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SERIE A - EUROPA OCCIDENTALE E UNIONE EUROPEA

PREFAZIONE

“Non vi parlerò dell’Italia, ma dell’Europa e non dell’Europa di ieri e di oggi, ma dell’Europa di domani, di quell’Europa che vogliamo ideare, preparare e costruire” erano le frasi di Alcide De Gasperi in un discorso alla radio, nel gennaio del 1952, quando ancora si preparava il terreno per la Conferenza di Messina e per i Trattati di Roma.

La lungimiranza politica e la speranza nel futuro europeo di De Gasperi furono spezzate soltanto dalla sua morte nell’agosto del 1954. In quel momento l’Italia era già tornata ad essere protagonista della costruzione europea. La visione di De Gasperi facilitò il cammino verso Messina e Roma. Egli rimase nei cuori di tanti italiani ed europei come “il mediatore ispirato per la democrazia e la libertà in Europa”. Uno dei grandi padri fondatori dell’Europa unita e mai più spaccata dalle guerre.

L’uscita di questa pubblicazione per le celebrazioni del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma non è casuale.

Il volume riprende lo spirito con cui già nel 1946, l’allora Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, Alcide De Gasperi, istituì la “Commissione per il riordinamento e la pubblicazione dei Documenti Diplomatici Italiani”, affidandone la guida al Professor Mario Toscano.

L’obiettivo era quello di informare il pubblico sul ruolo della diplomazia italiana in maniera oggettiva, senza pregiudizi ideologici, in un momento in cui tutti gli sforzi erano volti ad ottenere condizioni meno punitive per il Trattato di Pace e per reinserire l’Italia a pieno titolo nel consesso internazionale.

È con questo stesso spirito che il neo-costituito “Comitato Scientifico per la pubblicazione dei documenti diplomatici italiani” – erede della Commissione voluta da De Gasperi – ha deciso di inaugurare una nuova Collana tematica con un volume su “Il rilancio dell’Europa”.

Nelle pagine che seguono si può ritrovare una ricostruzione attenta dell’azione del Governo e della diplomazia italiana per tradurre in realtà lo slancio idealista europeo, fondato sul rigetto della guerra, sulla soluzione pacifica delle controversie, sull’inclusività e sulla coesione sociale, sul superamento delle barriere sia commerciali che fisiche, sull’apertura verso i vicini e verso il mondo.

Tematiche di grandissima rilevanza, oggi non meno di ieri, che troppi di noi avevano cominciato a dare quasi per scontate, anche per merito del costante progresso del cammino di integrazione continentale.

“Il rilancio dell’Europa” potrebbe essere il titolo di un libro di attualità. Molti dei temi su cui si confrontarono i padri fondatori sono gli stessi che, ancora oggi, figurano in cima alle agende delle diplomazie europee. Rileggendo le parole dei protagonisti dell’epoca si è spesso sorpresi dalla loro modernità.

La costruzione europea è scossa oggi da molteplici crisi: la crescita economica incerta, la sfida delle migrazioni, la Brexit, populismi e nazionalismi. Sono fenomeni che hanno costretto lo slancio europeista ad uno stallo senza precedenti.

La lezione del passato, ben documentata nelle pagine di questo volume, è che la Comunità Economica Europea – nata a Roma – fu da subito un attore capace di interpretare le sfide globali in misura superiore ad altri progetti paralleli – e non troppo velatamente concorrenti – come l’area di libero scambio patrocinata allora dai britannici.

Ora, non diversamente da quanto fatto sessant’anni fa, l’Europa deve recuperare la capacità di rispondere alle istanze dei propri cittadini: sicurezza, prosperità, libertà dal bisogno e dalla paura, per difendere così le nostre libertà. Il valore aggiunto di combattere uniti queste sfide deve prevalere rispetto ai rischi associati agli egoismi nazionali.

Ciò implica un ruolo di protagonista dell’Italia in Europa. Così come l’Italia guidata da De Gasperi non si lasciò trascinare dalle forze della storia, l’Italia contemporanea deve fare lo stesso.

Le risposte non sono lontane da noi: il completamento dell’integrazione economica nell’Eurozona, il rafforzamento della politica di Difesa e di Sicurezza Comune, la coesione di fronte alle migrazioni, facendo convivere responsabilità e solidarietà.

Per quanto queste sfide possano sembrarci ardue, essere uniti nell’affrontarle rappresenta un vantaggio formidabile. Regredire rispetto a quanto già fatto – tornando alle monete nazionali o ripristinando i controlli alle frontiere – non solo rappresenterebbe il tradimento dei nostri valori, ma ci allontanerebbe, e non poco, dalle soluzioni dei problemi.

Forse, guardando indietro e cogliendo quanto il processo di integrazione europeo abbia migliorato le nostre vite – superando persino le più rosee aspettative dei padri fondatori – troveremo nuove motivazioni per andare oltre gli ostacoli di oggi.

Una Europa che sappia ripartire dal coraggio che la animò sei decenni orsono e con la certezza che essa potrà contare, oggi come allora, sulla professionalità propositiva della diplomazia italiana, sul mio impegno personale come Ministro degli Esteri e sull’azione di tutto il Governo italiano. Buona lettura.

On. Angelino Alfano

Ministro degli Affari Esteri

e della Cooperazione Internazionale

Introduzione

1. Il “rilancio europeo” del 1955-1957 nella situazione politica internazionale

Nel corso della seconda guerra mondiale all’interno di alcuni movimenti di Resistenza, in particolare di ispirazione cattolica, socialista e liberaldemocratica, si manifestarono spesso interrogativi circa le ragioni che nel volgere di due decenni avevano spinto l’Europa sull’orlo della completa autodistruzione. Fra le motivazioni venne individuato fra l’altro l’esasperato nazionalismo, interpretato come la degenerazione delle aspirazioni nazionali del secolo precedente e quale simbolo della crisi dello Stato nazionale. Si fece dunque strada l’ipotesi che soluzione ideale per un futuro europeo di pace e concordia fosse il superamento dello Stato tradizionale e la creazione dell’unità europea su basi federali. Il «Manifesto di Ventotene» redatto da Altiero Spinelli con la collaborazione di Eugenio Colorni e Ernesto Rossi è considerato l’archetipo di tali progetti federalisti(1). Con la fine del conflitto questi piani vennero però rapidamente accantonati dalle stesse leadership antifasciste andate al Governo e prevalse ovunque una visione di politica estera fondata sulla tradizionale difesa degli interessi nazionali. Furono le autorità americane nella primavera del 1947 a rilanciare il progetto di unificazione europea attraverso il Piano Marshall per la ricostruzione economica del «vecchio continente». Tale piano era strettamente legato, da un lato alla tradizione politica statunitense permeata del pensiero federalista, dall’altro alla concreta esigenza di «contenere» quella che veniva percepita come una minaccia aggressiva da parte sovietica alla parte occidentale dell’Europa. L’integrazione economica, insita nel Piano Marshall, avrebbe rappresentato il primo passo verso un’integrazione politica e militare nel quadro di un saldo sistema occidentale fondato su due pilastri: il Nord America – gli Stati Uniti e il Canada – e un’Europa occidentale integrata(2)

La risposta dei Governi europei occidentali fu positiva, ma anche cauta e non esente da profonde perplessità e forti remore. Si accettò quindi la prospettiva di una blanda cooperazione intergovernativa che trovò espressione nella costituzione nella primavera del 1948 dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (O.E.C.E.), organismo destinato a gestire gli aiuti statunitensi elargiti nel quadro dello «European Recovery Program» (E.R.P.)(3). Non mancarono in realtà altri progetti più ambiziosi, quali ad esempio quello di Unione Doganale italo-francese, ma esso, al di


1 Cfr. B. Vayssière, Les origines italiennes du fédéralisme européen pendant la deuxième guerre mondiale, in «Journal of European Integration History», n. 1, 2002, pp. 37-60; nonché M. Dumoulin (a cura di), Plans des temps de guerre pour l’Europe d’après-guerre 1940/1947, Bruxelles/Milano/Parigi/Baden-Baden, Bruylant/Giuffrè/LGDJ/Nomos, 1995.


2 Fra i numerosi studi cfr. A. S. Milward, The Reconstruction of Western Europe 1945-51, London, Methuen, 1984; R. Girault e M. Levy-Leboyer (a cura di), Le Plan Marshall et le relévement économique de l’Europe, Parigi, Comité pour l’histoire économique et financière de la France, 1993.


3 R. T. Griffiths (a cura di), Explorations in OEEC History, Parigi, OECD, 1997.

là del suo fallimento, celava soprattutto il desiderio francese e italiano di creare un rapporto particolare con Washington per trarne vantaggi economici e politici in un quadro di difesa di precisi interessi nazionali. In particolare per il Governo guidato da Alcide De Gasperi, con Carlo Sforza al Ministero degli Affari Esteri si trattava di uno dei vari tentativi di avviare per un paese uscito dalla guerra sconfitto, umiliato e gravato di un duro trattato di pace, la ricostruzione di un ruolo di media potenza regionale (4) .

Agli inizi del 1948, su iniziativa della Gran Bretagna e con il consenso della Francia veniva lanciato un piano per la creazione di un’alleanza politico-militare occidentale. I due paesi dal 1947 erano legati da un accordo difensivo bilaterale – il Patto di Dunkerque - che si intendeva ora estendere alle tre nazioni del Belgio, dell’Olanda e del Lussemburgo. I responsabili di questi paesi, nell’esilio trascorso a Londra durante il conflitto, si erano d’altronde già impegnati a creare nel dopoguerra forme di stretta collaborazione che avrebbero condotto alla costituzione di un embrione di unione doganale, il Benelux. Furono proprio i leader dei tre piccoli Stati, in particolare il belga Paul-Henri Spaak a spingere affinché l’ipotesi anglo-francese si trasformasse in un’alleanza multilaterale, che avrebbe dovuto promuovere, non solo la cooperazione politico-militare, ma anche quella economica, culturale, ecc. Nel marzo del 1948 veniva così siglato dai cinque paesi europei il Patto di Bruxelles, che, sebbene non venisse dichiarato esplicitamente nel testo del trattato, rappresentava una risposta ai crescenti timori nei riguardi della posizione dell’U.R.S.S. di Stalin, in particolare all’indomani del colpo di Praga del febbraio. In realtà il Patto firmato nella capitale belga venne soprattutto utilizzato dalle autorità britanniche come strumento per spingere l’amministrazione americana a lasciarsi coinvolgere in una più ampia alleanza «atlantica» destinata a divenire la garanzia della sicurezza dell’Europa occidentale(5).

Nel frattempo, sull’onda del Piano Marshall e dei progetti sopra ricordati, si assisteva a una ripresa dei movimenti europeisti; nel maggio del 1948 i rappresentanti di varie fra queste associazioni si riunivano all’Aja in quello che venne definito il «Congresso dell’Europa». I lavori dell’assise europea condussero alla elaborazione di un vago progetto di «assemblea europea» che venne portato all’attenzione dei Governi dei cinque del Patto di Bruxelles, trovando il sostegno di alcuni esponenti governativi francesi e belgi(6). Si avviò così all’interno dell’alleanza a cinque un negoziato per la creazione di un organismo europeo di cooperazione politica. Le vaghe – a volte confuse – aspirazioni federaliste francesi e belghe vennero però ostacolate dal Foreign Office, guidato dall’esponente laburista britannico Ernest Bevin. Sin da allora Londra si mostrò contraria a ipotesi di costruzione europea di natura federalista che conducessero a una cessione di sovranità. La politica britannica si fondava d’altronde sul mantenimento del ruolo di grande potenza con responsabilità globali e perno di tre «cerchi concentrici»: il Commonwealth/Impero, la «special relationship» con gli Stati Uniti, l’Europa. La strategia di Londra sembrava d’altronde trovare coronamento nella progressiva disponibilità americana a un coinvolgimento diretto nella difesa dell’Europa occidentale. Questa evoluzione nella posizione


4 Sul progetto di unione doganale italo-francese cfr. B. Bagnato, Storia di un’illusione europea. Il progetto di unione doganale italo-francese, Londra, Lothian Foundation Press, 1995.


5 A. Varsori, Il Patto di Bruxelles (1948): tra integrazione europea e alleanza atlantica, Roma, Bonacci, 1988.


6 A. Varsori, Il Congresso dell’Europa dell’Aja (7-10 maggio 1948), in «Storia contemporanea», 21/3, 1990, pp. 463-493.

statunitense, d’altronde insita nella logica del «contenimento» e della presa di coscienza della funzione di super-potenza su scala mondiale, si tradusse nella negoziazione e nella nascita, con il trattato di Washington dell’aprile 1949, del Patto atlantico(7). Il mese successivo dieci nazioni europee siglavano a Londra un accordo che vedeva la nascita di un organismo di cooperazione politica europea, il Consiglio d’Europa, articolato in un Consiglio dei Ministri e in una Assemblea Parlamentare con sede a Strasburgo, simbolo di un primo timido tentativo di riconciliazione franco-tedesca(8). Non va dimenticato infatti come tra il 1948 e il 1949 le tre potenze occidentali – Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia – accettando la realtà della divisione del continente europeo lungo la cosiddetta «cortina di ferro» e stimolate dal «blocco di Berlino», avessero favorito la nascita di una Repubblica Federale Tedesca, ben presto coinvolta nel Piano Marshall, ma che restava nella condizione di nazione a «sovranità limitata», essendo sottoposta a un regime di occupazione militare da parte dei vincitori e non avendo diritto né a un Ministero degli Esteri, né a forze armate nazionali.

In realtà agli inizi del 1950, se il sottosistema europeo occidentale aveva cominciato a formarsi, esso appariva soprattutto come l’espressione della collaborazione fra Washington e Londra. Restava infatti in ampia misura frustrata l’aspirazione delle autorità francesi della IV Repubblica a ricostruire il ruolo della Francia quale «grande potenza», ciò anche a causa della presenza di gravi difficoltà all’interno dell’Impero – ora ribattezzato «Union Française» –, in particolare in Indocina, dove aveva avuto inizio una guerra che opponeva i francesi alle forze comuniste del Viet Minh, guidate da Ho Chi Minh. Restava inoltre irrisolto il problema del futuro rapporto con la Germania, che i francesi avrebbero desiderato vedere eliminata come pericolo alla posizione francese nel vecchio continente(9). Certo il territorio tedesco e Berlino erano ormai divisi sulla base della linea di scontro fra Est e Ovest, ma era evidente che agli occhi delle autorità americane – nonché inglesi – la Germania Ovest stava acquistando un rilievo sempre maggiore, non fosse altro per la sua forza economica, che il conflitto aveva solo in parte intaccato, ma in prospettiva anche come primo baluardo nei confronti dell’U.R.S.S. Nel volgere di breve tempo a soli pochi anni dalla fine del conflitto, la Repubblica Federale, sotto l’abile guida del Cancelliere Konrad Adenauer, avrebbe potuto divenire l’alleato privilegiato di Washington nel contesto della «guerra fredda», marginalizzando ancor più Parigi il cui ruolo appariva già fortemente indebolito. Come conciliare la dipendenza economica e militare dall’alleato americano con la necessità di mantenere una qualche forma di controllo sulla rinascita della Germania(10) ? Questo vitale interrogativo si presentò in maniera pressante nella primavera del 1950 quando a Parigi si cominciò a temere che la Repubblica Federale avrebbe ben presto ripreso il pieno controllo sulle risorse economiche delle Ruhr, che per il momento, sulla base di un accordo raggiunto tra i vincitori occidentali nel 1948 veniva esercitato da un organismo «ad hoc», l’Associazione Internazionale della Ruhr (A.I.R.). Questa era la preoccupazione non solo


7 Sulla nascita del Patto Atlantico cfr. ad esempio O. Barié (a cura di), L’alleanza occidentale. Nascita e sviluppi di un sistema di sicurezza collettivo, Bologna, il Mulino, 1988 e E. Di Nolfo (a cura di), The Atlantic Pact forty years later: a historical reappraisal, Berlino/New York, W. De Gruyter, 1991.


8 M. T. Bitsch (a cura di), Jalons pour une histoire du Conseil de l’Europe, Berna, Peter Lang, 1997.


9 P. Gerbet, Le relèvement (1944-1949), Parigi, Imprimerie Nationale, 1991


10 C. Buffet, Mourir pour Berlin. La France et l’Allemagne (1945-1949), Parigi, Armand Colin, 1991.

degli uomini di Governo, fra cui spiccava il Ministro degli Esteri, Robert Schuman (11) , ma anche del responsabile del Piano di ammodernamento dell’industria francese, Jean Monnet. Nato nel 1888 a Cognac da una famiglia di produttori vinicoli, Monnet per qualche tempo si era occupato dell’azienda paterna viaggiando soprattutto in paesi di lingua inglese. Durante la prima guerra mondiale egli divenne responsabile di una importante Commissione che si occupava di acquisti di materiale strategico negli Stati Uniti per conto del Governo francese, dando così a Monnet l’occasione di stringere forti rapporti con gli ambienti economico-finanziari americani. Nel primo dopoguerra per alcuni anni egli svolse la funzione di Vice Segretario Generale della Società delle Nazioni per poi dedicarsi negli anni ’30 alla finanza internazionale. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale gli venne affidato un compito analogo a quello svolto nel conflitto precedente. Alla caduta della Francia nel giugno 1940 Monnet in un primo tempo non si lasciò coinvolgere nella Francia Libera di de Gaulle e collaborò con il Governo americano alla trasformazione dell’apparato industriale statunitense in «arsenale della democrazia», solo nel 1943 egli si allineò a de Gaulle. Quest’ultimo, per quanto lo ritenesse troppo legato alle autorità di Washington, ne apprezzava le capacità e nel 1945 lo nominò alla guida del Commissariato per l’ammodernamento dell’economia francese, partendo dal presupposto che fra le ragioni della sconfitta francese del 1940 vi fosse stata anche la presenza di un netto divario economico industriale fra le due nazioni (12) . Nel quadro di tale progetto durante l’immediato dopoguerra vi era stato anche l’obiettivo di utilizzare le risorse tedesche, fra cui il carbone della Ruhr, per la ricostruzione dell’economia francese. Nel 1950 di fronte al possibile venir meno di tale opportunità Monnet ritenne che l’unica soluzione al problema del contrasto franco-tedesco fosse la messa in comune delle risorse dei settori carbonifero e siderurgico dei due paesi nel contesto di una comunità, che conciliasse forme di cooperazione intergovernativa e di integrazione sovranazionale. Aveva così origine il progetto, che, trovato il sostegno del Ministro degli Esteri Schuman, si sarebbe tradotto nell’omonimo Piano e dopo un negoziato di circa un anno avrebbe condotto alla firma del trattato di Parigi (18 aprile 1951) e alla nascita della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (C.E.C.A.). La C.E.C.A., organizzata intorno a un Consiglio dei Ministri, a un’Alta Autorità tendenzialmente sovranazionale, a un’Assemblea Comune, e garantita nel suo funzionamento da una Corte di Giustizia, sarebbe entrata in funzione nel 1952. In questo quadro l’Alta Autorità, organo sovranazionale dotato di ampi poteri, avrebbe avuto sede a Lussemburgo e Monnet ne sarebbe divenuto il primo Presidente. Alla C.E.C.A., oltre alla Repubblica Federale avevano aderito i tre paesi del Benelux e l’Italia, formando così la prima vera comunità europea a sei, basata sull’approccio gradualmente federalista di stampo monnetiano o, come si sarebbe definito, «funzionalista» (13) .


11 Su Robert Schuman cfr. il fondamentale R. Poidevin, Robert Schuman homme d’état 1886-1963, Parigi, Imprimerie Nationale, 1986.


12 Sulle numerose opere relative a Jean Monnet, oltre alle sue memorie, J. Monnet, Mémoires, Parigi, Fayard, 1976; cfr. E. Roussel, Jean Monnet 1888-1979, Parigi, Fayard, 1996; G. Bossuat e A. Wilkens (a cura di), Jean Monnet, l’Europe et les chemins de la paix, Parigi, Publications de la Sorbonne, 1999.


13 R. Poidevin e D. Spierenburg, Histoire de l’Haute Autorité de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier. Une expérience supranationale, Bruxelles, Bruylant, 1993; R. Ranieri e L. Tosi (a cura di), La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (1952-2002). Gli esiti del trattato in Europa e in Italia, Padova, CEDAM, 2004.

Nel frattempo, nel giugno del 1950, lo scoppio della guerra di Corea diffondeva nei responsabili occidentali il timore che lo scontro con l’U.R.S.S. potesse divenire di carattere militare e condurre a un conflitto generalizzato con un’aggressione nei riguardi della Germania Ovest da parte della Germania Est sostenuta da Mosca. Nell’estate di quell’anno gli Stati Uniti, con il sostegno britannico, avanzarono l’ipotesi di riarmare la Repubblica Federale, inserendola nell’Alleanza atlantica. Netto fu il rifiuto di Parigi, non solo perché difficilmente l’opinione pubblica francese a soli cinque anni dalla fine della guerra avrebbe accettato la prospettiva di un rinato esercito tedesco, ma anche per il timore che ciò avrebbe rappresentato il primo passo verso la leadership tedesca sull’Europa occidentale, vanificando gli esiti di due guerre mondiali. Era però evidente che, se gli Stati Uniti avessero insistito, il «veto» francese sarebbe stato reso vano; era quindi necessario trovare una soluzione alternativa di natura propositiva. Si ritenne di poter così applicare alla difesa europea il metodo utilizzato da Monnet nel settore carbo-siderurgico, che aveva goduto del pieno sostegno di Washington. Nell’ottobre del 1950 il primo ministro francese René Pleven lanciò dunque il piano, che da lui avrebbe preso nome, per la costituzione di un esercito integrato europeo (14) . Il progetto venne avanzato ai partner del negoziato sulla C.E.C.A. In questo caso però la reazione dei cinque fu fredda, mentre Washington si mostrava contraria ritenendo il progetto un tentativo di frenare il riarmo tedesco e la Gran Bretagna si espresse negativamente, come aveva fatto nel caso del Piano Schuman, a causa del carattere sovranazionale dell’iniziativa. Ciò nonostante agli inizi del 1951 il negoziato ebbe avvio, per quanto in un’atmosfera di scetticismo. Nel volgere di alcuni mesi però, anche grazie alle assicurazioni di Schuman e di Monnet presso l’amministrazione Truman circa lo spirito fortemente europeista del progetto, Washington mutò radicalmente posizione e si fece paladina di un piano che sembrava andare verso l’obiettivo della piena integrazione europea e che cominciava a godere del sostegno di vari movimenti ed esponenti federalisti. A sua volta le autorità italiane, scettiche, se non ostili al Piano Pleven, che in molti casi appariva contrario agli interessi politici, economici e strategici del paese, ritennero di dover assumere un atteggiamento positivo e propositivo. Sfruttando anche le opinioni dei federalisti, in particolare di Altiero Spinelli, De Gasperi si fece promotore del progetto affinché il Piano Pleven fosse solo il primo passo verso una unione politica di stampo federale (15). Nel maggio del 1952 a Parigi veniva così siglato dai «sei» della C.E.C.A., appena entrata in funzione, il trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (C.E.D.), al cui interno l’art. 38, inserito su sollecitazione italiana, prevedeva che con l’entrata in vigore della C.E.D. si avviasse il negoziato per la nascita di una Comunità Politica Europea (C.P.E.)(16). Contemporaneamente a Petersberg, nei pressi di Bonn, era stato firmato fra le tre potenze occidentali e il Governo della R.F.T. un accordo in base al quale la Germania Ovest avrebbe riacquistato la sua piena sovranità all’entrata in vigore del trattato di Parigi. In realtà le speranze europeiste si scontrarono presto con una forte opposizione alla ratifica del trattato C.E.D. in tutti i paesi firmatari: alle forze comuniste, mobilitate dall’U.R.S.S. e alla guida del cosiddet


14 M. Dumoulin (a cura di), La Communauté Européenne de Défense. Leçons pour demain?, Bruxelles/Berna, PIE/Peter Lang, 2000.


15 D. Preda, La battaglia per la C.E.D. e la federazione europea, Milano, Jaca Book, 1990.


16 D. Preda, Sulla soglia dell’unione. La vicenda della Comunità Politica Europea (1952-1954), Milano, Jaca Book, 1994.

to movimento dei «partigiani della pace», si affiancarono spesso i nazionalisti e settori dei partiti socialisti e socialdemocratici, senza contare tutti coloro che consideravano con timore il riarmo tedesco, per quanto in un esercito europeo. Va notato come sin dal 1950 la Gran Bretagna si fosse estraniata da qualsiasi progetto europeista di stampo sovranazionale. Alla fine del 1951 a Londra erano tornati al potere i conservatori sotto la guida di Winston Churchill con Anthony Eden agli Affari Esteri. La Gran Bretagna aveva espresso il suo sostegno esterno al progetto C.E.D., ma vi era scetticismo circa la sua operatività sul piano militare. Nello stesso anno d’altronde nel contesto di una più ampia politica di riarmo dell’Occidente gli Stati Uniti avevano rafforzato la loro presenza di truppe in Europa e concorso alla nascita della «North Atlantic Treaty Organisation» (N.A.T.O.), l’organizzazione militare integrata del Patto atlantico e avevano posto il generale Dwight Eisenhower alla testa del comando supremo delle truppe della N.A.T.O. (S.H.A.P.E.) (17) .

Tra il 1952 e il 1953 i Governi dei paesi del Benelux, con il sostegno dei movimenti europeisti, riuscirono a far ratificare il trattato di Parigi; un analogo risultato venne raggiunto dal Cancelliere Adenauer, a dispetto della forte opposizione della S.P.D., la quale temeva che il riarmo del paese avrebbe allontanato qualsiasi prospettiva di riunificazione. Il Cancelliere era al contrario convinto che solo una Repubblica Federale strettamente ancorata all’Occidente tramite la scelta europea e quella atlantica avrebbe potuto negoziare con l’U.R.S.S. la fine della divisione della Germania (18) . Più forte del previsto si rivelò l’ostilità verso la C.E.D. in Francia dove alle memorie della seconda guerra mondiale si aggiunsero la difesa delle tradizioni militari del paese, l’orgoglio nazionale e la crescente diffidenza verso un progetto visto come un’interferenza americana nelle vicende interne. La «querelle de la C.E.D.» divise così i partiti e l’opinione pubblica in un modo da ricordare il «caso Dreyfus» (19) . In Italia De Gasperi dovette contrastare l’opposizione delle sinistre rappresentate dal P.C.I. e dal P.S.I., nonché delle destre nazionaliste per giunta nel contesto della campagna elettorale per le consultazioni del giugno del ’53, già infiammate dal dibattito sulla cosiddetta «legge truffa» e dalla irrisolta questione di Trieste (20) .

La sorte della C.E.D., nonché della C.P.E., venne inoltre condizionata a partire dal 1953 da una serie di eventi internazionali. In primo luogo nel novembre del 1952 i repubblicani ritornavano alla Casa Bianca; l’amministrazione guidata da Eisenhower, con John Foster Dulles al vertice del Dipartimento di Stato, inaugurava un «New Look» in politica estera che rifuggendo dalla logica del «contenimento» mirava a una dura contrapposizione nei confronti dell’U.R.S.S. sulla base delle parole d’ordine della «liberation» e della «massive retaliation»; maggiore attenzione doveva essere prestata al «terzo mondo» dove la decolonizzazione sembrava offrire a Mosca opportunità di penetrazione. Quanto all’Europa, Eisenhower restava favorevole al processo di integrazione, ma l’amministrazione e Foster Dulles ritenevano che gli europei fossero


17 Cfr. le fonti cit. alle note 7 e 14.


18 Sulla posizione tedesca cfr. H. P. Schwarz, Konrad Adenauer. A German Politician and Statesman in a Period of War, Revolution and Reconstruction, vol. 2, The Statesman 1952-1967, Providence/Oxford, Berghahn, 1997.


19 In generale sulla politica francese in questi anni cfr. G. Bossuat, L’Europe des français, 1943-1959. La IVe République aux sources de l’Europe communautaire, Parigi, Publications de la Sorbonne, 1996.


20 D. Preda, Sulla soglia …, cit., passim.

spesso alleati riottosi e inaffidabili e si dovesse quindi «costringerli» ad accettare le scelte di Washington piuttosto che convincerli e blandirli. Tale posizione era d’altronde condivisa da un’opinione pubblica in parte condizionata dallo spirito del «maccartismo» (21) . In realtà questo atteggiamento era destinato a porre in difficoltà i sostenitori dell’integrazione, quali Monnet, che vennero sovente visti come meri «strumenti» dell’arrogante politica americana. Agli inizi del marzo del 1953 Stalin moriva improvvisamente e in U.R.S.S. il potere veniva assunto da un piccolo gruppo dei suoi più stretti collaboratori, la cosiddetta «direzione collegiale», nell’attesa che emergesse una chiara figura di leader. Solo nel 1955, dopo un’aspra lotta interna, il segretario del P.C.U.S. Nikita Kruscev avrebbe assunto tale funzione. Nel frattempo in politica estera Mosca decise di puntare su una politica di «pace» con l’Occidente, soprattutto a proposito del futuro della Germania, che però non escludeva, anzi esaltava, la lotta contro il riarmo tedesco e la C.E.D., ora più efficacemente propagandata grazie a un’apparente disponibilità al dialogo. Tale atteggiamento avrebbe spiazzato le autorità americane e creato enormi difficoltà alle leadership europee occidentali pressate dalle loro opinioni pubbliche, desiderose di una pace duratura nel «vecchio continente», come auspicato dalla propaganda sovietica, e intimorite dalla apparente bellicosità di Washington. A rendere ancor più complessa la sorte del progetto europeo, ora rappresentato dalla C.E.D. e dalla C.P.E., vi era l’evoluzione della situazione interna francese e della guerra condotta da Parigi in Indocina. Per ciò che concerne il contesto domestico, tra il 1952 e il 1953 vi era stato uno spostamento a destra dei Governi con una crescente influenza dei gollisti, profondamente ostili alla C.E.D.; i leader di governo francesi avevano così cercato di spingere gli americani a compiere concessioni sulla C.E.D., soprattutto sui caratteri sovranazionali, e a legare la ratifica del trattato al crescente sostegno di Washington al conflitto condotto dalla Francia contro il Viet Minh, conflitto che dopo il 1950 Parigi era riuscita a convincere gli americani fosse una guerra della «guerra fredda» e non una retriva guerra coloniale (22) . Un altro caso complesso era rappresentato dall’Italia, dove nel giugno del 1953 De Gasperi era uscito sconfitto dalle elezioni politiche, che avevano visto la sinistra socialcomunista mantenere le posizioni acquisite, nonché un rafforzamento delle destre nazionaliste dei monarchici e del Movimento Sociale Italiano. Si era quindi costituito un Governo monocolore D.C. guidato da Giuseppe Pella, meno entusiasta se non scettico verso l’ideale di integrazione e nei confronti della C.E.D. e della C.P.E. Al fine di rafforzare il suo esecutivo Pella aveva cercato di puntare su una politica nazionalista di contrapposizione alla Jugoslavia di Tito, ponendo inoltre gli anglo-americani di fronte a una sorta di «ricatto»: l’Italia avrebbe ratificato il trattato C.E.D. se Washington e Londra avessero sostenuto le autorità italiane sulla questione di Trieste (23) . In realtà questa politica non diede gli esiti sperati: il Governo Pella si dimise e fu sostituito da un Gabinetto di coalizione centrista sotto la presidenza di Mario Scelba, con il democristiano Attilio Piccioni agli Esteri. Il nuovo Governo confermò la sua fedeltà al trattato C.E.D. e all’impegno europeista, ma procedette con molta cautela per ciò che riguar


21 S. Dockrill, Eisenhower’s New Look National Security Policy, 1953-1961, London, Macmillan, 1996.


22 In generale cfr. G. Bossuat, op. cit.


23 M. de Leonardis, La diplomazia atlantica e la soluzione del problema di Trieste 1952-1954, Napoli, ESI, 1992.

dava la ratifica, sia per non entrare in urto con le agguerrite opposizioni, sia perché la diplomazia appariva divisa fra chi, come l’influente ambasciatore a Parigi Pietro Quaroni, sosteneva l’inutilità di ratificare, vista la mancanza di una maggioranza parlamentare a favore dell’esercito europeo in Francia, e coloro che invece ritenevano che, per coerenza verso l’ideale europeo e per fedeltà agli Stati Uniti, si dovesse in ogni caso approvare il trattato (24) . Nella primavera del 1954 però la situazione in Francia era destinata a precipitare. L’anno precedente Parigi aveva ottenuto dagli Stati Uniti come concessione l’accettazione della convocazione di una conferenza a livello dei quattro Ministri degli Esteri sul futuro della Germania, come auspicato da Mosca. In realtà l’incontro tenutosi agli inizi del ’54 non aveva dato alcun esito; poco prima, nel dicembre del ’53, Foster Dulles aveva lanciato pubblicamente un monito alle autorità francesi sostenendo che la mancata ratifica della C.E.D. avrebbe spinto Washington a un «agonizing reappraisal» del proprio impegno verso la difesa dell’Europa (25) . In realtà questa dichiarazione aveva irritato ancor più l’opinione pubblica e il mondo politico francesi. Nel frattempo in Indocina le autorità di Parigi, ormai convinte di non poter vincere la guerra, contavano di ottenere una temporanea affermazione militare sul campo che avrebbe consentito loro di puntare su una soluzione diplomatica la quale consentisse un’uscita «con onore» dal «pantano» indocinese. A questo fine il Governo di Parigi ottenne dall’amministrazione Eisenhower l’assenso alla convocazione a Ginevra di una conferenza internazionale sull’Indocina a cui avrebbero preso parte anche i rappresentanti dell’U.R.S.S. e della Cina comunista. L’operazione militare francese, imperniata sul controllo dell’area fortificata di Dien Bien Phu, volse ben presto verso un insuccesso e Washington si rifiutò di farsi coinvolgere direttamente a sostegno della piazzaforte francese che cadde pochi giorni dopo l’apertura della conferenza di Ginevra sull’Estremo Oriente (26) . La sconfitta militare provocò la caduta del Governo di Parigi e l’arrivo alla guida della Francia del radical-socialista Pierre Mendès France, notoriamente freddo nei confronti della C.E.D. e dell’integrazione sul modello di Monnet e Schuman (27) . Il nuovo Presidente del Consiglio condusse rapidamente in porto le trattative sull’Indocina attraverso un accordo, accettato anche da Mosca e da Pechino, che implicava il ritiro francese da questa parte dell’Asia, la neutralizzazione del Laos e della Cambogia e la divisione temporanea del Viet Nam, nel nord comunista e nel sud filo-occidentale. Gli Stati Uniti si rifiutarono di firmare un compromesso a loro avviso troppo favorevole al blocco comunista e presero a sospettare che fra Mendès France e i sovietici vi fosse stato un «marchandage planétaire», ovvero un atteggiamento benevolo da parte comunista sull’Indocina in cambio del «sabotaggio» della C.E.D. In effetti Mendès France aveva accolto nel suo Governo sia oppositori, sia sostenitori dell’esercito europeo, ma si era convinto dell’assenza di una maggioranza parlamentare a favore del trattato, la cui presenza era


24 A. Varsori, La Cenerentola d’Europa ? L’Italia e l’integrazione europea dal 1947 a oggi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pp. 102-118.


25 Sulle posizioni di John Foster Dulles cfr. R. H. Immerman (a cura di), John Foster Dulles and the Diplomacy of the Cold War, Princeton, Princeton University Press, 1990.


26 Sugli Stati Uniti, la Francia e la questione indocinese cfr. F. Logevall, Embers of War. The Fall of an Empire and the Making of America’s Vietnam, New York, Random House, 2012.


27 Su Pierre Mendès France e la sua politica estera cfr. F. Bedarida e J.-P. Rioux (a cura di), Pierre Mendès France et le mendesisme, Parigi, Fayard, 1985; R. Girault et alii, Pierre Mendès France et le rôle de la France dans le monde, Grenoble, Presses universitaires de Grenoble, 1991.

invece sostenuta dagli ambienti europeisti francesi e da Monnet. Da parte loro le autorità di Washington e il leader belga Spaak erano convinti che una posizione dura avrebbe costretto il premier francese a far ratificare il trattato. In agosto Mendès France si incontrò a Bruxelles con i rappresentanti degli altri cinque firmatari del trattato di Parigi, proponendo una serie di modifiche all’accordo che ne avrebbero eliminato i caratteri sovranazionali. La reazione, guidata da Spaak e da Adenauer, quest’ultimo forte della ratifica del suo paese e reduce da una trionfale vittoria elettorale, fu di netta chiusura. Nel rientrare a Parigi Mendès France fece una sosta a Londra, ove si incontrò con Churchill e Eden, i quali gli fecero comprendere come l’eventuale fine della C.E.D. non fosse vista dagli inglesi in maniera così negativa. Il Primo Ministro francese decise quindi che il suo Governo avrebbe assunto un atteggiamento neutrale e che avrebbe lasciato al Parlamento il compito di decidere sul futuro della C.E.D.. L’esito era in qualche modo scontato, con una «motion préalable» la C.E.D. venne bocciata. Sembrò aprirsi una gravissima crisi all’interno del sistema occidentale: con la C.E.D. cadeva anche l’ipotesi di C.P.E., nonché l’accordo quadripartito di Petersberg sulla restituzione della piena sovranità alla Germania Ovest; gli Stati Uniti minacciavano di ritirarsi dal continente europeo con la conseguente fine della N.A.T.O. A questo punto determinante fu l’intervento britannico.

Il Governo di Londra, pur avendo sostenuto dall’esterno la C.E.D., non aveva mai apprezzato un progetto con carattere sovranazionale, che nella visione inglese avrebbe finito con il favorire un predominio di Bonn sulla parte occidentale del «vecchio continente»; da tempo il Foreign Office aveva preso in considerazione una «soluzione di ricambio». Dopo la caduta della C.E.D., Eden cercò di ammorbidire l’amministrazione americana, poi effettuò un rapido «tour» a Bonn, Roma, Bruxelles e Parigi, esponendo un progetto fondato, da un lato sull’ingresso della Repubblica Federale nella N.A.T.O., con la conseguente accettazione della rinascita di un esercito nazionale tedesco; dall’altro sull’adesione tedesco occidentale e italiana a un riformato Patto di Bruxelles. Ottenuto un assenso di massima da tutte le parti in causa venne convocata una conferenza a Londra con la presenza dei «sei» della C.E.D., della Gran Bretagna, del Canada e degli Stati Uniti. In questa occasione il piano inglese venne accettato da tutti e Adenauer, da parte tedesca, fece propria una dichiarazione in base alla quale la Repubblica Federale Tedesca si impegnava a non costruire armi atomiche, batteriologiche e chimiche sul proprio territorio. Inoltre il Patto di Bruxelles, trasformato in Unione dell’Europa Occidentale (U.E.O.) avrebbe visto la creazione di un Comitato permanente sul controllo degli armamenti(28). Queste rassicurazioni consentirono a Parigi di accettare la prospettiva di un esercito tedesco occidentale. Va ricordato che pochi mesi dopo, il Governo Mendès France in forma segreta avrebbe assunto la decisione in base alla quale la Francia avrebbe mirato a dotarsi di un’arma atomica «nazionale»(29). Nell’ottobre nella capitale francese venivano così firmati tre importanti accordi: il primo sanciva l’ingresso della Germania Ovest nel Patto Atlantico, il secondo vedeva la nascita della U.E.O., il terzo garantiva a Bonn la piena sovranità sul proprio territorio con l’esclusione di Berlino Ovest. Gli accordi di Parigi erano una vittoria di un tradi


28 Sulla figura e l’azione di Eden cfr. ad esempio D. Dutton, Anthony Eden. A Life and Reputation, Londra, Arnold, 1997.


29 D. Mongin, La bombe atomique française (1945-1958), Bruxelles, Bruylant, 1997.

zionale approccio intergovernativo, rafforzavano il rapporto bilaterale franco-britannico, in apparenza a scapito di quello franco-tedesco e vennero interpretati come la fine dell’integrazione europea di stampo funzionalista monnetiano, come auspicato da Schuman, De Gasperi e dai movimenti europeisti. Sulla rinnovata «entente cordiale» franco-inglese influiva anche la convinzione di Parigi e di Londra di dover difendere ciò che restava del loro ruolo imperiale, messo in discussione, non solo dalla decolonizzazione, ma anche dalla evidente tendenza di Washington a non sostenere più le vecchie potenze coloniali. In questi mesi Parigi si vedeva costretta a concedere l’indipendenza al Marocco e alla Tunisia, mentre nel ’54 si apriva il conflitto algerino; da parte sua Londra accettava con il trattato concluso con l’Egitto di Nasser l’evacuazione delle proprie truppe dal Canale di Suez (30) .

Quanto all’Italia, essa accettò gli accordi di Parigi nella convinzione che esigenza prima fosse la salvaguardia della N.A.T.O. e nella speranza che il comitato per gli armamenti della U.E.O. offrisse l’occasione per riprendere il processo di integrazione(31). In questo periodo la guida del Ministero degli Esteri passava dal democristiano Attilio Piccioni al liberale Gaetano Martino, un pieno sostenitore del processo di integrazione(32). L’anno successivo l’elezione del democristiano Giovanni Gronchi alla carica di Presidente della Repubblica parve sottolineare la crescente aspirazione italiana a giocare un crescente ruolo mediterraneo traendo profitto dalle difficoltà di Parigi e di Londra.

Nel volgere di alcuni mesi si comprese come soprattutto Londra non avesse alcuna intenzione di considerare la U.E.O. uno strumento per il rilancio dell’integrazione sovranazionale; la caduta del Governo Mendès France, con la formazione di un Governo Faure, al cui interno erano presenti personalità europeiste, spinse Monnet, che nel frattempo aveva dato le dimissioni da Presidente dell’Alta Autorità, a creare un’organizzazione a sostegno dei suoi disegni, il Comitato d’Azione per gli Stati Uniti d’Europa, e a delineare un nuovo progetto europeista sul modello della C.E.C.A., una comunità europea per l’energia nucleare. Come il carbone e l’acciaio avevano favorito la ricostruzione e l’integrazione dell’Europa occidentale, lo sfruttamento dell’atomo, energia del futuro, avrebbe condotto allo sviluppo economico della parte occidentale del «vecchio continente», favorendone al contempo l’integrazione(33). Da parte loro nei primi mesi del ’55 i leader del Benelux, su spinta di Spaak(34), elaborarono un progetto di unione doganale, riprendendo un piano già presentato nel 1952 dall’olandese Beyen(35). Va notato come questi progetti non suscitassero particolare attenzione presso


30 E. Calandri, Il Mediterraneo e la difesa dell’Occidente 1947-1956. Eredità imperiali e logiche di guerra fredda, Firenze, il Maestrale, 1997; A. Donno (a cura di), Ombre di guerra fredda. Gli Stati Uniti nel Medio Oriente negli anni di Eisenhower (1953-1961), Napoli, ESI, 1998.


31 E. Calandri, The Western European Union Armaments Pool: France’s Quest for Security and European Cooperation in Transition 1951-1955, in «Journal of European Integration History», n. 1, 1995, pp. 37-64.


32 Su Gaetano Martino cfr. M. Saija e A. Villani, Gaetano Martino 1900-1967, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011.


33 Fondation Jean Monnet pour l’Europe (a cura di), Une dynamique européenne: Le Comité d’Action pour les Etats Unis d’Europe, Parigi, Economica, 2011.


34 Sul ruolo centrale svolto da Spaak cfr. M. Dumoulin, Spaak, Bruxelles, Racines, 1999.


35 In generale sul «rilancio dell’Europa» cfr. E. Serra (a cura di), Il rilancio dell’Europa e i trattati di Roma, Bruxelles/Milano/Parigi/Baden-Baden, Bruylant/Giuffrè/LGJD/Nomos, 1989; P. L. Ballini (a cura di), I trattati di Roma, vol. I, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010.

le opinioni pubbliche distratte da alcuni importanti sviluppi in ambito internazionale: l’U.R.S.S. aveva cercato, senza successo di contrastare la ratifica degli accordi di Parigi, pur continuando a perseguire una «politica di pace». In questo quadro rientrava anche l’ipotesi di porre fine all’occupazione quadripartita del territorio austriaco; proposta che trovò poi rapida attuazione con il trattato di Stato austriaco del maggio 1955 (36) . Il Governo inglese, ora guidato da Eden, nella convinzione che Londra potesse ancora svolgere un ruolo internazionale di rilievo, avanzò la proposta di una conferenza «al vertice» quadripartita che si occupasse di tutti i problemi internazionali irrisolti, fra cui il futuro della Germania. L’idea venne accettata da Mosca e da Parigi e subita da Washington che non credeva alla volontà sovietica di dialogo e diffidava della «debolezza» e della volontà di autonomia degli alleati europei; alfine si concordò che la conferenza al vertice si sarebbe tenuta nel luglio a Ginevra (37) . Questi eventi oscurarono i più prosaici progetti del Benelux, che ora includevano anche l’ipotesi di Monnet, e che avrebbero condotto alla Conferenza di Messina del giugno 1955. L’esito di Messina fu positivo, ma interlocutorio, conducendo alla nascita del Comitato Spaak che protrasse i suoi lavori sino all’inizio del 1956, fra dubbi, incertezze e considerazioni pessimistiche, ma senza che il «rilancio d’Europa» divenisse un tema di contesa presso l’opinione pubblica più ampia, attratta da altri eventi quali la Conferenza di Ginevra, la nascita del Patto di Varsavia, la visita ufficiale di Adenauer a Mosca, l’emergere di Kruscev come nuovo leader sovietico, la crescente attenzione dell’U.R.S.S. verso il «terzo mondo», che, a sua volta, sembrava volersi affermare come attore autonomo rispetto ai due blocchi anche in base ai principi elaborati alla Conferenza di Bandung dell’aprile precedente.

Come ricordato, nel febbraio del 1956, a seguito del risultato delle elezioni legislative, si formava in Francia un Governo presieduto dal socialista Guy Mollet, con il collega di partito Christian Pineau alla guida del Quai d’Orsay(38). Mollet era un europeista convinto e aveva aderito al Comitato d’Azione per gli Stati Uniti d’Europa di Monnet. Egli era dunque favorevole alla Comunità europea e a quella nucleare, per quanto fosse conscio delle resistenze esistenti nel mondo politico e nel suo stesso partito a entrambi i progetti: il primo si scontrava con la tradizione protezionista francese e con il timore di un predominio dell’industria tedesca, il secondo, a causa del suo carattere sovranazionale e pacifico, contrastava con le aspirazioni francesi a dotarsi di un’arma nucleare. D’altronde anche nella Germania di Adenuaer vi erano incertezze circa il dirigismo monnetiano e sia gli ambienti industriali, sia il ministro dell’Economia Ludwig Erhard erano scettici soprattutto nei confronti della comunità nucleare. Quanto agli inglesi, essi puntavano sull’O.E.C.E., un organismo intergovernativo, dove essi godevano del sostegno dei paesi del nord Europa, per favorire la nascita di un’area di libero scambio, senza implicazioni politiche e strutture sovranazionali. Restavano invece fedeli al progetto originario di Messina le nazioni del Benelux e l’Italia; quest’ultima vedeva con favore sia il mercato comune, sia la comunità nucleare come strumenti che avrebbero potuto favorire lo sviluppo del Mezzogiorno, l’attuazione del Piano Vanoni e, più in generale


36 A. K. Cronin, Great Power Politics and the Struggle over Austria 1945-1955, Ithaca/London, Cornell University Press, 1986.


37 G. Bischof e S. Dockrill (a cura di), Cold War Respite. The Geneva Summit of 1955, Baton Rouge, Louisiana State University Press, 2000.


38 Su Guy Mollet cfr. F. Lafon, Guy Mollet, Parigi, Fayard, 2007.

la modernizzazione e la crescita economica e sociale del paese (39) . Nel maggio la Conferenza di Venezia dei sei Ministri degli Esteri consentì l’avvio di una conferenza intergovernativa (C.I.G.) sui progetti di C.E.E. e di Euratom; i «cinque» accettavano infatti di discutere alcune condizioni poste dalla Francia; l’inclusione delle colonie dell’Africa subsahariana nel mercato comune, la creazione di una tariffa esterna comune., l’inserimento di un mercato comune per i prodotti agricoli. Nei mesi successivi comunque l’attenzione internazionale si concentrò su altri eventi, in particolare l’inasprirsi del conflitto algerino e la nazionalizzazione del Canale di Suez che spinsero Londra e Parigi a concludere un accordo segreto con Israele, preoccupata dall’atteggiamento sempre più bellicoso di Nasser verso lo Stato ebraico. In novembre Israele lanciava un attacco contro l’Egitto e in pochi giorni si avvicinò al Canale; ciò fu preso a pretesto dai Governi britannico e francese per un’operazione militare che si tradusse nell’occupazione del Canale. Ma la reazione negativa degli Stati Uniti e dell’U.R.S.S. in sede O.N.U. avrebbe costretto la Gran Bretagna e la Francia al ritiro dall’Egitto (40) . Nel frattempo negli stessi giorni si consumava la tragedia dell’insurrezione ungherese, repressa dall’U.R.S.S. senza che l’Occidente andasse oltre la generica condanna dell’intervento russo (41) . Fu in questo clima che il Governo Mollet, deluso dell’atteggiamento statunitense e della rapida arrendevolezza inglese di fronte alle prese di posizione di Washington ritenne di giocare la carta europea come unico ambito in cui la Francia avrebbe potuto continuare a esercitare un ruolo internazionale di rilievo, ma ciò implicava un accordo con la Germania di Bonn su una serie di divergenze riguardanti soprattutto la C.E.E. Da parte sua Adenauer era convinto che un riavvicinamento franco-tedesco avrebbe avvantaggiato la Repubblica Federale in Europa, nonché indirettamente nei confronti di Washington (42) . Da parte loro le autorità americane si erano mostrate molto favorevoli all’Euratom nella speranza di controllare qualsiasi sviluppo europeo occidentale in un settore così delicato, ma compiendo al contempo una serie di concessioni come dimostrato in occasione della missione dei «tre saggi» – tre esperti europei di questioni atomiche – negli Stati Uniti alla fine del 1956 (43) . Quanto alle autorità inglesi, esse cercarono di giocare fino alla fine la carta dell’O.E.C.E. come alternativa alla C.E.E. e all’Euratom, ma ormai i «sei» erano determinati a giungere a una rapida conclusione del negoziato sul «rilancio dell’Europa» (44) . Il 25 marzo, superate le ultime difficoltà, a Roma erano siglati i trattati istitutivi della C.E.E. e della C.E.E.A. Aveva così inizio, a soli due anni e mezzo dal fallimento della C.E.D., il «rilancio» della costruzione europea nella dimensione economica e sulla base del metodo funzionalista monnetiano, compimento delle speranze che erano state di uomini quali De Gasperi, Monnet, Martino, Schuman, Adenauer, Spaak, Beyen e Bech.


39 Sulla posizione italiana cfr. A. Varsori, La Cenerentola …, cit., pp. 130-147.


40 Su Suez cfr. W. R. Louis e R. Owen (a cura di), Suez 1956: the crisis and its consequences, Oxford, Clarendon Press, 1989; K. Kyle, Suez, New York, St. Martin’s Press, 1991.


41 Su Budapest cfr. ad esempio V. Sebestyen, Budapest 1956: la prima rivolta contro l’impero sovietico, Milano, Rizzoli, 2006.


42 Cfr. G.-H. Soutou, L’alliance incertaine. Les rapports politico-stratégiques franco-allemands, 1954-1996, Parigi, Fayard, 1996.


43 Cfr. A. Varsori, Gli Stati Uniti, i Sei, l’Europa: dalla Conferenza di Messina ai Trattati di Roma, in P. L. Ballini (a cura di), I Trattati di Roma, vol. I, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pp. 3-26.


44 Sulla posizione inglese in generale cfr. W. Kaiser, Using Europe Abusing the Europeans, Britain and European Integration, 1945-1963, London, Macmillan, 1996.

2. Criteri di edizione

2.1. Criteri generali. Il volume che presentiamo, il primo a essere pubblicato nella nuova serie tematica dei Documenti sulla Politica Internazionale dell’Italia, è dedicato al «rilancio europeo» e alle trattative per i due trattati firmati a Roma il 25 marzo 1957, il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (C.E.E.) e quello istitutivo della Comunità Europea dell’Energia Atomica (C.E.E.A. o Euratom). I documenti sono stati selezionati dai fondi conservati presso il Ministero degli Affari Esteri (la descrizione dei fondi utilizzati viene fornita più avanti), secondo il criterio della funzionalità a ricostruire la condotta della politica italiana su tale questione, con un’accezione piuttosto ampia di tale criterio, in modo da fornire un quadro il più possibile completo sia delle decisioni politiche, sia delle discussioni intrattenute dai rappresentanti italiani con gli altri principali Stati esteri, sia della visione che da parte italiana si ebbe delle posizioni dei Governi esteri.

Anzitutto, come si dirà meglio più avanti, è stata data la massima attenzione ai dispacci di istruzioni provenienti dall’Amministrazione centrale – sia dal Ministro sia dal Segretario Generale o dagli altri principali funzionari coinvolti nella trattazione dei problemi europei – e agli altri documenti dai quali la posizione italiana risulta desumibile. Infatti i dispacci di istruzioni a firma del Ministro degli Affari Esteri, Gaetano Martino, sono piuttosto rari e scarni e si sono quindi inclusi documenti redatti dagli uffici nei quali viene proposta la condotta del Governo italiano, che risultino successivamente approvati dal Ministro.

La scelta dei documenti, ovviamente, non è stata limitata ai soli documenti riguardanti strettamente le trattative fra i sei membri della C.E.C.A. nella preparazione della Conferenza di Messina, in relazione alle Conferenze del Consiglio dei Ministri degli Affari Esteri di Noordwijk, di Bruxelles, di Venezia e di Parigi e nei lavori della Conferenza intergovernativa di Bruxelles per la stesura dei trattati sul Mercato Comune e sull’Euratom, bensì ha dovuto necessariamente comprendere anche la documentazione riguardante le discussioni nell’ambito dell’O.E.C.E. e dell’U.E.O. e, in misura minore, del Consiglio d’Europa, data la continua connessione esistente fra i negoziati condotti dai paesi della C.E.C.A. e le discussioni all’interno degli altri due organismi europei, nei quali sedeva anche il Regno Unito. Inoltre si è dovuta operare anche una scelta riguardo ai documenti sui rapporti bilaterali con i principali Governi interlocutori, in specie negli incontri bilaterali. È infatti normale che tali incontri riguardino un’agenda piuttosto ampia, che comprende varie problematiche sia dei rapporti bilaterali sia di questioni internazionali rilevanti nel momento, oltre alle questioni direttamente concernenti la «rélance» europea; tuttavia non si è ritenuto né di escludere tali documenti, anche se dovranno verosimilmente essere pubblicati in altri volumi concernenti le altre questioni trattate negli incontri, né pubblicarne uno stralcio, dato che è stato adottato il criterio di pubblicare tutti i documenti integralmente e senza apportare alcuna modifica od omissione. Si è quindi preferito largheggiare e includere anche quei documenti che, a rigore, concernerebbero principalmente altre questioni, ma che risultano essenziali per cogliere lo stato dei rapporti con gli altri Governi interessati ai negoziati per il rilancio europeo. In questo modo il volume ha una sua autonomia e consente di percorrere in modo completo l’iter negoziale, dal punto di vista italiano, fino alla firma dei trattati. Infine, si sono pubblicati nel volume esclusivamente i documenti promananti dal Ministero degli Affari Esteri italiano, salvo il caso di alcuni allegati e delle lettere indirizzate da Ministri di Stati esteri al Ministro; mentre nel volume di appendice sono pubblicati tutti i verbali delle Conferenze intergovernative, alle cui sedute era presente il rappresentante italiano.

2.2. I negoziati in ambito C.E.C.A. Il volume si apre con il colloquio del 2 aprile 1955, a Bruxelles, fra il presidente dell’Assemblea Comune della C.E.C.A., Giuseppe Pella, e il Ministro degli Affari Esteri del Belgio, Paul Henri Spaak, il quale annunciò la propria intenzione, nel corso dell’imminente riunione dei Ministri della C.E.C.A., di proporre a nome del Benelux l’estensione delle competenze della Comunità alle altre fonti di energia, oltre al carbone, e al settore dei trasporti (D. 1). Si è assunto questo, infatti, come dies a quo del processo del «rilancio» vero e proprio, anche se la sua origine può essere posta al momento del fallimento della Comunità Europea di Difesa, con il voto al Parlamento francese del 30 agosto 1954. Il periodo successivo a tale fallimento, tuttavia, è occupato dai negoziati che portano alla soluzione alternativa alla C.E.D., rappresentata dalla nascita dell’Unione Europea Occidentale, nelle due Conferenze di Londra e di Parigi, e nella conseguente accessione della Repubblica Federale Tedesca al Patto di Bruxelles e trasformazione di quest’ultimo in U.E.O., con la firma degli Accordi di Parigi del 23 ottobre 1954, negoziati che faranno parte di un altro volume a questi dedicato. L’entrata in vigore del Trattato di Parigi, a seguito dell’approvazione da parte del Consiglio della Repubblica francese, il 27 marzo 1955, e del deposito delle ratifiche, precede dunque di pochi giorni l’iniziativa belga. Quest’ultima era una conseguenza, da un lato, appunto, del fallimento della C.E.D. e del mancato sviluppo dell’U.E.O. nella direzione di un’integrazione politica europea, e, dall’altro lato, della crisi in cui versava la C.E.C.A., crisi aggravata a seguito dell’annuncio di Monnet, il 10 novembre 1954, di non ripresentare la propria candidatura alla presidenza della Comunità al momento della scadenza, il 10 febbraio 1955.

Il 7 aprile Spaak scrisse una lettera a Martino in cui avanzava l’idea di una conferenza internazionale per approfondire la questione in vista della redazione di un trattato; di fronte alle posizioni poco incoraggianti della Germania, contraria a un’integrazione per settori e favorevole invece alla creazione di un mercato comune, e della Francia, dove appariva difficile far accettare il rilancio europeo attraverso la C.E.C.A, Spaak scriveva: «Je crois cependant que si les pays de Benelux, appuyés par l’Italie, pouvaient prendre une initiative, celle-ci pourrait être couronnée de succès. Je ne sais pas si nous pourrions obtenir tout ce que je propose, mais nous pourrions cependant arriver à un compromis satisfaisant» (D. 6). Martino rispose il 22 aprile, confermando che il Governo italiano avrebbe appoggiato l’iniziativa (D. 13). L’impostazione delle direttive di Martino sulle trattative che stavano prendendo le mosse risulta da un appunto del Direttore degli Affari Economici del Ministero degli Affari Esteri, Cattani, del 6 maggio 1955, sul quale si trovarono d’accordo anzitutto il Segretario Generale, Rossi Longhi e il Direttore Generale degli Affari Politici, Magistrati, e che ebbe in seguito anche l’approvazione del Ministro, quindi trasmesso alle Ambasciate in Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Olanda e Lussemburgo e alla Delegazione presso l’O.E.C.E.: l’Italia era favorevole all’integrazione «orizzontale», alla quale si avvicinava l’idea di creare una zona di libero scambio, e non a un’integrazione sopranazionale «per settore», ma non si rifiutava di esaminare proposte integrative per settore, purché nel contesto degli organismi europei esistenti ed era favorevole a quei metodi di integrazioni che avessero consentito la partecipazione del maggior numero possibile di paesi europei (D. 21).

La proposta iniziale di Spaak, di carattere volutamente limitato, ebbe un’immediata evoluzione con la decisione del Ministro degli Affari Esteri olandese, Beyen, di ripresentare la propria proposta originaria sulla realizzazione di una comunità economica europea basata sul libero mercato, il «Piano Beyen», presentato l’11 gennaio 1952 al Consiglio dei Ministri della C.E.C.A., costituendo, insieme alla proposta di allargamento delle competenze della comunità «a sei», quello che si iniziò a definire il «piano Spaak-Beyen» (D. 7). Nel corso delle riunioni del Consiglio Direttivo dell’Unione dell’Europa Occidentale, a Parigi, il 9-11 maggio (D. 22), i Ministri del Benelux consegnarono ai «Sei» membri della C.E.C.A. la loro proposta, contenuta nel memorandum datato 8 maggio, per aprire una «nuova tappa» nella direzione dell’integrazione europea in campo economico: «Ils estiment qu’il faut poursuivre l’établissement d’une Europe unie par le développement d’institutions communes, la fusion progressive des économies nationales, la création d’un grand marché commun et l’harmonisation progressive de leur politique sociale. Une telle politique leur parait indispensable pour maintenir à l’Europe la place qu’elle occupe dans le monde, pour lui rendre son influence et son rayonnement et pour augmenter d’une manière continue le niveau de vie de sa population». Tale obiettivo doveva essere perseguito mediante l’estensione delle basi comuni di sviluppo nei settori dei trasporti, dell’energia e delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare; inoltre, per quanto riguardava l’integrazione economica generale, i paesi del Benelux ritenevano che bisognasse tendere alla realizzazione di «una comunità economica» fondata su un mercato comune attraverso la soppressione progressiva delle restrizioni quantitative al commercio e dei diritti di dogana (D. 26, Allegato). In quell’occasione, a Parigi, nel corso della riunione del Consiglio Direttivo dell’U.E.O., venne deciso di tenere una conferenza fra i governi dei sei membri della C.E.C.A., conferenza che si sarebbe svolta a Messina ai primi di giugno (D. 22). La scelta della sede della conferenza era dovuta al ruolo di appoggio che il Governo italiano aveva assunto nei confronti della proposta del Benelux e al desiderio espresso dal Ministro degli Affari Esteri italiano, Martino, che era appunto di Messina (D. 24). Dunque la proposta dei Governi del Benelux riguardava due proposte di «rilancio»: l’allargamento delle basi comuni di sviluppo economico ai trasporti, all’energia e alle applicazioni pacifiche dell’energia atomica; e la realizzazione di una «comunità economica» fondata su un mercato comune, da realizzarsi mediante la soppressione progressiva delle restrizioni quantitative e dei diritti di dogana.

Il quadro della situazione europea non appariva incoraggiante, come risulta dalle relazioni degli Ambasciatori accreditati presso le principali Ambasciate, a cominciare, soprattutto, dal Rappresentante italiano a Parigi, l’Ambasciatore Pietro Quaroni, del quale vengono pubblicati numerosi rapporti sul sentimento francese, sia del Governo, sia delle forze politiche nel Parlamento, nei riguardi di nuove proposte di integrazione europea: il rapporto del 5 aprile 1955 (D. 4), il rapporto del 22 aprile (D. 14), nei quali esprimeva una valutazione pessimistica sull’orientamento della Francia verso una ripresa del processo di integrazione. In particolare, riferendo il 7 febbraio 1956 di un colloquio con Pineau, al quale aveva comunicato che l’Italia era contraria a integrazioni per settori e favorevole invece solo al mercato comune, Quaroni concludeva lapidariamente: «Avendo fatto con questo il mio dovere verso il Governo francese, mancherei al mio dovere verso quello italiano se non confermassi che, checché ci possano dire in proposito alcuni nostri amici europeisti francesi, non c’è la minima chance che qualsiasi mercato comune, anche ridotto assai, passi davanti al Parlamento francese» (D. 127). E ancora, il 23 febbraio 1956, dopo la Conferenza di Bruxelles, in una lunga disamina delle profonde origini dei sentimenti europeisti francesi, si soffermava sull’effettivo significato e sui limiti del «sopranazionalismo» e del «verticalismo» francesi, incentrati nel problema dei rapporti con la Germania e nell’aspirazione a realizzare «l’ultimo tentativo di costituire un’Europa francese» (D. 147), e nel rapporto del 10 aprile ribadiva l’impossibilità di un’accettazione francese del mercato comune (D. 164). Analisi pessimistiche che vennero puntualmente confermate in occasione degli incontri italo-francesi del 25-27 aprile 1956 (DD. 170 e 172).

Anche da parte tedesca apparvero sussistere difficoltà di fondo, che emersero nel memorandum presentato dal Sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri, Hallstein alla Conferenza di Messina, nel quale si indicava una posizione contraria all’europeismo «sovranazionale» e a favore invece di quello federalistico o «cooperativistico», dunque sostanzialmente indisponibile alle proposte del Benelux (D. 42 e Appendice documentaria, D. 1, Annexe V). In effetti il Governo tedesco corresse tale interpretazione con una nuova dichiarazione presentata dallo stesso Hallstein ai Capi delle Delegazioni della Commissione istituita dalla Conferenza di Messina il 9 luglio 1955 (D. 57, Allegato II), ma i dubbi sulle reali intenzioni della Germania persistettero a lungo. Anche la posizione del Governo del Regno Unito, come si vedrà più avanti, era fortemente contraria alle proposte del Benelux.

Dunque, fra il 2 aprile e l’11 maggio 1955 le linee essenziali del negoziato che doveva condurre ai Trattati di Roma erano ormai stabilite. Sulla preparazione della Conferenza di Messina si pubblicano i verbali delle due riunioni interministeriali che si tennero alla fine di maggio del 1955: la riunione del 24 maggio, presso la Direzione Generale degli Affari Economici del Ministero, a livello dei Direttori Generali dei Ministeri interessati (D. 33) e quella immediatamente successiva del 26 maggio, a livello dei Ministri, presieduta dal Ministro degli Affari Esteri, Martino (D. 35). Per la conduzione del negoziato di Messina venne predisposto un appunto, nel quale anzitutto si affermava che, per evitare la situazione negativa verificatasi nella C.E.C.A., con il sopravvento del Consiglio dei Ministri sulla Comunità, che dava luogo alla formazione costante di maggioranze a sfavore dell’Italia, si doveva chiedere ai sei Ministri di «riconfermare solennemente […] la volontà dei loro Governi di eseguire pienamente e lealmente gli impegni del Trattato C.E.C.A.». Per quanto riguardava l’integrazione europea, si ribadiva che la posizione italiana era sempre stata a favore dell’«approccio orizzontale» e si delineava la tattica da seguire, basata sulla prudenza e moderazione, data la posizione incerta della Germania e lo scarso entusiasmo dimostrato dalla Francia (D. 36).

Sullo svolgimento della Conferenza di Messina, dal 1° al 3 giugno 1955, si pubblica un appunto di Magistrati, che forniva una prima valutazione (D. 43), non essendo stata rinvenuta la relazione redatta da Cattani(45). In Appendice si trovano i


45 Vedi infra, p. XLI, sull’indisponibilità del fondo della Direzione Generale Affari Economici.

verbali della conferenza e i memoranda presentati dalle Delegazioni alla conferenza, fra cui quello italiano. Principale decisione del Consiglio dei Ministri a Messina fu la convocazione di una o più conferenze per elaborare i trattati sugli argomenti discussi, e in vista di tali conferenze di affidare il lavoro preparatorio a un comitato di delegati governativi, la cui presidenza venne assunta da Spaak (D. 46). La delegazione italiana, la cui presidenza venne affidata all’On. Lodovico Benvenuti, fu composta dall’Ambasciatore Attilio Cattani (Direttore Generale degli Affari Economici del Ministero degli Affari Esteri); dal primo segretario Roberto Ducci e dal secondo segretario Franco Bobba (della stessa Direzione Generale); da Aldo Silvestri Amari (Direttore Generale del Ministero del Commercio e Industria); da Giuseppe Ferlesch (Direttore Generale del Ministero del Commercio Estero); dal Prof. Felice Ippolito (Segretario Generale del Comitato Nazionale delle Ricerche Nucleari); da Giovanni Rivano (del Ministero del Tesoro); dal Prof. Guido Carli (Consigliere dell’Ufficio Italiano dei Cambi); da Achille Albonetti (Attaché presso la Rappresentanza italiana all’O.E.C.E.); dal Prof. Riccardo Monaco (Segretario Generale del Contenzioso Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri); e dall’avv. Nicola Catalano (Vice Avvocato dello Stato). (46)

Tabella 1: C.E.C.A. - Riunioni dei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. e del Comitato Intergovernativo istituito dalla Conferenza di Messina

Riunione

Data

Documenti

Conferenza dei Ministri degli Esteri dei Paesi C.E.C.A. a Messina

1-3 giugno 1955

D. 43; A1

Riunione di apertura della Conferenza Intergovernativa46

9 luglio 1955

D. 55, 57

Riunione del Comitato Direttivo

18 luglio 1955

D. 62

Riunione del Comitato Direttivo

2 agosto 1955

D. 71, 73

Riunione del Comitato Direttivo

5 settembre 1955

D. 84

Conferenza del Consiglio dei Ministri degli Esteri dei Paesi della C.E.C.A. a Noordwijk

6 settembre 1955

D. 85; A2

Riunione del Comitato Direttivo

3 ottobre 1955

D. 94

Riunione del Comitato Direttivo

1° dicembre 1955

D. 106

Conferenza dei Ministri degli Esteri dei Paesi C.E.C.A. di Bruxelles

11-12 febbraio 1956

D. 132; A3

Riunione del Comitato Direttivo

13-14 febbraio 1956

D. 134

Riunione del Comitato Direttivo

23-24 febbraio 1956

D. 145

Riunione del Comitato Direttivo

7-8-9 marzo 1956

D. 151

Sessione straordinaria dell’Assemblea Comune della C.E.C.A.

13-16 marzo 1956

D. 157, 162

Riunione conclusiva del Comitato Intergovernativo

18-21 aprile 1956

D. 166

46 Nella quale viene istituito il Comitato Direttivo della Conferenza Intergovernativa, costituito dai Capi delle Delegazioni.

Conferenza dei Ministri degli Esteri dei Paesi della C.E.C.A. a Venezia

29-30 maggio 1956

D. 177, 178, D. 180; A4

Riunione del Comitato Direttivo (Conferenza di Bruxelles)

26 giugno 1956

D. 184

Gruppo redazionale per il Mercato Comune

28 giugno 1956

D. 185

Gruppo redazionale per l’Euratom

3-4 luglio 1956

D. 197

Gruppo redazionale Euratom

14 luglio 1956

D. 189

Gruppo redazionale per il Mercato Comune

21 luglio 1956

D. 196

Riunione del Comitato Direttivo

21 settembre 1956

D. 213, 215

Conferenza del Consiglio dei Ministri degli Esteri dei Paesi della C.E.C.A a Parigi

20-21 ottobre 1956

D. 223, 224, 225; A5

Riunione del Comitato Direttivo

16 novembre 1956

D. 230

Riunione del Comitato Direttivo

22 novembre 1956

D. 232

Riunione del Comitato Direttivo

4-5 gennaio 1957

D. 244

Riunione del Comitato Direttivo

19 gennaio 1957

D. 260, 261

Riunione del Comitato Direttivo

21 gennaio 1957

D. 267

Conferenza del Consiglio dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Bruxelles

26-28 gennaio e 4 febbraio 1957

D. 271, 272, 273; A6

Riunione del Comitato Direttivo

9 febbraio 1957

D. 286

Conferenza del Consiglio dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Parigi

18 febbraio 1957

A7

Conferenza dei Capi di Governo e dei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. a Parigi

19-20 febbraio 1957

A8

N.B. I documenti pubblicati nel volume di Appendice sono indicati con la sigla A seguita dal numero del documento.

La prima riunione del Comitato dei delegati governativi, o Comitato Intergovernativo, come venne successivamente chiamato, si tenne a Bruxelles il 9 luglio 1955 e nel suo corso venne deciso di istituire un Comitato Direttivo («Comité Directeur»), composto dai Capi delle Delegazioni, e quattro Commissioni: una Commissione per il Mercato Comune, per gli Investimenti e per i Problemi Sociali (presieduta dall’olandese Prof. Verrijn-Stuart), con due Sottocommissioni, una per gli Investimenti (presieduta dall’italiano Prof. Di Nardi) e una per i Problemi Sociali (presieduta dal francese Doublet); una Commissione per l’Energia Classica (presieduta dal tedesco Heesemann); una Commissione per l’Energia Nucleare (presieduta dal francese Armand); e una Commissione per i Trasporti e per i Lavori Pubblici (presieduta dall’italiano Prof. Laloni), con una Sottocommissione per il Trasporto Aereo (presieduta dal tedesco Wegerdt). Il Comitato Direttivo tornò quindi a riunirsi a Bruxelles il 18 luglio e le Commissioni si riunirono, sempre a Bruxelles, a partire dal 20 luglio (si veda nella Tabella 1 l’elenco delle riunioni e conferenze in ambito C.E.C.A. e Conferenza intergovernativa documentate nel volume). La documentazione pubblicata consente di seguire i lavori delle Commissioni, dopo la definizione dei termini del mandato da parte del Comitato Direttivo, a partire dal 20 luglio: in particolare quelli della Commissione Mercato Comune, che, dopo la prima riunione del 22 luglio (DD. 65 e 74), si riunì dal 26 al 28 luglio (DD. 66 e 69), il 2 e il 4 agosto (DD. 71, 74 e 83). Un elemento rilevante del metodo di lavoro delle Commissioni e, in particolare, di quella per il Mercato Comune, fu lo spirito pragmatico con cui vennero affrontati i problemi, senza sollevare preliminarmente le questioni di carattere istituzionale: come osservò Ducci, «la querelle des institutions è quasi totalmente assente» (D. 83). Il 2 agosto si riunì nuovamente il Comitato Direttivo per ascoltare le relazioni dei presidenti delle Commissioni e Sottocommissioni (D. 71). Il 30 e 31 agosto si riunì ancora la Commissione per il Mercato Comune (D. 89). Una terza riunione del Comitato Direttivo si svolse il 5 settembre, alla vigilia della riunione del Consiglio dei Ministri (D. 84) (vedi Tabella 2).

