports
Siciles •·
d'usage entre les Familles Souveraines sans le regrettable incident qui est arrivé à Francfort entre la Légation du Roi et celles de Bavière, de Wiirttemberg et du Mecklembourg. D'après la ligne de conduite adoptée par ces Gouvernements vis-à-vis du Royaume d'Italie, le Roi, mon Auguste Maitre, manquerait au respect qu'il doit aux lois votées par le Parlement et au devoir qu'il a de sauvegarder Sa dignité, s'il acceptait des communications portant pour suscription un titre qui a cessé d'exister. Le Ministre de Bavière à Berlin comprendra sans doute que dans cette occasion nous agissons d'après la situation qui nous a été faite par son Gouvernement, et il ne se formalisera pas d'un refus, qui n'a nullement pour but d'affaiblir les sentimens d'amitié qui existent heureusement entre les deux Souverains.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 19 luglio 1861.
Je vous ai dernièrement écrit que le Gouvernement du Roi n'avait jamais insisté et n'insisterait jamais à Berlin pour obtenir la reconnaissance de la Prusse. Cette attitude d'attente nous est conseillée autant par la dignité de notre pays que par le désir de ménager les idées et les convenances politiques du Cabinet de Berlin. Ainsi les rapports mutuels restent toujours dans un provisoire que je pourrais presque appeler bienveillant, et nous ne pensons pas plus aujourd'hui que par le passé à forcer une position qui a sans doute des inconvénients, mais qui nous permet au moins d'éviter une rupture des relations diplomatiques.
Cependant, tout en vous interdisant des démarches directes, nous ne saurions ne pas pous préoccuper de toute circonstance qui pourrait ou hater une décision favorable de la Prusse, ou la retarder et meme la compromettre. Une modification du Ministère Prussien va avoir lieu. A ce qu'on assure Monsieur le Comte de Bernstorff, Ministre de Prusse à I.ondres, remplacera dans quelques semaines Monsieur de Schleinitz au Ministère des Affaires Etrangères.
D'après ce que nous écrit Monsieur de Launay, et ce qui est notoire d'ailleurs, Monsieur de Bernstorff est personnellement mal disposé envers l'Autriche. Sous ce rapport donc sa présence dans le Cabinet de Berlin ne nous causerait aucune inquiétude. Mais bien qu'hostile à l'Autriche, M. Bernstorff passe pour etre très dévoué aux principes légitimistes et pour avoir des tendances réactionnaires assez prononcées. Ce serait en un mot un diplomate de la vieille école. Et comme l'entourage du Roi n'est rien moins que libéral, nous avons des raisons de craindre que M. Bernstorff ne se laisse facilement aller, pour ce qui est de relations extérieures, à une politique peu favorables aux changements intervenues en Italie, et que son avénement au pouvoir, au lieu d'accélérer la reconnaissance du Royaume Italien, ne l'ajourne indéfiniment. Par contre il est possibile que M. de Schleinitz ne serait pas fàché, avant de quitter la direction des affaires étrangères de Prusse, de résoudre une des questions les plus importantes en déterminant le Roi à nous reconnaitre. Mais, je le répète, nous ne voulons pas, et ne pourrions pas agir directement.
Une Puissance qui serait en mesure de aider efficacement à vaincre les hésitations de la Prusse, c'est l'Angleterre. Ses conseils et ses instances ont beaucoup d'autorité à Berlin, et le moment parait se prèter à ses démarches. Faites donc, Monsieur le Marquis, tout ce qui est possible pour engager le Gouvernement Britannique à tenter quelque effort à Berlin. J'espère que ses bons offices seront couronnés de succès.
Le Cabinet Britannique conçoit certainement toute l'importance qu'aurait dans les conjonctures actuelles la reconnaissance de la Prusse. Elle découragerait les intrigues de la réaction fomentée par l'Autriche, et formerait mème un obstacle à ces tentatives d'alliances hostiles au nouvel ordre de choses, qui peuvent fort bien n'avoir aucune chance d'aboutir, mais qui, en suscitant des défiances et en provoquant des susceptibilités, n'en sont pas moins dangereuses pour la tranquillité de l'Europe.
En me faisant connaitre l'accueil que nos désirs auront trouvé de la part du Gouvernement Britannique, je vous prie de m'indiquer aussi votre opinion à l'égard de M. de Bernstorff, de ses vues politiques en général et des sentiments réels qu'il nourrira'it envers l'Italie.
IL GENERALE KLAPKA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. D. 2, n. 85, co.)
Ginevra, 20 luglio 1861.
Le Prince (l) est un homme reservé. l) Son rève est le rétablissement de l'ancien Royaume de Servie, se composant de la Servie proprement dite, de la Bosnie, de l'Herzégovine, du Monténégro, ecc. Il est en opposition avec les chefs du parti national croate, qui de leur coté
aspirent à la fondation d'un grand état Slave (Jougoslave) dont feraient partie toutes les provinces autrichiennes et turques, habitées par les Slaves du Sud. Les dissidences entre Croates et Serbes sont augmentées par la différence
de Religion, les premiers appartenant à l'église grecque non unie, les Croates professant la foi catholique. 2) Le Prince compte sur la Hongrie pour l'exécution de ses projets. Il
serait toutefois à lui conseiller de ne rien précipiter et d'attendre (avant de s'engager contre la Turquie) jusqu'au moment où la question austro-hongroise aura trouvé sa solution. C'est nécessaire, pour ne pas avoir l'Angleterre con
tre nous.
3) Etre excessivement prudent et circonspect dans ses rapports avec le Prince et son Gouvernement.
4) Les Serbes en Hongrie habitent les districts limitrophes de la Servie Turque, spécialement, l'Escavonie, le Comitat de Baés et le Banat de Temesvar. Ils ne veuillent [sic] pas se séparer de la Hongrie et par conséquent n'exigent qu'une administration nationale et l'autonomie de leur église. Toutefois il s'y trouvent des meneurs (soit payés, soit exaltés) qui les poussent plus loin contre les Hongrois. Agir sur les personnes les plus influentes de cette nationalit.é, pour leur faire comprendre que leur avenir est étroitement lié à celui de la Hongrie et par conséquent qu'ils marchent d'accord avec ces derniers. Le centre de l'agitation Serbe en Hongrie se trouve à Neusatz et à Carlovitz.
5) Une force très considérable forment les Régiments de frontière de la Croatie, de l'Esclavonie et du Banat au nombre de 14. Dans le Banat et dans l'Esclavonie ces Régiments sont presque exclusivement composés de Serbes. Il serait de toute importance si on en pouvait gagner pour nous projets quelques officiers et sous officiers.
5-bis) Tàcher d'entretenir des rapports continuels entre Belgrade et Pesth.
6) L'homme politique à Belgrade, très populaire et jouissant de la plus grande influence sur le Prince, c'est Garachanine. Il est très favorable à notre cause et mon ami personnel.
M. Duka, un des aides de camp du Prince Milosch, ayant été lié avec
M. Astengo, est l'homme le plus apte pour fournir des renseignements locaux. Demander d'Astengo si ses bonnes dispositions de jadis sont restées les memes. Garacsanin parle un peu le français. Duka parfaitement bien l'italien. Ce dernier est très populaire dans les classes moyennes. Il est bon viveur.
7) Depot d'armes à établir à Madanbeck et à Belgrade ou environs; quant au transport se concerter avec les personnes compétentes et visiter, si possible les localités de Turnu Severin et la quarantaine près de Nikelin. Etudier en outre le projet ci joint (1).
8) Aussitot convaincu par vos rapports des bonnes dispositions du Prince, nous nous empresserons d'envoyer de nouveau un agent actif et intelligent, pour accélérer les préparatifs et l'exécution de nos projets d'un commun accord avec vous.
(l) Il principe Michele di Serbia.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'INCARICATO DI UNA MISSIONE STRAORDINARIA PRESSO LE CORTI DI SVEZIA E DANIMARCA, TORRE ARSA
T. 420. Torino, 20 luglio 1861, ore 12,20.
Je vous remercie de votre lettre et de vos nouvelles. Général Bildt est arrivé avant hier (2). Je suis véritab1ement content de lui; il m'a dit beaucoup de
bien de vous, sur qui j'ai été bien d'accord. Voilà des liens rafforcés entre deux peuples destinés à s'estimer. Les nouvelles de Naples sont toujours meilleures; de Sicile très bonnes. A Rome on conspire, et on organise brigandage sur une large échelle que nous combattrons à outrance.
IL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. RISERVATO S. n. Costantinopoli, 21 Zuglio 1861.
Ho ricevuto il Dispaccio di V. E. del 9 andante Gabinetto e mentre mi riserbo a rispondervi colla serie di corrispondenza cui appartiene, cioè missione in Persia (1), mi permetto consultare V. E. su d'un progetto che ho da qualche tempo in mente.
Per la sospensione dell'invio della missione a Teheran il signor Conte Alessandro Fé che vi era addetto in qualità di primo Segretario, si troverebbe collocato a disposizione del Ministero ed io che ho da lunghi anni il piacere di conoscerlo, crederei che a nessuno meglio che a lui potrebbe venir affidato un incarico geloso che ben disimpegnato può fornire a V. E. importanti informazioni.
Intendo parlare dello stato attuale dell'Ungheria. Sebbene io mi tenga per quanto è possibile, al corrente di questa materia, mi riesce impossibile, fra tanti diversi rapporti più o meno interessanti, formarmi un giusto criterio delle condizioni interne di quel paese e quindi del concorso che potremmo sperare dagli Ungheresi in una eventualità di guerra coll'Austria. Il signor Conte Fè, educato in Boemia, parla perfettamente il tedesco ed ha molte conoscenze personali sia in Ungheria che in altri punti dell'Impero e potrebbe, rientrando in patria, prendere la via di terra, ormai la più corta e più facile, e traversare quella parte di Banato e d'Ungheria che si trova sulla sua linea. Egli avrebbe così l'occasione di vedere da vicino le cose e di studiare con un'attitudine disinvolta lo stato degli animi. Egli si troverebbe per tal modo in grado di riferire a V. E. quanta confidenza possiamo riporre nelle assicurazioni che ci vengono giornalmente date dal partito che tenta spingerei a risoluzioni ardite o qual calcolo si debba fare delle opinioni del partito opposto.
Il signor Conte Fé estraneo finora ad affari che possano aver connessione coll'Ungheria, avendo passato quasi tutto il tempo della sua carriera nella direzione della R. Legazione al Brasile, non può, a mio credere, destare alcun sospetto presso le autorità austriache e sarebbe poi mia cura dargli delle verbali istruzioni sul modo di condursi onde evitare ogni possibile apparenza del suo vero mandato.
Se V. E. approva questo mio progetto, giudicherà se convenga farmelo sapere col solito e sicuro mezzo delle messaggerie francesi o trasmettermene un cenno in cifra per telegrafo.
(l) Una missione straordinaria in Persia era stata deliberata nel dicembre 1860 c ne era stato affidato l'incarico al Cerruti (dispaccio 20 dicembre 1860), ma -ufficialmente per motivi di salute addotti dal Cerruti, e per difficoltà relative all'onorificenza da conferire allo Scià; in realtà perché il Cerruti continuasse a mantenere i contatti con l'emigrazione ungherese la missione era stata prima sospesa (dispaccio 12 marzo e 13 aprile 1861) e poscia, subentrata 1a stagione sfavorevole, rimandata all'anno successivo (dispaccio 9 luglio 1861): nel frattempo il Cerruti avrebbe dovuto reggere la Legazione a Costantinopoli in luogo del Durando che partiva per regolare congedo (dispaccio 11 luglio 1861).
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 630. Parigi, 22 luglio 1861, ore 15,30 (per. ore 17,20).
J'espère que vous aurez reçu ma lettre de samedi. M. Kisch me recommande vivement deux Hongrois qui voudraient aller prendre service dans la Légion Hongroise à Naples, mais n'ont pas d'argent pour le voyage. Voulez vous ordonner au Consul ici de leur payer le voyage jusqu'à Turin. Outre à la dépèche en clair que l'Empereur a envoyé à Fleury ab irato (1), il a ordonné à Benedetti de vous envoyer une note officielle sur l'exécution par les armes de paysans sur le simple prétexte d'avoir porté aux insurgés les morceaux de pain qu'ils avaient dans leur poches. Cette dépèche est connue partout ici et a produit un effet déplorable. Faites démentir par L'Opinione toute exagération à ce sujet. Fusillez, mais point de tapage. Envoyez moi le journal l'Italie pour que je puisse faire des correspondances.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI
T. 423. Torino, 22 luglio 1861, ore 22.
Viendra tems que l'Empereur lui mème déplorera le télégramme en clair adressé par lui au général Fleury (2). J'en souffre pour l'Empereur lui mème, voyant que sans preuve, lui manquant mème le nom de son auteur, affirme un fait grave et qui échappe presque à la vérification, vues les circonstances où se serait consommé. Notre Roi en sera vivement affecté. On ne doit pas humilier ni tète couronnée ni peuples qui se rachètent, si on tient à maintenir l'ordre publique, et tel respect pour le tròne. Je répondrai à la Note dont vous me
menacez. Je regrette que vous ayez fait presque écho aux paroles de l'Empereur. Je vous envoie une lettre par le courrier de ce soir. Il me sera facile de démentir un fait qui n'a aucune preuve ni caractère de· véridicité. Les atrocités se commettent par les brigands qui nous viennent de Rome, protégés par les armes
M. -DEGLI ALBERTI, Napoleone III e B. Ricaso!i in • Risorgimento Italiano •, 1908, pp. 429-430.françaises, et pour lesquels il parait que l'Empereur ne sache trouver mot ni d'indignation, ni pour en finir. Qu'on nous laisse aller à Naples par Rome et tout rentrera dans l'ordre. Voyez la Sicile comme elle est pacifiée; à Naples arrivera de meme.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI (A C R, Carte Vimercati)
L. P. CONFIDENZIALE. Torino, 21-22 luglio 1861.
Le unisco un articolo che bramerei vedere inserito nel giornale Des Débats. Spero di essere giunto a organizzare un gabinetto destinato appunto a comporre articoli da servire per la stampa francese, e il cui scopo sia di chiarire alcuni dei più importanti soggetti che restano ancora a risolversi in Italia. Se in questo articolo alcuna cosa vi fosse che si volesse modificare io ne lascio a lei l'arbitraggio. Spero che ella non sarà per concedere veruna modificazione sostanziale. Per aiutare a questo lavoro io sarò ben lieto di essere aiutato da qualche sua informazione intorno certe opinioni che venissero all'ordine del giorno di codesta singolare città.
Le nuove di Napoli sono migliori; ma le concludentissime non le potremo avere se non in seguito, cioè tra tre settimane circa; cioè quando le saggissl.me provvidenze prese da Cialdini avranno il loro principio di effetto.
Oggi sono in grado di dirle che anche in ciò io vedo la mano della provvidenza. Le luogotenenze di Napoli ci hanno condotto all'orlo dell'abisso; vi cadevamo dentro senza l'inspirata risoluzione dell'invio di Cialdini. A me non fa meraviglia questo, perchè fino dal primo giorno, facendo parte della commissione destinata ad esaminare il sistema regionale nel governo, dissi che era la distruzione d'ogni governo. Ma, lo confesso non credevo come in certe date circostanze potesse quel sistema minacciare la solidità stessa dello Stato; siccome ne abbiamo esempio oggi in Napoli. All'arrivo del Cialdini tutto era scompiglio, scoraggiamento, anarchia, terrore. L'autorità non aveva più confidenza; lo spavento per le atrocità con che i briganti si facevano strada ai loro disegni era generale. L'uso che si era fatto delle truppe aveva avuto effetto di disorganizzarle, e renderle impotenti al fine. L'arrivo del Cialdini ristabilì le confidenze; rialzò l'autorità, produsse uno slancio generale, e tutto induce a ritenere che l'effetto sarà pienissimo. Ma Roma ci scarica addosso orde numerose di assassini! ecco le restaurazioni di vecchia data che certa parte d'Europa ancora vagheggia! Sì, caro Conte, egli è così. Le truppe francesi in permanenza a Roma, che invero si diportano in modo da giustificare le asserzioni del Cardinale Antonelli, che, cioè, ànno ordine di non impedire in nulla quanto si fa dal governo romano qualunque sia lo scopo, e le dichiarazioni pubbliche dello stesso Antonelli che il Governo francese non vede punto di mal'occhio che l'Italia sia conturbata e lacerata dalle turbolenze che a suo danno si creano a Roma, fanno avvertiti che noi dobbiamo
apparecchiarci ad estreme misure per contrapporre all'audacia, e ai mezzi infernali che si fabbricano contro di noi in quella moderna babilonia. Io dirò una sola
cosa: ci pensi il governo francese, e sopratutto ci pensi l'Imperatore. Quanto a me il partito è preso; io combatterò à outrance e il partito nero e il partito rosso; ma cosa mi prepararà l'avvenire, se sotto la protezione francese Roma potrà durare così, io non lo conosco. Si potrebbe forse arrivare a certi estremi che io penso doversi dire «si salvi chi può». Cioé a dire, non potrei essere io stesso forzato quando non avessi dalla Francia, da cui oggi mi viene la protezione ai nemici d'Italia che sono a Roma, il dovuto appoggio a risolvere con saviezza le difficoltà romane, non potrei essere io stesso forzato, per non farmi divanzare dai partiti estremi, a provvedere alla salute nostra, alla nostra conservazione con provvedimenti estremi?