Tabella 2: Riunioni della Commissione Mercato Comune del Comitato Intergovernativo

Riunione

Data

Documenti

Riunione della Commissione Mercato Comune

22 luglio 1955

D. 65, 74

Riunione della Commissione Mercato Comune

26-27-28 luglio 1955

D. 66, 69

Riunione della Commissione Mercato Comune

2 agosto 1955

D. 74

Riunione della Commissione Mercato Comune

4 agosto 1955

D. 74

Riunione della Commissione Mercato Comune

30-31 agosto 1955

D. 89

Riunione della Commissione Mercato Comune

20-21, 29 settembre 1955

D. 101

Riunione della Commissione Mercato Comune

13 ottobre 1955

D. 101

Il 6 settembre 1955 si riunì il Consiglio dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Noordwijk, presso L’Aja, nella quale occasione Spaak presentò il suo primo rapporto. Sulla conferenza si pubblica un dettagliato appunto di Magistrati, nel quale vengono riportate le dichiarazioni rese da Martino (D. 85), il verbale di una riunione interna del Ministero, presieduta dal Segretario Generale, che ebbe luogo il 12 settembre (D. 88), nonché le direttive emanate il 29 settembre dal Ministero per la Commissione Mercato Comune (D. 91). Nella riunione vennero decise le successive scadenze per il «rilancio»: il 31 ottobre (47) le commissioni di esperti avrebbero presentato le proprie conclusioni e, dopo tale data, il rapporto finale del Comitato Direttivo sarebbe stato presentato ai Governi. Il 20-21 e il 29 settembre si riunì nuovamente la Commissione Mercato Comune (D. 101), che il 13 ottobre approvò il rapporto finale; il Comitato Direttivo si riunì il 3 ottobre (D. 94) e il 1° dicembre per discutere i «documenti di lavoro» (48) , redatti a cura di Spaak, per la preparazione del rapporto finale sul Mercato Comune, dopo di che il Comitato aggiornò i lavori alla metà di gennaio; quindi sarebbero stati approntati altri documenti di lavoro che il Comitato Direttivo dei Capi Delegazioni avrebbe dovuto esaminare con il testo del rapporto finale, che sarebbe


47 Data successivamente anticipata al 15 ottobre: vedi D. 95.


48 Erano 6: il documento n. 1, sulla struttura del trattato; il documento n. 2, sul metodo per la soppressione dei diritti doganali; il documento n. 3, sulla tariffa verso i paesi terzi; il documento n. 4, sul metodo per la soppressione dei contingenti; il documento n. 5, sull’agricoltura; il documento n. 6, sulle istituzioni.

infine stato sottoposto a una nuova conferenza dei Ministri degli Affari Esteri alla fine di febbraio o all’inizio di marzo (DD. 106 e 108). I lavori tuttavia subirono una pausa in relazione alle elezioni francesi, che si svolsero il 2 gennaio 1956.

L’11 e il 12 febbraio 1956, sotto la presidenza di Spaak, si tenne a Bruxelles la Conferenza dei Ministri degli Affari Esteri dei sei membri della C.E.C.A., sulla quale si pubblica un appunto della Direzione Generale Affari Economici (D. 132). Non essendo stato redatto un rapporto finale, la riunione ebbe come principale oggetto l’esposizione orale di Spaak sugli elementi di accordo raggiunti riguardo all’«installazione» di un «mercato comune generale» fra i sei paesi e venne fissata la data del 15 marzo per la presentazione del rapporto finale, dopo di che si sarebbe tenuta, probabilmente a Roma, una nuova riunione dei Ministri. Quindi Spaak presentò una relazione, anch’essa orale, sullo stato degli studi riguardo all’Euratom, sulla base di un documento di lavoro che ricalcava il rapporto Armand. Al termine della riunione dei sei Ministri si svolse, il 13 e 14 febbraio, una nuova riunione dei Capi Delegazione, o Comitato Direttivo della Conferenza Intergovernativa, dedicata sia alla questione dell’Euratom che a quella del Mercato Comune. In merito a quest’ultimo venne esaminato a fondo il problema istituzionale, sul quale si raggiunse la determinazione di escludere «formule ideologiche» sulla sovranazionalità dal dibattito e di «disegnare le grandi linee di un edificio che sia funzionale anche se non ispirato alla logica formale delle costituzioni scritte». In sostanza, venne stabilito di adottare un sistema nel quale, diversamente dal caso della C.E.C.A., assumessero «maggiore rilievo gli organi intergovernativi rispetto a quelli comunitari»: dunque, secondo la terminologia dell’epoca, il principio federativo rispetto a quello sovranazionale. Pertanto si sarebbero riservate al «Consiglio dei Ministri» le decisioni più importanti, e in particolare quelle che avrebbero dovuto regolare il ritmo di progresso del mercato comune. Secondo la formula proposta da Spaak si sarebbe dovuto adottare il principio dell’unanimità con alcune eccezioni, trasformando quindi tale regola in quella della maggioranza qualificata. Su questo punto si aprì un dibattito, nel quale il Rappresentante francese si oppose alla rinuncia alla regola dell’unanimità e la decisione venne rinviata a una riunione successiva. Vi sarebbe poi stato un organo, provvisoriamente denominato «Commissione Europea», al quale sarebbero state affidate alcune decisioni e le istruttorie in casi di violazione delle regole, da sottoporre al giudizio della Corte; la «Corte di Giustizia della C.E.C.A.» sarebbe stata allargata nelle sue competenze; infine, l’Assemblea della C.E.C.A avrebbe visto aumentati il numero dei suoi membri e avrebbe avuto il compito di votare mozioni di censura alla Commissione e di approvare i bilanci – dunque compiti assai limitati (D. 134). Il 23 e 24 febbraio tornò a riunirsi il Comitato Direttivo per continuare la discussione dei problemi relativi all’organizzazione dell’Euratom, all’abolizione delle restrizioni quantitative sugli scambi e all’utilizzazione delle risorse comuni mediante il fondo di investimenti (D. 145). Dalla discussione emerse che non sarebbe stato possibile concludere l’esame e stilare il rapporto finale entro il 15 marzo ma solo per l’inizio di aprile e che, quindi, la successiva riunione dei Ministri si sarebbe potuta tenere solo alla fine di aprile.

Il 7, l’8 e il 9 marzo 1956 si svolse l’ultima riunione del Comitato Direttivo dei Capi Delegazione per la discussione del rapporto finale, la cui stesura venne affidata a quattro redattori: Pierre Uri, von der Groeben, Hupperts e Guazzugli. Il testo del rapporto sarebbe quindi stato diramato ai Capi Delegazione, i quali si sarebbero nuovamente riuniti il 18 aprile. Quindi la riunione dei Ministri degli Affari Esteri si sarebbe potuta tenere, probabilmente in Italia, nella seconda metà di maggio (D. 151). Dal 13 al 16 maggio, sotto la presidenza di Pella, nella sede del Senato belga, si tenne la sessione straordinaria dell’Assemblea Comune della C.E.C.A., consacrata alla discussione dei progressi compiuti sul «rilancio», sulla quale si pubblica un appunto del Direttore Generale degli Affari Politici, Cattani, e un telespresso del Capo dell’Ufficio IV della medesima Direzione, indirizzato alla Presidenza del Consiglio e ai vari Ministeri interessati (D. 157). Infine, dal 18 al 21 aprile si tennero le riunioni conclusive del Comitato Direttivo, con l’approvazione del rapporto finale, destinato a essere sottoposto ai Ministri degli Esteri nella Conferenza di Venezia. Secondo il bilancio redatto dal Direttore Generale degli Affari Economici, Cattani, se il rapporto aveva potuto essere approvato all’unanimità ciò era dovuto da un lato al fatto che le Delegazioni non impegnassero i Governi e, dall’altro lato, al fatto che le decisioni più importanti fossero state rinviate. Pur tuttavia, secondo Cattani, per quanto riguardava il mercato comune, che era «lo spauracchio di molta parte dell’opinione pubblica e non solo in Francia», si poteva rilevare che probabilmente il rapporto avrebbe convinto i «lettori in buona fede» che quel «grande esperimento non [fosse] tecnicamente irrealizzabile» (D. 166).

Dopo la distribuzione del rapporto finale (il «rapporto Spaak» (49) ), il 29 e 30 maggio, sotto la presidenza di Pineau, si svolse la Conferenza di Venezia dei Ministri degli Affari Esteri dei «Sei» per la discussione del rapporto Spaak, su cui si pubblica una relazione di Ducci, Vice Direttore Generale degli Affari Economici. Nel corso della discussione il Governo francese sollevò due obiezioni di fondo: la prima relativa alla posizione dei territori d’oltremare dei paesi membri del Mercato Comune e la seconda relativa alla necessità di non fissare un termine fisso (quattro anni, secondo il rapporto Spaak) all’attuazione delle misure attuative del Mercato Comune. Inoltre un punto su cui si registrarono divergenze fu quello dell’armonizzazione delle politiche monetarie, finanziarie e commerciali. Per quanto riguardava l’Euratom rimaneva ancora indecisa nel rapporto Spaak la questione dell’impiego a fini militari dell’energia nucleare. Su tali problemi si convenne di continuare la discussione, ma il rapporto Spaak fu approvato come «base di discussione» e fu convenuto di convocare una conferenza per la redazione dei trattati, che venne fissata a Bruxelles per il 26 giugno, sotto la presidenza di Spaak (D. 178). La Conferenza di Bruxelles fu articolata in una prima fase, nella quale sarebbero state nominate due Commissioni, una per il Mercato Comune e l’altra per l’Euratom: alla presidenza della prima venne nominato il tedesco von der Groeben e a quella della seconda il francese Guillaumat; inoltre venne nominato un terzo Comitato per la redazione e il coordinamento dei testi, alla cui presidenza fu nominato Ducci. I lavori della Conferenza proseguirono dal 26 giugno al 21 luglio 1956, per essere ripresi, dopo la pausa estiva, il 4 settembre. Nel frattempo i Capi Delegazioni si sarebbero riuniti il 10 luglio (D. 184). Il 26 luglio si riunì il Comitato Direttivo per discutere, anche alla luce del dibattito testé avvenuto all’Assemblea Nazionale francese, sull’Euratom, rinviando la discussione dei problemi alla successiva riunione, dopo il periodo di sospensione, il 6 settembre (D. 198).


49 Comité Intergouvernemental créé par la Conférence de Messine, Rapport des Chefs de Délégation aux Ministres des Affaires Étrangères, Bruxelles, 21 avril 1956, Secrétariat (Mae 120 f/56).

In questa fase, fra l’interruzione estiva e la ripresa, da parte del Governo tedesco venne sollevato, con un appunto consegnato al Governo italiano il 17 luglio, il principio del collegamento fra Euratom e Mercato Comune, nel senso che il primo doveva essere considerato parte del mercato comune generale e che quest’ultimo doveva essere considerato un «préalable» dell’integrazione atomica: vale a dire il principio del cosiddetto «Junktim» (50) fra Euratom e Mercato Comune (D. 194 e 209). Contemporaneamente da parte del Governo francese venne presentata la richiesta di un protocollo speciale per la Francia, allegato al trattato istitutivo del Mercato Comune, basato sul principio del mantenimento, «finché necessario», di tasse compensatorie e di aiuti all’esportazione (D. 211). In proposito si pubblica una lunga relazione del Capo della Delegazione italiana, Lodovico Benvenuti (D. 214). Il Governo italiano da parte sua sollevò la necessità di inserire «sufficienti garanzie» che le regole e le istituzioni create dal trattato per il Mercato Comune non intralciassero gli sforzi per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia, ma anzi «provvedano istrumenti e misure atti a consentirci [di] portare a termine [l’]opera intrapresa contemporaneamente a[lla] partecipazione a[l] mercato comune», poiché «difficilmente [l’]opinione pubblica italiana potrebbe ammettere che trattato largheggiando verso la Francia, non menzioni [il] caso italiano che è meno legato a contingenze particolari» (vedi le istruzioni di Martino del 16 ottobre 1956, D. 221).

Il 20-21 ottobre 1956 si riunì a Parigi, sotto la presidenza di Bech, la Conferenza dei Ministri degli Affari Esteri dei membri della C.E.C.A.: oltre allo stesso Bech, Pineau, Brentano, Spaak, Luns e Martino. Della Delegazione italiana faceva parte, oltre al Ministro, Badini Confalonieri. Nel corso della discussione vennero affrontati tutti i problemi sorti nel corso della fase di redazione dei trattati. Anzitutto le obiezioni francesi sulle modalità di passaggio dalla prima alla seconda fase di realizzazione del Mercato Comune, che non dovevano essere automatiche ma sottoposte a una serie di verifiche tali da conferire a ciascun paese un sostanziale diritto di recesso; sull’armonizzazione dei «carichi sociali» che dovevano essere sopportati dalle imprese; le richieste francesi relative a una «clausola di salvaguardia» da inserire nel trattato in caso di difficoltà nella bilancia dei pagamenti, e di mantenere il regime esistente di aiuti alle esportazioni e di dazi sulle importazioni. Inoltre venne affrontata la richiesta italiana di inserire una dichiarazione comune degli altri cinque Governi di riconoscimento della particolare situazione economica italiana: che dovesse essere riconosciuto che il piano di sviluppo decennale per l’eliminazione degli squilibri strutturali interni dell’economia italiana era di interesse comune della Comunità; che le istituzioni di quest’ultima dovessero «mettere in opera tutti i mezzi e le procedure consentite dal trattato per facilitare il Governo italiano in tale suo compito, particolarmente mediante un impiego adeguato dei Fondi di investimento e di riadattamento»; che fossero messi in atto tutti i mezzi «per evitare tensioni pericolose nell’economia italiana che potessero obbligare il Governo italiano a chiedere di ritardare l’applicazione del trattato»; e che, infine, in caso di crisi della bilancia dei pagamenti italiana, non dovessero essere chieste al Governo italiano «misure che possano compromettere la realizzazione del


50 Junktim, equivalente a iunctim (lat.), spesso indicato nella corrispondenza come «junctim», nel senso di «insieme a» per intendere il collegamento fra i due trattati che avrebbero dovuto essere stipulati simultaneamente.

programma di espansione economica e di aumento del livello di vita della popolazione». Infine furono discusse le questioni ancora irrisolte sull’Euratom, riguardanti la questione degli approvvigionamenti, vale a dire dell’attribuzione all’Euratom di un monopolio negli approvvigionamenti di materie prime e materiali fissili, e la questione dell’impiego dell’energia atomica per fini militari. A parte quest’ultimo problema, risolto dal fatto che il Delegato tedesco, Brentano, dichiarò di non voler sollevare la questione dell’impegno assunto con la dichiarazione del Cancelliere federale, allegata al Protocollo n. III sul controllo degli armamenti, firmato a Parigi il 23 ottobre 1954, su tutti gli argomenti discussi non venne raggiunto un accordo e la Conferenza si sciolse riconoscendo che esistevano delle divergenze sulle quali era necessaria la consultazione con i rispettivi Governi (D. 223).

La Conferenza tornò quindi a riunirsi il 16 novembre a Bruxelles, a livello del Comitato Direttivo dei Capi Delegazioni, sotto la presidenza del barone Snoy. Nel frattempo i negoziati diretti avevano consentito di superare gli ostacoli emersi nella Conferenza di Parigi e pertanto venne raggiunto un accordo sia sulla formula proposta dalla Francia per i territori d’oltre mare, sia sulla questione del passaggio dalla prima alla seconda fase verso il mercato comune, sia sulle tutele sociali francesi a favore del lavoro, sia sulla concessione alla Francia di un regime transitorio di conservazione del sistema di tasse di compensazione all’importazione e di aiuti all’esportazione, mediante una serie di formule di compromesso; inoltre, per quanto riguardava la richiesta italiana, venne convenuto di discutere il 22 novembre una formula per la dichiarazione presentata da Martino; infine, vennero discusse le soluzioni di compromesso sulle questioni riguardanti gli approvvigionamenti dell’Euratom (D. 230). Il Comitato Direttivo tornò a riunirsi il 22 novembre per discutere le formule di compromesso sulla questione dell’inclusione nel Mercato Comune dei territori d’oltre mare e, come era previsto, sulla dichiarazione riguardante l’Italia, che venne approvata (D. 232). Il Comitato si riunì nuovamente il 4 e il 5 (D. 244), il 19 (DD. 260 e 261) e il 21 gennaio 1957 (D. 267) per definire gli accordi riguardanti le varie questioni ancora sul tappeto: il fondo europeo per la formazione professionale, l’armonizzazione delle legislazioni sociali, l’associazione dei territori d’oltre mare, il problema degli organi istituzionali e della ponderazione dei voti nel Consiglio dei Ministri, le quote di sottoscrizione della Banca di Investimenti. Quindi, sulla base delle intese raggiunte, dal 26 al 28 gennaio si riunì a Bruxelles una nuova Conferenza dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. In questa occasione Martino ottenne che nel trattato venisse inserita la previsione di una procedura con la quale l’Assemblea della Comunità avrebbe potuto presentare una proposta per la sua elezione a suffragio universale diretto e il Consiglio dei Ministri, con voto all’unanimità, ne avrebbe raccomandato l’adozione ai Parlamenti nazionali (DD. 271, 272 e 273). Il 9 febbraio si tenne ancora una riunione del Comitato Direttivo dei Capi Delegazioni, nel corso della quale venne definito il testo di una dichiarazione comune dei sei Governi della C.E.C.A. sul progetto di zona di libero scambio nell’ambito dell’O.E.C.E. (D. 286). Infine, il 18 febbraio si tenne a Bruxelles l’ultima Conferenza dei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. (D. 289), a cui fece immediatamente seguito, il 19 e 20 febbraio, la Conferenza dei Capi di Governo dei «Sei». La documentazione del Ministero su questa ultima fase dei negoziati è più scarna rispetto alle fasi precedenti. In particolare non è stata rinvenuta alcuna relazione o alcun rapporto sullo svolgimento della Conferenza di Bruxelles dei Ministri degli Affari Esteri e dei Capi di Governo, dal 18 al 20 febbraio, a conclusione dell’intero negoziato. Pertanto per questa fase occorre riferirsi ai verbali ufficiali pubblicati nell’Appendice. Il volume si conclude con il discorso pronunciato il 25 marzo da Martino al Campidoglio, in occasione della cerimonia della firma dei trattati (D. 308).

2.3. I negoziati in ambito O.E.C.E. I negoziati sul «rilancio europeo» furono avviati, come si è detto, come progetto di allargamento delle competenze della C.E.C.A. e, quindi, nell’ambito di tale istituzione fra i suoi sei membri. La proposta di Spaak, tuttavia, riguardava l’allargamento della competenza della C.E.C.A. al campo dell’energia atomica e ciò pose un problema di conflitto di competenza con l’Organizzazione europea per la cooperazione economica (O.E.C.E.) (D. 12); inoltre, quando l’oggetto del negoziato venne modificato e ampliato a comprendere il progetto di costituzione di un mercato comune, con la ripresentazione di quello che era stato il piano Beyen, il problema di un conflitto di competenza con l’O.E.C.E. divenne anche più rilevante e il Governo del Regno Unito sollevò la questione fin dall’inizio del negoziato. Pertanto, a partire dal momento iniziale del «rilancio», si svolse un parallelo negoziato nell’ambito dell’O.E.C.E. sia sul tema della cooperazione nel campo dell’energia nucleare sia su quello della formazione di un’area di libero scambio. Si sono quindi inseriti nel volume i documenti riguardanti le sedute del Consiglio dei Ministri, del Consiglio del Comitato Esecutivo e dei Capi Delegazione dell’O.E.C.E. (vedi Tabella 3).

Tabella 3: Riunioni della O.E.C.E.

Riunione

Data

Documenti

Riunione dei Capi Delegazione

22 aprile 1955

D. 16

Consiglio O.E.C.E.

24 maggio 1955

D. 29, 32

Consiglio O.E.C.E.

3 giugno 1955

D. 41

Comitato esecutivo

31 luglio 1955

D. 39

Riunione dei Capi Delegazione

6 dicembre 1955

D. 107, 114

Riunione dei Capi Delegazione

17 gennaio 1956

D. 120

Riunione dei Capi Delegazione

23 gennaio 1956

D. 122

Riunione dei Capi Delegazione

31 gennaio 1956

D. 124

Riunione dei Capi Delegazione

8 febbraio 1956

D. 129

Riunione dei Capi Delegazione

24 febbraio 1956

D. 149

Riunione dei Capi Delegazione

21 giugno 1956

D. 183

Riunione del Comitato speciale energia nucleare

28-29 giugno 1956

D.187

Riunione del Comitato speciale energia nucleare

10-12 luglio 1956

D. 188

Consiglio dei Ministri

12-13 febbraio 1957

D. 287

La contrarietà del Governo britannico nei confronti della proposta Spaak sull’allargamento delle competenze della C.E.C.A. a tutte le fonti di energia – e, peraltro, all’idea stessa di entrare in qualunque organismo a carattere sovranazionale (D. 133) – venne manifestata esplicitamente dal Delegato del Regno Unito, Sir Hugh Ellis-Rees nella riunione dei Capi delle Delegazioni che si svolse a Parigi il 22 aprile 1955 (D. 16). Ellis-Rees chiarì che il Governo di Sua Maestà era disposto a discutere sulla cooperazione nel campo dell’energia nucleare solo in sede O.E.C.E. e precisò che il rapporto sui problemi dell’energia in corso di preparazione, su richiesta dell’organizzazione, da parte di Louis Armand, presidente della Société Nationale des Chemins de Fer Français (S.N.C.F.) e dell’Union Internationale des Chemins de Fer, destinato a essere presidente dell’Euratom, il «Rapporto Armand», avrebbe dovuto occuparsi anche dell’energia nucleare. Di fronte alla presa di posizione britannica il Ministro degli Affari Esteri italiano, pragmaticamente, si espresse a favore dell’avvio di studi per la cooperazione in campo nucleare in sede O.E.C.E., se ciò fosse stato possibile (D. 27). In occasione del Consiglio dell’O.E.C.E. del 24 maggio venne esaminato il rapporto Armand e fu proposta l’istituzione di un gruppo di studio sulla cooperazione in materia nucleare (D. 32). Quindi il 3 giugno il Consiglio decise di sottoporre al Consiglio dei Ministri la proposta di istituire un gruppo di studio sulla cooperazione nel campo dell’energia nucleare, il «Gruppo di lavoro n. 10» (D. 41), e il 6 giugno approvò la costituzione di una Commissione di esperti per la cooperazione economica nel campo dell’energia generale (DD. 41 e 51). Inoltre, dopo la Conferenza di Messina, venne convenuto che il Segretariato dell’O.E.C.E. avrebbe partecipato ai lavori della Conferenza Intergovernativa di Bruxelles (D. 52).

Sin dalle prime battute del negoziato, dunque, il Governo britannico aveva manifestato la propria contrarietà alla proposta Spaak. Il 12 luglio l’Ambasciatore del Regno Unito a Roma, Sir Ashley Clarke, dichiarò a Martino che il suo Governo non era contrario all’unificazione europea, ma che «ciò che preoccupava l’Inghilterra era il costituirsi di organi sovranazionali» e che, di conseguenza, la Gran Bretagna «non poteva nutrire un desiderio molto sincero» che il negoziato di Bruxelles pervenisse a risultati concreti (D. 58). Il punto di vista britannico venne esplicitato in modo più chiaro in una riunione privata dei Capi Delegazioni dell’O.E.C.E., convocata da Ellis-Rees il 6 dicembre 1955. I «Sei» paesi, dichiarò Sir Hugh, perseguivano uno scopo politico, il raggiungimento di una forma di unità politica attraverso l’integrazione economica, istituendo un mercato comune e un’organizzazione per l’energia atomica. In tal modo si sarebbe potuto creare «un regime discriminatorio» che avrebbe attentato agli sforzi contro la discriminazione compiuti dall’O.E.C.E. e, in definitiva, avrebbe potuto provocare «la divisione dell’Europa in due campi, con inevitabile indebolimento e dissolvimento dell’O.E.C.E.» (DD. 107, 114, 115 e 116). Analoghe dichiarazioni vennero fatte da Sir Ashley Clarke in un colloquio con il Direttore Generale degli Affari Economici, Cattani, il 12 dicembre (D. 110) e dal Foreign Secretary, Macmillan, in occasione della seconda riunione del Consiglio Direttivo della U.E.O., il quale dichiarò che il Governo di Londra – pur non volendo pronunciare una «condanna» in relazione a un’Europa «a sei», avrebbe mancato al suo dovere se non avesse fatto giungere un «warning» in merito ai «pericoli insiti nel voler creare una speciale e particolare situazione economica in un solo settore dell’Europa con evidenti danni tanto nei confronti di altri paesi quanto delle organizzazioni internazionali, prima fra tutte l’O.E.C.E., oggi esistenti» (D. 112).

Fra il 17 gennaio e l’8 febbraio si svolsero le discussioni fra i Capi Delegazioni dell’O.E.C.E. sul rapporto presentato dal Gruppo di Lavoro n. 10 relativo all’energia nucleare (DD. 120, 121, 124 e 129). Come riferì in un rapporto dell’8 febbraio il Capo della Rappresentanza italiana presso l’organizzazione, Vitetti, il Governo britannico attraverso tali discussioni tentò, in una «strenua difesa» dell’O.E.C.E., di concentrare nell’ambito dell’O.E.C.E. le discussioni in tema di cooperazione sull’energia nucleare, istituendo a tale fine un «Comitato speciale» per proseguire lo studio del problema e per creare un «Comitato Direttivo per l’energia nucleare»: tentativo che, tuttavia, fallì (D. 128). Di fronte alla posizione britannica i Ministri degli Affari Esteri dei «Sei» della C.E.C.A., nella riunione di Bruxelles dell’11-12 febbraio adottarono la proposta di Martino di dichiarare che essi intendevano procedere alla costituzione dell’Euratom, ma «senza chiudere le porte a nessuno»; essi volevano rispettare gli impegni assunti con la convenzione istitutiva dell’O.E.C.E., ma intendevano «andare più lontano» di quanto gli altri paesi europei fossero pronti ad andare – espressione che in definitiva ben rappresentava le ragioni dell’iniziativa dei «Sei» (DD. 132 e 136). Nella riunione dei Capi delle Delegazioni dell’O.E.C.E. del 22 febbraio Ellis-Rees sollevò esplicitamente il problema di un possibile «intralcio» dell’opera dell’O.E.C.E., come conseguenza dei lavori a Bruxelles per il mercato comune, e i Delegati dei «Sei» risposero, conformemente alla proposta di Martino, che non si vedeva in qual modo i lavori di Bruxelles potessero intralciare l’OE.C.E., dato che non ci si voleva affatto scostare dagli impegni assunti in sede O.E.C.E. di liberazione degli scambi (D. 141). Spaak predispose quindi un testo di dichiarazione comune circa la posizione dei «Sei» in merito alla proposta di costituzione di un Comitato speciale in materia nucleare in ambito O.E.C.E. (D. 140), testo approvato da Martino, con alcune riserve, il 23 febbraio (D. 142).

Il problema dei rapporti fra le trattative per il mercato comune nell’ambito dei «Sei» e l’O.E.C.E. venne riaperto, il 12 luglio successivo, con una lettera del Segretario Generale dell’organizzazione, René Sergent, in cui veniva proposto lo studio della possibile istituzione di un sistema multilaterale di associazione fra i «Sei» di Messina e gli altri membri dell’O.E.C.E., mediante la creazione di una «zona di libero scambio» (D. 195). Il 30 novembre 1956 il Cancelliere dello Scacchiere del Regno Unito, Sir Harold Macmillan scrisse una lettera a Martino – e agli altri Ministri degli Esteri dei «Sei» – in cui annunciava la decisione del Governo di Sua Maestà di negoziare la formazione in Europa di una zona di libero scambio parziale fra i paesi membri dell’O.E.C.E., in associazione con l’Unione Doganale che era in corso di elaborazione nei negoziati di Bruxelles (D. 235 e, per la risposta di Martino, D. 243). La questione venne poi discussa, fra l’altro, nel corso degli incontri avvenuti a Roma il 17 gennaio 1957, fra Martino e il Segretario agli Esteri del Regno Unito, Selwyn Lloyd. Martino, confermando la linea di apertura verso la Gran Bretagna già ribadita più volte, dichiarò che il Governo italiano attribuiva una grande importanza alla partecipazione del Regno Unito al nuovo sistema economico, «senza di cui la formazione dell’Europa rimarrebbe quanto meno imperfetta» (D. 256).

La zona di libero scambio fu quindi oggetto di un promemoria britannico, presentato all’inizio di febbraio, affinché fosse oggetto della riunione del Consiglio dei Ministri dell’O.E.C.E. del 12-13 febbraio (D. 284). In vista della discussione l’8 febbraio si svolse una riunione interministeriale, con la partecipazione dei Rappresentanti di tutti i Ministeri interessati (D. 285). Infine, il 12-13 febbraio, sotto la presidenza del Cancelliere dello Scacchiere del Regno Unito, si tenne la riunione del Consiglio dei Ministri dell’O.E.C.E., alla quale, per l’Italia, parteciparono i Ministri del Bilancio, Adone Zoli, e del Commercio Estero, Bernardo Mattarella, nonché i Sottosegretari Badini Confalonieri e Ferrari Aggradi. La riunione si concluse con la decisione di iniziare i negoziati per la creazione di una zona di libero scambio, dando mandato al Presidente di proporre la costituzione di gruppi di lavoro per l’elaborazione del progetto (D. 287) e il 5 marzo venne discusso in una riunione dei Capi delle Delegazioni il documento contenente le proposte del Presidente (D. 300). Vennero quindi costituiti tre gruppi di lavoro, che il 20 marzo conclusero la prima sessione di lavori, alla vigilia della firma, a Roma, del trattato istitutivo del Mercato Comune.

2.4. Le riunioni della U.E.O. e la proposta politica di Martino. Il negoziato in ambito della C.E.C.A. per il «rilancio» europeo è logicamente collegato all’attività dell’Unione dell’Europa Occidentale, dato che quest’ultima era stata costituita proprio all’indomani del fallimento definitivo della Comunità Europea di Difesa (C.E.D.), la quale avrebbe dovuto, secondo le intenzioni di alcuni, essere la futura sede dell’integrazione europea. E in effetti la prima riunione dei Ministri che costituivano il Consiglio Direttivo dell’Unione dell’Europa Occidentale ebbe luogo a Parigi, contemporaneamente alla riunione del Consiglio Atlantico, prima presso l’Ambasciata francese e poi presso il Quai d’Orsay, sotto la presidenza di Macmillan, e proprio in questa occasione i Ministri del Benelux presentarono il memorandum con cui proponevano il rilancio del processo di integrazione fra i paesi membri della C.E.C.A. (D. 22). Nella seconda riunione del Consiglio Direttivo Macmillan dichiarò la contrarietà del Regno Unito alla creazione di un mercato unico europeo fra i sei membri della C.E.C.A. (D. 112).

La riunione del Consiglio Direttivo del 10 dicembre 1956 ebbe una particolare importanza in relazione all’integrazione europea, in quanto in tale occasione Martino presentò la proposta politica italiana di completare l’integrazione economica con un’associazione politica: «l’integrazione economica – affermò Martino – non basta; è indispensabile che essa sia completata da una vera associazione politica». A tale scopo Martino avanzò due proposte concrete: la prima era di dare una «maggiore autorità e più poteri effettivi» all’Assemblea dell’U.E.O. mediante la sua elezione diretta dai popoli dei sette paesi membri e conferendole il potere di formulare norme legislative e di emettere raccomandazioni, che sarebbero divenute esecutive dopo l’approvazione dei Parlamenti nazionali; la seconda proposta era di modificare la competenza del Consiglio, che sarebbe dovuto divenire la sede di una «consultazione politica costante ed efficace», secondo quanto previsto dall’articolo 8 del Trattato di Bruxelles. Sulle proposte di Martino il Consiglio Direttivo decise di avviare delle consultazioni fra i Governi e di invitare il Segretario Generale a redigere un rapporto sulle due proposte (D. 239, Allegato). Lo stesso tema venne ripreso da Martino anche nella riunione dei Ministri del Consiglio d’Europa del 15-16 dicembre 1956, indicando, appunto, nel Consiglio d’Europa un «centro di consultazioni costanti e regolari» per tutte le questioni non militari, nelle quali era bene che «un’Europa sempre più vasta si presenti con una politica comune» (D. 240).

La successiva riunione del Consiglio dei Ministri dell’U.E.O., tenutasi il 26 febbraio 1957 a Londra, presso la Lancaster House, fu occupata prevalentemente dal problema della riduzione delle forze britanniche stazionate in Germania. Venne tuttavia discusso il problema della necessità di intensificare le consultazioni di carattere politico, istituendo almeno quattro riunioni del Consiglio dei Ministri, e quello dell’unificazione delle assemblee parlamentari europee (D. 299), argomento, quest’ultimo, destinato a essere ampiamente discusso successivamente alla firma dei Trattati di Roma.

Tabella 4: Riunioni della U.E.O.

Riunione

Data

Documenti

Commissione ad interim dell’U.E.O.

2 maggio 1955

D. 20

Consiglio dei Ministri:

Consiglio direttivo dell’U.E.O.

9-11 maggio 1955

D. 22

Consiglio direttivo dell’U.E.O.

4-5 luglio 1955

D. 53

Consiglio direttivo dell’U.E.O.

14 dicembre 1955

D. 112

Consiglio direttivo dell’U.E.O.

10 dicembre 1956

D. 239

Consiglio direttivo dell’U.E.O.

26 febbraio1957

D. 299

Assemblea

5 luglio 1955

D. 61

Tabella 5: Riunioni del Consiglio d’Europa

Riunione

Data

Documenti

Comitato dei Ministri

4-5 luglio 1955

D. 53

Comitato dei Ministri

15-16 dicembre 1956

D. 240

Assemblea Consultiva

5-9 luglio 1955

D. 56

2.5. Incontri bilaterali. Come si è detto, si sono inseriti in versione integrale i documenti riguardanti gli incontri bilaterali fra l’Italia e altri Governi europei che si svolsero nel periodo dei negoziati sul «rilancio», ancorché riguardarono – come sempre in queste circostanze – una serie di problematiche non direttamente connesse ai negoziati stessi, in modo da consentire di avere un quadro complessivo dei rapporti con i Governi interessati alla questione europea.

Il 9 settembre 1955 Martino si recò a Londra dove ebbe un incontro con il Foreign Secretary, Harold Macmillan. Oltre a discutere varie questioni sulla politica europea e, in particolare, l’esclusione dell’Italia dalle trattative sul problema della Germania, Martino informò Macmillan circa lo svolgimento della Conferenza di Noordwjik e sugli sviluppi successivi alla Conferenza di Messina (D. 87).

Il 7 febbraio 1956 si svolse la visita a Berlino di Segni e Martino e l’incontro con Adenauer e von Brentano. Il colloquio fu dedicato in gran parte proprio al «rilancio», a proposito del quale da parte tedesca venne sottolineata l’importanza che l’Euratom fosse legato alla formazione progressiva di un mercato comune, dunque enunciando il principio dello «Junktim». A proposito delle difficoltà che presentava la situazione parlamentare francese per una positiva conclusione delle trattative, Martino dichiarò che, pur essendo difficile immaginare un processo di integrazione europea senza la Francia, egli riteneva che l’obiettivo fosse così importante, da doversi porre il quesito, nel caso in cui la Francia facesse «macchine indietro», della convenienza di continuare a lavorare per un’Europa «a cinque», così che la «grande idea potrebbe essere conservata e difesa». Anche von Brentano si dichiarò d’accordo (DD. 126 e 135).

Il 25 aprile Martino incontrò al Quai d’Orsay il Ministro degli Affari Esteri francese, Pineau. Il colloquio fu dedicato a un’ampia serie di argomenti, dalla situazione in Medio Oriente, alla questione della candidatura italiana all’O.N.U. e a quella del disarmo. Per quanto riguarda le trattative sull’integrazione europea Pineau, confermando le preoccupazioni di cui Martino aveva discusso con von Brentano e Adenauer, dichiarò che, nella situazione del momento, «mai si sarebbe trovata una maggioranza parlamentare per accettare progetti destinati a favorire soluzioni di carattere sopranazionale del tipo della C.E.C.A.» (D. 170). L’incontro italo-francese proseguì con la riunione del 26 e il 27 aprile all’Eliseo fra il Presidente della Repubblica, Gronchi, e Martino con l’Ambasciatore Quaroni, da una parte, e il Presidente Coty, il Ministro degli Affari Esteri, Pineau e l’Ambasciatore di Francia a Roma, Fouques-Duparc, nonché, nella riunione del 27, il Presidente del Consiglio francese, Mollet. Oltre a trattare le altre questioni già discusse il 25, venne nuovamente affrontato il tema della difficoltà di far passare al Parlamento francese il progetto di integrazione. Mollet dichiarò che per l’Euratom vi era «qualche chance», mentre per il mercato comune non ve ne era nessuna. Inoltre, su proposta italiana, venne esaminato il problema della riunificazione tedesca. Martino sottolineò il legame di interdipendenza fra la riunificazione, il disarmo e la sicurezza, affermando che non si poteva parlare di disarmo senza sicurezza e che non si poteva parlare di sicurezza fino a quando non si fosse eliminato il grave pericolo per la pace che era costituito dalla «non riunificazione della Germania» (D. 172).

Dal 1° al 4 luglio ebbero luogo le conversazioni di Segni, Saragat e Martino con Adenauer e von Brentano, giunti a Roma in restituzione della visita italiana a Bonn del febbraio precedente. I colloqui si svolsero in parte alla Presidenza del Consiglio e in parte al Ministero degli Esteri ed ebbero come argomenti principali la valutazione della situazione politica generale, con particolare riferimento alla riunificazione tedesca, e le questioni economiche italo-tedesche (D.186). Nelle conversazioni di carattere economico venne constatata l’identità di vedute dei due Governi sulla necessità di proseguire gli sforzi comuni per favorire il processo di integrazione europea e l’opportunità, a tale fine, di una più stretta collaborazione economica italo-tedesca. Accordo esplicitatosi nel Protocollo confidenziale firmato da von Brentano e Martino dove è detto: «Essi [i due Governi] hanno riconosciuto che una più stretta collaborazione economica è non solo interesse dei due paesi ma interesse generale dell’Europa e che tale cooperazione rappresenta un forte contributo agli sforzi per una integrazione economica dell’Europa» e dove si assicura la collaborazione tedesca ai piani di sviluppo italiani intesi come «un problema di interesse non soltanto italiano ma di interesse generale europeo» (D. 186, Allegato).

Il 17 gennaio 1957 il Segretario agli Esteri del Regno Unito, Selwyn Lloyd si recò in visita a Roma ed ebbe un incontro con Martino, con la presenza anche del visconte Hood. Venne discusso lo svolgimento della visita di Spaak a Londra, concernente il progetto di Trattato per il Mercato Comune e quello sull’area di libero scambio. Nelle discussioni con Spaak, il Governo britannico aveva fatto presente che si sarebbe trovato in una posizione difficile se non fossero state inserite nel trattato sul mercato comune delle disposizioni che consentissero la sua successiva adesione tramite l’area di libero scambio. Martino – come si è accennato – ribadì il principio più volte sostenuto dal Governo italiano dell’importanza di un’adesione britannica al nuovo sistema economico (D. 256).

3. Uffici del Ministero degli Affari Esteri

La struttura dell’amministrazione centrale del Ministero degli Affari Esteri, nel periodo trattato nel volume, era articolata come segue.

Il Ministro degli Affari Esteri, dal 19 settembre 1954 al 6 maggio 1957, era Gaetano Martino, deputato al Parlamento. Il Gabinetto del Ministro, a capo del quale era Bartolomeo Migone, era costituito da una Segreteria Particolare del Ministro. I Sottosegretari di Stato erano Vittorio Badini Confalonieri, Lodovico Benvenuti (fino all’8 luglio 1955), Francesco Maria Dominedò (fino all’8 luglio 1955), Dino Del Bo e Alberto Folchi (entrambi dal 9 luglio 1955).

Il Segretario Generale era l’ambasciatore Alberto Rossi Longhi. Dalla Segreteria Generale dipendevano direttamente vari uffici: il Contenzioso diplomatico, il Servizio Stampa (dal 1954 Ufficio Stampa), l’Ufficio M.I.L. (Memorandum d’Intesa Londra), il Servizio Cifra e Crittografico, il Consulente storico, l’Ispettore Generale del Ministero (fino al 1954), il Servizio O.N.U. (istituito l’8 luglio 1956), il Servizio Studi, articolato in Ufficio Studi e documentazione, Archivio Storico e Biblioteca (costituito il 28 luglio 1956), l’Ufficio Trattati (fino al 1956) e l’Ufficio del Consulente Giuridico per le questioni relative alla proprietà industriale, letteraria, artistica nel campo internazionale (nel 1956).

La Direzione Generale degli Affari Politici, a capo della quale era il Ministro plenipotenziario Massimo Magistrati, era articolata in sette uffici, oltre a un Ufficio Cooperazione Internazionale, soppresso il 31 maggio 1956 e sostituito da un Ufficio N.A.T.O e da un Ufficio Cooperazione Europea.

La Direzione Generale degli Affari Economici, a capo della quale era il Ministro plenipotenziario Attilio Cattani, era articolata in sette uffici, oltre a una Delegazione italiana per la cooperazione economica europea.

Vi erano poi una Direzione Generale del Personale e dell’Amministrazione Interna, un Servizio del Cerimoniale, un ufficio dell’Agente Generale per le Commissioni di conciliazione, una Direzione Generale dell’Emigrazione, un Servizio Affari Privati, una Direzione Generale delle relazioni culturali con l’estero, un Servizio Affari Generali, un Ufficio Traduzioni, una Commissione per il riordinamento e la pubblicazione dei documenti diplomatici, una Direzione Generale per gli affari della amministrazione italiana del territorio sotto tutela della Somalia, un Servizio Economico Trattato (S.E.T.) e una Ragioneria Generale.

In appendice all’Introduzione si fornisce il dettaglio dell’organigramma dell’amministrazione centrale del Ministero.

4. Fondi utilizzati

Le ricerche sono state effettuate principalmente sui fondi conservati presso l’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. I fondi utilizzati sono i seguenti:

A) Uffici centrali

a) Cifra, Telegrammi segreti e ordinari, in partenza e in arrivo,1955-1957

b) Gabinetto del Ministro, versamento 1943-1958

c) Gabinetto del Ministro, versamento 1953-1961

d) Direzione Generale Affari Politici, Ufficio I, versamento 1951-1957

e) Direzione Generale Affari Politici, Ufficio I, versamento 1945-1960

f) Direzione Generale Affari Politici, Ufficio I, versamento 1947-1962

g) Direzione Generale Affari Politici, Ufficio IV, versamento 1951-1957

h) Direzione Generale Affari Politici, Ufficio V, versamento 1951-1957

B) Rappresentanze diplomatiche:

i) Ambasciata d’Italia a Londra, versamento 1955-1962

j) Ambasciata d’Italia a Parigi, versamento 1951-1958

k) Ambasciata d’Italia a Washington, versamento 1940-1973

C) Archivi di personalità:

l) Roberto Ducci, 1955-1963

L’archivio del Gabinetto del Ministro, nei due versamenti che comprendono gli anni in questione, presenta un contenuto disuguale e incompleto. Di maggiore consistenza è l’archivio della Direzione Generale degli Affari Politici, che contiene la documentazione più ricca sul rilancio europeo. Inoltre l’archivio dell’Ambasciata a Parigi ha rappresentato una delle fonti di maggiore consistenza e completezza e ha consentito di integrare la documentazione degli uffici dell’Amministrazione centrale.

I due fondi della Direzione Generale Affari Economici rilevanti, vale a dire la Direzione Generale direttamente competente per l’integrazione economica, secondo gli elenchi di consistenza (Direzione Generale Affari Economici, Ufficio IV, 1948-1958 e Direzione Generale Affari Economici, Ufficio IV, 1950-1956), nonostante le accurate ricerche svolte presso l’Archivio Storico, sono risultati irreperibili. Si è dunque supplito mediante le copie dei rapporti e appunti smistati agli altri uffici. Inoltre, per quanto riguarda gli archivi delle Ambasciate d’Italia a Bruxelles, a L’Aja e a Lussemburgo, sono state versate all’Archivio storico le raccolte dei telegrammi e parte dei carteggi, pertanto non sono disponibili i documenti relativi agli anni in oggetto.

Inoltre presso l’Istituto Universitario Europeo Firenze, Archivio Storico dell’Unione Europea, è stato consultato il seguente fondo:

- Archivi di personalità: Paul-Henri Spaak, PHS-06 – Troisième mandat en tant que ministre des Affaires étrangères

5. Riconoscimenti

I curatori desiderano in primo luogo esprimere il proprio apprezzamento nei confronti degli organi del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale per aver voluto, deciso e appoggiato la pubblicazione di questo volume, con il fine di approfondire e diffondere la conoscenza dell’operato del Governo italiano nella politica internazionale: in particolare S.E. il Ministro, On.le Paolo Gentiloni, S.E. il Ministro, On.le Angelino Alfano; il Segretario Generale, S.E. Ambasciatore Michele Valensise e S.E. Ambasciatrice Elisabetta Belloni; il Capo dell’Unità Analisi, Programmazione e Documentazione Storico-Diplomatica, Ministro Armando Barucco; il Consigliere Tommaso Coniglio e il Consigliere Ugo Boni.

Un riconoscimento particolare deve essere poi rivolto al personale del Ministero che ha partecipato a vario titolo alla preparazione del volume con eccezionale competenza, impegno e passione.

Le ricerche del materiale nei fondi del Ministero sono state effettuate dalle Archiviste di Stato della Sezione Pubblicazione Documenti Diplomatici, Dott.ssa Maria Laura Piano Mortari, Dott.ssa Antonella Grossi, Dott.ssa Ersilia Fabbricatore, Dott.ssa Francesca Grispo e Dott.ssa Rita Luisa De Palma. In particolare la Dott.ssa Piano Mortari ha collaborato alla fase iniziale della ricerca storico-archivistica fino all’ assunzione di un nuovo incarico e la Dott.ssa Grossi, capo della Sezione, ha diretto e coordinato le ricerche, curato la revisione critica dei documenti e la redazione del volume. Inoltre, la Dott.ssa Grispo ha provveduto alla ricostruzione della struttura organizzativa e dell’organigramma del Ministero, la Dott.ssa De Palma ha predisposto la tavola della segnatura archivistica dei documenti dei fondi dell’Archivio Storico-Diplomatico e la Dott.ssa Fabbricatore ha coordinato le ricerche per l’indice dei nomi. Inoltre, le Archiviste di Stato della Sezione hanno approntato l’indice sommario, collaborato alla redazione dell’apparato critico e predisposto il volume per la stampa.

I curatori devono inoltre ringraziare i ricercatori e docenti che hanno collaborato alle ricerche e alla revisione dei testi. Il Dott. Benedetto Zaccaria ha effettuato le ricerche presso l’Archivio Storico dell’Unione Europea e la dott.ssa Giulia Bentivoglio ha effettuato il controllo del fondo Gaetano Martino presso l’Archivio del Senato della Repubblica. La Prof. Valentina Sommella ha curato la revisione e collazione dei testi dei verbali delle riunioni del Comitato Intergovernativo editi nel volume di appendice. Il Dott. Andrea Liberatori ha collaborato alla revisione dei testi e alle ricerche storiche sui nomi del relativo indice.

Un particolare riconoscimento va al Dott. Vittorio Barnato del Ministero del-l’Economia e Finanze per aver costantemente sostenuto il progetto della nuova collana tematica, anche nei suoi aspetti tecnici innovativi legati alla digitalizzazione del materiale documentario, e all’Istituto Poligrafico dello Stato, ed in particolare ai funzionari Dott. Luca Fornara, Dott. Luca Sciascia e Dott. Alberto De Luca per la cura e la qualità dell’opera redazionale e tipografica di allestimento dei volumi.

I curatori hanno l’esclusiva responsabilità dell’impostazione del volume, della scelta dei documenti pubblicati e dei criteri dell’edizione, nonché della redazione dell’apparato critico e dell’Avvertenza. Le ricerche e la scelta del materiale sono state effettuate con criteri esclusivamente scientifici da parte dei curatori e con assoluta indipendenza.

Prof. Antonio Varsori

Prof. Francesco Lefebvre D’Ovidio

Norme editoriali

I documenti vengono presentati in edizione non diplomatica. Sono state rispettate le sigle, l’uso delle maiuscole, le denominazioni degli organi, delle cariche, ecc. dei testi originali. I documenti si pubblicano integralmente e senza apportare alcuna modifica od omissione. Le sottolineature nel testo sono state indicate con l’uso del corsivo.

I documenti sono presentati in ordine cronologico; per i telegrammi si considera l’ora della partenza. Nel caso di verbali di riunioni o di appunti in cui è contenuto il riassunto di una riunione o di un colloquio, il documento è stato inserito sotto la data in cui si è svolto il colloquio o la riunione, anche se la data di redazione del verbale o dell’appunto è successiva; quando il documento reca una data, questa è comunque indicata in nota. Per i riferimenti a documenti di data precedente al 2 aprile 1955 si è preferito non riassumerne il contenuto in nota poiché se ne prevede la pubblicazione nel volume che documenterà il relativo periodo storico.

I documenti delle Ambasciate o Legazioni sono considerati indirizzati al Ministero a meno che non risultino espressamente indirizzati al Ministro o ad altro funzionario. I documenti in partenza dalle Ambasciate o Legazioni sono attribuiti al titolare a meno che non risultino firmati da altro funzionario.


DOCUMENTI
1

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA COMUNEDELLA C.E.C.A., PELLA,CON IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DEL BELGIO, SPAAK

Appunto1. Bruxelles, 2 aprile 1955.

Il Ministro degli Esteri belga Spaak ha informato il Presidente Pella, in un colloquio avuto con lui a Bruxelles il 2 aprile 1955, che nella riunione del Consiglio speciale di Ministri della C.E.C.A. – che secondo le sue previsioni avrebbe dovuto riunirsi il 24 o 25 aprile al livello Ministri degli Esteri per nominare il nuovo Presidente dell’Alta Autorità2 – era sua intenzione proporre a nome del Benelux l’estensione delle competenze della Comunità alle altre fonti di energia (elettricità, petrolio, ecc.) ed ai trasporti.

Il Ministro Spaak ha aggiunto di aver intrattenuto al riguardo l’Ambasciatore di Gran Bretagna a Bruxelles il quale, informato il Foreign Office, gli ha risposto che il Governo di Londra aveva preso atto di questa intenzione. Spaak interpreta la risposta nel senso che Londra non costituisce un ostacolo, pur non volendo assumere atteggiamenti che possano apparire troppo avanzati.

Spaak ha concluso esprimendo il proposito di prendere nuovamente contatto con il Governo britannico prima della riunione, ed ha lasciato comprendere come, salvo una posizione contraria da parte inglese che non prevedeva dopo la prima risposta, fosse sua intenzione presentare senz’altro la proposta.

Il Ministro Spaak e il Presidente Pella sono rimasti alla fine d’accordo che quest’ultimo, al suo rientro a Roma avrebbe in via breve messo al corrente il Governo italiano del progetto di Spaak.


1 Trasmesso alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e L’Aja, alla Legazione a Lussemburgo e alla Delegazione presso l’O.E.C.E., a Parigi, con Telespr. 44/05339 del 9 aprile. Con tale telespresso Rossi Longhi, nel richiedere informazioni alle Ambasciate a Londra e a Parigi e alla Delegazione presso l’O.E.C.E. sugli orientamenti britannici e francesi circa l’iniziativa di Spaak, aveva anche comunicato: «D’altro canto da notizie apparse sulla stampa sulle dichiarazioni recentemente fatte dal Presidente Faure, risulta che il Governo francese avrebbe in animo di presentare in prosieguo proposte di ulteriore integrazione europea nel campo dei trasporti e dell’energia nucleare, senza peraltro precisare in quale quadro e con quali formule le proposte francesi potrebbero estrinsecarsi». Per le risposte vedi DD. 8, 9 e 10.


2 Il nuovo Presidente, René Mayer, venne nominato nella riunione dei Ministri degli Affari Esteri tenutasi a Messina dal 1° al 3 giugno: vedi Appendice documentaria, D. 1.

2

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 557/3491. Parigi, 4 aprile 1955.

Oggetto: Riconferma Monnet alla presidenza dell’Alta Autorità.

Riferimento: Telegramma n. 3099/c. di codesto Ministero2.

Al Quai d’Orsay, presso cui è stato effettuato un sondaggio nel senso indicato nel telegramma surriferito, ci è stato detto:

1) le dimissioni di Monnet3, avvenute in un clima interno certo totalmente diverso dall’attuale, hanno messo il Governo francese in una difficile situazione, dato che si ritiene, qui, almeno, che, in certe ipotesi, potrà essere assai difficile alla Francia di mantenere la presidenza della C.E.C.A. Non ci si fanno infatti illusioni circa la possibilità che la candidatura di Ramadier alla presidenza del Pool Carbone Acciaio possa essere accolta internazionalmente.

2) Le difficoltà che il Governo di Parigi ha dovuto superare con sforzo ben maggiore di quanto l’esito della votazione non lasci immaginare, per la ratifica da parte del Senato francese, dell’U.E.O., non permettono di supporre che esso, anche se favorevole (almeno per quanto riguarda il Ministro degli Esteri), ad ulteriori sviluppi in senso europeistico dell’Istituzione, possa proporre od anche accettare tanto più nel breve spazio di tempo che intercorre da oggi alla riunione del Consiglio dei Ministri del 23 aprile, un impegno di proseguire l’integrazione europea in senso sopranazionale nel settore dei trasporti e dell’energia.

Non si ritiene nemmeno, al Quai d’Orsay, che nelle prossime settimane si possa giungere ad una dichiarazione, anche di carattere meno impegnativo, che possa consentire a Monnet di ritirare le dimissioni da lui offerte.

3) In tali condizioni, il Governo francese ritiene che non resti altro se non di accettare, sia pure nella mutata situazione, le conseguenze del gesto impulsivo fatto a suo tempo da Monnet. Tutti gli sforzi francesi si dirigono ora nel trovare eventualmente un altro candidato, in sostituzione di Ramadier, che possa riunire intorno a sé tutti i suffragi dei vari paesi e che possa quindi, con probabilità di successo, essere designato alla presidenza della Comunità.


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.


2 T. 3099/c. del 2 aprile 1955 di Rossi Longhi diretto alle Ambasciate a Parigi, Bonn, Bruxelles e L’Aja, con il quale veniva ritrasmesso il T. 4460/144 del 31 marzo da Strasburgo contenente il resoconto di un colloquio tra Monnet e Pella dello stesso giorno del seguente tenore: «Monnet ha detto oggi a Pella che momento è favorevole per ripresa europeista e che, a suo avviso, sarebbe possibile ottenere da Governi Comunità in prossima riunione Ministri Esteri impegno proseguire integrazione di tipo sopranazionale in settori trasporti ed energia. In tal caso, Monnet ha aggiunto, cadrebbero riserve da lui formulate ed egli sarebbe disposto restare presidenza Alta Autorità. Quanto a me non ho dubbi che Monnet oramai, solo che ciò sia decentemente spiegabile, desideri restare al suo posto. Ho invece serii dubbi su asserita possibilità ottenere impegno Governi nel senso indicato da Monnet. Mi risulta fra l’altro che integrazione del settore energia non sarebbe molto ben vista da americani. Personalmente ritengo che il massimo che si potrebbe forse ottenere in riunione Ministri Esteri è dichiarazione non impegnativa buone intenzioni sei Governi nei confronti nota iniziativa Assemblea Comune per studiare sviluppi integrazione nel campo energia e trasporti. Non credo sbagliarmi affermando che dichiarazione del genere, anche se piuttosto platonica, potrebbe essere sufficiente per dar modo a Monnet ritirare sue dimissioni. Mi sono espresso in tal senso con Presidente Pella il quale consulterà Spaak a Bruxelles circa sua eventuale iniziativa». In relazione al colloquio e alle osservazioni della Rappresentanza, Rossi Longhi chiedeva di effettuare opportuni sondaggi presso i rispettivi Governi per conoscere quanto risultasse e circa le eventuali reazioni in merito: «1. circa riconferma Monnet presidenza Alta Autorità; 2. circa integrazione sopranazionale settori trasporti e energia». Infine Rossi Longhi comunicava che il Ministro degli Affari Esteri, Martino, aveva accettato la data del 23 aprile per l’elezione del Presidente della C.E.C.A.


3 Il 10 novembre 1954 Jean Monnet, Presidente dell’Alta Autorità della C.E.C.A., annunciò che alla fine del suo mandato, il 10 febbraio 1955, non si sarebbe candidato per una riconferma.

3

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

Appunto. Roma, 5 aprile 1955.

APPUNTO CIRCA LA MIA VISITA A BONN DEL GIORNO 28 MARZO 1955

Signor Ministro,

durante la giornata della mia permanenza nella capitale della Repubblica Federale Tedesca ebbi l’occasione di intrattenermi con colleghi parlamentari francesi, belgi, olandesi e germanici facenti parte del Gruppo di lavoro della Commissione costituzionale dell’Assemblea ad hoc1; inoltre il Cancelliere Adenauer volle molto cortesemente ricevermi un quarto d’ora prima dell’udienza collettiva concessa ai membri del Gruppo di lavoro.

Nel pomeriggio poi mi intrattenni abbastanza lungamente col Dr. Enrico von Brentano, la cui assunzione come titolare del Ministero degli Esteri sembrerebbe quasi certa ed ormai imminente.

Non posso che essere grato per la cordialità con cui il Cancelliere Adenauer volle sia pur brevemente intrattenermi, e per il vivo interesse dimostrato per la posizione dell’Italia nell’attuale momento politico.

Egli chiese informazioni circa il viaggio dell’On. Scelba in America e si espresse in modo particolarmente simpatico nei confronti del Ministro Martino richiamandosi a contatti con lui avuti in occasione della stipulazione dei Trattati di Parigi.

Ma a parte questa atmosfera di cortesia, meritano di essere sottolineate alcune note su cui il Cancelliere (nel colloquio privato o nella «conversazione» collettiva) si soffermò in modo particolare.

a) Durante il mio colloquio non esitai a porre al Cancelliere quelli che mi sembrano essere i termini essenziali del problema europeo: se sia possibile cioè una ripresa della politica di integrazione a sei nel quadro dell’Unione Europea Occidentale ossia nel quadro dell’Europa a sette.

Devo dire che la risposta del Cancelliere fu ottimistica e tuttavia evasiva. Egli non rispose direttamente all’interrogativo, se cioè la Gran Bretagna sia veramente disposta, anche dopo il «gran gesto» fatto colla sua adesione all’U.E.O., a dare la sua benedizione alla formazione nel quadro U.E.O. di un più ristretto nucleo continentale.

Il Cancelliere preferì esprimere la sua fiducia che l’Inghilterra a poco a poco finirà essa stessa per affiancarsi ai paesi continentali ai fini dell’integrazione: il Cancelliere insistette nel dire che non una ma parecchie volte il termine «integrazione» è contenuto nei Trattati U.E.O. e che questo rappresenta per l’Inghilterra un notevole impegno. Egli peraltro insistette nell’affermare che occorre sempre tenere presente la speciale posizione dell’Inghilterra nei confronti dell’Europa e degli altri paesi di lingua inglese.

In sostanza sembra non siano da attendersi per ora da parte germanica particolari iniziative nel senso di una ripresa di politica soltanto «continentale». Non credo cioè che almeno nel 1955, a ratifiche depositate, sorgerà in Germania un nuovo Schuman o un nuovo Pleven deciso a prendere delle nuove iniziative tipo C.E.C.A. o tipo C.E.D.

Evidentemente la lunga quarantena in cui si è tenuta la Germania e sopratutto il rigetto della C.E.D. da parte del Governo francese – il quale non ha tenuto conto alcuno dell’impegno convinto e battagliero con cui il Cancelliere ha portato in porto tempestivamente le ratifiche – influiscono sulla prudenza del Cancelliere. Prudenza, naturalmente, nei confronti della politica «continentale». Prudenza tanto più giustificata dato il peso crescente della Repubblica Federale nella valutazione del nuovo grande alleato europeo, la Gran Bretagna, col quale Adenauer vuole evidentemente stringere e non allentare i vincoli. E ciò implica per la Germania lo sforzo di non incrinare il quadro dell’alleanza a sette con un affrettato ritorno alla politica a sei.

b) Il problema della sorte del Gruppo di lavoro dell’Assemblea ad hoc (praticamente liquidato!) mi ha permesso di saggiare ulteriormente la posizione germanica nei confronti dell’unificazione europea. Si tratta di un sintomo, ma non senza significato.

Nella seduta di lunedì 28 del Gruppo di lavoro venne sostenuta, da parte belga e da parte olandese, la tesi che se il Gruppo di lavoro giustamente non può più dar luogo ad onere finanziario per i Governi, esso dovrebbe però giuridicamente sopravvivere per alcuni mesi ancora (senza spese) fin quando non avesse trasmesso in un certo senso la propria eredità politica ai nuovi organi destinati ad occuparsi del problema europeo.

Io stesso appoggiai questa tesi proponendo la vecchia formula del diritto successorio: «Le mort saisit le vif». In questo caso il vivo esiste o sta per venire in essere in quanto l’Assemblea Comune, con l’accordo del Presidente Pella, sta per istituire una Commissione speciale avente per scopo di studiare l’eventuale allargamento delle competenze della C.E.C.A. ed i relativi problemi giuridico-costituzionali che si porranno per la Comunità e per i sei Stati continentali aderenti.

Fu anzi lanciata l’idea che si esprimesse discretamente al Presidente Pella il desiderio che di tale Commissione facciano parte di diritto quei membri dell’Assemblea Comune che già avevano fatto parte del Gruppo di lavoro.

Questa soluzione avrebbe un evidente vantaggio: quello di mantenere l’iniziativa europeistica in mani parlamentari senza soluzione di continuità e con una certa unione personale tra il vecchio ed il nuovo organo parlamentare: salvando quindi la continuità della politica dei sei paesi rispetto all’originaria deliberazione del Lussemburgo (10 settembre 1952).

Questa tesi, per quanto sostenuta dai rappresentanti di tre dei cinque paesi presenti, non si tradusse in alcuna risoluzione concreta. Il Gruppo di lavoro chiuse la sua ultima seduta su un piano diverso ed attenuato. Rimase fermo cioè il concetto accettato naturalmente tanto dal Presidente dell’Assemblea Comune che dai Governi che qualora i Governi desiderassero servirsi degli uomini del Gruppo di lavoro per ulteriori studi in materia costituzionale europea, avrebbero provveduto volta per volta i mezzi per eventuali ulteriori riunioni del Gruppo stesso.

Con questo naturalmente l’iniziativa ritorna ai Governi: nulla cioè si è fatto di concreto per mantenere in vita il sistema nato il 10 settembre 1952 dalle dichiarazioni di Lussemburgo e che aveva condotto alla creazione dell’Assemblea ad hoc, al deposito del progetto di costituzione nelle mani dei sei Governi ed alle successive Conferenze di Baden Baden2, di Roma3 e dell’Aja4, ed alla sopravvivenza del Gruppo di lavoro come organo parlamentare riconosciuto, incaricato di stimolare gli sviluppi dell’Europa a sei.

E ciò nonostante che alcuni membri del Gruppo di lavoro particolarmente esperti in diritto avessero molto elegantemente svolto la tesi che la caduta della C.E.D. e la caduta conseguente dell’art. 38 non possa rappresentare lo svuotamento del mandato conferito all’Assemblea ad hoc il 10 settembre 1952: ma che tale mandato sussiste sempre in base a tale deliberazione in quanto essa si richiama essenzialmente alla volontà comune dei sei paesi di fondere e saldare i loro comuni interessi con o senza la C.E.D. e l’art. 38.

Aggiungo che i rappresentanti francesi presenti a Bonn sembravano sopratutto interessati alla prossima visita di Pinay ed al problema dei rapporti bilaterali franco-tedeschi, così che in certo senso francesi e tedeschi, per ragioni diverse, mi sono parsi concordi nel non ritenere ancora maturo un rilancio concreto della politica di integrazione continentale.

Ho ritenuto di dover segnalare la prudenza che mi è parsa emergere nel contegno germanico per quanto riguarda gli sviluppi della politica «a sei»: prudenza dovuta sopratutto al fatto nuovo e cioè al sorgere di una Germania sovrana, non sottomessa a organi sopranazionali, uguale in diritto ai sette paesi dell’U.E.O., più forte in linea di fatto dei cinque paesi continentali, e quindi assimilabile in linea di fatto piuttosto al nuovo grande alleato britannico che ai vecchi alleati continentali.

Se questa situazione spiega un certo nuovo corso della politica europea della Germania ciò non significa affatto che l’entusiasmo e la fede europeistica del Cancelliere siano diminuite.

Ed anzi egli si è espresso a favore del proseguimento della politica di unificazione europea con slancio e con convinzione giovanile.

Egli ha insistito sopratutto su due punti:

1) Egli ha detto che bisogna continuare a battere in breccia tutte le concezioni nazionalistiche: occorre che ogni paese si convinca sempre di più dell’impossibilità di vivere isolato e autarchico. Questo vale, egli ha detto, per tutti i paesi, anche per i più forti.

2) Egli si è lagnato (rivolgendosi agli europeisti) dell’insufficiente lavoro svolto in materia di conquista dell’opinione popolare. Ha precisato che forse in Francia non sarebbe avvenuto quello che è avvenuto se le organizzazioni federaliste avessero lavorato più efficacemente. Anche in Germania, egli ha detto, abbiamo un partito socialdemocratico, che pur essendo anticomunista non accetta l’idea federale. Senza contare i due forti partiti comunisti o para comunisti di Francia e d’Italia. Esprimendosi nei termini più caldi il Cancelliere ha promesso l’incoraggiamento del suo Governo a tutte le iniziative unificatrici.

Ho potuto riprendere questi temi nel colloquio avuto col Ministro von Brentano, al quale esposi certe inquietudini italiane e non italiane circa la possibilità che la Germania, avendo riacquistato la propria sovranità, tenti piuttosto di evadere dalla costruzione europea per spiccare più alti e più vasti voli come grande potenza mondiale.

Il Dr. von Brentano non ha escluso che vi siano in Germania uomini che, spinti da visioni strettamente economiche, guardino sopratutto ad una libera espansione economica tedesca al di là delle frontiere europee. Ma ha subito precisato che fino a che il Cancelliere Adenauer, ed egli stesso nella sua eventuale qualità di Ministro degli Esteri, avranno la parola decisiva nella politica estera tedesca mai permetteranno che la Germania si stacchi dai suoi alleati europei. «Noi sappiamo benissimo – egli ha detto – che una nostra politica estera puramente improntata a una visione “germanica” dell’economia, creerebbe delle difficoltà in Francia ed in Italia. Il giorno in cui in questi due paesi scoppiasse una grande crisi economica o politica noi ne saremmo colpiti in pieno, e non varrebbero a salvarci né gli interventi inglesi né gli interventi americani».

In secondo luogo il Dr. von Brentano ha precisato il poco favore germanico per le iniziative europee rivolte ad una integrazione per settore.

Devo qui dichiarare che nella discussione svoltasi dinanzi al Gruppo di lavoro nella mattinata era stato affrontato il problema delle nuove iniziative a sei concernenti per esempio l’integrazione del sistema dei trasporti e delle fonti di energia.

Evidentemente von Brentano pronunciandosi contro l’integrazione per settore alludeva sopratutto al «pool» degli armamenti.

Ma il suo pensiero, quale egli me lo ha espresso, investe un problema più generale: «La Germania – egli ha detto – non può più perdersi nei viottoli dei piccoli pool ristretti intesi soltanto a bloccare artificialmente lo sviluppo dell’economia tedesca a favore della meno sviluppata e meno competitiva economia francese».

Tuttavia, e questa ulteriore dichiarazione il von Brentano me l’ha fatta in termini che non esito a chiamare enfatici, in qualunque momento giungessero da parte francese o da qualunque altra parte delle proposte per una autentica, completa (se pur progressiva) integrazione economica dell’Europa continentale, intesa a creare un mercato unico, la porta sarebbe sempre spalancata da parte germanica perché l’iniziativa possa arrivare a buon fine.

Come si vede, in questi colloqui il problema dell’unificazione germanica era rimasto in ombra. Volli quindi accennarne con l’On. von Brentano. E mi è parso di comprendere che agli occhi dei tedeschi il problema dell’unificazione non è il solo problema nazionale che li tocchi e li commuova: vi è anche il problema delle frontiere orientali. Ed anzi forse nel sentimento tedesco vi è il dubbio che la Germania debba alla fine pagare l’unificazione con la liquidazione o almeno lo svuotamento del problema delle frontiere. Tuttavia von Brentano mi ha confermato che in nessun caso il Governo tedesco attuale compirà mai gesto alcuno che menomamente possa rappresentare un pericolo per la pace. Tutte le riserve del Governo tedesco e le sue aspirazioni, sono fondate sul presupposto che la guerra deve essere definitivamente bandita come mezzo per la soluzione dei problemi tedeschi.

Infine l’On. von Brentano mi ha dichiarato (avendo io discretamente portato il discorso sull’argomento) che non un solo nazista che abbia coperto posti di responsabilità nel vecchio regime, occupa oggi posti di responsabilità nella Germania Federale. Egli mi ha anzi pregato di inviargli il testo dei discorsi dei deputati comunisti italiani nei quali vengono indicati certi nomi e certi fatti. Egli mi ha assicurato di poter facilmente confutare ogni accusa trattandosi di slogan propagandistici diffusi in tutta Europa ad opera della medesima centrale.

Concludendo mi sembra di poter dire che la catastrofe del 30 di agosto (caduta della C.E.D.) potrà essere riparata, ma che le più serie difficoltà psicologiche si troveranno forse in Germania. È molto probabile che il Cancelliere Adenauer e i suoi collaboratori ancora una volta con la loro lealtà, abilità e forza di convinzione riescano a superarle! Ma certo non sarà facile per il popolo tedesco dimenticare gli avvenimenti dell’agosto 1954 e successivi sviluppi. Occorrerà veramente che la statura del Cancelliere Adenauer e la passione europea dei suoi collaboratori siano messe a disposizione di questo nuovo compito: quello di indurre il popolo tedesco a sacrificare ancora sull’altare dell’integrazione europea certi vantaggi che la sorte ha voluto che gli derivassero, almeno in parte, proprio dal rigetto della C.E.D.: e cioè la recuperata sovranità nazionale, l’autonomia militare, il rafforzamento politico e l’alleanza diretta da pari a pari colla Gran Bretagna (U.E.O.) e coll’America (N.A.T.O.).

Benvenuti


1 Ci si riferisce alla cosiddetta Assemblea ad hoc, organismo creato nel 1953 in attuazione dell’art. 38 del Trattato C.E.D. in vista dell’elaborazione della Comunità Politica Europea (C.P.E.). L’Assemblea era composta dall’Assemblea Comune della C.E.C.A. allargata ad altri membri.


2 Conferenza dei sei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Baden Baden dell’8 agosto 1953.


3 Conferenza dei Sostituti dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Roma del 22 settembre 1953.


4 Conferenza dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a L’Aja del 26 novembre 1953.

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L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. riservato 566. Parigi, 5 aprile 1955.

Oggetto: Accordi di Parigi e integrazione europea.

Signor Ministro,

ratificati ormai gli Accordi di Parigi1 si pone la domanda: «What next?».

Non sono ancora riuscito a chiarire i retroscena della strana condotta di Parodi al Consiglio Atlantico, quando egli, a nome del Governo francese, ha posto – per il deposito effettivo della ratifica – il «préalable» di un accordo sul pool degli armamenti, per poi ritirarlo nel pomeriggio.

Conoscendo Parodi, escludo che abbia agito di sua iniziativa od abbia male interpretato le sue istruzioni. Ho qualche ragione di ritenere – pur non essendone matematicamente sicuro – che Faure, per ottenere la solidarietà di tutto il suo Ministero sugli Accordi di Parigi, sia stato ridotto a promettere a Palewski e C°. che avrebbe, in qualche modo, ritardata l’entrata in vigore effettiva degli Accordi stessi per dar tempo a delle conversazioni con l’U.R.S.S. Si è Faure ritirato perché gli bastava un gesto formale, o avremo qualche altra sorpresa ancora?

La situazione interna del Gabinetto è ancora estremamente tesa per strascichi e sospetti di una polemica durata per due anni e mezzo. Così per esempio non si riesce ad arrivare ad un accordo per la nomina né del Direttore Generale degli Affari Politici ed Economici, né del nuovo Ambasciatore a Bonn. Per tutti e due i posti ci sono in lizza dei candidati europeisti, antieuropeisti e neutri, e non si riesce ancora ad intendersi su nessun nome. Faure cerca di tenersi un po’ al di fuori della mischia; non so se abbia egli stesso deciso come gli conviene per la sua situazione di orientarsi.

Nel frattempo c’è una formula che circola in molti ambienti: bisogna rilanciare l’idea europea.

La Francia non sarebbe la Francia se, d’accordo in principio, i partigiani di questo rilancio non avessero ognuno la sua idea particolare in materia. Mi sembra comunque di poter individuare due correnti principali di pensiero:

1) C’è del buono nel Trattato di Parigi, cerchiamo quindi di realizzarne il massimo, sfruttando in senso integrativo tutte le possibilità che può offrire il pool degli armamenti, l’Assemblea, ecc.

2) Il Trattato di Parigi non offre nessuna possibilità effettiva di sviluppo in senso integrativo: bisogna quindi lasciarlo cadere – visto che non è stato possibile bocciarlo – lasciando correre il piano inglese e tentare il rilancio dell’idea europea per altre vie. Qui di nuovo le opinioni differiscono:

a) c’è chi vuole rilanciare l’idea europea cercando di far rivivere in qualche forma la Comunità Politica;

b) c’è chi vuole invece farla rivivere affidando alla C.E.C.A. nuove funzioni e nuove attribuzioni.

Tutte queste correnti e sottocorrenti hanno un comune denominatore, la sopranazionalità: il che vuol dire rilancio dell’Europa a sei, ossia senza l’Inghilterra.

Così come stanno le cose, non mi sembra molto probabile che, almeno in un avvenire prossimo, questo rilancio dell’idea europea avvenga attraverso iniziative governative francesi. Personalmente il pensiero di Pinay sembra stia evolvendo verso la formula 2-b), all’origine della quale è naturalmente Jean Monnet. Monnet e Pinay erano nemici: è stato Pinay che ha messo fuori Monnet dal Commissariato al Piano: Rueff li ha riavvicinati e adesso Pinay è sotto il fascino di Monnet: il risultato normale del contatto fra una persona di intelligenza media ed una molto intelligente. Ma Pinay non può da solo formulare delle proposte a nome del Governo francese, ed è ben difficile che egli possa, adesso, avere l’appoggio del Governo francese a delle proposte di questo genere.

È viceversa molto più probabile che qualche proposta venga fatta avanzare al Lussemburgo, attraverso quell’ottimo strumento che è l’Assemblea della C.E.C.A.: ne abbiamo già del resto una prima avvisaglia nel telegramma di V.E. n. 3019/c.2.

Ora mi permetterei di consigliare, da parte nostra, a tutti i livelli, sia quello governativo sia quello parlamentare, la massima prudenza di fronte a qualsiasi proposta che possa venire avanzata. E dicendo prudenza, non uso una forma diplomatica: bisogna fare molto attenzione prima di dire di sì: molto attenzione prima di dire di no: non prendere posizioni di punta: e non prestarsi a cavare castagne dal fuoco per nessuno. La situazione è troppo fluida.

Internazionalmente. Gli americani, in questi ultimi tempi, sono stati qui di una saggezza esemplare: si sono guardati bene dal fare il minimo gesto che potesse comunque compromettere quello che essi consideravano giustamente l’obiettivo n. 1, la ratifica degli Accordi di Parigi da parte del Senato: hanno solo fatto per la prima volta una cosa ragionevole: hanno pagato: un precedente interessante. Ma quali sono adesso le loro vere intenzioni?

Hanno gli americani accettato di vedere la loro politica europea messa in iscacco dagli inglesi, o non si ripromettono invece di prendersi, appena possibile, una rivincita, e di ritirar fuori l’Europa a sei, eliminando così il neo-leadership inglese?

Non è certo da Parigi che si può presumere di dire quello che è o sarà la politica americana, che del resto non manca spesso di contraddizioni: l’Ambasciata di qui è silenziosa. Non posso che constatare che, appena terminata la ratifica, i numerosi porta parola americani in Francia si sono tutti, e rumorosamente, messi in moto per il rilancio dell’Europa a sei: e ancora più lo sono tutti i francesi più notoriamente legati con gli americani. È un elemento questo che sarebbe, credo, opportuno cercare di approfondire, poiché è evidente che sarebbe perfettamente inutile che noi tornassimo a scaldarci per l’Europa a sei se gli americani se ne disinteressano: come sarebbe consigliabile che non ci accalorassimo troppo per l’Europa a sette, se gli americani sono contro.

Ma più fluida ancora è la situazione interna francese.

Tutta l’opposizione alla C.E.D. – e sarebbe assai delicato indagare fino a che punto anche la C.E.D. stessa – aveva come comune denominatore la speranza di riuscire ad evitare il riarmo tedesco: ora questa speranza è fallita. I francesi cominciano adesso a rendersi conto che, ratificando gli Accordi di Parigi, essi hanno perduta quell’arma comunque forte che avevano in mano, e che erano i loro diritti di potenza occupante. Se domani, d’accordo con gli americani, i tedeschi oltrepassassero i limiti del loro riarmo, la Francia non ha più una possibilità effettiva di ostacolarlo.

La veemenza stessa della campagna anti-C.E.D. aveva fatto perdere a molti il senso della realtà: adesso è un po’ come l’indomani di una sbornia: si comincia a pensare a quello che si è fatto: «une prise de conscience», come dicono qui. C’è della gente in Parlamento che si domanda se in fondo non abbia fatto male a prendersela tanto contro la povera Comunità di Difesa.

In altre parole, il Parlamento francese, con la «coerenza» che gli è abituale, comincia a risentirsi una certa vocazione europea.

Può essere questo un elemento positivo e confortante, per l’avvenire, ma solo a condizione di andarci molto piano.

La situazione è fluida, lo ripeto ancora una volta. Per quanto sia possibile in una situazione fluida formulare delle impressioni, la mia impressione è che se c’è una chance di riprendere l’idea europea, intesa come integrazione più o meno sopranazionale, questa può essere soltanto attraverso una ripresa graduale, tranquilla, realistica della Comunità Politica.

Non discuto i meriti della C.E.D.: essa è caduta e le minestre riscaldate sono sempre cattive. La polemica sulla C.E.D. è stata troppo violenta, aspra e personale in Francia: chi non l’ha vissuta ha delle difficoltà a rendersi conto di come essa abbia diviso profondamente il paese. Anche se ci sono oggi rimorsi e rimpianti, se il nome dovesse tornare fuori, direttamente od indirettamente, la polemica riprenderebbe alla più bella e saremmo rapidamente al punto di prima se non peggio di prima. Tanto che sono arrivato a domandarmi, seriamente, se questa prevenzione non si applichi anche a qualsiasi possibile sviluppo del pool degli armamenti, in senso sopranazionale.

Il piano di riprendere l’integrazione attraverso una estensione delle attribuzioni della C.E.C.A., per quanto attraente e pratico possa sembrare, rischia anche lui di sollevare qui una bufera. Ci sono anche delle persone che hanno suscitato delle passioni, pro e contro: una di queste, forse la prima, è, in Francia, Jean Monnet: e in Parlamento la maggioranza, attualmente, è contro di lui.

Perché si possa vedere cosa si può fare ancora, di concreto, in Francia bisogna che le passioni si calmino. E non si riuscirà a farle calmare se si insiste a ritirar fuori istituzioni o persone che sono state all’origine di questo scatenamento di passioni.

Per l’integrazione economica, sotto qualsiasi forma, la Francia non è matura: in qualsiasi settore la si voglia tentare, gli interessi lesi faranno bocciare al Parlamento qualsiasi progetto, magari anche firmato.

Invece sull’integrazione politica, in fondo, partiti e uomini, tranne i più marcatamente filocomunisti, non hanno preso posizione contro: qualche cosa si potrebbe fare senza mettere troppa gente nella necessità di contraddirsi.

Ma con molta calma e molta prudenza.

Ci sono, ripeto, mi sembra, alcuni sintomi di un possibile cambiamento di animus: ma se si vogliono forzare i tempi, si rischia di distruggere quello che potrebbe un giorno fruttificare.

Non cadiamo anche noi nell’errore di attribuire ad un solo uomo l’insuccesso della C.E.D.: che ce lo dicano i francesi, passi: è un comodo sistema per non riconoscere le proprie manchevolezze. Ma non ci facciamo prendere anche noi al giuoco.

La C.E.D. è fallita perché alla propaganda contro, i cedisti francesi non hanno saputo opporre una efficace propaganda pro: perché uomini e metodi non si sono mostrati efficienti. Anche qui è difficile, per chi non ha vissuto questo periodo in Francia rendersi conto dell’inerzia, dell’incapacità di cui hanno dato prova, salvo poche eccezioni, i leaders dell’europeismo francese, di fronte all’abilità della propaganda contraria. E questo giudizio negativo non è solo mio personale, è generale del rank and file dell’europeismo francese.

L’idea europea, ed anche l’idea di integrazione europea, potrà essere ripresa in Francia e con successo: ma dovrà essere ripresa da uomini relativamente nuovi, in ogni caso non certo da quelli che sono state le prime donne del tentativo fallito: anche qui vale la massima che le minestre riscaldate sono cattive …

Si tratta, per quello che concerne noi italiani, di vedere se vogliamo realmente salvare l’idea europea o prestarci invece alla propaganda personale di alcuni francesi di cui il meno che si possa dire è che non sono altrettanto popolari in Francia come lo sono all’estero.

Se quello che ci interessa è realmente l’idea europea, bisogna che adoperiamo la più grande prudenza e la più grande discrezione; che evitiamo a Strasburgo od a Lussemburgo di dar corda a delle mozioni sonore che non servono altro che a far drizzare le orecchie ad un’opposizione francese che non è affatto morta.

Dopo tutto noi siamo perfettamente giustificati nel dire ai nostri amici francesi europeisti che noi, gli italiani e gli altri, abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere; che, se fosse dipeso da noi, l’Europa a sei sarebbe già un fatto compiuto; che sono i francesi che hanno mancato. Che ci mostrino che c’è realmente qualche cosa di cambiato in Francia, che essi hanno realmente un seguito ed un’influenza in Parlamento, ed allora noi li seguiremo. Non è possibile che ci si aspetti da noi – intendo con questo non solo gli italiani, ma tutti – che siamo noi a fare in Francia il lavoro che i francesi non fanno. È arrivato il momento di mettere tante vedette colle spalle al muro ed obbligarle a fare.

Non vedo quale vantaggio effettivo avremmo, per esempio, impegnandoci a studiare una comunità, mettiamo, trasporti ed energia, arrivare magari fino alla firma di un accordo e poi vedercelo di nuovo respingere dal Parlamento francese. Potrà essere forse un’operazione personalmente spiacevole questa di smontare il bluff di certi europeisti francesi, ma di fronte alla prova che hanno dato mi sembra sia giunto il momento di farlo.

In sostanza, la questione reale intorno alla persona di Monnet si riduce a questo:

gli europeisti francesi, in casa loro, non sono riusciti a trovare un soldo per far cantare un cieco: vanno avanti perché sono finanziati da Monnet. Se a Presidente della C.E.C.A. fosse eletto Ramadier, non darebbe più un soldo per questa propaganda; se fosse eletto René Mayer – ed è a questo poi che mira in fondo Edgar Faure per calcoli suoi di partito radicale – ne darebbe, ma non a quelli che sono gli stipendiati di Monnet; li darebbe ad altri. È un terreno pericoloso: c’è troppa gente che sta dando la caccia a Monnet in questa materia: uno di questi giorni sarà colto con le mani nel sacco: ne verrà fuori un pasticcio di cui non si avvantaggerà né la C.E.C.A. né nessuno. Il caso Monnet è una questione delicata fra francesi: lasciamola risolvere a loro e non ci lasciamo invischiare con interventi esteri che non possono che far del male.

Per quanto riguarda poi le varie possibili iniziative di oggi e dell’immediato futuro, mi sembra che esse dovrebbero essere giudicate non per il loro valore di effetto o di presa di posizione, ma per la misura in cui esse si inquadrano nella nostra politica e sono suscettibili di giovare a questa nostra politica.

Mi sembra che il Governo italiano resti fermo nel desiderare l’integrazione europea su basi sopranazionali: è una soluzione che auspicherei molto volentieri anch’io, personalmente.

Spero però sia ben chiaro a tutti, ormai, che questa Europa sopranazionale non può essere che una Europa a sei, ossia senza l’Inghilterra e quindi, in una certa misura, contro i desideri e la politica dell’Inghilterra. Questo bisogna che sia ben chiaro: in altre parole, o noi rinunciamo al sopranazionale, o noi rinunciamo all’Inghilterra.

Noi avevamo accettato di rinunciare all’Inghilterra: è in Francia che questa idea è fallita. Fare l’Europa a cinque, senza la Francia, è impossibile. Ma per farla a sei, bisogna che la Francia, ossia il Parlamento francese, accetti adesso quello che non era disposto ad accettare sei mesi fa.

Ritornare uno dei propulsori dell’Europa a sei è – temo – tornare in una posizione di almeno marcata freddezza con l’Inghilterra. Se ci fosse, o quando ci sarà, una possibilità reale di fare una Europa integrata, per me, varrebbe ampiamente la pena di andare incontro ad un nuovo periodo di freddo con l’Inghilterra. Ma non mi sembra che valga la pena di guastare le relazioni coll’Inghilterra, rimesse un po’ a posto dopo tante difficoltà, se non abbiamo almeno una ragionevole certezza di riuscire a fare questa Europa.

Mozioni, progetti, iniziative, dichiarazioni di Ministri, è tutto quello che, spinti o spalleggiati dai francesi, abbiamo fatto negli ultimi tre anni. Hanno servito al più a precisare delle responsabilità: ma non è precisando colle responsabilità che si costruisce.

Dobbiamo quindi guardare ogni possibile iniziativa anche sotto un secondo punto di vista: serve questo a portare la Francia a riaccettare l’idea dell’Europa a sei o serve soltanto degli interessi personali?

L’idea europea è fallita qui, perché di propaganda se ne è fatta poca e male: è solo attraverso la propaganda fatta in Francia dai francesi che essa può essere rilanciata. Questo è quello che dobbiamo dire loro, a Strasburgo ed a Lussemburgo anche più che a Parigi, se vogliamo fare opera utile. Ed è soltanto se questa propaganda sarà fatta con risultati positivi che potremo pensare a qualche iniziativa concreta.

Purtroppo noi possiamo desiderare l’Europa, non bastiamo a farla. Ed in questa situazione delicata bisognerebbe, mi permetto di ripeterlo, andarci molto piano con iniziative nostre ed essere anche molto prudenti nel seguire iniziative altrui, a sfondo molto, troppo, di réclame personale.

La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio dovuto ossequio.

Quaroni


1 Gli Accordi di Parigi sulla Germania, firmati il 23 ottobre 1954, furono approvati dal Consiglio della Repubblica francese il 27 marzo 1955.


2 Riferimento errato: si tratta del T. 3099/c. del 2 aprile, per il quale vedi D. 2, nota 2.

5

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 4765/200. Lussemburgo, 6 aprile 1955, ore …, 04 (perv. ore 7,45).

Oggetto: Estensione integrazione europea.

Ho avuto, a sua richiesta, colloquio con Monnet. Questi, ripetendomi in massima quanto già detto a Pella1, ha affermato esistere attualmente possibilità estensione integrazione a trasporti ed energia, per cui alcuni Governi sono decisi prendere iniziativa. Iniziativa dovrebbe, in occasione prossima riunione Ministri Esteri, condurre sei Governi ad assumere impegno politico (eventuale mandato di studio all’Assemblea Comune non sarebbe sufficiente), rinviando in sede tecnica approfondimento problemi.

Riunione Ministri Esteri dovrebbe, secondo Monnet, avere luogo immancabilmente prima della sessione dell’Assemblea Comune e non necessiterebbe grande preparazione, dato che decisione che Ministri Esteri sarebbero chiamati a prendere, come sopra accennato, sarebbe politica e non tecnica. (Stessa idea mi risulta è stata espressa da Spaak a Pella)2.

Gli ho risposto Governo italiano si mantiene fedele a «europeismo», ma che non era stato finora favorevole a integrazione per settori (risposta Monnet: si tratta di integrazione non di settori ma di servizi); ignoravo quindi pensiero V.E. in materia. D’altra parte anche riconoscendo opportunità non allarmare prematuramente settori interessati, sembravami indispensabile che Ministri Esteri in prossima conferenza non fossero presi di sorpresa e senza istruzioni loro Governi in tale importante materia.

Monnet mi ha dato ragione e mi ha detto avrebbe agito presso Spaak affinché questi facesse circolare in tempo utile suo pensiero su atteggiamento tedesco (vedasi mio telegramma n. 199)3. Monnet mi ha detto che Adenauer, da lui visitato tre giorni or sono, è favorevolissimo e imporrà sua volontà a Ministeri tecnici alquanto riluttanti.


1 Vedi D. 2, nota 2..


2 Vedi D. 1.


3 T. 4662/199 del 4 aprile, con il quale Cavalletti aveva comunicato la proposta tedesca di rinviare la Conferenza dei Ministri degli Esteri a data successiva alla sessione dell’Assemblea Comune.

6

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DEL BELGIO, SPAAK,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

L.1. Bruxelles, 7 aprile 1955.

Mon cher Ministre,

Maintenant que le Traité de Paris est ratifié par les différents Parlements, je pense que l’heure est venue de régler la question posée par la démission de M. Monnet comme Président de la Haute Autorité de la C.E.C.A. et d’essayer de relancer l’idée européenne.

Dans mon esprit les deux choses sont d’ailleurs liées. Je crois qui M. Bech qui est actuellement Président du Comité des Ministres de la C.E.C.A., va proposer une réunion des Ministres des Affaires Etrangères à Luxembourg, pour la fin du mois ou pour le début du mois prochain2.

C’est, je pense, au cours de cette réunion, que nous devrons arrêter notre tactique commune.

Je crois que la meilleure solution serait de garder M. Monnet comme Président de la Haute Autorité. Toutes les combinaisons envisagées pour le remplacer se heurteront à de réelles difficultés. Il est évident cependant que M. Monnet ne pourra revenir sur sa décision que si un fait nouveau intervient. A mon avis, c’est ce fait nouveau qu’il faut créer. Il faudrait que les Ministres des Affaires Etrangères fassent savoir publiquement leur volonté de relancer l’idée européenne en étendant les compétences de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier.

Cette extension de la Communauté pourrait s’appliquer à l’ensemble des forces actuelles d’énergie (électricité, gaz et carburants) et aux moyens de transport (chemins de fer, navigation fluviale, transports routiers et aériens).

La mise en commun des efforts pour le développement de l’énergie atomique à des fins pacifiques pourrait également être confiée à une organisation qui dépendrait de la C.E.C.A.

Afin de réaliser cette extension, il me semble qu’il serait urgent d’organiser une conférence internationale où l’idée serait examinée en détail et dont le but serait d’ailleurs la rédaction d’un traité. La Présidence de cette conférence pourrait sans doute être confiée à M. Monnet dont l’expérience en la matière est réelle.

Si les Ministres des Affaires Etrangères pouvaient se mettre d’accord sur cette politique, ils pourraient en faire part à M. Monnet et lui signaler que sa démission n’est plus justifiée puisque c’est la politique que lui-même a préconisée qui va être poursuivie.

Si les choses pouvaient être réglées come je viens de l’indiquer, j’ai de bonnes raisons de croire que M. Monnet reviendrait sur sa décision et ainsi nous aurions reglé à la fois deux problèmes: celui de la Présidence de la Haute Autorité et celui de la relance de l’idée européenne.

J’espère très vivement que vous pourrez vous rallier à une pareille procédure. Je crois que le moment est venu d’agir avec fermeté. Le climat européen me paraît bon à la suite de la ratification du traité de Paris et nous devons, me semble-t-il, profiter de la chance qui nous est offerte. Si par malheur, nous la laissons passer, je crains fort qu’elle ne se représente plus jamais.

Je pense que mes Collègues de Benelux sont prêts à se rallier aux idées générales que je vous ai exposées. Malheureusement, les renseignements que je reçois d’Allemagne et de France sont moins encourageants. En Allemagne, il semble que M. Erhardt, Ministre des Affaires Economiques, soit hostile à cette conception de l’édification de l’Europe par secteur. Il préfèrerait la création d’un marché commun. A mon avis, les deux conceptions ne sont pas contradictoires. Je crains toutefois que l’hostilité de M. Erhardt ne rend la position du Chancelier plus difficile. Il me semble qu’en Allemagne, on cherche à gagner du temps. Je le regrette infiniment.

Du côté français, M. Pinay a bien voulu me marquer son accord général sur les idées que je lui ai exposées, mais il n’y a pas de doute qu’il rencontrera des difficultés à faire triompher au sein de son Gouvernement, et la renomination de M. Monnet, et la relance de l’idée européenne autour de la C.E.C.A.

Je crois cependant que si les pays de Benelux, appuyés par l’Italie, pouvaient prendre une initiative, celle-ci pourrait être couronnée de succès. Je ne sais pas si nous pourrions obtenir tout ce que je propose, mais nous pourrions cependant arriver à un compromis satisfaisant. Si nous ne parvenons pas à obtenir que M. Monnet reste à son poste, il sera, je crois, difficile de lui trouver un successeur et nous allons nous heurter à des obstacles difficiles.

J’ai mis l’Ambassadeur d’Italie à Bruxelles au courant de mes idées à ce sujet, et il vous en fera certainement rapport3.

Me rappelant des positions audacieuses et généreuses qui ont été prises, ces dernières années par le Gouvernement italien, j’espère, mon cher Ministre, que nous pourrons nous mettre d’accord sur la tactique à suivre aujourd’hui.

Veuillez agréer, mon cher Ministre, l’assurance de mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués4.

Spaak


1 Firenze, Archivio Storico dell’Unione Europea (ASUE), Paul-Henri Spaak, PHS-06, Troisième mandat en tant que ministre des Affaires étrangères 1954-1958, fasc. PHS-281, Messine-Conférence (avril-mai 1955).


2 Vedi D. 14, nota 4.


3 Con T. 4826/57 del 6 aprile, non pubblicato.


4 Per la risposta vedi D. 13.

7

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato […]1. Bruxelles, 18 aprile 1955.

Oggetto: Ripresa di progetti di integrazione europea. Piano Beyen.

Negli scorsi giorni tutta la stampa belga aveva dato notizia che i Governi del Benelux avrebbero l’intenzione di riprendere al più presto il Piano Beyen2 del 1952 di mercato comune europeo, basato su un’unione doganale ed una autorità europea tariffaria. Tale piano, che come si ricorda nella riunione di Roma del principio 19533 incontrò sopratutto l’opposizione francese, sarebbe riesumato e proposto agli altri Governi dell’Europa Occidentale, poiché il momento appare propizio per la ripresa di iniziative di integrazione europea.

Le agenzie di stampa, nel darne notizia, aggiungevano che il Governo belga era già d’accordo e che la nuova iniziativa porterebbe addirittura il nome di «Piano Spaak Beyen».

Successivamente, in fine settimana, i giornali belgi smentivano tuttavia tale notizia, pubblicando un comunicato piuttosto secco di questo Ministero degli Esteri che dichiarava non essere intenzione del Governo belga di proporre nell’attuale momento un progetto di integrazione orizzontale; si aggiungeva che sembra invece preferibile presentare nel quadro della C.E.C.A. delle proposte per l’integrazione di nuovi settori (energia elettrica, trasporti e forse energia nucleare).

Dato quanto precede, ho ritenuto interessante di appurare presso il Gabinetto di Spaak quale fosse il retroscena di queste contrastanti notizie: ci è stato detto, con preghiera di mantenere al riguardo ogni riservatezza, che effettivamente il Ministro olandese Beyen è tornato a caldeggiare il suo vecchio progetto di integrazione europea con mercato comune ed ha chiesto l’appoggio dei belgi per «rilanciare» l’idea. Spaak però vi è risolutamente contrario, almeno nell’attuale momento e pur conservando tutta la sua simpatia verso i progetti più ambiziosi di integrazione politica ed economica: egli ritiene che vi sarebbero scarsissime possibilità di ottenere il consenso degli altri «partners» e preferisce concentrare tutti i suoi sforzi sulla realizzazione dei tre nuovi settori da integrare tramite C.E.C.A. Si rende conto che già per questo programma molto più limitato le difficoltà da superare saranno notevoli e rischierebbero di diventare addirittura insuperabili se vi si aggiungesse il progetto olandese.

Come si vede, l’accordo tra i Governi del Benelux non è completo sulle possibilità di azione in campo europeistico, anche se gli scopi finali sono gli stessi: pare che sia sopratutto per questo motivo che la settimana prossima Spaak si recherà all’Aja per prendere contatti personali con Beyen4.


1 Numero di protocollo illeggibile.


2 Il piano Beyen venne proposto l’11 gennaio 1952 al Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. con un memorandum del Governo olandese.


3 Conferenza dei sei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Roma, il 24-25 febbraio 1953.


4 L’incontro fra Spaak e Beyen all’Aja ebbe luogo il 22-23 aprile 1955.

8

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 1976/9221. Londra, 18 aprile 1955.

Oggetto: C.E.C.A. Colloquio Pella-Spaak.

Riferimento: Telespr. di V.E. n. 44/05339 del 9 aprile corr.2.

Al Foreign Office ci è stato confermato che qui non si intendono sollevare difficoltà o creare ostacoli alla annunciata iniziativa del Ministro Spaak per l’estensione delle competenze della C.E.C.A. ai trasporti e alle altre fonti di energia.

Il funzionario competente ha però tenuto a dirci subito che ogni eventuale sviluppo in tale direzione non può minimamente impegnare il Governo britannico poiché i rapporti che lo legano alla Comunità attraverso l’accordo recentemente firmato riguardano solamente il settore del carbone e dell’acciaio e stabiliscono obblighi che vanno contenuti entro limiti ben definiti.

In realtà – a quanto è stato dato di rilevare dalla conversazione avutasi – l’idea del Ministro Spaak sembra sia stata qui vista con una certa sorpresa e non manchi di sollevare qualche perplessità. Il nostro interlocutore ha bensì detto di rendersi conto dell’importanza che hanno per la Comunità i problemi dei trasporti e della produzione di energia, ma ha più volte accennato al fatto che esiste già una organizzazione tra le competenti Amministrazioni dei trasporti di vari paesi europei e che per l’energia elettrica si sta già occupando l’O.E.C.E. Nel manifestare il timore che l’iniziativa possa quindi dar luogo a dei duplicati, il nostro interlocutore ha ventilato l’ipotesi che essa sia dovuta al desiderio di Spaak di convincere Monnet ad accettare il reincarico della presidenza dell’Alta Autorità offrendogli la possibilità di nuovi sviluppi nel campo dell’integrazione economica europea.


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Parigi.


2 Vedi D. 1, nota 1.

9

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 633/3991. Parigi, 18 aprile 1955.

Oggetto: Problemi C.E.C.A.

Circa la C.E.C.A., in genere, e gli argomenti di cui al telespresso ministeriale n. 44/05339 del 9 corrente2, in particolare, ho detto a Massigli che da parte nostra si aveva la migliore buona volontà di favorire il Governo francese nella questione della presidenza della C.E.C.A., ma che, per farlo – specie in considerazione del fatto che era il nostro Ministro degli Esteri che presiedeva la riunione dei Ministri – bisognava che sapessimo quello che pensava il Governo francese: il che non era ancora il caso.

Massigli mi ha detto che mi era grato di questo passo perché se ne sarebbe servito per ripetere al suo Governo che era necessario che si decidesse: non poteva per il momento dirmi ancora il pensiero del Governo francese, ma solo darmi un certo numero di indicazioni, a titolo personale.

Dell’equivoco Ramadier era responsabile il Presidente Pella. Era stato lui stesso presente al colloquio Pella – Mendès-France, dove Pella aveva detto a Mendès-France che, in ordine di precedenza, i francesi che avevano le maggiori chances di essere accetti per la presidenza erano Robert Schuman, René Mayer e Ramadier. Sentito questo, per un complesso di ragioni che conoscevamo – e sulle quali ho del resto a suo tempo riferito –, Mendès-France si era pronunciato per Ramadier: ci si era poi dovuti render conto che questa candidatura non aveva nessuna chance. Come buon amico di Ramadier gli aveva scritto alcuni giorni fa per consigliarlo di ritirare la sua candidatura, e poteva assicurarmi che questo sarebbe avvenuto al più presto.

Vorrei aggiungere incidentalmente che bisognerà fare qui qualche cosa perché, a causa di questa vera o presunta conversazione con Mendès-France, il Presidente Pella si è attirato il risentimento di una parte considerevole – ed influente – dell’opinione politica francese, il che sarebbe meglio rimediare.

Quanto al resto mi poteva dire, confidenzialmente ma senza tema di essere smentito dai fatti, che Monnet non sarà il candidato del Governo francese. È dubbio anche se, ritirando egli le sue dimissioni, si possa avere la sua riconferma altro che a titolo temporaneo: ma in ogni modo, questo Governo francese non farà il minimo gesto, od aderirà a qualsiasi proposta destinata a facilitargli il ritiro delle dimissioni.

«Può essere – mi ha detto – che Pinay, sotto l’influenza di qualche suo amico, abbia qualche preferenza per Monnet, ma il Presidente Faure, che ha il polso del Parlamento e del Gabinetto in mano e che in questi affari decide lui, sa benissimo che il nome di Monnet fa vedere rosso a molti dei Ministri importanti e quindi non sarà mai lui ad appoggiarne la candidatura».

Mi ha confermato che il candidato di Faure è René Mayer, e che questi ha già accettato, adesso. «René Mayer – mi ha detto Massigli – ha fatto cadere Mendès-France con il suo discorso sull’Africa del Nord: sperava che questo discorso gli avrebbe aperta la via alla successione. Se in Francia può avergli fatto bene, questo discorso è stato disastroso per lui in Algeria e sa ormai che non sarà rieletto: cerca quindi di andarsene prima en beauté». Ci sono poi anche a favore di questa candidatura le ragioni cui ho accennato in un mio precedente rapporto. Del resto V.E. ricorda che René Mayer aveva, qualche tempo addietro, accettato di essere nominato giudice all’Alta Corte: si è poi ritirato, per le insistenze di alcuni suoi amici politici.

La candidatura di René Mayer ha molte chances di essere accettata dal Consiglio dei Ministri. È europeista, quindi sarà accettato dagli europeisti: i non europeisti lo accetteranno, pur di levar di mezzo Jean Monnet. Credo che qui Massigli abbia ragione: c’è da aggiungere anche che molti saranno felici così di togliere di mezzo un importante aspirante Ministro e Presidente del Consiglio.

Aggiungo, per quello che ci riguarda, che René Mayer ai suoi tempi – ossia non con il regime attuale della Banca – è stato molto legato con la Banca Commerciale: ha conservato un ottimo ricordo di questa sua associazione con noi: e tutte le volte che è stato Ministro o Presidente ho sempre potuto contare sulla sua amichevole collaborazione per le nostre questioni. È legato molto strettamente – anche per vincoli di parentela da parte della moglie – con la Banca Rothschild.

Comprendo che da parte nostra non si fosse entusiasti della nomina di Ramadier: ma non vedo per quale ragione, se effettivamente René Mayer sarà il candidato dei francesi, dovremmo preferire un’altra candidatura alla sua.

Per quello che riguarda le proposte fatte da Spaak all’On. Pella3, e di cui era al corrente, Massigli mi ha detto che il Governo francese, pur senza avere ancora preso delle decisioni in proposito, era favorevole a studiare le possibilità di agenzie, accordi, intese, o quello che si voleva in altri settori, per esempio elettricità e petrolî, come era stato proposto da Spaak. Nel suo discorso, Faure aveva del resto accennato ad una possibile integrazione europea nel campo dei trasporti e dell’energia nucleare. Ma il Governo francese, nel suo complesso, era contrario a che tutto questo venisse posto sotto l’egida della C.E.C.A.

Anche qui Massigli mi ha detto che non essendo intervenuta una decisione di Governo, non poteva darci che la sua opinione personale. Poteva essere che, per qualche cosa, Pinay potesse essere favorevole ad estendere le competenze della C.E.C.A., ma non vi era certo favorevole Faure, e non era certo possibile ottenere l’adesione del Gabinetto francese ad una proposta di questo genere. Ho del resto riferito io stesso a V.E. che la cosa mi pareva difficile.

Anche per quello che riguarda le proposte avanzate recentemente da Faure, sempre secondo Massigli le idee di Faure non sono ancora né chiare, né precise. Politicamente però egli ritiene che prima di fare qualche nuovo passo avanti serio in tema di integrazione europea bisogna in Francia, calmare la bufera che è stata sollevata dalla C.E.D. e dagli Accordi di Parigi: per cui egli intende scartare in principio qualsiasi proposta che sia suscettibile di far rinascere le vecchie polemiche.

Secondo Faure – è sempre Massigli che parla – la prima cosa che bisogna fare è quella di sfatare il numero sei: bisogna quindi studiare una serie di progetti integrativi che abbiano ognuno una sfera di azione differente. Parlandogli dei trasporti, per esempio, Faure gli ha detto che, in sé, un’integrazione dei trasporti è la più facile a fare, ma che sarebbe assurdo farla senza la Svizzera: si avrebbe quindi in questo caso un’integrazione, o qualche cosa di analogo a sette, ma senza l’Inghilterra. Viceversa, sempre secondo Massigli, Faure penserebbe che per l’integrazione nucleare bisognerebbe procedere a tre – Francia, Germania ed Italia – (questo è, del resto, come credo di averlo già segnalato, il pensiero di molti qui, dovrei dire di tutti quelli che si occupano seriamente della questione nucleare). Dopo qualche tempo, si potrebbe cominciare a vedere quali e quanti di questi organismi sono suscettibili di essere raggruppati sotto una specie di cappello comune.

A mia richiesta, mi ha detto che, evidentemente, il giorno in cui Monnet non ne fosse più il Presidente, e lasciato un po’ di tempo per far calmare gli animi, dei progetti di estensione dei poteri della C.E.C.A. potrebbero incontrare in Francia minore opposizione.

Circa l’atteggiamento inglese, Massigli, di fronte alle proposte Spaak, si è limitato a dirmi che Spaak è generalmente portato all’ottimismo e che, per esperienza fatta, non bisogna prenderlo troppo sul serio quando dice che gli inglesi – o gli americani – condividono il suo punto di vista.

A questo riguardo segnalo, ad ogni buon fine, una voce che qui corre con insistenza da qualche tempo: e cioè che Spaak avrebbe cessato di essere nelle buone grazie americane, come è stato per molto tempo: e che in genere le simpatie americane si starebbero spostando piuttosto dal Belgio verso l’Olanda.


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.


2 Vedi D. 1, nota 1.


3 Vedi D. 1.

10

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 5459/1131. Parigi, 19 aprile 1955, ore 16,45 (perv. ore 17,10).

Oggetto: Progetto Spaak.

Suo telespresso 44/05339 del 9 aprile scorso2.

Da primi sondaggi effettuati presso Segretariato e principali Delegazioni, risulta che in ambienti O.E.C.E. progetto Spaak di sollevare, a prossima sessione Consiglio Ministri della C.E.C.A., problema estensione sfera di competenza dell’Alta Autorità a questioni trasporti ed energia viene considerato come mossa di prevalente se non esclusiva natura politica. Si fa osservare al riguardo che, tra l’altro, progetto non sembra essere stato preceduto, nemmeno da parte suo autore, da adeguati studi economici, tecnici e giuridici.

Secondo quanto ha riferito un membro del Segretariato che ha recentemente accompagnato Armand in Germania, ambienti industriali e tecnici tedeschi giudicherebbero con freddezza propositi Spaak, pur non escludendo che Cancelliere Adenauer, considerandoli sotto angolo politico, possa essere di opinione diversa. D’altra parte, Sergent ha inviato in proposito un memoriale al Presidente Faure, e raccomandato vivamente ad Armand di ultimare entro data prevista del 10 maggio studio su problemi dell’energia in Europa (vedi mio telespresso 1224/519 del 15 marzo scorso)3.

Atteggiamento di altri paesi, non senza importanza nei settori dei trasporti e dell’energia, quali Svizzera, Austria e paesi scandinavi, risulta ispirato ad una certa diffidenza verso soluzioni che maturerebbero in istanze alle quali essi non partecipano.

Presso Delegazione britannica mi è stato detto che rapporto di Armand comprenderà anche trattazione questioni energia nucleare, tanto che egli si recherà nei prossimi giorni in Gran Bretagna per contatti con ambienti competenti; e mi è stato assicurato che Governo britannico è disposto discutere con altri paesi membri O.E.C.E. conclusioni ed indicazioni che emergeranno da rapporto, compresa parte dedicata ad energia nucleare sotto il profilo sua utilizzazione economica.

Colleghi inglesi hanno ricordato altresì che, analogamente a quanto avvenne nel passato per conferenze europee Ministri Trasporti ed organizzazione mercati agricoli, atteggiamento loro Governo rimane fermo nel senso che sede naturale per sviluppo cooperazione economica europea continui ad essere O.E.C.E.

Prova evidente dell’attenzione con cui inglesi seguono la questione è decisione del Presidente del Consiglio di convocare per 22 corr. riunione Capi Delegazione onde discutere tali problemi4.

Segue rapporto5.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con il numero di protocollo di sede 289.


2 Vedi D. 1, nota 1.


3 Vedi Avvertenza. Per il Rapporto Armand vedi D. 16, nota 4.


4 Vedi D. 16.


5 Vedi D. 12.

11

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservatissimo 639/4041. Parigi, 19 aprile 1955.

Oggetto: C.E.C.A.

Ho poste a Pinay le stesse domande che avevo poste a Massigli2.

Pinay mi ha confermato che il Governo francese riconosce che la candidatura di Ramadier non ha più nessuna chance e, pur prevenendomi che nessuna decisione era stata presa in proposito da parte francese, mi ha parlato della candidatura di René Mayer.

Mi ha anche lui parlato delle difficoltà interne francesi che potrebbero provocare anche soltanto il fatto che Jean Monnet ritirasse le sue dimissioni; comunque, era fuori di questione che lo si potesse presentare come candidato del Governo francese.

A titolo personale, ho detto a Pinay che sarebbe però stato bene che il Governo francese facesse conoscere la sua decisione al più presto. Sapeva meglio di qualsiasi altro quale fosse la posizione personale di Monnet presso tutti i settori più profondamente europeisti: l’uomo poi aveva delle indiscusse capacità di manovratore. Mentre il Governo di Parigi non si decideva, Monnet si stava lavorando deputati e Governi, per cui, se si lasciava passare ancora del tempo, si sarebbe finito per creare una situazione poco gradevole per il Governo francese e suscettibile di provocare qui crisi interne a cui nessuno era interessato. Il Governo italiano, per esempio, non aveva ambizioni personali in materia di Alta Autorità, era desideroso di continuare ad andare d’accordo con i francesi, ma non poteva naturalmente accostarsi ad una politica francese che non era definita.

Pinay mi ha detto che della questione si doveva discutere in un Consiglio di Gabinetto ristretto che si sarebbe dovuto riunire un’ora più tardi: e che non avrebbe mancato di comunicarmene la decisione.

Ho però successivamente saputo da altra fonte che in questa riunione di Gabinetto si è parlato solo delle questioni tunisine3 e non della C.E.C.A.

Circa i progetti Spaak e Faure, Pinay mi ha detto che lui personalmente sarebbe stato favorevole ad aumentare, in qualche misura, la sfera di competenza della C.E.C.A., ma che doveva rendersi conto che, nella situazione attuale, non era possibile fare accettare una politica del genere né dal Gabinetto né dal Parlamento. La Francia era quindi favorevole a creare delle nuove forme di integrazione in nuovi settori, anche nuove agenzie, ma non poteva accettare che, per ora almeno, tutto questo fosse posto sotto l’egida della C.E.C.A.

Gli ho fatto osservare che, anche su questo punto, era necessario che il Governo francese si decidesse a definire il suo punto di vista. Potevo essere d’accordo con lui nel riconoscere che la Delegazione francese all’Assemblea della C.E.C.A. non era rappresentativa del Parlamento francese; ma essa c’era, prendeva accordi, si agitava, spingeva altri Governi a fare questo ed altro. Una chiara presa di posizione del Governo francese avrebbe potuto richiamare tutti ad una concezione più realistica delle possibilità francesi. Ma, nel frattempo, bisognava tener conto che c’erano dei francesi che parlavano a tutti di possibilità ben differenti. Questo poteva portare a delle orientazioni, a delle iniziative da parte di vari Stati. Sapevo benissimo che queste iniziative avrebbero poi naufragato di fronte al no del Parlamento francese; ma si sarebbero avute delusioni spiacevoli. E questo si sarebbe potuto e dovuto evitare uscendo da questa posizione di incertezza.

Pinay mi ha detto di rendersene conto, ma che da parte nostra si doveva anche tener conto della situazione del Governo francese che ha avuto ed ha tanti problemi difficili da affrontare e non può quindi trovare tempo per decisioni, egualmente importanti, ma non altrettanto pressanti dal punto di vista interno.

Da tutta la conversazione traspariva chiaramente l’imbarazzo personale di Pinay. In partenza, quando cioè è diventato Presidente del Consiglio, Pinay era troppo «sergente a Verdun» per poter essere realmente europeo. Poi, nella sua parentesi di disoccupazione, non so se per convinzione o per opportunismo, ha fatta una violenta conversione all’europeismo. Adesso si trova in una posizione difficile perché da una parte gli europeisti «ultra» e lo stesso Monnet contano su di lui: d’altra parte, lui, a meno che si decida a dimettersi, come accennano alcuni amici suoi, molto vagamente per ora, non può imporre le sue vedute ad un Governo che non resisterebbe ad una presa di posizione, diciamo, alla Monnet, e davanti ad un Parlamento che non ha una maggioranza europeista.


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.


2 Vedi D. 9.


3 All’inizio del 1955 il Governo Mendés France aveva deciso di concedere l’indipendenza ai protettorati della Tunisia e del Marocco, divenuta effettiva dal 1956.

12

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. 1793. Parigi, 19 aprile 1955.

Signor Ministro,

l’idea attribuita al Signor Spaak di proporre alla prossima Conferenza dei Ministri della Comunità Carbone e Acciaio1 una estensione della competenza della Comunità stessa al campo generale dell’energia e a quello dei trasporti non è stata accolta negli ambienti dell’O.E.C.E. con molto favore; piuttosto direi con scetticismo e con preoccupazione.

Questo era naturalmente da attendersi. In un organismo nel quale la maggioranza degli Stati che ne fanno parte non sono membri della C.E.C.A., non può ragionevolmente pensarsi che si manifesti favore a iniziative che concernono solo alcuni membri, in campi, come quelli dell’energia e dei trasporti, che sono di interesse generale. Nell’O.E.C.E. poi vi è necessariamente la tendenza a considerare i problemi nei loro aspetti tecnici, e a dare minore importanza a impostazioni politiche. L’iniziativa che si attribuisce al Signor Spaak solleva questioni assai complesse e assai gravi, quando essa venga considerata dal punto di vista tecnico, e d’altronde essa è troppo vaga e troppo nebulosa per poter essere studiata con obiettività. Appare soprattutto, come ho avuto già occasione di dire nel mio telegramma n. 1132, un’iniziativa politica, che non è stata preceduta da una approfondita disamina. Né giova certo a una favorevole disposizione degli animi l’argomento che l’allargamento delle competenze della C.E.C.A. è il solo modo col quale si potrà persuadere il Signor Monnet a mantenere il suo ufficio. Questa sembra essere una considerazione del tutto secondaria, ma che dovrebbe entrare nei ragionamenti circa la utilità o meno di promuovere un allargamento delle competenze della C.E.C.A.

Quanto nel modo di esprimersi i Delegati presso l’O.E.C.E. riflettano l’opinione dei loro Governi, e quanto loro giudizi personali, non sarebbe possibile dire. È poco verosimile che essi abbiano già ricevute istruzioni da parte dei loro Governi, che staranno ora esaminando questi problemi. L’iniziativa tuttavia del Presidente del Consiglio di convocare per venerdì (22 aprile)3 una riunione dei Capi delle Delegazioni per conoscere il loro pensiero non sarebbe stata presa da Sir Hugh Ellis-Rees se il Governo britannico non considerasse con serietà l’eventualità che il Signor Spaak dia seguito alla sua idea. Altri paesi, la Svizzera ad esempio, vedono probabilmente con preoccupazione una impostazione ristretta dei problemi dell’energia e dei trasporti, né il Delegato svizzero mi ha nascosto che a questa preoccupazione se ne associa un’altra: quella di accentuare le forze centrifughe che minacciano il rafforzamento e lo sviluppo dell’ O.E.C.E. Il che può essere particolarmente vero per la Gran Bretagna, dove l’entusiasmo per la cooperazione intraeuropea non è molto marcato, e potrebbe ulteriormente indebolirsi qualora questa cooperazione si accentuasse in campi nei quali la Gran Bretagna venisse a trovarsi esclusa.

Ma, ripeto, è soprattutto sotto gli aspetti tecnici che l’iniziativa Spaak suscita le maggiori perplessità, non vedendosi bene come sia possibile ridurre a unità problemi così diversi come quelli dei trasporti e delle varie forme di energia.

Per quanto concerne i trasporti, varie forme di cooperazione europea sono in atto. La più recente, come V.E. sa, è quella che si riassume nella Conferenza europea dei Ministri dei Trasporti, cui partecipano i Ministri di tutti i paesi continentali al di qua del sipario di ferro (incluse la Gran Bretagna, la Spagna e la Jugoslavia), e che si va esplicando in una serie di accordi di varia natura, anche finanziaria. Tali accordi, essendo per la maggior parte di portata tecnica ed amministrativa, non hanno bisogno di sanzione parlamentare. Sui risultati di tale attività questa Rappresentanza ha riferito con il recente rapporto n. 1713 del 15 aprile4, e di essa si occuperanno nei prossimi giorni il Comitato Esecutivo ed il Consiglio. Per quanto mi è lecito giudicare, mi sembra che sia stato compiuto un buon tratto di cammino: altre iniziative interessanti sono allo studio. Ma su questo punto V.E. potrà più sicuramente avere un preciso giudizio dal Ministro dei Trasporti.

Non è certo la preesistenza di questo organismo di cooperazione europea che può bastare a far escludere, in limine, l’opportunità che tale collaborazione sia intensificata sottoponendola a un’autorità sopranazionale. Certo i sei paesi C.E.C.A. hanno fra di loro, nel campo dei trasporti ferroviari stradali e acquei, relazioni più strette che con taluni degli altri paesi membri della C.E.T.M. (per esempio la Gran Bretagna, o la Spagna, o la Turchia). Può darsi che particolari intese sarebbero più facili a stringersi fra essi soli: così l’acquisto in comune di materiale rotabile o la standardizzazione di esso; o certe misure di coordinamento tra le varie forme di trasporti. Ma due punti mi sembra vadano attentamente considerati prima di prendere una decisione di istituire una specie di ministero unico dei trasporti per i sei paesi. Il primo riguarda l’assenza della Svizzera: paese per il quale passa la maggior parte delle grandi linee di collegamento ferroviario e stradale fra l’Occidente e il Sud-Est dell’Europa. È difficile vedere come un vero coordinamento dei trasporti continentali possa farsi senza la partecipazione attiva della Confederazione Elvetica: e il Governo svizzero non ha mai nascosto che non gli è possibile aderire alla C.E.C.A., proprio per il suo carattere sopranazionale. Forse questa difficoltà potrebbe aggirarsi con un accordo del tipo di quello C.E.C.A.-Regno Unito, se gli svizzeri entrassero in questo ordine d’idee, il che, da quanto mi ha detto il Delegato permanente svizzero, non mi sembra sia da attendersi.

Per quanto concerne l’energia, il discorso è più complesso, date le svariate forme di essa e delle sue fonti, che vanno esaminate una per una. La domanda che negli ambienti dell’O.E.C.E. si pone è la seguente: che cosa potrebbe fare in pratica un’autorità sopranazionale riguardo a ciascuna di esse?

Qui il punto fondamentale da tener presente è la natura dell’energia (salvo per quanto riguarda il carbone, che è già interamente nella competenza della C.E.C.A.) che è assai diversa da quella delle altre materie sottoposte alla Comunità di Lussemburgo. Le altre forme tradizionali di energia, che si tratterebbe di annettere alla C.E.C.A., non danno luogo, o perlomeno non daranno luogo per molto tempo, a intensi scambi intraeuropei, salvo che in casi marginali. Il compito della C.E.C.A. è stato finora quello di stabilire, garantire e conservare un mercato comune, in una vasta zona dell’Europa, del carbone, del ferro e dell’acciaio. In che senso si potrebbe parlare di un mercato comune delle altre forme di energia?

Elettricità: collegamenti e scambi di energia elettrica esistono già fra varii paesi; principalmente attorno all’arco alpino: essi sono stati stabiliti per accordi fra le varie società produttrici. Riguardano comunque una quantità minima rispetto a quella prodotta in Europa; e questo carattere marginale degli scambi sembra destinato a sussistere in un prevedibile futuro. Si può certo pensare a qualche grande lavoro in comune, da farsi con finanziamento «europeo» (alcuni ne avvengono già, per accordo di varii paesi e con parziale finanziamento della Banca Internazionale). Si deve però in questo caso prevedere che l’Alta Autorità possa desiderare applicare al kW elettrico il precedente del prelievo finanziario applicato alla tonnellata di carbone e di acciaio. Ciò mi porta a menzionare, per memoria, il problema delle tariffe, che finora il nostro Governo ha considerato di sua gelosa competenza: problema che esiste, naturalmente, anche per le altre fonti di energia.

Petrolio: non esiste fra i sei paesi della C.E.C.A. un commercio di petrolio grezzo, perché la produzione indigena europea è minima, anche se ci sono fondate speranze che essa possa aumentare. Il commercio del grezzo è, come a tutti è noto, nelle mani del cartello internazionale del petrolio: il prezzo di esso è più o meno identico in tutti i porti europei. Può anche essere più elevato del necessario: ma non si vede bene che cosa potrebbe fare al riguardo la Comunità. Per quanto riguarda il raffinato, vi è un certo commercio intraeuropeo, dai paesi che hanno una capacità esuberante di raffinazione a quelli che ne hanno scarsezza. Esso si svolge, a quanto so, secondo le normali regole commerciali, e con una concorrenza alquanto attiva, ma anch’essa più o meno diretta e calmierata dalle grandi Compagnie internazionali, alle quali appartengono molte delle raffinerie e delle reti di distribuzione. Si può concepire teoricamente un controllo europeo sui nuovi impianti di raffineria: l’O.E.C.E. ci si è provata, con scarso successo, talché la capacità di raffinaggio in Europa è già probabilmente esuberante; comunque sia, il petrolio non è, per ora, una merce europea, ma extraeuropea. Ed è sopratutto su questo punto che negli ambienti della Delegazione americana qui si insiste.

Gaz naturale: per quanto io sappia, la produzione in Francia e in Italia, anche se dovesse aumentare notevolmente, potrebbe esser tutta assorbita dai mercati nazionali: salvo qualche scambio marginale che potesse esser economicamente conveniente per ragioni geografiche (e che nel nostro caso riguarderebbe prevalentemente la Svizzera). In pratica, in Europa è questa una ricchezza che possediamo in grande quantità noi soli; le altre grandi fonti eventuali sono in Medio Oriente e in Africa del Nord: e cioè, ancora una volta, e per il giorno che diventeranno sfruttabili, extraeuropee.

Resta la nuova forma di energia, che è appena ai suoi albori anche nei paesi più sviluppati, e cioè l’energia nucleare. In questo campo è preminente la posizione del Regno Unito, il quale ha già vigorosamente intrapreso un’azione per lo sfruttamento economico di essa, come risulta dal «Libro bianco», che è stato oggetto di accurato esame e di favorevoli commenti da parte dei competenti uffici tecnici del Segretariato dell’O.E.C.E. È evidente che una cooperazione internazionale in questo settore senza la partecipazione o l’apporto britannico non avrebbe molto fondamento, e che più che altrove è viceversa indispensabile la presenza degli inglesi, se non altro per l’esperienza tecnica che essi porrebbero a nostra disposizione.

Come una possibile autorità sopranazionale nel campo dell’energia nucleare possa collegarsi e con la proposta Autorità Atomica Internazionale (Conferenza di Ginevra del prossimo agosto) e con la rete di accordi bilaterali in corso fra Stati Uniti e paesi continentali (ai quali probabilmente vanno le preferenze di Washington) e con il progresso della Gran Bretagna (e con il suo piano di fornire all’Europa materiale e macchinario) resta ancora da vedere, ed è evidente materia che va attentamente studiata. Ma vanno anzitutto studiate le effettive possibilità di un mercato comune europeo delle materie prime fondamentali (fissili e moderatrici), se esso fosse limitato ai sei paesi. Sarebbe da vedere se uranio e torio da un lato, grafite dall’altro (nonché la produzione di acqua pesante) siano cosa prevalentemente extraeuropea.

Se è difficile definire i termini del problema di un mercato comune dei paesi della C.E.C.A. per quel che riguarda il petrolio, non appare a prima vista neppure facile definirli per quel che riguarda le materie prime fondamentali per l’energia nucleare. Di qui la difficoltà di valutare la proposta Spaak in termini concreti, che si aggiunge alla difficoltà di concepire praticamente un organismo europeo destinato a disciplinare l’energia nucleare, senza la partecipazione della Gran Bretagna. Ma l’atteggiamento inglese sarà forse più chiaro dopo la riunione di venerdì3 e mi riservo di riferire.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

Vitetti


1 La Conferenza dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. si sarebbe riunita dal 1° al 3 giugno 1955 a Messina (vedi D. 43).


2 Vedi D. 10.


3 Si riferisce alla riunione dei Capi Delegazione O.E.C.E. del 22 aprile 1955: vedi D. 16.


4 Non pubblicato.

13

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DEL BELGIO, SPAAK

L. 44/06016/221. Roma, 22 aprile 1955.

Caro Ministro,

mi riferisco alla sua cortese lettera del 7 corrente2 e le assicuro di avere attentamente meditato le considerazioni che ella fa nell’intento di addivenire alla nomina del Presidente dell’Alta Autorità.

Ella mi fa presente altresì che sarebbe possibile raggiungere tale scopo se i Ministri degli Affari Esteri dei sei paesi, nella loro prossima riunione, fossero disposti a dichiarare la loro intenzione di estendere la sfera di competenza della C.E.C.A. ad altri settori.

Come ella sa, l’evoluzione della integrazione economica dell’Europa costituisce uno dei cardini della politica italiana e pertanto ogni sforzo tendente a forme più strette di cooperazione europea è sempre visto in Italia con il massimo favore.

Il Governo italiano considera pertanto con la maggiore simpatia, sul piano generale, uno sviluppo di tale cooperazione anche sulle linee da lei prospettate; non è peraltro ancora in grado di definire il proprio punto di vista su un problema così complesso come quello della estensione dei poteri di competenza della Comunità, specie per quanto concerne settori così tecnici, quali quelli delle fonti di energie e dei trasporti.

Mentre tengo ad assicurarla che, da parte mia, non mancherò di dedicare alla sua iniziativa tutta la mia attenzione, mi auguro che un più approfondito esame del problema possa consentirmi di precisarle, in un prossimo futuro, l’atteggiamento del Governo italiano.

Colgo l’occasione, caro Ministro, per inviarle i sensi della mia più alta considerazione.

Martino


1 Firenze, Archivio Storico dell’Unione Europea (ASUE), Paul-Henri Spaak, PHS-06, Troisième mandat en tant que ministre des Affaires étrangères 1954-1958, fasc. PHS-281, Messine-Conférence (avril-mai 1955).


2 Vedi D. 6.

14

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. riservato 655. Parigi, 22 aprile 1955.

Oggetto: Estensione delle competenze della C.E.C.A.

Signor Ministro,

ho riferito a V.E. i punti di vista di Faure e di Pinay in materia di estensione dei poteri della C.E.C.A. (Telespr. ris. 633/399 e 634/404 del 18 e 19 aprile u.s.)1 e circa il suo Presidente. Evidentemente vi sono anche delle voci più apertamente europeiste nel Gabinetto: V.E. avrà potuto averne degli echi direttamente a Roma da Teitgen, che rappresenta l’ala estrema degli europeisti francesi.

Intanto Spaak e Beyen si muovono con dei piani vari: immagino che altri piani saranno preparati anche altrove in vista della prossima riunione dei Ministri degli Esteri al Lussemburgo. Ci sono poi tutti gli intrighi che si tessono intorno alla rielezione di Monnet.

Mi permetto di dire ancora una volta a V.E. che tutto questo mi sembra molto irreale, ma anche molto pericoloso.

Spaak, parlando con Pella2, sembrava avere avuto l’impressione che gli inglesi non fossero sfavorevoli ai suoi progetti di estendere la competenza della C.E.C.A. Non ho la pretesa di dire da Parigi quali siano realmente le reazioni inglesi: rilevo però che il collega Zoppi stesso mi sembra molto più riservato sull’argomento3: quello che è comunque certo è che, in sede O.E.C.E., gli inglesi si sono messi subito in movimento, con abilità ed energia, per silurare queste possibili iniziative. Può essere che ci sia in questo un certo elemento di concorrenza sezionale, ma comunque è un sintomo che non va trascurato.

Sarebbe già, questo dell’Inghilterra, un elemento che ci consiglierebbe, tra i vari organismi internazionali, una certa prudenza. Noi, o, per lo meno, una sezione del Governo italiano, sembra convinta della necessità di tenere in vita l’Unione Europea dei Pagamenti, e le conseguenti liberalizzazioni; sembra anche interessata a che resti in vita l’O.E.C.E. Ora non mancano delle tendenze inglesi a uscire dall’Unione Europea dei Pagamenti: se l’Inghilterra ne esce, è logico che l’Unione dei Pagamenti va per aria, e con essa la liberalizzazione e probabilmente l’O.E.C.E. Ora l’Inghilterra essendo sollecitata in direzioni contrarie, non so fino a che punto sia politico spingere verso altre integrazioni a tipo sopranazionale; questo potrebbe incoraggiare le tendenze isolazionistiche dell’Inghilterra.

Su questo argomento, con molta maggiore competenza di me, può riferire il collega Vitetti: per parte mia mi limito a segnalare che c’è contraddizione fra la corrente europeista ed il desiderio di mantenere in vita l’Unione dei Pagamenti. Le relazioni coll’Inghilterra, appena uscite da una lunga crisi, hanno bisogno di non essere troppo messe in crisi: tanto più in questo caso dove c’è un interesse preciso italiano, precedente il riavvicinamento, che può essere in causa.

Per parte mia ritengo mio dovere insistere su di un punto: checché ce ne possano dire certi francesi, tutto questo non può portare a nessun risultato pratico: la Francia non segue: nel vagliare il pro ed il contro, dobbiamo anche tener conto che è una politica votata allo scacco.

È una politica pericolosa anche sul piano interno francese.

Per il settore europeista italiano ed estero in genere, Mendès-France è stato una specie di bestia nera: non bisogna pensare che, caduto lui, la politica francese sia realmente chiarificata. Gli elementi negativi e torbidi permangono, non meno di prima.

C’è qualche cosa di sotterraneo che si va tramando qui, di cui non si riesce ancora bene ad afferrare le fila. Si parla di un possibile viaggio di Herriot a Mosca, il cui significato non sarebbe certo equivoco: persone di fiducia di Ollenhauer fanno continuamente la spoletta fra qui e Bonn e complottano con quello che c’è di più equivoco in Francia: si parla di possibile dichiarazione di incostituzionalità dei protocolli sulla Sarre, si parla di agitazione di piazza in Germania. In una parola, quelli che vogliono ancora trattare con la Russia, prima del deposito delle ratifiche da parte della Francia, non hanno ancora deposto le armi: si direbbe anzi che hanno fiducia che qualche cosa di nuovo possa impedirlo. Mi permetto di ricordare la strana uscita di Parodi al pool degli armamenti: c’è ancora e sempre qualche cosa sott’acqua che può darci delle sgradevoli sorprese.

Da parte nostra, ci si è rallegrati perché nel Gabinetto sono entrati Pinay, Schuman, e Teitgen: è esatto, ma ci sono anche Palewski e Koenig. Molti, e non tutti di sinistra, pensano qui che la situazione economica francese è ancora molto instabile, anche se sulla via del miglioramento: che basterebbe una serie di scioperi a catena, per rimettere tutto in questione, economia, bilancio, moneta: di qui a ritenere che si possa acquistare una certa pace interna avvicinandosi sulla politica estera alle idee sovietiche, non c’è che un piccolo passo da fare. Faure personalmente è incerto, equivoco forse: vuol restare al potere: cerca di tenere una difficile via di mezzo.

Le elezioni cantonali hanno dato alcune indicazioni interessanti: un certo riprendere degli M.R.P. in alcune regioni, un considerevole rafforzamento dei moderati, e sopratutto il crollo di quello che fu il gaullismo. Se questa tendenza politica si confermerà alle elezioni della primavera prossima, potremo avere una Camera francese con maggioranza europea: ed allora sarà possibile di fare molte cose: ma con questa Camera, e finché ci sarà questa Camera, mi permetto di ricordare che non c’è niente da fare. E non sono affatto sicuro che un riprendere della polemica pro e contro l’Europa, inevitabile se si marcia al Lussemburgo secondo le idee di Spaak, possa facilitare questa evoluzione, e non piuttosto il contrario.

Spaak, Monnet, certi nostri amici francesi, sono in perfetta buona fede, ma sono anche dei cattivi consiglieri. È grazie a loro che è stato montato il «fronte unico» di Bruxelles le cui conseguenze sono state disastrose: se si fosse trattato a Bruxelles, avremmo oggi e da qualche mese la C.E.D.

Oggi più o meno vorrebbero tentare la stessa cosa. Della Francia, del Parlamento francese abbiamo già fatta una certa esperienza, e questa esperienza dovrebbe servirci. Cosa crediamo: che forse il giorno in cui gli altri Stati si sono schierati dietro Monnet la Francia si inchinerà alla nostra volontà? O che se ci dichiariamo tutti in favore dell’estensione delle competenze della C.E.C.A. questo cambierà gli uomini del Governo e del Gabinetto francese? Già nella migliore delle ipotesi non si potrà che creare un’altra commissione di studio, che potrà fare un progetto che dovrà essere accettato dal Governo francese e ratificato dal Parlamento.

Allora? Il risultato potrebbe essere solo quello di tornarcene a casa e dire che abbiamo fatto fare un nuovo passo avanti all’idea europea, o che abbiamo messo la Francia davanti alle sue responsabilità. È quello che abbiamo ripetuto per quasi tre anni, alla fine di ogni riunione internazionale: e il risultato finale è stato che abbiamo portato al potere Mendès-France, fatto naufragare definitivamente la C.E.D. e fatto fare un passo indietro formidabile all’integrazione europea.

La questione di Monnet – che è poi anche la questione di Alphand, di Margerie e di tanti altri – è una questione interna francese: sarà meglio per tutti se la lasciamo risolvere ai francesi e tra francesi, senza interventi esteri. E prima di imbarcarci sull’estensione dei poteri della C.E.C.A., lasciamo che i francesi, tra francesi, creino le premesse, a casa loro, per poterlo fare.

La Francia è un paese nervoso, isterico, in preda ad una grave crisi, che reagisce male ad intromissioni straniere nella sua politica interna, tanto più se queste intromissioni sono anche intromissioni tedesche. Noi rischiamo di buttare la Francia nelle braccia dell’U.R.S.S. È una politica che alla lunga costerebbe cara alla Francia, ma che costerebbe cara anche a noi tutti.

Politica particolarmente rischiosa per noi: il periodo delle liti accanite franco-italiane non è poi tanto lontano. Ai fini pratici, litigarci per l’Europa è la stessa cosa che litigarci per motivi nazionalistici. E riaccendendo, sia pure per elevati motivi di integrazione europea, polemiche franco-italiane, o polemiche franco-tedesche, non si serve certo la causa dell’Europa.

Possiamo con questa politica far cadere il Gabinetto Faure: in sé non sarebbe una catastrofe: ma, ammettendo anche che il suo successore possa essere Pinay, su che maggioranza si potrebbe basare? Non ci sono altre maggioranze che l’attuale, fino alle elezioni: quindi, il successore di Faure non potrebbe fare una politica molto differente da quella di Faure se vuol restare al potere.

Mi permetto quindi di pregare V.E. ed il Governo italiano di voler essere molto prudenti e riservati alla prossima riunione del Lussemburgo4. Se non possiamo frenare gli altri, se non si ritiene opportuno di frenarli, per lo meno non ci lasciamo trascinare dagli altri. La saggezza, il realismo europeo ci consiglierebbero piuttosto di non cercare di andare più lontano di quello che ritengono di poter fare i francesi tranquilli. L’importante è di fare qualche passo, anche se modesto, e di non rischiare di buttare per aria quello che si è potuto fare.

La prego di credere, Signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.

Quaroni


1 Vedi DD. 9 e 11.


2 Vedi D. 1.


3 Vedi D. 8.


4 La sede del Lussemburgo per la Conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. fu poi «sacrificata» in favore di Messina, per dare «maggiore facilità» a Martino di parteciparvi, secondo quanto Bech avrebbe riferito a Cavalletti (T. 6884/267 del 13 maggio da Lussemburgo). La decisione era stata concordata in sede di Consiglio Atlantico (vedi D. 22).

15

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. segreto 656/4161. Parigi, 22 aprile 1955.

Oggetto: C.E.C.A. Conversazione con Faure.

Ho avuto un breve colloquio col Presidente del Consiglio sull’argomento C.E.C.A.

Circa le varie agenzie proposte da Spaak, mi ha detto di non avere difficoltà a prendere in considerazione dei nuovi settori di integrazione europea (ne aveva del resto proposti due, di nuovi, lui stesso, i trasporti e l’energia nucleare), ma di non potere, per ragioni governative e parlamentari, nemmeno prendere in considerazione che queste nuove integrazioni possano realizzarsi sotto forma di estensione dei poteri della C.E.C.A. Mi ha, per quello che concerne i trasporti, fatto presente, per esempio, la necessità di avere nella combinazione la Svizzera, altrimenti l’integrazione non avrebbe molto senso pratico.

Per quello che concerneva la presidenza della C.E.C.A., mi ha confermato il ritiro della candidatura Ramadier, aggiungendo che personalmente stava considerando la candidatura di René Mayer. Sia sull’una che sull’altra questione, mi ha detto che mi avrebbe visto la prossima settimana per parlarmi più a lungo delle sue idee. Per mia parte gli ho ripetuti gli argomenti che avevo già adoperati con Pinay2.

Dove però, prevedendo l’eventuale conversazione della settimana prossima, Edgar Faure è stato più che categorico è stato sull’argomento Monnet: «Non accetto in nessun caso che Monnet sia il Presidente della C.E.C.A.: se gli stranieri vorranno intrigare per impormelo, farò uscire la Francia dalla C.E.C.A.: perderò alcuni Ministri del mio Gabinetto, ma diventerò il Presidente del Consiglio più popolare di Francia».


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.


2 Vedi D. 11.

16

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. 1845. Parigi, 25 aprile 1955.

Signor Ministro,

come ho informato con mio telegramma n. 1291, ha avuto luogo il 22 corrente la riunione ufficiosa dei Capi delle Delegazioni, che il Presidente del Consiglio aveva convocato per uno scambio di idee sui problemi della cooperazione intraeuropea nel campo della energia e dei trasporti.

A convocare questa riunione Sir Hugh Ellis-Rees è stato indotto dalle notizie diffuse dalla stampa circa l’iniziativa che il Signor Spaak prenderebbe alla riunione del Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. di proporre un allargamento delle competenze di questa Comunità al campo più generale di tutte le fonti di energia, notizie che non hanno mancato di suscitare, come ho già riferito, una notevole perplessità e una certa preoccupazione negli ambienti dell’O.E.C.E., e, come è stato chiaro nelle dichiarazioni che Sir Hugh Ellis-Rees ha fatte nel corso della riunione di ieri, hanno indubbiamente preoccupato il Governo britannico. Questo ha voluto far conoscere, come ora si vedrà, in maniera precisa che esso era disposto a discutere con gli altri paesi d’Europa il problema della cooperazione in materia di utilizzazione economica dell’energia atomica, ma era disposto a farlo solamente in seno all’O.E.C.E. Con tale dichiarazione, il Governo di Londra ha inteso evidentemente prevenire i sei paesi della C.E.C.A. che, qualora il problema della cooperazione intraeuropea nel campo della energia atomica fosse impostato altrove, non potrebbe contarsi sulla cooperazione britannica, e avvertire i paesi estranei alla C.E.C.A. che la mancata cooperazione britannica non potrebbe imputarsi, in questa eventualità, alla Gran Bretagna, ma a quei paesi che avessero voluto sottrarre il problema dell’ energia atomica all’O.E.C.E. e stabilire una forma di cooperazione fra loro.

In questo intento, palese nel fatto stesso che egli ha convocato la riunione alla vigilia dell’incontro fra Spaak e Beyen2, Ellis-Rees ha avuto il pieno appoggio della Delegazione tedesca, e, come era da attendersi, quello dei Delegati dei paesi estranei alla C.E.C.A., in particolare di quello svizzero, il quale ha criticato aspramente la tendenza alla formazione di blocchi economici nell’interno dell’Europa Occidentale, blocchi che, egli ha sostenuto, lungi dal favorire la formazione di un sistema di progressiva cooperazione fra i paesi d’Europa, tendono a moltiplicare le barriere e a provocare in definitiva la disgregazione, non la integrazione economica dell’Europa.

Do ora qui un resoconto sommario della discussione, che è stata aperta da Sir Hugh Ellis-Rees, in qualità di Delegato del Regno Unito. Egli ha esordito ricordando le varie forme della cooperazione internazionale nel campo dell’energia nucleare, ed in particolare l’Agenzia dell’O.N.U. e la prossima Conferenza di Ginevra, delle quali il Regno Unito è «joint-sponsor»3. Il rapporto Armand4, ha continuato Ellis-Rees, non sarebbe completo se non considerasse anche questa forma di energia e le sue implicazioni economiche e commerciali per l’Europa. L’O.E.C.E. dovrà avere una accurata discussione su tale argomento, ed in essa il Regno Unito è pronto a partecipare pienamente («to play a full part»), perché ritiene che l’O.E.C.E. è il «fòro appropriato» per discutere tali problemi. È bene – ha concluso il Delegato britannico – che ciascun paese sia pienamente conscio di questo atteggiamento, anche in relazione alle notizie comparse sulla stampa. Per quanto riguarda specificamente i trasporti, Ellis-Rees ha ricordato l’esistenza della Conferenza europea dei Ministri, con uno Statuto autonomo ma che prevede i collegamenti necessari con l’O.E.C.E., come dimostra il suo primo rapporto annuale che verrà discusso al Consiglio entro maggio. Il Delegato britannico ha concluso con un accenno all’opportunità di evitare il ripetersi di quelle «dispute istituzionali» già avvenute nel passato, con evidente allusione ai precedenti del Pool Verde e degli stessi trasporti.