Io lascio che chi ha saviezza consideri con profondità di mente e con cuore questo stato di cose, che i governanti francesi non apprendono con la gravità che debbono.
Crede la Francia d'essere più solida con l'Italia retta da ordinata Monarchia costituzionale, o con l'Italia nell'anarchia, o invasa dallo straniero? Oggi l'Italia è Monarchica; ha fede nella Monarchia; ha ancora amore e fede nell'Imperatore dei francesi; ma non tarderà a perdere amore e fede nell'una e nell'altro.
Se fosse vero quello che si va dicendo per Roma « che il signor Thouvenel ha fatto conoscere avere egli altamente disapprovato il discorso tenuto dal ministro di S. M. il Re d'Italia all'occasione dell'imprestito; che non entrerà in nessuna nuova negoziazione senza la appruovazione del governo romano, e senza che la dignità e gl'interessi del S. Padre sieno tutelati » e (aggiungono) che « in pruova dei poco buoni sentimenti della Francia verso l'Italia, si voglia notare come il Conte Arese non sia stato ricevuto come si costuma in grande cerimonia »; queste parole hanno messo la gioia nel governo papale, e nel suo compagno d'armi e di fini Francesco di Borbone, e nulla più li rattiene dallo andare ad estremità orrende.
Io mi asterrò daÙ'aggiungere alcuna considerazione dopo le citazioni sopra fatte.
A di 22 luglio.
Non potetti ieri chiudere la presente, e questo mi permette accusarle il ricevimento della sua interessantissima del 19 che è concepita con una serie di molte savie riflessioni sulle cose di costà.
Ella mi annunzia che il generale Fleury sia rimasto contento di me, né io sono indifferente a questo annunzio, imperocché sia utile alle nostre relazioni dell'avvenire. Ma perché venire qua con diffidenze per me? Mi si permetta che io lo chiami un errore inqualificabile di giudizio. Ella converrà meco che nulla autorizzava a credere questo. Dunque se il generale Fleury non fosse qua venuto e non avesse avuto occasione di rettificare l'errore, chi sa quali ne sarebbero state le conseguenze! Si pretende da taluno che a mio sfavore siensi dette parole anche da individui, che però non si nominano, appartenenti alla nostra Legazione in Parigi. Per ciò che concerne la persona mia, io perdono di leggeri il peccato a tutti; ma in quanto poi questa Persona riepiloga in Sé di pubblico carattere, è peccato assai grave di mal dire di un Uomo, che non à l'eguale in sentimenti italiani congiunti a principi incrollabili di ordine pubblico. L'Imperatore vorrà bene considerare che tutto ciò che può contraddire all'unità italiana avrà per
conseguenza di dare un'importanza immensa al partito Democratico, che ora è nullo. Costà non si rendono ancora conto che la sola combinazione politica all'Italia è l'unità monarchica Costituzionale; e quando si vuol contrastare a questa Unità, e porre inciampo al conseguimento di questo fine, non si fa altro che accrescere i ranghi dei così detti repubblicani. Ora l'attraversare me, l'attaccarmi, indebolirmi a che altro può portare se non che all'effetto di fiaccare il principale Campione dell'ordine pubblico, e dei principi governativi? L'Imperatore e il suo Governo ha d'uopo che si convincano di ciò, che io sono avanti tutto italiano, e adopererò queste frasi con più ragione e giustezza che non l'abbia adoperate il Generale Goyon. Che l'Italia sta soltanto nell'Unità; che offendere questa Unità è lo stesso che gettare tutto in scompiglio, il cui risultato finale sarebbe il sorgere d'una serie di Governi Democratici, unica possibile Confederazione, che però durerebbe poco; e dopo molti dolori, da turbare anco li Stati limitrofi, si dovrebbe necessariamente tornare alla Unità. Io che mi sono reso conto di questi pericoli fino dal 1859, ho sempre mostrato netta e precisa la mia fede politica unitaria, onde avere sul paese da me amministrato l'autorità che mi era necessaria. Venuto a questo Governo per volontà del Re, e per consenso universale; io vi ho portato me stesso, inflessibile sì, perchè ho la coscienza di me stesso, e del mio paese; e aggiungerò dell'interesse che l'Imperatore e la Francia hanno, che si oggi rappresenti l'Italia e non altri. Perché dovrei piegare quando tengo coscienza d'essere nel giusto e nel Sacro e che io faccio il bene di tutti. Singolare presenza!!! Che colpa ho io se l'amore, la fiducia degli Italiani si va perdendo verso l'Imperatore, a ragione appunto degli indugi e dei contrasti, che dall'Imperatore si riconoscono derivare alla pacificazione dell'interno, e al compimento dei voti della Nazione? A me ne duole molto, ma qual voce può chiamare le moltitudini popolari a fini ragionamenti? Appunto fu questa una considerazione che m'indusse all'occasione dell'imprestito di esprimere nettamente il Programma Governativo. E l'effetto fu pieno. L'opposizione ne rimase sconcertata e la maggiorità si fece compatta. Io avevo tutta la ragione e il diritto di essere approvato dall'Imperatore e dal suo Governo. Se ciò non fosse, dorrebbemi assai ma non potrei cambiar via, perché parrebbemi tradir tutti e me compreso. Non posso credere che all'Imperatore piaccia che il Governo di S. M. il Re d'Italia sia un Governo debole. Aggiungo che io sono nella convinzione che debba chiudersi il tempo dei moti insurrezionali; né io voglio essere trascinato dall'improntitudine delle Piazze e delle Strade; ma per conseguire questo dovevo tenere quel parlare che tenni. Da Roma vengono tutti i mali nostri; e il Ciel non voglia, che da Roma non venga malore all'Imperatore stesso. L'Imperatore conta sopra una prossima morte del Papa. Pel solito questi conti sulla vita altrui falliscono sempre. Se questo pronostico si avverasse tra tre mesi, poco male: ma se tirasse in lungo assai, e passasse l'anno corrente, direi male assai assai! Perché dunque non esaminare fin d'ora un modo onesto di spingere il Papa agli accordi onesti, e tali da porre la Chiesa nella posizione da rigenerare se stessa? Ma finché vi
saranno le baionette francesi che faranno riparo a tutte le furfanterie che si fanno a Roma contro l'Italia, non è possibile neppure di cominciare a trattare. Ciò è chiaro e torna agli occhi di tutti. Che sono io che faccio questo stato di cose, gravissimo per l'Italia, ma anche gravissimo per la Francia? Che mi si dovrà chiamare impaziente se io nell'interesse comune lo rappresenti?
Si persiste a dire, «aspettiamo la morte del Papa». Accetterei se questo fosse un truovato senza pericoli. Oltre l'aspettare troppo ad avere Roma il che non si può, vi sono altri pericoli. Il caso del Papa nuovo che vada sulle pedate del vecchio. Se male fosse saranno le stesse a spingervelo. Chi spinge l'attuale? Anche il nuovo avrà i suoi funesti eccitatori. Anzi li deve avere e saranno i nuovi segretari di Stato, che vorrano avere pure essi un tempo di cuccagna e non essere da menc;> dell'Antonelli. Questo dovrebbe pensare l'Imperatore, e vedere che la triste missione della Francia si fa ogni giorno più inconfortabile dirimpetto e agli italiani e al mondo tutto.
Dissi ad Arese di esporre tutto questo all'Imperatore e gli dicesse che io sono penetrato delle difficoltà in cui si trova oggi; ma più lo sono delle maggiori in cui può trovarsi, anzi si troverà nell'avvenire.
Io ho già preparato un elaborato progetto sul modo di attuare la rinunzia del temporale e la nuova libertà e indipendenza della Chiesa, progetto che in copia insieme alla lettera Goyon con altri appunti ho dato al Generale Fleury.
Mi è riuscito di scrivere più che non volevo.
Credo però che non resterà senza giovamenti per Lei.
Si parla di un Plebiscito nel caso di morte del Papa. Sia pure, sebbene superfluo; ma come debba farlo quel Popolo romano questo plebiscito, affinché risulti serio e legale? Conviene che l'Imperatore si spieghi. Debbono andare i romani incontro a farsi massacrare, e secondo il solito sotto gli occhi dei francesi?
Chieggo se nel toccare di queste cose sarò io tacciato di impaziente o meglio lodato di previdente e di prudente? Io penso che dovrei essere lodato; come pure dovrei essere lodato quando piuttosto che lasciare al caso, all'azzardo la soluzione della Questione Romana, chiedo si cerchi di risolvere oggi senza urti e senza incoraggiare i partiti folli a fare da loro.
Se ella vorrà presentare all'Imperatore la famosa lettera del Generale Goyon, può cavarne copia da codesta Legazione Italiana.
In questo momento il Ministro dell'Interno mi fa conoscere l'unito (l) telegramma. Io ne sono rimasto attonito! un telegramma aperto! di questo tenore!! Preferisco tacere le mie considerazioni; dirò solo che aspettavo altro linguaggio; da quella origine: Ne sono dolente.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 636. Parigi, 23 luglio 1861, ore 17 (per. ore 22).
Je regrette à mon tour que, ne me connaissant pas, vous m'accusiez de m'ètre presque fait écho des colères de l'Empereur au sujet de faits que vous n'aviez pas encore démentis. Loin de là, je me suis rendu hier matin chez Billault et
18 . Documenti diplomatici . Serie I • Vol. I
Benedetti et j'ai protesté contre la dépèche de l'Empereur à Fleury écrite à l'instigation de Walewski. Relisez ma lettre que vous devez avoir reçu hier et croyez que si nous récriminons contre le tort grave que l'Empereur a eu d'écrire sa dépèche, nous donnerons gain de cause à nos ennemis. C'est une conspiration européenne qui tache d'isoler la France; à Pétersbourg on exploite la question Polonaise, à Londres on excite à l'égard de la Sardaigne des soupçons augmentés par la présence des agents envoyés var les légitimistes français dans cette ile; en mème temps le Cabinet anglais insinue au Roi de Naples de ne pas quitter Rome, ce dont on a des preuves ici; finalement on se sert de nos impatiences au sujet de Rome pour nous détacher de la France et nous isoler tous les deux à la fois. Quoique je me sente profondément blessé comme vous par la dépèche de l'Empereur à Fleury, il nous faut montrer plus de sagesse et de clairvoyance que l'Empereur Napoléon lui mème, et ne pas prèter le flanc à nos ennemis. Je viens de chez Billault; je ne lui ai pas communiqué votre dépèche télégraphique, mais je lui ai fait sentir combien le Gouvernement du Roi avait droit d'ètre blessé de la communication faite par le Général Fleury au moment mème ou il était l'objet de démonstrations les plus sympathiques de la part du Roi et du pays. Billault regrette comme nous que l'Empereur ait cédé aux facheuses influences, mais il espère que nous saurons nous montrer à la hauteur de la situation dont S. E. mème reconnait les dangers. Je prends toute la responsabilité de ce que j'ai l'honneur de vous dire et je vous serai reconnaissant de le communiquer au Roi. J'attends avec impatience votre lettre pour en faire mon profit auprès du Ministre de l'Empereur.
(l) Si tratta del telegramma citato in nota al doc. n. 231.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY
D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 23 luglio 1861.
Avant mème de recevoir votre dépècbe télégraphique du 19 (1), le Gouvernement du Roi avait senti l'opportunité d'envoyer ses félicitations à S. M. Prussienne pour avoir échappé à l'attentat impie dont l'Europe est si justement émue. Cependant nous hésitions devant la crainte de faire naitre par cette marque mème de courtoisie un incident regrettable, vu que le Cabinet de Berlin n'a pas encore reconnu le Royaume d'Italie, et que le Roi Victor Emmanuel ne pourrait recevoir une communication portant un titre différent de celui du Roi d'Italie. Ayant exposé à S. E. le Comte Brassier de S. Simon notre vif désir de remplir ce devoir de convenance sans exposer les deux Gouvernements à des embarras ultérieures, nous sommes convenus de procéder de la manière suivante. Le Roi Notre Auguste Souverain écrira sa lettre
de félicitations et y apposera de sa main sur l'adresse les mots: A S. M. le Roi Guillaume I; de son coté S. M. Prussienne répondra de la méme manière: A Sa Majesté le Roi Vietar Emmanuel II. S. E. le Ministre de Prusse a diì informer par télégraphe le Roi Guillaume de cette éspèce d'accord par lequel toutes les convenances sont sauvegardées des deux còtés; et comme aucune objection ne m'a été communiquée de la part de S. lVI. Prussienne, je pense que rien ne s'oppose à l'exécution de ce pl'ojet. Je fais donc partir ce soir méme le Comte Puliga pour Berlin. Il vous :remettra la lettre du Roi et vous pouvez vous rendre aussitot, Monsieur le Comte, à Bade ou à Ostende rejoindre S. M. le Roi de Prusse et remplir auprès de lui la mission de courtoisie qui vous est confiée.
Aussitot que vous aurez remis à sa haute destination la lettre de S. M.,
veuillez m'en informer par télégraphe.
P. S. -Le Comte Brassier vient de recevoir un télégramme de Berlin dans lequel il est dit que S. M. Prussienne a agréé la mesure proposée.
(l) Con tale telegramma (n. 621) Launay aveva annunziato che l'Inghilterra, la Turchia, l'Austria, la Francia e la Russia avrebbero, in forme diverse, presentato le felicitazioni al Re di Prussia per essere sfuggito all'attentato commesso contro di lui a Baden il 14 luglio.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI
(A C R, Carte Vimercati)
L. p. Torino, 23 luglio 1861.
Ella si spiegherà di leggeri quale triste impressione debbono avermi causato il telegramma imperiale aperto sopra le pretese atrocità commesse nelle Provincie Napoletane.
Il Re ne è stato molto penetrato.
Io poi sono stato anco dispiacente leggendo il suo telegramma di ieri sera, vedendo com'Ella fosse disposto a lasciarsi impressionare dalle accuse che una Stampa ostile alla nostra causa va costà ripetendo. Del resto il tapage di cui Ella parla nel telegramma di ieri è unicamente cosa, in codesta città che si chiama Parigi.
Me ne duole veramente che l'Imperatore siasi lasciato pigliare al laccio e siasi fatto eco della Gazette de France, e che non siasi ricordato che il fatto attribuibile al Generale, dont il avait oublié le nom, è prec'isamente quello, parola per parola, che il Colletta racconta del Generale Manhès (vedi libro VII, pag. 423 -Edizione di Milano).
Vi è poco talento, invero, di andare spigolando l'empietà dei secoli scorsi e volerle a noi attribuire; diventa poi vera stupidità quando tali calunnie a noi italiani finiscono invece per colpire un proprio concittadino, un generale francese (1).
È egli possibile che la nostra stampa non sia per rilevare questo triste confronto? La stampa e i cittadini di ogni classe ne sono restati profondamente
commossi. Il telegramma imperiale ha ferito nel v1vo il sentimento nazionale, ed è una voce sola di rammarico che esce dagli animi.