Il Delegato del Belgio è intervenuto a questo punto, per mettere in rilievo la grande importanza della dichiarazione fatta da Sir Hugh Ellis-Rees a nome del Governo britannico, circa le buone disposizioni del Regno Unito a partecipare a forme di cooperazione nel campo dell’energia atomica in sede O.E.C.E. Il Ministro Ockrent ha chiesto se tale cooperazione comprendesse anche gli investimenti per impianti e lo sfruttamento dell’energia atomica; a questa domanda Ellis-Rees ha risposto di non poter dare chiarimenti precisi, ma che dopo la discussione del rapporto Armand avrebbero potuto essere trattati all’O.E.C.E. tutti i problemi inerenti all’energia nucleare.

Il Delegato della Germania ha esordito confessando che, se si domanda per quali ragioni si manifesta una tendenza di integrare nella C.E.C.A. i settori dell’energia e dei trasporti, egli non sa dare una risposta. Pur dichiarando di non poter impegnare a questo stadio il suo Governo, ha ricordato le reticenze tedesche nei confronti delle integrazioni per settori, e la propensione del suo Governo a considerare invece l’insieme dell’economia, anche per evitare pericoli di «cartellizzazioni»; questo modo di pensare è condiviso d’altra parte dagli stessi industriali. L’Europa continentale non può rinchiudersi in se stessa, ma deve cercare di diventare competitiva con le altre aree; inoltre, le nuove forme di cooperazione recentemente stabilite, per esempio con la Jugoslavia e con la Spagna, soffrirebbero se la cooperazione si spostasse in un ambito più ristretto. L’Ambasciatore Werkmeister ha quindi criticato l’eventualità di integrazioni istituzionali limitate nel campo dell’energia e dei trasporti, per motivi tecnici. Il petrolio non è una produzione europea; il gas naturale è prodotto solo in alcuni paesi ed ha un assorbimento nazionale; per l’elettricità già vi sono i possibili limitati scambi commerciali ed i problemi delle tarifficazioni hanno implicazioni insopprimibili di bilancio interno. Quanto all’energia atomica, non era assolutamente concepibile che se ne occupasse un’organizzazione europea della quale non facesse parte il Regno Unito. Si tratta di settori che presentano problemi più economici che tecnici, ed è per questo che l’O.E.C.E. è la sede idonea per una stretta cooperazione, tenuto anche conto del fatto che diversi dei suoi membri non sono membri della C.E.C.A. Il Delegato della Germania ha concluso esprimendo il suo compiacimento per l’atteggiamento del Regno Unito, secondo il quale l’O.E.C.E. è il quadro in cui tali questioni debbono essere discusse.

Il Delegato della Svizzera ha ribadito la vocazione generale economica della Convenzione di Parigi istitutiva dell’O.E.C.E. Alcuni paesi considerano i problemi dell’energia e dei trasporti sotto un profilo politico più che economico, ma egli condivide invece le osservazioni formulate dal Delegato tedesco. Non si può cadere in contraddizione tra le diverse tendenze che si vanno manifestando: la convertibilità postula per definizione un sistema mondiale, mentre gli esercizi integrativi sono regionali. L’O.E.C.E. deve essere il mezzo per reintegrare l’Europa in un sistema mondiale. Si aggiunga che la collaborazione multilaterale è l’unico mezzo, per i piccoli paesi, di far sentire la loro voce, e che il moltiplicarsi delle integrazioni specifiche non fa che accrescere le barriere in un’Europa già troppo piccola. Gli esempi precedenti dei trasporti interni e dell’agricoltura sono significativi in tal senso, ed i Governi hanno dovuto persuadersi che non è possibile considerare separatamente i vari settori dell’economia senza provocare una vera e propria «disintegrazione materiale e geografica». Quanto ai trasporti, il Ministro Bauer ha dichiarato esplicitamente che il suo paese non sarebbe disposto a partecipare ad una «organizzazione dei trasporti terrestri sotto forma di integrazione». Parlando dell’energia, egli ha osservato che l’O.E.C.E. è l’unico organismo internazionale che ha in sé comitati che rappresentano i produttori ed i consumatori: vi è cioè un parallelismo tra economia e tecnica, che determina l’universalità dell’approccio dell’O.E.C.E. Quanto all’energia nucleare, infine, il Governo elvetico non ritiene possibile alcuna cooperazione senza la partecipazione «attiva e direttiva» del Regno Unito, e pertanto egli si compiaceva altamente della dichiarazione di Ellis-Rees.

Il Delegato dell’Austria ha dichiarato, a nome del suo Governo, di essere completamente d’accordo con quanto detto dal collega tedesco, ed ha ringraziato il Delegato del Regno Unito per l’importante dichiarazione fatta a nome del proprio Governo.

Il Delegato del Portogallo si è espresso negli stessi termini, ponendo vigorosamente l’accento sulla necessità di un’azione direttiva del Regno Unito in materia di energia nucleare e che l’O.E.C.E. tratti di queste questioni.

Il Delegato della Francia ha detto che, per quanto concerne il suo paese, il solo fatto reale sono le dichiarazioni di alte personalità, tra le quali il Presidente del Consiglio, sulla volontà di agire: la forma, il carattere, il quadro, il momento dell’azione sono ancora ipotetici e non può quindi parlarsene con cognizione di causa. La Francia, egli ha detto, non ha mai cessato di considerare «con fede e con speranza» l’azione dell’O.E.C.E., qual che sia l’azione degli altri organismi internazionali. Non vi sono opposizioni tra un metodo e l’altro: il Presidente Faure ha esplicitamente raccomandato «l’assenza di dogmatismo» per adattarsi alla rapida evoluzione delle situazioni. Il Delegato francese ha terminato dicendo che il suo Governo approva il lavoro che si svolge nell’O.E.C.E. e ritiene che esso debba essere continuato. In sostanza, il Signor Valery ha parlato brevemente e in maniera non molto chiara. Egli ha tenuto ad affermare la fiducia francese nell’O.E.C.E., ma non si è pronunciato in alcun senso circa l’opportunità o meno di affrontare in una sede o nell’altra i problemi dell’energia. Era evidente da quello che andava dicendo che non aveva istruzioni precise, e che nelle incertezze del suo dire si ripercuotevano le incertezze e divergenze che sono in seno al Governo francese.

Intervenendo a questo punto, e premesso che non avevo istruzioni, io mi sono limitato a ricordare le linee generali della nostra politica, e il favore che il Governo italiano ha sempre mostrato alle iniziative dirette ad attuare concretamente l’integrazione economica europea nelle forme più larghe possibili. Ho sottolineato, come avevano fatto gli altri Delegati, l’importanza che era da attribuirsi alla dichiarazione fatta dal Delegato inglese per quel che riguarda la parte che l’Inghilterra era disposta a prendere nella soluzione del problema della cooperazione economica nel campo dell’energia atomica.

Il Delegato del Belgio, riprendendo la parola anche a nome di quello dei Paesi Bassi, ha detto che al momento attuale gli accenni al piano Spaak-Beyen sono semplici echi della stampa, sui quali è difficile pronunciarsi anche perché si ignora quel che penseranno i Parlamenti. Egli però era in grado di assicurare che i Governi del Benelux non hanno intenzione di mutare il loro atteggiamento nei confronti dell’O.E.C.E., né di diminuire le manifestazioni di «interesse e di considerazione positiva» verso questa Organizzazione. Accennando infine al fatto che alcuni oratori precedenti avevano lasciato comprendere che, ove l’energia ed i trasporti fossero stati trattati anche in sede C.E.C.A., ne sarebbe risultato un indebolimento dell’O.E.C.E., il Ministro Ockrent ha viceversa detto di non essere d’accordo con questa tesi. Anzi, a suo avviso, buoni frutti potrebbero nascere dal così detto «pluralismo» e cioè dall’appartenenza dei paesi a diverse organizzazioni internazionali nello stesso tempo. Il risultato sarebbe stato una necessaria intersecazione delle sfere di competenza, che però poteva anche essere benefica.

Il Rappresentante degli Stati Uniti, dopo aver rammentato la parte attiva che il suo Governo svolge sia all’O.N.U. che con collaborazioni bilaterali nel campo dell’energia nucleare, ha assicurato che avrebbe riferito a Washington sulla discussione, prevedendo che il suo Governo ne sarebbe stato certamente molto interessato, anche perché esso è sempre disposto a discutere qualsiasi problema economico vitale per l’Europa.

Il Rappresentante del Canadà ha accennato alla posizione specifica del suo paese in materia di energia atomica, ed al fatto che esso è sempre pronto a cooperare alle discussioni che si svolgono nell’O.E.C.E.

Ellis-Rees, in qualità di Presidente, ha concluso il dibattito auspicando che Armand completi sollecitamente il suo rapporto e che esso dia luogo ad una approfondita discussione, anche sui suoi aspetti tecnici; ed invitando tutti i presenti ad informare i rispettivi Governi sul programma di lavoro dell’O.E.C.E., «in modo che qualsiasi decisione sia presa in piena cognizione di causa».

Dopo questi interventi la seduta è stata tolta. L’esame del problema sarà ripreso in sede di discussione del rapporto Armand, che sarà distribuito fra due settimane.

Non mi pare necessario, dopo quanto ho riferito sulla discussione, mettere in luce le conclusioni generali. Chiaro è che la Gran Bretagna è avversa all’idea di una estensione delle competenze della C.E.C.A., e pur di evitare una tale estensione è disposta a trattare il problema delle fonti di energia in sede O.E.C.E., spingendosi più innanzi di quanto non avesse fatto finora. È un fatto notevole.

Più notevole il pieno e deciso appoggio tedesco alla posizione assunta dalla Gran Bretagna. Per quanto il Delegato tedesco abbia premesso che egli parlava a titolo personale, e abbia forse nella forma accentuato l’avversione della Germania all’idea di estendere la sfera di competenza della C.E.C.A. e di procedere a integrazioni per settore, è difficile che egli abbia preso una posizione così decisa e precisa se a questo non fosse stato autorizzato dal suo Governo.

È anche, credo, da notarsi la maniera cauta con la quale si è espresso il Delegato del Belgio, il quale ha tenuto sopratutto a marcare l’interessamento persistente del Governo del Benelux nell’O.E.C.E., limitandosi a non escludere, ma neppure a sostenere, la maggiore utilità di soluzioni in altra sede e con metodi diversi da quelli dell’O.E.C.E. Anche qui non saprei dire quanto, almeno nella forma, il Delegato belga obbedisca a istruzioni ricevute o a sue inclinazioni personali. Certo egli è stato molto vago, e non ha dato la sensazione che il Signor Spaak abbia già deciso quale indirizzo dare alle sue idee. La marcata importanza che egli ha dato alla dichiarazione inglese ha dato la sensazione che in questa dichiarazione egli voleva rilevare un fatto nuovo del quale il suo Governo avrebbe indubbiamente tenuto il maggior conto. Ma, volendo tirare le somme, il fatto veramente rilevante è la decisa opposizione mostrata dal Delegato tedesco all’idea di estendere la competenza della C.E.C.A. ad altri campi. Questa posizione tedesca, se è proprio quella del Governo della Repubblica Federale (ma, ripeto, il Signor Werkmeister ha parlato con tanta decisione da doversi dubitare che egli esprimesse solo un giudizio personale), non contraddetta in realtà da quella francese, che dalle dichiarazioni del Signor Valery è apparsa indecisa e oscillante, ha suscitato in questi ambienti molte perplessità circa la possibilità che il «rilancio» dell’idea europeista possa farsi sulla base di una estensione della competenza della C.E.C.A. E, per ora, forse solo potrebbe dirsi che le intenzioni attribuite al Signor Spaak abbiano avuto il solo benefico effetto di far impegnare l’Inghilterra a una partecipazione a eventuali accordi per l’energia atomica con gli altri Stati europei.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

Vitetti


1 T. 5705/129 del 22 aprile, con il quale Vitetti aveva comunicato le prime notizie circa la riunione dei Capi delle Delegazioni oggetto del presente rapporto.


2 Si riferisce all’incontro fra Spaak e Beyen all’Aja del 22-23 aprile 1955.


3 Ci si riferisce alla Conferenza al vertice di Ginevra fra i leader di Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Francia, tenutasi fra il 18 e il 23 luglio 1955.


4 Rapporto dal titolo «Quelques aspects du problème européen de l’énergie» preparato da Louis Armand, Presidente della S.N.C.F. dal 1955 al 1958, per l’esame in sede O.E.C.E. Sull’argomento vedi D. 32.

17

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

T. segreto 4198/c.1. Roma, 30 aprile 1955, ore 22,30.

Oggetto: Elezione Presidente Repubblica.

In talune previsioni e considerazioni di stampa straniera, concernenti elezione del Presidente Repubblica On. Gronchi2, si è voluto dare ad elezione stessa una speciale interpretazione quasi che essa potesse significare qualche perplessità di taluni ambienti parlamentari italiani circa linee di politica internazionale fino ad oggi costantemente seguite.

In relazione a quanto precede stimasi opportuno precisare seguenti punti:

1) tutta stampa italiana – come V.S. potrà rilevare da Ansa – è concorde nel porre in rilievo come Capo dello Stato sia al disopra e fuori combinazioni parlamentari e politiche.

2) Circostanza che, per elezione nuovo Presidente, abbiano questa volta confluito voti di partiti del tutto diversi tra loro, tra i quali il Democristiano, non significa affatto che partiti politici italiani che hanno approvato ratifica U.E.O., intendano modificare posizione da loro costantemente tenuta. Deve anzi precisarsi che stessa Democrazia Cristiana non intende prestarsi ad interpretazioni che possano fare immaginare suoi avvicinamenti a partiti di opposizione.

3) Protezione e difesa nostri interessi trovansi evidentemente nella riconferma della solidarietà occidentale che costituisce principale elemento per mantenimento pace e consolidamento possibilità coesistenza tra differenti raggruppamenti Stati.


1 Diretto alle Ambasciate a Washington, Parigi, Londra, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Ottawa, Atene, Ankara, Vienna, Madrid, Rio de Janeiro, Buenos Aires, Tokio, Berna, Belgrado e Mosca, alle Rappresentanze presso la N.A.T.O. e l’O.E.C.E., a Parigi, e presso l’O.N.U., a New York, e alle Legazioni a Lussemburgo, Lisbona, Copenaghen, Oslo e Stoccolma.


2 Giovanni Gronchi venne eletto Presidente della Repubblica il 29 aprile 1955.

18

L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 6180/88. Bad Godesberg, 30 aprile 1955, ore 1,50 (perv. ore 19).

Oggetto: Colloqui Pinay-Adenauer.

Nella prima giornata colloqui1, mentre esperti discutevano questioni più strettamente tecniche (collaborazione economica franco-tedesca; canale Mosella; rapporti economici franco-sarresi; questione Roechling) Pinay ed Adenauer hanno esaminato seguenti argomenti più generali:

1) possibilità distensione Est-Ovest;

2) preparazione Conferenza quattro potenze;

3) intendimenti tedeschi circa riunificazione Germania;

4) applicazione Accordo Saar;

5) intensificazione politica europeistica.

Su primi tre punti che non prevedevano se non scambi vedute generali si è facilmente raggiunta linea comune franco-tedesca.

Circa punto quarto si è d’accordo su organizzazione referendum, attribuzione diritto voto controllo, attribuzioni future Alto Commissario cui nome non è stato però fatto.

Circa punto cinque Pinay ha sostenuto sue idee circa estensione competenze C.E.C.A. a noti settori; Cancelliere si è in principio dichiarato d’accordo perché questione venga posta allo studio (rammento che ambienti tedeschi interessati si sono dichiarati contrari). Pinay ha anche proposto contatto permanente Ministri Esteri U.E.O. (e non solo C.E.C.A.) il che preciserebbe in forma più modesta quell’idea direttorio politico cui è stato di recente fatto cenno in notizie stampa.

Vedrò François-Poncet lunedì mattina2 e potrò riferire dopo aver udito impressioni ambedue parti3. Fin d’ora si può rilevare che francesi sono giunti qui con atteggiamento assai più elastico di quanto non era dato prevedere dopo ultime dichiarazioni Pinay in Parigi: d’altro canto, Adenauer sempre più conscio forza posizione tedesca sta avendo buon gioco per svolgere sua politica con crescente fermezza.


1 I colloqui fra Pinay e Adenauer si svolsero il 29-30 aprile 1955 a Bonn.


2 Il 2 maggio.


3 Vedi D. 19.

19

L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 6277-6299/92-94. Bad Godesberg, 2 maggio 1955, ore 12,30 (perv. ore 7,30 del 3)1.

Oggetto: Colloqui Pinay-Adenauer.

92. Mio 882.

Incontro Pinay-Adenauer terminato con accordo più soddisfacente di quanto non fosse atteso.

Per relazioni franco-tedesche:

1) si è raggiunta intesa affare Roechling attribuendo cinquanta per cento ciascuno due Governi. Questione era la più direttamente spinosa;

2) si è concordato che due Governi presenteranno medesima interpretazione dell’Accordo Saar a Parigi 10 maggio3, proponendo che plebiscito sia organizzato da U.E.O.; altre questioni relative nomina e poteri Alto Commissario nonché poteri Commissioni controllo risolte, persona Commissario non essendo stata ancora scelta. Accordi economici franco-sarresi non sono stati discussi;

3) si è stabilito Comitato culturale misto permanente nonché Comitato misto economico. Circa collaborazione economica riferisco per corriere.

Relativamente questioni generali ci si è dichiarati d’accordo che:

1) ai fini contropropagandistici debba farsi il possibile per trattare seriamente coi sovietici, sulla base di quanto esperti stanno preparando attualmente a Londra. A tale proposito riferisco per corriere;

2) Governo tedesco ha confermato linee propria politica (vedi miei rapporti 512 e 665 del 17 marzo e 4 aprile)4 e si è dichiarato d’accordo sulla necessità proporre un sistema sicurezza generale basato sul disarmo progressivo, smilitarizzazione talune zone ed accordi garantiti di non aggressione, giusta linee generali già riferite in precedenza. A tal proposito ho motivo ritenere che ove da parte sovietica fosse avanzata proposta neutralizzazione, Governo tedesco pur di respingerla giungerebbe persino a riconoscere che questione riunificazione potrebbe essere «accantonata»;

3) si è stabilito fomentare collaborazione europea sulla base più continui contatti fra Ministri. Si è anche concordato studiare estensione C.E.C.A. a questioni aeree, traffico e energia atomica pacifica. Circa tale materia compresa eventuale zona libero scambio Pinay erasi avanzato maggiormente secondo solito uso francese di abbondare in proposte del genere da smorzare in seguito. Adenauer è stato più riservato a causa posizione contraria ambienti tedeschi interessati. Permettomi rammentare che in fatto integrazione aerea esiste nostro piano presentato da On. Sforza a Strasburgo nel 19485;

4) si è deciso sostenere rinnovo presidenza Monnet accettando data primo giugno. (Cancelliere ha ormai ottenuto quanto si era proposto allorché aveva richiesto rinvio). Con ciò rispondo telegramma V.E. n. 76.

Aggiungo che Alta Corte Karlsruhe avendo promesso rendere suo responso 4 corrente, nulla opponesi ormai deposito ratifiche per 5 maggio.

94. Punti rimasti in sospeso nelle conversazioni Pinay-Adenauer sono, secondo quanto mi ha detto François-Poncet, i seguenti: questione riparazioni a favore Francia con affare Roechling; trattamento e votazione cittadini tedeschi espulsi da Saar; canalizzazione Mosella; trattative economiche franco-sarresi, per le quali tedeschi hanno dichiarato non essere ancora pronti discutere. Ciò stante François-Poncet prevede che Saar non ha cessato di costituire pericolo di future frizioni tra i due paesi.

Cancelliere è stato meno europeista di quanto francesi attendessero ed ha convinto Pinay che settori i quali potrebbero formare oggetto ulteriore integrazione europea potrebbero costituire altrettante agenzie specializzate parallele ma non necessariamente sottoposte ambito C.E.C.A.; ciò perché altre nazioni che non quelle partecipanti C.E.C.A. hanno vasti interessi e larghe possibilità in settori contemplati.

Nel caso in cui Monnet non volesse accettare reincarico trovando che C.E.C.A. non vedrebbe allargate proprie funzioni, i due Governi sono d’accordo nel proporre nomi René Mayer o Louvel.

Circa relazioni con Est, Cancelliere è partito dall’affermazione che presente atteggiamento sovietico è insieme conseguenza e sintomo di difficoltà interne e che, per tali motivi, alleati occidentali devono sfruttare al massimo congiuntura. Cancelliere fonda tale convinzione sul ristagno economia sovietica che sarebbe lungi dal corrispondere ai piani stabiliti nonché su crescenti pretenzioni e velleità cinesi nei confronti di Mosca.

François-Poncet ha poi precisato:

1) che tedeschi hanno evitato qualsiasi accenno a questione future frontiere;

2) che sistema sicurezza collettiva da loro illustrato si sta avvicinando alle idee laburisti e dei socialisti tedeschi poiché oltreché fondarsi su disarmo farebbe largo credito a patti di non aggressione garantiti collettivamente.

In conclusione Alto Commissario francese si è dichiarato soddisfatto dell’andamento dei colloqui «sopratutto perché essi si presentavano assai male prima di cominciare» ma non ha mancato di lamentarsi della rigidità che questa volta i tedeschi hanno mostrato in misura maggiore.

E poiché negli ambienti dell’Alta Commissione americana ci si è per contro lamentati di certe intransigenze francesi (i quali tra l’altro non hanno voluto rinunciare alla quota riparazione riguardante affare Roechling) da tale scontento reciproco si dovrebbe dedurre che l’accordo in sostanza è stato buono7.


1 La prima parte del presente documento (T. 92), partita alle ore 12,30, pervenne alle ore 17,35, mentre la seconda (T. 94), partita alle ore 19,25, pervenne alle ore 7,30 del giorno successivo.


2 Vedi D. 18.


3 Si riferisce alla riunione del Consiglio Direttivo dell’U.E.O. del 9-11 maggio 1955: vedi D. 22.


4 Per il primo documento vedi Avvertenza, il secondo non si pubblica.


5 Il piano di unione aerea europea fu presentato al Segretariato Generale del Consiglio d’Europa il 3 maggio 1951. Vedi I Documenti Diplomatici Italiani, serie undicesima, vol. V, D. 390.


6 Riferimento errato: si tratta del T. 4771/185 (Parigi) 47 (Bad Godesberg) del 30 aprile, con il quale Rossi Longhi aveva richiesto informazioni sulle posizioni francese e tedesca circa la riunione dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Lussemburgo, proposta da Bech per il 1° giugno, e la nomina del Presidente dell’Alta Autorità.


7 Con successivo T. 6471/96 del 5 maggio Grazzi aggiunse alcune precisazioni: «1. Relativamente a conferma Monnet, Cancelliere è stato molto più fermo che non Pinay il quale personalmente favorevole ha dato sua adesione di principio ma ha tenuto specificare che decisione relativa non può [non] essere sottoposta ad intero Gabinetto francese; 2. François-Poncet ha tenuto a far ricadere sui tedeschi la proposta che le nuove Agenzie specializzate non si identificassero con la C.E.C.A. Sembra invece che sia stata proprio la parte francese a proporlo».

20

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. segreto 6304/85. Londra, 2 maggio 1955, ore 21,14 (perv. ore 7,30 del 3).

Mio 791.

Stamane ha avuto luogo ultima seduta Commissione ad interim U.E.O.2. È stato deciso che prima riunione ufficiale Consiglio abbia luogo sabato 7 corrente ore 22 presso Ambasciata britannica Parigi dopo pranzo fissato per ore 203. A tale riunione Ministri potranno essere accompagnati da altri due esperti in aggiunta quello invitato pranzo.

Programma lavori è stato fissato come segue:

1) elezione Presidente;

2) dichiarazioni inaugurali singole Delegazioni;

3) adozione ordine del giorno;

4) rapporto Commissione ad interim;

5) approvazione progetto Convenzione per Statuto Organizzazione;

6) nomina Segretario Generale;

7) nomina Direttore Agenzia controllo armamenti;

8) produzione e standardizzazione armamenti:

a) istituzione Comitato permanente armamenti;

b) rapporto Comitato esperti;

c) nomina Segretario Generale aggiunto incaricato dirigere Segretariato Comitato suddetto;

9) questioni relative accordo franco-tedesco per Saar;

10) questioni relative Assemblea:

a) organizzazione Assemblea;

b) organizzazione e data prima riunione;

11) altre eventuali nomine;

12) lingue ufficiali dell’Organizzazione;

13) altre questioni eventuali;

14) comunicato stampa.

Poiché è probabile che ordine del giorno non possa essere esaurito in unica riunione è prevista seconda riunione che tenendo conto agenda Consiglio N.A.T.O. potrebbe forse aver luogo pomeriggio martedì 10 corrente. Su proposta francese tale riunione avrebbe luogo Quai d’Orsay.

Per quanto riguarda varî punti ordine del giorno faccio presente quanto segue:

a) per elezione Presidente, inglesi si attendono che venga mantenuto sistema rotazione trimestrale attualmente in vigore secondo cui presidenza spetta ora Gran Bretagna cosicché a Presidente riunione Parigi dovrebbe essere designato Macmillan;

b) invio per corriere testo definitivo progetto convenzione per Statuto. Per firma che potrebbe aver luogo seconda riunione occorrerà considerare se sono necessari pieni poteri V.E.;

c) questione relativa funzionamento Agenzia controllo armamenti (mio 66)4 è stata risolta nel senso di attendere che direttore che verrà nominato richieda costituzione comitato ad hoc per esame questioni di cui trattasi;

d) circa Assemblea Delegazione britannica ha espresso avviso che almeno prima riunione inaugurale dovrebbe precedere e non seguire Assemblea Consiglio Europa fissata come noto dal 5 al 9 luglio. Non sembrando però ciò possibile causa Assemblea O.N.U. che si riunirà San Francisco 26 giugno occorrerà esaminare possibilità che lavori Consiglio e Assemblea U.E.O. si svolgano contemporaneamente con quelli Consiglio Europa;

e) Delegazione tedesca ha comunicato che Governo Bonn solleverà questione lingue ufficiali Organizzazione le quali finora erano solo inglese e francese.

Invio per corriere rapporto Commissione ad interim ed altri documenti allegati.


1 T. segreto 5967/79 del 27 aprile, con il quale Zoppi aveva anticipato alcune informazioni circa la riunione oggetto del presente telegramma.


2 Con Telespr. 2254/1055 del 3 maggio Zoppi riferì su questa riunione e trasmise l’ordine del giorno di quella del Consiglio dei Ministri prevista per il 7 maggio.


3 La riunione ebbe poi luogo nei giorni 9-11 maggio, vedi D. 22.


4 T. segreto 5497/66 del 19 aprile, non pubblicato.

21

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI1,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. Roma, 6 maggio 1955.

Caro Pietro,

per tua utile informazione ti invio, qui allegata, copia di un appunto concernente i problemi sollevati dall’integrazione economica europea dei quali anche tu ti sei di recente occupato nei tuoi rapporti.

Su questi argomenti sarà tenuta una riunione a Parigi approfittando della presenza di S.E. il Ministro2.

Sarò costà domenica mattina, e poiché la riunione avrà luogo alle 10, ho pensato di spedirti l’appunto affinché tu ne conosca il contenuto per l’ora voluta.

Il documento, sul quale Rossi Longhi e Magistrati si sono dichiarati in massima d’accordo, non ha ancora carattere ufficiale e ti pregherei pertanto di volerlo considerare come riservato.

Credimi, caro Pietro, con tutta cordialità.

Tuo aff.mo

Attilio3

Allegato

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI

Appunto4.

INTEGRAZIONE ECONOMICA EUROPEA

1. È opinione diffusa nelle sfere di Governo dei paesi occidentali che superate tutte le difficoltà che si frapponevano allo scambio delle ratifiche dell’U.E.O. i tempi siano maturi per una ripresa in avanti del cammino integrativo in Europa. Alla necessità di perseguire questo obbiettivo per i suoi fini proprii, si aggiunge un elemento politico importante di tempestività in raffronto alle iniziative sovietiche in Europa Orientale e ancor più in Austria.

2. La determinazione dei Governi europei sull’obbiettivo di integrazione europea è di intensità diversa, come diversi sembrano i metodi menzionati, per una ripresa dell’azione. Sulla base delle informazioni sino ad oggi pervenute i Governi del Benelux sembrano i più dinamici tanto negli intendimenti che nell’approccio metodologico verso l’integrazione, il Governo tedesco più cauto forse nel metodo, quello francese diviso sia sul fondo che sul metodo, quello inglese sempre più cauto e pragmatico di ogni altro, ancorché non interamente negativo.

3. Le idee sinora affacciate sono, come è noto:

a) Ripresa dell’integrazione economica per settore, nel campo delle fonti di energia, (elettricità, petrolio, energia nucleare), e dei trasporti. L’idea è stata enunciata da Monnet in connessione con il problema della nomina del nuovo Presidente della C.E.C.A.

Quattro dunque dei sei paesi continentali, con finalità di consolidamento della Comunità e del metodo sopranazionale.

Questa idea è caldeggiata oltre che da Monnet e Spaak dal Governo olandese e lussemburghese; e sembra peraltro sollevare perplessità in Germania e forti resistenze in Francia; dell’atteggiamento inglese si parlerà più avanti.

b) Ripresa dell’integrazione economica globale oltre i limiti già raggiunti con la liberazione degli scambi O.E.C.E. Il metodo ora affacciato dai paesi Benelux è quello della costituzione di una zona di libero scambio europeo: è questo un modo di integrazione contemplato dalle norme del G.A.T.T. e segue, se pure in misura parziale, le linee del così detto piano Pella, presentato dal Governo italiano nel 1951 all’O.E.C.E., con la costituzione di un’area preferenziale.

Anche questa idea è proposta dai paesi del Benelux, che sono sempre stati con noi assertori della necessità della creazione graduale di un mercato unico europeo. Quadro geografico aperto e metodo intergovernativo tradizionale.

c) Ripresa generica politico-economica. Così si potrebbero indicare, senza poterle per ora meglio caratterizzare, le idee espresse da Faure in alcuni discorsi e da Pinay nei comunicati apparsi dopo gli incontri di Bonn di questi giorni. (Organo collegiale di Primi Ministri – e quindi strumento addizionale pragmatico di integrazione politica – integrazione per settore: produzione aeronautica, linee aeree, trasporti, ricerche e studi nucleari.

Quadro, sembra, U.E.O. aperto, metodo misto; intergovernativo per la parte politica, vago per il resto.

4. Una presa di posizione italiana sui problemi dell’integrazione sembra dovrebbe basarsi sulle considerazioni seguenti:

I. Integrazione orizzontale – idea costante da noi sostenuta per esigenze obbiettive strutturali italiane e per corretto fondamento economico. La proposta di zona di libero scambio si avvicina a questa esigenza.

II. Integrazione sopranazionale per settore l’abbiamo accettata solo per la considerazione politica di facilitare l’eliminazione del dissidio franco-tedesco (carbone-acciaio e difesa) e come strumento per iniziare la Comunità politica.

III. Non ci siamo mai opposti a progressi integrativi di settore non sopranazionale (Comitato Ministri agricoltura, Conferenza Ministri trasporti) purché inseriti organicamente in un quadro economico generale e in un’area più vasta geograficamente (O.E.C.E.).

IV. Dopo il rigetto in Francia della C.E.D. per le note ragioni si è dato vita ad una costruzione integrativa politica nuova, l’U.E.O., che unisce la Gran Bretagna al continente. È per lo meno affrettato svalutarne la portata e le possibilità di sviluppo, prescindendone nei nuovi piani di integrazione; ciò significherebbe riaprire subito un antagonismo continente-Gran Bretagna, fattore di disintegrazione anziché di unione. A questa esigenza sembra rispondere in parte la proposta franco-tedesca di organo politico dei Primi Ministri.

V. L’esperienza C.E.D., che ha polarizzato per due anni energie politiche preziose, dimostra che è quanto meno aleatorio prefiggersi costruzioni troppo ardite che possano essere scrollate dagli eventi sfavorevoli o respinte dai Parlamenti.

VI. L’integrazione europea si è avvalsa sinora dei meccanismi essenziali della liberazione degli scambi e della Unione Europea dei Pagamenti: in un prossimo futuro è assai probabile vengano compiuti da un certo numero di paesi europei dei passi ulteriori verso la convertibilità che possono avere ripercussioni non ancora valutabili sul regime degli scambi intereuropei. Interessa al massimo grado di vegliare a che nuovi orientamenti integrativi non abbiano per risultato di turbare la solidarietà esistente tra continente e Gran Bretagna.

VII. Qualsiasi iniziativa futura deve poter essere «digerita» dalla Francia poiché non è possibile fare l’Europa senza o contro la Francia. Ciò non vuol dire che si debba commisurare esattamente il passo dell’integrazione alla capacità di moto dei più retrivi settori francesi, ma neppure di quelli più aperti. In altri termini è consigliabile prefiggersi obbiettivi che siano un po’ più avanzati di ciò che sembra accettabile ai francesi ma non oltre.

VIII. Conviene all’Europa di avere un processo integrativo che non estranei completamente la Svizzera al processo: a questo ha provveduto sinora l’O.E.C.E. e gli accordi O.E.C.E.-C.E.C.A. nonché la Conferenza dei Ministri dei Trasporti.

Prossimamente un altro paese europeo alle nostre frontiere avrà una posizione analoga a quella della Svizzera e cioè l’Austria: è desiderabile che il processo integrativo europeo economico non abbia per risultato di precludere all’Austria una partecipazione di tipo svizzero.

IX. Conviene ricordare che l’Italia si incammina su un programma di sviluppo economico inteso a risolvere i problemi dell’occupazione e dell’equilibrio economico tra nord e sud, programma che postula un incremento del processo integrativo europeo in un’area geografica la più larga possibile. Poiché d’altro canto abbiamo polarizzato il favore del mondo esterno su questo nostro programma nel quadro dell’O.E.C.E. da cui abbiamo ricevuto e ci attendiamo ancora concreta assistenza, è nostro interesse contribuire al rafforzamento di questo organismo.

X. È interesse italiano che il processo integrativo europeo avvenga gradualmente e senza soste e senza esasperazioni di posizioni tra i paesi membri: in altri termini sembra che l’azione moderatrice naturale italiana possa svolgersi nel far sì che la Francia possa sentirsi incoraggiata nel processo da una azione italiana che l’affianchi sospingendola.

Posto che queste considerazioni siano fondate, quale atteggiamento potrebbe esser preso di fronte alle varie idee finora affacciate?

1. Riaffermare che il Governo italiano considera il progresso dell’integrazione europea come un obbiettivo fondamentale della sua politica e perciò è pronto ad esaminare con i paesi occidentali tutte le iniziative proposte;

2. per esigenze della sua struttura e del suo programma di sviluppo il Governo italiano ritiene che ci si debba indirizzare verso quei metodi che consentano di assicurare, nei limiti del possibile, la partecipazione del maggior numero di paesi europei;

3. il Governo italiano ritiene che, nel pragmatismo che deve guidare l’azione dei Governi europei verso l’obbiettivo dell’unità, le iniziative nuove di carattere integrativo abbiano a valersi di tutte le costruzioni sinora realizzate consolidandone le fondamenta (U.E.O., O.E.C.E., C.E.C.A.);

4. per la struttura economica dell’Italia, le forme integrative globali sono più conformi ai suoi interessi, come è stato ripetutamente affermato sia in sede O.E.C.E. col piano Pella, sia in sede di C.P.E. E pertanto l’iniziativa Benelux di una zona di libero scambio è considerata con vivo interesse dal Governo italiano che è pronto ad esaminarla nei suoi varii aspetti;

5. il Governo italiano non si rifiuta a priori di esaminare proposte integrative di settore nel contesto dei vari organismi esistenti e sempre che non si accrescano così gli squilibrii nel processo integrativo globale. Nell’assumere questa posizione il Governo italiano ha presente d’altra parte che talune fonti di energia sembrano avere caratteristiche particolari che mal si prestano ad assimilazioni con il carbone e l’acciaio e localizzazioni che esorbitano dal quadro geografico C.E.C.A. Sembra inoltre sia importante di non determinare interpretazioni negative nel prescegliere una data sede per l’approfondimento degli importanti problemi tecnici che queste integrazioni di settore comportano;

6. Questi primi orientamenti sulle posizioni italiane, tratti dalle considerazioni di carattere generale sopra enunciate e che dovranno essere fatte presenti in guisa di chiarimento nelle prese di contatto dei nostri rappresentanti nei paesi U.E.O. e O.E.C.E. mentre sono ben definiti per quanto concerne le proposte di integrazione globale, servono altresì a dimostrare come non si possa da parte nostra rispondere in maniera definita ai quesiti postici in tema di estensione dei poteri della C.E.C.A., prima di aver sceverato tutti gli aspetti tecnici della integrazione nei vari settori menzionati, e prima di aver valutato i possibili riflessi anche politici che un’azione in sede C.E.C.A. in ognuno di essi settori, sia suscettibile di provocare nei varii organismi di integrazione politica ed economica ai quali apparteniamo.


1 Delegato aggiunto per la Cooperazione Economica Europea, con il titolo di Ambasciatore.


2 Si riferisce alla riunione del Consiglio Direttivo dell’U.E.O. a Parigi, 9-11 maggio 1955: vedi D. 22.


3 La sottoscrizione è autografa.


4 Trasmesso da Soro agli stessi destinatari di cui al D. 1, nota 1, (Telespr. riservato 44/07387 del 17 maggio) con la seguente precisazione: «Il documento, che ha avuto l’approvazione di massima di S.E. il Ministro, ha carattere puramente indicativo e potrà essere oggetto di ulteriore elaborazione».

22

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

Appunto riservato1.

APPUNTO SULLA RIUNIONE DEL CONSIGLIO ATLANTICO

E DEL CONSIGLIO DIRETTIVO DELL’UNIONE DELL’EUROPA OCCIDENTALE

(Parigi 9-11 maggio 1955)

Alla data in precedenza indicata, con la presenza dei Ministri degli Affari Esteri dei paesi alleati e sotto la presidenza del Ministro degli Affari Esteri di Grecia, Stephanopoulos, si è riunito a Parigi, nella sua sede del Palais de Chaillot, il Consiglio Atlantico.

Assente, per malattia, il Segretario Generale dell’Organizzazione, Lord Ismay, le cui non buone condizioni di salute fanno ormai prevedere non lontana la sua sostituzione nell’importante carica da lui ricoperta in questi anni.

La caratteristica principale della conferenza, alla quale non hanno partecipato i Ministri della Difesa e delle Finanze, è stata che essa ha preso, fin dal suo inizio, la fisionomia di riunione avente per scopo unicamente la discussione politica degli importantissimi problemi attualmente sul tappeto. Contrariamente, quindi, ai precedenti Consigli, non vi è stata trattata alcuna questione tecnica del settore organizzativo finanziario e militare.

Sulla riunione stessa, inoltre, hanno esercitato una grande e diretta influenza gli avvenimenti che, in perfetta concomitanza di tempo, hanno caratterizzato la prima decade del mese di maggio: dall’imminente firma del Trattato di Stato per l’Austria, all’invito dei tre «grandi» al Governo sovietico per prendere parte ad un incontro a livello dei Capi di Governo, alle conversazioni, infine, di Londra, nel quadro delle Nazioni Unite ed in merito alle possibilità di raggiungere un accordo sulla limitazione degli armamenti. Avvenimenti tutti che – è bene dirlo espressamente – si sono svolti e si svolgono sostanzialmente al di fuori, in certo modo, dell’Organizzazione atlantica per quanto questa sia stata messa, come si dirà in seguito, al corrente degli intendimenti di massima dei paesi che si sono assunti l’iniziativa e l’incarico della trattativa tra i due blocchi oggi esistenti nel mondo.

Una prima parola va detta sul fatto che l’avvenimento principale della riunione atlantica, ossia il definitivo ed ufficiale ingresso della Repubblica Federale Tedesca, si è svolto esattamente proprio mentre nelle strade di Parigi veniva celebrato il decimo anniversario della vittoria riportata dagli alleati, nel 1945, sulle forze della Germania. Così, mentre al Quartiere Generale Alleato di Marly veniva innalzata, alla presenza del Generale Gruenther e del Generale tedesco Speidel ed al suono del «Deutschland über Alles» (con la partecipazione, peraltro, della musica del 5° Reggimento Ussari britannico, appositamente inviata a Parigi) la bandiera germanica, per le strade della capitale francese sfilavano i cortei commemorativi e si deponevano fiori sulle lapidi dei Caduti: situazione alquanto anomala che però non ha dato luogo ad alcun incidente e ha anzi dimostrato un notevole equilibrio nell’opinione pubblica di Francia.

Sta di fatto che la Repubblica Federale Tedesca – come è apparso chiaramente anche dalle dichiarazioni fatte, a nome dei loro Governi, da tutti indistintamente i Ministri degli Affari Esteri – è entrata nell’Organizzazione atlantica con tutti gli onori e con notevole prestigio. La presenza, inoltre, del Cancelliere Adenauer, personalità, oramai, di primissimo piano sulla scena politica dell’Europa, ha dato alla seduta inaugurale un particolare significato. E le parole da lui pronunciate e nelle quali si è inteso vibrare quel concetto di «morte e trasfigurazione», caratteristiche dello spirito del popolo tedesco, destinato sempre a cadere ed a rialzarsi, non hanno mancato, per il tono di sincerità e di «buona fede» con il quale sono state dette, di provocare un generale consenso.

Esaurita la cerimonia dell’ingresso della Germania, la conferenza si è iniziata, secondo la tradizione, con l’esame del rapporto che il Segretariato Generale presenta regolarmente ad ogni riunione in merito all’andamento ed agli sviluppi della politica sovietica. E qui nessun commento di rilievo è stato fatto ad eccezione dell’abituale grido di allarme americano inteso sempre a porre in rilievo come non esistano tuttora indizi sicuri circa un capovolgimento delle intenzioni del Governo di Mosca e come, di conseguenza, sia necessario, per i paesi atlantici, il mantenimento della loro compattezza e della loro forza.

Si è poi passati alla discussione vera e propria dei problemi politici attualmente in sviluppo e che possono e devono formare oggetto della eventuale trattativa con il Governo sovietico: e cioè, in particolare, il problema della Germania, quello dell’Austria e quello della sicurezza in Europa. Tutte questioni, in realtà, tra loro – come ha opportunamente fatto rilevare il Rappresentante italiano, On. Martino – strettamente «interdipendenti» e che vanno, quindi, considerate quali formanti un complesso in sostanza indivisibile.

Questa fase, molto interessante, della discussione ha chiaramente dimostrato quanto si vadano facendo delicati, in seno all’Organizzazione atlantica, i rapporti tra i «tre grandi» e gli altri Stati i quali tutti si sentono in diritto ed in dovere, in vista della comune responsabilità e del comune pericolo, di poter dire tempestivamente la loro parola in merito alle grandi questioni oggi dibattute ed in primo luogo a quella, essenziale, della così detta «distensione».

Non poche, infatti, sono state, questa volta, nell’aula del Palais de Chaillot, le domande rivolte e le perplessità dimostrate dai Rappresentanti degli Stati che si sentono, in certo modo, esclusi dalla trattativa, e ripetute, di conseguenza, sono state le «assicurazioni» loro rivolte dai Ministri degli Esteri, e specialmente dal Segretario di Stato Foster Dulles, dei tre paesi destinati a trattare con l’Unione Sovietica. In modo particolare il Ministro degli Esteri del Belgio, Spaak, ha elevato, specialmente sul problema del Trattato per l’Austria, chiari interrogativi circa la necessità, per gli Stati europei, di conoscere con esattezza e tempestivamente i previsti termini di risoluzione di quel delicato problema europeo.

Concetti analoghi sono stati esposti dal Ministro On. Martino, il quale, nel chiaramente porre in rilievo la inscindibilità delle questioni oggi sul tappeto, ha indicato talune linee generali sul metodo che sarebbe augurabile vedere seguito nell’imminente trattativa.

«Noi sappiamo – egli ha detto – che lo scopo da noi perseguito è l’accettazione, da parte sovietica, del principio di un controllo reale, efficace e globale di tutti gli armamenti, siano essi convenzionali o non convenzionali, senza il quale tutti gli accordi che ci fosse dato concludere resterebbero lettera morta. Basandoci su questo principio mi domando se non si potrebbe insistere presso i russi sulle idee essenziali che già apparvero inserite nella Nota alleata del 29 novembre scorso, nel senso che gli accordi che regolano o che appaiono destinati a regolare i rapporti militari tra i paesi comunisti, non prevedono un sistema di limitazioni e di controlli analogo a quello che è stato stabilito, nell’ottobre scorso, con gli Accordi di Parigi. In ultima analisi, si tratta proprio di questo: l’adozione, dalle due parti della cortina di ferro, di un sistema di limitazioni equilibrate, volontarie e concordate, che si trova alla base dei trattati che istituiscono l’U.E.O.».

Circa poi la specifica questione dell’imminente conclusione del Trattato di Stato per l’Austria, lo stesso On. Martino nell’indicare come la ancora incerta e non definita posizione di neutralità dello Stato austriaco apra indubbi problemi, proprio nel quadro della N.A.T.O., di protezione e di sicurezza dei paesi con esso confinanti e quindi, in primo luogo, dell’Italia, ha aggiunto: «Gli interrogativi di oggi riguardano il carattere della neutralità austriaca, la portata ed i limiti della garanzia, individuale o collettiva, che sarà data dall’Unione Sovietica in un quadro di garanzia a quattro, gli impegni che saranno presi verso l’Austria dai paesi limitrofi, le ripercussioni, infine, e le conseguenze di carattere militare che deriveranno, per l’Occidente, dalla costituzione di una Austria neutrale secondo principii e garanzie che non ci è dato ancora conoscere chiaramente. Il Governo italiano, per quanto lo riguarda, è pronto ad impegnarsi al rispetto dell’integrità del territorio austriaco e della sua neutralità. Esso, inoltre, pensa che l’Austria neutrale dovrebbe essere libera di partecipare a qualsiasi organizzazione internazionale, attualmente esistente o che potrà essere creata: situazione che le permetterà di rinforzare la propria struttura e di collaborare, sotto il punto di vista politico, economico e sociale, con la nostra comunità occidentale».

Da tutto l’insieme della discussione è apparsa particolarmente chiara la preoccupazione di vedere assolutamente mantenuta, si ripete, l’unità atlantica destinata a costituire il mezzo più efficace e più potente per facilitare il successo di una eventuale trattativa destinata, comunque, a mantenere intatti i concetti di libertà e di democrazia dei paesi occidentali. Situazione evidentemente non facile in quanto che, specie in talune opinioni pubbliche dell’Occidente, il movimento distensivo auspicato e desiderato potrebbe tradursi in un veloce rilassamento e disgregamento del sistema difensivo che l’Organizzazione atlantica è riuscita, con molti sforzi e con molti sacrifici, a mettere in piedi.

Sull’argomento la definizione più felice è apparsa quella data dal Ministro degli Affari Esteri del Canadà, Pearson, il quale, dopo aver ricordato l’evoluzione che la N.A.T.O. sta compiendo nel considerare in certo modo esaurita l’antica formula della ricerca dell’equilibrio tra le necessità militari e le possibilità economiche e finanziarie di ciascun Stato alleato, ha indicato come la situazione attuale sia invece caratterizzata proprio dalla ricerca dell’equilibrio tra la necessità di rimanere forti riuniti e la possibilità di trattare con il blocco sovietico: quasi che il processo distensivo debba identificarsi con una diminuzione, si ripete, dello sforzo difensivo.

Sta di fatto che, per la prima volta, si è largamente parlato, in sede di conferenza atlantica, di possibilità di «limitazione degli armamenti» se non addirittura di formule di disarmo. E le notizie giunte da Londra proprio nell’ultimo giorno della conferenza e indicatrici di una certa buona volontà sovietica intesa a promuovere, con le idee avanzate dall’Ambasciatore Malik, la possibilità della creazione di un certo principio, di carattere pratico, atto a facilitare la limitazione degli armamenti per ciascuno dei maggiori paesi, sono state accolte con non piccolo interesse.

La seconda parte della conferenza è stata destinata ai rapporti fatti rispettivamente dal Rappresentante della Turchia, Zorlu, e dal Segretario di Stato americano, Foster Dulles, rispettivamente sulla situazione nel Vicino Oriente e sul conflitto di Estremo Oriente.

Con la prima di esse il Signor Zorlu, che è destinato ad assumere la carica di Ministro degli Affari Esteri del suo paese e che ha anche rappresentato la Turchia alla recente conferenza afroasiatica di Bandung, si è vivamente prodigato, con l’esposizione dei motivi che hanno consigliato la stipulazione del Patto di Bagdad, nel porre in rilievo i vantaggi da esso costituiti, per il rinforzamento della difesa anti-sovietica in una zona indubbiamente delicata, per tutto il complesso dell’Alleanza atlantica: esposizione che ha confermato ancora una volta come la Turchia si ritenga attualmente una delle maggiori «fedeli» dell’Organizzazione atlantica e come essa intenda rappresentare sempre più, con il consenso e l’appoggio degli Stati Uniti, una vera e propria «lancia spezzata» anti-sovietica.

Sul secondo punto il Segretario di Stato Foster Dulles che, nella sua esposizione sul problema di Formosa, ha usato termini molto elevati e tali da dare al suo discorso un carattere di particolare importanza, ha attirato l’attenzione dei presenti sulla complessità «mondiale» della questione che non va ridotta nei modesti termini geografici delle piccole isole Kemoy e Matsu ma va invece vista nelle sue conseguenze nel quadro del prestigio e della forza dell’intero Occidente nel latente conflitto con il comunismo cinese. Egli così, dopo avere anche polemizzato con il Ministro Spaak che aveva sollevato molti dubbi circa la figura morale e l’atteggiamento del Maresciallo Ciang Kai Scek, ha in un certo modo confermato come non esista un vero e proprio impegno formale americano per la difesa di quelle piccole isole (sempre che, naturalmente, non vi sia contemporaneamente un attacco armato comunista contro di esse e contro Formosa), ma sussista invece l’intendimento del Governo di Washington di non veder sopraffatta, nell’intero Pacifico, sul quale, tra l’altro, si affacciano grandi e sempre più importanti Stati della Confederazione americana, l’idea occidentale: in riassunto, quindi, i Rappresentanti alla conferenza atlantica hanno tratto l’impressione che il Governo di Washington intende rimanere fedele alla sua decisione di non accettare di vedere oggi estromesso da Formosa, dalla forza del Governo comunista di Pechino, il Governo nazionalista di quel Maresciallo cinese.

La conferenza atlantica ha, infine, preso brevemente in esame i rapporti destinati a crearsi tra la N.A.T.O. e l’U.E.O., che proprio ora inizia la sua vita e la sua attività. E qui problema principale è apparso quello della necessità di considerare fin da ora, in certo modo, quali debbano essere le questioni di carattere politico che, all’infuori della N.A.T.O., potranno essere discusse al tavolo del Consiglio Direttivo del nuovo organismo europeo: situazione che ha provocato un’interessante, anche se breve, discussione tra il Ministro Spaak ed il Cancelliere Adenauer, apparso, quest’ultimo, nettamente propenso a dare valore e contenuto politici all’U.E.O. che, per suo Statuto, è destinata del resto a trattare problemi di notevolissima importanza, quali quelli della limitazione degli armamenti, della Saar, ecc.

In conclusione, su questo problema dei rapporti tra le due Organizzazioni si è raggiunto un accordo di massima, inteso ad impedire la creazione di «doppioni» e di «accavallamenti di competenze» che porterebbero a confusioni e, sopratutto, darebbero ai paesi della N.A.T.O., che non sono contemporaneamente membri dell’U.E.O., la sensazione di essere praticamente estromessi dalla trattazione dei problemi europei.

L’esposizione di quanto sopra sta, si ripete, a confermare come l’Organizzazione atlantica stia passando dalla prima fase quinquennale del potenziamento dei suoi apprestamenti difensivi ad una seconda fase destinata a dare sempre più consistenza alla trattazione dei problemi politici di interesse comune. E qui, si ripete ancora una volta, è apparsa chiara l’intenzione dei paesi minori di non riconoscere interamente il valore morale e giuridico di un «direttorio» destinato ad agire per conto proprio e per propri scopi: situazione questa, non già teorica e ipotetica, ma già – come ha dimostrato l’odierno invito rivolto dai «tre grandi» al Governo del Maresciallo Bulganin – in stadio di esistenza e di applicazione.

Opportunamente, quindi, il comunicato finale della conferenza si è, nella sua frase conclusiva, così espresso: «I Ministri si sono felicitati dei metodi seguiti dal Consiglio che hanno loro permesso di esprimersi con piena libertà ed intera franchezza e di procedere così, in forma approfondita, ad un largo confronto dei differenti punti di vista. Queste discussioni stanno a dimostrare la solidarietà fondamentale della Alleanza e l’eminente valore del Consiglio nel quadro delle consultazioni politiche. Il Consiglio è deciso a continuare l’applicazione di tali metodi che permettono di orientare l’azione politica dei Governi membri secondo principi comuni».

Contemporaneamente alla conferenza atlantica si è svolta, dapprima nella sede dell’Ambasciata britannica ed in seguito nel palazzo del Quai d’Orsay e sotto la presidenza del nuovo Ministro degli Esteri del Regno Unito, Macmillan, la prima riunione dei Ministri che formano il Consiglio Direttivo dell’Unione dell’Europa Occidentale: riunione destinata principalmente a dare assetto e consistenza all’Organizzazione del Segretariato Generale ed agli organi principali del nuovo ente. Così si è velocemente provveduto alla nomina del Segretario Generale nella persona del diplomatico belga Goffin, del Direttore Generale dell’importante agenzia di controllo degli effettivi e degli armamenti nella persona dell’Ammiraglio italiano Ferreri, e dei Vice-Segretari Generali nelle persone del tedesco von Hetzdorf, del francese Christofini (destinato ad esercitare le sue funzioni in seno al previsto Comitato permanente degli armamenti) e dell’inglese Frazer2.

Nella seconda seduta il Consiglio ha poi deciso di assumere oramai le proprie responsabilità, secondo le proposte contenute nell’accordo franco-tedesco del 23 ottobre 1954, in merito all’organizzazione dei «referenda» che verranno tenuti nel territorio della Saar, e ha risolto alcuni problemi che ancora esistevano circa le condizioni di voto di quegli elettori e circa i poteri del futuro commissario europeo per la Saar stessa. Nessuna decisione invece è stata presa circa la nomina di quel commissario mentre, per la costituzione del Comitato Direttivo permanente dell’U.E.O., che ha sede a Londra è stato in linea di massima convenuto che, per il momento, ciascun paese resterà libero di provvedere, nei modi migliori, alla sua rappresentanza, servendosi, eventualmente, anche della presenza degli Ambasciatori residenti nella capitale britannica3.

Circa queste due importanti riunioni appare utile aggiungere qui appresso talune impressioni di carattere generale:

1. L’Italia ha svolto un’azione di equilibrio e, nello stesso tempo, di sostegno per la tesi destinata a dare al Consiglio atlantico ed all’U.E.O. pesi specifici rilevanti in merito agli sviluppi delle prossime e tanto significative trattative internazionali. Essa, che, tra l’altro, è destinata ad assumere, nel prossimo settembre, la presidenza annuale della N.A.T.O., non ha mancato di porre in risalto la necessità che non si creino, tra i membri dell’Alleanza, differenziazioni, declassamenti o comunque discriminazioni. In tale posizione ed a tale riguardo molto opportuna e tempestiva è apparsa la solenne dichiarazione fatta, proprio nei confronti dello Stato italiano, dal Segretario di Stato Foster Dulles e che, ripresa nel comunicato finale della conferenza, ha incontrato l’approvazione dei Rappresentanti di tutti gli Stati firmatari del nostro Trattato di pace del 1947 e membri dell’Organizzazione atlantica; dichiarazione che così suona:

«In occasione dell’entrata in vigore degli Accordi di Parigi, il mio Governo ritiene appropriato di ricordare quanto attiva e importante è stata la parte presa dall’Italia nel raggiungimento di tale ulteriore progresso verso una sempre crescente solidarietà europea ed atlantica.

Il mio Governo ha ripetutamente dichiarato che considera vari aspetti discriminatori del Trattato di pace con l’Italia come superati o non corrispondenti alla posizione della nuova Italia. Il mio Governo considera l’Italia un apprezzato alleato ed un membro libero ed uguale del consesso delle nazioni democratiche e amanti della libertà. È questo spirito che guida, e continuerà a guidare, il Governo degli Stati Uniti in tutte le sue relazioni con l’Italia».

2. Il Regno Unito, che si trova oramai alla vigilia delle importanti elezioni politiche per la Camera dei Comuni e ha visto, con l’accettazione da parte americana della tesi conciliante per l’invito all’Unione Sovietica, approvato il suo punto di vista, appare sempre più incline a svolgere azione di mediazione e di equilibrio: a tale scopo il Governo britannico sembra attribuire alla nascente U.E.O. notevole importanza nel senso che quel nuovo organismo, anche se privo di formule di sopranazionalità, potrà costituire un mezzo per dare maggiore consistenza all’importanza ed al peso dell’Europa Occidentale.

3. La Repubblica Federale Tedesca è entrata oramai, come si è visto, a vele spiegate nel consesso occidentale, e vi è entrata con notevole peso specifico e anche con l’apporto costituito da un uomo di Stato di alta statura europea quale è il Cancelliere Adenauer. Difficile è dire se esista tuttora in Germania l’antico, primitivo «spirito europeistico» o se viceversa il Governo di Bonn appaia, nelle attuali circostanze e mentre va apprestandosi al riarmo del suo paese, maggiormente propenso ad avvalersi, in seno alla N.A.T.O. ed all’U.E.O., e con un progressivo avvicinamento verso il Regno Unito, di collaborazioni atte ad inspirarsi ad un carattere maggiormente «nazionale». Sta di fatto che, anche nella questione dell’unificazione del territorio, quel Governo sembra volere oramai porre i problemi tedeschi sul tappeto di una generale trattazione europea e mondiale per potere sedere, in certo modo, nel collegio giudicante anziché essere oggetto dell’altrui giudizio. Naturalmente c’è da domandarsi con preoccupazione quali potranno essere domani, qualora l’ottantenne Cancelliere dovesse sparire, il gioco e l’atteggiamento dei diversi partiti politici tedeschi: ma per il momento resta il fatto – confermato dalla pratica, anche se velata, presenza germanica alle trattative dei «tre grandi» – che la Repubblica Federale ha assunto, si ripete, un’importanza molto notevole nel quadro europeo.

4. Il Governo di Washington appare sempre più al bivio fra la necessità di mantenere intatte e compatte le forze destinate ad opporsi alla pressione sovietica e quella di non apparire diretto e deciso avversario nelle iniziative che potessero portare ad una effettiva distensione nel mondo. Tutto l’atteggiamento del Segretario di Stato Foster Dulles, nelle riunioni parigine, è stato chiara testimonianza di una tale posizione: così egli da una parte ha ancora espressamente affermato che tra gli scopi principali delle future trattative sarà persino quello di favorire la «liberazione dei popoli tuttora sottomessi ad un giogo negatore dei valori della democrazia e della libertà», e dall’altra è stato il primo ad annunciare la decisione di compiere il grande passo innanzi dell’invito rivolto al Governo di Mosca.

5. La Francia, anche se sempre oberata dai suoi gravi problemi per le terre d’oltremare, finisce, in realtà per essere tuttora partecipante del «direttorio» del mondo occidentale: e ciò, anche per motivo di prestigio, non può non soddisfarla. Non per nulla, nella riproduzione cinematografica degli avvenimenti politici della settimana apparsa, ora, su tutti gli schermi della Francia, Parigi viene definita la «capitale del mondo occidentale». E anche con gli Stati Uniti qualche progresso, nella tanto difficile e spinosa questione indocinese, appare essere stato compiuto.

6. Il Canadà, anche per l’attiva partecipazione del suo Ministro degli Esteri, Pearson, alle discussioni atlantiche, appare destinato a dire sempre più una sua parola di notevole rilievo proprio nelle questioni di carattere mondiale, quali quelle della limitazione degli armamenti e della creazione dell’equilibrio delle forze.

7. I paesi del Benelux sembrano volersi avviare verso un «rilancio di politica europeistica» specie nel campo dell’integrazione economica fra i paesi continentali dell’U.E.O. Allo scopo, sopratutto per iniziativa del Ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, Beyen, è stato lanciato un primo documento destinato ad essere tra breve discusso in una conferenza dei paesi della C.E.C.A, da tenersi probabilmente, ai primi di giugno, in Sicilia4. In esso si fa chiara allusione ai nuovi settori che potrebbero essere oggetto di nuova azione integrativa e sopratutto alla opportunità di riprendere quegli esami economici che vennero praticamente interrotti alla caduta della C.E.D.


1 Datato Roma, 13 maggio.


2 La prima riunione del Consiglio dei Ministri dell’U.E.O. si tenne il 7 maggio 1955.


3 La seconda riunione del Consiglio dei Ministri dell’U.E.O. si tenne l’11 maggio 1955.


4 Vedi D. 43.

23

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 740/476. Parigi, 10 maggio 1955.

Oggetto: Movimento paneuropeo.

Siamo stati confidenzialmente informati che il conte Coudenhove-Kalergi, fondatore sin dal 1925 del «Movimento paneuropeo», avrebbe passato, qui, qualche giorno per scambiare delle idee con alcuni di questi uomini politici, circa la riforma del suddetto Movimento che, dopo una recente conferenza tenuta a Baden-Baden, cambierebbe di dirigenti ed assumerebbe il nome di «Movimento paneuropeo per la pace». L’ufficio centrale sarebbe composto di 22 eminenti personalità europee tra cui Le Troquer, ex Presidente dell’Assemblea nazionale francese, Paul van Zeeland, Karl Arnold oltre, naturalmente, il conte Kalergi che si ritiene, qui, un amico personale di Macmillan e strettamente legato alle sue vedute. Le suddette personalità sarebbero d’accordo sui seguenti punti:

1) Poiché la lotta per la Comunità Europea di Difesa ha alterato l’aspetto pacifico dell’ideale europeo rivestendolo di un aspetto militare che ha permesso ai comunisti di monopolizzare l’idea della pace, occorre trarre profitto dalle circostanze per dare consistenza al tema della coesistenza.

2) Il Movimento paneuropeo riconosce che non è possibile ottenere l’integrazione della Gran Bretagna nel sistema continentale. Desiderando dei legami più stretti fra il continente europeo e il Commonwealth, il Movimento sarebbe propenso all’integrazione di un’Europa federata nel Commonwealth.

3) È auspicabile una politica più generosa verso il mondo musulmano. Il successo dell’integrazione nel Consiglio dell’Europa dimostra che è possibile associare i Paesi arabi al sistema europeo non arrestandosi davanti a delle esitazioni puramente geografiche.

24

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALLE AMBASCIATE A PARIGI, BONN, L’AJA E BRUXELLESE ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO

T. segreto 4096/c. Roma, 17 maggio 1955, ore 22,30.

Per Lussemburgo: Telegrammi di V.S. 271 e 2731.

Per tutti: Per varie considerazioni si è ritenuto che Consiglio Ministri C.E.C.A. abbia luogo 1° giugno a Messina (Taormina)2. Tale sede è stata concordata a Parigi in occasione Consiglio Atlantico fra Ministri Esteri paesi C.E.C.A.3.

Organizzazione conferenza è ormai in fase esecutiva e notizia è già di dominio pubblico.

Risulta che si starebbe contemplando spostamento riunione ad altra località, ciò che è necessario evitare.

Pregasi S.V. voler se del caso opportunamente rappresentare tale esigenza presso codesto Governo.

Solo per Lussemburgo: Telegrafato quanto sopra a Parigi, Bonn, L’Aja, Bruxelles4.


1 T. segreto 7087/271 e T. segreto 7089/273, pari data, con i quali Cavalletti aveva comunicato le informazioni giuntegli da più parti circa richieste di cambiamento della sede del Consiglio dei Ministri.


2 Vedi D. 43.


3 Vedi D. 22.


4 Per il seguito vedi D. 25.

25

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. segreto urgente 7123/278. Lussemburgo, 17 maggio 1955, ore 21,40 (perv. ore 22,15).

Mio 2731.

Come da istruzioni telefoniche, mi sono immediatamente recato da Bech per fargli presente che eventuale scelta Roma invece Messina come sede conferenza non avrebbe rimosso impedimento V.E. per parteciparvi, dato che 1° giugno V.E. sarebbe impegnata Sicilia. Sarebbe quindi venuto meno gesto di cortesia che Ministro aveva voluto fare e V.E. sarebbe costretta a farsi rappresentare.

Bech mi ha risposto che per Messina si stavano addensando serie obiezioni da varie parti (mi ha accennato a Spaak) e che in tali condizioni soluzione migliore sarebbe rinvio conferenza al 15 giugno in altro luogo: egli proponeva quindi telegrafare ai Ministri in tal senso facendo sapere che V.E. non poteva accettare Roma 1° giugno.

Ho subito soggiunto che V.E. non essendo in questo momento a Roma gli avevo riportato reazioni più diretti collaboratori di V.E.; tuttavia, dato che si trattava di impegni personali di V.E., lo pregavo attendere riservandomi fargli conoscere al più presto (possibilmente domani) pensiero di V.E.

Ho insistito che non vedevo quali fatti nuovi si fossero verificati tali da modificare decisione presa dai sei Ministri pochi giorni fa, tranne che tale decisione fosse stata presa irriflessivamente, il che evidentemente non si poteva nemmeno pensare. Se difficoltà si erano rivelate a causa consultazione Alta Autorità su nomina Presidente consultazione a cui a mio avviso forse non si era pensato, ero sicuro potersi trovare procedura soddisfacente anche se conferenza si tenesse Messina.

Ho avuto impressione che Bech sia rimasto abbastanza convinto e che se V.E: desidera insistere per Messina a giugno Bech finirà per diramare inviti in tal senso. Prego V.E. volere cortesemente inviare istruzioni telegrafiche2.


1 Vedi D. 24, nota 1.


2 In risposta al D. 24, con T. segreto 7180/280 del 18 maggio, Cavalletti comunicò che Bech aveva desistito dall’idea di rinviare la conferenza e che aveva acconsentito ad inviare la convocazione per il 1° giugno a Messina.

26

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, SORO,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. riservato 44/073881. Roma, 17 maggio 1955.

Oggetto: Memorandum paesi Benelux ai paesi C.E.C.A.

Si trasmette qui unito un progetto di memorandum dei paesi Benelux ai sei paesi della C.E.C.A. sullo sviluppo dell’integrazione economica europea, progetto che fu consegnato in via breve dal Ministro Spaak al Ministro Martino durante l’ultimo Consiglio Atlantico2.

L’argomento, com’è noto, formerà oggetto di discussione in occasione del prossimo Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. che avrà luogo a Messina il 1° giugno p.v.3.

Allegato

Memorandum. 8 maggio 1955.

1. Les Gouvernements de Belgique, du Luxembourg et des Pays-Bas croient le moment venu de franchir une nouvelle étape dans la voie de l’intégration européenne.

Ils sont d’avis que celle ci doit être réalisée tout d’abord dans le domaine économique.

Ils estiment qu’il faut poursuivre l’établissement d’une Europe unie par le développement d’institutions communes, la fusion progressive des économies nationales, la création d’un grand marché commun et l’harmonisation progressive de leur politique sociale.

Une telle politique leur paraît indispensable pour maintenir à l’Europe la place qu’elle occupe dans le monde, pour lui rendre son influence et son rayonnement et pour augmenter d’une manière continue le niveau de vie de sa population.

2. Le développement des activités de la C.E.C.A. a révélé la nécessité d’un élargissement du marché commun dans les domaines voisins du champ d’activité de cette organisation.

Les pays du Benelux estiment toutefois qu’un pareil élargissement ne pourrait réussir si une intégration économique générale n’était pas entreprise.

A. L’élargissement des bases communes de développement économique devrait s’étendre entre autres aux domaines des transports, de l’énergie et des applications pacifiques de l’energie atomique.

1. L’extension des échanges des marchandises et le mouvement des hommes appellent le développement en commun des grandes voies de communication qui ont fait jusqu’ici l’objet de plans nationaux séparés.

A cette fin un organisme serait chargé de l’étude en commun de plans de développement axés sur l’établissement d’un réseau européen de canaux, d’autoroutes, de lignes ferrés electrifiées et sur une standardisation des équipements: il aurait aussi pour mission de rechercher une meilleure coordination des transports aériens. (Pour la réalisation des objectifs énumérés ci-dessus, un fonds d’équipement des transports devrait être mis sur pied).

2. La mise à la disposition des économies européennes d’énergie plus abondante et à meilleur marché constituerait un élément fondamental de progrès économique.

C’est pourquoi toutes dispositions devront être prises pour développer les échanges de gaz, de courant électrique, propres à augmenter la rentabilité des investissements et à réduire le coût des fournitures.

On devrait étudier les méthodes de coordiner les perspectives communes de dé-veloppement de la consommation d’énergie et de dresser les lignes générales d’une politique d’ensemble, éventuellement par la création d’un organisme qui recevra communication des programmes nationaux et donnera un avis sur leur opportunité. Elle pourra provoquer l’établissement en commun de plans de développement pour l’ensemble des pays membres, de telle sorte que l’implantation des installations s’opère au mieux des possibilités économiques.

3. Le développement de l’énergie atomique à des fins pacifiques ouvrira à brève échéance la perspective d’une nouvelle révolution industrielle sans commune mesure avec celle des cent dernières années.

Les pays Benelux estiment qu’il faut créer une Autorité commune, à laquelle seront attribués la responsabilité et les moyens d’assurer le développement pacifique de l’énergie atomique sous réserve des arrangements spéciaux souscrits par certains gouvernements avec des pays tiers.

Ces moyens devraient comporter:

a) l’établissement d’un fonds commun alimenté par des contributions de chacun des pays participants et permettant de financer les installations et les recherches en cours ou à entreprendre;

b) le libre échange des connaissances et des techniciens, des matières premières, des sous-produits et des outillages spécialisés;

c) la mise à disposition, sans discrimination, des résultats obtenus et l’octroi d’aides financières en vue de leur exploitation;

d) la coopération avec les pays non membres, et l’assistance technique aux pays sous-développés.

B. 1. En ce qui concerne l’intégration économique générale les pays Benelux estiment qu’il faut tendre à la réalisation d’une communauté économique.

Cette communauté devrait être fondée sur un marché commun à réaliser par la suppression progressive des restrictions quantitatives et des droits de douane.

2. L’établissement d’une communauté économique européenne, dans l’esprit des Etats Benelux présuppose nécessairement l’établissement d’une autorité commune dotée des pouvoirs propres nécessaires à la réalisation des objectifs fixés.

D’autre part un accord devra établir:

a) la procédure et le rythme de la suppression progressive des obstacles aux échanges dans les relations entre les pays participants;

b) les mesures à prendre afin d’harmoniser la politique générale des pays participants dans les domaines financiers, économiques et sociaux;

c) un système de clauses de sauvegarde;

d) la création et le fonctionnement d’un fonds de réadaptation.

C. En ce qui concerne le domaine social les pays Benelux considèrent comme indispensables l’harmonisation progressive des réglementations en vigueur dans les différents pays, notamment celle relative à la durée du travail, la rémunération des prestations supplémentaires (travail de nuit, travail du dimanche et des jours fériés), la durée des congés et leur rémunération.

D. En rédigeant le present mémorandum, les pays Benelux se sont efforcés d’apporter une contribution à la solution des problèmes discutés entre les six pays de la C.E.C.A. lors de l’élaboration de la résolution de Luxembourg du 10 septembre 1952. Ils sont pleinement conscients de leur importance et de leur complexité. De multiples solutions se conçoivent pourvu que les buts à atteindre soient acceptés.

Les trois Gouvernements suggèrent en conséquence l’organisation d’une conférence chargée de

– procéder à l’étude et préparer des textes de traités organisant la poursuite des objectifs développés ci-dessus en matière de transports, d’énergie, d’énergie nucléaire et en matière de réglementation sociale en tenant compte des résultats déjà acquis à l’intervention de la C.E.C.A.

– procéder à l’étude et préparer des textes de traité fixant les conditions et le programme d’une intégration générale de l’économie européenne.

– procéder à l’étude et préparer des textes de traité dressant le cadre constitutionnel commun dans lequel devront être exécutées les tâches prévues ci-dessus.

Les pays Benelux estiment que cette conférence devra comprendre outre les six pays membres de la C.E.C.A., les pays qui ont signé avec la C.E.C.A. un traité d’association et la C.E.C.A. elle même.

Il y aurait lieu d’examiner l’opportunité d’y inviter les autres États membres de l’O.E.C.E., soit comme observateur, soit comme membres participants, et l’O.E.C.E. elle même.

Les traités envisagés devraient être ouverts à tous pays participants à la conférence.


1 Diretto alla Presidenza del Consiglio, ai Ministeri del Bilancio, Industria e Commercio e Commercio Estero, alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra e Parigi, alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi, e alla Legazione a Lussemburgo.


2 Vedi D. 22.


3 Vedi D. 43.

27

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINOALLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., A PARIGI,E ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO

T. 5076/175 (Parigi) 130 (Lussemburgo). Roma, 21 maggio 1955, ore 23.

Oggetto: O.E.C.E. e C.E.C.A.

A riunione 24 maggio per definire posizione Governi circa questione energia1 ritiensi che da parte italiana possa essere assunto seguente atteggiamento: se in sede O.E.C.E. esiste reale intenzione iniziare studi concreti per utilizzo energia nucleare, in vista possibile cooperazione intereuropea, nulla in contrario. Ritiensi infatti che azione in sede O.E.C.E. non possa né debba costituire intralcio ad altre iniziative sei Governi C.E.C.A. su piani diversi.

A comitati esperti che eventualmente si costituissero, in sede O.E.C.E. a tale scopo, Alta Autorità richiede che venga consentita partecipazione di un suo esperto.

Da parte nostra nulla osta a tale partecipazione che appare legittima ed auspicabile nel quadro esistente accordi fra O.E.C.E. e C.E.C.A.


1 Vedi DD. 29 e 32.

28

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 7448/288. Lussemburgo, 23 maggio 1955, ore 16,50 (perv. ore 17,30).

Oggetto: Lettera Monnet.

Monnet mi informa avere inviato V.E. e altri Ministri Esteri Comunità lettera in cui dopo aver ricordato ragioni che l’avevano indotto novembre u.s. presentare dimissioni e che Assemblea aveva espresso desiderio sua decisione fosse modificata, afferma che «dopo rilancio in corso non si comprenderebbe che egli non si dichiari di nuovo pronto partecipare direttamente sviluppo opera intrapresa, se Governi volessero confermare desiderio che parecchi di essi hanno già insistentemente espresso». Come si vede Monnet persiste nell’aggrapparsi sua poltrona.

29

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 7486-7471/167-1681. Parigi, 23 maggio 1955, ore 21,05 (perv. ore 24)2.

Oggetto: Riunione Delegati C.E.C.A. presso O.E.C.E.

167. Ha avuto luogo questa mattina riunione privata Delegati permanenti presso O.E.C.E. sei paesi C.E.C.A. per stabilire atteggiamento comune da adottare verso progetto Armand3 e relative risoluzioni predisposte dal Segretariato. Atteggiamento assunto da Delegazioni è il seguente:

Delegato tedesco, premettendo di non avere istruzioni, ha tuttavia dichiarato che nuove eventuali forme integrazione per settore erano viste sfavorevolmente dal Ministro Erhard e incontravano ostilità associazioni economiche tedesche.

Orientamento francese favorevole a che O.E.C.E. prosegua studi su settore energetico in vista cooperazione, questa attività non pregiudicando, nel giudizio francese, altre iniziative in questo campo per le quali vi sarebbe libertà d’azione. Tale libertà d’azione verrebbe riaffermata dal Delegato francese solo se altre Delegazioni assumessero in Consiglio atteggiamento suscettibile pregiudicare iniziativa paesi C.E.C.A.

Delegato belga si è espresso nel senso che non si debba ostacolare prosecuzione studi in sede O.E.C.E. se maggioranza è favorevole alle risoluzioni proposte dal Segretariato, e solo se opposizioni e riserve fossero comunque manifestate da altri paesi O.E.C.E. egli le avrebbe appoggiate.

Atteggiamento olandese è stato invece caratterizzato da notevoli rigidità impostazione: approvare progetto Armand e al massimo principio che O.E.C.E. studi problemi materia energetica, ma evitare costituzione commissione energia.

Essendo frattanto pervenuto telegramma V.E. numero 1754 mi sono espresso in modo analogo a Delegato francese e belga, mettendo in rilievo che azione in sede O.E.C.E. non doveva costituire intralcio ad altre iniziative o pregiudicare libertà d’azione dei sei Governi.

Tutti i presenti poi, meno il Delegato olandese, si sono espressi in favore di un atteggiamento che non desse la sensazione di una presa di posizione dei sei paesi nel senso di voler ostacolare procedura di studio dei problemi energetici da parte dell’O.E.C.E. alla quale non si può contestare diritto di occuparsi di tale problema, mentre ogni sua eventuale iniziativa dovrebbe essere associata la C.E.C.A.

Seduta privata continua domani3.

168. Nella riunione di cui a mio telegramma numero 167 odierno Delegato belga ha detto che suo Governo era molto ansioso di assicurarsi formalmente che alla riunione di Messina5 i Ministri d’Italia, di Francia e di Germania non opponessero pregiudizialmente alla proposta del Benelux argomento che questione energia era oggetto studio da parte O.E.C.E. Nessuno dei presenti era evidentemente in grado di dargli tale assicurazione formale ma gli è stato detto che questa preoccupazione non appariva fondata. Essa sarebbe stata comunque portata da ciascuno di noi a conoscenza del proprio Ministro.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con i numeri di protocollo di sede 382 e 383.


2 La prima parte del presente documento (T. 167), partita alle ore 23,30, pervenne alle ore 24, mentre la seconda (T. 168), partita alle ore 21,05, pervenne alle ore 21,25.


3 Vedi D. 32.


4 Vedi D. 27.


5 Vedi D. 43.

30

IL MINISTRO CONSIGLIERE A PARIGI, TASSONI ESTENSE,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 811/521. Parigi, 23 maggio 1955.

Oggetto: Francia e integrazione europea.

Le note recenti dichiarazioni di Pinay hanno dimostrato un certo timido ritorno del Governo francese – o di alcuni suoi settori – a idee di integrazione europea. Questa idea è tuttora qui l’oggetto di infiniti odii e di infiniti amori. I maggiori e più inflessibili avversari si trovano, a parte i comunisti, nel campo parlamentare gaullista. Si è persino visto il Deputato Vendroux, cognato del Generale De Gaulle, chiedere al Governo che faccia appello in Corte di Giustizia contro la decisione recentemente presa dall’Assemblea Generale del pool, di trovare nuove formule per estendere la propria competenza. I repubblicani sociali sono così sempre più furibondi ogni volta che appaia loro possibile una «relance» europea e qualche iniziativa francese al riguardo. Il «loro» Palewski è continuamente al lavoro per calmare i colleghi e per varare alcune formule che, come quella per un pool atomico, è europeista di apparenza e nazionalista di sostanza.

D’altra parte, lo scacco della C.E.D. non ha tolto speranza ai suoi sostenitori, spesso eccessivi e che hanno fatto più male che bene al loro ideale, e soprattutto certi esponenti del M.R.P. restano fedeli globalmente, e con rispettabile quanto confusa intransigenza di idee, al programma europeista integrale. Essi trovano, al contrario delle destre, che la Francia non coglie certe attuali migliorate possibilità per aiutare qualsiasi formula europeista soprannazionale. Al Congresso M.R.P. di Marsiglia un congressista, non dei minori, diceva: «Bisogna che Edgar Faure senta che noi non siamo soddisfatti». Tra i due estremi, opposizione appassionata e idealismo impaziente, Pinay intende inserire la propria azione. D’accordo con Faure, ha fatto tutto il possibile per lavorare Washington ai fini della prossima Conferenza a quattro. Pinay si propone, a quanto si ha ragione di credere, un’azione progressiva, metro per metro, settore per settore, verso un’intesa europea. Alcuni sviluppi di simile posizione potranno vedersi probabilmente a Messina, nel corso della prossima riunione della C.E.C.A.

Non so se questa posizione media di Pinay – che del resto risponde al carattere dell’uomo – sia presa con l’ambizione di essere anche un mediatore.

Ma il realismo di questa posizione non sminuisce il sentito interesse di Pinay per formule europee integrative: egli non era europeista prima, come è noto, e ora è un convertito senza le eccessività dei convertiti, ma con una solida credenza che in lui si accompagna al costante buon senso.

31

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO

T. 5182/134. Roma, 24 maggio 1955, ore 22.

Oggetto: Nomina presidente Alta Autorità.

Suo 2911.

Calmes mi ha direttamente telegrafato testo comunicazione di Monnet a Presidente Bech. Ho risposto a Calmes nei seguenti termini:

«Ho ricevuto il vostro telegramma del 23 in risposta alla comunicazione del Presidente dell’Alta Autorità al Presidente Bech in data 21 maggio, prego di far sapere al Presidente Bech che la nomina del presidente dell’Alta Autorità verrà effettuata dai Ministri degli Esteri a Messina2 dopo consultazione con la Alta Autorità in conformità all’articolo 11 del Trattato e che la consultazione stessa potrà aver luogo, dopo un primo scambio di vedute fra i Ministri, attraverso i mezzi più appropriati e precisamente per telefono o telegramma».


1 T. 7476/291 del 23 maggio, con il quale Cavalletti aveva comunicato la richiesta di Bech di conoscere la posizione italiana circa la modalità della nomina del presidente della C.E.C.A.


2 Vedi D. 43.

32

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T.7562/171. Parigi, 24 maggio 1955, ore 23 (perv. ore 24).

Oggetto: Rapporto Armand.

Consiglio ha esaminato oggi rapporto Armand, che è stato introdotto dall’autore. Discussione generale che ne è seguita è stata vaga e confusa, dato che evidentemente la maggior parte delle Delegazioni non avevano istruzioni precise. Delegati si sono limitati genericamente ad esprimere apprezzamento per opera di Armand e convinzione che problema della cooperazione europea nei settori energetici, e specie nel campo dell’energia termo-nucleare, di cui tutti riconoscono l’importanza, richieda ulteriori approfondimenti. Per ciò che riguarda proposta del Segretariato di istituire commissione per l’energia e gruppo di studio del Consiglio per l’energia termo-nucleare (vedi mio telespresso 2116/977 del 9 corrente)1 la prima, per quanto nessuno abbia manifestato opposizione in linea di principio è stata praticamente scartata, per il momento, da diversi Delegati almeno nella forma in cui il Segretariato l’aveva avanzata. Delegato dei Paesi Bassi ha infatti lasciato intendere di non poterla accettare, affermando che il suo Governo non ha avuto modo di esaminare a fondo diversi aspetti e applicazioni. Medesima posizione hanno assunto Delegati tedesco e belga, chiedendo al pari del collega olandese di potervi riflettere ulteriormente.

La proposta di istituzione di un gruppo di studio del Consiglio incaricato di suggerire forma e metodi cooperazione in materia di energia nucleare, ha ricevuto migliore accoglienza e varie Delegazioni si sono mostrate propense ad accettarla, malgrado perplessità svedesi su possibile interferenza con lavori Conferenza Ginevra.

In definitiva, su proposte del Presidente Ellis-Rees, il quale ha genericamente riaffermato importanza della materia e che O.E.C.E. è foro competente per trattarla, è stato deciso di rinviare i due documenti al Comitato Esecutivo2, per esame. Delegato belga ha suggerito che eventuali decisioni in merito vengano prese dal prossimo Consiglio Ministri3, per dare maggiore solennità e marcare importanza che paesi membri annettono a convocazione nel campo dell’energia. Questa proposta verrà presa in considerazione in sede di preparazione ordine del giorno sessione ministeriale.


1 Non pubblicato.


2 Vedi D. 39.


3 Il Consiglio dei Ministri dell’O.E.C.E. ebbe luogo il 9-10 giugno.

33

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Processo verbale1.

RIUNIONE INTERMINISTERIALE

Il giorno 24 maggio c.a. alle ore 10, ha avuto luogo presso la Direzione Generale degli Affari Economici una riunione per procedere allo studio dei problemi inerenti all’estensione della competenza della C.E.C.A. ai settori dell’energia e dei trasporti.

Alla riunione, presieduta dall’Ambasciatore CATTANI, hanno partecipato:

- Ministro CARROBIO Dir. Gen. Affari Economici

- Comm. SILVESTRI Min.ro Industria e Commercio - D.G.A.G.

- Ministro GRILLO Dir. Gen. Affari Politici

- Dr. LA ROSA Min.ro Commercio Estero - D.G.A.C.

- Ing. CUTTICA Min.ro Lavori Pubblici

- Dr. SCAPACCINO Min.ro Agricoltura e Foreste

- Dr. CRAMAROSSA Alto Commissariato Sanità

- Dr. TAGLIARINI Min.ro Finanze – D.G. Dogane

- Dr. FLORE Min.ro Marina Mercantile - D.G. Pol. Trasp.

- Ing. PICCOLI Min.ro Lavori Pubblici

- Dr. CARBONE Segretario Piano decennale

- Dr. GUALTIERI Min.ro Industria e Commercio - D.G.P.I.

- Dr. FALCHI Dir. Gen. Affari Politici

- Dr. SPINELLI Dir. Gen. Affari Economici

- Dr. SOLARI BOZZI Dir. Gen. Affari Economici

CATTANI: Ho voluto incontrarvi prima della riunione che avrà luogo a Messina il 1° giugno2 per discutere insieme i problemi dell’estensione della competenza della C.E.C.A., non da un punto di vista politico ma da quello economico. La valutazione politica spetta agli uomini di Governo, a noi incombe solo il compito di fare apprezzamenti su questi problemi da un punto di vista tecnico, apprezzamenti che potranno servire di guida agli uomini politici.

Ai rappresentanti che intervengono oggi per la prima volta, tengo a far presente che siamo sempre in un campo preliminare poiché è da escludersi la possibilità che dagli scambi di idee tra i sei Ministri che si incontreranno a Messina si possa giungere al di là di una semplice valutazione.

Propongo di adottare, come schema della nostra discussione, l’esame di due punti distinti: anzitutto, analizzare i problemi inerenti all’energia ed ai trasporti, nel senso di una integrazione verticale in questo settore; in secondo luogo, esaminare le possibilità per giungere alla creazione di un mercato comune, cioè esaminare i problemi di una integrazione orizzontale.

Sulla base di quel che si è detto nella riunione del 20 aprile scorso, parlando delle singole fonti di energia (lasciando da parte il carbone, già di competenza dei sei paesi della Comunità) ci riferiremo sia all’elettricità, che al gas, al petrolio ed all’energia nucleare. A fianco di questi quattro settori, desidero ravvicinare anche il problema dei trasporti in generale e, in particolare, quello dei trasporti aerei.

Sul piano tecnico, nel discutere questi problemi, conviene esaminare anzitutto le realizzazioni già acquisite nel campo della cooperazione, in secondo luogo ciò che si ritiene desiderabile raggiungere e, in terzo luogo, analizzare i metodi che sembrano essere più appropriati per intensificare detta cooperazione. E cioè, se convenga orientarsi verso una cooperazione inter-governativa stretta o mista o supernazionale.

Iniziamo dal settore dell’elettricità. Quali realizzazioni sono state già acquisite? Cosa s’intende raggiungere? e con quali metodi?

CUTTICA: La nostra maggiore preoccupazione è rivolta ad avere un forte incremento della produzione poiché l’interesse principale della Nazione si rivolge appunto all’elettricità. La nostra produzione non è sufficiente, siamo coperti fino al 1957 e, solo scarsamente, fino al 1958. Nel 1955, almeno durante i primi cinque mesi, le costruzioni nuove si sono gradualmente fermate.

Il Ministero dei Lavori Pubblici è perciò favorevole ad intensificare gli scambi di energia elettrica. Per il momento, gli scambi di energia avvengono al di fuori di un controllo diretto del Ministero dei Lavori Pubblici. Essi, anche se non di notevole importanza, hanno luogo tra Società, direttamente. Il Ministero dei Lavori Pubblici si augura che questi scambi avvengano, per il futuro, con sempre maggiore intensità.

CATTANI: Esiste un organismo internazionale che regoli questi scambi?

CUTTICA: Esiste 1’«Associazione delle Grandi Reti».

CATTANI: Esiste però, in sede O.E.C.E., anche un altro organismo: la «Riunione dei produttori di energia elettrica», che non è un organo dell’O.E.C.E. ma ne è una filiazione. Ai Governi è concesso solo un «droit de regard» e di questo organismo si è abbastanza soddisfatti.

CUTTICA: Va tenuto presente che l’Italia è il solo paese nel quale l’energia elettrica costa di meno; e ciò non perché siano minori i costi di produzione, ma perché essa è pagata meno che negli altri paesi dell’Europa Occidentale.

CATTANI: È preferibile non sollevare problemi di ordine interno, in questa sede.

CUTTICA: Va tuttavia tenuto presente che, almeno durante questo ultimo quinquennio, la produzione di nuove fonti di energia elettrica in Italia è stata fortemente influenzata da questa politica di bassi prezzi.

La nostra attenzione si rivolge, d’altra parte, allo studio di nuovi sistemi ma non si ritiene che, almeno per un decennio, si possano ottenere risultati apprezzabili nell’applicazione dell’energia nucleare al settore dell’elettricità. Tuttavia, non si può escludere che i tempi possano essere accelerati.

La produzione delle nostre centrali idriche va avviandosi a saturazione (disponibilità di 10-15 miliardi kW/h.). Lo scambio di energia potrebbe, perciò, avvenire nel settore dell’energia elettrica di origine termica.

CATTANI: Concludendo, possiamo affermare che per il settore dell’energia elettrica è auspicabile l’interscambio e che è necessario aumentare la produzione in zone vicine al nostro paese.

SILVESTRI: Per ora si discute solo del problema delle disponibilità, ma il problema di mercato non è stato ancora sfiorato.

CATTANI: Per ciò che concerne gli scambi di energia esiste un organismo:l’«Unione dei produttori»: è un organismo paritario non autoritativo, è piuttosto un luogo di incontro e di ricerche.

Data questa situazione, quali metodi pensate siano più utili per giungere ad una più intensa cooperazione nel campo della produzione e dello scambio?

GUALTIERI: Desidero fare un passo indietro e ricordare gli impegni assunti a Ginevra nel quadro degli scambi occasionali di energia. È questo un genere di scambi a noi molto utile poiché permette ad alcune piccole industrie (per esempio quelle elettrochimiche), che lavorano a maggior ritmo in un determinato periodo dell’anno, di rifornirsi dell’energia necessaria alla loro produzione. Senza questi scambi occasionali queste piccole industrie morirebbero. L’instaurazione di un mercato comune, da questo punto di vista, risulterebbe dannosa.

CATTANI: Date queste caratteristiche, sembra si possa allora affermare che non esistono i presupposti per la creazione di un mercato comune nel campo dell’energia elettrica. Non sembra quindi che la supernazionalità sia necessaria.

GUALTIERI: Anzi, essa rappresenterebbe un gravissimo inconveniente!

CUTTICA: Esiste anche 1’«Associazione delle Grandi Reti» che lavora da anni con specifici compiti tecnici. Inoltre, esiste l’«Associazione produttori e consumatori di energia elettrica» con sede a Bruxelles, creata pochi mesi fa e presieduta ora da un italiano, l’Ing. Castellani. Infine, ricordo la «World Power Commission» che ha tenuto le sue ultime riunioni in Giappone, a Londra e negli Stati Uniti. Questa Commissione, che si riunisce annualmente, studia la situazione esistente e mette a fuoco i nuovi problemi che si presentano in questo campo.

CATTANI: Non possono coprirsi tutti gli aspetti del problema. Ricordo per esempio la collaborazione che avviene in un campo ristretto (Interalpen). Tengo a ricordare ciò perché tocca il problema dell’estensione geografica della collaborazione; ma, da un punto di vista tecnico, un campo sempre più vasto sarebbe auspicabile (Svizzera, Austria, e anche Jugoslavia) ma questo non è che un corollario.

SILVESTRI: Nel campo dell’energia elettrica, insomma, possiamo dire che il concetto della supernazionalità non si può applicare. Ed anzi, non solo nel campo dell’elettricità, ma anche per le altre fonti di energia.

CATTANI: Per il carbone però, si è raggiunta la supernazionalità!

SILVESTRI: Ma in questo modo si arriverebbe a supernazionalizzare tutta la vita economica del paese. Sarebbe necessario raggiungere prima il mercato comune generale e, di lì, la supernazionalizzazione anche delle fonti di energia.

CATTANI: Sì, ma noi esaminiamo ora il problema in un campo ristretto cercando di trovare elementi tecnici che possano rivelarsi utili allo studio di un’integrazione più generale.

Passiamo ora ad esaminare i problemi inerenti al gas ed al petrolio.

SILVESTRI: Occorre prescindere dal gas naturale per il quale lo scambio si rivela difficilmente realizzabile a causa dei costi troppo alti del trasporto. Per ciò che concerne il petrolio, come sapete, lo scambio è già in atto e l’eventualità di un mercato comune non ci darebbe grandi preoccupazioni.

CATTANI: Quindi, si può accettare l’idea di un mercato comune per il petrolio?

SILVESTRI: Sì. Ma subordinatamente a quanto avviene per le altre fonti di energia e cioè in un mondo economico già integrato.

CATTANI: È interessante notare che il progetto del Benelux non accenna al petrolio. Perché, a vostro avviso?

SILVESTRI: Forse perché i paesi del Benelux sentono con minore intensità questo problema, data anche la loro diversa struttura dell’industria petrolifera.

CATTANI: Si può concepire la possibilità di lasciare il petrolio al di fuori da questo programma di integrazione?

SILVESTRI: Certamente no. Teniamo presente però che anche i gas liquefatti hanno una grande parte nel nostro consumo.

CUTTICA: E aggiungo: se il gas naturale dovesse rimanere, come appare oggi, destinato alla produzione di energia elettrica, come distinguere, dal nostro punto di vista, fra petrolio e gas naturale? Un mercato comune dovrebbe prendere in considerazione ambedue queste fonti.

SILVESTRI: Ma il gas naturale per la produzione di vapore è ritenuto ormai un lusso e non si creano più industrie di questo genere. Un combustibile come il metano non può essere declassato per la fabbricazione di vapore. In Germania, il metano è già stato sostituito dalla lignite.

CATTANI: In tal modo, il gas naturale diventerebbe materia prima e, per ciò, materia di cooperazione internazionale, ma solo in regime di mercato comune.

Esaminiamo ora il problema dell’energia nucleare.

SILVESTRI: Non mi sembra vi sia molto da aggiungere a quanto è stato detto nel corso della nostra prima riunione. Esistono organismi internazionali di solo carattere scientifico e cioè creati con lo scopo precipuo di scambiare i risultati delle ricerche che si vanno via via effettuando, ma non esiste un organismo internazionale direttivo. Quanto a noi, abbiamo già in atto la costruzione di un reattore. Siamo inoltre aderenti ad un organismo che ha sede a Ginevra e ad un altro con sede a Stoccolma.

Qualora l’energia nucleare fosse applicata al campo dell’energia elettrica, l’interscambio sarebbe utile, anzi necessario; per il momento, però, non possiamo ancora superare la fase di una collaborazione nel campo strettamente scientifico, di ricerche di laboratorio.

GRILLO: Mi chiedo, tuttavia, se una cooperazione internazionale in questo campo non debba ritenersi subordinata ad accordi bilaterali del tipo di quello esaminato ieri. Se cioè la cooperazione nel campo dell’energia nucleare sia subordinata ad una qualche forma di accettazione da parte di paesi tra i quali viga una convenzione che regoli lo scambio di materie prime per gli studi atomici (per esempio, acqua pesante).

SILVESTRI: A me sembra che questo tipo di accordo abbia solo lo scopo di mettere in condizione altri paesi a proseguire lavori di ricerca nel settore dell’energia nucleare ma non a limitare o, comunque, influire su un qualsiasi programma di cooperazione in questo campo. Alla cooperazione si potrà giungere comunque; vi saranno, poi, alcuni paesi legati da accordi bilaterali (intesi come semplici accordi commerciali), regolanti l’approvvigionamento delle materie prime.

CATTANI: A me pare esistano due approcci a questo problema. O una intensificata collaborazione internazionale che acquisisca quanto nasce da accordi bilaterali (scambi reciproci di risultati di ricerche e scambio di suggerimenti per superare gli ostacoli nel campo economico e scientifico e su base intergovernativa); oppure, ed è questo forse un piano più ambizioso, si può ritenere che queste nuove forme di energia possano esercitare una tale influenza per cui si pensi che sia necessario legarsi in partenza in modo da adattare in comune le esperienze passate ai nuovi problemi che sorgono. Ciò, logicamente, dovrebbe portare ad una formale istituzione di carattere supernazionale.

È bene tenere presente la messa in comune di studi, mezzi finanziari, esperienze, etc. come primo stadio verso un’ulteriore integrazione.

CUTTICA: Un anticipo su programmi di collaborazione internazionale può essere utile per evitare che si vadano cristallizzando quelle tendenze monopolistiche già in embrione: alludo alla Gran Bretagna. Queste situazioni di monopolio, una volta affermatesi, si distruggono difficilmente.

CATTANI: Certamente, ma vi sono molti altri aspetti di questo problema. Tuttavia, ritengo sia auspicabile che domani, una autorità politica giungesse ad una collaborazione internazionale e supernazionale.

Affrontiamo ora, il problema dei trasporti. Abbiamo sempre udito una nota molto cauta da parte delle nostre Autorità. Esaminando il quadro delle realizzazioni acquisite, possiamo dire che i risultati non sono insoddisfacenti. Dopo aver discusso e studiato per anni, siamo giunti, l’anno scorso, alla creazione della «Conferenza europea dei Ministri dei Trasporti», la quale, direi quasi per antonomasia, non ha un campo ristretto. Si tratta di una collaborazione nel campo intergovernativo, non dipendente ma collegata con l’O.E.C.E. Sentiamo tuttavia viva l’esigenza di far di più non solo nel campo tecnico ma anche in quello politico. Non so se in questa materia convenga preferire una soluzione supernazionale. Non ne vediamo ancora la necessità assoluta e forse la soluzione di supernazionalità dei trasporti può essere concepita solo nel quadro di un’integrazione generale.

I francesi hanno già riflettuto su questo problema con riferimento alla loro navigazione fluviale. Si potrebbe esaminare la proposta Lemaire, tendente a creare un comitato di esperti indipendenti, che sia tra i Supplenti e la Conferenza dei Ministri dei Trasporti, con la funzione di dare nuovi impulsi, apportare nuovi suggerimenti etc. Una proposta così concepita sembra possa essere da noi secondata, visto che noi stessi, in seno alla Conferenza dei trasporti, proponemmo già la creazione di un comitato più dinamico che non si realizzò per l’opposizione dei piccoli paesi.

Accettato questo punto di vista si permetterebbe anche ad altri paesi, al di fuori della Comunità dei sei paesi, di farne parte. Spero che alla riunione di Messina i Ministri accettino il principio che nulla nasca come creazione ad uso esclusivo dei sei paesi ma piuttosto come una leadership di pensiero ed orientamenti che si estrinsecheranno poi in fòri già esistenti o di nuova creazione.

CUTTICA: (Mette a disposizione un elenco delle organizzazioni esistenti in questo settore). Il gran numero di queste organizzazioni non deve essere inteso come un sintomo di dispersione ma ciò è dovuto alla vastità stessa del campo ed ogni organizzazione apporta invece il proprio efficace contributo. Queste organizzazioni incontrano serie difficoltà di ogni ordine per giungere ad una completa cooperazione. Una delle principali consiste nella difficoltà di stabilire un canone unitario di valutazioni per quei problemi che presentino differenti aspetti (esempio: si deve costruire la strada che è più economica, più conveniente o meglio attrezzata?). Un mercato, comune, comunque, non è ancora pensabile soprattutto a causa delle difficoltà derivanti dalla mancanza di tariffe uniche.

CATTANI: Queste obbiezioni nascono ogni qualvolta si tenti di creare un mercato per beni ed utilità che, invece, non sono comuni.

CUTTICA: Le esperienze acquisite sono molto importanti: converrebbe non perderle di vista in una nuova regolamentazione. Se dagli ambienti politici si potrà ritrarre una qualche utilità per superare questi ostacoli, ciò gioverà molto ad incrementare la collaborazione nel campo dei trasporti e sono certo che saremo tutti d’accordo.

CATTANI: Quanto al problema dell’aviazione, intendo riferirmi ad una cooperazione nel settore dei trasporti e non della produzione. Il problema è da noi molto sentito come, del resto, lo è in Francia. Si tratta di vedere i limiti realistici ad una collaborazione in questo settore. Per il momento non posso che enunciare il problema.

(Flore interviene a nome del Ministero della Marina Mercantile per far presente che nessuna allusione è fatta in questi progetti ad una eventuale cooperazione nel campo della marina mercantile. Rappresenta anche gli inconvenienti derivanti sia dall’istituzione del Trattato della C.E.C.A., per ciò che concerne i trasporti di carbone che vengono ora effettuati per ferrovia, che dalla situazione creatasi nel campo dei traffici interni della Francia, una volta caduti gli alti prezzi sostenuti dal Governo. Mette altresì in luce gli inconvenienti che potrebbero derivare ad alcuni nostri porti il giorno in cui si dovesse giungere ad una unificazione anche tariffaria nel settore dei trasporti ferroviari.

L’Ambasciatore Cattani fa presente che questi problemi devono essere anzitutto studiati dai Ministeri tecnici competenti).

CATTANI: Veniamo ora a discutere dei problemi inerenti alla creazione di un mercato comune. Il Ministero del Commercio Estero ne è, già in parte, al corrente.

Voi sapete che un primo ed importante passo verso l’integrazione è già stato realizzato allorché furono abolite le restrizioni quantitative. Ma è necessario andare più avanti. I problemi sono innumerevoli e vanno dalle questioni tariffarie a quelle del commercio di Stato, agli aiuti all’esportazione, alle difficoltà inerenti al coordinamento delle politiche fiscali, monetarie ed economiche dei vari paesi. Questi problemi, già esaminati lo scorso anno, sono oggi riproposti dai nostri colleghi del Benelux. Mi sembra si possa affermare che l’atteggiamento politico del nostro paese è oggi identico a quello di allora: se, cioè, si intende procedere in una maniera graduale e ponderata, che investa l’aspetto dell’integrazione nel suo insieme, noi siamo tutti d’accordo.

Sorge, ovviamente, una serie infinita di problemi che non è il caso di esaminare in questa sede, prima cioè che si sia manifestata una ferma determinazione da parte degli ambienti politici dei diversi paesi europei a volerli risolvere. Possiamo per ora dire che la nostra preoccupazione, a voi tutti nota, consiste nel mantenere un equilibrio fra un mercato comune dei prodotti manufatti e di quelli agricoli. Ricordo anche che l’interesse dell’Italia consiste nel procedere ad una integrazione frontale pur non essendo alieni dall’accettare, in un primo momento, possibili forme di integrazione per settori; ma ciò, solo se abbiamo serie garanzie che questa integrazione frontale esiste e che si potrà un giorno sicuramente raggiungere, sia pure per gradi.

Viene spontaneo di chiedersi se sia questo il momento più favorevole. Possiamo constatare che all’entusiasmo dei paesi del Benelux non corrisponde, e per motivi diversi, un altrettanto grande entusiasmo da parte della Francia e della Germania. Qual è il miglior approccio in queste condizioni? Una integrazione intergovernativa o supernazionale? Quello supernazionale sarebbe, oggi, destinato a un netto insuccesso. La via giusta non sta neanche nell’approccio intergovernativo, poiché le difficoltà sorgono senza numero e può anche non essere interamente soddisfacente. La verità sta in qualcosa di intermedio, di difficile configurazione. Ciò potrà realizzarsi soltanto dopo mesi di attento e paziente lavoro. Non vi sono, d’altronde, precedenti negativi in questo campo: in sede O.E.C.E. vengono già adottate risoluzioni anche se tutte le parti non siano consenzienti.

SILVESTRI: Sono perfettamente d’accordo nel configurare una soluzione del problema che sia intermedia; si tratterà di approfondire in seguito i risultati ottenuti.

CATTANI: D’altronde, non si può iniziare alcun passo nella via dell’integrazione europea, prima che tutti non siano perfettamente consci che il cammino non è reversibile.

Vi ringrazio di essere intervenuti a questa riunione che ha servito a chiarire le nostre idee su alcuni aspetti particolari di questo importante problema. Torneremo a riunirci non appena sarà terminata la Conferenza di Messina.


1 Il documento non è datato.


2 Vedi D. 43.

34

L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 7741/113. Bad Godesberg, 26 maggio 1955, ore 19,25 (perv. ore 22,15).

Oggetto: Conferenza Messina.

Mio 1091.

Con corriere in arrivo Roma pomeriggio 29 trasmetto lettera del Cancelliere per il Presidente del Consiglio, qui consegnatami oggi.

In essa il Cancelliere riafferma il suo rincrescimento di non potersi recare Messina malgrado le insistenze che gli avevo fatto pervenire e con l’occasione formula l’invito per eventuale visita del Presidente e di V.E. in Germania2.


1 T. 7631/109 del 25 maggio con il quale Grazzi aveva comunicato: «Il Cancelliere mi ha fatto dire ieri sera che con suo grande dispiacere si vede costretto a rinunciare partecipazione riunione C.E.C.A., impegnato qui in preparazione legge militare e nelle conversazioni relative alla Conferenza a quattro. La Delegazione tedesca sarà presieduta da Hallstein … ».


2 Vedi D. 80. La visita di Segni e Martino a Bonn avvenne nei giorni 6-9 febbraio 1956: vedi D. 126.

35

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Processo verbale1.

RIUNIONE INTERMINISTERIALE

Il 26 maggio alle ore 18, ha avuto luogo al Ministero degli Affari Esteri una riunione interministeriale per procedere all’esame dei problemi che verranno discussi dai sei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. nella prossima Conferenza di Messina (1° e 2 giugno)2.

Alla riunione, presieduta da S.E. il Ministro MARTINO, hanno partecipato:

- S.E. il Ministro VANONI

- S.E. il Ministro MARTINELLI

- S.E. il Sottosegretario BENVENUTI

- S.E. il Sottosegretario BATTISTA

- S.E. il Segretario Generale ROSSI LONGHI

- L’Ambasciatore MAGISTRATI

- L’Ambasciatore CATTANI

- Il Ministro MIGONE

- Il Ministro CAVALLETTI

- Il Dottor MALFATTI

- Il Dottor SPINELLI

S.E. MARTINO: L’imminente riunione di Messina non ha, come qualcuno ha osservato, soltanto un aspetto elettorale. Essa deve infatti servire:

a) a procedere alla nomina del nuovo Presidente dell’Alta Autorità in sostituzione di Monnet dimissionario, il quale ha fatto ora sapere che sarebbe disposto a restare.

Non sembra che vi siano però molte probabilità per lui in quanto il Governo francese non è disposto ad appoggiarlo. I candidati francesi sarebbero: Mayer e Louvel; per il primo vi è un accordo unanime; per il secondo esistono invece delle obbiezioni da parte tedesca;

b) a rilancio europeo. Gli olandesi insistono perché si faccia qualcosa in favore dell’integrazione europea, per ora nel campo economico e con caratteristiche simili a quelle della C.E.C.A. Esistono due differenti teorie al riguardo, una favorevole all’ampliamento dei poteri della C.E.C.A. (integrazione dell’energia e dei trasporti); l’altra, più ambiziosa, caldeggiata dal Ministro Beyen, intesa a realizzare un’integrazione più vasta mediante la creazione di un mercato comune che dovrebbe essere aperto anche ad altri paesi e non soltanto ai sei della Comunità. L’ attuazione del mercato comune risolverebbe in pratica molti problemi per addivenire all’integrazione economica.

Questi sono i veri scopi della prossima Conferenza di Messina.

Ambasciatore CATTANI: Dalle informazioni finora pervenute appare che vi sia un certo consenso fra i sei paesi della C.E.C.A. per cogliere questa occasione per riaffermare l’idea europeistica. Tale idea è però sentita in maniera più o meno intensa. Ritengo che per avere un orientamento più preciso occorra prima vedere come reagiranno i Ministri degli Esteri a Messina. Penso che la discussione finirà col vertere sul fatto che è necessario fare qualcosa e quindi occorrerà esaminare quale procedura debba essere seguita. Soltanto in un secondo momento si potrà quindi esprimere un avviso tecnico.

S.E. BATTISTA: Ritengo che sia opportuno che io chiarisca le impressioni da me riportate in varie conversazioni avute con Ministri e Parlamentari sia a Strasburgo che a Lussemburgo.

C’è chi sostiene che l’integrazione economica europea debba essere perseguita in forma supernazionale; altri per gradi e cioè prima un’autorità comune e poi, in un secondo tempo, autorità supernazionale. Vi è anche chi sostiene la teoria dei settori verticali (sistema C.E.C.A.). Secondo quanto mi risulta il Governo francese non accetterà la teoria della supernazionalità né quella di estendere i poteri della C.E.C.A. ad altri settori. In Germania esistono invece due tendenze, quella di Adenauer favorevole all’integrazione e quella di Erhard contraria. Quest’ultimo infatti ritiene che la Germania abbia ormai pagato il suo scotto e che ora debba essere completamente libera di perseguire la sua politica economica che gli consentirà, tra alcuni anni, di controllare i mercati europei. Data la personalità di Erhard questo punto di vista assume una notevole importanza.

I paesi del Benelux sono al corrente di ciò e si preoccupano che la Germania possa estraniarsi dal movimento europeista e sono quindi disposti ad effettuare qualsiasi accomodamento pur di tenere associata la Germania stessa.

Un’idea che potrebbe forse riscuotere un qualche successo è quella della creazione di una nuova autorità comune, ove i poteri dovrebbero essere esercitati collegialmente con decisioni che, in qualche caso, potrebbero essere adottate a maggioranza. Ho l’impressione che su di una nuova autorità comune si possa raggiungere un accordo; tale autorità dovrebbe essere qualcosa di intermedio tra l’O.E.C.E. e la C.E.C.A.

Circa il metodo da seguire per raggiungere l’integrazione economica europea, sono senz’altro convinto che il metodo migliore sia quello orizzontale. Il sistema verticale mi appare, d’altra parte, inapplicabile a settori – come per esempio i trasporti – che finiscono con l’incidere su tutta la vita economica del paese.

S.E. VANONI: Se ho ben capito finiremmo con l’avere in Europa tre differenti organismi e cioè O.E.C.E., C.E.C.A. e questa nuova autorità intermedia fra i sei paesi ed altri eventuali aderenti. Tale autorità opererebbe in senso orizzontale, ma che poteri essa avrebbe? Le decisioni dovrebbero essere adottate all’unanimità o a maggioranza? Questo è il punto essenziale.

S.E. BATTISTA: il nuovo organismo dovrebbe essere aperto a tutti i paesi e concentrare verso di sé i problemi dell’O.E.C.E. e successivamente potrebbe anche far fare qualche passo indietro alla C.E.C.A. Comunque però tale organismo dovrebbe avere poteri minori di quelli che ha attualmente l’Alta Autorità.

S.E. VANONI: Mi sembra che la proposta del Benelux presenti un punto particolarmente interessante quando propone di applicare all’Europa le cosiddette zone di libero scambio, con riduzioni daziarie e particolari facilitazioni.

Le esperienze che abbiamo fatto in seno all’O.E.C.E. non sono poi così negative come qualcuno dice: i paesi aderenti hanno fatto dei passi che da soli non avrebbero mai effettuati; l’aver raggiunto un livello di liberazione che presto salirà al 90 per cento è cosa di grande importanza. Ciò è stato possibile in quanto l’O.E.C.E. aveva delle disponibilità finanziarie mediante l’E.P.U. e gli aiuti americani.

Ambasciatore CATTANI: Il punto essenziale per noi è l’integrazione orizzontale; l’esame tecnico ed economico ci dimostra che l’integrazione per settori è un cammino che conduce verso un muro insormontabile. Il problema va quindi affrontato su ampie basi e cioè in senso orizzontale come avvenuto nell’O.E.C.E., ove, attraverso la liberazione degli scambi, abbiamo fatto un notevole cammino. Se vogliamo ottenere delle forme più impegnative ancora dobbiamo ricorrere alle zone di libero scambio. Per raggiungere tale obiettivo si deve applicare il metodo intergovernativo corretto dalla supernazionalità oppure no? Si potrebbe forse trovare una formula intermedia, tipo G.A.T.T. È necessario però fare molta attenzione circa il sistema di votazione e cioè se maggioritario o unanime; non sono infatti convinto che il sistema maggioritario possa essere da noi accettato. È difficile avere al riguardo un’opinione decisa; penso quindi che per noi la cosa migliore sarebbe determinare prima che siamo disposti a seguire il metodo orizzontale e studiare poi le vie per applicarlo. Occorre rammentare che l’O.E.C.E. ha potuto raggiungere determinati successi perché era rafforzata da disponibilità finanziarie. Mi sembra pertanto assai importante che, anche nel caso del mercato comune o di zone di libero scambio, si pensi alla formazione di fondi di riconversione. Più che il lato istituzionale, ha importanza il lato finanziario; penso quindi che la nostra idea direttrice debba essere quella di seguire il metodo orizzontale accompagnandolo con uno studio approfondito del lato finanziario.

S.E. MARTINO: Bisognerà vedere se a Messina ci troveremo d’accordo su tale punto, e poi si potrà pensare a convocare una conferenza più vasta ove noi sosterremmo l’integrazione orizzontale per arrivare al mercato comune.

Ministro CAVALLETTI: L’idea del rilancio europeo à stata accolta al Lussemburgo con molto entusiasmo anche perché si vedeva con essa la possibilità di rinvigorire la C.E.C.A. La situazione della C.E.C.A. è attualmente molto critica e l’Alta Autorità ha perduto molta della sua autorità. Per quanto ci riguarda, noi troviamo in sede C.E.C.A. la nostra migliore tutela proprio nel principio supernazionale, in quanto abbiamo abitualmente contro la maggioranza ponderata: abbiamo quindi interesse che la Comunità venga rafforzata.

Si potrebbe pensare che a Messina i sei Ministri degli Esteri riconfermino la loro fedeltà al trattato; un’affermazione del genere, anche se platonica, avrà sempre un certo valore. Si potrebbe anche ricollegarci alle recenti dichiarazioni dell’Assemblea la quale richiede che le norme del trattato, le quali si rivolgono ai disoccupati, vengano applicate con maggior forza e migliorate. Se nelle dichiarazioni che faranno i sei Ministri degli Esteri si potesse inserire un incoraggiamento per l’Alta Autorità a sviluppare la sua azione nel campo sociale, o, addirittura, a migliorare le disposizioni esistenti, ciò mostrerebbe l’intenzione dei Governi di interessarsi a fondo della C.E.C.A.

S.E. MARTINELLI: Nel progetto del Benelux vi è l’idea del rilancio del mercato comune; a tale principio diamo senz’altro la nostra adesione, ma vedo che in esso vi sono anche delle proposte di integrazione verticale. Mi preoccupa che tutto ciò possa portare ad un rallentamento dell’azione dell’O.E.C.E. nella cui utilità io credo. Nell’O.E.C.E. abbiamo già raccolto notevoli frutti ed altri ne coglieremo a breve scadenza. Sono quindi d’accordo che a Messina si rilanci l’idea europeistica ma sono contrario se si dovesse trattare di dare la nostra adesione ad integrazioni verticali. Unico campo potrebbe forse essere quello dell’energia nucleare.

Tenuto anche conto del problema della convertibilità, che meglio conosceremo dopo i risultati delle elezioni inglesi e dell’allargamento delle liberazioni, io dico: aderiamo al principio generale ma non impegniamoci troppo.

Ambasciatore MAGISTRATI: Perché il Benelux ha lanciato questa proposta attraverso la C.E.C.A. e non attraverso l’U.E.O.? Evidentemente perché la Gran Bretagna non è membro della C.E.C.A. ma lo è dell’U.E.O. L’Olanda ha lanciato l’idea proprio il giorno in cui i Ministri degli Esteri si trovavano riuniti a Parigi per l’U.E.O. Se la realizzazione dell’integrazione europea venisse confidata alla C.E.C.A., cosa resterebbe all’U.E.O.? Bisognerebbe concludere che a quest’ultima non resterebbe che la funzione militare.

S. E. MARTINO: A Parigi domandai a Beyen perché il rilancio europeo non venisse effettuato in sede U.E.O. ed egli chiaramente mi rispose che ciò non avveniva perché l’U.E.O. è controllata dall’Inghilterra.

Ambasciatore MAGISTRATI: C’è il settore dell’energia nucleare che potrebbe essere affidato alla C.E.C.A., ma sicuramente l’Inghilterra si opporrà e considererebbe ciò una mossa anti-inglese.

Ambasciatore CATTANI: Effettivamente se c’è un settore verticale che possa essere studiato è quello dell’energia nucleare. Desidero però ricordare che ultimamente l’O.E.C.E. ha fatto effettuare uno studio ad Armand sull’energia nucleare che necessita di essere approfondito; può l’O.E.C.E. continuare su tale via? Oppure occorre scartare l’O.E.C.E.? È opportuno che a Messina si esamini tale problema.

Cavalletti ha giustamente ricordato che è necessario rafforzare la C.E.C.A. Noi abbiamo interesse che ciò avvenga e penso che potremmo anche estendere alcune norme previste dal trattato, anche perché la Francia chiederà, forse, alcuni emendamenti per la parte che concerne la Saar. Occorre, comunque, mettere in evidenza che non desideriamo affatto indebolire la C.E.C.A. e nessuno degli organismi già esistenti.

Supposto che vi sia il consenso delle opinioni per esplorare l’opportunità di costituire un mercato comune, occorrerà tener conto delle preoccupazioni politiche esternate da Magistrati. Io considero la Conferenza di Messina come un motore necessario a riconsiderare i problemi insieme anche ad altri paesi. Bisogna quindi studiare la procedura da seguire ed il metodo suscettibile di riunire intorno ad un tavolo i Rappresentanti dei sei paesi e degli altri paesi che lo desiderino come anche degli organismi quali l’O.E.C.E. e la C.E.C.A. Penso perciò che si dovrebbe addivenire alla costituzione di una commissione di studio aperta a chiunque lo voglia, senza però creare nulla di grandioso e suscettibile, quindi, di dare delusioni.

S.E. BENVENUTI: Sono d’accordo con Cattani che non debba essere creato nulla di spettacolare. Non credo che a Messina potremo parlare di problemi tecnici e neppure della supernazionalità. Ma come termineremo la Conferenza? Si può dire sin d’ora che è importante vedere le conclusioni che figureranno in un comunicato-stampa. Io ritengo che non possiamo dire di no all’Assemblea su quello che ha chiesto e penso che su questo punto siamo tutti d’accordo. Occorrerà quindi procedere alla stesura di un documento che preveda la leadership dei sei paesi, la possibilità di altri paesi ed organismi di unirsi, al fine di studiare l’integrazione europea, richiamandosi a quanto già è stato fatto ed ai lavori dell’Assemblea Comune.

È necessario comunque dare l’impressione che i sei paesi della Comunità non sono inerti ma continuano il loro lavoro con la collaborazione di tutti.

Ambasciatore MAGISTRATI: Il gruppo di lavoro dell’Assemblea ha fatto uno studio per l’estensione del mercato comune e tale relazione è stata seguita da un delibera dell’Assemblea. Sarebbe assai strano che i sei Ministri non tenessero conto a Messina della delibera stessa.

S.E. MARTINO: Si può comunque trovare qualche maniera per dare soddisfazione all’Assemblea.

S.E. VANONI: In complesso sono abbastanza d’accordo sulla linea di condotta che si propone. Insisto però che non deve essere dimenticato il lato finanziario e che è sempre necessario inserire, a fianco di qualsiasi progetto, lo studio del problema della «pecunia». Qualsiasi problema d’integrazione orizzontale presuppone un problema finanziario. Vogliamo inserirlo? Oppure vogliamo trattarlo separatamente? Richiamo comunque la vostra attenzione sul fatto che debba essere accennato ad un fondo in comune.

Ambasciatore CATTANI: Proprio così. A difetto di un’autorità politica non esiste che il correttivo finanziario.

S.E. VANONI: I rapporti fra l’O.E.C.E. e i paesi membri funzionano bene perché si trova sempre il modo di poter prevedere a tempo il pagamento dei debiti.

Ambasciatore ROSSI LONGHI: Le preoccupazioni di Benvenuti sono fondate ed io penso che il rilancio andrà poco lontano, anche perché il rilancio Benelux è di origine olandese, il cui Governo si trova in difficile situazione politica. Non so fino a qual punto Beyen potrà impegnarsi.

Sottosegretario BATTISTA: Vi è comunque Spaak.

S.E. VANONI: Ricordiamoci che la C.E.C.A. non va indebolita.

Ambasciatore CATTANI: Si può richiedere che, se si addiverrà alla costituzione di un gruppo di lavoro, partecipi a questo un membro dell’Alta Autorità.

Sottosegretario BATTISTA: Non si potrebbe dire che il gruppo di lavoro si costituirà in ambito C.E.C.A.?

Ambasciatore CATTANI: Non credo che ciò sia possibile. Se ciò fosse, molti paesi non aderirebbero.

S.E. MARTINO: A Messina tratteremo il problema della fedeltà al trattato e poi procederemo agli studi per il rilancio. Siamo d’accordo?

S.E. VANONI: Sarebbe opportuno procedere alla preparazione di uno schema di comunicato.

S.E. MARTINO: Prepareremo tale schema.

La seduta è tolta alle ore 19,30.


1 Il documento non è datato.


2 Vedi D. 43.

36

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

Appunto. Roma, 26 maggio 1955.

RIUNIONE SEI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI – MESSINA

In previsione dell’imminente riunione dei sei Ministri degli Affari Esteri, che avrà luogo a Messina (1° e 2 giugno)1, si richiama l’attenzione dell’E.V. sui seguenti argomenti che potrebbero servire di base alla Delegazione italiana nel corso delle discussioni.

I. Questione della Presidenza.

a) Persona. Il ritiro delle dimissioni fatte da Monnet nei giorni scorsi con lettera ai sei Ministri sembra debba mettere in imbarazzo il Governo francese, rendendo a questo meno facile un verdetto negativo per il reincarico di Monnet. Se le opposizioni di alcuni membri del Governo francese fossero insuperabili, candidati come René Mayer e Louvel non dovrebbero trovare un avviso contrario da parte degli attuali membri dell’Alta Autorità. In particolare per Louvel si è registrata una evoluzione favorevole negli ultimi giorni, sotto l’impulso dei membri dell’Alta Autorità di origine democratica cristiana o simpatizzanti.

Difficoltà, specie per Louvel, potrebbero provenire dal Governo tedesco che si è già in altre occasioni pronunciato in favore della rotazione della Presidenza, criterio del resto sostenuto anche dal Benelux. Quindi non è improbabile che una eventuale nomina di Louvel, o comunque di un francese, a Presidente sia accompagnata da una affermazione di principio in favore della rotazione, da applicarsi alla prossima occasione.

Per quanto ci riguarda, benché sia difficile opporsi ad un eventuale reincarico di Monnet se venisse accettato dai francesi, si dovrebbe in massima cercare di favorire una persona capace di dare un effettivo e realistico impulso alla C.E.C.A., senza dispersioni di energie altrove, come ha fatto finora Monnet. Sotto questo aspetto sia Mayer sia Louvel sembrano essere per noi accettabili.

b) Procedura. La nomina del Presidente deve avvenire in tre tempi: dopo la nomina del nuovo membro, designazione del nuovo Presidente (le due cose sono naturalmente connesse); consultazione (avviso non vincolante) dell’Alta Autorità; nomina definitiva del Presidente da parte dei Governi.

Da Messina la consultazione dell’Alta Autorità avverrà per telefono o per telegrafo.

Quanto precede fa pensare che sarebbe forse utile che la questione della Presidenza venisse discussa dai Ministri degli Esteri come primo punto dell’o.d.g., in maniera da avere tempo di ricevere la risposta dal Lussemburgo prima della chiusura della Conferenza, presumibilmente entro il 2.

c) Decorrenza della Presidenza. Secondo il trattato il nuovo Presidente deve essere nominato di due anni in due anni. Il fatto che il mandato di Monnet è spirato il 10 febbraio e che il successore sarà nominato solo il 2 giugno, pone il quesito se il nuovo Presidente sarà in carica, come sarebbe regolare, effettivamente per due anni oppure circa quattro mesi di meno. Quest’ultima alternativa creerebbe uno sfasamento sulla durata del mandato degli altri membri che hanno scadenze biennali.

Su tale questione i Ministri dovranno decidere.

II. Rafforzamento della C.E.C.A.

Indipendentemente dal rilancio in altri settori, sembrerebbe necessario che la Conferenza di Messina serva a rafforzare la C.E.C.A. ed in particolare l’Alta Autorità.

L’Alta Autorità, dopo il fallimento della C.E.D., ha dato preoccupanti sintomi di debolezza. Ciò è dovuto in gran parte all’atteggiamento di alcuni Governi (in particolare quello tedesco) che, lungi dal facilitare l’azione supernazionale dell’Alta Autorità, la ostacolano con interventi ed interferenze, occulte o scoperte, scalzandone il prestigio e l’energia.

L’interesse dell’Italia, come paese più debole della Comunità, è tutelato solo dal funzionamento normale del sistema stabilito dal trattato. Se il Consiglio dei Ministri nazionali dovesse prendere il sopravvento nella Comunità, o se i membri dell’Alta Autorità dovessero agire dietro i dettami dei rispettivi Governi, noi ci troveremmo costantemente di fronte a maggioranze ponderate a nostro sfavore.

Sembrerebbe perciò consigliabile che, in occasione della nomina del nuovo Presidente, si domandasse ai sei Ministri di riconfermare solennemente, prima di ripartire per nuove iniziative europeistiche, la volontà dei loro Governi di eseguire pienamente e lealmente gli impegni del Trattato C.E.C.A.

Per dare contenuto concreto ad una dichiarazione del genere sarebbe forse possibile chiedere che i Ministri vogliano rafforzare ed espandere l’azione dell’Alta Autorità in un settore, sempre beninteso carbo-siderurgico, in cui si sono notate deficienze e lacune e cioè nel settore sociale.

A tale riguardo ci si potrebbe ricollegare alla risoluzione dell’Assemblea Comune del 13 maggio scorso che, cosciente del problema, ha chiesto fra l’altro:

- una interpretazione più lata possibile del par. 23 della Convenzione (appunto nel senso da noi domandato per i nostri disoccupati);

- una estensione dei poteri dell’Alta Autorità anche al di là della stretta lettera del trattato per venire in soccorso dei disoccupati.

Sarebbe quindi assai utile che, in una maniera o in un’altra, la risoluzione dell’Assemblea venisse esaminata dalla Conferenza dei sei Ministri, direttamente con l’iscrizione all’o.d.g. o almeno incidentalmente. L’iscrizione all’o.d.g. potrebbe essere richiesta, se non si volesse agire direttamente, anche dal Presidente Pella al Presidente Bech: incidentalmente o nella discussione generale o, se il Memorandum Benelux2 fosse esaminato in dettaglio, nella discussione del punto c) del Memorandum stesso, o infine eventualmente nelle «questioni varie».

III. Integrazione europea.

a) L’esame tecnico dell’approccio per settori chiarisce che gli argomenti tecnici sono molto diversi fra di loro ancorché interconnessi. Pertanto un metodo integrativo, tipo quello seguito dalla C.E.C.A., non appare soddisfacente né appropriato;

b) il progetto dei paesi Benelux tiene conto di quanto sopra ed anche della chiara linea che abbiamo sempre seguito e cioè che possiamo spingerci un pochino oltre, verso qualche settore, se c’è, però, un legame più generale ed impegnativo su tutta l’economia.

Questa è sempre stata la nostra impostazione e, quindi, in linea di massima, possiamo seguire le argomentazioni proposte dal Benelux e cioè approccio orizzontale o congiunto;

c) il problema appare, comunque, molto complesso e, a tale stadio, sembra difficile poter andare al di là di espressioni di consenso e di principio. Ciò è dimostrato, del resto, dai precedenti lavori fatti dalla Comunità politica la quale ha discretamente approfondito i sistemi del metodo orizzontale (mercato comune).

Tutto ciò potrà, però, essere esaminato soltanto in sede appropriata ed in un secondo tempo, insieme allo studio delle caratteristiche dei settori cosiddetti verticali, al fine di ricercare quale sia il metodo migliore da seguire per addivenire ad una più stretta cooperazione;

d) alla prossima riunione di Messina si prevede che i paesi partecipanti assumeranno, a seconda anche delle diverse politiche seguite, tali atteggiamenti:

- i paesi del Benelux sosterranno, come rilevasi dal loro progetto, le idee più avanzate;

- l’Italia seguirà subito dopo, mostrando una certa moderazione;

- la posizione della Germania è tuttora incerta: si presume, però, che finirà con l’assumere un orientamento abbastanza favorevole;

- la Francia sarà probabilmente la meno entusiasta ma si ritiene che si limiterà a sollevare difficoltà generiche e a dare consigli di moderazione.

e) Appare, comunque, necessario non far nascere eccessive aspettative come accadde, a suo tempo, per l’Unione doganale franco-italiana, l’Unione a cinque (Finebel) e la Comunità politica.

Occorre, quindi, partire con moderati obbiettivi e con una prudente enunciazione di essi al fine di poter concretare un metodo di esame più approfondito attraverso la formula maggiormente appropriata che risulterà dalle discussioni;

f) i sei Ministri dovrebbero, comunque, accettare il principio che nulla nasca come creazione ad uso esclusivo dei paesi della Comunità ma, piuttosto, come una «leadership» di pensiero e di orientamenti che si estrinsechi, poi, in fòri già esistenti o di nuova creazione.

Ciò permetterebbe di associare agli studi un maggior numero di paesi e, particolarmente, la Gran Bretagna. È infatti nostra preoccupazione di non escludere da una qualsiasi forma di integrazione, paesi quali la Svizzera, l’Austria e la Spagna.

Naturalmente occorrerebbe associare la C.E.C.A. a tale attività, ma è necessario evitare di indebolire gli altri organismi esistenti e, particolarmente, l’O.E.C.E. dalla quale abbiamo già tratto e dovremo ancora trarre consistenti vantaggi.

Si allega, per opportuna conoscenza dell’E.V., l’unito appunto con gli elementi informatori determinanti emersi da una riunione interministeriale ad alto livello che ha avuto luogo presso questo Ministero il giorno 24 corrente3.


1 Vedi D. 43.


2 Vedi D. 26, Allegato.


3 Vedi D. 33.

37

LA DIREZIONE NAZIONALE DEL MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEOE IL CONSIGLIO DIRETTIVO DEL GRUPPO PARLAMENTARE ITALIANODEL MOVIMENTO EUROPEO

Promemoria. Roma, 26 maggio 1955.

PROMEMORIA PER I SEI MINISTRI DEGLI ESTERI DELLA C.E.C.A.RIUNITI A MESSINA IL 1° GIUGNO 1955

I sei Ministri degli Esteri degli Stati aderenti alla C.E.C.A. hanno dimostrato, con i propositi di allargamento delle competenze della stessa Comunità e in generale di «rilancio» dei progetti di unificazione europea, di sentire il bisogno di rispondere in qualche modo al profondo disagio che l’arresto del processo di costituzione di una comunità politica ha creato nell’animo di vasti strati della popolazione europea.

Tuttavia i federalisti europei sentono la necessità di segnalare la viva inquietudine che è in loro, e che è largamente condivisa dall’opinione pubblica, circa la idoneità delle misure di cui è stata fatta parola nella stampa, e che dovrebbero essere dibattute nella riunione di Messina, a placare effettivamente tale disagio.

È certamente desiderabile che la C.E.C.A., prima realizzazione europea, non venga messa in pericolo con una diminuzione dei suoi poteri o dei suoi caratteri sopranazionali o con l’estensione a paesi che non ne condividano i principi; ma è lecito esprimere il dubbio che, nell’aggravata situazione di cui l’abbandono delle proposte dell’Assemblea ad hoc è sintomo, essa abbia una vitalità istituzionale corrispondente alle profonde comunità d’interessi che stringono i sei paesi partecipanti.

Ogni ampliamento di competenza della C.E.C.A., che non avesse poi come corrispettivo una estensione della sua autonomia sopranazionale, si risolverebbe in grave pericolo per l’autorità e il funzionamento effettivo dell’istituzione.

È desiderabile che un mercato comune europeo venga costantemente sviluppato, con ogni possibile mezzo; ma se i mezzi considerati dovessero essere semplicemente quelli degli accordi bilaterali o multilaterali, essi condannerebbero ogni progetto alla sorte della fallita unione doganale italo-francese e lascerebbero aperta la via a una rinnovata lotta di ciascuno Stato contro tutti sotto la pressione di ogni avversa circostanza economica.

Sono purtroppo presenti alla memoria di tutti le iniziative unilaterali prese da alcuni Stati, per esempio in opposizione all’O.E.C.E.; e, prima, la decisione unilaterale britannica per la svalutazione della sterlina.

In queste condizioni, i federalisti europei riaffermano la loro convinzione che solo l’istituzione di una effettiva autorità politica sopranazionale possa dare efficacia all’allargamento di competenza della C.E.C.A. e alla creazione di un permanente mercato comune.

Gli interessi toccati dalle proposte che stanno dinanzi ai sei ministri sono effettivamente tanto vasti, hanno tali ripercussioni dirette e indirette sulla vita economica e sociale e sulla potenza e prosperità dei sei paesi interessati, che solo una delega definitiva di potere politico, che ne permetta l’effettivo esercizio in comune, può consentire di controllarli e di adeguatamente promuoverli.

I sei ministri hanno implicitamente riconosciuto le ragioni profonde da cui è animata l’opinione pubblica europea. Ma se essi intendono darle qualcosa di più di una soddisfazione di mera forma, che si risolverebbe in una profonda e forse definitiva delusione, essi devono chiamarla, attraverso libere elezioni, a determinare la natura e gli indirizzi della necessaria autorità politica.

I federalisti europei sentono quindi il dovere di ricordare che i popoli hanno sopra tutto bisogno di chiarezza e di corrispondenza effettiva tra i propositi e le istituzioni che debbono realizzarli. Ogni soluzione di apparenza lascerebbe l’Europa democratica divisa nella realtà effettuale economica, politica e sociale, di fronte alle grandi forze nuove che si affermano nel mondo. Né la C.E.C.A. può essere effettivamente salvata né la economia europea costituita all’infuori di questa cornice: la creazione di una autorità politica mediante appello all’elezione popolare.

38

IL SEGRETARIO A LUSSEMBURGO, BOBBA,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T.7768/303. Lussemburgo, 27 maggio 1955, ore 10 (perv. ore 11).

Oggetto: Conferenza Messina.

Mio n. 2981.

Con collaborazione Giretti ho potuto ottenere copia istruzioni del Gabinetto federale a Delegazione tedesca Conferenza Messina. Mentre trasmetto documento posta ordinaria, sembrami utile riassumerne principali punti per opera documentazione fase preparatoria codesto Ministero Esteri, documento rappresentando nuovo indirizzo organico atteggiamento tedesco circa integrazione europea a sei:

1) Si ritiene momento venuto per ulteriori passi integrazione europea con obiettivo libero mercato comune;

2) per trasporti, studi organizzazione rete europea canali, autostrade, linee ferroviarie elettriche, standardizzazione equipaggiamenti, migliore coordinamento traffici aerei, da affidarsi Consiglio dei Ministri C.E.C.A.;

3) studi e consultazioni per politica comune energia su casi risoluzione Consiglio dei Ministri C.E.C.A. del 13 ottobre 1953;

4) studi ed applicazione pacifica energia atomica esigono integrazione per cui si ritengono applicabili principi del Memorandum Benelux;

5) integrazione economica generale dovrebbe svilupparsi da basi già raggiunte O.E.C.E. e G.A.T.T. – non in contrasto con tali organizzazioni – con seguenti misure:

a) ulteriore progressiva liberalizzazione scambi di merci capitali servizi;

b) progressiva abolizione dazi;

c) fissazione regole leale concorrenza e non discriminazione;

d) misure transitorie e di adattamento;

e) fondi per investimenti produttivi in zone ove occorre eliminare contrasti sociali pericolosi;

6) istituzione di un organo consultivo permanente sotto responsabilità Consiglio dei Ministri C.E.C.A. con compiti di:

I) fissare regole per realizzazione obiettivi suddetti;

II) coordinare paesi membri in applicazione dette regole emettendo allo scopo raccomandazioni;

III) proposte istituzionali in corrispondenza ad avvenuti progressi integrazione;

7) istituzione Università europee e scambio giovani lavoratori per formazione professionale a scopo fare penetrare nella gioventù pensiero europeo;

8) si annette particolare importanza a servirsi per i nuovi compiti della già esistente organizzazione C.E.C.A.: organo consultivo funzionerebbe nel quadro Consiglio Ministri, compiti esecutivi sarebbero affidati, ove necessario, ad Alta Autorità;

9) dovrebbe essere indetta una conferenza fra i Governi, con intervento Alta Autorità, per preparazione trattato.


1 T. 7652/298 del 25 maggio, con il quale Bobba aveva comunicato le prime informazioni sulle proposte che la Delegazione tedesca avrebbe presentato alla Conferenza di Messina.

39

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 8102/1831. Parigi, 1° giugno 1955, ore 17 (perv. stessa ora).

Oggetto: Cooperazione internazionale nel campo dell’energia.

Mio 1712.

Ieri ha avuto luogo la riunione del Comitato Esecutivo che ha esaminato i due progetti di risoluzione relativi alla cooperazione internazionale nel campo dell’energia (di cui ai miei telespressi 2116/977 del 9 maggio e 2424/1190 del 27 maggio)3 e eventuale iscrizione di tale questione all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri.

Sul progetto concernente l’istituzione del gruppo ristretto per lo studio preliminare del problema dell’energia nucleare la discussione è stata breve, tutti i Delegati essendo d’accordo per la sua istituzione. Il progetto è stato solo emendato per desiderio del Delegato britannico che ha voluto marcare carattere preliminare dello studio affidato a quel gruppo ed eliminare ogni allusione all’impegno preventivo degli Stati ad una azione comune.

Sulla risoluzione relativa alla istituzione della commissione dei problemi generali energia si sono rilevati notevoli dissensi, tanto circa la composizione della commissione ed i suoi compiti specifici, quanto circa l’opportunità di procedere fin da ora alla sua costituzione, opportunità che è stata contestata dal Delegato britannico. Egli ha sostenuto la tesi che convenisse procedere a tale costituzione solo dopo che la Commissione dell’energia nucleare ha compiuto i suoi lavori. Questa tesi palesemente dilatoria non ha trovato tuttavia consensi.

Il Delegato britannico ha sollevato anche obiezioni circa la proposta di iscrivere la questione energia all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri, proposta che come ho riferito è stata avanzata dai Delegati del Belgio e della Grecia. È stato palese che Governo britannico non è favorevole agli impegni di cooperazione di carattere più marcatamente politico quali risulterebbero da una deliberazione del Consiglio dei Ministri. Qualche esitazione è stata mostrata anche dal Delegato francese.

Dopo ampia discussione maggioranza si è orientata nel senso che questione venga portata al Consiglio dei Ministri, in termini generici, nel senso che Consiglio dovrebbe deliberare istituzione commissione incaricando Consiglio Sostituti di precisare composizione e termini del mandato.

Delegato britannico non si è mostrato del tutto avverso ad una tale soluzione. Nessuno dei Delegati presenti avendo precise istruzioni, si è deciso rimettere la questione al Consiglio che si riunirà venerdì mattina4. Prego telegrafarmi5 in tempo se non vi sono da parte nostra obiezioni per aderire iscrizione all’ordine del giorno nel caso che maggioranza Delegati sia favorevole.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con il numero di protocollo di sede 408.


2 Vedi D. 32.


3 Non pubblicati.


4 Il 3 giugno, vedi D. 41.


5 Vedi D. 40.

40

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI,ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., A PARIGI

T. 5654/1921. Roma, 2 giugno 1955, ore 15,30.

Seguito suo 1832.

Sembrerebbe preferibile astenersi dal prendere posizione in attesa conoscere decisioni Conferenza Messina3.

Tuttavia se dovesse delinearsi unanimità favorevole da parte altri Delegati ad iscrizione nell’ordine del giorno del problema energia in linea generale V.E. potrà aderire facendo tuttavia presente che a nostro avviso problema stesso presenta diversi aspetti complessi sia per loro diversa distribuzione geografica sia per diversità delle fonti sia in ultimo per particolare competenza C.E.C.A. per cui riteniamo sarebbe stato più opportuno prima di trattare questione livello Consiglio Ministri procedere a studi maggiormente approfonditi. Nostra posizione sarebbe diversa qualora si volesse mettere all’ordine del giorno soltanto problema energia nucleare per cui siamo invece favorevoli fin da ora messa in comune mezzi finanziari, studi, esperienza.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con il numero di protocollo 246.


2 Vedi D. 39.


3 Vedi D. 43.

41

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 8283/189. Parigi, 3 giugno 1955, ore 20,24 (perv. ore 21,30).

Oggetto: Cooperazione internazionale nel campo dell’energia.

Seguito mio 183 e telegramma ministeriale 1921.

Il Consiglio ha stamane discusso la procedura da seguire nelle questioni relative all’energia. Per quanto riguarda l’energia nucleare è stato deciso portare la questione al Consiglio dei Ministri proponendo che esso crei il previsto gruppo di studio. Quanto alla commissione per i problemi della cooperazione nel campo generale dell’energia, i Delegati belga e svizzero hanno fortemente insistito perché la questione fosse presentata al Consiglio dei Ministri, ma nessuna decisione è stata presa e l’esame di questo problema è stato rinviato a lunedì 6 corrente2.


1 Vedi DD. 39 e 40.


2 Con T. 8519/194 del 6 giugno Vitetti comunicò l’approvazione della proposta belga da parte del Consiglio O.E.C.E.

42

L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 7119/1165. Bonn, 3 giugno 1955.

Oggetto: Atteggiamento tedesco nei confronti della C.E.C.A.

Il memorandum consegnato dal Sottosegretario Hallstein ai Ministri degli Esteri degli altri cinque paesi della C.E.C.A., a Messina1, ancorché reso noto al pubblico, nei suoi tratti essenziali, soltanto da poche ore, viene considerato generalmente come un’abdicazione formale all’europeismo di tipo «sovranazionale», in favore di quello federalistico o cooperativistico. L’atto non rinnega l’ideale della comunità europea, ma esprime una rinunzia a perseguirlo con il metodo degli organi supernazionali, sperimentato al Lussemburgo.

Il punto di vista, espresso nel memorandum, non è sensazionale e non è nuovo, esso esisteva anzi «in nuce» fin dai primordi del movimento per l’integrazione europea. Ho già più volte accennato alle critiche che la politica della C.E.C.A. ha incontrato e incontra in Germania, critiche tanto più serrate e radicali, quanto più sono venute a cadere le ragioni di natura politica, che avevano suggerito inizialmente al Governo di Bonn di schierarsi tra i fondatori ed i fautori della Comunità carbo-siderurgica.

Del resto, sotto certi aspetti, l’atteggiamento tedesco coincide singolarmente con talune tendenze manifestatesi in altri paesi: quelle – ad esempio – che hanno portato in Francia al declino di Monnet e alla sua sostituzione con René Mayer (europeista, sì, ma meno aperto a principi supernazionali); e nel Benelux alla revisione affrettata, in senso piuttosto federalistico, del noto poliedrico progetto.

Sono viceversa meno espliciti gli orientamenti tedeschi in merito al futuro programma di azione. La nota di Hallstein parla di una integrazione orizzontale, che si dovrebbe sostituire a quella verticale della C.E.C.A., ma i termini sono contraddittori e perfino equivoci.

La Comunità del carbone e dell’acciaio è virtualmente in crisi dal momento della caduta della C.E.D., essendo risultato evidente che essa non è capace di sostenersi in forma isolata e senza i necessari presupposti politici. Negli ultimi tempi la Comunità si è andata trasformando progressivamente in un organo collegiale: i membri tedeschi o hanno modificato il loro linguaggio, ovvero (quelli più compromessi in senso supernazionale, come Etzel) hanno fatto circolare voci di imminenti dimissioni. A Bonn si esclude che la Conferenza di Messina abbia potuto modificare o arrestare questa tendenza.

D’altra parte non meno incerto è l’avvenire degli istituti cosiddetti orizzontali (O.E.C.E. e simili), sui quali la Germania afferma di voler far convergere il peso del rilancio europeistico. La campagna per la convertibilità monetaria (cioè della stretta associazione dell’economia dell’Europa Occidentale con l’area del dollaro), nella forma e nei tempi di attuazione in cui è concepita attualmente, è già in fondo una rottura del fronte europeo. Essa avrebbe dovuto realizzarsi, in termini di ortodossia, alla chiusura del processo per l’integrazione europea, e non parallelamente ad esso.