Io spero che la stampa francese non escirà dalla giusta misura e si manterrà benevola per una nazione che ha i titoli più forti alla fiducia di tutti. Gli italiani furono fin qui generosi verso i loro nemici, e seguiteranno ad esserlo sebbene eglino non desistano dal dimostrarsi pure sempre perfidissimi. Io ho scritto al Governo di Napoli che mi mandi un'esatta informazione degli eccidi commessi dai briganti, perchè intendo valermene per la Nota di che mi si minaccia, e alla quale dovrò per legittima ragione di difesa rispondere.
Ella vedrà come i nostri giornali abbiano preso con i denti questo incidente. Conviene che l'Imperatore apprezzi più che non fa i suoi veri amici e attutisca i suoi nemici che per nessuna carezza cesseranno di essere implacabili presso di Lui.
Non fa d'uopo che io le dica cosa Ella debba fare, persuaso che Ella si ricorderà di essere italien avant tout. La frase del Generale Goyon comincia a diventare di moda.
Il Generale Fleury anco in questa occasione si è dimostrato molto benevolo per noi.
(l) L'articolo della Gazette è evidentemente diretto a disonorare il primo Impero, e conseguentemente anco il secondo Impero. [Nota di Ricasoli].
IL LUOGOTENENTE A NAPOLI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 639. Napoli, 24 luglio 1861, ore 9,50 (per. ore 14,50).
L'Empereur est mal renseigné; Rome est une source de calornnie, c'est de là que l'Union et la Gazette de France tirent leurs articles virulents. Je sais ce qu'on a dit de moi pendan( le siège de Gaeta. Ce qu'on attribue à un de nos Généraux d'avoir fait fusiller des paysans pour un morceau de pain, est impossible et absurde. Voici les ordres que j'ai donné: l. Fusiller les brigands pris les armes à la main; 2. Assurer la vie à tous ceux qui viennent se consigner volontairement; 3. Promettre la plus grande indulgence à ceux qui n'auraient pas commis des crimes.
Je vous enverrai les numéros de trois journaux de différentes nuances depuis le premier juin qui rapportent les atrocités commises par les brigands. Vous verrez qu'ils accusent la faiblesse du Gouvernement du Roi. Tout le monde ici me propose les représailles les plus atroces, ce qui me rendrait bientOt impopulaire.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 640. Parigi, 24 luglio 1861, ore 15 (per. ore 16,45).
J'ai reçu à l'instant votre longue lettre dont je vous remercie; je ne connaissais pas la teneur de la dépèche de l'Empereur à Fleury; elle est de
nature à justifier vos ressentiments, mais, je vous en supplie, faites sacrifice pour arriver à notre but et ne pas donner gain de cause à nos ennemis. Je ne pense pas que vous puissiez seulement douter que ces conseils me soient dictés par un oubli de la dignité de notre pays. Les sentiments très justes de votre lettre sont aussi les miens; seulement connaissant ce pays et la vérité de la situation ici, je crois devoir vous indiquer la route à suivre. ~elon moi, je trouve parfait l'artlicle que vous m'avez envoyé et je ne crois pas que M. Bertin refuse de l'insérer tel qu'il est. J e vous écris par occasion sure.
IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. RISERVATO S. n. Madrid, 24 luglio 1861.
Col corriere qui giunto avant'ieri da Parigi a questa Legazione Inglese mi pervenne speditami dal Conte Gropello la lettera di cui V. E. mi onorava sin dal 7 del corrente mese.
Per valermi ora io pure del ritorno dello stesso corriere mi fo doverosa premura di sottoporle per quanto la brevità del tempo mal consenta quelle informazioni che meglio mi sembrino soddisfare ai principali quesiti almeno nell'ossequiato di Lei foglio contenuto e che per maggior precisione sembrami potersi ridurre a tre sommi capi 1o cioé sulle cause e circostanze che abbiano potuto influire sull'attuale contegno del Gabinetto Spagnolo nella questione Italiana non che sul vero carattere di tale contegno, 2° se sia probabile od anche prossima una crisi ministeriale da cui possa prevedersi la formazione d'altri Ministeri e segnatamente d'un Ministero Narvaez e se questi potrebbe da noi considerarsi come più favorevole alla nostra causa nazionale, 3° finalmente quale potenza abbia qui una preponderante influenza.
Prescindendo per necessaria brevità d'ogni preambolo m'accingo tosto a rispondere al primo quesito sul quale già d'altronde la perspicace penetrazione di V. E. già prevenne in gran parte la relativa risposta accennando alle viziose inveterate abitudini tanto in questa Reggia quanto nella parte meno colta del popolo spagnuolo non che alle susseguenti tempeste popolari ed insurrezioni alternantisi coi colpi di Stato che permisero a stento al reggimento costituzionale di qui allignare e resero soventi i Ministeri dipendenti da impegni poco costituzionali. Tale è forse stato in parte almeno il caso del Ministero O' Donne! che alla sua prima formazione avrebbesi qualche indizio da supporre che abbia dovuto subire dalla Corte alcune condizioni, fra le quali alcune forse appunto relative all'eventualità che trovavansi complicate nella questione italiana per quanto concerner potesse il Papa ed i Principi Borbonici in Italia. Mi è però d'altra parte quasi provato che gli impegni presi dal Ministero O' Donnel non avrebbero oltrepassato i limiti di una difesa diplomatica della causa tanto dell'uno che degli altri. E la miglior prova appunto di ciò si fu che per quanto poi siasi tentato in seguito dalla Corte istessa a più riprese di spingere il Ministero a dar mano a mezzi materiali non vi si poté riuscire. E fui quindi più volte già in grado di conoscere più o meno le resistenze di questo Ministero in proposito. Ora però onde poter meglio assicurare V. E. su questo punto capitale
oltre i vari mezzi d'informazione a cui ricorsi e che non fecero che confermarmi quanto già mi era noto, ebbi testè un lungo colloquio collo stesso Capo del Gabinetto in cui ebbi tali rivelazioni e dichiarazioni esplicite, che mi faccio la più gradita premura di sottoporre tosto in sunto a V. E., preferentemente ad ogni altra indicazione.
Diedi principio al mio colloquio col Presidente del Consiglio esprimendogli il mio rincrescimento di vedere ormai chiusa la lusinga che la Spagna non avrebbe di troppo tardato a riconoscere la ricostituzione d'una nazione sorella, per la quale d'altronde egli medesimo non aveva mai cessato di esprimermi personalmente le sue simpatie. A ciò rispose il Duca di Tetuan esser egli pure dolente che la posizione speciale del Governo spagnuolo, a me ben nota, non gli permettesse puranco di procedere al formale riconoscimento del Regno Italico. Mi fece però a un tempo osservare, che, riconosciuto ormai da molte primarie Potenze, qualche ritardo da questa Corte alle formalità di tale riconoscimento non potrebbe in ogni modo trarre con sè gravi inconvenienti. Siccome poi da canto mio ebbi occasione di osservare ancora relativamente alle note poste dal Gabinetto spagnuolo a quello di Parigi, che la loro coincidenza con simili offici fatti pure dall'Austria avrebbe potuto dar luogo a sospetti che vi fosse, se non alleanza, qualche concerto almeno con quella Potenza a danno d'Italia, il Generale O' Donne! protestò con molta vivacità contro simili sospetti, rilevando d'altronde la differenza importante delle note spagnole che tutte si limitavano ad un desiderio di trovar modi pacifici per assestare la questione di Roma non meno che del resto d'Italia, mentre negli offici austriaci accennavasi alle armi. Riconoscendo bene volentieri l'indicata differenza, soggiungevo però che la risposta identica data prima dal Gabinetto francese alle due note aveva potuto far nascere supposizioni che godevo sapere essere affatto infondate. In ogni modo poi, proseguì dicendo il Duca di Tetuan, il vostro Governo deve essere persuaso che Spagna né da per sé né in società d'altri non ha mai avuto né ha la menoma intenzione che di mantenere diplomaticamente la posizione che le sue circostanze le fanno astenendosi da ogni e qualunque mezzo materiale che potesse ledere la neutralità che ha sempre costantemente osservata in circostanze gravissime, quando un'altra potenza con una intervenzione marittima davanti a Gaeta vi metteva nei più gravi pericoli. Relativamente poi alla stessa epoca il Generale O' Donne! mi :riferì un fatto di qualche importanza per provare maggiormente la lealtà dell.a condotta del Governo spagnuolo verso di noi, e si fu che Re Francesco l'aveva sollecitato per la compera alle condizioni le più vantaggiose, di alcuni legni che gli rimanevano, e che sul rifiuto che qui si credette dover opporre alla sua sollecitazione, passarono poi a Tolone dove non s'incontrarono gli stessi scrupoli. Finì il duca di Tetuan il suo colloquio con me con una dichiarazione la cui importanza non ho bisogno di rilevare, e si fu a proposito d'una osservazione da me fattagli d'un articolo comparso in un periodico di questa capitale, in cui dicevasi che i Borbonici nelle provincie napoletane speravano di ricever presto soccorsi dalla Spagna quando l'insurrezione vi avesse fatto qualche maggior progresso. Ebbene io vi dichiaro, disse il Duca, che nell'ipotesi pure che Re Francesco venisse a ricuperare Napoli istessa, non potrebbe far conto sul Governo Spagnuolo né per un soldato né per una peseta, (moneta che vale la nostra lira).
Mancandomi ora il tempo di rispondere col conveniente sviluppo ai due ultimi quesiti superiormente indicati, posso però in quanto all'uno assicurare V. E. che per ora secondo i migliori dati non vi ha probabilità di prossima mutazione ministeriale, la completa repressione del movimento di Loja ed il soddisfacentissimo viaggio della regina dalla Capitale a S. Ander, non potendo che fortificare ancora il Ministero. Una crisi ministeriale potrebbe sorgere alla riconvocazione delle Cortes in Ottobre quando la maggioranza ivi un po' minacciata venisse a mancare al Ministero. Ma in tal caso ominoso sarebbe un Ministero Narvaez, qualunque sia l'appoggio che ei possa sperare all'Estero; il suo avvenimento al potere coi precedenti che gli si conoscono, non potrebbe essere sinceramente favorevole alla nostra causa; all'interno poi sarebbe forse tale da far scoppiare una formidabile insurrezione che minaccerebbe la dinastia stessa.
Mi resta a dir poche parole sulla questione d'influenze esterne delle due Potenze che, come V. E. bene osserva, sole potrebbero contendersi un'influenza preponderante; né l'una né l'altra ora la possiede. La Francia ispira qui troppa diffidenza che la diplomazia, per quanto sia accorta, non riescerà a dissipar facilmente. L'Inghilterra poi non ha avuto qui negli ultimi tempi agenti abbastanza abili per guadagnarsi una influenza più proporzionata alla sua importanza. Ciò forse potrà essere ottenuto da questo nuovo Rappresentante Sir Crampton, diplomatico non meno accorto che amabile.
Riservandomi a riedere con prima occasione sui toccati argomenti mi pregio intanto assicurare l'E. V. che nelle mie relazioni qua mi è sommamente grato di confermarmi nel miglior modo che per me si possa allo spirito dei discorsi pronunziati da V. E. nel Parlamento che qui fecero la più felice impressione sui nostri veri amici, mentre si ebbe le controprova del loro valore nell'ira che provocarono presso coloro che sono nemici o sospetti. In quanto a questa stampa liberale, essa non ha bisogno di incoraggiamento per occuparsi continuamente e nel miglior modo delle cose nostre ed in particolare della questione Romana. Essendo abbonato a quasi tutti i periodici più importanti, sono persuaso che non cesseranno di scrivere secondo le suggestioni che io loro darò. Avevo già nel tempo indicato al Governo i meriti di taluni di loro che con qualche decorazione potrebbero venir compensati; non sarebbe ora il caso di tal ricompensa per i redattori dei giornali dell'opposizione, onde non indisporre il governo; v'ha però un giornale oltre l'Epoca, El Constitucional che anche molto più di questa ha costantemente perorato la nostra causa quantunque il suo direttore copra un impiego importante del governo; egli è il dott. De Rascon e che già fu Ministro di Spagna a Firenze. Se V. E. lo credesse nella sua saviezza conveniente una decorazione che gli venisse in queste circostanze conferita produrrebbe ottimo effetto.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 49, n. 69, orig. autogr.)
L. P. 59. Parigi, 24 luglio 1861.
Ho ricevuto stamane la sua lunga lettera che attendeva con impazienza, e ne la ringrazio.
Mettendomi al corrente del vero stato delle cose e della linea politica da Lei tracciata (la sola possibile a senso mio) mi dà forza ad aggiungere la mia debole cooperazione agli alti concdti espressimi da V. E.
Io mi accordo pienamente nelle viste di V. E. Conosco gli inconvenienti di una Roma fatta sentina di cospirazioni e centro di tutte le mene che portano l'incendio ed il sacco nelle provincie napoletane, e cercano la rovina d'Italia. Mi rendo perfettamente conto delle difficoltà che circondano V. E., ma Ella comprenderà pure che io, di qui, sia più suscettibile a ciò che minaccia la nostra alleanza colla Francia, dirò meglio, coll'Imperatore.
Dalla mia maniera di vedere alla sua non v'ha differenza che di forma, e se Ella fosse qui, questa pure svanirebbe senza fallo. Ella vedrebbe quanto importi per noi il fare abnegazione e passar oltre a certi torti inescusabili che l'Imperatore ha verso di noi per impedire ch'egli rompa affatto con noi e disgiunga la sua politica dai nostri interessi. Persona più capace di me sarà in breve a Parigi e questa, ne ho ferma fede, non giudicherà diversamente da quel che io faccia la situazione di qui. Non è qui questione di capacità ma di semplice conoscenza di uomini e di cose.
Le cospirazioni clericali e legittimiste protette dall'Imperatrice hanno creato, per forza di reazione un partito composto dagli uomini più capaci cui l'Imperatore deve, per necessità, appoggiarsi.
È in questo partito che noi dobbiamo cercar appoggio, è con questo partito che noi dobbiamo accordarci, non coll'Imperatore solo; per quanto potente sia l'appoggio di un uomo solo, questo può mancare in un punto. Solo le alleanze di principii sono durature.
Ora gli uomini di cui parlo deplorano come noi le lacune che sono nella mente dell'Imperatore; al pari di noi comprendono l'unità essere l'unica soluzione possibile in Italia, comprendono tutto ciò che V. E. dice nella sua lettera; ma sentono in pari tempo che una troppo viva e soprattutto una troppo continuata pressione che noi esercitassimo sopra l'Imperatore avrebbe per effetto di gettarlo forse per sempre in braccio :agli avversari nostri e far trionfare la cospirazione che contro noi si trama.
Da questa mia lettera V.. E. vedrà che non merito la taccia di esser troppo ligio alla politica imperiale. Sono italiano e devoto al Re ed è perciò che una frase del suo telegramma del 22 corrente mi fece dolore grandissimo. Comprendo però essere quella spiegata dall'impressione prodotta sull'animo di Lei dall'imperdonabile dispaccio dell'Imperatore a Fleury, dispaccio di cui io non conoscevo ancora il testo.
Comprendo che le sue occupazioni gravissime hanno ritardato la lunga lettera ch'Ella mi scrive. Se questa mi fosse giunta prima, la mia opera qui avrebbe potuto essere più efficace. Ma al passato non è rimedio e, se l'accenno, non è che per scusare la mia inoperosità. Di questa lettera farò un sunto che comunicherò al Signor Billault. Questa comunicazione ufficiosa tornerà, ne son convinto, utilissima, perché farà conoscere a questo Ministro, che si è fatta una posizione potentissima, le giuste idee politiche dell'E. V.
Gioverà assai l'ufficio da Lei organizzato al Ministero per la direzione a darsi alla stampa. Sarà uopo ch'Ella abbia cura che le corrispondenze ed articoli non sieno mai troppo lunghi, ma, per contro, frequentissimi ed inviati a vari giornali.
Alcuni di questi scritti fatti con grande moderazione si potranno anche far inse
rire nel Moniteur, mi studierò di giungere a ciò senza comparire direttamente.
Nella redazione degli articoli e corrispondenze sarà mestieri tener calcolo
del colore del giornale che deve pubblicarli. Quella inviatami per il Débats è
perfetta; solo pecca un po' di lunghezza, ma non dubito che Bertin vorrà inserirla
senza farci cambiamenti.
Non creda che qui, nella guerra che ci fanno, vi sia cosa alcuna di personale a Lei; è naturale che dopo la morte del Conte di Cavour i nostri avversari si prevalgano della formazione di un nuovo Ministero per calunniarne le tendenze. Sventuratamente è altresì negli usi che il Capo di Gabinetto sia sempre, lui solo quasi, fatto bersaglio dell'opposizione.
Ignoro a chi V. E. possa accennare col dire esserci probabilmente alla R. Legazione chi sparli di Lei, ma son convinto sia questa una maligna diceria inventata da alcuni di coloro che col pretesto della politica calunniano per fini loro propri. Sono codesti di quei falsi italiani di cui V. E. faceva cenno con me, quand'ebbi l'onore di vederLa a Torino.
La ringrazio delle poche righe scrittemi il 19 e di quanto, dopo aver conosciuto dal Re lo stato delle cose, Ella conta fare in mio favore. Accetterò con piacere e riconoscenza quando V. E. sia convinta che la mia cooperazione possa tornare utile al paese e al Re.
IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 644. Parigi, 25 Luglio 1861, ore 15,25 (per. ore 19,40).
Ce matin seulement Puliga m'a remis votre lettre; je regrette ce retard; je me suis empressé d'en communiquer le contenu à Billault et de lui montrer dans le Colletta le fait attribué à Cialdini. Le Ministre m'a témoigné son vif regret que l'Empereur ait cédé à un mouvement d'impatience provoqué par une pure calomnie. Il me charge de vous témoigner toute sa sympathie pour notre cause et pour vous personnellement. Demain paraitra au Débats l'artide que vous m'avez envoyé avec autre correspondance que je fais insérer pour rétablir les faits. Fleury a encore écrit des dépèches dans un sens très favorable.
IL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
T. 645. Parigi, 25 Zuglio 1861, ore 16,40 (per. ore 18,30).
M. Billault vient de me dire officieusement que Benedetti sera le Ministre de France à Turin, mais que sa nomination officielle n'aura lieu qu'après que
Thouvenel aura repris la direction du Ministère des Affaires Etrangères, c'est à dire la moitié du mois prochain. Le choix de Nigra est très agréable au Gouvernement Français (1).
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO
(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 61-69)
L. P. Torino, 25 luglio 1861.
Sono certo che il mio silenzio non è da lei interpretato per poco affetto per lei, e l'animo mio tranquillo per questo lato, ha lasciato scorrere più tempo che non avrei voluto, forzato da altre occupazioni più stringenti. Eccomi ora a lei, e lieto di poterlo fare.
Ella non rimase contento delle mie lettere in ciò che riguardava il quesito suo intorno a sé, e non rimase contento perché non conteneva una risposta diretta. Ora mi accorgo del mio peccato, e me ne duole. Mi occorre spesso di cadere in simili peccati e non me ne correggo! Ora mi spiegherò facilmente con lei. La mia risposta a lei, ella stessa si compiacque riconoscerlo, era franca, e amichevole; era, parmi, come si scriverebbe tra vecchie e fidenti conoscenze. Mi feci a credere che in quella espansione di animo vi stasse la replica al suo quesito, e con quella forma io avessi dato prova a lei, che la nostra comune patria era bene a lei affidata, e bene dalla persona sua rappresentata a Londra; e non corre per la mente del Governo di surrogare a lei alcuno, che non sarebbe da equipararla. Ella adunque, pel lato del Governo, stia in perfetta quiete, perché esso ha nella sua persona fiducia piena, alla quale non meno partecipa la Maestà Sua.
Ella poi sa, e voglia ritenerlo per fermissimo, che io non sono devotissimo che alla causa italiana, che è la causa infine della giustizia, ed amo molto l'Inghilterra, perché vi predominano i generosi e nobili sentimenti, non posso essere disconoscente dei servizi che Napoleone ha reso all'Italia, e neppure posso essere indifferente alla parte più attiva e diretta che egli dovrà pure sempre avere alle cose nostre. Ma ciò, le giuro, non mi farà mai piegare d'un capello su quanto concerne la dignità, il diritto e l'interesse d'Italia. Innanzi tutto sono italiano, poi sono e sarò italiano; e sarò italiano anco nei mezzi e nelle forme, cioè saggio, dignitoso, prudente, cauto; :ma lo sarò per compire la sostanza, e non per comprometterla. Così mi ha alquanto ferito il discorso di Lord Russell a proposito della Sardegna, ove presuppone il caso che io manchi al mio onore; e non rimedia alla supposizione, chiamandola impossibile, 'imperocché mi ha già dato un titolo ingiurioso in quella supposizione. Aveva, per dover parlare più risoluto, con sé la logica e il mio nome. La logica, perché se io avevo detto non posse
dere l'Italia territorio da cedere ma sì da recuperare, era esclusa ogni cessione; e non poteva venire in campo la Sardegna più opportunamente della Sicilia. Il mio nome basta per dire che nessun atto vigliacco sarà mai commesso, e spero
di avere in ciò d'accordo meco il Re e la Nazione. Cosi Lord Russell dovea risparmiarsi ogni altra parola che non fosse la esclusione pura e semplice di qualunque cessione di territorio italiano, finché io sarò al Governo. Vorrei vedere codesto Governo più confidente in noi, e più deciso a porgerei, quando torna opportuno, la sua pur sempre valevole influenza. Egli non può né deve andar diffidente verso noi. Quello che gl'Italiani vogliono è sì chiaro e breve, che non si può ammettere dubbio intorno al volere loro. E su questo che gl'Italiani vogliono neppure si può contrastare che la ragione intera non stia dalla parte loro. Né questo è tutto; v'è di più, che io non temo di errare, sostenendo che la causa d'Italia è la causa della civiltà, è la causa dell'Europa civile. Contentata l'Italia nella giustizia dei suoi reclami, egli è chiaro che l'Inghilterra si troverà in grande parte avere raggiunto il fine cui ella mira di porre la pace in Europa, su basi sì solide, da ritenere che non sarà per essere più mai disturbata. Contentata l'Italia nella giustizia della sua causa, egli è chiaro che Napoleone avrà raggiunto lo scopo di chiudere l'èra delle rivoluzioni, che a lui fanno paura più che agli altri. Contentata l'Italia nella giustizia della sua causa, saranno compiti i destini della Provvidenza assegnati all'Umanità, che si potrà svolgere felicemente sui tre cardini capitali: l'Indipendenza nazionale, la Libertà religiosa, la Libertà civile. Mercé queste tre basi, l'Italia assicurerà in un brevissimo spazio di tempo uno stupendo avvenire, che diventerà la chiave dell'ordine pubblico in Europa, e del consolidamento del principio monarchico. Contrastare all'Italia il compimento della sua indipendenza a Roma e a Venezia, egli è per lo contrario compromettere l'avvenire non pure in Italia, ma eziandio in Europa. Non è possibile, con felice e durevole effetto in Italia, altra forma di governo che l'Unitaria-Monarchica. Se per orribile sventura, gli Italiani irritati dai mal sopportati contrasti che loro si fanno nel compimento dell'Indipendenza Nazionale, si alienassero dal senno e dalla concordia (so che suppongo un fatto molto remoto, per non dire impossibile) fin qui mostrata, e si scomponessero all'interno, il solo risultato che ne verrebbe sarebbe la proclamazione della Repubblica, e non unitaria ma confederativa, che è la sola forma possibile di attuare in Italia una Confederazione. Se chi parla seriamente di Confederazione in Italia, rendesse conto a sé stesso dell'abisso che andrebbe ad aprire, dovrebbe tremare innanzi tutto per sé stesso. Fa d'uopo che sia fatto chiaro a tutti che ove si parla di confederazione in Italia, non è possibile altra confederazione che la democratica. Restaurazione di dinastie, o costituzione di nuove dinastie, è impossibile.
Se questo si tentasse sarebbe un periodo dei più orrendi e sanguinosi. Il giorno che per supposto impossibile il Re nostro mancasse al suo dovere verso la Patria, in quel giorno il partito costituzionale si scinderebbe; una parte resterebbe inerte e l'altra viva di affetti e principii, viva di ardore giovanile, irritata per la defezione della Monarchia si getterebbe dalla parte repubblicana e farebbe causa comune e sarebbe in mezzo a molta strage proclamata la Repubblica. Ora chi in un caso sì estremo si trovasse a Consigliere della Corona dovrebbe necessariamente proporre al Re ogni estremo partito piuttosto che
!asciarlo esautorare per inerzia. E questo è appunto l'estremo caso che mi piace
considerare ove troppo lungamente, di soverchio, le condizioni di Roma si tenes
sero per causa dell'occupazione di Roma nel caso di nuocere alla nostra esi
stenza come ora avviene. Che sarebbe oggi di Roma se non vi fossero i Francesi?
Cosa è oggi Roma con i Francesi? L'interno Iaceramento che l'Italia soffre
per causa del turbamento, che a lei deriva da Roma, moralmente e fisicamente,
non sussisterebbe se le baionette francesi non stessero in Roma protettrici di
quanto si conspira a danno dell'Italia. Egli è chiaro che le armi francesi a
Roma, porgendo un sussidio fittizio alla Curia Romana su cui questa confida, trat
tiene, e quasi impedisce che quella Curia porga orecchie alle proposizioni sag
gissime che il Governo italiano sarebbe per farle onde venire ad una conci
liazione nell'interesse comune, e questo può essere cagione della rovina della
stessa Chiesa Romana, 'imperocché con lo spingere le cose all'estremo ogni giorno
rimuove da sé la possibilità di una feconda e saggia riforma.
Un fatto mi è stato asserito e che mi è parso da non credersi, ed è che a
Parigi si dia e si ritiene in modo positivo che il Governo inglese abbia sommi
nistrato armi a Francesco di Borbone e lo consigli a stare in Roma.
Altro fatto è accaduto .in questi giorni, che mi ha fieramente ferito, e che spero tornerà a nostro prò.. Mentre il generale Fleury era qua, l'Imperatore a lui diresse aperto il telegramma che qui le unisco, e che mi comunicò. Vimercati poco dopo mi soggiunse l'altro. Questo atto, che infine umilia Napoleone, e noi, è per ogni lato inqualificabile, e sopratutto Io diviene tale, quando si pensa che fu generato da un articolo della Gazette de France, che certamente ebbe fine di calunniare tutti, e prima di tutti la dinastia dei Bonaparte. Il Governo dichiarò false quelle asserzioni, e fece sentire il suo rammarico vivamente al Governo francese. Il signor Thouvenel mi fece ieri esprimere il suo rammarico per la precipitazione adoperata dal suo Governo. Non so se ella legga il giornale l'Italia, che qui si pubblica; vi era inserito un estratto delle Storie del Colletta, ove è riferito con le identiche circostanze il fatto rimproverato ad uno dei nostri generali. Infine tutto ciò avviene per la presenza delle truppe francesi in Roma e per la violazione giornaliera del non intervento fatto questo della più grande gravità, e che potrà essere cagione di altri ben gravi inconvenienti. Il Governo sia a Napoli, sia altrove opporrà la più risoluta repressione, raccorrà tutte le forze materiali e morali per opporre rimedio al brigantaggio, che è alimentato dai denari che i Borboni hanno rubato all'Italia e che ora le rendon con molti dolori. Il Governo è deciso di combattere con la più grande energia ogni turbamento all'interno, con qualunque nome si chiami
e che possa minacciare la conquistata Unità. Questo vuole che amici e nemici sappiano che addietro non si torna. L'Unità è il solo Governo possibile in Italia. Per pochi mesi potrebbe in certi casi passarsi ad una Confederazione democratica, ma vuolsi evitare questo caso e il Governo, quando che si potesse temere, che solo sarebbe, ove agli ostacoli che ci vengono dall'estero, il Governo non opponesse energia e dignità, avviserà fin d'ora a tenerne lontano anche l'ombra d'una possibilità.
Ella avrà avuto sentore d'intrighi ministeriali in questo Governo. Ella non creda a nulla. Non sono possibili intrighi ove io sono. Io gli svento con grande facil'ità, perché io non me ne preoccupo; batto la mia strada diritto diritto, e tranquillo tranquillo, sereno nella coscienza, avvisando di continuo a evitare falsa strada e sapendo che nessuno al mondo può rimuovermi nei miei propositi, e convinto di non avere a rendere conto che al Re e alla Nazione. Credo poi che quelle ciarle, nulla avessero di vero, se non che erano frutti di un artifizio che tendeva a mettermi in diffidenza con i miei colleghi.
L'affare del prestito sarà un nuovo fatto che l'Unità d'Italia è qualche cosa ed il nuovo Regno lo è pure.
Ora occorrerebbe muovere nell'animo del Governo inglese un vero desiderio, un affetto per l'Italia, in quanto concerne la soluzione dell'affare Veneto; occorrerebbe invaghirne il Governo e la Nazione inglese, e metterla sulla via di volere il merito di dare all'Italia la Venezia. La sola Potenza che può parlare in questo senso all'Austria è l'Inghilterra; ed è eziandio la sola che può mettere sul tappeto una qualche combinazione, conducente a questo risultato. L'Inghilterra lo deve tanto più volere, ond'essere coerente al suo vivo desiderio di evitare la guerra, che è prima o dopo inevitabile, visto che la Venezia è territorio italiano, e si deve restituire a chi spetta, onde cessi una sì infame offesa al giusto.
In Roma l'Inghilterra non ci può essere gran fatto utile, se non che talvolta e indirettamente, ma nell'affare di Venezia ella può avere molta autorità. Ho ubbidito al suo desiderio e Le unisco qui la lettera diretta a Lord Shaftesbury.
P. S. -Mi è pervenuta la sua lettera del 21, alla quale non mi occorre porgere particolare riscontro; se non che posso dire che al mio ingresso al Ministero, anzi prima di accettare di farne parte, chiesi se vi era alcuna pratica iniziata per cessione di territorio, e mi fu risposto negativamente. Ciò bastava a me per non riconoscere alcun altro impegno di tal genere. Quando il conte di Cavour cadde malato, io avevo già divisato d'interpellarlo pubblicamente intorno le voci di cessione della Sardegna. La sua malattia lasciò in me il pensiero che io avevo, la di lui morte e le conseguenze vollero che a me toccasse il carico di illuminare il paese in proposito.
(l) Con decreto 28 luglio 1861 Nigra ebbe l'incarico di • continuare col nuovo suo grado d'Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario nella missione diplomatica così lodevolmente sostenuta presso il Governo Imperiale di Francia in qualità di Ministro Residente di S. M. •·
IL MINISTRO AD ATENE, MAMIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. 3. Atene, 25 luglio 1861.
Confermasi l'opinione che il processo che va instituendosi contro gli ultimi incarcerati politici non conduca a niuna importante rivelazione e credono molti il governo esser deliberato a far grazia. Ma gli imputati, dicono altri, non vogliono uscir di prigione se non a giudizio compiuto e in virtù di una assolutoria. Il giudice deputato a compilare il processo è uomo di trista rinnomanza e scelto appostamente, si mormora da parecchi, perchè scopra la colpa o l'inventi. Furono a questi giorni posti in prigione due Clefti delle provincie limitrofe e ancora soggette alla Porta Ottomana; l'uno chiamasi Scalzojanni; l'altro Zicos. Rifuggitisi ambidue nel Regno di Grecia dopo la guerra di Crimea, vi vivevano non pure quieti e sicuri ma provvisionati dal Governo. V'ha chi stima la carcerazione loro essere una soddisfazione data alla Porta pei molti omicidi e rapine commesse dai due Clefti mentre dimoravano nel territorio turco. Altri sospetta sieno stati incarcerati in conseguenza della scoperta macchinazione. L'altro jeri, nel Pireo gli alunni della scuola domandata della Buona Speranza (una spec'ie di scuola militare di cadetti) cantarono più volte l'inno di Garibaldi, e non volendo cessare, il Direttore chiamò qualche soldato e scacciò cinque alunni fra quali il figliuolo di Panas colonnello dei Carabinieri e carcerato insieme con gli altri capi della congiura o vera o supposta. Jeri il comandante della scuola fece leggere un ordine del giorno in cui è intimato che per qualunque nuovo disordine l'istituto militare della Buona Speranza verrebbe chiuso. L'inno di Garibaldi qui non significa idee ultraliberali, ma un profondo sentimento d'indipendenza e di libertà. I Greci cantando quell'inno vogliono dire sol questo, che la patria loro debbe pigliare ad esempio la rivoluzione Italiana.