Una corrente di opinione pubblica, molto vicina agli ambienti industriali, comincia ad affermare sottovoce che il fallimento dell’esperimento sopranazionale ha riportato l’Europa alle vecchie economie nazionali «tout court». È una corrente per ora isolata, probabilmente influenzata dagli attuali eccellenti rapporti tra Stati Uniti e Germania, che alimentano l’illusione di un’economia tedesca indipendente da quella del resto dell’Europa. Mi sembra però che sia opportuno tenerne conto.


1 Vedi Appendice documentaria, D.1, Annexe V.

43

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

Appunto riservato 852 segr. pol. Roma, 7 giugno 1955.

In attesa che l’Ambasciatore Cattani presenti la sua relazione ufficiale sulla Conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri dei paesi della C.E.C.A., tenutasi a Messina negli scorsi giorni1, si sottopongono a V.E. alcuni brevi commenti e talune impressioni colà riportate.

L’origine della Conferenza è molto lontana, dato che da non pochi mesi si parlava della necessità di una decisione collettiva in merito alle dimissioni presentate, e da ultimo ritirate, da Jean Monnet. La Conferenza ha assunto una particolare fisionomia a seguito della presentazione del «Memorandum» del Benelux2, in quanto con essa e per essa si è pensato di compiere, dopo una non breve parentesi, un nuovo «rilancio» in tema di politica europeista.

A questo fine – e per quanto in non piccoli strati delle opinioni pubbliche e negli ambienti giornalistici esista e sussista un indubbio scetticismo in materia – essa può dirsi discretamente riuscita. E ciò perché, bene o male, si è riparlato molto in questi giorni, in Europa, della necessità che i lunghi sforzi, in questi ultimi anni compiuti in tema di collaborazione europea tra i paesi continentali, non vadano del tutto perduti e servano, se non altro, per richiamare nuovamente l’attenzione su quei settori che appaiono maggiormente prestarsi a una più profonda integrazione. Scopo principale, anche se non confessato, dell’iniziativa del Benelux era, inoltre, quello di tenere legata in qualche modo all’Occidente europeo quella Germania che, nel suo sviluppo politico ed economico e domani anche militare, rischierebbe, qualora i legami venissero ad allentarsi, di assumere una posizione eccessivamente autonoma ed indipendente, che appare utile evitare.

L’avviamento di questa collaborazione «a Sei» è ora – e il comunicato ufficiale conclusivo della Conferenza3 ne fa chiara menzione – di carattere specificamente economico. I sei Governi, infatti, hanno ufficialmente espresso l’opinione che la nuova tappa sul cammino della costruzione europea debba essere realizzata innanzitutto nel settore economico. Da ciò una non piccola elencazione di possibilità, tra le quali (e questa è una interessante novità, anche se ammantata e circondata da non piccole riserve) quella relativa ai futuri impieghi dell’energia nucleare.

La C.E.C.A., che in questi ultimi mesi si é trovata in posizione di disagio, per non dire di crisi, a causa della situazione Monnet, può trovare, con la nomina del Presidente René Mayer, una certa maggiore consistenza e una nuova stabilità. Naturalmente sul famoso concetto della sopranazionalità esiste sempre (vedasi l’atteggiamento della Francia, il cui Governo, fino a che non si saranno avute nuove elezioni politiche, non è evidentemente in condizione di prendere coraggiose iniziative in tanto delicato argomento) una grande perplessità: ma, comunque, essa non è sparita del tutto dallo sfondo della collaborazione. La pronta accettazione delle dimissioni di Monnet (lo stesso Presidente Bech non ha mancato di sottolineare come cinque minuti di Messina siano stati, allo scopo, più decisivi che non sei mesi di discussioni al Lussemburgo!) ha costituito una affermazione del Governo di Parigi e un tale fatto dovrebbe costituire la premessa per una qualche migliore «buona volontà» da parte sua per l’avvenire in merito a questa non poco travagliata collaborazione europea.

Naturalmente resta sempre il problema di come debba svilupparsi la collaborazione britannica a questi sforzi continentali e, a Messina, tutti più o meno sono stati dell’idea che il Governo del Regno Unito debba essere associato ai lavori dei Sei e fin dal primo momento di questa rinnovata collaborazione. Situazione che non sempre è gradita a quei circoli più nettamente e rigidamente «europeisti» ai quali, tutto sommato, la collaborazione a sei in Europa sembrava una formula maggiormente efficace ai fini dello sforzo federalista.

I sei Ministri hanno formulato un «programma» e una «procedura» per i prossimi tempi ed hanno stabilito la costituzione di un gruppo di lavoro di Delegati governativi e di esperti, la cui azione sarà coordinata da un uomo politico (quasi certamente van Zeeland, se egli accetterà): poi si avrà qualche altra conferenza destinata, secondo il solito, a prendere nota dei risultati raggiunti e delle proposte avanzate in seno a quel gruppo di lavoro.

Tutto sommato, qualche passo in avanti è stato compiuto e, se non altro, si è dimostrato come l’Europa Occidentale continui nell’azione di collegamento e di coordinazione. Naturalmente non si può negare che questo accavallarsi di enti internazionali, dalla N.A.T.O. all’O.E.C.E., dall’U.E.O. alla C.E.C.A. produca nell’uomo della strada una certa confusione di idee e provochi non piccoli interrogativi. Se una parola, in merito, può dirsi è che, a quanto è dato vedere, i paesi europei si avviano a considerare la N.A.T.O. la vera e propria pedana per i collegamenti politici e militari, mentre l’O.E.C.E. e la C.E.C.A. dovrebbero vedere ad esse riservato il settore economico. Quanto all’U.E.O., di cui ancora non si vedono, né i contorni né il contenuto, dovrebbe dirsi che essa sia particolarmente destinata ad agire quale strumento di controllo in tema di armamenti, a mezzo delle sue Agenzie.


1 Per il verbale della Conferenza vedi Appendice documentaria, D. 1. La relazione di Cattani non è stata rinvenuta ma vedi D. 70.


2 Vedi D. 26, Allegato.


3 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.

44

NOTA UFFICIOSA1

[Roma 7 giugno 1955]2.

Alla domanda di un commento dei risultati della Conferenza di Messina il portavoce di Palazzo Chigi ci ha risposto:

È da attribuire senz’altro un valore positivo alla recente riunione internazionale tenutasi a Messina dal 1° al 2 giugno. I termini dell’accordo sono stati precisati nella Risoluzione finale di cui è stata data notizia per mezzo della stampa. Per la prima volta i sei paesi della C.E.C.A. si sono trovati d’accordo per la creazione di un mercato comune.

Dopo la caduta della C.E.D. l’anno scorso e la successiva creazione dell’Unione Europea Occidentale, era diventato urgente il bisogno di una ripresa del processo d’integrazione europea anche nel settore economico. Un’integrazione la cui incidenza anche nel settore politico è peraltro evidente. A tale scopo era necessario stabilire gli obiettivi da raggiungere ed i metodi appropriati per conseguirli.

La Conferenza di Messina, che tra l’altro col riunire i Ministri degli Affari Esteri dei sei paesi nell’estremo lembo meridionale dei territori coperti dalla C.E.C.A. ha dato una dimostrazione quasi fisica della solidarietà di intenti che unisce i sei paesi, ha stabilito tali obiettivi e metodi. Ha anche stabilito delle scadenze. Ha cioè soddisfatto quelle esigenze che allo stato attuale delle cose apparivano suscettibili di essere soddisfatte. Da qualche parte sono stati sollevati dei dubbi circa la maggiore o minore disposizione collaborativa di qualche paese. In realtà il compito dei sei Ministri degli Affari Esteri stava appunto nel determinare il settore; in estensione come in profondità, sul quale sarebbe stato possibile ottenere il consenso di tutti. Si trattava e si tratta di procedere avanti di conserva, ed è quindi naturale che si debba tenere conto di chi, caso per caso, abbia difficoltà da superare o chiarificazioni da operare. È dunque un ordine di marcia che è stato stabilito a Messina.

La Risoluzione finale non si è limitata per altro ad un generico accenno di obiettivi nonché della procedura atta a portarli a compimento. Essa ha colto, individuandoli, i punti principali dai quali il problema dovrà essere attaccato.

È così che, da un punto di vista generale, merita di essere messo in rilievo il paragrafo relativo allo sviluppo della energia atomica a fini pacifici che – secondo le parole della Risoluzione – apre, a breve scadenza, la prospettiva di una nuova rivoluzione industriale fuori di ogni confronto con quella degli ultimi cento anni.

Stabilito il principio che conviene studiare la creazione di una organizzazione comune, i sei Stati hanno riconosciuto di trovarsi in presenza di questo fattore nuovo e travolgente che li avvicina maggiormente, sia come obiettivo da raggiungere, sia come necessità che li preme.

Dal punto di vista più particolarmente italiano si possono rilevare la concretezza delle questioni fondamentali sull’ordine del giorno dei lavori futuri. Talune di esse sono particolarmente impegnative come ad esempio, l’adozione di metodi suscettibili di assicurare il coordinamento delle politiche monetarie dei paesi membri per la creazione e il mantenimento di un mercato comune.

È anche da rilevare l’idea nuova rappresentata dalla creazione di un fondo europeo di investimenti avente per scopo l’adattamento alle scosse del mercato comune nonché investimenti nuovi in relazione allo sviluppo delle regioni economicamente meno sviluppate.

Circa infine la partecipazione di altri paesi ai lavori preparatori della o delle conferenze tenute, la risoluzione prevede specificamente quella del Regno Unito. Tutte le indicazioni che si sono avute circa presunte estensioni ad altri paesi, sono semplici congetture.

Conferenza, dunque, con risultati positivi e promettenti. Lo sviluppo che le decisioni adottate avranno nei prossimi mesi consentirà di misurarne la portata effettiva.


1 Diramata da Palazzo Chigi alla stampa a commento dei risultati raggiunti dalla Conferenza di Messina.


2 Datato in base al telespresso di trasmissione del Servizio Stampa (n. 8/3069 del 7 giugno) a tutte le Rappresentanze diplomatiche, e per conoscenza alle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari Economici, con il quale veniva anche trasmesso il testo del comunicato ufficiale conclusivo della Conferenza di Messina (vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X).

45

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

L. 2997. Roma, 11 giugno 1955.

Caro Magistrati,

ti ringrazio per la tua lettera n. 827 del 4 giugno1 circa i lavori di Messina. Avevo già l’impressione che «nei limiti del possibile» tutto fosse andato bene. Concordo nelle tue valutazioni. La gestazione dell’Europa è assai più difficile del suo «ratto» o per lo meno non potrà essere rappresentata in un unico e semplice quadro come ha fatto il Veronese. La sua nascita sarà il frutto di un lento sviluppo di tutti questi organismi molti dei quali, una volta creati, non riusciranno più a scomparire e finiranno un giorno per coordinarsi. Conviene quindi proseguire nell’idea o nell’azione con l’empirismo che è proprio dell’era anglosassone in cui stiamo vivendo, se non vogliamo cadere in quella slava! Molto bene il concetto di associare il più possibile la Gran Bretagna senza spaventarla da un lato e senza chiederle sin da ora quello che, sappiamo, non può dare.

Quanto all’U.E.O. spero si possa essere più ottimisti e prevedere qualche sviluppo anche su piani diversi da quello del semplice controllo degli armamenti.

Credimi, con molti cordiali saluti.

Zoppi


1 Non pubblicato. La lettera era di contenuto identico all’appunto di Magistrati per il Ministro, vedi D. 43.

46

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI,ALL’AMBASCIATA A BRUXELLES E ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO

T. 6101/77 (Bruxelles) 149 (Lussemburgo). Roma, 13 giugno 1955, ore 23,30.

Per Bruxelles: Telegramma di V.E. n. 1081. Ho telegrafato a Lussemburgo quanto segue:

Per Lussemburgo: Telegramma di V.S. n. 3152.

Per tutti: Ambasciata Bruxelles ha telegrafato che Spaak sarebbe lieto assumere presidenza Comitato Delegati governativi deciso recente riunione Messina3 e che questi contava sul nostro consenso.

Pregola pertanto far conoscere a Bech che S.E. il Ministro è favorevole eventuale candidatura Spaak.

Lascio a V.S. giudicare se non convenga suggerire a Bech che Spaak venga interpellato al riguardo sembrandoci opportuno che sia dato inizio senza indugio a procedura concordata Messina.


1 T. 9042/108 dell’11 giugno, diretto al Ministro degli Affari Esteri, con il quale Scammacca del Murgo aveva informato circa il desiderio espressogli da Spaak di ricevere l’appoggio italiano alla sua candidatura a Presidente del neoistituito Comitato Intergovernativo.


2 Con T. 8897/315 del 10 giugno Cavalletti aveva comunicato quanto dettogli da Bech sull’invito rivolto alla Gran Bretagna a partecipare al Comitato e sull’opportunità della nomina di Spaak alla Presidenza e di personalità politiche a Capi delle Delegazioni nazionali. Il 14 giugno (Telespr. 003453/549) aggiunse di aver riscontrato negli ambienti dell’Alta Autorità viva soddisfazione per la nomina di Mayer e qualche perplessità per il rilancio europeo che « … non è sembrato né sufficientemente vigoroso, né tale da dare effettivamente nuovo impulso alla C.E.C.A. Si tratta ancora di prime impressioni e ci si riserva di emettere ulteriormente un giudizio, quando si conoscerà con qualche esattezza la formazione del Comitato di studio, ma queste prime impressioni sono piuttosto pessimistiche … ».


3 Vedi D. 43.

47

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI,ALLE AMBASCIATE A L’AJA, BRUXELLES, PARIGI E BONNE ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO

T. 6210/c. Roma, 16 giugno 1955, ore 24.

Oggetto: Rilancio europeo.

Ministro Beyen, Presidente turno Consiglio Ministri sei paesi C.E.C.A., ha pregato Ministri Esteri Comunità di procedere con ogni urgenza nomina Capo Delegazione per Commissione studio prevista Conferenza Messina.

Sembra converrebbe a nostro avviso ricercare un certo parallelismo composizione Delegazioni ed è per questo motivo che non procediamo senz’altro a notifica nomina per parte nostra.

Tenuto conto del mandato di questa Commissione a noi sembra sarebbe preferibile che Capi Delegazioni fossero alti funzionari. Se a questa formula non si potesse giungere d’accordo fra paesi membri, nostre preferenze sarebbero nel caso personalità indipendente universitaria (Prof. Alberto Giovannini) ovvero personalità politica (On. Benvenuti).

Pregasi far conoscere d’urgenza orientamenti al riguardo codesto Governo1.


1 Le Rappresentanze a L’Aja e Bruxelles risposero il 17 giugno rispettivamente con i TT. 9425/41 e 9472/111, non pubblicati; l’Ambasciata a Bonn rispose con il T. 9645/134 del 20 giugno, non pubblicato. Non è stata rinvenuta una risposta telegrafica da Parigi che, a seguito del T. 6623/C. (vedi D. 49, nota 2), comunicò che il Governo francese non aveva ancora preso una decisione in proposito (T. 9956/467 del 24 giugno); per le successive informazioni vedi D. 50. Per la risposta da Lussemburgo vedi D. 49, nota 1.

48

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 1929/602. Parigi, 17 giugno 1955.

Oggetto: Politica atomica francese.

Il Governo francese ha recentemente approvato un piano per l’utilizzazione dell’energia atomica, elaborato dall’Alto Commissariato per l’energia e presentato dal Ministro Gaston Palewski da cui il Commissariato dipende. Il piano stanzia per un triennio 100 miliardi di franchi.

La politica atomica francese non è stata inaugurata dal Governo Faure. Sin dall’immediato dopoguerra i francesi hanno imboccato per loro conto e con proprie risorse la via che gli americani e gli inglesi avevano già percorsa e, procedendo gradualmente e senza grande impiego di mezzi, sono riusciti a concludere la fase preliminare delle ricerche e delle applicazioni che costituiscono i presupposti necessari per la realizzazione di un programma atomico di largo respiro.

Le tappe più salienti di questa fase preparatoria sono: a) la creazione nel 1945 dell’Alto Commissariato per l’energia atomica (alle dipendenze del Consiglio dei Ministri), che si è dimostrato un eccellente organo di propulsione e di coordinamento delle ricerche scientifiche e delle iniziative pratiche; b) le ricerche geologiche che hanno portato alla scoperta di importanti giacimenti di uranio attorno al Massif Central ed il conseguente sfruttamento dei quattro giacimenti di Saint Priest vicino a Vichy, di Grury nel pressi di Autun, di Vendée vicino a Nantes e di La Crouzille vicino a Limoges; c) la costruzione di due piccole pile atomiche sperimentali: una a Chatillon di una potenza di 150 kW e l’altra a Saclay di 2 mila kW, che hanno reso grandi servizi alle ricerche; d) la costruzione a Le Bouchet di un impianto per l’estrazione del minerale dal materiale grezzo.

Come risultato di questi sforzi la Francia aveva già da qualche anno conseguito una produzione annua di uranio, che senza poter essere lontanamente paragonata alla produzione dell’Australia, del Congo Belga e del Canadà, era sufficiente per alimentare delle grandi centrali atomiche. La Francia era quindi preparata per affrontare la seconda fase della politica atomica: la fase della produzione del plutonio e della fabbricazione delle pile «Breeder» capaci di riprodurre la stessa quantità di combustibile nucleare che consumano, nonché della costruzione di grandi centrali per un’applicazione industriale su larga scala dell’energia atomica.

Il Governo Pinay nel 1952 fece votare dal Parlamento un piano quinquennale per il miglioramento delle attrezzature atomiche e lo sviluppo delle ricerche per l’applicazione industriale dell’energia. I risultati del piano non sono stati notevoli per gli esigui stanziamenti dei fondi assegnati all’Alto Commissariato (6 miliardi nel 1952, 9 nel 1953 e 10 nel 1954) e che di fronte ai formidabili mezzi destinati dagli Stati Uniti e, in misura minore, dalla Gran Bretagna agli stessi scopi, hanno lasciato la Francia in condizioni di evidente inferiorità. L’isolamento, del resto, in cui scienziati e tecnici francesi hanno dovuto svolgere le loro ricerche, non essendo accessibili i risultati conseguiti in questo campo dai paesi anglo-sassoni (l’accordo tra i paesi della N.A.T.O. per lo scambio d’informazioni è recentissimo), ha ritardato il pieno inserimento della Francia nella corsa per l’utilizzazione pacifica dell’energia che si è iniziata da circa un anno e mezzo.

Faure e Palewski hanno trovato una buona formula di propaganda nel lancio del nuovo programma atomico. Essi vogliono attribuirsi il merito di fronte ai francesi di avere capito che si è ad una svolta decisiva dell’era atomica e che è necessario da parte della Francia uno sforzo adeguato per partecipare attivamente alla nuova rivoluzione industriale che si va preparando.

Il piano annunciato dal Governo avrà, come si è detto, una durata triennale ed i 100 miliardi stanziati per lo sforzo atomico saranno così ripartiti:

- 15% per la produzione delle materie prime (minerali di uranio);

- 20% per gli studi e le realizzazioni sperimentali, come la produzione di una terza pila a Saclay azionata dal flusso di neutroni intensi e di reattori secondari;

- 15% per la produzione di materie di base per le pile ed i reattori: uranio, utorio ed acqua pesante. Si preannuncia al riguardo la creazione di un’importante industria francese dell’acqua pesante, di cui finora la Francia era deficitaria;

- 30% per la costruzione a Marcoule, nella Valle del Rodano, di due grandi centrali atomiche per la produzione del plutonio e dell’elettricità. La prima pila di Marcoule, che sarà pronta per il gennaio dell’anno prossimo, sarà principalmente destinata alla fabbricazione del plutonio, ma è stato deciso che essa produca anche in parte l’elettricità necessaria per il suo funzionamento: offrirà, quindi, il primo esempio francese di elettricità fornita attraverso la reazione atomica. La seconda pila di Marcoule, che dovrebbe essere inaugurata nel 1957, sarà di 100-150 mila kW di cui 30 mila circa saranno trasformati in elettricità e potranno essere in gran parte utilizzati per uso industriale.

Il 20% del piano sarà destinato alla realizzazione di prototipi di motori atomici per le costruzioni navali. Si prevede già la costruzione di un piroscafo che sarà capace di funzionare mediante un apparato-motore a energia nucleare e che dovrebbe rimpiazzare «L’Ile de France» e la «Liberté» quando, tra il 1959 ed il 1962, le due navi saranno ritirate dal servizio transatlantico.

Un interessante aspetto del piano è che esso prevede di fare delle grandi centrali atomiche degli arsenali militari di riserva. Benché gli scopi dichiarati del piano siano puramente economici, è prevista la possibilità di un adattamento degli impianti alla costruzione su larga scala di armi nucleari.

Naturalmente, spetta ai tecnici esaminare quali siano le prospettive del piano dal punto di vista delle realizzazioni concrete; e solo l’avvenire potrà dire se la Francia ha veramente imboccato la via che la porterà a divenire una grande potenza atomica. Sta di fatto, però, che la Francia precede già di molto la Germania e gli altri alleati continentali nel campo nucleare; ed il piano non è stato soltanto motivato da fini propagandisti o pubblicitari, ma vorrebbe rispondere ad aspirazioni ed esigenze che, da tempo, inquietano questo paese e che una seria politica atomica potrebbe, almeno parzialmente, soddisfare.

Un’analisi del nuovo programma atomico rivela indubbiamente l’influenza di queste aspirazioni e di queste esigenze.

Faure, nell’illustrare gli scopi fondamentali del programma, ha precisato anzitutto che esso mira «a correggere gli effetti del ruolo subalterno» in cui la Francia è stata confinata dopo le conquiste realizzate in campo nucleare dagli Stati Uniti e dall’U.R.S.S.

È evidente che la Francia vuole realizzare dei progressi atomici per valorizzare la sua posizione in seno all’Alleanza atlantica, specie nei riguardi della Germania.

I francesi non possono fare a meno di attribuire il sempre maggior accordo, nei fini e nei metodi, che negli ultimi anni si è sviluppato tra la linea politica americana e quella tedesca, alla più salda organizzazione industriale ed alla maggiore capacità militare che, rispetto a loro, garantiscono i tedeschi. Ritengono, però, che l’impiego dell’energia nucleare rovescerà i rapporti di forza e quando la Francia avrà conseguito, rispetto agli altri alleati del continente, la superiorità nel possesso del potenziale atomico, essa diventerà «l’alleato efficiente» su cui principalmente gli americani saranno costretti a contare. I rapporti fra Francia e Stati Uniti dovrebbero quindi passare, secondo la formula che i promotori del programma atomico non si stancano di ripetere, «da una fase di subordinazione ad una fase di collaborazione».

Riflessi particolari dovrebbe avere la politica atomica francese nei riguardi dei paesi dell’Unione francese. Poiché si prospetta già la «collaborazione» tra i paesi ricchi di energia nucleare ed i paesi africani ed asiatici (collaborazione che, tutto sommato, si tradurrà in una nuova forma di penetrazione economica occidentale), la Francia vuole evitare che le potenze anglo-sassoni diventino le fornitrici atomiche dei paesi dell’Unione francese e mirerebbe, per contro, a diventare la grande centrale nucleare di tutta l’Unione, per rinsaldare il suo prestigio e la sua influenza politica. Faure in proposito ha esplicitamente accennato al progetto di allacciare al programma atomico francese i paesi dell’Unione.

Sotto il punto di vista economico, il nuovo programma atomico risponde ad una esigenza specifica che è quella di supplire alle deficienze che la Francia presenta nei combustibili dell’energia naturale.

Ma è il problema fondamentale dell’economia francese che, con il lancio di una grande politica atomica, si vorrebbe affrontare. La struttura economica della Francia soffre di sclerosi cronica e dimostra di non potersi inserire nel circolo di un mercato comune europeo, o, addirittura, mondiale. Date le difficoltà che si sono presentate e si presentano per l’attuazione di programmi rinnovatori di politica economica, elaborati secondo gli schemi tradizionali, l’unica speranza che finisce per prospettarsi ai francesi è la partecipazione tempestiva alla nuova rivoluzione industriale, che potrebbe annullare di colpo le deficienze strutturali dell’economia francese rispetto ai livelli della concorrenza internazionale. Fra i promotori del programma atomico è diffusa la convinzione che la prosperità e l’efficienza economica di un paese dipenderanno principalmente, in un prossimo futuro, dai risultati raggiunti nell’applicazione dell’energia nucleare, ed è in questo settore che bisogna concentrare ogni sforzo se si vuole avviare il risveglio economico della Francia.

Fino a che punto la politica atomica francese è conciliabile con i recenti progetti di «relance» dell’Europa nel settore atomico?

I francesi non possono non ammettere che solo attraverso l’associazione del potenziale tecnico e industriale dei sei paesi della Conferenza di Messina1, è possibile realizzare delle condizioni di produzione dell’energia atomica non eccessivamente inferiori a quelle delle grandi potenze atomiche mondiali. D’altra parte la Francia ha già dei notevoli vantaggi iniziali che, con la realizzazione del piano triennale, dovrebbero tradursi in una netta supremazia, nel campo della produzione e dell’utilizzazione dell’energia, sugli altri cinque paesi. (I tecnici francesi hanno calcolato, per esempio, che la produzione annuale francese di plutonio potrà, alla fine del triennio, raggiungere 150 K° contro 3 K°½ che potrà conseguire la Germania). I francesi naturalmente vogliono garantirsi sin d’ora questa supremazia, specie nel riguardi di un probabile sforzo atomico tedesco. Sono perciò favorevoli, perché ne hanno bisogno, alla cooperazione a sei, ma vogliono che essa si realizzi attraverso un sistema che offre soprattutto alla Francia la possibilità effettiva di controllare i progressi atomici della Germania ed un eventuale riarmo nucleare tedesco.

È da domandarsi quale sarebbe la posizione della Francia se le si prospettasse la possibilità di risolvere il problema del controllo atomico della Germania, mediante sistemi di integrazione a più largo raggio di quello a sei, e che prevedessero la partecipazione dell’Inghilterra (es. O.E.C.E.) e anche dell’America.

Ora, uno degli scopi del programma atomico francese è quello di preparare l’indipendenza atomica della Francia dalle due potenze anglo-sassoni: verso di queste la Francia dà già l’impressione di aver assunto un prematuro ed anche irrealistico, atteggiamento di concorrenza.

Tuttavia, di fronte alla prospettiva di un sistema di cooperazione, europeo o atlantico, per la produzione e l’uso in comune dell’energia nucleare in cui intervenissero l’Inghilterra o l’America, la Francia si troverebbe costretta, per evitare l’isolamento atomico a tutto vantaggio della Germania, a partecipare al sistema e ad accettare l’inevitabile supremazia inglese o americana, sacrificando ogni ambiziosa aspirazione all’indipendenza atomica.


1 Vedi D. 43.

49

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO

T. 6509/156. Roma, 21 giugno 1955.

In vista anche considerazioni contenute nel telegramma di V.E. n. 3321, ho designato S.E. Sottosegretario Benvenuti Capo Delegazione Comitato esperti istituito a Messina2.

Pregola provvedere alle conseguenti comunicazioni.


1 Con il T. 9471/332 del 17 giugno Cavalletti, nel segnalare che la scelta lussemburghese di nominare a Capo della Delegazione il proprio Rappresentante a Bruxelles rispondeva ad esigenze economiche, aveva aggiunto: « … permettomi segnalare necessità che Capo Delegazione italiana, data delicatezza nostri specifici lavori, sia persona tale da poter tenere testa a Spaak cui sistemi di presidenza – che ho visto all’opera da sei anni – sono tanto energici quanto spregiudicati, soprattutto quando prestigio sua persona è in giuoco … ».


2 Comunicazione di contenuto analogo venne inviata alle Ambasciate a Parigi, Bonn, Bruxelles e L’Aja da Cattani con il T. 6623/c. del 23 giugno.

50

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. riservato 974. Parigi, 27 giugno 1955.

Oggetto: Conferenza di Bruxelles. Problema atomico.

Signor Ministro,

mi riferisco al mio telegramma n. 470 del 25 corr.1.

A V.E. non è certamente sfuggito che la decisione presa da Edgar Faure di ritirare la candidatura Gaillard e di sostituirlo con un alto funzionario alla direzione della Delegazione francese a Bruxelles ha anche un significato di fondo. Tanto più se si tiene conto che Gaillard era un europeista convinto, mentre, se l’alto funzionario dovesse essere Dejean, non sarebbe certo un entusiasta della sopranazionalità.

Come ho già riferito, la reazione francese all’accordo belga-americano sui minerali di uranio è stata generale e violenta. Evidentemente, qui si contava su di una più larga possibilità di accesso all’uranio belga per tutta l’attività atomica europea. Ma, sopratutto, si reagisce al fatto che il Belgio si è, con questo trattato, impegnato a non dividere con nessuno i segreti atomici che potrebbero essergli comunicati in base all’accordo stesso. Come è possibile, si dice qui, e anche con una certa logica, far partecipare ad una collaborazione atomica europea un paese vincolato da un accordo di segreto con un paese al di fuori di questo accordo? E ci si domanda, sopratutto negli ambienti europeistici, che giuoco fa Spaak il quale da una parte, fa dello zelo per una «relance» europea nel campo atomico e, dall’altra, firma un accordo contrario allo spirito della sua proposta.

Le obiezioni francesi sono indiscutibilmente giustificate: tuttavia, la violenza della reazione mi fa sorgere un po’ il dubbio che il Belgio, oltre che la ragione, abbia fornito un pretesto per far macchina indietro, anche sul settore atomico, in materia di integrazione.

I francesi hanno, bisogna riconoscerlo, lavorato molto più di tutti gli altri continentali in materia nucleare: ma hanno lavorato in silenzio. È solo relativamente di recente che l’anticipo atomico della Francia è diventato di pubblica ragione, ed un motivo di fierezza nazionale.

È una materia su cui è difficile pronunciarsi: il parere concorde è però che questo anticipo realmente ci sia, anche se è forse un po’ esagerato il dire che si tratta di un anticipo di quattro o cinque anni. Gli ambienti scientifici francesi aggiungono che, in una materia come questa, un anticipo anche di cinque anni non significa granché: ma non è lo stesso per. l’opinione pubblica. Tanto più che di questo successo atomico si sono valsi e si valgono tutti gli elementi anticedisti, come di un argomento per controbattere i loro avversari che sostengono adesso che, silurando la C.E.D., ci si è messi sulle spalle una Wehrmacht autonoma. Dovrebbe essere la superiorità atomica a rimettere la Francia in una posizione di vantaggio nei riguardi della Germania.

Slogan primitivo, e falso, come la maggior parte degli slogans nazionalisti, ma che prende facilmente in un paese, e sopratutto in un mondo parlamentare, malato e nostalgico di prestigio, ma incapace di procurarsi questo prestigio con una azione di governo seguita e seria.

Parlandomi dell’integrazione atomica, un illustre europeista francese mi diceva, qualche tempo addietro: «Si tratta di vedere adesso se la Francia saprà resistere all’illusione di potersi chiudere in questa sua superiorità». Temo che i fatti comincino a dimostrare che la Francia non sa resistere a questa illusione.

Lo stesso europeista Gaillard, qualche giorno addietro, quando ancora riteneva di andare lui a Bruxelles, mi ammetteva che sarebbe stato molto difficile fare accettare all’opinione pubblica francese un sacrificio dell’anticipo atomico francese sull’altare europeo, quando gli eventuali partners di questo pool non portano niente (alludeva allora al Belgio).

A questa reazione interna francese, si deve sommare secondo me, anche la reazione negativa inglese. Vitetti ha già riferito a V.E. la reazione negativa inglese alle decisioni di Messina manifestatesi senza molti veli in seno all’O.E.C.E.: in Francia, tutte le persone notoriamente legate all’Inghilterra, che non sono poche, hanno tutte reagito e subito, come nel caso della C.E.D. In questi ambienti, l’azione Benelux viene definita come un tentativo di uccidere l’U.E.O.: opinione questa in cui sono confermati dall’atteggiamento di tutti gli europeisti francesi i quali, come Beyen, non sognano altro che di uccidere l’U.E.O.

Non intendo qui entrare nel merito della questione: ritengo però mio dovere di ricordare a V.E. che, attualmente, per un rilancio europeo, su basi comunque sopranazionali, non c’è accordo nel Governo francese e non c’è maggioranza nel Parlamento francese. Questa maggioranza ci potrà essere forse un giorno, dopo le prossime elezioni, ma oggi non c’è.

L’opinione francese, sia nel campo scienziati, sia nel campo politico, per quello che concerne la parte atomica, sembra adesso orientata verso «accordi concreti» non bene precisati; ma è contraria a qualsiasi forma di costituzionalizzazione e vuole comunque estendersi anche al mondo scandinavo ed alla Svizzera. Credo che, in sostanza, anche su questo argomento, i francesi non sanno che cosa vogliono: esitano fra dichiararsi una specie di primo fra i piccoli atomici; o di ultimo fra i grandi: da una parte, non dispiacerebbe loro di fare con i continentali qualche forma di pool centrato intorno alla Francia, dall’altra sperano – credo – di poter un giorno avere dagli americani e dagli inglesi qualche informazione «classified» e vorrebbero poter mantenere il segreto di fronte ai terzi. Non sono del resto il solo paese sulla terra che non sa bene quello che vuole.

In generale, quindi, ed in particolare per le cose atomiche, la nostra Delegazione a Bruxelles bisognerebbe non si dimenticasse che la Francia continua a far parte dei Sei che vogliono l’Europa integrata, solo come ricordo dell’epoca in cui Schuman era Ministro degli Esteri; ed in cui i suoi compagni Ministri degli Esteri, e forse anche lui stesso, credevano che il Parlamento francese lo seguisse. Ma che in realtà essa è altrettanto sopranazionale quanto gli inglesi, almeno, ripeto, fino alle prossime elezioni che possono, ma non necessariamente debbono, cambiare la situazione interna francese.

Per cui se ci si contenta di cercare la collaborazione in forme non molto differenti da quello che si pratica in seno all’O.E.C.E., a qualche risultato la Conferenza di Bruxelles potrà arrivare: se ci si ostina invece a perseguire il miraggio sopranazionale non si farà proprio niente.

Detto questo in materia atomica, i francesi, a tutti i livelli ed anche in questi ultimi giorni, hanno ripetuto che con noi sono disposti a collaborare quando vogliamo.

Sono stato ben lieto di sapere dal Prof. Giordani che anche. noi in questa materia, abbiamo cominciato a fare qualche cosa: ed è evidente che, anche in questo campo, la sola maniera di contare è quella di fare: mi auguro quindi soltanto, nell’interesse del paese, che si diano a queste nostre attività i mezzi nazionali indispensabili per riprendere il molto tempo perduto. Con questa premessa, se una certa collaborazione con la Francia può essere utile a farci risparmiare tempo e danari, credo la possiamo avere.

I francesi sanno che in materia di applicazione pratica siamo considerevolmente indietro a loro: ritengono però – questo mi è stato detto a tutti i livelli politici e scientifici – che noi abbiamo in Italia della gente meglio preparata di loro per affrontare certi problemi scientifici. Sopratutto ritengono che noi possiamo un giorno, far tornare in Europa qualcuno del collaboratori di Fermi. È questa la contropartita che noi abbiamo nei riguardi dei francesi.

Perché V.E. abbia presenti tutti gli aspetti di questo problema, aggiungo che tutto quello che è atomico è qui saldamente nelle mani dello Stato, e sono tutti d’accordo nel volere che lo resti. Quindi, almeno allo stadio attuale, e per un lungo periodo, una collaborazione italo-francese in materia atomica non è possibile, come è stato accennato qualche volta da parte nostra, sotto forma di collaborazione fra industrie. Gli accordi debbono essere presi sul piano governativo.

Indipendentemente quindi da quelli che saranno i risultati della Conferenza di Bruxelles, mi sarebbe utile sapere quali sono le intenzioni del Governo italiano in materia di collaborazione italo-francese in questo campo. Le avances fattemi sono tante che qualche cosa bisognerà pure rispondere.

Secondo me, noi non dovremmo né buttarci a pesce in una collaborazione integrale che, probabilmente, sarebbe anche irrealizzabile, né fare troppo gli schizzinosi: andare avanti praticamente collaborando su cose concrete, estendendo la collaborazione là dove essa, oltre ad essere utile, è anche possibile; non allarmare i francesi in partenza, domandando loro troppo; procedere empiricamente; vedere cosa tutto questo può dare, in fatto, e regolarsi a mano a mano che la politica atomica nostra e la situazione generale si verranno sviluppando.

Le prego di gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

Quaroni


1 T. 10029/470 con il quale Quaroni aveva comunicato l’intenzione francese di designare a Capo della propria Delegazione non un uomo politico ma un alto funzionario.

51

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 10269/228. Parigi, 30 giugno 1955, ore 15,13 (perv. ore 19,30).

Oggetto: Commissione speciale energia.

Mio 2201.

Consiglio ha approvato ieri costituzione Commissione esperti per la cooperazione economica europea nel settore dell’energia.

Commissione sarà costituita da non più di sette membri altamente qualificati e particolarmente competenti negli studi dei problemi generali dell’energia in tutte le sue forme. I suoi componenti saranno scelti dal Consiglio su designazione paesi membri e Alta Autorità C.E.C.A. Assisteranno ai lavori in qualità osservatori Rappresentanti Stati membri e C.E.C.A., e potranno essere invitati Presidenti o Vice Presidenti dei Comitati verticali che si occupano di questioni energia.


1 Con T. 9935/220 del 24 giugno Vitetti aveva informato sulle discussioni nel Consiglio dell’O.E.C.E. circa la composizione e il mandato della Commissione speciale energia.

52

LA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E.AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 10379/2311. Parigi, 1° luglio 1955, ore 21,37 (perv. ore 23,20).

Oggetto: Comitato Bruxelles.

Riferimento mio 2232.

Delegato olandese Kruisheer ha indicato al Consiglio O.E.C.E. idee Ministri Spaak e Beyen circa veste e modo partecipazione Segretariato O.E.C.E. ai lavori Comitato Bruxelles. A loro parere Sergent o i suoi sostituti avranno pieno accesso al Comitato, parteciperanno attivamente ai suoi lavori anche per rappresentare idee O.E.C.E., e quindi potranno riferire al Consiglio. Proposta in tal senso verrà sottoposta da Spaak il 9 luglio3; dopo di che Segretariato O.E.C.E. riceverà invito ufficiale.

Ellis-Rees si è dichiarato soddisfatto sottolineare che membri Segretariato O.E.C.E. a Bruxelles dovranno essere partecipanti attivi e rappresentare pienamente interessi Organizzazione. Valery ha preso occasione per mettere rilievo che Bruxelles non deve essere intesa come creazione di un contraltare all’O.E.C.E., ma solo come tentativo di alcuni paesi di poter spingersi più lontano di quanto restanti paesi non siano disposti a fare.


1 Il documento non è firmato.


2 T. 9957/223 del 24 giugno con cui Vitetti aveva riferito circa le posizioni e gli orientamenti delle Delegazioni rispetto alla richiesta fatta al Segretariato O.E.C.E. di partecipare ai lavori del Comitato di Bruxelles.


3 Vedi D. 57, Allegato I.

53

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

Appunto riservato1.

RIUNIONE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRIDELL’UNIONE EUROPEA OCCIDENTALE (U.E.O.)

E DEL COMITATO DEI MINISTRI DEL CONSIGLIO D’EUROPA

(Strasburgo, 4-5 luglio 1955)

La circostanza che il Consiglio d’Europa avesse preordinato per i primi giorni di luglio la riunione estiva del suo Comitato dei Ministri ha permesso che nelle stesse date, a Strasburgo, potesse adunarsi, a sua volta, il Consiglio Direttivo, a livello Ministri, dell’U.E.O.: come è noto, infatti, tutti e sette i paesi di questa ultima organizzazione internazionale sono membri del Consiglio d’Europa e si ha quindi una identità personale, in questa doppia rappresentanza, dei loro Ministri degli Affari Esteri.

Ad ambedue le riunioni, rispettivamente dirette, quella dell’U.E.O., dal Ministro degli Affari Esteri del Belgio, Spaak, e l’altra dal Ministro degli Affari Esteri di Islanda, Gudmundsson (per la prima volta, nella storia, un rappresentante di questo piccolo paese europeo ha presieduto un’importante riunione internazionale) l’Italia è stata rappresentata dal Sottosegretario per gli Affari Esteri, On. Benvenuti, a ciò delegato dal Ministro degli Affari Esteri, On. Martino.

Questa «settimana di Strasburgo» ha assunto un notevole significato sia per il numero e la qualità delle personalità europee convenute nella capitale di Alsazia, sia perché, nel suo corso, ha trovato la sua nascita effettiva una nuova Assemblea parlamentare internazionale, quella dell’U.E.O.2, che viene ora ad unirsi alle sue due sorelle più anziane, l’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e l’Assemblea Comune della C.E.C.A.: tutte e tre formate, in buona parte, come è noto, dagli stessi Rappresentanti dei Parlamenti dei paesi membri.

Così a numerosi Ministri degli Affari Esteri, tra i quali Pinay, Macmillan, Spaak, Beyen, Bech, Stephanopoulos, Unden, ecc. e, per la prima volta, von Brentano, si sono uniti numerosi parlamentari europei, tra i quali Guy Mollet, de Menthon, Morrison, Lord Layton, Boggiano Pico, Bettiol, Montini, ecc., i quali tutti si sono adoperati per dare, si ripete, alla «settimana di Strasburgo» rilievo e significato. E ancora una volta si è potuto constatare che questo tipo di incontri, anche se, per motivi che verranno in seguito esposti, non sempre riesce a raggiungere immediati e positivi risultati, pur tuttavia serve non poco a favorire contatti e conversazioni indubbiamente utili al fine di una maggiore cooperazione internazionale.

La riunione del Comitato dei Ministri dell’U.E.O. si è innanzitutto orientata, a norma del suo preordinato ordine del giorno e secondo quanto era previsto, su due argomenti che, almeno per il momento, appaiono essere alla base di questo primo periodo di attività del nuovo organismo: l’organizzazione dell’Agenzia di Controllo degli effettivi e degli armamenti, ed il problema del referendum per il territorio della Saar. Così il Direttore dell’Agenzia stessa, di nomina recentissima, Ammiraglio Ferreri, ha potuto attirare l’attenzione dei Ministri sui primi passi e contatti da lui compiuti presso i Governi interessati per l’assunzione del personale dirigente e per l’installazione dell’organismo a lui affidato. Sull’argomento si è notato una qualche tendenza dei Ministri stessi a preferire il concetto della qualità a quello del numero, nonché, quindi, a non appesantire, con soverchie e dispendiose assunzioni di personale, l’Agenzia che avrà però, secondo quanto, del resto, venne fissato negli Accordi di Parigi, oltre il Direttore, un Direttore Aggiunto e tre Capi Sezione.

Di maggiore ampiezza è stata la discussione in merito alla preparazione del primo referendum sulla Saar, sulla quale ha direttamente e personalmente riferito il parlamentare belga Dehousse, nominato Presidente della apposita Commissione internazionale formata dai Rappresentanti, oltre che del Belgio, del Regno Unito, dell’Italia (Ministro de Paolis), dei Paesi Bassi e del Lussemburgo. Questa Commissione ha già avuto, nei giorni scorsi, un primo contatto con il Governo sarrese per porre in chiaro ed approvare i testi definitivi delle leggi e dei regolamenti da esso Governo emanati in vista di quel referendum. I Ministri, a loro volta, nel dare il loro consenso all’azione iniziata, hanno stabilito di convocare nuovamente alla loro presenza i membri della Commissione, a Parigi, in occasione di una nuova straordinaria seduta del Comitato dei Ministri, prevista per il 15 luglio, e ciò per poter dare il loro assenso finale in modo che possa essere definitivamente fissata la data per il referendum, data che, come è noto, deve seguire di tre mesi il vero e proprio inizio dell’azione «in loco» della Commissione internazionale3.

Ma di ben più notevole interesse è stato il seguito della discussione – sempre in tema di Saar – costituito dalla richiesta dei Paesi Bassi intesa ad ottenere da parte di tutti i paesi dell’U.E.O. un nuovo documento internazionale che potrebbe essere o un vero e proprio protocollo aggiuntivo al Trattato di Parigi, oppure una dichiarazione esplicativa destinata a permettere giuridicamente ed ufficialmente l’assunzione, da parte del Consiglio Direttivo dell’U.E.O., dei compiti e delle responsabilità, per la Saar, indicati nell’Accordo franco-tedesco dell’ottobre 19554. Secondo il Governo dell’Aja, infatti – e questo potrebbe creare in Olanda notevoli difficoltà parlamentari – manca tuttora, si ripete, una certa base giuridica a tutta la materia considerata. Naturalmente ciascun paese ha la propria fisionomia costituzionale e diverse sono le responsabilità dei singoli Governi nei confronti dei propri Parlamenti in tema di ratifica di atti internazionali: gli altri Ministri quindi, nel rispondere al Signor Beyen, hanno fatto presente come essi, chi più chi meno, vengano a trovarsi in situazione diversa. Si è però deciso di porre allo studio un breve documento che probabilmente non comporterà la necessità di nuove discussioni parlamentari, ma permetterà allo stesso tempo di continuare nell’azione, già intrapresa dall’U.E.O., in merito al referendum ed al futuro assetto del territorio sarrese.

Come si vede si tratta qui, data anche la necessità di affrettare i tempi e di evitare nuovi dissensi e nuovi incidenti tra Francia e Germania sul delicato argomento, di questione di alta importanza alla quale il Comitato dei Ministri intende dedicare tutta la sua attenzione.

L’ultima parte dell’ordine del giorno conteneva un chiaro accenno alle questioni politiche di interesse comune: e ciò per iniziativa italiana avanzata, a Londra, in seno al Comitato Permanente, dall’Ambasciatore Zoppi, il quale, su istruzioni di Roma, aveva messo in rilievo come i Ministri degli Esteri dei sette paesi dell’U.E.O. non potessero, alla vigilia di riunioni internazionali di tanto grande importanza, non avere tra loro uno scambio di idee in merito ad una eventuale linea di azione comune.

Così è stato possibile al Rappresentante italiano, On. Benvenuti, compiere un intervento di indubbio rilievo, destinato ad essere ripreso in discussione, secondo i chiari affidamenti dati tanto dal Ministro degli Affari Esteri di Francia, Pinay, quanto da quello del Regno Unito, Macmillan, in occasione della nuova già accennata riunione di Parigi del 15 luglio.

In questo intervento il nostro Rappresentante si è, tra l’altro, così, testualmente espresso:

«L’U.E.O. rappresenta un’intesa regionale facente parte di un patto più vasto, egualmente regionale, il Patto atlantico. Per tale motivo, parimenti all’idea, affermatasi quotidianamente, per cui in nessun caso l’Alleanza atlantica potrebbe venire sacrificata nel corso dei negoziati con Mosca, dovremmo sempre ricordarci che non è possibile rinunciare all’U.E.O. che costituisce un complemento utile e valido della N.A.T.O. Le due organizzazioni internazionali appaiono quali due circoli distinti ma non separati dei quali il più piccolo è parte integrante del maggiore. Così qualsiasi accomodamento tra l’Est e l’Ovest che comportasse un indebolimento dell’U.E.O. non mancherebbe, contemporaneamente, di indebolire la N.A.T.O.».

Da tutto ciò viene che un sistema di sicurezza ben costituito dovrebbe essere concepito in maniera da salvaguardare gli interessi di tutti i nostri paesi. «Conseguentemente – ha aggiunto il Rappresentante italiano – vorrei sottolineare, fin da questo momento, che questi nostri stessi paesi dovrebbero partecipare ai lavori di qualsiasi futura conferenza o commissione di esperti che avesse il mandato di studiare i problemi della sicurezza collettiva».

Del resto, egli ha concluso, la eventualità che il sistema di controllo previsto in seno all’U.E.O. possa essere esteso al di là della cortina di ferro, in modo che quanto è stato oggi stipulato tra le Nazioni occidentali sia anche applicato domani tra l’Oriente e l’Occidente, costituisce un nuovo incoraggiamento per organizzare, con la più grande cura ed in ogni minimo dettaglio, il meccanismo atto a funzionare con perfetta efficacia e che possa così, nel caso, servire quale modello.

A questa chiara presa di posizione atta a costituire anche l’indicazione politica di un certo comune impegno perché, qualunque cosa possa avvenire nel corso dei prossimi contatti tra Est ed Ovest, l’U.E.O. non sia senz’altro sacrificata sull’altare dei tentativi per una distensione tra i due blocchi, hanno risposto, come si è sopra accennato, il Signor Pinay e il Signor Macmillan riconoscendo l’importanza dell’argomento e mettendo, al tempo stesso, in rilievo come, già in questa prima fase di contatti pre-ginevrini, gli alleati occidentali si stiano adoperando per «tenere nel gioco» gli Stati loro associati nella N.A.T.O. e nell’U.E.O.: buone disposizioni che dovrebbero trovare nuova e più definitiva applicazione nel corso degli incontri di Parigi del 15 e 16 luglio5.

Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha, a sua volta, anche se affrettatamente, preso in esame, sulla base di un ordine del giorno alquanto ampio, alcuni dei problemi quali la trattazione del rapporto presentato dal Rappresentante speciale per i rifugiati nazionali e per gli eccedenti di popolazione, Sig. Schneiter – attualmente Presidente dell’Assemblea Nazionale francese – e la futura «funzione» del Consiglio d’Europa, che si trovano attualmente sul suo tappeto.

Circa il rapporto Schneiter, che, come è noto, ha trovato nell’Italia uno dei suoi più convinti assertori e difensori, si è constatato una volta di più come esista e sussista, in realtà, il conflitto tra i paesi di emigrazione e quelli che vedono tuttora con sospetto i tentativi intesi a dare ampiezza e realizzazione ai progetti destinati a facilitare il libero scambio della mano d’opera. Così, su questo rapporto, mentre taluni paesi si sono mostrati propensi ad assumere nuovi impegni per la creazione di un fondo speciale destinato a facilitare il finanziamento delle iniziative europee in argomento, altri, e tra questi il Regno Unito, si sono mostrati soverchiamente preoccupati per la creazione e l’accavallamento di nuovi organismi che, secondo le critiche avanzate, altro non farebbero che indebolire l’azione degli organismi già esistenti: critiche alle quali lo stesso Sig. Schneiter ha, con notevole energia, risposto per porre in rilievo come, in realtà, oggi il problema dei rifugiati nazionali non trovi l’organismo internazionale al quale far capo.

In assenza, per il momento, di una definitiva decisione sull’interessante argomento, è lecito prevedere, in un prossimo avvenire, nuove prese di contatto intese a facilitare in qualche modo l’azione del Rappresentante speciale, il quale mostra di possedere, in una non facile atmosfera, una forza di carattere ed una volontà non comuni.

Circa la «funzione» del Consiglio d’Europa – questione veramente fondamentale per tutto l’avvenire dell’organizzazione di Strasburgo – si è nuovamente rivelata la preoccupazione dei paesi minori e periferici di rimanere fuori del gioco di quegli Stati europei che, specialmente oggi attraverso l’U.E.O. ed il progettato «rilancio europeista», si mostrano propensi a maggiori e più profonde cooperazioni ed integrazioni tra loro. Così alle parole del Ministro degli Esteri di Grecia, Stephanopoulos, che fin dallo scorso dicembre ebbe ad esporre un tale stato d’animo, ha fatto seguito questa volta una lunga e completa esposizione del Ministro degli Esteri di Norvegia, Lange, rivolta – in definitiva – a far convergere su Strasburgo e sul Consiglio d’Europa la nuova prevista fase di attività europea. Naturalmente, non sono mancate le repliche da parte degli altri e si è cercato, di comune accordo, di studiare i mezzi migliori per dare nuova vita ed energia anche al Consiglio d’Europa: e ciò, sopratutto, per venire incontro alle indubbie insofferenze ed agli interrogativi dei deputati dell’Assemblea Consultiva, i quali si sentono oggi destinati principalmente a studiare, senza fine, questioni di procedura anziché problemi di fondo quali quelli che si trovano attualmente sul tappeto internazionale.

Altra chiara eco, del resto, di questa situazione di disagio, si è avuta in seno al Comitato Misto – formato, come è noto, in numero paritetico, da Ministri degli Affari Esteri e deputati all’Assemblea, e presieduto dal Presidente dell’Assemblea, Guy Mollet –, che ha anch’esso preso in esame questo basilare problema della «funzione» del Consiglio d’Europa. Tra l’altro taluni di questi deputati non hanno mancato di porre in rilievo come, ad esempio, i membri dell’Assemblea si siano trovati nella condizione di dover apprendere dalla pubblica stampa e non da comunicazioni dei Ministri, l’andamento e le risoluzioni della recente Conferenza di Messina nella quale, com’è noto, è stato dato l’avvio, in una cornice di rapporti economici, a quel «rilancio europeista» al quale si è sopra accennato.

Né soltanto questi sono stati i «cahiers de doléances» di taluni dei deputati ai quali non dovrebbero giungere neppure troppo soddisfacenti le dichiarazioni dello stesso Spaak, peraltro antico ed autorevole Presidente dell’Assemblea, e di altri Ministri nelle quali si è in certo modo fatto accenno alla circostanza che il Consiglio d’Europa dovrebbe sopratutto prendere in esame le questioni relative alla «cooperazione» europea lasciando praticamente ad altri enti internazionali la trattazione dei veri e propri problemi «politici»: distinzione che, effettivamente, è apparsa alquanto sottile e di non facile applicazione.

Sull’argomento, infine, e allo scopo di dare un qualche concreto seguito alla interessante discussione, si è portata avanti l’iniziativa di affidare ad una personalità di rilievo, estranea al Consiglio d’Europa (e si è con insistenza ripetuto il nome dell’antico Segretario Generale dell’O.E.C.E., Marjolin) il compito di compilare nei prossimi mesi un rapporto inteso a porre in evidenza tutti i risultati sino ad oggi raggiunti, in tema di cooperazione europea, nei differenti enti internazionali che di essa si occupano: rapporto che, in seguito, verrà esaminato dalla Assemblea Consultiva, in accordo con il Comitato dei Ministri, perché si possa addivenire alla formulazione ed alla discussione dei mezzi migliori per dare nuove e più concrete forme alla cooperazione tra gli Stati europei.

Un’altra battuta, indubbiamente sgradevole, e che non ha costituito certamente un esempio della buona volontà e della reciproca comprensione dei Governi dei paesi membri del Consiglio, è stata costituita dalla polemica sorta per la nomina del nuovo Segretario Generale Aggiunto dell’Organizzazione, a seguito delle dimissioni presentate dall’inglese Lincoln: polemica che, del resto, com’è noto, aveva già trovato il suo inizio allorché, al momento delle dimissioni del Vice Segretario, di nazionalità italiana, Caracciolo, si era fatta avanti la tesi della necessità di una rotazione, per nazionalità, nelle cariche direttive del Consiglio.

Questa volta al nome di un nuovo candidato di nazionalità britannica si erano affiancati quelli di un tedesco, di un greco e di un irlandese. Ma alla fine la candidatura britannica, per quanto ciò in realtà abbia costituito un duro colpo per la tesi della rotazione, ha finito per la terza volta per prevalere in seno al Comitato dei Ministri, con un certo strascico di critiche e di dissensi. Toccherà ora all’Assemblea Consultiva, a norma della consuetudine entrata in vigore, di dire la sua definitiva parola sull’argomento e tutto fa prevedere qualche altra battuta agrodolce nei riguardi di quello spirito di reciproca comprensione che dovrebbe essere una delle maggiori caratteristiche degli organismi internazionali.

Alla fine della riunione, però, tutti sono apparsi convinti della necessità di permettere al Comitato dei Ministri di terminare la sua sessione in un’atmosfera atta a permettere un nuovo passo in avanti, ritenuto assolutamente necessario, nel quadro della cooperazione tra tutti gli organi del Consiglio d’Europa: e così è stato deciso che, nel corso dei prossimi giorni, l’Assemblea Consultiva possa essere posta al corrente, a mezzo di appositi interventi, dai Ministri Pinay, Macmillan e Spaak, sugli ultimi sviluppi della politica internazionale, con particolare riguardo, anche, all’avviamento dell’U.E.O.

Alla breve esposizione dei lavori svoltisi in questi giorni a Strasburgo appare utile far seguire qualche considerazione e cioè:

1) L’U.E.O. appare aver trovato, per il momento, il suo «ubi consistam» ed il suo campo di lavoro sopratutto nei problemi relativi all’organizzazione del controllo degli armamenti tra i paesi occidentali e nella delicata trattazione della questione della Saar. Ciò per altro non impedisce che, come ha dimostrato l’attuale sessione e come taluni Ministeri degli Esteri appaiono in fondo disposti ad accettare, (occorre qui, ad esempio, non dimenticare che nell’attuale Quai d’Orsay, tanto il Segretario Generale Massigli, quanto il Direttore politico Croüy Chanel hanno per oltre cinque anni lavorato a Londra in seno all’antico Consiglio dell’organizzazione del Trattato di Bruxelles, oggi trasformatasi in U.E.O.) anche nell’U.E.O. le questioni politiche possano trovare ad un dato momento il loro tappeto di discussione.

2) Il Consiglio d’Europa appare aver raggiunto effettivamente – secondo la frase usata in questi giorni dal londinese «Times» – la sua «età critica»: si dovrà vedere cioè ora se esso sia destinato ad anemizzarsi oppure a trovare nuova linfa vitale. Non si può negare, infatti, che la creazione di sempre nuovi enti ed organismi internazionali, e persino di caratteristica del tutto europea quale l’U.E.O., non è destinata a rinforzare Strasburgo. Se è vero che in certo modo si tratta di una «scatola cinese» nella quale gli organismi, per numero di partecipanti, minori, sono destinati ad essere rinchiusi nei maggiori, è altrettanto vero che questi maggiori trovano, proprio nella loro costituzione, ragione di maggiore debolezza: caratteristica ad esempio la sempre attuale permanente riserva della Svezia nel Consiglio d’Europa, Svezia che, come si è visto anche in questi giorni, non ammette che questioni di carattere militare, indubbio appannaggio della U.E.O., possano essere toccate e trattate a Strasburgo.

3) Anche la stessa organizzazione «in loco» (Strasburgo, come sede, non è né Parigi né Londra né New York) comincia a dare, dopo sei anni, qualche segno di insofferenza e di nervosità, come si è visto nel suindicato «caso Lincoln» e nel fatto che, oramai, i1 Segretariato Generale dell’Organizzazione intende sempre più difendersi contro le immissioni di personale dall’esterno.

4) Cionondimeno, il fatto che a Strasburgo convengano – unico esempio in Europa –, più volte nel corso di un anno, esponenti autorevoli di tutti i Parlamenti europei, costituisce un elemento di cui non vanno sottovalutati né il significato né l’importanza. Si può cioè, a Strasburgo – e si potrebbe ancora di più nell’avvenire – creare un effettivo collegamento, in tema di trattazione di problemi di indubbio valore europeo, tra i Parlamenti nazionali e quelli internazionali, in modo da dare avviamento ad una maggiore reciproca conoscenza e comprensione.

5) La critica, apparsa evidente in questi giorni a Strasburgo, specialmente da parte di rappresentanti di taluni paesi, di veder sorgere e svilupparsi troppi enti e troppi organismi internazionali destinati tutti, con un accavallarsi di Comitati e Gruppi di lavoro, a trattare questioni più o meno similari, è indubbiamente giusta e giustificata. Ma occorre forse pensare che un tale sistema, anche se poco efficiente nelle contingenze del momento, può rappresentare una utile valvola per la quale trovano facile ed innocua esplosione non pochi malumori ed incomprensioni tra i paesi europei. E ciò, al fine del mantenimento e della conservazione di un periodo di favorevole atmosfera nel nostro continente, costituisce un elemento ed un risultato del tutto apprezzabili.


1 Il documento, datato Roma 6 luglio, fu trasmesso da Magistrati con L. riservata 1037, pari data, a Tassoni Estense.


2 Vedi D. 61.


3 Il 23 luglio venne fissata la data per il referendum nella Saar al 23 ottobre 1955.


4 Si riferisce all’accordo firmato a Parigi il 23 ottobre 1954.


5 Ci si riferisce agli incontri fra i leader americani, britannici e francesi in vista del vertice di Ginevra che si sarebbe aperto il 18 luglio.

54

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 10685/364. Lussemburgo, 6 luglio 1955, ore 17 (perv. ore 19,50).

Oggetto: Integrazione europea.

In relazione prossimo inizio lavori Comitato «rilancio» Governo americano ha telegrafato a Ambasciata Bruxelles e a sua Delegazione qui che esso rimane favorevole all’integrazione europea e che vede con favore anche lo studio per la creazione della Comunità europea per l’energia atomica pacifica. In relazione a ciò il Governo americano tenderebbe soprassedere all’accordo bilaterale con la Germania previsto in conversazione del 10 giugno, preferendo eventualmente un accordo più vasto con la Comunità.

Mi viene spiegato qui dalla Delegazione americana che tale atteggiamento ha importanza perché significherebbe in Governo americano un’affermazione di tendenze europeistiche nei riguardi delle tendenze di mantenimento bilaterale degli accordi per l’energia atomica finora prevalenti per preoccupazione conservazione segreto.

55

IL CAPO DELLA DELEGAZIONEPRESSO IL COMITATO INTERGOVERNATIVO DI BRUXELLES, BENVENUTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 10970/1281. Bruxelles, 9 luglio 1955 (perv. ore 9,10 dell’11)2.

Oggetto: Riunione Bruxelles.

Comitato Intergovernativo creato da Conferenza Messina3 ha tenuto oggi sua prima riunione sotto presidenza Spaak. Delegazione francese era diretta da Gaillard, tedesca da Hallstein, olandese da Verrijn Stuart, britannica da Bretherton del Board of Trade.

È stata decisa istituzione di un «Comitato Direttivo» composto da Capi Delegazione, nonché di quattro Commissioni, ciascuna delle quali si suddividerà eventualmente in Sottocommissioni. Presidenza della Commissione mercato comune, investimenti e questioni sociali sarà assicurata dall’Olanda; della Commissione trasporti dall’Italia; dell’energia classica dalla Germania; dell’energia nucleare dalla Francia. È stato fin da ora deciso che l’Italia avrà anche presidenza Sottocommissione investimenti della Commissione mercato comune4.

Comitato Direttivo tornerà a riunirsi lunedì 185con partecipazione Presidenti quattro Commissioni per esaminare proposte che varie Delegazioni vorranno fare per messa in atto decisioni Messina. Commissioni cominceranno loro lavori a partire da mercoledì 20.

È stato richiesto che nominativo del Presidente Commissione trasporti sia notificato qui a Bruxelles entro lunedì 11 c.m. Pregherei interpellare Ministero Trasporti per tale designazione, tenendo presente che Presidente riveste in principio funzioni internazionali e che pertanto potrà essere persona diversa da Delegato italiano a detta Commissione6.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Manca l’indicazione dell’ora di partenza.


3 Vedi D. 43.


4 Vedi D. 57, Allegato I.


5 Vedi D. 62.


6 La nomina fu notificata a Bruxelles da Carrobio di Carrobio con T. 7613/91 del 15 luglio. La persona designata a presiedere il Comitato trasporti e lavori pubblici era il Prof. Nicola Laloni, Vice Direttore Generale del Ministero dei Trasporti.

56

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZAPRESSO IL CONSIGLIO D’EUROPA, CITTADINI CESI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. 6501. Strasburgo, 10 luglio 1955.

Signor Ministro,

dal 5 al 9 luglio si è riunita l’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa.

Questa prima parte della sessione ordinaria del 1955, si è tenuta con ritardo rispetto alla data ormai tradizionale del 20 maggio, per dar soddisfazione al desiderio dei parlamentari britannici di non far coincidere i lavori di Strasburgo con il periodo delle elezioni generali in Gran Bretagna.

La riunione dell’Assemblea Consultiva ha coinciso, a Strasburgo, con la XVI sessione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (4-5 luglio), con la riunione dei Ministri della U.E.O. (4 luglio)2, e con la costituzione della nuova Assemblea parlamentare della U.E.O.3, intercalatasi nel corso stesso dei lavori dell’Assemblea Consultiva.

Questo insieme di incontri ha conferito un particolare rilievo alla «settimana europea» di Strasburgo.

I Ministri degli Affari Esteri britannico, francese, tedesco, olandese, belga, lussemburghese, greco, norvegese e svedese, oltre al Sottosegretario Benvenuti, hanno presenziato alle sedute dell’Assemblea Consultiva dedicate alla discussione dei problemi politici. I Signori Macmillan, Pinay, von Brentano e Lange sono anche intervenuti nella discussione, pronunciando discorsi di notevole portata. Una simile partecipazione di personalità di Governo, non ha avuto alcun riscontro nelle sessioni degli ultimi anni.

All’inizio di questa estate, l’Assemblea Consultiva si è trovata di fronte ad avvenimenti che hanno marcato la situazione internazionale in Europa e nel mondo: la costituzione della Unione Europea Occidentale, in sostituzione di quella parte della politica cedista che mirava in special modo alla soluzione del problema del riarmo tedesco e della difesa europea; la crisi dell’«europeismo sopranazionale», determinata dal rigetto della C.E.D.; i tentativi di «rilancio» europeo, che si profilano su una linea incerta fra la formula della integrazione (C.E.C.A.), e la formula della cooperazione (Consiglio d’Europa e O.E.C.E.); ed, infine, la distensione mondiale nella imminenza della Conferenza di Ginevra.

Tutti questi avvenimenti non potevano mancare di riflettersi nell’atmosfera di Strasburgo. La eccezionale fluidità della situazione internazionale si è tradotta in un senso palese di incertezza da parte dell’Assemblea Consultiva.

E in quanto questa può considerarsi l’organo parlamentare europeista più rappresentativo, l’incertezza dell’Assemblea denota esigenze di revisione e di aggiornamenti, che vanno facendosi strada poco a poco tra gli assertori della idea europea; tendenze a ripensare il significato politico di formule fin qui correnti nel vocabolario europeistico, «sopranazionalità», «integrazione», ecc.; in una parola, la necessità di fare il punto sia per quanto riguarda l’ulteriore sviluppo della politica a «sei» o a «sette», che l’avvenire del Consiglio d’Europa.

L’accusa che si suole muovere all’Assemblea Consultiva, di essere troppo «accademica», ed incline a teoricizzare i problemi, non si giustificherebbe dai dibattiti di questa sessione. Essa ha rivelato, al contrario, un notevole senso di realismo, registrando la complessità della situazione attuale in relazione alla politica europeista, sia nei suoi riflessi interni (processo di unificazione europea) che nei suoi riflessi esterni (rapporti con i paesi d’oltre cortina).

La presenza di dieci Ministri degli Esteri al dibattito politico del 6 luglio, ha suffragato la tesi che l’Assemblea rappresenti il fòro ufficiale della opinione parlamentare europea. Ancora maggiore è stato il significato di tale presenza alla vigilia dell’incontro di Ginevra, al quale avrebbero partecipato due dei Ministri comparsi davanti all’Assemblea.

Tanto il Signor Pinay che il Signor Macmillan hanno dichiarato che essi contavano di andare a Ginevra come «mandatari» dei paesi europei rappresentati al Consiglio.

Il Ministro degli Esteri francese ha completato il suo pensiero aggiungendo, in una frase molto felice ripresa dai giornali, che le potenze occidentali non avevano l’intenzione di fare a Ginevra «ni un marchandage de l’Europe ni un marchandage sur le dos de l’Europe».

La frase ha dato lo spunto a numerosi parlamentari, fra i quali l’On. Montini, di rievocare Yalta e fare osservare come non sia più oggi il tempo dei regolamenti europei concordati fra i «grandi» all’insaputa degli interessati.

Il Signor Pinay è passato successivamente a trattare la questione della organizzazione dell’Europa, rilevando, per quanto concerne l’ultima istituzione venuta alla luce, l’U.E.O., come gli scopi principali della medesima fossero quelli di concatenare gli sforzi di difesa dei vari paesi partecipanti, di stabilire una produzione in comune dei mezzi militari più importanti, e di assicurare il regolamento della questione sarrese.

Su un piano più generale, il Ministro ha aggiunto testualmente: «Come il Consiglio d’Europa resta aperto a tutti i paesi occidentali, così l’Unione occidentale può servire di esempio ad altre Nazioni». E ricollegandosi più avanti a questo accenno, a proposito del problema tedesco e della sicurezza europea, ha precisato: «Accordi conclusi sul piano regionale potranno aprire la strada ad accordi da concludersi su un piano interregionale, con la stessa equivalenza nelle obbligazioni e con la stessa certezza nelle garanzie. Allora, forse, la strada sarà aperta ad una partecipazione dell’Europa Orientale al grande progetto dell’Europa Occidentale». Analoga posizione ha preso sulla possibilità di definire un sistema di accordi interregionali, il Signor Morrison (ex Ministro degli Esteri nel Gabinetto Attlee).

In questo quadro già aperto a soluzioni più vaste, e di natura molto più affine alla «politica» tradizionale che a quella europeistica, gli accenni del discorso del Signor Pinay al processo di integrazione europea, di rigore a Strasburgo, sono stati pochi e molto generici.

Il Ministro degli Esteri britannico, a sua volta, dopo aver tracciato una storia dell’europeismo di Strasburgo, sopratutto dal punto di vista della conciliazione (diplomatica ancora prima che spirituale) tra la Germania e l’Europa, e del contemperamento di tutte le iniziative europeistiche in un più ampio quadro di cooperazione, ha trattato il tema dell’allargamento del Consiglio d’Europa, rifacendosi in primo luogo a quella che egli ha definito la funzione precipua dell’Assemblea, di realizzare il principio dell’«universalismo».

Egli ha osservato, a questo proposito, che «il Consiglio d’Europa è la sola organizzazione alla quale altri paesi che non fanno attualmente parte del nostro gruppo potranno forse aderire a poco a poco con il tempo e l’aiuto della Provvidenza». Di qui il Signor Macmillan è venuto a parlare della Jugoslavia, e si è chiesto se il Consiglio d’Europa non rappresenti un gruppo troppo stretto, se il «regolamento per la scelta dei nuovi membri suscettibili di essere ammessi, non sia troppo severo»; ed ha lanciato all’Assemblea l’idea di fare di tali problemi oggetto di studio.

L’idea è stata immediatamente raccolta. Su proposta del francese de Menthon, del belga Struye (socialista cristiano), dell’olandese Klompé e del tedesco Mommer (socialdemocratico), l’Assemblea ha deciso di incaricare la Commissione degli Affari Generali di «esaminare le condizioni nelle quali potrebbe essere eventualmente studiato un allargamento del Consiglio d’Europa».

Osservo per inciso che, dal punto di vista giuridico, a parte le necessarie modifiche agli articoli 3 e 4 dello Statuto concernenti le condizioni di ammissione, tale allargamento potrebbe concepirsi, secondo la prassi fin qui seguita, o sotto forma di ammissione di membri di pieno diritto, o di ammissione di membri associati, o di ammissione di semplici osservatori. (Quest’ultima è la attuale posizione dell’Austria, che ha un osservatore diplomatico, senza diritto di sedere al Comitato dei Ministri, e si fa rappresentare da parlamentari alle riunioni delle Commissioni dell’Assemblea). Come riferito con telegramma n. 38 del 9 corrente4, sono peraltro già allo studio nuove forme di associazione, che si impernierebbero sopratutto in riunioni miste al livello parlamentare.

Per tornare al dibattito instauratosi all’Assemblea su questo punto, Lord Layton ha fatto osservare come anche tra paesi democratici e paesi totalitari, «accordi ed una certa cooperazione» possano realizzarsi, e come, quindi, le Nazioni dell’Europa Occidentale possano, a rigore, arrivare ad intendersi con la Jugoslavia e la Spagna: ma, sopratutto come liberale, egli non si è nascosto le difficoltà di simili intese.

II conservatore britannico Boothby, sebbene in termini vaghi, è andato più in là. Egli ha dichiarato che, a suo parere, il «germe» della soluzione del problema degli Stati satelliti risiede nel Consiglio d’Europa.

Come si vede, una delle più importanti idee politiche emerse dal dibattito dell’Assemblea, è stata quella dell’allargamento del Consiglio, sia a scadenza ravvicinata, sul piano specifico dei rapporti con la Jugoslavia, sia, a più lunga scadenza, sul piano dei rapporti con i satelliti, e nel quadro più vasto, tracciato dal Ministro Pinay, comprendente un sistema non definito di accordi interregionali.