V. E.-conosce il molto valore che S. M. Ellenica ed i suoi Ministri hanno voluto attribuire alla sollecita ricognizione che questa Corte ha fatto del nuovo titolo assunto da Vittorio Emanuele Re d'Italia. Non è inutile alla nostra Diplomazia di sapere con esattezza come la cosa sia proceduta. In questa Camera di Deputati si cominciò il dieci Aprile a discutere la risposta che conveniva fare al Discorso della Corona; ed era il tempo che in ogni dove parlavasi con diverso affetto ma con grande interesse del titolo nuovo e glorioso del nostro Re. Perciò avendo S. M. Ellenica dichiarato solennemente nel suo discorso di vivere in buona concordia e amicizia con tutti i principi, l'Ammiraglio Canaris preparavasi a interpellare il Ministro degli Esteri circa le relazioni del Governo Greco verso il nuovo Governo Italiano. L'accidente pigliava estrema importanza dall'entusiasmo del popolo per la nostra causa e dal forte e palese bollimento di tutti gli animi. Si ovviò al sinistro caso, facendo spargere in ogni canto la voce che il Governo era risoluto di subito riconoscere il nuovo Regno d'Italia. In quel mezzo tempo, al Console Malavasi giungeva comunicazione della Circolare del Conte di Cavour alla quale per le ragioni anzidette fu fatta accoglienza la più favorevole. La Corte poi ebbe somma premura di persuadere a tutti che l'atto di ricognizione era stato iniziato e voluto dal solo :Monarca, non considerando che nei termini rigorosi d'un governo statutale ciò può essere un merito e un demerito insieme.
Altri poi aggiunge che il Re ed il Ministero volendo venire alla cattura di parecchi ufficiali e altri ragguardevoli cittadini stimasse bene di farla precedere da un atto sommamente gradito alle moltitudini.
Oggi l'Alba (~ rt.ùyf)) .il periodico più diffuso e più popolare del Regno riferisce un articolo tolto al giornale Greco di Trieste dove si vuoi far sentire agli Elleni la somma importanza e l'alta missione della Legazione Italiana in Atene. L'articolo riferito non può mettersi in fascio con altri, perchè il giornale Triestino è organo dei ricchi e numerosi mercatanti e banchieri greci di colà.
A 1 giungere di questo dispaccio è cosa probabile che V. E. abbia di Costantinopoli notizie molto più fresche e recondite. Nullameno, per non mancare da alcuna parte al debito mio, le dirò che le nuove ultime di quella gran capitale sono minacciose in quanto il nuovo Sultano compie atti ispirati dal fanatismo. Egli torna pure alle usate prodigalità e all'usata poligamia.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI,
AL CONTE VIMERCATI
(A C R, Carte Vimercati)
L. P. CONFIDENZIALE. Torino, 26 luglio 1861.
Le cose del nostro imprestito procedono ogni aspettativa la più avanzata. Io spero che pure la soscrizione nazionale corrisponderà all'oggetto supremo che ci siamo imposti; armarci e svolgere la nostra potenza economica col mezzo delle vie ferrate.
Compito l'imprestito ciascun ministro si porrà all'opera di riordinare il proprio Ministero, siccome le nuove condizioni del Regno richiede, cosa che non avea potuto farsi finchè il Parlamento assorbiva la più gran parte del tempo di ogni Ministro. Sopra i lavori che il Parlamento ha compiti diramerò in breve una circolare agli agenti diplomatici italiani.
Il Ministero dell'Interno ha inviato a Parigi persona capace onde studiarvi l'ordinamento del Ministero dell'Interno di Francia, e di tutte le sue diramazioni. Il Ministro delle Finanze non tarderà a fare altrettanto per suo conto. Io spero di vedere attuata nel corrente anno una sapiente organizzazione amministrativa per tutto il Regno; il tempo compirà l'opera. Quanto tempo impiegarono gli altri Stati a bene ordinarsi? La Francia ha già settant'anni di vita. Vorrebbesi che in Italia si facesse i miracoli, e si facessero mentre ci si lascia in seno la infame cangrena di Roma e dei Borboni, e Borbonici ed altri cotali infamità? Pure ho fede che faremo fronte a tutto, perché la natura stess.1 delle cose ci dà la forza a risolvere le difficoltà. Con l'unità potete chiudere la bocca a tutti; perché con l'unità avete il solo assetto che vi porge la forza dell'imparzialità dirimpetto a tutti; vi dà la forza delle comunanze degli interessi; vi dà la forza che viene dall'unità delle forze, dall'unità degli ordini, dall'unità della Nazione. Con l'unità chiudete l'era delle rivoluzioni imperocché non vi è più aggettivo alle rivoluzioni. Con l'unità voi creerete in Italia una Monarchia che sarà la più solida tra le Monarchie; e quindi il principio Monarchico nei fatti italiani riceve un bel rinvigorimento, che non verrà mai meno per secoli. Mercé l'Italia anco la Monarchia in Francia riceve una impronta, un consolidamento nuovo; diventano solidali fra loro. Quindi la Francia dee mostrarsi più apertamente disposta a riconoscere le ragioni sociali che di tanto raccomandano il rivolgimento d'Italia, che è tutto nell'interesse dell'ordine pubblico europeo.
L'Imperatore Napoleone guadagnerà immensamente se procederà più scoperto, più risoluto nella via dei sani ed eterni principi di ragion sociale. I preti non saranno mai i suoi amici; Egli gli deve trovare nelle parti liberali, che abbondano sia in Francia sia in Italia; anzi in Italia sono i 9 decim'i e in Francia cresceranno oltre misura il giorno che l'Imperatore cesserà di essere un arcano.
Le unisco un nuovo articolo, che se Les Débats non fosse contento inserirlo nelle sue colonne, può affidarlo all'Opinion Nationale.
Con telegramma l'ho avvertita delle notizie di Napoli e di Roma.
[P. S.] Mi perviene la gradita Sua del 24. Terrò conto di quanto mi avverte intorno le qualità che dovranno avere gli articoli che si mandano per la stampa francese. Ella avrà la posizione desiderata, e quale il Re me ne indicò, e che in precedenza io ignorava interamente. Quanto Ella mi scrive sulle cose di costà mi fanno ognora più [sic] che sia tempo di una politica più netta per parte dell'Imperatore.
VITTORIO EMANUELE II, AL CONTE VIMERCATI
(A C R, Carte Vimercati) Torino, 28 Luglio 1861.
Spero che questa volta sarà contento di me. Tutti i suoi affari sono aggiustati. Ho incaricato Fleury di numero infinito di commission'i per l'Imperatore a cui scrissi lunghissima lettera. Vengo di scriverne un'altra per mezzo di Nigra. Faccia il piacere parlare coll'Imperatore e con Fleury e sapere come l'Imperatore fu contento della lettera la e 2a e sappia dirmi qualche cosa per mia regola, guardi di mettersi subito in buone relazioni con Nigra, ciò pure a lui raccomandai verso di Lei. D'altronde Nigra non è a Parigi che fino che sarà nominato un'Ambasciatore ma ciò non bisogna parlarne con lui. Ciò che le successe col Segretario N. N. non tira a conseguenze quà benché l'amico abbia chiesto la sua dimissione per l'affare Pernati. L'Imperatore mi pare amico in teorica ma non in pratica; gli scrissi oggi affinché mandi via Goyon da Roma. Oltre il male che ci fa, esso è alla testa di un partito orleanista assai forte e fà contro l'Imperatore.
Malgrado le promesse dell'Imperatore vedo che 5 batterie e 30.000 fucili, etc., che ci dovevano essere resi dai Napoletani di Roma furono regalati al Papa per ucciderei a lento fuoco. A Marsiglia si arruola un esercito con nostri disertori che agenti segreti menano via per fare la guerra santa, e la Francia lascia fare, perciò mi sappia dire qualche cosa. Mi parli pure dell'Ungheria.
Guardi di procurarmi degli Antilopi Nilghaut. Se non ne trova a Parigi la prevengo che ve ne sono in varie Menagerie di Francia. Stia ardito e spero di rivederla presto e fare qualche caccia con Lei anche che sia diplomatico.
IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(A R B, cass. 49, n. 85; sola firma autogr.)
R. CONFIDENZIALE 205. Londra, 28 Zuglio 1861.
Au reçu de la dépèche par laquelle V. E. m'adressait de nouvelles instructions· par rapport à la Prusse, je cherchais à voir Lord John Russell. Mais il venait
de quitter Londres pour la campagne et devait le lendemain assister à un
conseil présédé par la Reine à Osborne. Lui ayant malgré cela fait parvenir le
contenu essentiel de la dépeche de V. E., il me fit répondre immédiatement
quelques mots par son beau-frère, M. Elliot, qui est en meme tems son sécrétaire
particulier. Comme il n'était nullement question d'urgence, j'ai préféré d'at
tendre soit une occasion réservée que m'offre le courrier anglais, soit d'avoir
pu voir S. S., ce que j'ai été à meme de faire aujourd'hui à Richmond.
Lord John est d'avis qu'il n'y aurait aucune utilité à ce qu'il renouvelle ses instances auprès du Gouvernement Prussien pour presser une reconnaissance du Royaume d'Italie..Je dis expressément renouveler parceque le hazard a voulu que ces jours derniers Lord A. Loftus ait parlé à M. Schleitnitz à ce meme sujet, et la réponse a été peu encourageante. C'est au Roi lui-meme que Lord John croit pouvoir en premier lieu attribuer le retard que subit cette reconnaissance et c'est la Russie qu'il accuse en meme tems d'influencer à cet égard les décisions de S. M. C'est à .Pétersbourg d'abord et auprès de la personne meme du Roi de Prusse qu'il faudrait pouvoir agir.
Quant au Comte de Bernstorff les relations suivies et amicales que j'ai entretenues avec lui pendant son séjour à Londres me permettent de reconnaitre une certaine exactitude dans la définition qu'on a donné à V. E. du nouveau Ministre des Affaires Etrangères de S. M. Prussienne.
M. de Bernstorff m'a souvent signalé dans le courant des conversations que j'ai eues avec lui à plusieurs époques que pendant son séjour à Vienne il avait été en butte à beaucoup d'animosité précisément parceque on n'avait jamais pu le gagner à la cause autrichienne. Mais ces assertions étaient déstinées précisement à réfuter mes attaques à la vérité faites en forme de plaisanterie quant à ses tendances conservatrices et son Austrianisme.
M. de Bernstorff est l'ami int'ime de M. Schleinitz et il affirme avoir les memes idées que lui. Mais j'en doute fort, et mon impression est que le choix du Comte indique un pas fait eri arrière. Je ne le crois pas mal disposé pour la cause italienne. Mais beaucoup de considérations l'empechent de prendre un parti décisif. D'abord un long séjour à Naples lui a laissé des tendances un peu vers la Dynastie déchue. Ensuite il se sent nouveau pour la piace qu'il va occuper. N'a aucune espèce de talent oratoire, et au fond on ne saurait le piacer au dessus de la plus complète médiocrité.
Ce sentiment d'insuffisance joint à une grande obséquiosité pour la Cour le rendent très peu indépendant dans ses mouvements et très craintif de la Roche Tarpéienne. En meme tems le Comte est d'une caractère ombrageux au sujet des égards qui sont diìs à sa position, d'une roideur très nationale dans ses rapports avec ses semblables. Il lui arrivera donc facilement de se créer des ennemis et des difficultés.
Il parait meme si persuadé lui-meme des obstacles de ce genre qu'il se propose à affronter, qu'on m'assure que pour le moment la Légation restera vacante à Londres, prete à amortir sa chute. Il est bon de ne pas perdre de vue que sa nomination avait été decidée avant l'attentat Becker et que maintenant il s'en faut de bien peu qu'elle ne prenne l'attitude d'une hravade contre l'opinion libérale allemande. Si cette susceptibilité ombrageuse dont
19 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I
j'ai parlé plus haut se transforme du privé en un sentiment national et que le Comte de Bernstorff assume vis à vis du Danemark l'attitude d'un pays outragé je ne sais s'il améliorera beaucoup la position actuelle de la Prusse qui parait avoir complètement réussi à s'aliener tous les autres pays de l'Allemagne, qui vont meme jusqu'à tourner en ridicule son incertitude et sa tìmidité.
Je ne vois donc guère de raisons qui me permettent de désigner à V. E. la réalisation de ses désirs quant à la Prusse, car M. de Bernstorff ne s'exposera pas à encourir à ce sujet le déplaisir du Roi, tant qu'il est dans les idées actuelles.
J'ai cru utile en cet état de choses d'aller voir un de mes collègues avec lequel depuis de longues années j'ai traversés de bien différents et difficiles momens sans jamais un instant qu'il ait changé en rien la grande bienveillance qu'il m'a toujours temoignée. Je veux parler de l'Ambassadeur de Russie le Baron Brunnow. Comme :il avait vu Lord John la veille et que celui-ci n'avait pas cru devoir lui cacher la demande que j'avais été chargé de faire auprès de lui, j'aurais eu mauvaise gràce à user à mon tour de beaucoup de mystère. Je crus donc préferable de parler sans déguisement et le Baron me dit qu'il ne lui paraissait pas qu'il y eut pour le moment rien de nouveau à attendre de la Cour de Russie.
Il effieura légérement les liens de sympathie qui unissaient la Cour de Naples et celle de Pétersbourg et appuya beaucoup plus fortement sur l'espérance qu'il aimait à croire fondée que rious évitérions de pousser la Pologne dans la voìe des manifestations insurrectionnelles. Je présume par conséquent que ce qui retient en grande partie la Russie c'est la crainte que nous ne nous trouvions forcés de nous él.ppuyer surtout sur le désordre européen pour en arriver à nos fins.
En meme tems que le Baron n'a pas semblé entrevoir la reprise prochaine des relations officielles il a paru croire que l'état intermédiaire actuel ne subirait aucune détérioration.
Il m'a meme déclaré avoir entièrement approuvé par exemple notre participation aux négociations relatives à l'organisation des Principautés Danubiennes, dont Lord John lui avait parlé, et dans le sens également de notre admission à ce qui se fera:lt.
J'en ai dit un mot aujourd'hui à S. S. qui m'a dit qu'il avait laissé
M. Bulwer l'arbitre de l'arrang·ement à prendre soit comme le veut la France par des protocoles ou une conférence à Paris, so i t comme l'Angleterre le désire par une conférence à Constantinople.
Lord John pourtant m'a dit ce matin que les bases que portaient ses instructions à M. Bulwer étaient les suivantes:
l. Maintien de la sm:eraineté de la Porte;
2. -Exclusion d'un prince étranger; 3. -Rejet de toute nouvelle éléction dans un sens démocratique qui enleverait aux électeurs actuels une partie de leurs droits.Mais par·l'avénement du nouveau Sultan et le tems d'arret qui en a été la suite, les questions semblent du moins ajournées sans compter l'opposition de l'Autriche à se trouver en contact avec nous.
Lord John dans son divorce d'avec la Chambre des Communes ne parait pas suivre d'autres impressions que celles de ce genre de séparations. Il laisse après lui plus d'un embarras à un chef de file.
L'éléction d'un membre Tory à la City à la piace de Lord John parait fort probable. Ensuite la nomination de M. Layard comme sous-secrétaire d'état aux Affaires Etrangères parait fort approuvée, et nous ne saurions assez nous applaudir de ce choix, car il y a peu d'amis d'Italie qui lui soient aussi devoués que lui.
Nous ne saurions regretter également que Sir Robert Peel soit entré au Ministère. Malgré ses boutades quant à la Savoie et à Nice il est revenu vers nous et nous pourrons le compter parmi nos amis. Il n'en est pas de meme des députés Irlandais qui donnent libre cours à leur colère et à leur indignation. Ils jettent les hauts cris et disent que Lord Palmerston peut s'estimer heureux qu'il est à la fin de la session car sinon on chercherait à le renverser.
Ces sentiments sont partagés quoique dans un autre ordre d'idées par la France qui non seulement a fort blamé le langage de Lord John lors des interpellations rélatives à la Sardaigne, mais celui de ses interpellants entre autres Sir Robert Peel.
Son introduction dans le Ministère aussitòt après fait l'effet d'une récompense et presque d'un défi.
D'après ce que Lord John m'à confié ce matin, M. de Flahault est venu hier se plaindre (non de cette nomination) mais du langage tenu par Lord John lui-meme. Lord John se retrancha dérrière les usages parlamentaires de chaque pays et de meme qu'il n'avait rien dit quant au discours de M. Billault il réclama le privilège de pouvoir parler sans censeurs étrangers. M. de Flahault lui remarqua alors qu'il aurait du se borner à dire simplement qu'ayant intérpellé là dessus le Gouvernement Français, il lui avait été répondu que la chose n'était pas vraie et aucune accession projetée. Et voilà tout. Mais Lord John m'ajouta que s'il avait dit pareille chose on lui aurait ri au nez.
Je me permis cependant de lui faire observer que mes craintes étaient que cette discussion ne tourne à notre désavantage en ce sens que l'Empereur blessé dans son amour propre, ne cherche en retardant la solution à nous prouver que la question est entre ses mains. Mais Lord John me répondit qu'il pourrait arriver que l'Empereur voyant le prix de la solution lui échapper ne se refuse à l'amener.
Mais je me bornais à constater que c'était amener exactement par deux voies les choses au meme résultat.
Lord John m'a confié meme qu'ils avaient suggéré à Paris l'opportunité
d'une réduction soit dans le nombre des troupes à Rome soit dans le cercle
du pays occupé. Mais on lui répond de Paris:
l. Qu'on craint une éxpédition de Garibaldi et qu'on ne peut par conséquent pas diminuer les troupes.
2. Qu'on n'est pas bien persuadé que nous soyons si impatients d'arriver à Rome, un Parlement réuni en cette ville pouvant ne pas etre sans des inconvénients graves. La première objection pourrait etre combattue; des renforts pourraient toujours etre envoyés à tems. La seconde me parait etre un prétexte.
Au reste comme le Gouvernement Anglais sait parfaitement à quoi s'en tenir sur la grande activité que depuis quelques tems l'on donne aux constructions navales en France, et surtout pour les frégates cuirassées, l'on ne peut pas dire que cela soit de nature à opérer beaucoup d'intimité entre les deux pays. Les contribuables tout en comprenant qu'il ne faille pas rester en arrière, payent, mais se demandent où cela s'arretera. On vient de demander ces jours derniers un crédit supplémentaire d'environ 62 million de francs purement pour construction de navires cuirasses pour tenir tete aux progrès de la France. Et des discours peu bienveillants ont été prononcés. Cela préoccupe assez le Ministère qui d'autre part a d'autres sujets d'inquiétude sur un autre point du globe. C'est par rapport à l'Amérique. Les Américains déclarent des blocus et prétendent ensuite qu'on les observe qu'ils aient ou non un nombre suffisant de vaisseaux pour les rendre effectifs. Le Gouvernement Anglais est dans des inquiétudes incessantes qu'il ne surgisse d'un moment à l'autre quelque grave complication du fait de quelques navires anglais se lançant dans quelques entreprises inconsidérées, et les Américains ne se généraient nullement à tirer dessus.
Je regrette de n'avoir pas à tracer un tableau plus riant de la sltuation dans laquelle nous nous trouvons vers le Nord de l'Europe. En attendant le Gouvernement forme les vreux les plus sincères pour que nous parvenions enfin à établir plus d'ordre dans l'Italie méridionale.
Ayant pris fait et cause pour nous contre nos détracteurs on voudrait ne pas s'etre trop avancés. On fonde en tous cas un légitime espoir en votre talent et en votre fermeté non moins que dans l'efficacité de l'armée. Mais on pense qu'il est tems que cet espoir se réalise.
IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. CONFIDENZIALE S. n. Baden, 28 luglio 1861.
Je suis arrivé hier soir ici, et dès ce matin j'avais l'honneur d'etre reçu par le Ministre des Affaires Etrangères qui m'a fait le plus bienveillant accueil.
M. le Baron de Roggenbach m'a dit tout d'abord que le Gouvernement GrandDuca! ne partageait en aucune façon la manière de voir de la plupart des Etats allemands relativement au nouvel ordre de choses établi en Italie; que bien au contraire, il avait pour le nouveau Royaume les plus grandes sympathies et qu'il se serait depuis longtems empressé de le reconnaìtre si la position du Grand Duché dans la Confédération Germanique ne lui faisait un devoir d'attendre l'initiative de la Prusse. M. de Roggenbach m'a témo'igné la plus entière confiance dans l'avenir unitaire de l'Italie; seulement il m'a exprimé quelques inquiétudes au sujet des mouvements insurrectionnels de certaines provinces napolitaines; mais sur l'observation que je lui ai faite que ce n'étaient là que des actes de brigandages encouragés et soudoyés par une faction aveugle n'ayànt plus aucune racine dans le Pays, il a facilement convenu que l'action régulière du Gouvernement ne tarderait pas à avoir raison de ces dernières convulsions, qui accompagnent toujours la chute d'une dynastie quelque execrée qu'elle soit du reste par les populations.
Mais M. de Roggenbach ne m'a pas seulement parlé de ses sympathies; il m'a dit en outre que l'intéret national de l'Allemagne était d'avoir à còté d'elle une ltalie forte et unie qui en montrant l'exemple à l'Allemagne lui permit également d'avoir une politique à elle, exempte de l'influence française. c Ce n'est pas -a-t-il ajouté -que nous puissons arriver aussi vite que vous ni de la mème manière; nous avons encore bien des difficultés à vaincre, bien des échelles à parcourir; mais l'impulsion est aujourd'hui donnée et la communauté d'intérèts et d'aspirations amenera forcément peu à peu l'unité politique. Quant à la Diète de Francfort et aux idées désormais impossibles qu'elle représente, le mouvement national se fait et se poursuivra en dehors d'elle, et bientOt elle ressemblera à une de ces vieilles ruines qui s'écroulent d'elles mèmes, sans qu'il soit nécessaire de les pousser pour les renverser ».
Je n'ai pas besoin de faire ressortir ce qu'a de remarquable un pareillangage dans la bouche d'un Ministre allemand. Il atteste suffisamment les idées larges et éminemment patriotiques de celui qui l'a tcnu, comme aussi la révolution radicale qui s'est opérée dans les hautes sphères d'un Gouvernement qui, il y a à peine une année, était courbé sous le joug autrichien et ne faisait rien sans en avoir reçu la permission de Vienne.
Venant ensuite tout naturellement à me parler des difficultés que j'avais eues avec certaines Cours allemandes au sujet des nouveaux timbres italiens,
M. de Roggenbach m'a dit que depuis longtems il avait donné l'ordre à l'Envoyé Grand-Ducal à la Diète de les accepter et que de ce còté là je n'avais aucune difficulté à craindre. Il m'a confié, comme le sachant de source certaine, que le Roi de Bavière aussi bien que celui de Wurttemberg n'étaient point personnellement aussi hostiles qu'on le croyait généralement à l'Italie, mais que à Munich comme à Stuttgard le parti de la Cour était plus puissant que le Roi, et que c'était à son influence qu'il fallait uniquement attribuer la décision de renvoyer toute communication portant le timbre italien: qu'en ce qui concernait plus particulièrement le Mecklembourg, c'était la Grande Duchesse qui avait tout fait; que comme toute la famille de Resse, elle portait une haine profonde au nouveau régime italien, et que c'était elle qui la première avait eu l'idée de cette couronne de lauriers en or offerte par les Princesses allemandes à l'épouse de François II.
Abordant enfin la question si importante des conséquences politiques que pourrait avoir sur l'esprit du Roi le récent attentat, M. de Roggenbach m'a dit avec une assurance qui ressemblait à de la conviction que S. M. avait été profondément émue de l'intérèt supreme que dans cette circonstance lui avait témoigné le peuple allemand pour la conservation de ses jours, et que bien loin de vouloir retourner en arrière comme le lui demandait avec instance certain parti bien connu de l'Allemagne, Elle était au contraire décidée à donner à sa politique des allures et une couleur nationales plus prononcées que par le passé.
Cette appréciation parait d'autant plus juste que M. de Roggenbach a pu souvent approcher le Roi, et que mieux que personne il a été à mème de suivre de près le travail qui s'est fait dans son esprit à la suite de l'événement.
Tel est, Monsieur le Ministre, le resumé exact de mon entretien avec l'homme d'état qui aujourd'hui dirige la politique du Grand-Duché de Bade. Je n'ai pas besoin d'ajouter qu'en prenant congé de lui je n'ai pas manqué de lui exprimer mes remerciments pour ses sympath'ies en notre faveur, sympathies, lui ai-je-dit, que je ne manquerai pas de porter à la connaissance du Gouvernement du Roi.
Au moment de fermer cette dépeche j'apprends que le Prince Carini a été envoyé par l'ex Roi de Naples pour complimenter le Roi de Prusse et qu'il a été reçu hier. L'on me dit également que le Prince Lucchesi-Palli arrivé hier de Rome est chargé d'une mission auprès de S. M. Mais dans le corps diplomatique d'ici l'on ne parait pas attacher d'importance à ces démarches posthumes qui provoquent plus de sourires qu'elles ne semblent devoir amener de résultats.
P. S. -J e vais porter cette dépeche à la poste de Biìle et camme de là je ne suis qu'à quelques heures d'une propriété que j'ai encore en France, j'ai pensé que V. E. ne verrait pas d'inconvénient à ce que j'aille y passer trois ou quatre jours. Je serai de retour à mon poste samedi prochain.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO
(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 69-73)
L. P. s. n. Torino, 29 Luglio 1861.
Il generale Solaroli si reca per suoi interessi in Inghilterra. Il Re ha creduto di incaricarlo di presc•t.1tarsi a Lord Palmerston, e a Lord Russell, e tenere ragionamento intorno le cose d'Ungheria, perché sia raccomandato all'Austria e agli Ungheresi di procedere per vie più serie, che non sarebbero quelle, cui per avventura si appigliassero o l'uno o gli altri, confidando la propria ragione alla forza. Egli è chiaro che l'Italia è interessata a che non si promuova un conflitto tra gli Ungheresi e il Governo Austriaco nelle presenti condizioni, in cui noi siamo. Quel fatto avrebbe eco profondo nella nostra Italia. Il principio d'indipendenza al dirimpetto dello stesso dominatore selvaggio, è lo stesso per l'Ungheria e per l'Italia, ed è ben naturale che il popolo italiano sarebbe oltremodo commosso ed agitato nel caso da me accennato. Noi non abbiamo ancora l'Esercito nelle condizioni in cui dovrebbe essere per poter usufruire di quel conflitto, come lo potremmo fare nella primavera prossima. Gli Ungheresi stessi sono deboli, perché privi d'armi e di mezzi; quindi ci troverP.ssimo in un orrendo cimento, nel quale staressimo da disperati; ma non dobbiamo avere il rammarico di averlo provocato. Egli è adunque naturale che si sventino le occasioni.
Migliori nuove abbiamo da Napoli: ma non è men vero che oggi quelle Provincie ci danneggiano e c'indeboliscono. Noi vediamo quanto si deve fare per
condurre a migliori termini e in modo efficace quelle provincie, ove regnò secolare e corruttrice tirannide; e sebbene s'ia certo l'esito del Governo, che oggi s'instaura in Italia, non è men vero che gli effetti reali solo con l'andar del tempo si cominceranno a vedere e a godere.
Roma poi, ripeterò pur sempre, tiene vive le speranze, e acceso il fuoco del delitto. Bella dinastia invero, che ha bisogno di esser preceduta dall'eccidio e dalla rapina. E un governo onesto e civile vorrà sostenere ancora le speranze dei Borboni? Vorrà chiamare bandiera politica quella del brigante che saccheggia, uccide e ruba?
Cui bono questo scandalo universale e tristo? Giova egli al Papa e alla Chiesa? Se il principio religioso non fosse una qualità della nostra anima, se gl'Italiani non fossero Popolo di senno e di coscienza, dove saressimo a quest'ora? Felicemente che gl'Italiani seppero senz'altro dividere il capo della Chiesa, dal capo d'una società civile e politica, e per essi l'affare di Roma è già risoluto nella coscienza. Le chiese sono frequentate quanto e più di prima, senza che alcuna pressione vi obblighi i cittadini a concorrervi, come in certi stati faceva la tirannia; e domani che al Papa sia cessata l'occasione di tiranneggiare e imbestialire l'Italia, sarà una festa nei cuori ancora ingenui dei cattolici italiani che sono i più. Il Governo poi del Re, che partecipa e rappresenta questo senno, e questa lealtà italiana, cerca e tasta ogni giorno il terreno per riconoscere se chi rappresenta la Chiesa sia ancora tocco di una felice ispirazione, e voglia accogliere parole di pace, e proposizioni di conciliazione sapiente. Il Governo tiene già pronto il suo programma di separazione delle due podestà, informato al principio della libertà. Questo programma non è una teoria, ma l'applicazione dei principj allo svolgimento d'una grande istituzione, mercé i quali principj in lei applicati potrà rigenerare sé stessa a felicità d'i tutta la società umana. Io sono amante di questo disegno e come uomo cui sono affidate in parte le sorti di una nazione, e come individuo che sente l'opportunità di combattere l'indifferentismo religioso, che invade ogni giorno il corpo sociale, e vede che ciò accadrà quale conseguenza certa di quella libertà che lo Stato concederà alla Chiesa, al seguito della di lei rinunzia al potere temporale. lo penso che quanto incompatibile è al Papa il far da Re, del pari sarebbe al Re il fare da Papa; e il potere civile e politico dovrà essere compiutamente liberato da
ogni miscela col potere ecclesiastico. Il ridurre a pratica ciò, è più facile che non si crede. Al Papa devon concedersi tutte le onorificenze sovrane. Ai Cardinali si conservano titolo e onorificenze di Principi, e la irresponsabilità nelle cose della Chiesa. Al Papa daremo una lista civile. Alla Chiesa rendiamo la libera amministrazione di sé stessa, tanto nel suo temporale, e cioè il suo Patrimonio, quanto nello spirituale. Libertà nei suoi Atti, salvo dove offendessero le leggi. Abrogazione quindi delle costituzioni Leopoldine, Giuseppine, ecc. Però la legge di manomorta dee mantenersi rispetto ai beni stabili; ma questa consiste unicamente nel dover vendere, ma salva la proprietà del ritratto. Al Papa potremo dare palazzi, ville e perfino una porzione di Roma. Osta egli all'unità, all'indipendenza d'Italia il territorio della Repubblica di San Marino? Non guasterebbe neppure il concedere al Papa in assoluta sovranità per lui e suoi successori un Rione di Roma. In breve, facile si è la conciliazione delle difficoltà vere e legittime della Chiesa cattolica romana, il giorno che le baionette
francesi lasciassero Roma, e non volessero più mostrarsi protettrici di una cospirazione indegna contro l'umanità intera. Ecco il vero aspetto delle cose romane. L'Italia non avrà pace nella loro durata. Il Governo e il Paese faranno sforzi erculei, e li faranno. Ah! sì, li faremo, non resteremo al disotto di nessuna difficoltà, ma una vera e propria ricostituzione d'Italia non potremo mai conseguirla. Chiedo se nella civiltà presente sia lecito cooperare a una si miserabile condizione! Ma guardisi ai pericoli; si, ai pericoli, che possono derivarne nel prolungare soverchio l'attuaHtà. Le popolazioni si sdegnano pel male che soffrono, i partiti dinastici si rianimano, il repubblicanismo si rinforza, l'ira contro Roma si accresce. Chi potrebbe assicurare che un tal giorno queste passioni ardenti non potessero scoppiare in gravi fatti? Le restaurazioni sono impossibili. Per tutta Italia sarebbe un mare di sangue fraterno, se quelle restaurazioni s'imponessero. L'esito sarebbe lo scredito della Monarchia, e la bandiera Repubblicana sarebbe inalzata, ma riaccendendosi gli spiriti municipali, si correrebbe ad una confederazione democratica. Ecco il presagio dell'avvenire, ove le armi francesi si tenessero soverchiamente a Roma passive, dirimpetto alle nefandità che ivi si consumano. Un Governo italiano fedele al suo dovere, baderà bene all'avvicinarsi di un tal giorno di Iasciarlo arrivare. A caso estremo risoluzione estrema, ed io fin d'ora piacemi prevederlo e prepararmici, piuttostoché !asciarmi sopraffare; ma innanzi tutto piacemi prevederlo per evitarlo; ed è perciò che non per impazienza del fine, ma per previdenza dei grandi pericoli, che danneggerebbero tutti, piacemi di non desistere dal rappresentare come Roma non può, non deve mantenersi così ai danni nostri. Vorrei avere bene espresso le mie idee; e in ogni caso vi supplirà ella col suo criterio.