La domanda più pertinente che a proposito di tali nuove prospettive sia stata formulata, è quella dello stesso Lord Layton, alla quale egli ha dichiarato di non poter dare una risposta: «Il Consiglio d’Europa deve rimettere in causa le basi stesse sulle quali è fondato?».

L’allargamento del Consiglio fa temere, infatti, che venga diluito oltre misura il suo carattere europeistico, e trasformata la sua funzione in quella di strumento di una difficile cooperazione internazionale fra paesi appartenenti a regimi diversi. Ricordiamo che, dopo la caduta della C.E.D., e con la costituzione di una U.E.O. imperniata sui problemi militari (l’ha riconosciuto lo stesso Pinay), è in fondo al Consiglio d’Europa che era tornata, anche se in misura attenuata, l’iniziativa europeista.

Il Ministro degli Esteri della Repubblica Federale ha preso da parte sua, in un breve e conciso discorso, la difesa della «causa europea», di cui egli si è dichiarato ancora oggi assertore altrettanto convinto di quanto lo fosse stato da deputato.

Secondo von Brentano, «i metodi per arrivare (all’Europa unita) sono una questione non di dogma, ma di opportunità. Occorre andare avanti in ogni campo secondo i metodi e con i soci che si troveranno. Il Governo Federale tedesco approva pienamente la Risoluzione di Messina5».

L’allusione a Messina si giustifica alla luce di vari dubbi che erano stati emessi, sopratutto da parte di membri della Assemblea della C.E.C.A., nella recente sessione da questa tenuta a Strasburgo, circa l’indirizzo più o meno «sopranazionale» che avrebbe prevalso alla Conferenza dei sei Ministri degli Esteri.

Von Brentano ha tenuto a mettere in chiaro che, nel quadro del processo europeo, la sopranazionalità non è un dogma. Egli ha aggiunto tuttavia che il Governo di Bonn resta convinto della necessità di «istituzioni comuni» per raggiungere gli obbiettivi della integrazione economica e del mercato unico.

La verità è che gli europeisti più convinti hanno il vago timore che ci si sia allontanati a Messina, nella soluzione dei problemi del «rilancio», da quella che è stata fin qui considerata la ortodossia sopranazionale. Di qui le giustificazioni portate dagli stessi artefici di Messina, e tutte intonate a motivi di possibilismo.

Mentre, da una parte, il Consiglio d’Europa tende ad aprirsi verso l’esterno, in conseguenza delle nuove necessità della politica internazionale, dall’altra il processo di unificazione che faceva capo ad organismi come la C.E.C.A., muoventisi nell’ambito interno del Consiglio, si fraziona, una volta caduto il primato della soluzione sopranazionale, in una pluralità di indirizzi.

Dicevo, sopra, che l’Assemblea Consultiva ha dato prova di realismo in questa sessione: nel senso che essa ha capito come non fosse suo compito di «risolvere» alcun problema, ma soltanto di rendersi interprete di determinate istanze.

Una di queste istanze, ma non più la dominante, come nel passato, è stata quella della integrazione europea. La Sig. Klompé, nel rapporto presentato a nome della Commissione degli Affari Generali, ha ribadito tutti i noti «motivi» della integrazione.

Formalmente la fede europeista dell’Assemblea è uscita intatta. Ma da molte battute si è avuta l’impressione che i parlamentari «europei», almeno in parte, si siano rassegnati a riesaminare le proprie posizioni più intransigenti; a far passare in secondo piano l’obbiettivo politico della integrazione, che era alla base di tutte le iniziative nei settori specifici (difesa, carbone ed acciaio, ecc.), di fronte agli obbiettivi tecnici di una più stretta collaborazione negli stessi settori, non incompatibili con l’auspicata apertura verso altri paesi «meno europei».

Si è avuta l’impressione che i medesimi parlamentari si siano rassegnati a far passare il problema della riunificazione tedesca, se non prima di quello della sicurezza europea, certo prima del problema della «integrazione» dell’Europa Occidentale.

La riunificazione tedesca ha dato però lo spunto a ferme prese di posizione da parte di numerosi parlamentari, circa i limiti delle concessioni che si possono fare all’Unione Sovietica.

Sia l’inglese Morrison che il socialista francese Jacquet, che il liberale tedesco Becker, che il nostro Bettiol, hanno unanimamente concordato sul punto che una eventuale neutralizzazione della Germania riunificata, equivarrebbe alla neutralizzazione dell’Europa. Le potenze occidentali dovrebbero, dunque, essere ferme nel respingere tutte le proposte che in tal senso venissero fatte dall’Unione Sovietica.

L’On. Bettiol è andato più in là, affermando che già la neutralizzazione dell’Austria, rappresenta, dal punto di vista strategico, un pericolo per l’Europa.

Secondo quanto può desumersi dai discorsi pronunciati da Ministri e parlamentari sulla questione del futuro assetto europeo, l’unica soluzione possibile ed accettabile, indipendentemente dalle sorti della politica europeista di integrazione, sarebbe dunque quella di un sistema di accordi interregionali, al quale la Germania riunificata parteciperebbe come potenza «occidentale».

L’Assemblea Consultiva non doveva votare alcun testo a conclusione del suo dibattito politico. Il largo scambio di idee che ne è scaturito, è valso a giustificare quella funzione di fòro parlamentare europeo che il Ministro degli Esteri britannico le ha riconosciuto.

Anche il Presidente Guy Mollet ha reso atto ai Ministri del particolare significato della loro presenza sui banchi dell’Assemblea, il giorno stesso in cui questa ha cercato di rispondere alla sua vera vocazione «consultiva», nel quadro della collaborazione europea e alla vigilia della Conferenza di Ginevra.

Dal 7 al 9 luglio l’Assemblea ha proseguito i suoi lavori di «ordinaria amministrazione», occupandosi dell’esame del VI rapporto annuale dell’O.E.C.E., del rapporto del Rappresentante Speciale del Consiglio d’Europa per i profughi e la sovrapopolazione, del parere della Commissione degli Affari Generali sul funzionamento del Consiglio d’Europa, di questioni culturali e giuridiche, ecc.

Il Signor Bonnefous, Ministro francese delle Poste, e membro dell’Assemblea Consultiva, ha proposto, nella sua qualità di parlamentare, un piano per la creazione di una organizzazione europea in materia di comunicazioni postali, telecomunicazioni e televisione. L’organizzazione dovrebbe avere la doppia funzione di assicurare un regolare scambio di informazioni tra le amministrazioni nazionali, e costituire la sede di iniziative comuni per una più stretta collaborazione europea, nel campo postale, telefonico, ecc.

Esempio eloquente, questo, se ve ne fosse stato bisogno, della tendenza verso la «tecnicizzazione» spicciola della politica di unificazione europea.

Come da me anche riferito con il telegramma n. 39 del 9 corrente6, il Ministro del Commercio Estero belga, Signor Larock, presentando il rapporto dell’O.E.C.E., si è espresso in termini di costruttivo elogio sul Piano Vanoni, ed ha messo in risalto il realismo dei suoi obbiettivi, e l’importanza, non solo per l’Italia ma anche per l’Europa, di una sua piena attuazione.

Trasmetto con telespresso odierno n. 643/4187, i resoconti della sessione dell’Assemblea, e i testi delle risoluzioni, raccomandazioni e pareri da questa votati.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

Cittadini Cesi


1 Copia di questo rapporto fu ritrasmessa da Cittadini Cesi a Quaroni con R. 655 del 12 luglio, con l’aggiunta delle seguenti considerazioni: «Hanno parlato all’Assemblea, in questa occasione, i Ministri degli Esteri britannico, francese, tedesco, olandese e norvegese. Partecipazione eccezionale per il nostro “Parlamento europeo”! Ho cercato di fissare alcune impressioni tratte dall’andamento del dibattito, sopratutto in relazione alle prospettive di un allargamento del Consiglio ed allo sviluppo della politica di unificazione».


2 Vedi D. 53.


3 Vedi D. 61.


4 T. segreto 10949/38 del 9 luglio, con il quale Cittadini Cesi aveva riferito sulla questione dell’associazione della Jugoslavia al Consiglio d’Europa e su come i Rappresentanti britannico e francese, propensi al suo inserimento, avessero ventilato la modalità di una riunione mista di una delegazione dell’Assemblea Consultiva con una dell’Assemblea balcanica.


5 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.


6 Manca nella raccolta telegrafica.


7 Non pubblicato.

57

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, SORO,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. 44/102661. Roma, 12 luglio 1955.

Oggetto: Commissione Intergovernativa per l’integrazione economica europea.

Si trasmette, per opportuna conoscenza e documentazione di codesta Rappresentanza, il comunicato relativo alle decisioni prese nel corso della riunione del Comitato dei Capi delle Delegazioni tenuta a Bruxelles il 9 luglio u.s.

Si trasmette inoltre il testo della dichiarazione fatta dal Rappresentante del Governo Federale tedesco, Segretario di Stato Hallstein, all’inizio della predetta riunione.

Allegato I

SOMMAIRE DES DÉCISIONS

PRISES LORS DE LA RÉUNION DU COMITÉ DES CHEFS DES DÉLÉGATIONS

TENUE LE 9 JUILLET 1955 À 10 HEURES

1) Organisation du Travail.

a) Il est décidé de créer un Comité Directeur.

Composition: le Comité Directeur, placé sous la présidence de M. P.-H. SPAAK, comprendra les chefs des délégations nationales. Le Royaume-Uni sera représenté au sein de ce Comité.

Rôle: le Comité Directeur animera, dirigera, coordonnera et suivra de manière régulière le travail des Commissions. Il tiendra à cet effet des réunions fréquentes.

Il est convenu que le Comité Directeur se réunira le lundi 18 juillet 1955, à 15 heures. Les Présidents des Commissions participeront à cette réunion. A cette occasion, le Comité Directeur procédera à l’examen des propositions soumises par les délégations en ce qui concerne la mise en œuvre des décisions prises par la Conférence de Messine, et établira les premières directives à l’intention de chaque Commission. (Les propositions qui n’auront pu être présentées pour cette date seront examinées ultérieurement).

b) Il est décidé d’instituer les Commissions suivantes:

- une Commission du Marché Commun, des Investissements et des problèmes sociaux;

- une Commission de l’énergie classique;

- une Commission de l’énergie nucléaire;

- une Commission des Transports et des Travaux publics (en allemand: Verkehr und Verkehrswege).

En outre, il est décidé

- qu’une sous-commission des investissements et une sous-commission des problèmes sociaux seront créées dans le cadre de la Commission du Marché Commun, des Investissements et des problèmes sociaux;

- qu’une sous-commission des transports aériens sera créée dans le cadre de la Commission des Transports et des Travaux publics.

2) Mode et procédure de participation de la Haute Autorité de la C.E.C.A. et des Secrétariats généraux de l’O.E.C.E., du Conseil de l’Europe, ainsi que de la Conférence Européenne des Ministres des Transports. Il est décidé d’associer aussi étroitement que possible les organismes internationaux précités aux travaux de la Conférence. La Haute Autorité de la C.E.C.A. sera invitée à siéger au Comité Directeur avec voix consultative. Ses experts seront appelés à prendre part aux travaux des commissions et sous-commissions.

Il sera fait appel aux Secrétariats généraux de l’O.E.C.E., du Conseil de l’Europe et à la Conférence Européenne des Ministres des Transports, afin que l’expérience acquise par ces organisations puisse être pleinement utilisée tant par le Comité Directeur que par les commissions et sous-commissions.

3) Inventaire des organismes existants et des résultats obtenus. Il est décidé de charger le Secrétariat d’établir, pour la prochaine réunion du Comité Directeur, un inventaire des organismes existants et des résultats obtenus par eux dans les divers domaines visés par la Résolution de Messine.

4) Calendrier des travaux.

Le Comité Directeur se réunira le 18 juillet 1955 à 15 heures. Les Commissions devront être prêtes à commencer leurs travaux à Bruxelles le 20 juillet. Par la suite, les travaux se dérouleront, en principe, du mardi au vendredi de chaque semaine avec interruption du 6 août au soir au 22 août inclus.

5) Réunion ministérielle intérimaire.

Si une réunion a lieu à la Haye le 6 septembre 1955, le Président présentera à ses collègues un rapport verbal sur l’état d’avancement des travaux.

Allegato II

DECLARATION DE M. HALLSTEIN

REPRESENTANT DU GOUVERNEMENT ALLEMAND

À LA RÉUNION DES CHEFS DES DÉLEGATIONS AU COMITÉ

ISSU DE LA CONFÉRENCE DE MESSINE LE 9 JUILLET 1955

Monsieur le President, Messieurs,

Vous vous êtes réunis aujourd’hui pour discuter de l’organisation de la conférence et de sa procédure future. Permettez-moi d’essayer de contribuer au succès de ces efforts en faisant quelques remarques de principe qui ne touchent pas encore ces problèmes techniques.

Ces remarques on trait à l’esprit avec lequel le Gouvernement fédéral aborde la question de l’exécution de la résolution de Messine. Au fond le Gouvernement fédéral croyait avoir précisé son point de vue, sans équivoque possible, dans les déclarations de ses organes compétents et dans son mémorandum2. Mais nous ne sommes maîtres que de nos propres paroles; nous ne sommes pas maîtres des interprétations que leur donne l’opinion publique. Il ne faut peut-être pas trop s’étonner que dans la situation politique actuelle, où existent ou semblent du moins exister des possibilités d’évolution diverses, on rencontre, ça et là, l’interprétation fausse que le Gouvernement fédéral ne poursuit plus avec la même rigueur son ancienne politique visant l’intégration solide de l’Europe. Mais c’est précisément dans cette situation que je viens d’évoquer qu’une telle erreur ne doit pas subsister dans les esprits, et le Gouvernement fédéral désire faire tout ce qui est en son pouvoir afin qu’elle disparaisse partout et pour toujours. C’est dans ce but que le Ministre fédéral des Affaires Etrangères, Monsieur von Brentano, a fait une déclaration, mercredi, devant l’Assemblée Commune du Conseil de l’Europe à Strasbourg3. C’est dans ce but que Monsieur le Chancelier fédéral m’a délégué ici pour préciser encore une fois devant vous de façon claire et nette la grande ligne de la politique du Gouvernement fédéral. Cette ligne politique ne consiste pas seulement dans l’acceptation sans réserve de la résolution adoptée à Messine, mais encore dans la ferme volonté de donner, dans les limites du possible, la préférence à la solution européenne partout où se présenteraient des alternatives en vertu de cette résolution.

Comme je l’ai déjà déclaré à Messine, le Gouvernement fédéral est fermement convaincu qu’il faut reprendre l’idée de l’intégration en faisant un pas décisif, dès maintenant et dans le cadre dans lequel nous sommes réunis ici même. C’est là une nécessité économique, mais avant tout une nécessité politique.

Je répète ce que j’ai déjà dit à Messine à ce sujet. Il ne peut y avoir de véritable paix dans le monde sans un équilibre stable entre l’est de l’ouest. Cet équilibre n’est possible qu’avec une Europe unie et qui serait un poids dans la balance.

C’est sous l’aspect de cette nécessité politique, que le Gouvernement fédéral conçoit l’interprétation et l’exécution de la résolution de Messine.

Si nous nous en tenons à cet aspect, le malentendu selon lequel nos efforts iraient à l’encontre des aspirations poursuivies dans le cadre plus étendu des organisations du G.A.T.T. et de l’O.E.C.E., n’existe plus. Car à l’avis du Gouvernement fédéral ces aspirations purement économiques ont besoin d’être complétées sous l’aspect politique par les liens plus étroits que nous nous efforçons de nouer en vue de l’unification de l’Europe. Des deux sont nécessaires; d’une part l’établissement général de libres relations économiques dans un monde occidental libre; d’autre part la création d’une Europe unie sur le plan politique et qui deviendrait une partie intégrante de ce système du monde occidental libre. Les deux se complètent et se soutiennent l’un l’autre.

De même cet aspect politique à l’échelon européen nous donnera bien des fois un critérium pour juger des points de détail dont auront à s’occuper les experts. Eux également ne devront jamais perdre de vue qu’il ne s’agit pas seulement de savoir si telle ou telle solution serait préférable du point de vue économique ou technique mais aussi et avant tout si la solution contribue à l’unification de l’Europe telle que nous voulons la réaliser dans ce cadre-ci. Certes, une solution techniquement mauvaise est aussi sans valeur du point de vue politique. Mais souvent différentes solutions techniques vont s’offrir, où il restera à discuter si l’une est vraiment bien supérieure à l’autre. Dans tous ces cas il faudrait, avant tout autre, prendre en considération celle des solutions qui est susceptible de hâter et de raffermir l’intégration politique des États ici réunis.

Enfin, le respect de cet aspect politique européen que je viens de vous exposer – et j’amerais le souligner au nom du Gouvernement fédéral – constitue la clé pour l’interprétation de notre mémorandum et de notre prise de position. Il est par conséquent franchement absurde d’avoir parfois pensé que le Gouvernement fédéral s’était déclaré – en contradiction avec sa politique antérieure – en principe contre toute solution supranationale dans tel ou tel domaine. Je répète que ceci est une absurdité. Car comment peut-on poser l’unification de l’Europe comme postulat politique et en même temps se proposer de ne pas s’écarter de la conception de l’État national! Aucun organe allemand responsable n’a jamais songé à une telle absurdité. Même si par occasion l’idée d’une intégration dans certains domaines spécialisés a été considérée comme moins désirable, ce n’était pas parce qu’une telle intégration partielle eût paru trop européenne aux partisans de ce point de vue, mais au contraire parce que, à leur avis, les solutions envisagées étaient désavantageuses, voire nuisibles. Il est en effet inconcevable de bâtir l’unité de l’Europe en multipliant successivement, sans lien entre elles, les intégrations dans des domaines spécialisés, le charbon et l’acier d’abord, et ensuite les textiles, les machines-outils, etc. – ayant chacune son marché partiel spécial et sa propre Haute Autorité; et on n’est pas nécessairement un mauvais Européen si on le dit. On rend au contraire même service à l’idée d’une intégration européenne efficace si l’on maintient, ici encore, que cette idée est une idée politique, plus ample et visant un tout; et que ce que nous faisons, même les intégrations partielles là où elles sont nécessaires (p.ex. dans le domaine de l’énergie atomique), devra s’insérer dans cet ensemble.

Permettez-moi de vous illustrer brièvement cette conception en me référant aux détails du mémorandum allemand.

Pour ce qui en est du problème des transports et de l’énergie traditionelle, nous partageons ainsi qu’il ressort du mémorandum, essentiellement l’opinion exposée dans le mémorandum des États du Benelux; notamment en ce qui concerne les institutions, la question est, à notre avis, également encore en suspens. Quant au problème du domaine de loin le plus important des intégrations partielles, le domaine de l’énergie atomique, le Gouvernement fédéral était dès le début d’accord avec la conception exprimée dans le mémorandum du Benelux, à savoir qu’une organisation européenne avec des organes européens ayant le pouvoir de décision et des moyens d’action européenne est désirable et nécessaire.

C’est avec le même esprit que nous abordons le problème de l’intégration économique générale. Là encore, nous n’avons nullement rejeté l’idée d’organes supranationaux. Nous sommes, au contraire, d’avis qu’un véritable marché commun, ayant des règles communes, doit avoir sous une forme ou une autre des organes supranationaux communs, qui garantissent le respect de ces règles communes ainsi que leur fonctionnement. Si, dans notre mémorandum, nous n’avions pas dès le début proposé l’institution de tels organes, mais d’abord, l’institution d’un Comité consultatif, qui devait, par la suite, faire les propositions institutionnelles, il ne s’agissait là que d’une différence du méthode. Il semblait préférable que l’élaboration et l’adoption à l’unanimité des règles nécessaires pour le marché commun soient préparées d’abord par un Comité consultatif, qui aurait sous ce rapport à étudier les organes supranationaux nécessaires au fonctionnement de cette réglementation.

Le Comité consultatif n’était donc envisagé qu’à titre d’étape et non comme objectif final. S’il s’avèrait possible de rendre cette étape superflue par les progrès rapides de la Conférence, personne n’en serait plus heureux que nous.

Je suis arrivé à la fin de ce que j’avais voulu vous dire. A l’avis du Gouvernement fédéral, il s’agit, je le répète, de constatations évidentes. Mais à une époque aussi confuse et pleine de doutes, il n’était peute-être pas inutile de répéter que la République Fédérale poursuit son ancienne politique européenne et que c’est dans l’esprit de cette ancienne politique européenne quelle aborde la nouvelle phase de l’intégration.


1 Trasmesso alle Ambasciate a Londra, Parigi, Washington, Bonn, Bruxelles e L’Aja, alla Legazione a Lussemburgo, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E., a Parigi, e il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, e per conoscenza alle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari Economici.


2 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe V.


3 Vedi D. 56.

58

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,CON L’AMBASCIATORE DEL REGNO UNITO A ROMA, CLARKE

Appunto riservato 1/27021. Roma, 12 luglio 1955.

S.E. l’Ambasciatore di Gran Bretagna, Sir Ashley Clarke, ha chiesto udienza a S.E. il Ministro che l’ha ricevuto alle ore 18,15.

L’Ambasciatore di Gran Bretagna ha iniziato il colloquio chiedendo quale fosse il nostro punto di vista sulla Conferenza di Ginevra2.

S.E. il Ministro ha rilevato che da parte del Governo italiano non si era favorevoli a concessioni sul problema della sicurezza collettiva. Anche per ciò che riguarda la riunificazione della Germania, quale presupposto per una distensione, occorreva tener presente che ciò poteva avvenire a condizione che la Germania non fosse neutralizzata, ma restasse un membro operante della Comunità atlantica.

Sir Ashley Clarke ha espresso il suo accordo sulle considerazioni di S.E. il Ministro, aggiungendo che esse erano condivise dal Governo britannico. Ha quindi chiesto se poteva essere informato circa il colloquio che il Pandit Nehru aveva avuto a Palazzo Chigi.

S.E. il Ministro lo ha brevemente messo al corrente circa il pensiero di Nehru sull’atteggiamento sovietico.

L’Ambasciatore di Gran Bretagna ha quindi chiesto se l’Italia sarebbe andata a Parigi con l’intenzione di sollevare problemi particolari. S.E. il Ministro ha rilevato che l’Italia avrebbe insistito sul concetto di sicurezza collettiva basato su garanzie reali e non semplicemente formali. Il Governo italiano avrebbe anche accennato alla questione della restituzione dei prigionieri di guerra ancora detenuti in Russia e nei paesi satelliti, questione che tanta eco aveva nel sentimento dell’opinione pubblica italiana.

Sir Ashley Clarke ha risposto di non essere informato su tale questione e che d’altronde il problema non presentava per l’Inghilterra lo stesso carattere di importanza e di urgenza, poiché pochi erano i prigionieri inglesi che dalla Germania erano stati trasferiti in Russia dopo l’avanzata delle truppe sovietiche. Egli riteneva tuttavia che era opportuno che da parte italiana si sollevasse la questione.

Circa i problemi di Estremo Oriente, l’Ambasciatore di Gran Bretagna ha detto di non ritenere probabile una loro inclusione nell’agenda della Conferenza di Ginevra.

Sir Ashley Clarke non si è dimostrato in complesso molto fiducioso sui risultati della Conferenza stessa; egli fra l’altro ha fatto osservare una strana coincidenza e cioè che ogni qualvolta una conferenza internazionale di una certa importanza stava per iniziarsi, essa era sempre preceduta dal verificarsi di azioni belliche in Indocina.

L’Ambasciatore di Gran Bretagna ha quindi chiesto a S.E. il Ministro le sue impressioni sul «rilancio» e se particolarmente fosse possibile raggiungere per quella via dei risultati apprezzabili.

S.E. il Ministro ha risposto che non si poteva realisticamente prescindere da certe difficoltà che si frapponevano alla integrazione europea, sia pure limitata per ora ai settori economici; occorreva tenere particolarmente presente in proposito l’atteggiamento talvolta non favorevole del Parlamento francese, come pure un certo raffreddarsi dell’entusiasmo europeistico della Germania. Tuttavia era necessario ed utile perseverare, poiché ciò che più importa è che l’ideale dell’unità europea rimanga vivo e, sia pure lentamente, conquisti la coscienza dei popoli.

L’Ambasciatore di Gran Bretagna ha osservato che il suo paese non era contrario all’unificazione europea, ma ciò che preoccupava l’Inghilterra era il costituirsi di organi sovranazionali ed i relativi problemi che la loro attività poteva creare. Quindi, pur partecipando alla riunione di Bruxelles, la Gran Bretagna non poteva nutrire un desiderio molto sincero di pervenire rapidamente a risultati concreti.

Nel congedarsi Sir Ashley Clarke ha pregato S.E. il Ministro di considerare le sue affermazioni come «informal».


1 Redatto da Aillaud e indirizzato alla Direzione Generale degli Affari Politici e, per conoscenza, alla Segreteria Generale.


2 Ci si riferisce al summit quadripartito di Ginevra.

59

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERIE AL MINISTERO DELL’INDUSTRIA E DEL COMMERCIO

Telespr. 0036711. Lussemburgo, 12 luglio 1955.

Oggetto: Nuova presidenza dell’Alta Autorità.

La nomina di René Mayer ha suscitato, come è noto, negli ambienti interessati, aspettative e la speranza che il nuovo Presidente riesca a far risalire la china all’Alta Autorità, rifondendole energia e autorevolezza. Da parte di alcuni anzi, anche di certi organi della stampa (in Italia, «Il Sole») si è voluto di già registrare un miglioramento nel funzionamento dell’Alta Autorità.

In realtà queste valutazioni ottimistiche sembrano ancora premature. Certo il nuovo presidente ha tutte le qualità per riuscire nel suo compito, e le sue intenzioni, che egli mi ha riaffermato in un suo colloquio, danno bene a sperare. Certo René Mayer ha fatto ottima impressione alla Assemblea Comune, dove hanno brillato le sue qualità di grande parlamentare (qualità di cui era sprovvisto Monnet, sì che il paragone è andato tutto a vantaggio di Mayer). Tuttavia è ancora presto per tirare delle conclusioni.

Il decadimento dell’Alta Autorità è dovuto, come a suo tempo ho riferito, a ragioni multiple, congiuntura politica, atteggiamento dei Governi e della Corte, carenza della Presidenza ecc., ragioni interdipendenti e con reciproca influenza. Non si può dire ancora quale influenza potrà avere nella situazione complessa l’eliminazione di uno dei suddetti inconvenienti. Per dirlo, occorrerà vedere Mayer alla prova nei prossimi Consigli dei Ministri e, dato che l’Alta Autorità sarà in ferie nel mese di agosto, una visione chiara della nuova situazione non si potrà avere che in autunno.

Nel frattempo vi è però un miglioramento che non si sarebbe potuto sperare, se Monnet fosse rimasto al suo posto, ed è nell’atteggiamento del Governo francese, non solo nei confronti della Comunità carbosiderurgica ma, direi, anche nei confronti della politica integrativa europea in generale. Si è potuto, infatti, registrare a Bruxelles, in seno al Comitato del «rilancio», un atteggiamento molto collaborativo del Presidente della Delegazione francese, Gaillard, atteggiamento che non sarebbe stato pensabile se Monnet fosse stato ancora alla testa dell’Alta Autorità. Gaillard, fra l’altro, ha insistito perché all’Alta Autorità venisse fatto un posto particolarmente importante nei lavori del Comitato di Bruxelles, del cui Comitato direttore l’Alta Autorità è divenuta così membro di diritto.

Nello stesso tempo l’Alta Autorità, quasi a spianare la strada a una migliore collaborazione con la Francia, ha reso pubblico un suo studio sui risultati del mercato comune nei confronti della Francia, da cui si rileva che non solo, contrariamente a certe affermazioni, la Francia non è stata danneggiata dalla Comunità, ma, anzi, ne ha ottenuto considerevoli vantaggi.


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Parigi.

60

IL MINISTRO CONSIGLIERE A PARIGI, TASSONI ESTENSE,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 1069/6821. Parigi, 13 luglio 1955.

Oggetto: Francia ed integrazione europea.

La brevissima e piuttosto simbolica Conferenza di Bruxelles2 ha indubbiamente costituito un episodio di quel «rilancio» europeistico che, visto dalla Francia, rappresenta un effettivo miracolo ove si pensi a quella che era l’atmosfera dopo la sconfitta della C.E.D. al Parlamento francese. Direi che l’elemento principale di tale ripresa è Pinay con il suo buon senso e proprio per la sua «moderazione» nel volere si facciano passi solidi sul terreno dell’integrazione europea. Egli non spaventa nessuno, non è di quegli europeisti che vogliono tutto o nulla ed è l’espressione di una benevola posizione, non per questo meno attiva, di fronte alle possibilità progressive di integrazione.

Occorre tuttavia segnalare che, almeno a quanto si può giudicare da qui, la posizione francese a Bruxelles si è trovata tardiva e prudente di fronte a quella, ad esempio, del Benelux. Gaillard, tornato da Bruxelles, ha precisato che l’integrazione dell’Europa deve avvenire o settore per settore, oppure allargando progressivamente il già esistente mercato comune. Anzi, la formula francese è piuttosto la prima, perché la limitata esperienza del mercato comune ha fatto ritenere a molti ambienti politico-economici francesi che non convenga imporre sin d’ora formule uniformi ad economie che non sono ancora complementari.

Per quanto concerne i trasporti, i francesi ritengono, dopo Bruxelles, che le raccomandazioni della Conferenza dei Ministri dei Trasporti costituiscano una base d’intesa da perfezionare, ma che non sia possibile oggi andare utilmente al di là della standardizzazione del materiale, di programmi comuni per canali ed infrastrutture aeree, dell’unificazione di regolamenti. Ma nuovi provvedimenti comuni potrebbero essere presi circa l’aviazione civile, la ripartizione delle linee aeree, ecc., senza bisogno di un bilancio comune o di azione nel quadro costrittivo della C.E.C.A.

Per quanto riguarda l’energia, direi che i francesi vorrebbero fermarsi agli accordi tecnici già conchiusi; per il petrolio, c’è un’indubbia preoccupazione per la viva concorrenza delle raffinerie italiane e per la concorrenza, che rappresenterebbe, per il carbone francese, un grande sviluppo del consumo di prodotti del petrolio attraverso una comunità europea particolare. Ma accetterebbero, sembra, un mercato comune per i prodotti raffinati. Per il gas, molti ambienti sarebbero disposti ad istituire, nel quadro della C.E.C.A., ma senza estenderne le competenze, un organo di coordinamento. Analoghi organi di coordinamento potrebbero essere accettati, del resto, per energia elettrica e petrolio. Il Governo francese, a quanto si apprende indirettamente, sarebbe definitivamente favorevole alla creazione di un fondo comune per il finanziamento delle ricerche ed installazioni atomiche e per le altre formule concordate di massima, al riguardo, a Messina. Il fondo dovrebbe essere gestito da una comune autorità senza monopolio di acquisto delle materie atomiche di base (c’è, in questa idea, un retropensiero al Belgio, i cui recenti accordi atomici con Stati Uniti e Gran Bretagna hanno qui sollevato i noti malumori).

Queste sono voci correnti in interessanti ambienti della politica industriale, ma non c’è da scoraggiarsi, perché il rilancio europeistico, di cui parlavo, è, inspiegabilmente ma gradevolmente, in corso. Non c’è da farsi nessuna illusione: come dappertutto, il Parlamento e l’opinione pubblica francese sono estremamente mutevoli, ma per ora il corso è, per quanto lento, favorevole.


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.


2 Vedi D. 55.

61

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE, LEGAZIONIE UFFICI CENTRALI

Telespr. 21/11501. Roma, 14 luglio 1955.

Oggetto: I sessione dell’Assemblea U.E.O.

Il 5 luglio u.s. l’Assemblea dell’U.E.O. ha tenuto a Strasburgo la propria seduta inaugurale2. L’Assemblea è composta, com’è noto, degli stessi rappresentanti presso l’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa dei sette paesi dell’U.E.O. ossia di 18 parlamentari per ciascuno dei seguenti paesi: Italia, Francia, Germania ed Inghilterra, 7 per l’Olanda, 7 per il Belgio e 3 per il Lussemburgo.

A questi 89 membri, si aggiungeranno i 3 parlamentari sarresi, che già fanno parte dell’Assemblea Consultiva, quando i cinque Stati U.E.O., non firmatari dell’Accordo franco-tedesco sullo Statuto della Sarre, daranno il loro consenso all’art. 3 lettera c) punto 2 dell’Accordo stesso che dispone in tal senso.

2) La seduta è stata aperta dal decano di età Sen. Boggiano Pico, il quale ha illustrato in una breve allocuzione le origini ed i compiti dell’U.E.O. nonché in particolare quelli della sua Assemblea.

Si è quindi proceduto all’elezione del Presidente adottando provvisoriamente le disposizioni del Regolamento dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa che prevedono il voto a scrutinio segreto. Peraltro, essendo stata presentata una sola candidatura, quella del «nazional liberale e conservatore» inglese Maclay, si è provveduto ad eleggerlo per acclamazione.

L’elezione di Maclay era scontata poiché egli si era posto in vista come relatore della Commissione degli Affari Generali dell’Assemblea Consultiva che aveva preparato il testo della Risoluzione 67, adottata 1’11 dicembre u.s., sull’organizzazione dell’Assemblea dell’U.E.O. Tale Risoluzione è stata presa come base dei lavori della Commissione ad interim dell’U.E.O. che – prima dell’entrata in vigore dei Protocolli istitutivi dell’U.E.O. – ha tra l’altro esaminato vari problemi relativi alla costituenda Assemblea.

Nella scelta di Maclay si è d’altronde anche tenuto presente l’opportunità di assicurare a ciascuno dei tre grandi gruppi in cui si dividono i parlamentari europeisti (democristiani, socialisti e liberali, termine impreciso col quale vengono indicati tutti coloro che non appartengono ai primi due gruppi) la presidenza di una delle tre Assemblee europee: infatti quella dell’Assemblea Comune è affidata al democristiano Pella e quella dell’Assemblea Consultiva al socialista Guy Mollet.

3) Successivamente sono stati eletti i seguenti sei Vice Presidenti:

Boggiano Pico - democristiano - Italia

Bichet - M.R.P. - Francia

Bohy - socialista - Belgio

Lütkens - social-democratico - Germania

Fens - popolare cattolico - Paesi Bassi

Schaus - liberale - Lussemburgo

In tal modo l’intero Ufficio della Presidenza viene ad essere composto di sette membri, uno per ogni Stato U.E.O.

4) Ha quindi preso la parola Spaak per leggere, nella sua qualità di Presidente di turno del Consiglio U.E.O., il messaggio del Consiglio stesso all’Assemblea. Egli ha fatto presente che l’U.E.O. contiene nei suoi testi immense possibilità e che tocca ai Ministri in Consiglio ed ai Rappresentanti in Assemblea di trasformarle in realtà; frattanto l’Unione deve affrontare due compiti precisi ed immediati: il controllo degli armamenti ed il controllo delle attività della Commissione europea per il referendum nella Sarre e del Commissario della Sarre. Su tutti questi problemi – egli ha detto – riusciranno gradite le osservazioni, le eventuali critiche e gli incoraggiamenti da parte dei parlamentari.

Nel messaggio venivano infine menzionati, a titolo indicativo, alcuni punti sui quali il Consiglio, criticando la Risoluzione 67 più su ricordata, ha inteso attirare l’attenzione dell’Assemblea. E precisamente è stato fatto conoscere che:

a) i Governi sono favorevoli alla completa indipendenza dell’Assemblea dell’U.E.O. anche se si utilizzino i servizi amministrativi del Consiglio d’Europa. Pertanto l’Assemblea deve avere il suo Segretariato totalmente distinto da quello dell’Assemblea Consultiva;

b) sono invece contrari all’idea di sottoporre all’Assemblea il bilancio annuale dell’U.E.O. prima della sua adozione da parte del Consiglio;

c) sono altresì contrari all’idea di concedere all’Assemblea la facoltà di convocare funzionari dell’U.E.O. per averne informazioni sulle attività in corso.

5) Da ultimo è stato deciso di affidare all’Ufficio della Presidenza l’incarico di mettere a punto delle proposte, da sottoporre all’Assemblea in una sua successiva seduta, relativamente alla nomina del Segretario ed alla costituzione di una commissione provvisoria d’organizzazione incaricata di elaborare il regolamento dell’Assemblea e di organizzare le varie commissioni.

6) Tra la prima e la seconda seduta l’Ufficio della Presidenza ha provveduto alla costituzione della predetta Commissione d’organizzazione sulla base di designazioni fatte dalle Delegazioni nazionali. Essa è risultata composta come segue:

Italia: Azara (democristiano), Montini (democristiano), Treves (social-democratico);

Francia: Charpentier (M.R.P.), Jacquet (socialista), Mutter (indipendente contadino);

Germania: Becker (liberal-democratico), Kopf (democratico), Schmid (social-democratico);

Gran Bretagna: Boothby (conservatore), Hutchison (conservatore), Thomson (laburista);

Belgio: Bohy (socialista), Struye (socialcristiano);

Olanda: van der Goes van Naters (laburista), Schmal (cristiano storico);

Lussemburgo: van Kauvenberg (socialista).

Molto più complesso ed in fondo improvvisato è stato il lavoro condotto dall’Ufficio della Presidenza per raccogliere i nomi dei possibili candidati al posto di Segretario dell’Assemblea. In definitiva, il nominativo che è sembrato avere maggiori probabilità di successo è stato quello di Sforzino Sforza, attualmente Capo di Gabinetto del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

7) In aula, nel corso della 2ª seduta, la composizione della Commissione di organizzazione è stata approvata, malgrado alcune critiche sollevate dai liberali che si sono lamentati di non esservi sufficientemente rappresentati.

La questione della nomina del Segretario dell’Assemblea è stata invece fermata da una mozione del laburista inglese Morrison il quale ne ha proposto il rinvio alla prossima sessione «considerando l’importanza di una simile nomina per l’efficienza del lavoro dell’Assemblea» ed affinché l’Ufficio della Presidenza potesse presentare in merito, d’accordo con la Commissione d’organizzazione, un apposito rapporto.

In realtà è questo un ulteriore esempio delle difficoltà che si manifestano in seno alle organizzazioni internazionali ogni volta che si debba provvedere alla copertura di una carica: i singoli paesi infatti non dimostrano in proposito quel senso di solidarietà che sarebbe invece auspicabile.

8) Concludendo sembra che si voglia indirizzare la nuova Assemblea soprattutto verso la trattazione di alcuni specifici problemi diversi da quelli dell’Assemblea Consultiva e precisamente verso quelli relativi al controllo degli armamenti ed allo Statuto europeo della Sarre.

Non sembra, invece, che i parlamentari siano, in linea di massima, propensi alla costituzione di commissioni per i problemi culturali e sociali dato che già ne esistono di analoghe in seno all’Assemblea Consultiva.

La questione verrà ora messa allo studio della Commissione di organizzazione. Da parte nostra, pur tenendo sempre presente la necessità di evitare i doppioni, non vedremmo in questo caso con disfavore la costituzione di commissioni parlamentari distinte, dato che le stesse materie possono in pratica essere trattate in forma diversa in seno all’U.E.O. ed in seno al Consiglio d’Europa e soprattutto perché l’U.E.O. ha ereditato dall’organizzazione del Trattato di Bruxelles un Comitato culturale ed un Comitato sociale che funzionano in forma abbastanza snella ed hanno già svolto parecchio lavoro.


1 Diretto alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Belgrado, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Madrid, Ottawa, Parigi, Vienna, Washington, alla Rappresentanza presso la N.A.T.O., a Parigi, alle Legazioni a Copenaghen, Lisbona, Dublino, Lussemburgo, Oslo, Stoccolma, alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici, dell’Emigrazione, delle Relazioni Culturali e al Servizio Stampa.


2 Vedi D. 53.

62

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 11611/1331. Bruxelles, 20 luglio 1955, ore 18,30 (perv. ore 22,20).

Oggetto: Riunione Comitati.

In tre riunioni sotto presidenza Spaak, Comitato Direttivo ha discusso e definito termine mandato per quattro Commissioni tre Sottocommissioni che si riuniranno a partire da oggi.

Ampiezza mandato affidato a singole Commissioni varia secondo materia: per energia classica e trasporto, ad esempio, lavori della Commissione dovranno svilupparsi nel quadro iniziative già in corso da parte C.E.C.A., O.E.C.E. e C.E.M.T. Per mercato comune viene ripresa impostazione di massima che era stata data da Commissione economica della C.E.C.A., ma con maggiore rilievo a questione sociale e a fondo di investimento europeo. Per energia nucleare francesi hanno presentato progetto molto vasto2, mentre belgi si mostrano più cauti e conservativi. Per ciascuna Commissione direttive sono di larga massima e potranno essere modificate secondo svolgimento lavori. Atmosfera continua essere pienamente cooperativa, ogni Delegazione mettendo naturalmente accento su problema che la riguarda più da vicino. Per quanto ci concerne ci è stato dato atto della posizione speciale con cui Italia si presenta all’apertura di un mercato comune europeo; e specialmente da parte belga è stata sottolineata necessità sforzi congiunti diretti alzare tono economico nostra zona depressa. In quest’ordine di idee belgi si sono dichiarati favorevoli utilizzare fondo europeo di investimento anche per sviluppare regioni meno favorite; mentre francesi hanno mostrato loro preferenza per un fondo riabilitazione inteso correggere turbamenti provocati da apertura mercato comune e tedeschi non hanno celato loro esitazione ogni qualvolta si è parlato di fondo comune, salvo quello per energia nucleare.

Delegazione inglese ha persistito nel suo atteggiamento riservato salvo quando ha mostrato proprio disappunto verso proposta francese su coordinamento costruzioni aeronautiche europee e quando ha accennato a sua preferenza collaborare con gruppo inchiesta O.E.C.E. su energia nucleare piuttosto che con Commissione Bruxelles.

Comitato Direttivo verrà probabilmente riconvocato nella prima settimana agosto3.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Documento n. 15, presentato il 18 luglio al Comitato Intergovernativo dalla Delegazione francese, non pubblicato.


3 Vedi D. 71.

63

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 3725/18051. Londra, 21 luglio 1955.

Oggetto: Germania e U.E.O.

Gli Ambasciatori a Bonn e a Washington, nei loro più recenti rapporti, hanno giustamente messo in luce il processo di valorizzazione della posizione tedesca che è attualmente in corso.

Si tratta di un fenomeno che non può sorprendere e di cui ci eravamo resi conto prima ancora che la Germania entrasse a far parte del sistema occidentale: anzi all’indomani stesso della dichiarazione tripartita di Washington, che apriva la porta al riarmo tedesco.

Questi sviluppi della situazione germanica sono del resto nell’ordine naturale delle cose. Essi derivano dal prestigio militare che la sconfitta non ha offuscato e da fattori geografici che sono peculiari alla Germania. Noi abbiamo raggiunto la parità di diritti con un notevolissimo anticipo rispetto ai tedeschi anche se a costo di grandi sacrifici (che peraltro non sono stati risparmiati alla Germania), ed abbiamo, sopratutto, evitato il travaglio di una lunga occupazione militare e di una divisione del territorio nazionale. Purtroppo, però, neppure oggi siamo in grado di avvalerci di quei fattori di prestigio militare, di stabilità politica e di forza economica che hanno segnato invece la ripresa della Germania sul piano internazionale. Abbiamo poi avuto un altro svantaggio. Le nostre pendenze territoriali, anche se risolte (il che non si è ancora verificato per la Germania), ci hanno portato in contrasto con i nostri alleati. Al contrario, l’unità tedesca è un problema che, con maggiore o minore sincerità, alimenta comunque una costante solidarietà tra Bonn, Washington, Londra e Parigi. Nella soluzione della questione triestina e di quella coloniale non avemmo gli alleati con noi, i tedeschi nel problema della riunificazione li trovano con loro; il nostro legittimo nazionalismo ha indebolito per anni la nostra posizione internazionale, quello tedesco la rafforza ed è destinato a rafforzarla per molto tempo ancora.

Viene anzi fatto di pensare che, se la politica sovietica fosse veramente intelligente e lungimirante, si indurrebbe ad accettare l’unificazione tedesca anche alle condizioni poste dagli alleati perché il rischio di una Germania troppo forte potrebbe costituire il miglior stimolo per una intesa dell’Occidente con Mosca. (Ed è a questo del resto che pensa Eden quando parla di una garanzia quadripartita tipo Locarno). La Germania divisa può divenire invece un pegno nella lotta tra i due blocchi; ed offrirle la possibilità di giuocare sui due fronti.

In questo senso, le condizioni attuali rappresentano per la Germania di Adenauer un «optimum». Non è abbastanza forte per dar ombra agli alleati occidentali (ad eccezione, forse, della Francia), ma è abbastanza forte perché il suo contributo politico, geografico e, tra poco, anche militare possa rappresentare un fattore concreto e notevolissimo dell’equilibrio europeo.

È difficile prevedere che cosa uscirà fuori da Ginevra. Ma è certo che una sistemazione, quale che debba essere, non sarà il risultato di una miracolistica decisione al tavolo della conferenza e che la distensione, se ad essa si giungerà, sarà la conclusione di un processo lungo e laborioso. È nel corso di tale processo – e proprio in virtù di esso – che dobbiamo prevedere una continuata affermazione del prestigio e delle posizioni tedesche: e dobbiamo sopratutto prevedere che quella eventualità, ventilata dall’Ambasciatore Brosio, di una specie di «standing group de facto», con partecipazione della Germania si realizzi concretamente.

Né potremo far molto per evitarlo. Quando gli inglesi (e il linguaggio è analogo a Parigi e Washington) ci dicono non essere opportuno che alcuna decisione sulla Germania sia presa senza che Adenauer venga consultato, essi non ricorrono a formule di circostanza, bensì dicono qualcosa che risponde alla logica ed alla necessità obiettiva, poiché, ripeto, l’equilibrio europeo – ed in larga misura quello mondiale – dipendono da ciò che accadrà della Germania ed in Germania.

Se la crescente influenza tedesca è dunque un fatto positivo ed incontestabile non è detto che nulla possiamo fare per limitare le conseguenze e i rischi di questo processo di riqualificazione. L’Ambasciatore Grazzi pone l’accento sulla necessità di vitalizzare l’U.E.O. in quanto strumento della politica europea. Sono pienamente d’accordo con lui. Già il 5 maggio scorso (mio rapporto 2271/1061)2 scrivevo: «Quella (l’U.E.O.) mi sembra la migliore sede per un coordinamento della politica alleata nei riguardi dei problemi Est-Ovest. Tali problemi hanno il loro fulcro nella questione tedesca. Fino a quando la Germania era considerata paese occupato, Londra (al pari di Parigi e Washington) poteva logicamente sostenere che la questione tedesca rientrava preminentemente nelle responsabilità delle tre potenze. Ma adesso che la Germania è entrata nell’U.E.O., tutti i paesi membri di tale organizzazione possono pretendere di avere una voce in capitolo, se non altro perché l’avvenire tedesco incide direttamente sui piani politici e militari dell’Occidente di cui tutti sono ugualmente, anche se in diversa misura, responsabili. Su questo punto mi pare dovremmo cautamente insistere anche per evitare che nei massimi problemi internazionali ad un direttorio occidentale a tre se ne sostituisca uno a quattro: con l’aggiunta cioè della Germania».

Dal punto di vista della politica continentale e, particolarmente, nella legittima preoccupazione di mantenere un certo equilibrio tra le forze in Europa, l’U.E.O. presenta il notevole vantaggio di costituire un «club» ristretto in cui non soltanto il peso specifico dell’Italia può essere maggiore, ma altresì l’azione politica del nostro paese può farsi sentire in maniera più efficace e diretta. Intendo dire che la carta dell’unione europea può essere giuocata anche in funzione moderatrice del peso politico oltre che militare tedesco. Ora è appunto nella valutazione della funzione politica dell’U.E.O. che sussiste ancora notevole incertezza. Si era visto l’U.E.O. come lo strumento di ricambio dell’integrazione europea. Questa integrazione, per i noti motivi, segna ora il passo e da qualche parte si è, per conseguenza, portati a giudicare l’U.E.O. con meno interesse. Per noi invece – e non per noi soltanto – l’interesse politico deve essere tenuto quanto mai presente perché se l’integrazione rappresenterebbe il metodo più sicuro per tenere a freno la Germania, la cooperazione a sette può, «faute de mieux», rappresentare intanto un fattore efficace di moderazione.

Mi rendo conto che il punto debole di tale ragionamento consiste nel fatto che gli Stati Uniti non fanno parte dell’U.E.O. Ciò può trattenere taluni Governi dal condividere la nostra tesi, e la Germania, per parte sua, ha interesse a muoversi sulla piattaforma del N.A.T.O., più che su quella dell’U.E.O., per continuare a sviluppare, nella maggiore libertà offertale in quella sede, il dialogo con Washington. Ma noi dovremmo poter trovare, con opera persuasiva, appoggi proprio nel più ristretto circolo dell’U.E.O., in quanto se possiamo nutrire qualche apprensione per la crescente influenza tedesca, tale apprensione non si limita soltanto a noi. Gli stessi inglesi, che sono oggi pienamente solidali con gli Stati Uniti nell’appoggiare la politica di Adenauer, sono pur sempre molto sensibili ai pericoli di una eccessiva affermazione dell’influenza tedesca e avranno certo interesse ad un nostro fiancheggiamento nella delicata ricerca dell’equilibrio fra Francia e Germania.

Quale sia tuttavia l’azione da svolgere, noi non dobbiamo cercare risultati immediati o spettacolari e di prestigio. La nostra non può essere che un’azione cauta e paziente diretta per il momento a «fare le ossa» di questo giovane organismo che ancora non ha completato la propria struttura tecnica ed a mala pena sta sperimentando le proprie possibilità in campo politico. Quello che per il momento conta è mettere in moto la macchina, attivamente contribuendo a far sì che, sul piano pratico, si crei quel complesso di interessi e di legami nei quali realizzare i risultati a cui miriamo.


1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Bonn, Parigi e Washington.


2 Non pubblicato.

64

IL CONSIGLIERE DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., DUCCI1,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 11710/1342. Bruxelles, 22 luglio 1955, ore 12,35 (perv. ore 16).

Oggetto: Riunione Commissioni.

Tre delle quattro Commissioni si sono aggiornate a settimana prossima dopo primo scambio di vedute. Commissione energia nucleare è riconvocata per venerdì 29, entro mercoledì dovrà pervenire breve rapporto circa regolamentazione interna nel campo energia nucleare e circa accordo internazionale cui Italia è parte. Consiglio ricerche nucleari informato telegraficamente.

Su svolgimento lavori Commissione energia classica, che procedono con qualche esitazione essendosi riconosciuta opportunità subordinarli a andamento studi in corso presso C.E.C.A. e O.E.C.E., e su eventuale partecipazione altri nostri Delegati sessione che avrà inizio martedì3, riferirà verbalmente Dottor Sandulli. Commissione trasporti ha avviato lavori per compilazione inventari delle vie e mezzi di comunicazione di interesse europeo. Ogni Delegazione presenterà entro 15 agosto inventari per quanto riguarda proprio paese. Commissione ha anche deciso convocare per mercoledì 27 gruppo lavori (Santoni) per preparare un documento concernente investimento ed altri circa difficoltà transito frontiera, da esaminarsi giorno 28 da Commissione plenaria4.


1 Membro della Delegazione italiana al Comitato Intergovernativo.


2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


3 Il 25 luglio.


4 Per il riepilogo dello stato dei lavori delle varie Commissioni al 31 luglio vedi D. 69.

65

IL CONSIGLIERE DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 11797/1371. Bruxelles, 23 luglio 1955, ore 11,40 (perv. ore 14,45).

Oggetto: Commissione mercato comune.

Dibattiti Commissione mercato comune si sono iniziati in atmosfera alquanto incoraggiante soprattutto se si (manca) l’ombra di una persistente opposizione francese di principio è scomparsa; e Clappier non (dico non) avuto difficoltà ad ammettere che ciò è dovuto migliorata congiuntura economica; olandesi sono receduti da loro rigida posizione a favore automatismo assoluto; tedeschi si mostrano assai cooperativi pur avendo insistito rigidamente che ogni progresso parziale verso mercato comune deve intendersi deficitario.

Su due punti è emerso accordo di massima: che gruppo Nazioni dovrà fin dall’inizio porsi in regola con G.A.T.T. e O.E.C.E. secondo uno dei sistemi consentiti (preferenza tedeschi, belgi, olandesi va a unione doganale piuttosto che a zona liberi scambi) e che quindi va stabilita data finale per restaurazione mercato comune.

Per superare le difficoltà circa rigido automatismo riduzione dogane e contingenti, belgi hanno proposto formula compromesso che ho inviato con Mattei. Secondo essa determinazioni successive tappe verrebbero affidate a conferenze periodiche Governi preparate da organi comuni; nel trattato verrebbero fissate alcune norme di massima che servirebbero di guida al ritmo ed alla misura dei progressi da conseguire. Tale sistema permetterebbe anche studiare la possibilità costruire ponte fra zona europea e Commonwealth.

È stata anche discussa tariffa comune e suo livello con abituale contrapposizione tra tesi Francia a favore tariffa elevata, anche per rafforzare posizione negoziati verso altre aree, e tesi Germania Benelux a favore basse tariffe. È stato comunque riconosciuto che termini G.A.T.T. tariffa non può essere superiore a media tariffe nazionali esistenti.

Da martedì a giovedì prossimo2 Commissione abborderà discussione altri punti contenuti nelle direttive armonizzazione politica economica, clausole salvaguardia. Spero ottenere presenza di Folco; pregherei considerare possibilità inviarmi anche Landriscina o altro esperto economico generale3.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Dal 25 al 27 luglio.


3 Per il seguito vedi D. 66.

66

IL CONSIGLIERE DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 12037/1391. Bruxelles, 27 luglio 1955, ore 20,50 (perv. ore 6,30 del 28).

Oggetto: Commissione mercato comune.

Commissione mercato comune riunitasi nuovamente 26 e 27 luglio ha esaminato problema relativo armonizzazione politica generale dei sei paesi. Ampio dibattito si è svolto sulle questioni connesse alla coordinazione dell’atteggiamento dei Governi paesi partecipanti riguardo problema del ritorno alla convertibilità.

In via generale si sono delineate due tendenze: una è dei Delegati Germania Belgio e Olanda che ritiene una divergenza temporanea delle politiche monetarie concernenti convertibilità non costituisca ostacolo per primo avvio mercato comune. Altra tendenza, sostenuta Delegato francese, vede nell’adozione convertibilità ostacolo importante sulla strada della creazione mercato comune.

Segretariato è stato incaricato preparare documento che sarà esaminato domani nel quale siano brevemente delineate possibilità tecniche di un primo avvio mercato comune in un sistema in cui alcuni paesi adotterebbero convertibilità delle loro monete e altri resterebbero inconvertibili, oppure in un sistema in cui si avessero paesi cui monete sarebbero convertibili in forme diverse2.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Vedi al riguardo D. 69.

67

IL PRESIDENTE DELL’ALTA AUTORITÀ DELLA C.E.C.A., MAYER,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

L. 31873. Lussemburgo, 29 luglio 1955.

Mon cher ministre et ami,

Je prie M. Cavaletti de vous faire parvenir cette lettre personnelle qui vous fera part de mes soucis concernant la ratification de notre Accord d’association avec la Grande-Bretagne1.

Vous réalisez certainement, comme moi, combien il serait désirable que cet accord fût actuellement en vigueur. Au moment où la Grande-Bretagne vient d’annoncer, pour dans quelques mois, des réductions très sévères de ses exportations de charbon, il eut été singulièrement utile que le Conseil d’association fût en fonction et que puissent s’y échanger les vues et s’y réaliser les consultations prévues par le Traité.

L’Italie, notamment, se trouve, dans mon opinion, puissamment intéressée à ce que les mesures puissent être prises d’un commun accord pour atténuer, dans toute la mesure du possible, les effets fâcheux et les perturbations pouvant résulter, dans l’approvisionnement de certains des pays de la Communauté, de la décision britannique.

C’est pourquoi je me permets d’intervenir à nouveau auprès de vous en ce qui regarde la procédure de ratification en Italie du Traité d’association avec la Grande-Bretagne. Puis-je me permettre de vous suggérer combien il serait désirable que la Commission des Affaires étrangères du Sénat puisse le rapporter aussitôt que possible devant cette haute assemblée, même si elle devait peut-être reprendre ses travaux quelques jours avant la rentrée parlementaire. Puis-je également vous demander s’il serait possible au Gouvernement de demander, lorsqu’il sera voté au Sénat, l’urgence pour le projet de loi à la Chambre des Députés.

J’espère que vous ne trouverez pas indiscrètes les indications qui précèdent et dont je me suis entretenu avec mon collègue et ami, M. Giacchero. Je vous demande de n’y voir que la preuve du souci permanent, qui est le mien, de faire avancer la réalisation d’un aspect très important de la coopération européenne à laquelle je sais que, comme moi, vous demeurez fidèlement attaché.

Je me réjouis à l’idée qu’il me sera possible de vous rendre visite à Rome, je l’espère au début du mois d’octobre, si cette époque vous convient. Et, dans l’attente de vos nouvelles, je vous prie d’agréer, mon cher ministre et ami, l’expression de mes très distingués et très cordiaux sentiments2.

Mayer


1 Il Trattato di associazione fra la C.E.C.A. ed il Regno Unito fu firmato il 21 dicembre 1954 ed entrò in vigore il 23 settembre 1955.


2 Per la risposta di Martino vedi D. 79.

68

IL MINISTRO CONSIGLIERE A PARIGI, TASSONI ESTENSE,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

R. riservato 1167/740. Parigi, 1° agosto 1955.

Oggetto: Dichiarazioni di René Mayer sulla C.E.C.A.

René Mayer, Presidente dell’Alta Autorità della C.E.C.A., ha esposto davanti a questi corrispondenti della stampa estera le sue prime impressioni, rientrando dal Lussemburgo.

Dopo aver esposto le buone condizioni nelle quali funziona la C.E.C.A. e l’autorità morale di cui gode presso i Governi, René Mayer ha espresso la sua assoluta convinzione che se i sei Governi che compongono attualmente la C.E.C.A. si fossero trovati soli, uno di fronte all’altro, nessuno dei grandi problemi che ha potuto risolvere l’Alta Autorità sarebbe stato abbordato.

René Mayer ha aggiunto: «È indispensabile, d’altra parte, che non ci si limiti a concepire la creazione di mercati comuni nel mondo, separabili gli uni dagli altri. Bisogna fare uno sforzo molto serio nel senso di un’apertura progressiva di un mercato comune generalizzato al mondo intero, anche se ci si dovrà arrivare per tappe successive e in forza di transizioni». Egli ha concluso affermando che per arrivare a questo risultato, occorre che tutti siano convinti che le tappe e la loro progressività siano lente ma sicure e che tutte le transizioni previste inizialmente abbiano un giorno a prendere fine.

69

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, SORO,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. 44/11532/c.1. Roma, 2 agosto 1955.

Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.

Dalle segnalazioni fin qui pervenute dalla Delegazione italiana al Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina, lo stato di avanzamento dei lavori delle varie Commissioni in seno al predetto Comitato per il rilancio europeo a tutto il 31 luglio u.s. può riassumersi come segue:

Commissione del mercato comune, degli investimenti e dei problemi sociali. Nelle riunioni del 26 e 27 luglio ha esaminato il problema relativo all’armonizzazione politica generale dei sei paesi. Un ampio dibattito si è svolto sulle questioni connesse al coordinamento degli atteggiamenti dei Governi dei paesi partecipanti in merito al problema del ritorno alla convertibilità. In via generale si sono delineate due tendenze: una dei Delegati tedeschi, belgi e olandesi, che ritiene che una divergenza temporanea delle politiche monetarie concernenti la convertibilità non costituisce un ostacolo al primo avvio del mercato comune. Altra tendenza, sostenuta dal Delegato francese, vede, nell’adozione della convertibilità, un ostacolo importante sulla via della creazione del mercato comune.

Il Segretariato è stato incaricato di preparare un documento nel quale siano brevemente delineate le possibilità tecniche di un primo avvio del mercato comune in un sistema in cui alcuni paesi adotterebbero la convertibilità delle loro monete, mentre altri resterebbero in regime di non convertibilità oppure in un sistema in cui si avessero paesi con monete convertibili in forme diverse.

Il documento del Segretariato, redatto da Bertrand dell’O.E.C.E. e Dellouvrier della C.E.C.A., ha formulato conclusioni piuttosto pessimistiche, mettendo in rilievo che l’unica via di uscita è che i paesi convertibili aiutino i paesi a regime di non convertibilità a superare le accresciute difficoltà loro derivanti dall’istituzione del mercato comune.

Tedeschi e belgi, interessati evidentemente a che il problema non si ponga come necessaria scelta fra mercato comune e convertibilità, hanno insistito sull’opportunità di non arrestarsi a tali difficoltà. Il Delegato francese ha ribadito che la questione merita approfondito esame e che al momento presente non conviene scegliere né l’una né l’altra ipotesi. In questo è forse da vedere un atteggiamento tattico da sfruttare in seguito.

Per motivi diversi ma convergenti è stato quindi deciso di rinviare la discussione a fine agosto a meno che il Comitato Direttivo non voglia riprenderla il 2 agosto2.

L’atteggiamento della Delegazione inglese è stato in questa prima settimana molto cauto, ma non privo di qualche elemento di interesse. Ad esempio gli interventi di Bretherton sono stati intesi a ricordare che la realtà del mercato comune si incaricherà di superare molte difficoltà che ora si presentano su di un piano concettuale, piuttosto che a dare rilievo a ostacoli e perplessità.

Egli ha insistito sulle esperienze del Commonwealth, citandolo come esempio di associazione priva di organi istituzionali permanenti: osservazione che non è caduta nel vuoto dato che la parola sopranazionale sembra divenuta «tabù» nella Conferenza. L’apporto britannico nelle commissioni tecniche è stato quasi nullo.

Sottocommissione degli investimenti. Ha discusso mercoledì 27 luglio circa il fondo di riadattamento e giovedì circa il fondo comune degli investimenti. Sulla prima questione sono emerse tre tesi: una predominante concepisce il fondo di riadattamento sul tipo di quello C.E.C.A. in favore dei lavoratori; la tesi francese vuole aggiungervi soccorsi per le imprese colpite dall’apertura del mercato comune; la tesi tedesca tende a riportare tutto ad un fondo investimenti, con erogazioni dirette a creare occupazione stabile.

Circa il fondo investimenti sono state esaminate le modalità di costituzione ed i criterii di selezione dei finanziamenti. Ad eccezione dei tedeschi, i quali insistono su criterii bancari di redditività e sul ricorso del fondo al mercato dei capitali anche estraneo alla Comunità, è stato generalmente affermato che il fondo dovrebbe servire a finanziare anche le «infrastrutture» oppure progetti non immediatamente produttivi di reddito. Non si è giunti però sinora ad una formulazione generale della questione.

Commissione energia classica. In seno alla Commissione per l’energia classica, riunitasi il 26 luglio, i Delegati dell’Alta Autorità hanno ribadito la nota tesi dell’impossibilità di stabilire una politica carbonifera indipendentemente da altre forme di energia e quindi la necessità di estendere l’integrazione a tale settore.

I Delegati nazionali non hanno mostrato molto calore per tale richiesta, e la Commissione ha continuato ad esaminare quanto è stato fatto o meglio quanto non è stato fatto finora dagli organismi esistenti in campo internazionale. Le riunioni saranno proseguite nella settimana dal l° al 7 agosto.

Commissione energia nucleare. Nella riunione del 29 luglio ha rapidamente esaminato i rapporti preliminari delle varie Delegazioni ed ha invitato le stesse a fornire al più presto ogni possibile chiarimento supplementare circa la legislazione mineraria dei giacimenti di uranio, torio, berillio, zirconio e litio, le attrezzature scientifiche ed i reattori esistenti o in progetto, gli impianti per la produzione di acqua pesante, i regolamenti per la protezione dalle radiazioni, nonché le spese effettuate per le ricerche nucleari nel 1953 e 1954 e quelle previste per gli anni ’55 e ’56.

La Delegazione francese ha promesso di far pervenire, prima della prossima riunione prevista per il 6 di settembre3, un memorandum che dovrebbe servire di base alle discussioni sulle applicazioni industriali dell’energia nucleare e sulle possibilità tecniche di una azione comune in materia.

Commissione dei trasporti. Ha chiarito i termini del proprio mandato e, sotto l’efficiente guida del Presidente Santoni, ha concordato un piano di lavoro per l’esame del progetto presentato dal Signor Lemaire all’Assemblea Consultiva di Strasburgo per una nuova organizzazione in materia di trasporti, nonché di quello del Signor Kapteijn presentato all’Assemblea Comune della C.E.C.A.

Pur avendo avuto le prime riunioni soprattutto carattere di orientamento, sono state tuttavia adottate delle decisioni per quanto riguarda la compilazione di un inventario della consistenza delle strade, dei canali, delle linee elettrificate, della standardizzazione delle dotazioni, nonché dei progetti e programmi stabiliti in materia.

La Commissione ha ritenuto inoltre di iniziare la trattazione di qualche problema concreto e si è soffermata sulla questione della accelerazione e semplificazione dei trasporti alla frontiera e su quella degli investimenti. Ha quindi incaricato un Sottocomitato, la cui presidenza è stata affidata all’Italia, di compilare un elenco delle difficoltà che oggi intralciano il transito alle frontiere ed una nota relativa alle necessità ed alle realizzazioni in materia di investimenti nel settore dei trasporti da sottoporre poi alla Commissione del mercato comune.

Tutte le Delegazioni si sono trovate d’accordo sui seguenti punti:

- il settore trasporti è già in uno stadio avanzato della collaborazione internazionale soprattutto rispetto ad altre attività;

- gli organismi esistenti, ed in particolare la Conferenza europea dei Ministri dei Trasporti, sembrano poter ben rispondere alle esigenze attuali;

- se pure nuovi indirizzi politici, ed in particolare la creazione di un mercato comune, comporteranno nuovi atteggiamenti e nuovi strumenti di collaborazione, occorre molta prudenza nell’innovare;

- in ogni caso, dovranno essere accuratamente studiati i rapporti tra nuove eventuali organizzazioni e gli strumenti di collaborazione internazionale già esistenti;

- nel settore dei trasporti è più difficile che in altri settori restringere la collaborazione ad un numero limitato di paesi europei;

- tenuto conto dell’importanza e della complessità che vanno assumendo gli affari internazionali in materia di trasporti, occorre che la attività relativa sia sempre assiduamente seguita e coordinata in ogni paese. Spesso, infatti, i problemi sono stati affrontati e risolti, ma è mancata la base di attuazione ed il coordinamento fra quanto realizzato in seno alle diverse organizzazioni internazionali.

È stata decisa l’istituzione di una Sottocommissione poste e telecomunicazioni.

Sottocommissione dei trasporti aerei. Ha studiato la proposta francese di costituire una società per l’acquisto in comune di materiale di volo ed ha deciso di diramare in proposito un questionario alle società di navigazione aerea onde conoscere il loro avviso.

Il 2 agosto corrente si è riunito il Comitato di direzione, per esaminare i risultati dei lavori delle Commissioni e impartire, ove necessario, nuove direttive2.


1 Diretto alla Presidenza del Consiglio, ai Ministeri del Bilancio, Tesoro, Finanze, Difesa, Lavori Pubblici, Trasporti, Industria e Commercio, Lavoro, Commercio Estero, Poste e Telecomunicazioni, alla Confederazione Generale dell’Industria Italiana, al Centro Italiano Ricerche Nucleari, alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Parigi e Washington, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E, a Parigi, e presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, alla Legazione a Lussemburgo e per conoscenza alle Direzioni Generali dell’Emigrazione, degli Affari Politici e degli Affari Economici.


2 Vedi D. 71.


3 Vedi D. 83.

70

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1. Roma, 2 agosto 1955.

Il Comunicato di Messina2, nella sua prima parte, mette in rilievo quali siano stati gli scopi che si sono prefissi i sei Ministri:

a) la nuova tappa da percorrere nella costruzione europea va ricercata nel settore economico;

b) l’unità dell’Europa va ricercata nello sviluppo di «istituzioni comuni», nella «funzione progressiva» delle economie nazionali, nella creazione di un «mercato comune» e nell’armonizzazione progressiva delle «politiche sociali»;

c) tale politica è indispensabile per conservare all’Europa il suo posto nel mondo, la sua influenza ed aumentare il livello di vita dei suoi popoli.

In altre parole, per realizzare gli obbiettivi politici fissati nel par. c), si è ritenuto unanimemente che la via da percorrere passa anzitutto nel dominio dell’economia ed i modi per tali realizzazioni sono stati concordemente indicati nel par. b).

Un primo risultato può quindi considerarsi raggiunto dalla Conferenza di Messina; le dispute che precedettero e seguirono il dibattito di ratifica della C.E.D. al Parlamento francese – se la unità europea potesse più opportunamente essere raggiunta per la via dell’integrazione politico-militare o per la via dell’integrazione economica – hanno trovato una risposta unanime dei sei Governi che hanno indicato il settore economico come quello più propizio al rapido realizzarsi di forme di unione più strette fra i paesi europei. Si è ritornati quindi all’idea ispiratrice dell’O.E.C.E. e della C.E.C.A.; è nella costituzione di legami sempre più stretti fra i diversi interessi economici nazionali, che si trova la maggior possibilità di costruire una base comune, sufficientemente solida, della costruzione europea.

Su questa base verrà a formarsi a poco a poco, in ragione della comunanza di interessi e della constatazione dell’aumento generale del livello di vita, la coscienza della necessità di istituzioni politiche comuni: per cui il metodo scelto dai Ministri, lungi dall’abbandonare gli obbiettivi finali dell’integrazione politica in generale, ha riconosciuto che, in considerazione della situazione obbiettiva attuale, la via più adatta e più promettente di frutti è quella che passa per l’integrazione economica.

La crisi di sfiducia che, di fronte a questo interrogativo – del cosiddetto «approach» – si era aperta col fallimento della C.E.D., è stata chiusa con la considerazione solenne del volere unanime dei sei Governi di procedere con concentrazione di sforzi in un’unica direzione.

Un secondo aspetto della crisi seguita al fallimento della C.E.D. era rappresentato dall’interrogativo – oggetto esso pure di infinite polemiche – se un’integrazione europea fosse possibile solo col metodo cosiddetto «sopranazionale» e anche col metodo della «cooperazione intergovernativa».

Non è questo il luogo per riassumere tutti gli argomenti dell’una e dell’altra parte, che indicavano rispettivamente nell’O.E.C.E. e nella C.E.C.A. i modelli della riuscita pratica del metodo da ciascuna auspicato. Quel che importa rilevare è che la Conferenza di Messina, anche se nel comunicato non ne è cenno espresso, sembra segnare un tentativo di superamento dell’alternativa finora posta in maniera rigida.

Nel corso dei dibattiti dei Ministri infatti è emerso abbastanza chiaramente che da un lato la scelta aprioristica dell’uno o dell’altro metodo rischia di far fallire gli sforzi unanimi, date le condizioni obbiettive dell’opinione pubblica e dei Parlamenti nei sei paesi, e dall’altro appare per il momento superflua, in quanto soltanto l’analisi delle condizioni di fatto esistenti nei singoli settori dell’economia permetterà di accertare le possibilità pratiche dell’adozione dell’uno o dell’altro metodo; in un secondo tempo, fatte le prime esperienze, sarà possibile passare dall’una all’altra forma, secondo il grado di integrazione effettiva raggiunta fra le economie nazionali e la necessità, dell’esperienza, di risolvere i conflitti mediante un potere superiore ed in qualche modo estraneo ai Governi nazionali.

Un terzo interrogatorio3 appare risolto dalla Conferenza di Messina: quello dell’estensione geografica dell’integrazione europea. Anche in questa materia sono noti i dibattiti fra i sostenitori della «grande Europa», anche se sono4 integrata, e della «piccola Europa» più integrata.

Tale dibattito si riferisce soprattutto alla partecipazione o conclusione5 della Gran Bretagna.

La Conferenza di Messina ha tracciato, sulla scorta delle esperienze fatte dalla C.E.C.A., una linea di soluzione, che potrebbe dare buoni frutti. L’invito a partecipare agli studi è stato esteso alla Gran Bretagna, che l’ha accettato; anche in questo problema saranno l’andamento degli studi, l’accertamento delle possibilità concrete di partecipazione o di associazione della Gran Bretagna alle nasciture forme di integrazione, l’esperienza dei primi risultati a fornire presumibilmente la risposta caso per caso.