* Rammento una circostanza. Immensi sono i tesori dei Borbon'i. Ammontano a 200 o 300 milioni di lire. Questi rappresentano parte delle ruberie da questa infame famiglia commesse. S'intende come egli possa assoldare briganti sopra briganti. Il Governo francese restituendo le armi che furono depositate dal corpo napoletano che si ricoverò nel territorio papale, si è caricato di una responsabilità immensa di rimpetto all'Europa civile, perché queste armi erano italiane ed ora servono ad armare il brigantaggio contro l'Italia. Occorre ben conoscere le nostre miserie e donde vengano per parlarne. *
IL CAVALIER UCCELLI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 49, n. 95, orig. autogr.)
L. P. Parigi, 30 luglio 1861.
Dopo il primo abboccamento col Conte di Persigny, di cui ebbi l'onore di rimetterle esteso ragguaglio, questa mattina stessa ho creduto conveniente di presentarmi di nuovo al Ministero degli Interni, e realmente ho potuto sempre più convincermi dell'affetto e dell'interesse che il Persigny porta alla nostra causa.
Una delle ultime prove di quanto ho l'onore di asserire è stato l'articolo
comparso domenisa scorsa sul Constitutionnel (il solo giornale semi-ufficiale)
dove l'unità d'Italia è riconosciuta in diritto e in fatto fino all'ultime sue
conseguenze.
È la prima volta che il Constitutionnel discute cosi apertamente in faccia
all'Europa la nostra causa, come pure è la prima volta che il Papato è con
siderato esclusivamente sotto l'aspetto di potere spirituale. Questo articolo ha
prodotto in Parigi una grande sensazione, e contribuirà col tempo a renderei
proclive questa timorosa e vacillante borghesia francese.
Lo stesso Conte di Persigny ha fatto dare un avvertimento ad un giornale di provincia, che avea attaccato la persona del Re, ed ha voluto che fosse smentita la notizia della consegna delle armi fatta dal gen. Goyon ai borbonici, come pure l'altra calunniosa ritrovata che accusava uno dei generali della nostra armata di aver commesso atti di non comune barbarie.
Gli emigrati napoletani di Parigi banchettano di tanto in tanto, ed il Canofari prende la parola e fa brindisi per il ritorno di Francesco II. Si dice che 20 o 25 giovinastri francesi vogliono arruolarsi sotto lo stendardo illustre di Chiavone, e rinnovare nell'Abruzzo le gesta di Charette e di Larochejacquelin in Vandea. Non credo nulla di ciò, giacché la lezione di Castelfidardo fu troppo salutare, perché si pensi a domandare un'altra edizione. Ho ricevuto buone notizie da Lisbona ed ho speranza che il nostro inviato avrà cortese accoglienza nella capitale del Re Fedelissimo.
Se non le paresse esagerata ed intempestiva, mi prendo nuovamente la libertà di domandarle l'autorizzazione di accompagnare uno dei nostri ambasciatori straordinari, presso le potenze che saranno per riconoscerei, in qualità di segretario; è un mezzo che può facilitare in seguito la mia candidatura, ponendo in evidenza un nome sventuratamente troppo ignoto.
CIRCOLARE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALLE LEGAZIONI ALL'ESTERO
(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 440-446)
Torino, 31 luglio 1861.
Il Parlamento diede term'ine testé alla prima parte della laboriosa sua sessione, prorogando le sue tornate sino al prossimo autunno. In esso sedettero per la prima volta i rappresentanti di pressoché tutte le popolazioni italiane.
Mercé le sue deliberazioni l'unità d'Italia passò dalla regione delle idee a quella dei fatti, ed incominciò ad esplicarsi nell'ordine politico, economico ed amministrativo. È pertanto mio debito di richiamare sui lavori delle due Camere l'attenzione dei Rappresentanti del Gov·erno presso le Estere Potenze, e di somministrar loro i mezzi di far conoscere all'Europa gli esordii legislativi del nuovo Regno.
E primieramente vorrà la S. V. considerare il significato delle elezioni, le quali in provincie che dianzi erano Stati autonomi e indipendenti, ed entravano appena in una condizione affatto nuova, com'erano nuove agli ordinamenti liberi, si sono compiute colla massima regolarità e coll'ordine più perfetto. Questo significato parrà anche più notevole se si pensa che le Provincie di più recente aggregazione, come le Marche e l'Umbria, erano sotto la minaccia di aggressioni per opera delle truppe pontificie, e che queste aggressioni in fatto ebbero quivi luogo in alcune parti nel tempo appunto delle elezioni; che finalmente le provincie napolitane e siciliane, oltre l'andar soggette alla stessa minaccia, subivano tuttavia gli effetti di una potente agitazione politica, e non vedevano il loro territorio sgombro dai res'idui dell'abbattuta dominazione, poiché in Gaeta durava a resistere con un poderoso nerbo di forze il Re decaduto, e non anco si era tentata la espugnazione di Messina.
Non ostante queste condizioni, le provincie nuove, che oggi formano la più grande parte del Regno, mentre ancora vivevano dubbiose delle loro sorti, liberamente e regolarmente elessero deputati fra i quali neppur uno se ne conta che rappresenti le opinioni o gli interessi dei reggimenti caduti; e la S. V. ha potuto vedere dalle discussioni e dai voti parlamentari che la opposizione tutta intera ha per obietto di spingere il Governo a precipitare il corso degli avvenimenti perché l'indipendenza e l'unità d'Italia si compia, anziché di ritirarlo verso il passato.
Esempio questo forse unico nella storia, e che dimostra quanto sia universale e profondo negli animi di tutti gli Italiani il sentimento della nazionalità; poiché in tutti gli altri paesi dove la rivoluzione portò al trono una nuova dinastia cacciando l'antica, non riuscì però a cancellarne ogni traccia nella rappresentanza nazionale; e in tutti i Parlamenti, fuorché nell'Italiano, si trovano sempre, col nome di legittimisti, i fautori dei principi decaduti.
Né vorrà la S. V. trascurar di notare come i nuovi deputati convenuti per la prima volta dalle varie parti d'Italia, le quali per colpa dei politici ed economici ordinamenti erano sino adesso rimaste straniere fra loro ed ignoranti l'una dell'altra, si siano trovati subito d'accordo nei concetti fondamentali; e non siasi mai verificata che una insignificantissima opposizione tutte le volte che si trattasse di provvedimenti che tendessero ad affermare il diritto della nazione, o giovassero a costituirla e a munirla ed armarla per sostenere il suo diritto. E ancora è da considerarsi che l'opposizione, per quanto piccola, non era intesa ad impedire quei provvedimenti, ma anzi ad esagerarli sin dove la prudenza pofitica non permetteva sotto pena di renderli inefficaci o pericolosi.
La novità della condizione a cui erano venute le provincie d'Italia, la
varietà e la diversità delle condizioni in cui erano vissute fin qui fecero luogo
ad interpellanze ripetute e frequenti, le quali, se ad alcuni parvero soverchie,
giovarono però a meglio conoscersi ed accomunarsi degli uomini fra loro e a
darsi reciproca notizia dei loro paesi. Quelle poi che volgevano intorno all'indi
rizzo della politica diedero campo al Parlamento di affermare in modo solenne
il diritto della nazione, e al Governo del Re l'opportunità di manifestare i suoi
intendimenti circa i modi di compiere l'opera a sì buon punto condotta.
Ella, Signore, conosce già questi intendimenti; ella sa che la mutazione di
persone avvenuta nel Gabinetto per la dolorosa e deplorata perdita del Conte
di Cavour non ha indotto mutazione alcuna nell'indirizzo politico da lui con tanta sua gloria e tanto profitto dell'Italia iniziato e continuato. E che egli fosse vero interprete della coscienza della Nazione, e che l'opera sua fosse fondata saldamente, la morte sua stessa lo ha provato. Il Paese, il Parlamento, il Governo, mentre apprendevano come una grande sventura la perdita dell'illustre uomo di Stato, sentivano insieme il bisogno di stringersi viemaggiormente per non disperdere le forze; e l'Italia, priva, appena nata, di uno dei suoi più validi campioni, dava argomento della sua forte vitalità sostenendo la prova dolorosa senza prostrarsi.
E se la S. V. voglia osservare che la maggior operosità legislativa del Parlamento si è spiegata dopo la mancanza dell'egregio statista, e se voglia guardare all'obietto delle principali leggi votate e all'immensa maggioranza dei suffragi che le approvarono, ella comprenderà facilmente come si possa asseverare che gli intendimenti di lui furono dal concorde volere del Parlamento e del Governo efficacemente riassunti e secondati.
In qualche momento, sin dal principio dei lavori parlamentari, poterono nascere incidenti, che sembravano scostarsi dalla pacata e ponderata discussione dei provvedimenti proposti dal Governo del Re, dai bisogni e dai desideri del paese, dalle ragioni della politica internazionale. Però in tanta e cosl. rapida mutazione di cose e di destini, in tanto concorso di elementi varii a compiere la liberazione della patria, in mezzo ai timori destati dagli intrighi esterni che fomentavano e fomentano ancora in alcune provincie le più brutali e violente passioni; in faccia alla occupazione straniera che ancora si accampa minacciosa sovra di una delle più tormentate e più gloriose provincie della Penisola, non dee recar meraviglia che alcuni spiriti più ardenti e meno assuefatti ai temperamenti della vita politica propendessero talvolta ad eccitazioni ne prudenti né opportune. Questi incidenti però, effetto naturale ma passeggiero di transitorie condizioni, non furono tali mai da turbare né in seno alla Camera né fuori la fiducia dei governati verso il Governo, né ma'i si risolvettero in pericolose deliberazioni.
La prova delle cose sovra esposte sta luminosa nella serie degli Atti parlamentari e nelle ottantatre leggi votate in questo primo periodo della sessione, delle quali non sarà inutile citare le principali.
I deputati della nazione tennero per primo loro debito e primo loro pensiero di confermare solennemente il plebiscito delle popolazioni decretando la Corona d'Italia a quel Principe Augusto, la cui lealtà e il valor militare erano stati precipua cagione che le sorti della patria italiana venissero secondate da così universali simpatie e favorite da tanta prosperità di successi. Votando all'unanimità la legge con cui Vittorio Emanuele assume il titolo glorioso di Re d'Italia il Parlamento diede una guarentigia all'Europa monarchica, pose il Governo in grado di assumere fra le nazioni civili il posto che spetta all'Italia, notificando ai Governi esteri la formazione del nuovo Regno ed ottenendone successivamente il riconoscimento.
Feconde di politici risultati furono del pari le leggi relative all'armamento nazionale. Oltre i provvedimenti riguardanti le leve di terra e di mare, il Parlamento sancì nella legge che estende !"istituzione della Guardia Nazionale mobile,
uno degli argomenti più efficaci alla difesa del paese e alla tutela dell'ordine interno.
Non hanno dimenticato gli italiani le solenni parole che, ponendo il piede nella Lombardia liberata, indirizzava loro il nostro Augusto Generoso Alleato: «Siate oggi tutti soldati per esser domani liberi cittadini di una grande Nazione». Poiché nelle armi si educano i cittadini alla temperanza, alla disciplina, alla coscienza della propria dignità e della propria forza, a tutte le maschie ed austere virtù che sono necessarie ad esercitare ed a mantenere la libertà.
Di più, mentre le buone armi sono indispensabili a difendere i preziosi acquisti fatti dalla nazione, d'altro canto, per la fiducia che un popolo fortemente armato inspira agli amici, per il rispetto che impone ai nemici, sono anche un mezzo potente di conseguire pacifici trionfi; o quando, nostro malgrado, fosse turbata la pace, di renderne men lunga e men grave per gli interessi generali d'Europa la non provocata interruzione.
Alla sfera politica non meno che a quella economica appartengono le leggi relative alla unificazione del debito pubblico. Comporre ad unità le varie maniere di debiti ereditate dai piccoli Stati, nei quali la Penisola fu sinora infaustamente divisa, attrarre nell'orbita della vita nazionale gli interessi dei creditori dello Stato e provvedere all'avvenire della Nazione senza offendere i diritti individuali, tale fu la mèta cui mirò il Parlamento nell'adottare i provvedimenti finanziarii proposti dal Governo del Re.
Che questo scopo sia stato raggiunto lo dimostra la gara con cui i capitalisti italiani ed esteri hanno offerto al Governo i mezzi di compiere il prestito votato dalle Camere. La S. V. sa che pei 714 milioni domandati dal Governo si è presentato al concorso oltre un miliardo, e che si attende ancora il risultato
È questo un fatto sul quale io mi compiaccio di fermare l'attenzione dei della pubblica sottoscrizione. Ministri del Re all'estero. Esso dimostra che il Regno d'Italia seppe procacciarsi credito per l'avvenire rispettando con rigorosa giustizia gli obblighi contratti nel passato. Esso è la più splendida prova che gli avvenimenti compiuti in Italia sono, meglio che una rivoluzione, una ristaurazione dell'ordine regolare e normale.
Il Parlamento provvide finalmente allo sviluppo delle forze economiche del paese, accordando la sua approvazione ai disegni di leggi propostigli dal Ministero dei Lavori pubblici intorno alla pronta esecuzione di una vasta rete di strade ferrate. Promuovere in tutte le classi del popolo, mercé lo stimolo del lavoro, la ricchezza insieme e la pubblica moralità, fomentare l'accrescimento dei capitali nazionali colla potente concorrenza dei capitali esteri, scemare gli ostacoli che la distanza e la configurazione della Penisola oppongono al rapido affratellarsi di tutti gli abitanti di essa, tali sono i risultati che il Governo spera di ottenere fra breve dall'energico impulso dato ai lavori pubblici.
A ben comprendere la rivelanza di questo articolo, basti il dire, che, oltre i lavori all'Arsenale della Spezia, si sono concessi per 2700 chilometri di strade ferrate, alla costruzione delle quali il più breve termine assegnato è di un anno e mezzo, e il più lungo di otto anni, e che l'esecuzione delle linee concesse costerà complessivamente circa 750 milioni, dei quali, oltre le garanzie pattuite, 290 milioni circa dovranno essere somministrati dal Governo.
Questa sommaria e rapida esposiziOne basta a far conoscere che il Parlamento nella prima parte della presente sessione provvide non solo ai più urgenti, ma altresì ai più importanti e permanenti interessi del paese.
Ora se guardiamo al cammino fin qui percorso, e se lo misuriamo alla grandezza degli avvenimenti, ci sembra poterne trarre alcuna legittima compiacenza; se guardiamo a quello che ci resta da fare, sappiamo che è scabroso e arduo e pieno d'insidie e di pericoli; ma non ci sentiamo sgomentati: e osiamo tuttavia ripetere con un giusto orgoglio che l'Italia è fatta. Sì, l'Italia è fatta, della sua quiete e della sua pace nel favorirne la restituzione: perché abbiamo fede che l'Europa, quando ci vedrà ben ordinati e armati e forti, si persuaderà del nostro diritto a possedere intero il nostro territorio, e vedrà una guarentigia della sua quiete e della sua pace nel favorirne la restituzione: perchè abbiamo fede che l'Europa, imparando a meglio conoscerci, si persuaderà che noi, popolo essenzialmente cattolico, meglio di ogni altro popolo comprendiamo i veri interessi della Chiesa quando le dimandiamo di spogliarsi dei diritti feudali, che la barbarie le diede e la civiltà non le consente, offrendole in compenso indipendenza e libertà piena ed intera nell'esercizio del suo Santo Ministero, e la gratitudine e l'ossequio di una nazione rigenerata.
Sappiamo bene che la vecchia Europa ci guarda ancora con occhio diffidente e ci rimprovera i disordini che funestano le provincie meridionali, e l'incertezza dell'interno ordinamento. Ma l'Europa conosce le origini antiche di quei disordini, ella che nel Congresso di Parigi stigmatizzò il reggimento depravato che corrompeva ed avviliva quei popoli. Ora abbiam fede che al sole della libertà riprenderanno vigore i loro istinti generosi, e che l'Italia trarrà i più validi aiuti di là d'onde ora le vengono i maggiori pericoli interni. Noi non vogliamo né dissimularli né attenuarli; ma preghiamo che si consideri alle cause remote che li produssero e agli eccitamenti prossimi che, abusando di una generosa protezione data per più nobili fini, li mantengono; preghiamo che si consideri che mai non si vide una Nazione abbattere, come l'Italia, quattro reggimenti diversi e costituirsi in unità con minori disturbi in sì brevissimo tempo.
Gli esempi però di sapienza civile e di virtù dati dal Parlamento sono pegno della maturità politica della Nazione; di cui esso è la legittima e fedele rappresentanza, e devono inspirare una giusta ed intiera fiducia nell'ordinato procedere delle nazionali istituzioni.
Adesso rimane che le parti congregate in uno si conformino in corpo ben ordinato e costituito, nel quale la vita procedendo da un potente ed unico impulso, si diffonda equabile ed efficace a dare atto e vigore a tutte le membra. A questa opera essenziale si prepara il Governo per invocare sopra di lei nella prossima sessione i consigli e l'autorità del Parlamento. Intanto il credito ha somministrato largo alimento alla vitalità necessaria; occorre ora profittarne per ravvivare le fonti della ricchezza nazionale e stabilire con un equo sistema d'imposte il pareggiamento indispensabile fra le spese e le rendite dello Stato. L'Italia deve compiersi, e nessun sacrificio parrà grave agli Italiani per arrivare alla mèta.
Lo spettacolo della nostra unione, della meravigliosa temperanza di questo popolo sorto appena a vita propria e indipendente, deve far persuaso ogni spirito imparziale che l'Italia, lasciata a sé stessa, libera dagli esterni pericoli che ancora la minacciano, posta in possesso di tutte le condizioni necessarie della sua esistenza, sarà, come ne esprimeva la persuasione l'Augusto nostro Re inaugurando il Primo Parlamento Italiano, una malleveria di ordine e di pace per l'Europa, un potente fattore della civiltà universale.
Autorizzo la S. V. Ill.ma a valersi del contesto di questo dispaccio in quel modo che riputerà più confaciente al bene del nostro paese.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA
(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 73-77)
L. P. Torino, 31 luglio 1861.
Il contegno del Governo francese apparisce troppo spesso in contradizione con i suoi propri atti, per non dovermi sentire profondamente impressionato nel compimento del mio dovere verso la patria mia. Io mi sono fatto una legge di procedere per quanto mi sarà lecito con molto riguardo verso il Governo imperiale, perché io non posso attenuare la mia convinzione, che prima o dopo non debba più vivamente comprendere che egli ha tutto da guadagnare assistendo più apertamente e più nettamente, che egli non faccia, la causa italiana, al dirimpetto delle varie fasi in cui ella si trova, o può trovarsi onde ne sia facilitata la finale e prospera esplicazione delle difficoltà che tutt'ora la circondano. Occorre ora un fatto, che ove il Governo di Sua Maestà il Re d'Italia non si fosse prefisso questo longanime procedere, non potrebbe passare senza un'officiale e calorosa rimostranza, cui tanto più chiamerebbe l'ultima pratica fatta dal Governo francese verso il Governo italiano a proposito della intromissione operata dal primo nelle cose nostre, al seguito delle supposte atrocità che la Gazette de France annunziava al credulo pubblico, state commesse dal generale Pinelli. Quello che è veramente emerso, e che è oltre credere grave, e inqualificabile sotto tutti gli aspetti, si è la consegna fattasi dal Governo francese al Governo romano delle armi che furono consegnate al Governo francese dal generale comandante il corpo di 15 mila Napoletani, che si ritirarono sul territorio papale e le quali armi eran restate nelle mani dei Francesi e depositate in Castel Sant'Angelo.
Io non poteva credere prima e mi rifugge l'animo dal credere oggi, che que
sta consegna d'armi siasi fatta sciente l'Imperatore; imperocché è di sua natura
un atto così odioso che neppure oso qualificarlo col suo vero nome, come è
illegale sotto tutti gli aspetti l'operata consegna. Fra nemici potrebbe forse esser
compatita. L'odiosità poi che trovasi disgraziatamente compresa in quest'atto,
viene congiunta ad una circostanza, che io aveva fin qui ignorata, e che concorre
a fare eziandio gravissima, dirimpetto al Paese, la posizione di chi ne sente e
dee rappresentarne gl'interessi e i diritti. Questa nuova circostanza apparirà
tosto anche a lei per gravissima sol che ella getti un occhio su gli uniti due tele
grammi (l) che denotano la corrispondenza, per causa di quest'armi passata tra
il Governo imperiale e il Governo del Re.
Oltre tutte le ragioni di diritto v'era pure quella derivante da una promessa formale del Papa, con la mediazione francese, di dare tali armi a colui che restasse padrone del territorio alla cessazione delle ostilità. Ora egli è chiaro che per diritto e per accordo tali armi dovevano esser rese al Governo italiano. Il Governo imperiale ne assunse formale impegno. Tali armi erano in consegna di fatto della Francia, e il suo onore affidava questo Governo sul modo di compiere all'impegno.
Ella capirà come io sia restato profondamente e dolorosamente impressionato alla lettura di questi due telegrammi. Il primo pensiero si è stato quello di indirizzarle un formale officio ond'ella lo comunicasse a S. E. il Ministro degli esteri, che sono certo lo avrebbe accolto quale io mi riprometterei sempre dai sentimenti di dignità e benevolenza, non che di giustizia, che a lui son propri. Ma io ho pensato che grave ne sarebbe stato l'imbarazzo in cui lo stato delle cose, e il contegno del Governo papale avrebbero posto il Governo francese al dirimpetto dell'opinione pubblica, che si sarebbe profondamente commossa per il triste giudizio che in Europa si sarebbe fatto di questo malaugurato fatto. È evidente che il Governo francese ha consegnato ai nostri nemici, in offesa al diritto, e alla formale promessa, armi confidate al suo onore. Non ce lo dissimuliamo, questo fatto è destinato a recare nell'animo di tutti una molto ingrata sensazione verso l'Imperatore e il suo Governo, ed io che sono in grado di calcolarne tutta la entità, !ungi da profittarne per fare atto officiale e solenne, mi sono appreso piuttosto a dirigere prima questa lettera confidenziale a lei e avvisare poi ai passi ulteriori.
Questa comunicazione anche per il deferente e benigno modo con cui è fatta, !ungi dall'indebolire il giusto e vivo lamento che la Nazione Italiana e il suo Governo avrebbero giusta ragione d'esprimere, lo rafforzerà e quindi do a lei, Commendatore pregiatissimo, titolo pieno di aprire senza esitanza l'animo suo al Governo imperiale, non che a S. M. l'Imperatore stesso.
Le notizie che ho avuto stamani (l) l'occasione di comunicarle intorno il
deposito di armi a Subiaco e a Casamari, impongono al Governo del Re il dovere
di uscire da uno stato di cose che tengon vivo il turbamento interno e man
tengono le nostre popolazioni quasi in uno stato di guerra. Egli è evidente che
le armi francesi stanno a Roma protettrici di ogni cosa che colà si commette
a danno di un'intera nazione con offesa della umanità. Se il generale Goyon
adoperasse una frazione dello zelo che egli pone in tutela di un solo soldato a lui
affidato, anco a difendere e tutelare le frontiere dalla irruzione dei barbari che
da ogni parte d'Europa concorrono a Roma ai soldi di un Papa e di un Borbone,
potrebbesi ancora scusare la Francia, se prolunga un'occupazione militare in vista
di un'incognita providenziale; ma quando i danni di questa occupazione si fanno
tutti i giorni sì numerosi, manifesti e minacciosi, comincia un tale atto a pigliare
aspetto ben triste, e non si sa più a che si debba attribuire; e ci vuole un senti
mento d'affetto per l'Imperatore per non indagare quali ne possono essere le
malaccorte ragioni.
Né qui potrei impedirmi dal richiamare alla memoria di lei le nette dichia
razioni che io le ho fatte sopra questo grave argomento, che inchiude in sé
l'avvenire di due nazioni, che sono destinate a stare alla testa della civiltà moderna. Badiamo adunque che non si disgiungano, ma badi la Francia di non costringer l'Italia a tralasciare quella via di prudenza e di sani principii seguita fin qui, e al che potrebbe essere costretta ove ai suoi giusti reclami, che sono nell'interesse comune, la Francia intromettesse mal volere piuttosto che assennato aiuto.
• Il Conte Vimercati mi ha scritto più volte intorno due Ungheresi che vorrebbero venire a Torino ed arruolarsi in un piccolo corpo di Ungheresi che è qua. Il Governo del Re ha deliberato di non ricevere più di tali Ungheresi, che inducono una fortissima spesa e sono causa per la loro indisciplinatezza di molti lamenti •
(l) I telegrammi, avvertono il Tabarrini e il Gotti in RrcASOLI, op. cit., VI, p. 74, non si sono trovati. Né è stato ora possibile rinvenirli.
(l) Telegramma 31 luglio 1861, ore 10,20, n. 441.
IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
(Annesso cifrato al) R. 524. Bruxelles, l agosto 1861.
La cause de la reconnaissance du Royaume d'Italie peut ètre considerée comme vaincue auprès des Ministres, il reste à connaitre les intentions du Roi que ces Messieurs assurent ignorer complètement.
IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI
R. CONFIDENZIALE l. Parigi, 1 agosto 1861.
Giunto jer mattina in Parigi mi recai immediatamente alla Legazione e domandai per iscritto al signor Billault, che ha la temporaria direzione del Ministero degli Affari Esteri, l'udienza d'uso per presentargli copia delle mie credenziali e per pregarlo di voler sollecitare dall'Imperatore gli ordini occorrenti per la mia presentazione officiale. Il signor Billault mi ricevette oggi ed ebbe da me comunicazione della copia delle credenziali di S. M. il Re. S. E. mi promise di portarne subito il contenuto a notizia dell'Imperatore e di farmi poi conoscere ufficialmente le disposizioni di S. M. I. intorno al mio ricevimento.
Approfittai di questa occasione per comunicare al signor Billault il contenuto del telegramma mandatomi jeri da V. E. relativamente ai depositi d'armi segnalati sulla frontiera pontificia e destinati ad alimentare il brigantaggio nelle Provincie Napoletane. Dissi che il Governo del Re si credeva in diritto di provvedervi anche passando la frontiera, ma che s'asteneva di farlo per riguardo alla Francia, ed al suo esercito; che però si trovava in obbligo d'insistere presso il Governo Imperiale affinché volesse ordinare al Generale Comandante il Corpo d'occupazione a Roma di far buona guardia sulla frontiera e d'impedire che l'insurrezione trovasse rifugio, armi ed ajuti sul territorio guardato dai soldati di Francia. Il signor Billault pigliò nota di quanto gli esposi, scrisse il nome dei luoghi segnalati come depositi d'armi e munizioni e mi assicurò che farebbe spedire per telegrafo oggi stesso gli ordini convenienti al Generale Goyon perché provvedesse in conformità dei nostri giusti desiderii. Della qual cosa mi affrettai a dar partecipazione telegrafica a V. E.
Feci pure comunicare al Ministero degli Affari Esteri ed ai giornali il tele
gramma di Cialdini che V. E. mi ha spedito in data d'oggi (1).
Quantunque il Signor Billault non sia che l'incaricato provvisorio del Ministero degli Affari Esteri nell'assenza del signor Thouvenel, volli tuttavia intrattenere S. E. della principale questione che interessa ad un tempo Italia e Francia. Io era invitato a farlo e per la posizione di questo Ministro, divenuta più importante dopo la parte da esso presa nelle discussioni del Corpo legislativo, e per le sue opinioni abbastanza liberali e favorevoli all'Italia, e per le ottime relazioni che ebbi sempre personalmente con lui. Gli esposi adunque la condizione del nostro paese che qui, non giova il nasconderlo, si dipinge con foschi colori. Non gli celai le difficoltà di Napoli. Ma sostenni che il Governo del Re era abbastanza forte per superarle, ove sopratutto la Francia ci ajutasse a spegnere in Roma il focolare degl'intrighi che colà si ordiscono contro i due Governi alleati.
Questo discorso ci condusse naturalmente a toccare più da vicino la Questione Romana. Dissi al signor Billault che il Governo del Re non aveva intorno alla soluzione di tale questione l'impazienza di cui fu accusato, ma bensi la preveggenza che è suo obbligo di non trascurare. Soggiunsi che quest'obbligo di preveggenza ci imponeva il dovere di esporre alla Francia la vera condizione delle cose in Italia, quale necessariamente deriva dallo stato in cui si trovano il Papato e la Chiesa di fronte al nuovo Regno italiano; che non bisognava limitarsi ad aspettare il benefizio del tempo e rimettersi al caso quando si tratta d'interessi di cosi enorme importanza; che quindi era politica prudenza il considerare fin d'ora, d'accordo tra i due Governi alleati, i mezzi più acconci a risolvere la questione; che il Governo del Re era disposto a camminare in questa bisogna con piedi di piombo, purché si camminasse, e che 'infine essendo egli convinto che un uguale interesse deve spingere la Francia a desiderare che si risolva senza commovimento questa grande questione, era disposto ad ajutare il Governo Imperiale a togliersi una volta dal grande impaccio dell'occupazione di Roma.
Non volli entrare col signor Billault in altri particolari giacché, fra quattro giorni, egli deve rimettere la direzione degli Affari Esteri al signor Thouvenel, che sarà di ritorno a Parigi giovedi prossimo. Quel tanto che gli dissi, parmi sufficiente per mettere quest'uomo di Stato in caso di conoscere le disposizioni del Governo del Re e di ajutarlo nelle discussioni che potessero aver luogo in proposito nel Consiglio dei Ministri. Mi riservo di tenere un linguaggio più esplicito col Signor Thouvenel.
Il signor Billault mi confermò espressamente i sentimenti dell'Imperatore, benevoli all'Italia, e il desiderio di lui di trovare una conveniente soluzione della Questione Romana. Disse però che l'Imperatore non poteva dissimularsi la grande difficoltà della cosa; che il ritiro del Corpo d'occupazione formava ora più che mai
20 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I
la preoccupazione costante di S. M. I., che cercava assiduamente il modo d'uscire
convenevolmente dalla posizione in cui trovavasi impegnato a Roma; ma che
dall'un lato il Papa e i suoi consiglieri rigettano ogni progetto di ragionevole
componimento, e d'altro lato il partito che si chiama cattolico in Francia non
cessa dall'opporsi con ogni mezzo al richiamo delle truppe. Egli conchiudeva
invitandoci ad aver fede nei sentimenti dell'Imperatore, il quale non è meno
ansioso di noi nel volere una buona e pronta soluzione, ma la cui indole è di
nulla precipitare, di nulla compromettere.
Questo linguaggio non m'apprese certamente nulla di nuovo. Ma da queste
parole e da quanto mi disse il Generale Fleury, e più ancora dall'articolo inserito
jeri nel Pays intorno ai litigi del Generale Goyon e del signor De Merode, parmi
chiaro essere l'Imperatore in una disposizione d'animo a noi favorevole intorno
alla Questione Romana.
Non ho ancora potuto vedere il signor Benedetti che fu jeri ed oggi assente.
Ma mi si accerta da persona con cui suole aprire l'animo suo, che le sue istru
zioni conterranno un progetto di soluzione. Sarò presto in misura di riferirle
quanto siavi di vero in questa asserzione.
Il Conte Gropello continua ad avere la firma ufficiale fino alla presentazione
delle mie credenziali all'Imperatore. Compiuta questa formalità, esso andrà ai
bagni di Luçon, e poi si recherà a Torino a prendere gli ordini di V. E. L'incidente
a cui diede luogo la presentazione del Conte Pernati fu, a mia cura, interamente
appianato (1). Il Conte di Gropello, in mezzo a difficoltà grandi, e in una posi
zione penosa, adempi in modo conveniente e lodevole l'ufficio affidatogli d'Incari
cato degli Affari di S. M. il Re. Credo che V. E. farebbe cosa giusta proponendo
a S. M. di manifestargli la sua sovrana approvazione promovendolo ad ufficiale
nell'Ordine Mauriziano. Ad ogni modo io mi credo in rigoroso debito di farne la
proposta a V. E.
Il Conte Vimercati sarebbe grato a V. E. s'Ella volesse fargli pervenire
prontamente il documento che contiene la sua nomina ad Applicato Militare alla
Legazione d'Ita