Tali considerazioni valgono anche per gli altri paesi dell’Europa Occidentale, in particolare la Svizzera e l’Austria, geograficamente vicine ed economicamente interessate a tutte le trasformazioni in atto nei sei paesi.

Risolti in questo modo gli interrogativi di carattere generale che erano rimasti in sospeso, le polemiche succedute alla crisi della C.E.D. hanno perduto molto di vigore e un nuovo clima di collaborazione, di reciproca fiducia e buona volontà si è ristabilito.

Le decisioni sui singoli punti del problema che era posto alla Conferenza si ispirano ai principali esposti della Risoluzione finale della Conferenza e si possono riassumere in sintesi come segue:

Istituzione di un comitato di esperti, incaricato di studiare e preparare progetti di integrazione, più o meno spinti a seconda delle possibilità concrete, nel settore dell’energia classica, dell’energia nucleare a scopi pacifici, dei trasporti, dei problemi sociali, quali elementi base della creazione di un mercato comune. È stato infatti riconosciuto che la soluzione principale del problema di una integrazione economica si trova nell’istituzione del mercato comune, ossia nell’abolizione di tutte le barriere alla libera circolazione delle merci, dei capitali e della mano d’opera, le forze economiche dei sei paesi si troveranno così ad operare in condizioni di concorrenza, per quanto possibile libera, e attraverso la realizzazione del processo produttivo, si realizzerà un aumento della produttività e quindi del benessere generale. Come correttivo agli squilibri temporanei, che l’apertura del mercato comune potrà provocare, la Conferenza ha previsto la creazione di un fondo comune per gli investimenti di riconversione e per il riadattamento della mano d’opera licenziata.

Adottato tale metodo si è cercata anche la soluzione di un altro dibattuto problema: integrazione verticale o orizzontale: si sono messe allo studio le due soluzioni, nell’intento di farle, possibilmente, progredire insieme.

D’altra parte la Conferenza, con idea innovatrice nei confronti di quanto finora è stato fatto in campo internazionale, ha deciso che sia studiata la creazione di un fondo di investimenti europeo, che avrà lo scopo di sviluppare le possibilità economiche europee e le regioni meno favorite.

Deve essere sottolineato il carattere marcatamente «europeo» di tale nuova idea sotto un duplice aspetto.

L’unione degli sforzi nel campo finanziario sarà indirizzata verso lo sviluppo delle capacità produttive «europee», di quelle cioè che trascendono i limiti delle frontiere nazionali per espandersi su tutto il territorio comune. Non è chi non veda quale sia la portata politica di tale indirizzo, che tende alla creazione di vincoli fra gli interessi economici nei diversi paesi di tale ampiezza e profondità, che ben difficile diverrà lo scioglierli, mentre i ceti economici si troveranno condotti a ragionare ed operare in termini europei e non più di concorrenza fra economie nazionali. D’altro canto il compito di sviluppare le aree meno favorite imprime al fondo un carattere squisitamente politico; la possibilità di intervento a scopi non esclusivamente economici, ma anche sociali fa sì che il fondo possa, anche in mancanza di istituzioni europee sopranazionali, adempiere alla funzione propria del potere centrale nello Stato moderno, che è quella di scegliere operazioni di investimento che, non essendo dettate da obbiettivi di carattere strettamente economico a breve termine, non attirano l’attenzione degli operatori economici, ma rivestono un carattere di utilità più generale: quello di portare aree, il cui sviluppo economico è rimasto arretrato, al livello delle altre, redistribuendo il lavoro e la ricchezza più equamente mediante uno sforzo comune.

I sei Ministri infine hanno voluto provare all’opinione pubblica ed alle categorie interessate la loro ferma volontà di procedere sulla via tracciata, fissando senz’altro le scadenze cui hanno dato avvio.

Il 5-6 settembre si riuniranno per udire dal Comitato di esperti un rapporto sullo stato di avanzamento dei lavori6; il 1° ottobre si riuniranno di nuovo per esaminare le proposte finali che il Comitato avrà formulato7.

È stato quindi posto termine alla crisi dell’integrazione europea, che si era aperta col fallimento della C.E.D., e l’importante processo degli ultimi anni, tenendo a cercare, in ogni possibile direzione e forma, il modo di sboccare all’unione europea, è stato rimesso in movimento: con obbiettivi più limitati e possibilisti forse, ma ben individuati, con una concentrazione di sforzi che sembra garanzia di buoni frutti.


1 Trasmesso da Cattani alle Ambasciate a Parigi, Bonn, L’Aja, Bruxelles, Washington e Londra, alla Legazione a Lussemburgo e per conoscenza alle Direzioni Generali degli Affari politici e dell’Emigrazione (Telespr. 44/12096 del 12 agosto) con la seguente indicazione: « … Tale appunto è stato preparato per S.E. il Ministro a richiesta di un membro del Parlamento».


2 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.


3 Sic. Si intenda: interrogativo.


4 Sic. Si intenda: meno.


5 Sic. Probabilmente si intende associazione.


6 Vedi D. 85.


7 La successiva riunione dei Ministri degli Esteri ebbe luogo a Bruxelles l’11-12 febbraio 1956, vedi D. 132.

71

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1.

Oggetto: Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina per l’integrazione economica europea.

Il 2 agosto u.s. ha avuto luogo a Bruxelles la riunione del Comitato di direzione del Comitato Intergovernativo, istituito nel corso della Conferenza di Messina per l’integrazione economica europea. Da parte nostra hanno partecipato, oltre al Presidente della Delegazione On. Benvenuti, l’Ambasciatore Cattani, il Ministro Cavalletti e il Consigliere Ducci.

Il Comitato Direttivo, presieduto dal Ministro Spaak, ha invitato i Presidenti delle quattro Commissioni e delle tre Sottocommissioni a riferire sull’andamento dei lavori di rispettiva competenza.

Commissione trasporti e lavori pubblici. In assenza del Presidente Prof. Laloni, ha riferito l’Ing. Santoni. Egli ha comunicato che è stato quasi completato l’inventario dei documenti ufficiali esistenti, al fine di stabilire una carta delle vie di comunicazioni d’interesse europeo e gli elementi fondamentali concernenti le caratteristiche tecniche e la potenzialità delle vie stesse.

Per quanto attiene ai programmi ed ai piani in corso di esecuzione, o in preparazione, l’ing. Santoni ha dichiarato che i membri della Commissione stanno preparando un inventario, per quanto possibile completo, che verrà trasmesso al Segretariato della Conferenza entro il 15 agosto p.v.

Circa l’esame del rapporto sul primo anno di attività della Conferenza Europea dei Ministri dei Trasporti (C.E.M.T.) e dei rapporti dei Signori Lemaire (C.E.C.A.) e Kapteijn (Consiglio d’Europa) sulla cooperazione europea in materia di trasporti, il relatore ha fatto presente che, data la complessità dei problemi da essi sollevati, si è resa necessaria una prima fase di orientamento; solo successivamente sarà possibile chiarire la posizione di ciascuna Delegazione nei confronti dei documenti predetti.

Non appena tale studio sarà concluso, verrà predisposto un elenco dei principali problemi da risolvere.

L’Ing. Santoni ha fatto infine osservare che l’analisi dei problemi concernenti l’armonizzazione dei trasporti potrà essere portata a termine soltanto quando si conosceranno le conclusioni a cui perverrà nel suo settore la Commissione del mercato comune; e ciò per la stretta dipendenza esistente tra il compito assegnato alla Commissione dei trasporti con la materia trattata dalla Commissione del mercato comune.

Al termine dell’esposizione dell’Ing. Santoni, il Presidente Spaak ha concluso lodando la Commissione per l’esauriente compilazione dell’inventario nonché per l’accurato esame della documentazione esistente, rilevando peraltro come avesse in questa prima fase accantonato l’esame dei problemi essenziali ed in particolare le questioni connesse con l’armonizzazione dei trasporti.

Il Presidente ha quindi invitato l’Ing. Santoni, nella sua qualità di sostituto del Presidente della Commissione, a dare nuove direttive ai membri della Commissione stessa, affinché siano in grado, per la prossima riunione del Comitato Direttivo, di avanzare proposte concrete sulla politica dei trasporti nell’ipotesi di una realizzazione del mercato comune.

Sottocommissione trasporti aerei. Il Signor Wegerdt (tedesco), Presidente della Sottocommissione dei trasporti aerei, ha riferito che, da parte francese, era stata proposta la creazione di una società internazionale per l’acquisto del materiale di volo. La proposta stessa era stata subito messa allo studio della Sottocommissione, ottenendo un consenso generale di massima. Il relatore ha pertanto suggerito al Comitato Direttivo l’opportunità di far subito diramare a tutte le compagnie aeronautiche interessate un questionario in merito alla costituzione della società stessa.

Nell’accogliere la proposta, il Comitato Direttivo ha quindi invitato il Segretariato a provvedere alla diramazione del questionario con preghiera alle società di far pervenire le loro risposte per il 25 agosto 1955.

Il Signor Wegerdt ha quindi riassunto alcuni studi effettuati dalla Sottocommissione in merito ai problemi delle «facilitazioni» ed alla «economia dei trasporti aerei».

Circa le «facilitazioni» si è limitato ad accennare ad alcuni problemi che potranno esser risolti soltanto in avvenire ed a seconda dello sviluppo che assumerà la cooperazione aerea e cioè: controllo unico sui passeggeri e le merci al luogo di sbarco; libera circolazione dei cittadini dei sei paesi su presentazione di una carta di identità; abolizione delle discriminazioni esistenti nel controllo traffico passeggeri fra i trasporti terrestri e quelli aerei.

Per quanto concerne l’«economia dei trasporti aerei» ha esaminato alcune possibilità di cooperazione tra i sei paesi nel settore degli scambi di rotte ed in quello della «canalizzazione» (scambio equipaggi) accennando ad alcuni possibili metodi che potrebbero essere adottati per ridurre i costi di esercizio delle linee aeree.

A tale riguardo i rappresentanti delle compagnie aeree sono stati invitati a compilare uno studio delle correnti di traffico esistenti fra i sei paesi sulle quali potrebbe esser utile iniziare la canalizzazione e lo scambio di rotte.

Al termine dell’esposizione, il Presidente Spaak si è felicitato per l’andamento dei lavori della Sottocommissione per i trasporti aerei ed ha invitato i rappresentanti dei vari Governi a sollecitare dalle compagnie aeree pronte risposte al questionario che è stato ad esse diramato dal Segretariato della Conferenza.

Commissione per l’energia classica. Il Presidente della Commissione per l’energia classica, Signor Heesemann, ha fatto una circostanziata relazione sull’andamento dei lavori della sua Commissione.

Egli ha precisato che è già stato proceduto ad un approfondito esame degli studi finora effettuati dalla C.E.C.A. e dall’O.E.C.E. ma che non era ancora in grado di presentare al Comitato Direttivo dei risultati definitivi in quanto gli studi stessi non sono ancora stati completati.

Il Signor Heesemann ha richiamato quindi l’attenzione dei Delegati sulla necessità che ciascun paese predisponga un «bilancio dell’energia» impostato su basi e caratteristiche uniformi. Egli ha inoltre sottolineato che, per quanto concerne i problemi economici dell’energia (carbone, petrolio, gas ed elettricità), occorre considerare i vari settori come un tutto inseparabile.

Alla luce dei lavori compiuti, i problemi essenziali che si presentano sono i seguenti:

- politica energetica generale;

- struttura dell’approvvigionamento di energia;

- bilancio dell’energia;

- basi legali ed amministrative dell’economia energetica nei diversi paesi (organizzazioni);

- regime fiscale dei diversi tipi di energia;

- regime doganale (esterno);

- modi di fissazione dei prezzi;

- struttura dei prezzi;

- sicurezza dell’approvvigionamento (importazioni dei paesi terzi);

- copertura del fabbisogno in periodi di maggior richiesta;

- struttura e problemi del mercato nell’economia energetica;

- valorizzazione delle sorgenti di energia;

- importanza del fattore «salario» per la politica in materia di energia e concorrenza dei tipi di energia;

- utilizzo razionale dell’energia;

- sana concorrenza tra le diverse fonti di energia;

- investimenti.

Per quanto riguarda gli investimenti nel settore dell’energia, il relatore ha fatto presente che potranno esser studiati soltanto in relazione ai risultati a cui perverrà la Sottocommissione per gli investimenti, mentre i problemi istituzionali saranno affrontati solo al termine dei lavori al fine di ottenere la migliore armonizzazione delle esigenze tecniche con quelle politiche.

Commissione per l’energia nucleare. In assenza del Presidente Armand ha preso la parola il Signor Guillaumat (francese) il quale ha dichiarato di aver ricevuto dai sei paesi membri della C.E.C.A. e dal Regno Unito una circostanziata relazione sulla situazione nel campo dell’energia nucleare.

I documenti verranno presi in esame dalla Commissione alla fine della Conferenza di Ginevra per l’energia atomica.

Il Signor Guillaumat ha promesso che nel corso della Conferenza suddetta i Delegati dei paesi interessati si scambieranno le loro idee in merito al rapporto da presentare al Comitato Direttivo.

Il Presidente Spaak, prendendo atto della dichiarazione, ha pregato il Signor Guillaumat d’iniziare nuovamente i lavori non appena terminata la Conferenza di Ginevra.

Commissione per il mercato comune. Il Delegato olandese Linthorst-Homan, in assenza del Presidente Prof. Verrijn-Stuart, ha riferito circa l’operato della Commissione.

Egli ha esordito facendo una lunga esposizione in merito alla unificazione del regime doganale, ed è passato poi ad esporre i sistemi che, per raggiungere tale obbiettivo, sono stati posti allo studio della Commissione. Essi sono:

a) tariffa doganale comune fra i paesi partecipanti (unione doganale);

b) conservazione delle tariffe esistenti con l’istituzione di meccanismi intesi ad evitare la deviazione dei traffici (zona di libero scambio).

Secondo alcune Delegazioni sarebbe in un primo momento più opportuno addivenire all’istituzione di una «zona di libero scambio» per giungere poi, attraverso determinate tappe, all’«unione doganale» vera e propria.

La Commissione ha tuttavia fin d’ora affrontato l’esame della questione del livello della tariffa comune. Su tale problema alcune Delegazioni hanno sostenuto la necessità di fissare un livello tariffario comune elevato, mentre altre si sono mostrate partecipi della tesi contraria.

Ambedue i sistemi comportano vantaggi e svantaggi: sarebbe pertanto opportuno orientarsi verso un tipo di tariffa media che sarebbe, fra l’altro, conforme alle disposizioni del G.A.T.T.

Il relatore ha poi fatto cenno allo studio, attualmente in atto, concernente i fattori suscettibili d’influire sul libero gioco della concorrenza.

A tale riguardo è stata raccolta una notevole documentazione sulla base degli studi già effettuati dalla C.E.C.A., dall’O.E.C.E. e dalla Comunità Politica Europea, nonché in base a quelli condotti per la preparazione della Carta dell’Avana.

Il Vice-Presidente ha poi ricordato che è stato affrontato, ma non ancora risolto, il problema della coesistenza di paesi convertibili ed inconvertibili in seno al mercato comune.

Un vivo elogio è stato rivolto all’Alta Autorità per la presentazione di una nota sull’«integrazione economica generale», nota che dà un apporto sostanziale agli studi per la preparazione di un mercato comune.

Lo stesso Presidente Spaak, nel ringraziare il relatore della Commissione, ha pregato questi di prendere come base dei suoi prossimi lavori la suddetta nota.

Sottocommissione per gli investimenti. Il Presidente della Sottocommissione, Prof. Di Nardi, ha fatto un’ampia esposizione sui lavori svolti dalla Sottocommissione in materia di fondo per gli investimenti e di fondo di riadattamento.

Circa il primo punto ha dichiarato che è in corso l’inventario della documentazione esistente in materia d’investimenti ed in particolare di quanto è stato fatto dalle organizzazioni internazionali (C.E.C.A., O.E.C.E., etc.).

Ha quindi precisato che gli studi della Commissione sono orientati nel seguente modo:

a) esame degli obbiettivi che dovrebbero essere raggiunti mediante la costituzione di un fondo di investimenti. Essi potrebbero essere:

1. finanziamento di progetti aventi per scopo lo sviluppo delle regioni meno favorite degli Stati partecipanti;

2. finanziamenti di determinati progetti che presentino un interesse di carattere europeo;

3. facilitazione del movimento dei capitali.

b) ricerca delle risorse da destinare alla costituzione del fondo:

1. mediante contributi degli Stati membri;

2. mediante prestiti degli Stati membri;

3. con ricorso al mercato dei capitali.

c) funzionamento del fondo:

1. organizzazione del fondo stesso;

2. forma giuridica;

3. regolamentazione a cui verranno sottoposti i progetti per il finanziamento.

Il Prof. Di Nardi ha quindi fatto presente che alcune Delegazioni concepiscono, in linea di massima, il fondo come una banca europea che faciliti gli investimenti nell’area della Comunità, concedendo prestiti ad interesse ed attingendo le sue risorse dal libero mercato dei capitali. Egli ha fatto presente che se tale tesi dovesse essere adottata, il fondo finirebbe per finanziare soltanto iniziative private trascurando così un settore, la cui rilevante importanza è stata esplicitamente riconosciuta dal Comunicato della Conferenza di Messina, e cioè quello delle infrastrutture di interesse generale le quali, pur non dando profitti immediati comportano, a lungo termine, un aumento della produttività che si ripercuote nei vari settori dell’economia.

Sarebbe pertanto necessario che il fondo avesse anche la funzione di finanziatore delle infrastrutture al fine di poter operare come correttivo alle disuguaglianze di sviluppo economico che sarebbero accentuate dall’apertura del mercato comune.

Circa il «fondo di riadattamento» il Presidente della Sottocommissione ha dichiarato che, sia pure con l’opposizione di una Delegazione (tedesca), sembrava prevalere la tesi secondo cui il fondo stesso avrebbe dovuto essere destinato a soccorrere gli operai costretti alla disoccupazione dall’apertura del mercato comune.

La Delegazione francese ha poi fatto presente che il fondo dovrebbe essere utilizzato anche per concedere aiuti diretti alle imprese che verranno colpite dall’apertura del mercato comune.

Sottocommissione per le questioni sociali. Il Presidente della Sottocommissione Signor Doublet (francese) ha dichiarato che è in atto lo studio della documentazione esistente in seno alla C.E.C.A., all’O.E.C.E., ed al Consiglio d’Europa, nonché di quella preparata in occasione dei lavori per la Comunità Politica Europea. Quindi ha esposto le basi del suo programma di lavoro che concernono:

a) libera circolazione delle persone;

b) armonizzazione dei modi di formazione dei salari diretti ed indiretti, compresi i salari per il personale femminile;

c) armonizzazione progressiva dei regolamenti nazionali in vigore;

d) armonizzazione dei regimi esistenti in materia di previdenza sociale.

Il Signor Doublet ha affermato che un apporto sostanziale ai lavori della Sottocommissione sarà dato dai risultati che si otterranno a Strasburgo, da parte del Consiglio d’Europa il quale sta da tempo studiando la materia. Egli pertanto riterrebbe opportuno attendere il completamento di tali studi prima di esporre delle proposte concrete.

Il Ministro Spaak ha obbiettato che, pur ritenendo utile che la Sottocommissione si avvalga dell’esperienza delle altre organizzazioni internazionali, era tuttavia necessario che essa approfondisse per suo conto il problema e presentasse, non più tardi della fine di agosto, le sue proposte.

Il Signor Doublet ha assicurato che la Sottocommissione farà il possibile per completare i suoi studi entro il termine fissato.


1 Diretto da Bobba agli stessi destinatari di cui al D. 69, nota 1, con Telespr. 44/12579 del 23 agosto.

72

IL MINISTRO CONSIGLIERE A PARIGI, TASSONI ESTENSE,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 1171/744. Parigi, 2 agosto 1955.

Oggetto: Direttive della politica francese sulla cooperazione atomica europea.

Riferimento: Seguito ris. 1133/7161.

Come era da aspettarsi, le dichiarazioni di Palewski al giornale «Le Monde» sulla cooperazione atomica hanno urtato la suscettibilità dei Ministri dell’M.R.P. Subito dopo l’intervista, questi ultimi hanno chiesto a Faure che il Governo precisi, una volta per sempre, la sua posizione di fronte al programma di Messina.

La «chiarificazione» è avvenuta nel corso di una riunione di un Comitato interministeriale, alla quale hanno partecipato Faure, Pinay, i Ministri dell’M.R.P., Palewski e Gaillard, il Capo della Delegazione francese al Comitato di Bruxelles.

Dopo una discussione in cui Palewski ha calorosamente difeso la sua tesi dell’autonomia dei singoli programmi nazionali, e Henry Teitgen2 ha sostenuto la necessità di una organizzazione superstatale che controlli tutte le iniziative atomiche dei paesi membri, il compromesso si è raggiunto su una formula che, almeno in principio, sembra soddisfare le istanze europeiste e che, se non altro, ha avuto l’immediato effetto di far ritirare al Presidente del Gruppo parlamentare dell’M.R.P., Robert Lecourt, un’interpellanza contro il Governo.

La dichiarazione finale del Comitato interministeriale afferma che «il Governo resterà fedele alla sua politica di costruzione dell’Europa, ma attraverso tappe prudenti e graduali». Questa cauta concessione all’europeismo dei repubblicani-popolari è stata necessaria per mantenere unita la compagine governativa. Ma un sistema superstatale, come quello prospettato da Teitgen, oltre a non avere alcuna probabilità di essere approvato dal Parlamento francese attuale, è diventato irrealizzabile – tra i sei paesi che avevano aderito al programma di Messina – dopo la conclusione del nuovo accordo atomico tra i belgi e gli americani.

In pratica, quindi, la politica atomica francese continuerà a seguire la direttive tracciate da Palewski e dai suoi amici dell’Alto Commissariato, e che Faure e Pinay, del resto, condividono.

Infatti, il memorandum per la creazione di una «agence» atomica europea, proposto in questi giorni dal Governo francese come base di discussione per la Commissione di Bruxelles3, riproduce esattamente il progetto che Gaillard ha già presentato nella riunione del Comitato di direzione e che, come ho accennato nel mio precedente rapporto, è stato impostato sugli stessi criteri enunciati da Palewski nell’intervista al «Monde».

Non è difficile prevedere quale sarà la reazione belga di fronte a questo nuovo contributo francese alla «costruzione graduale dell’Europa»!


1 Del 25 luglio, non pubblicato, avente il seguente oggetto: «Intervista di Palewski al giornale “Le Monde” sulla cooperazione atomica internazionale. Orientamenti della politica francese».


2 Pierre-Henri Teitgen.


3 Vedi D. 62, nota 2.

73

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 12402/1491. Bruxelles, 3 agosto 1955, ore 19,53 (perv. ore 24).

Oggetto: Riunione Comitato Direttivo.

Riunione 2 agosto del Comitato Direttivo2 ha servito, oltre che a esaminare stato lavori delle varie Commissioni, a mettere in più giusta luce compito e scopo finale Conferenza Bruxelles. È infatti naturalmente emerso da dibattiti, ed è stato più volte sottolineato da Spaak, che elemento fondamentale inazione che caratterizza lavori in corso è studio possibilità di addivenire ad accordo su costituzione mercato comune. Nei settori tecnici ed in quelli sociali, qualora non si adotti tale angolo visuale, possono infatti ottenersi solo accordi natura limitata, e che è discutibile non siano più facili ad aversi in organismi internazionali più vasti. Ciò che interessa accertare a Bruxelles è quale politica trasporti, energia, investimenti ecc. debba adottarsi per avviare e consolidare mercato comune.

Ciò non esclude affatto studio alcuni programmi concreti e particolari; sono naturalmente questi che stanno maggiormente a cuore a Delegazione francese che ha nuovamente chiesto approfondimento sue proposte in materia fondo stradale, società di navigazione aeree per traffico intercontinentale, progetti [ ... ]3 e Bonnefous. Nessuna discussione si è avuta in materia energia nucleare, in attesa risultati Conferenza Ginevra.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Vedi D. 71.


3 Parola illeggibile.

74

IL CAPO DELL’UFFICIO IV DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. 44/122661. Roma, 16 agosto 1955.

Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.

COMMISSIONE DEL MERCATO COMUNE

Con riferimento al telespresso circolare n. 44/11532/c. del 2 agosto u.s.2 si trascrivono qui di seguito ulteriori particolari circa i lavori della Commissione per il mercato comune del Comitato Intergovernativo per il rilancio europeo.

Nella prima riunione del 22 luglio sono state discusse le misure tendenti a facilitare l’unificazione progressiva del regime doganale nei riguardi dei paesi terzi3. Il Segretariato ha in seguito riassunto le discussioni in apposito documento pubblicato con il numero 56.

Allorché il documento n. 56 è stato distribuito, il Rappresentante francese ha sottolineato di ritenere praticamente impossibile l’instaurazione iniziale di «una zona di libero scambio» destinata a trasformarsi in una «unione doganale e economica».

Nel corso della discussione sul livello della tariffa doganale comune il Delegato olandese ha accennato ad uno studio compiuto nel 1953 dalle Autorità del suo paese per stabilire un confronto fra il livello della tariffa doganale del Benelux e quello dell’insieme dei paesi C.EC.A. I risultati di tale studio sono stati poi diramati nel documento n. 90.

Il Capo della Delegazione italiana ha fatto presente che sarebbe forse opportuno se da parte nostra si provvedesse ad un analogo confronto fra il livello della tariffa doganale italiana e quello degli altri paesi della Comunità Europea Carbone e Acciaio.

In relazione a tale suggerimento si pregano i Dicasteri del Commercio con l’Estero e delle Finanze di voler compiacersi esaminare una tale eventualità.

Nei giorni 26, 27 e 28 luglio la Commissione del mercato comune si è nuovamente riunita per l’esame delle questioni relative alla armonizzazione delle politiche economiche, commerciali e monetarie4.

Allo scopo di coordinare la discussione, il Presidente ha elaborato un breve documento (n. 58) nel quale i problemi appaiono divisi in due grandi settori e cioè:

a) problemi connessi al coordinamento delle politiche monetarie;

b) problemi connessi all’armonizzazione della politica economica generale al fine di creare lo condizioni di una equa concorrenza all’interno del mercato comune.

La discussione si è iniziata intorno al problema della possibilità o meno di iniziare un processo integrativo tra paesi che seguono diversi atteggiamenti nei riguardi della convertibilità delle loro monete.

I Rappresentanti dell’O.E.C.E. e della C.E.C.A. hanno sottolineato in una nota (doc. 81) che in tal modo verrebbero a sorgere una serie di difficili problemi. Da un lato quelli derivanti dal fatto che in caso di adozione della convertibilità da parte di alcuni paesi partecipanti, oppure in caso di adozione di differenti tipi di convertibilità, si avrebbero differenti livelli di liberalizzazione verso l’area del dollaro. È prevedibile infatti che vi sarebbero dei paesi che all’atto della dichiarazione della convertibilità libererebbero completamente o quasi le loro importazioni dall’area del dollaro.

Un secondo ordine di problemi sorgerebbe poi per le questioni connesse al regolamento dei pagamenti internazionali.

I Delegati tedeschi, appoggiati anche da quelli belgi e olandesi, hanno dichiarato che divergenze temporanee nelle politiche monetarie, non devono costituire un ostacolo pregiudiziale all’avvio ed all’eventuale progresso del mercato comune.

Essi hanno sostenuto che progressi verso il mercato comune possono essere compiuti anche nell’attuale situazione, senza dovere preliminarmente coordinare l’atteggiamento dei paesi partecipanti verso la convertibilità. D’altra parte, essi hanno aggiunto, esiste un Gruppo ministeriale di studi per la convertibilità in seno all’O.E.C.E., che ha già raggiunto un notevole accordo su una serie di principi che dovranno presiedere all’adozione della convertibilità. Inoltre, è stata prevista la creazione di un Fondo Monetario per permettere ai paesi che non potranno passare immediatamente alla convertibilità di mantenere la liberalizzazione degli scambi fino a che saranno in grado di adottarla.

In sostanza, hanno concluso i Delegati tedeschi, pur se sembra necessario un accordo circa gli obiettivi finali, la politica monetaria non può essere temporaneamente diversa per quanto riguarda l’adozione o meno della convertibilità.

I Delegati belgi hanno approvato la tesi tedesca ed hanno aggiunto che il coordinamento delle politiche monetarie potrà aver luogo più facilmente attraverso un esame comune e regolare dei problemi connessi alla politica dei cambi. Ciò potrebbe attuarsi attraverso frequenti contatti tra i Ministri delle Finanze e tra i Governatori delle Banche Centrali dei paesi partecipanti.

I Delegati belgi hanno auspicato la creazione di un comitato ad alto livello che vegli acché sia mantenuto in atteggiamento comune nei confronti della convertibilità e del problema dei cambi.

In materia il Rappresentante francese ha invece sostenuto una tesi opposta ed ha espresso in vari interventi il desiderio che lo studio del coordinamento e dell’armonizzazione delle politiche economiche e finanziarie sia fatto partendo dall’ipotesi attuale di non convertibilità delle monete. Egli ha dichiarato di temere che l’adozione della convertibilità rappresenti un ostacolo importante a sostanziali progressi verso la realizzazione del mercato comune ed ha aggiunto che nel caso di adozione della convertibilità da parte di certi paesi partecipanti, potranno aversi serie ripercussioni anche sulla politica di abolizione delle restrizioni quantitative.

È stato fatto rilevare che in regime di convertibilità sarà difficile dispiegare le stesse energie per una liberalizzazione degli scambi.

D’altra parte il Rappresentante francese ha notato che è difficile esaminare i vari problemi che si porranno in una ipotesi di adozione della convertibilità, in quanto non si sa tuttora quale reale significato avrà nei differenti paesi partecipanti questo vocabolo. È inoltre difficile prevedere quali saranno le ripercussioni economiche e nel settore dei pagamenti che si avranno in caso di un ritorno a tale regime.

I problemi di una coesistenza tra paesi con moneta convertibile e paesi con moneta inconvertibile in regime di mercato comune sembrano dunque ai francesi ancora più gravi di quelli che si porranno in seno all’O.E.C.E. Essi hanno espresso il timore che gli squilibri esistenti aumenteranno qualora non [si] svolga una politica comune nei riguardi dell’adozione della convertibilità. I paesi con moneta non convertibile dovrebbero probabilmente ricorrere a sempre più numerose misure di salvaguardia, per poi trovarsi innanzi al fatto di non poter continuare il processo di unificazione del mercato.

In sostanza si tratta di rispondere a questi due quesiti:

a) Le situazioni economiche attuali dei sei paesi partecipanti non sono forse troppo diverse per permettere un atteggiamento comune nei riguardi dell’adozione della convertibilità?

b) L’avvio ed i progressi verso il mercato comune in un sistema in cui coesistano paesi convertibili e paesi inconvertibili accrescerà o no le difficoltà e le disparità già esistenti?

La Commissione per il mercato comune ha poi affrontato l’esame di una seconda serie di problemi: quelli relativi all’armonizzazione delle politiche generali al fine di stabilire condizioni di equa concorrenza all’interno del mercato comune.

Il Presidente, nel documento di lavoro presentato alla Commissione, aveva ordinato in tre categorie i settori nei quali esiste una possibilità o necessità di armonizzazione:

a) settori in cui la coordinazione è necessaria per permettere l’inizio del processo di creazione del mercato comune (tasse indirette e tassi di cambio);

b) settori in cui la coordinazione è necessaria durante il periodo transitorio per mantenere o per fare progressi verso una completa realizzazione del mercato comune (incidenza del finanziamento della sicurezza sociale; incidenza della fiscalità; misure e pratiche che falsano il gioco della concorrenza e politica dei trasporti);

c) settori in cui la coordinazione è necessaria allorché sarà realizzato il mercato comune.

In sede di discussione generale, il Delegato francese ha sottolineato la necessità di armonizzare, per quanto possibile sin dall’inizio, le misure fiscali, i sistemi di sicurezza sociale ed il livello dei salari. Disparità in questi settori concorrerebbero, infatti, a creare degli oneri sui quali l’imprenditore non può agire.

Egli ha aggiunto che è prematuro dividere i settori nei quali è necessaria una armonizzazione in differenti categorie. Tale divisione dovrebbe essere fatta alla fine degli studi sulle possibilità di armonizzazione.

La Commissione non ha esaminato i problemi connessi all’armonizzazione indicati al punto a), tasse indirette e tassi di cambio.

L’esame dei problemi di cui al punto b) è stato rinviato alle rispettive Sottocommissioni.

Si è avuto invece uno scambio preliminare di idee sui problemi che si pongono per l’armonizzazione delle misure e delle pratiche che falsano il gioco della concorrenza.

Il Segretariato è stato incaricato di preparare per la successiva riunione un documento nel quale saranno esposti i risultati raggiunti e gli studi fatti in materia da altri organismi internazionali. Nel frattempo il Rappresentante dell’Alta Autorità ha trasmesso alla Commissione del mercato comune una nota sull’integrazione economica generale secondo la esperienza fatta in seno alla C.E.C.A.

L’interessante documento si divide in quattro parti:

- la prima, in cui è indicato il significato del mercato comune e le condizioni della sua realizzazione;

- la seconda, in cui sono analizzate le conseguenze della limitazione attuale del mercato comune a due settori ed i mezzi impiegati fino ad oggi per sormontare tale limite;

- la terza, in cui sono descritte le soluzioni che si sono sviluppate in seno alla C.E.C.A. e che potrebbero avere una portata generale;

- la quarta, in cui sono delineate le nuove misure che sembrano doversi adottare per passare da un mercato comune limitato ad un mercato comune generale.

Un altro documento (n. 80) è stato rimesso alla Commissione da parte della Delegazione belga. Esso riguarda un piano di riduzione delle tariffe doganali e propone una formula di compromesso in merito al livello della tariffa doganale comune.

Van Tichelen autore del piano propone che, nel dichiarare al G.A.T.T. l’intenzione di stabilire, alla fine di un periodo da determinarsi, una tariffa comune non più elevata della media delle attuali tariffe nazionali, si faccia esplicita riserva della possibilità di adottare una tariffa più elevata qualora da parte degli Stati terzi non si siano ottenuti adeguati compensi.

La formula, secondo il suo autore, presenterebbe il vantaggio di mantenere per vari anni aperto il negoziato tariffario con il Regno Unito e con gli Stati Uniti. L’autore stesso esprime tuttavia qualche dubbio circa l’accettabilità da parte del G.A.T.T. della riserva formale da lui proposta.

La Delegazione olandese ha a sua volta presentato un documento (n. 115) contenente una decisione del Comitato dei Ministri del Benelux sul problema dell’armonizzazione delle politiche agricole.

Il documento riflette l’esperienza dei tre paesi in materia.

I lavori della Commissione per il mercato comune sono stati ripresi il 2 agosto.

È continuata la discussione sui problemi che si pongono in rapporto alle misure ed alle pratiche che falsano il gioco della concorrenza. In merito il Segretariato ha prodotto il documento n. 97 nel quale sono stati raccolti i risultati raggiunti e gli studi fatti in proposito da altre istanze internazionali.

Dopo uno scambio di idee generali, la discussione si è basata sull’annesso I del citato documento, cioè sulle formule 8 e 9 del Rapporto della Commissione economica della Conferenza di Parigi del 1954 per la C.E.P.

Tutti i Delegati hanno sottolineato – ed i nostri Rappresentanti si sono associati a queste dichiarazioni – come le formule concordate in seno alla Commissione economica della Conferenza di Parigi, coprano abbastanza esaurientemente l’argomento relativo alle misure e pratiche che falsano il gioco della concorrenza.

Secondo tali formule sarebbero incompatibili con il mercato comune:

1) le misure delle Autorità pubbliche che falsano il gioco della concorrenza;

2) le misure e le pratiche che falsano il gioco della concorrenza nel settore delle relazioni commerciali private.

I nostri Delegati hanno chiesto che nell’eventuale documento finale siano inclusi i problemi posti dalla concorrenza tra paesi membri nelle loro esportazioni verso paesi terzi ed il problema delle misure da prendere per far fronte alle pratiche che falsano la concorrenza o che paesi terzi impiegano nei confronti del mercato dei paesi membri.

Nell’eventuale documento finale dovrebbe essere inclusa, inoltre, una dichiarazione tendente a prevedere delle eccezioni alle varie interdizioni elencate e la procedura di esame per stabilire la determinazione ed il trattamento delle misure e delle pratiche proibite. Per quanto riguarda questi due punti si potrà tener conto anche dell’art. 67 del Trattato C.E.C.A.

I Delegati francesi hanno dichiarato che il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune può essere falsato anche da distorsioni derivanti da differenze in materia di imposte, di contributi sociali ecc.

Essi hanno inoltre ricordato che il concetto di lealtà tra concorrenti deve essere integrato dal concetto di equità dei punti di partenza. L’argomento non è stato approfondito e sembra che varie Delegazioni abbiano delle riserve su questa impostazione.

Al termine della discussione il Segretariato è stato incaricato di esaminare la possibilità di preparare un documento che, basandosi essenzialmente sulle formule 8 e 9 della Commissione economica della Conferenza di Parigi, tenga conto delle varie osservazioni fatte nel corso delle due ultime riunioni.

Nella riunione del giorno 4 agosto la Commissione ha iniziato la discussione dei problemi relativi alle clausole di salvaguardia.

I vari problemi esaminati potrebbero dividersi in tre categorie:

a) clausole di salvaguardia per far fronte a difficoltà di carattere generale (ripercussioni sull’attività produttiva generale di un paese);

b) clausole di salvaguardia per far fronte a difficoltà di carattere particolare (ripercussioni sull’attività economica di una regione o di un settore produttivo);

c) clausole di salvaguardia per far fronte a difficoltà di bilancia dei pagamenti.

Sono state esaminate, inoltre, le eventuali procedure di esame per autorizzare un paese interessato a derogare o sospendere le misure adottate. Infine, è stato discusso se il ricorso alle clausole di salvaguardia debba essere permesso per il periodo iniziale, transitorio o finale del processo di integrazione economica.

È stata generalmente ammessa la possibilità di ricorso a clausole di salvaguardia in caso di difficoltà di carattere generale, nell’eventualità cioè di gravi ripercussioni sull’attività economica di un paese e in caso di difficoltà di carattere particolare. Nei vari interventi è stato implicitamente riconosciuto che dovrebbe essere possibile poter ricorrere in tali casi anche al ripristino di restrizioni quantitative e all’aumento di tariffe doganali, ridotte in seguito all’inizio del processo di integrazione.

Per quanto riguarda il ricorso a clausole di salvaguardia per far fronte a difficoltà di carattere particolare, il Rappresentante dell’O.E.C.E. ha desiderato rilevare che in caso di difficoltà particolari i paesi membri dovrebbero essere incoraggiati piuttosto a fare uso di sovvenzioni dirette in favore dei settori colpiti, che a ricorrere all’impiego di strumenti che provocano ripercussioni e distorsioni economiche di carattere generale, quali le restrizioni quantitative e l’aumento delle tariffe doganali.

Le sovvenzioni dirette alla produzione avrebbero il vantaggio di essere limitate alle industrie colpite, di essere soggette ad una continua pressione per la loro abolizione e, infine, se ne potrebbe sapere il costo. Il Delegato italiano Dr. Di Falco ha sottolineato, tuttavia, che l’erogazione di sovvenzioni può presentare difficoltà di bilancio e di carattere politico.

Per ciò che concerne il ricorso a clausole di salvaguardia in caso di difficoltà dalla bilancia dei pagamenti totale di un paese, durante le discussioni sembra si sia delineata una tendenza a voler includere questo argomento tra i problemi posti dall’armonizzazione delle politiche economiche, finanziarie e monetarie.

Tale punto di vista è stato soprattutto appoggiato dalla Delegazione tedesca e dalla Delegazione belga, le quali hanno sostenuto che, alle difficoltà di bilancia di pagamenti, debba ovviarsi attraverso il rimedio preventivo dell’armonizzazione delle politiche generali economiche. Inoltre, simili difficoltà di carattere generale rivestirebbero un aspetto speciale, in quanto il ricorso a clausole di salvaguardia in tali casi richiede una armonizzazione con le misure già esistenti in questo settore in seno all’O.E.C.E. ed al G.A.T.T.

È da notare, tuttavia, che sia il Delegato tedesco sia il Delegato belga non hanno escluso il ricorso a clausole di salvaguardia per motivi di bilancia di pagamenti. Occorre ricordare, infatti, che la Delegazione belga aveva avuto alla Conferenza di Parigi del 1954 in tema di elaborazione del progetto di trattato per la Comunità Politica Europea un atteggiamento più rigido.

Il Delegato britannico ha sottolineato l’importanza che nell’applicazione delle clausole di salvaguardia siano osservati principii simili a quelli esistenti in sede O.E.C.E. In tale applicazione cioè:

a) non dovrebbe esser fatta nessuna discriminazione tra i paesi membri;

b) il ricorso alle clausole di salvaguardia non dovrebbe provocare difficoltà altrimenti evitabili (unnecessary troubles);

c) dovrebbero essere rispettati gli impegni già contratti.

Da varie parti è stato rilevato che il problema della procedura ha per il ricorso alle clausole di salvaguardia [sic].

Alcuni Delegati hanno dichiarato che la procedura per esaminare i casi in cui la clausola di salvaguardia è invocata deve essere rigida.

Il Delegato inglese ha aggiunto che un buon sistema di procedura è più importante di una elencazione dei casi in cui debba esser previsto il ricorso alla clausola di salvaguardia. Egli si è inoltre richiamato all’utile esperienza fatta in seno all’O.E.C.E.

Anche il Rappresentante francese ha appoggiato i membri della Commissione che avevano sottolineato l’importanza del sistema di procedura. Egli ha, tuttavia, desiderato notare che nell’elaborazione del sistema deve tenersi conto più della pressione morale che esso può esercitare e meno della sua rigidezza.

A questo fine, egli ha suggerito, a titolo personale, di esaminare la possibilità di creare un sistema che preveda differenti fasi di esame o differenti istanze.

Il Delegato belga ha mostrato una certa simpatia per questa proposta e si è espresso in favore della creazione di organi permanenti che presiedano all’armonizzazione delle politiche e che rendano l’armonizzazione obbligatoria.

È stato ribadito che solo nel caso in cui l’armonizzazione si riveli inadeguata dovrà essere permesso il ricorso alla clausola di salvaguardia. Prima tuttavia dovranno essere impiegati tutti i mezzi di armonizzazione preventiva.

Alla fine del dibattito sulle clausole di salvaguardia – dibattito che ha avuto un carattere preliminare – il Segretariato ha presentato il documento di lavoro n. 132.

Esso dovrebbe costituire contemporaneamente una specie di pro-memoria dei lavori svolti e un ordine del giorno per i lavori futuri.

Un primo scambio di idee sul documento ha rivelato tuttavia la sua incompletezza, soprattutto per quanto riguarda il paragrafo 4 a pagina 3. Il Segretariato dovrà perciò presentare un nuovo documento di lavoro per la prossima tornata che avrà inizio il 29 agosto p.v.

Per i Dicasteri più direttamente interessati si allegano le copie dei documenti di lavoro della Commissione per il mercato comune5.


1 Trasmesso agli stessi destinatari di cui al D. 69, nota 1.


2 Vedi D. 69.


3 Vedi D. 65.


4 Vedi DD. 66 e 69.


5 Non pubblicati.

75

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 1291/8311. Parigi, 19 agosto 1955.

Oggetto: Cooperazione atomica europea.

La Conferenza atomica non è ancora finita e già qui se ne vogliono trarre le prime conclusioni: un po’ troppo presto, di fronte alla mole ed alla complessità dei problemi che si stanno affrontando a Ginevra.

L’esposizione commerciale «atome pour la paix» avrebbe rivelato una superiorità dell’Inghilterra su tutti gli altri paesi (Stati Uniti compresi) per quanto concerne la varietà e la qualità delle applicazioni industriali dell’energia atomica, ed avrebbe, per contro, messo in rilievo che i risultati conseguiti dai cinque paesi che si sono legati alla Francia nel programma di Messina, sono ancora piuttosto modesti. Anche le prime «rivelazioni» fatte dai Delegati avrebbero confermato i grandi progressi degli inglesi.

Il problema, quindi, di agganciare l’Inghilterra in un sistema di cooperazione comune si presenta già per i francesi nella sua piena attualità: non è, perciò, una mera coincidenza se proprio in questi giorni, in certi ambienti vicini ai ministri gaullisti, si è cominciato a parlare con una certa insistenza dell’opportunità che la Francia si orienti decisamente verso una soluzione O.E.C.E. di cooperazione atomica.

Le ragioni addotte a sostegno di questo nuovo punto di vista sembrerebbero anche plausibili. Anzitutto, vi è da considerare che la Gran Bretagna ha dato all’O.E.C.E. certe assicurazioni di cooperazione, in campo atomico, che non sarebbe disposta a rinnovare, malgrado la sua presenza ai lavori di Bruxelles, ad altri tipi di organizzazione europea.

In secondo luogo, l’O.E.C.E. è già, da tempo, in funzione e, senza che siano necessari altri trattati, sarebbe in grado di avviare e sviluppare la cooperazione atomica attraverso le sue procedure abituali: sul piano commerciale, per il libero accesso alle risorse minerarie, per l’attuazione di un sistema di non discriminazione e di prezzi equi, ecc. ecc. L’O.E.C.E. potrebbe già elaborare dei programmi comuni, sperimentali ed industriali, e costituire un fondo speciale per questi programmi; potrebbe promuovere la formazione di imprese industriali, finanziate da tutti o da parte dei paesi membri, per determinate produzioni in comune (come la separazione degli isotopi di uranio, la produzione dell’acqua pesante, ecc.); potrebbe, perfino, offrire la procedura ad hoc, come è avvenuto con la Conferenza dei trasporti, per la costituzione di «gruppi» di paesi membri più strettamente legati da forme di cooperazione più spinte.

Tutte queste iniziative, secondo i sostenitori della soluzione O.E.C.E., rientrerebbero, più o meno, nell’attività normale dell’organizzazione, e dei semplici accordi tra i Governi potrebbero bastare per realizzare gradualmente la cooperazione, senza che sia necessaria la stipulazione di un nuovo trattato da sottoporre alla ratifica dei Parlamenti. E poiché il Parlamento francese sembra costituire l’incubo di quanti aspirano alla «relance» europea, questo ragionamento, piuttosto semplicistico, mirerebbe a presentare un’alternativa migliore della Conferenza di Bruxelles per sabotare, sostanzialmente, il programma di Messina.

Data l’insistenza di queste voci e la loro provenienza (non si dimentichi che un Ministro gaullista dirige la politica atomica francese), si è ritenuto opportuno sondare presso il Quai d’Orsay se effettivamente sia in preparazione, da parte francese, qualche brusco cambiamento di rotta che farebbe naufragare i tentativi, in corso a Bruxelles, di realizzare la «relance» europea in campo atomico.

Il Capo dell’ufficio competente del Quai d’Orsay, interpellato in proposito, ha tenuto a dichiarare che queste «dicerie» non rispecchiano per nulla il punto di vista dei Ministri responsabili, e che la Francia, pertanto, resterà fedele al programma di Messina e continuerà a partecipare ai lavori di Bruxelles con intenzioni sinceramente costruttive. Naturalmente, ha aggiunto, il Governo francese non è legato, per quanto concerne la cooperazione atomica, a «nessuna formula dogmatica» (è l’espressione cara a Faure), ed è disposto a dare il suo contributo a qualsiasi altra iniziativa, anche promossa attraverso l’O.E.C.E., che possa raggiungere lo scopo. In ogni caso, però, è da escludere che la Francia si presenti a Bruxelles con una soluzione O.E.C.E. come «programme de secours» da sfoderare alla prima occasione.

Il nostro interlocutore ha ammesso che la Francia avrebbe grande interesse, dal punto di vista tecnico, ad ottenere la collaborazione dell’Inghilterra. Si è lasciato però sfuggire che al Quai non si fanno alcuna illusione che l’Inghilterra abbia effettivamente l’intenzione di partecipare ad un programma europeo di ricerche, di scambi di segreti tecnologici, di realizzazioni industriali, di finanziamenti di iniziative comuni. L’Inghilterra, secondo l’opinione prevalente al Quai, concepirebbe la cooperazione da un punto di vista strettamente commerciale, come lo strumento idoneo per eliminare le misure restrittive con cui i paesi del continente sono o saranno costretti a difendere lo sviluppo dei loro programmi nazionali.

Gli inglesi, in altre parole, attraverso un mercato comune per gli scambi di «equipment» per le centrali atomiche, degli altri prodotti industriali nucleari e delle materie prime, vogliono trovare sbocchi per l’industria atomica inglese ed avere libero accesso, a parità di costi, alla produzione di uranio e di altri combustibili nucleari degli altri paesi. È il solito principio per cui il più forte industrialmente ha bisogno del mercato libero per affermare la sua supremazia.

L’interesse inglese per l’O.E.C.E. si spiegherebbe in quanto questa organizzazione, per la sua stessa struttura e per l’esperienza già fatta in altri campi, sarebbe già in grado di diventare una specie di «stanza di compensazione» dei prodotti e delle materie prime atomiche dei singoli paesi, apprestando il necessario sistema per superare gli ostacoli di natura fiscale e valutaria.

Date queste specifiche aspirazioni inglesi (di cui un primo indizio sarebbe una recente decisione del Governo britannico di sovvenzionare le esportazioni private di «equipment» e prodotti nucleari), la Francia non può condizionare alla partecipazione inglese la sua adesione ad un sistema di cooperazione, tanto più che questa, secondo le intenzioni francesi, dovrebbe estendersi anche al campo industriale, finanziario ed agli scambi dei segreti tecnologici (tutti settori ove l’Inghilterra difficilmente vorrebbe collaborare). Una soluzione O.E.C.E. verrebbe, prima o poi, influenzata dalle direttive inglesi; quindi la Francia non avrebbe un interesse particolare ad abbandonare, per tale soluzione, il programma di Messina.

Nei riguardi di questo programma, «la politica francese è, e resterà, quella che Gaillard sta sostenendo a Bruxelles» (cioè – come si desume facilmente da un semplice confronto letterale tra il testo dell’intervista di Palewski al «Monde» e quella del progetto Gaillard – la politica che hanno tracciata i ministri gaullisti d’intesa coi dirigenti del Commissariato per l’energia atomica)2. Il nostro interlocutore, dopo questa precisa affermazione, ha, tuttavia, cercato di dimostrare come tale politica sia perfettamente conforme agli ideali europeistici che hanno ispirato (di fronte al pericolo della crisi governativa minacciata dai repubblicani popolari) la nota dichiarazione del Comitato interministeriale presieduto da Faure. Infatti, secondo l’interpretazione del Quai, la «relance» europea non escluderebbe, in principio, che la cooperazione, piuttosto che essere limitata ai Sei, sia aperta ad altri paesi che possano apportare un effettivo contributo sul piano tecnico e produttivo. Inoltre, l’autonomia dei singoli programmi nazionali – che è uno dei punti fermi delle proposte francesi a Bruxelles – potrebbe anche implicare il «coordinamento» di questi programmi da parte dell’«Agence» atomica comune (a dire il vero, il progetto Gaillard prevede questa possibilità soltanto per le ricerche sperimentali!). Attraverso l’attività di coordinamento, l’Agence potrebbe realizzare, sempre secondo il Quai, l’unità voluta dagli europeisti. In quanto al problema delle materie prime, il Governo francese sarebbe, in linea di massima, per l’attribuzione all’Agence europea del diritto di priorità di acquisto della produzione di uranio di tutti i territori d’oltremare dei paesi membri, ma poiché l’accordo belga-americano è un dato di fatto da cui non si può prescindere, si dovrebbe cercare di risolvere la questione attraverso una formula di compromesso coi belgi o, qualora neanche questa fosse possibile, di far partecipare alla cooperazione altri paesi europei (es. Portogallo) che risultano assai ricchi di uranio.

In sostanza, le direttive sono sempre quelle enunciate da Palewski; soltanto che il Quai cerca di conferire ad esse un crisma europeistico per conciliarle, in un certo senso, con le nostalgiche aspirazioni dei Ministri dell’M.R.P.

Sembra che, nel Governo francese, l’unità di indirizzo, in questo campo, si sia finalmente raggiunta con uno strano sistema: Teitgen e Schuman impongono le loro formule per le dichiarazioni collegiali, più o meno platoniche, del Gabinetto; e Palewski e Guillaume impongono, per contro, i loro obiettivi per la concreta azione governativa. La diplomazia francese deve servirsi di quelle formule per far raggiungere questi obiettivi.

Così, l’europeista Gaillard difende a Bruxelles il programma dei Ministri gaullisti, presentandolo come l’ultima edizione del programma di Messina.


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Londra.


2 Vedi D. 72.

76

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO VI,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. 46/125481. Roma, 22 agosto 1955.

Oggetto: Rapporti fra O.E.C.E. e Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.

Circa l’argomento in oggetto la nostra Rappresentanza presso l’O.E.C.E. a Parigi ha segnalato in data 9 agosto u.s. quanto segue:

«Al termine della prima fase dei lavori del Comitato Direttivo della Conferenza di Bruxelles, non mi sembra inutile dare qualche cenno sull’andamento dei rapporti tra esso e l’O.E.C.E. durante tale fase.

Torno a ricordare, innanzi tutto, che i risultati della Conferenza di Messina erano stati accolti, in un primo tempo, con una certa diffidenza negli ambienti O.E.C.E. e specie nelle Delegazioni di alcuni paesi estranei all’iniziativa. Non fu privo di significato il fatto che, nella sua agape oratoria del 10 giugno, il Cancelliere Butler collegasse il nome di Messina a reminiscenza di riesumazioni («archeological excavations», egli disse); al che il Ministro olandese Beyen rispose argutamente che si sarebbe dovuto piuttosto pensare a Scilla e Cariddi e ai terremoti.

Durante le discussioni svoltesi al Consiglio per decidere il seguito da darsi all’invito di Calmes (v. documento C(55)157 allegato al telespresso sopra citato)2, il presidente Ellis-Rees fu anche lui piuttosto riservato, giungendo a dire che il Segretario Generale avrebbe dovuto partecipare ai lavori di Bruxelles come una specie di «ambasciatore» dell’Organizzazione. L’idea contenuta in questo accenno non ebbe naturalmente successo, e dopo le dichiarazioni del collega olandese a nome dei sei paesi, di cui ho già informato codesto Ministero, fu accolto il principio che si sarebbe trattato piuttosto di una cooperazione sul piano tecnico, pari a quella di altri organismi internazionali. Cosicché, quando giunse l’invito formale di Spaak, Sergent poté rispondere positivamente menzionando l’approvazione unanime del Consiglio.

La nostra Delegazione alla Conferenza di Bruxelles non ha certo mancato di riferire anche sulla partecipazione del Segretariato dell’O.E.C.E., che si è concretata nella presenza di uno dei segretari generali aggiunti (Colonna) e nell’assistenza di altri funzionari (in particolare Bertrand della Direzione economica, molto apprezzato al Sottocomitato investimenti e durante le discussioni sul mercato comune) ai dibattiti di tre delle quattro Commissioni (esclusa cioè quella per l’energia atomica).

Nel frattempo, anche alcuni Delegati presso l’O.E.C.E., i quali in un primo momento si erano mostrati alquanto preoccupati o scettici, si andavano rendendo conto che Bruxelles, lungi dal rappresentare un doppio impiego o un pericolo, poteva essere considerato un eventuale utile complemento dell’O.E.C.E., specie dopo che gli accordi per stabilire il regime dei pagamenti e degli scambi intraeuropei al momento del passaggio alla convertibilità dimostravano come occorresse prepararsi alla ricerca di nuovi metodi e nuove forme per rafforzare e materiare la cooperazione economica intraeuropea.

Tuttavia, in linea di fatto, l’azione di collaborazione del Segretariato dell’O.E.C.E. a Bruxelles non è stata sempre molto agevole. Lo prova il fatto che, mentre ci si è avvalsi, ogni qual volta lo si è ritenuto utile, della collaborazione tecnica dei funzionari dell’O.E.C.E., questi non sono stati, viceversa, ammessi in Comitato Direttivo. La circostanza è stata rilevata al Castello della Muette, tanto che in data 1° corrente il Signor Sergent ha indirizzato una lettera al Presidente Spaak, per esporre la situazione e chiedere quali fossero le sue intenzioni.

A fine mese, quando verranno ripresi i lavori dei Sei, occorrerebbe raggiungere una qualche intesa onde permettere al Segretariato dell’O.E.C.E. di continuare a prestare la sua opera senza che essa possa dar luogo a critiche o recriminazioni. In proposito, mi è stato detto che al Presidente Spaak è stata data facoltà di decidere, volta per volta, se e come l’O.E.C.E. debba partecipare ai dibattiti del Comitato»3.


1 Diretto agli stessi destinatari di cui al D. 57, nota 1, ad eccezione della Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi, e della Direzione Generale degli Affari Economici. Il documento reca una firma illeggibile.


2 Il documento recava evidentemente un riferimento che è stato omesso nella ritrasmissione.


3 Per il seguito della questione vedi DD. 107 e 111.

77

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. segreto 1358. Parigi, 30 agosto 1955.

Oggetto: Politica italiana. U.E.O.

Signor Ministro,

nei loro interessanti rapporti sulla situazione dopo Ginevra, i colleghi Zoppi e Grazzi hanno sollevato alcune questioni concernenti la politica italiana1.

Per quello che riguarda una maggiore partecipazione italiana alla «grande» politica che si va svolgendo bisognerebbe, secondo me, distinguere:

1) sul piano delle conversazioni bilaterali, ossia attraverso il normale tramite diplomatico, noi possiamo dire quello che vogliamo, e quando lo vogliamo: bisogna solo che prendiamo l’abitudine di farlo, come la si aveva un tempo. Se le nostre idee saranno sagge ed opportune, abbiamo anche qualche chance che siano accolte: dovremo solo rassegnarci alla perdita della paternità;

2) potremo anche, col tempo e colla pazienza, riuscire ad ottenere una qualche maggiore partecipazione collettiva degli atlantici minori, allo shaping della grande politica. Tenendo però presente che il limite nec plus ultra è la misura della partecipazione dei minori, nel 1946, alla Conferenza della pace per l’Italia: ossia discussione sì, ma impossibilità di alterare le grandi decisioni prese dai Quattro.

In realtà però, se noi siamo onesti verso noi stessi, non è soltanto questo quello che noi vogliamo: noi vorremmo «far parte» dei Grandi e che gli altri minori atlantici ne restassero fuori.

Ora questo non lo otterremo mai. Non lo otterremo dai nostri alleati, i quali, forse, se lo potessero, escluderebbero dal gruppo dei Grandi la Francia, ma non sono certo disposti ad ammetterci degli altri. Nemmeno la Germania: non ci lasciamo abbacinare da certe apparenze: la Germania viene consultata più di noi – un po’ a parte – perché è in fondo della sua sorte che si parla e perché serve darsi l’aria di consultarla per dire di no ai russi. Voglio vedere poi se sarà consultata il giorno in cui i Grandi decideranno invece di dire di sì.

Ma lo otterremo anche meno da Mosca. Se c’è qualcuno che tiene alle gerarchie delle potenze, e ci tiene con la spietatezza del nouveau riche, è proprio la Russia: bisogna aver visto una volta che cosa sembra l’Italia agli occhi russi per rendersene conto.

Può essere che un giorno, per motivo di propaganda od altro, la Russia si faccia campione dell’opportunità di allargare il cerchio delle discussioni: ma allora sarà perché ci vuole tirar dentro la Polonia, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia o che so io ancora: ottenere che la Russia consenta a promuovere l’Italia, sola o quasi sola, alla posizione di Grande, questo, prego V.E. di credermi, è fuori questione.

Che le destre italiane abbiano preso posizione per reclamare una più diretta partecipazione ai futuri negoziati, era da aspettarselo. L’Italia sta evolvendo lentamente ma fatalmente verso le grandi riforme: la destra cerca, come sempre ha fatto in questi casi, di sviare l’attenzione del Governo e dell’opinione pubblica da questi grossi problemi, che sono anche i veri problemi dell’Italia, facendo appello a delle impostazioni nazionalistiche.

Lo stesso fanno certi settori di sinistra, contrari, come le destre, ma per differenti ragioni, a certe riforme.

È un’opposizione quindi che è vano sperare di soddisfare perché è in mala fede: più che cercare invano di soddisfarla, si potrebbe invece cercare di indirizzare meglio l’opinione pubblica media: far capire, per esempio, che per il prestigio dell’Italia è molto più nocivo non aver niente da dire alla Conferenza atomica che il non far parte della Conferenza di Ginevra.

Comunque il mio dovere, ritengo, è quello di non indurre in errore il Governo italiano: è solo per questo che tengo a precisare ancora una volta quello che, secondo me, si può ottenere e quello che non si otterrà mai.

Tutti e due i miei colleghi sembrano ritenere che le migliori possibilità per un’azione ed una valorizzazione dell’Italia, si possano trovare nel settore dell’U.E.O.

Non discuto la questione in sé: è giustissimo, in seno all’U.E.O. noi siamo, in partenza, fra i Grandi – meno che nella C.E.D., ma comunque lo siamo: si è sempre i grandi di qualche cosa.

Quello che mi domando è se sia nelle nostre possibilità il fare qualche cosa di serio per utilizzare l’U.E.O.

Noi diciamo, unendoci al coro atlantico che siamo arrivati alla distensione ed a Ginevra perché abbiamo realizzato l’U.E.O. nonostante le minacce sovietiche. Mi domando se, a parte il suo valore propagandistico, questa affermazione è esatta. I russi hanno fatto tutto il loro possibile, magari con un po’ meno di convinzione che nel caso della C.E.D., per evitare che l’U.E.O. fosse ratificata: hanno fatto l’errore di far balenare chissà quali conseguenze tragiche in caso della ratifica dell’U.E.O. – è sempre un errore, sia che lo facciano i russi, sia che lo facciano gli americani, quello di fare la voce grossa quando poi in fatto non si farà gran che. Adesso, cercano di fare il loro possibile per evitare che l’U.E.O. diventi una realtà. E non è affatto escluso che ci riescano.

L’U.E.O. è essenzialmente, come la C.E.D., il riarmo della Germania. Ora, come ho spiegato in un mio altro rapporto, il riarmo della Germania mi sembra già sospeso: con questo restano sospese agenzie di armamenti, agenzie di controllo e tante altre belle cose.

Se realmente il riarmo della Germania sarà sospeso, come io penso – di fatto, naturalmente, non di diritto – ciò vorrà dire che gli americani lo avranno accettato sia in omaggio allo spirito di Ginevra, sia per l’impossibilità di portar gli altri, e forse gli stessi tedeschi, a restare nelle linee dell’U.E.O.

Resta il settore non militare: l’U.E.O. come istituzione suscettibile di sviluppi nel senso dell’integrazione europea.

Su questo argomento bisogna fare una premessa: una politica europea anche edulcorata, come quella che permetterebbe l’U.E.O., è una politica in netto contrasto colle idee russe. Il fatto che nell’U.E.O. l’elemento militare sia meno presente che nella C.E.D., non cambia molto: la Russia è contraria, è stata contraria e sarà sempre contraria a qualsiasi forma di integrazione dell’Europa Occidentale, anche la più melliflua. Potrebbe forse solo cambiare il giorno in cui di questa Europa facessero parte anche i satelliti: non ne sono del tutto sicuro, ma certo, senza i satelliti, qualsiasi forma di integrazione europea sarà attivamente ostacolata dalla Russia. Non ci facciamo illusioni: essere antieuropeo non significa necessariamente essere filo-russo: ma essere europeo significa, agli occhi di Mosca, essere antirusso ed anticomunista.

Agli occhi russi è più sopportabile essere atlantici che essere europei. Perché l’alleanza atlantica è ancora, primariamente, una alleanza militare, quindi temporanea: un’integrazione europea, una volta fatta, è invece definitiva.

Ora, detto questo, mi pongo la domanda: chi ci seguirebbe sulla via di una valorizzazione, come che sia, dell’U.E.O.? I miei colleghi potranno dire quali probabilità esistono nei paesi di loro competenza: per quello che riguarda la Francia, non posso che rispondere negativamente.

A Messina od altrove si può parlare quanto si vuole di integrazione europea, di agenzie specializzate: possiamo creare tutte le commissioni di studio che vogliamo. Ma non ci dimentichiamo che, quando queste commissioni dovranno partorire degli accordi, ci incontreremo con il solito ostacolo: il Parlamento francese.

Mi permetto qui di ripetere quello che ho già detto a V.E. molte volte: al Parlamento francese non c’è maggioranza per nessun piano europeo di grande portata, sia che si tratti del settore militare, sia che si tratti del settore economico. Il Parlamento francese li rifiuterà, perché gli interessi francesi organizzati sono sufficientemente forti politicamente per impedire che quello che potrebbe essere nocivo ai loro privilegi venga accettato. Ma lo rifiuta anche, come è stato nel caso della C.E.D., perché la maggioranza al Parlamento francese è convinta che la politica di integrazione europea è una politica che rende impossibile od almeno difficile quella politica di distensione che è il sogno di tutti i francesi.

Non è una politica ragionata: c’è troppa gente qui che è convinta che per sé tutto andrebbe benissimo in Francia o nel suo Impero, ma alla base di tutte le difficoltà ci sono solo gli intrighi stranieri: e vede nella distensione la speranza appunto di essere lasciata in pace.

È difficile fare delle previsioni sulle future elezioni: ma mi sembra estremamente poco probabile che ci sia un cambiamento d’animus talmente forte da mandare al potere una Camera orientata sugli ideali di Robert Schuman. Sono solo delle crisi gravissime, interne o semi-esterne che potrebbero convertire la Francia.

L’U.E.O. può ritornare di attualità, e quindi essere valorizzata, se e nella misura in cui si diluisce lo spirito di Ginevra. Se lo spirito di Ginevra perdura – e perché perduri bisognerà mettere l’U.E.O. nella naftalina – tutto questo è al di fuori della zona di nostra possibile influenza.

Per cui la valorizzazione dell’U.E.O., nelle circostanze attuali, può essere una speranza, non una politica. Noi possiamo seguirla, aiutarla, perfezionarla se ed in quanto i maggiori di noi lo vogliono: se non lo vogliono, se vanno per una altra strada, non siamo certo noi che possiamo portarli a volerlo.

Il fatto di aver creduto, contro ogni evidenza, che si potesse realizzare la C.E.D., di essersi fatti gli apostoli di una politica che esisteva solo nella nostra immaginazione, ci ha portati a delle complicazioni, anche interne, di cui non riusciamo a liberarci. E la C.E.D., almeno, aveva in tutto i1 mondo dei partigiani entusiasti e fanatizzati. L’U.E.O. non ha nemmeno questo.

Siamo in un momento in cui tutte le assise della politica internazionale, di cui abbiamo fatto parte, sono scosse. Sono il primo a deplorarlo ed a paventarne le conseguenze. Il mondo occidentale, piuttosto che vincere lottando, preferisce suicidarsi in una nuvola di illusioni, pur di essere lasciato in pace per qualche tempo.

Siamo a suo tempo stati presi anche noi – e vittime sul piano diplomatico almeno – in un altro periodo di «accordo ad ogni costo» subito dopo la guerra: sono stati i russi e solo i russi ad aver ragione delle illusioni americane.

Purtroppo, in questo momento, temo, la diplomazia italiana non può far altro che osservare e seguire il corso degli eventi: non sappiamo dove si va: non sappiamo che bestialità faranno domani i nostri alleati od i nostri avversari. È per questo che, in questo periodo, fino a che non sarà più chiaro dove si va, o dove si crede di andare, per me non c’è altro da fare che starcene tranquilli, nel nostro angolo, a vedere: ogni iniziativa che può sembrare ottima oggi, rischia di essere fuori posto domani.

La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio.

Quaroni


1 Non pubblicati, sull’argomento si veda comunque il D. 63.

78

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 14051/156-1571. Bruxelles, 1° settembre 1955, ore 15,05 (perv. ore 19).

Oggetto: Commissione per l’integrazione europea.

Mio telegramma n. 155 odierno2.

Rothschild che ho visto oggi mi dice che Spaak è ansioso di evitare che a Noordwijk3 i Ministri si impegnino in discussione di fondo circa lo sviluppo e i limiti d’integrazione europea alla luce dei lavori di Bruxelles. Tale preoccupazione, che ho riscontrato anche negli ambienti delle varie Delegazioni e del Segretariato, si fonda sul fatto che il Governo francese è sufficientemente diviso dalla crisi nord-africana per poter dare a Pinay istruzioni riservate e meditate sulle questioni europee.

Spaak ritiene che bisogna dare fiducia a Pinay circa il ritmo che i francesi possono sopportare in materia di integrazione. È in base a quanto il Ministro francese dirà martedì4 a suoi colleghi che si potrà quindi cominciare a vedere chiaro sui futuri lavori: e in particolare che Spaak possa sperare convocare conferenza all’inizio del 1956 e di formulare trattato prima delle elezioni francesi. In queste prospettive converrà anche fissare data finale dei lavori di Bruxelles che a Messina si erano previsti per primi ottobre. Tecnicamente lavori potrebbero concludersi, se non per il 1°, per 15 ottobre circa. Spaak si rende conto che le discussioni prolungate fra gli esperti, a questo stadio, accumulano più difficoltà e riserve di quanto ne sciolgano. Tuttavia egli sarà incline al rallentamento del ritmo dei lavori di Bruxelles e magari a non fissare loro dei limiti precisi, se Pinay lo preferirà.

Che cosa si potrà fare da gennaio a maggio 1956 non è in questa ipotesi ben chiaro: ma forse si potrebbe negoziare qualche accordo di settore, in uno di quei pochi campi tecnici che a Bruxelles appaiono offrire qualche residua promessa. I lavori degli esperti a Bruxelles segnano infatti probabilmente la fine all’illusione presagita integrazione per settori.

Per l’energia nucleare Rothschild mi ha confermato che Spaak sacrificherà la posizione di privilegio belga solo sull’altare del mercato comune. Non farà tuttavia probabilmente condizione sine qua non della partecipazione dei territori d’oltremare al mercato comune. Nel frattempo i belgi vogliono affrontare il problema dell’eventuale utilizzazione a fine militare da parte di qualche Nazione del pool uranio messo in comune.

Mi è stato detto che dopo Ginevra tuttavia i belgi sono meno convinti del valore delle informazioni tecniche loro promesse dall’accordo americano, ed i francesi – anche Perrin – meno sicuri della possibilità di raggiungere da soli il livello dello sviluppo dell’industria nucleare dei grandi paesi.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 T. 13975/155 del 31 agosto, con il quale Ducci aveva comunicato: «Commissione energia nucleare convocata per 5 settembre ore 15. Prego informare Professori Giordani ed Ippolito».


3 Conferenza dei Ministri degli Esteri della C.E.C.A. a Noordwijk, del 6 settembre 1955: vedi D. 85.


4 Il 6 settembre.

79

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL PRESIDENTE DELL’ALTA AUTORITÀ DELLA C.E.C.A., MAYER

L. 1/3525. Roma, 1° settembre 1955.

Caro Presidente ed amico,

rispondo alla sua lettera relativa alla ratifica da parte dell’Italia del Trattato di associazione della Gran Bretagna alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio1.

Perfettamente convinto della necessità di accelerare le procedure parlamentari nei singoli Stati facenti parte della Comunità ho provveduto nel mio paese a che fossero prese tutte le possibili misure atte ad accelerarne il corso.

Sono ora in grado di poterle comunicare che lo strumento è stato perfezionato con la firma da parte del Presidente della Repubblica e che esso verrà immediatamente trasmesso2.

Ho appreso con vivo piacere dalla sua lettera del suo progetto di una visita a Roma nei primi giorni del prossimo mese di ottobre.

Sarò ben lieto in tale occasione di poter avere con lei quegli scambi di vedute che così fecondi di realizzazioni si sono dimostrati in altre occasioni.

La prego di voler credere, caro Presidente ed amico, all’espressione dei miei sentimenti i più cordiali.

Martino


1 Vedi D. 67.


2 Vedi D. 90, nota 2.

80

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,CON L’INCARICATO D’AFFARIDELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA A ROMA, STRACHWITZ

Appunto riservato. Roma, 1° settembre 1955.

L’Incaricato d’Affari di Germania, Rudolf Strachwitz, ha chiesto di vedere S.E. il Ministro per riferirgli un messaggio del Ministro degli Esteri tedesco; egli è stato ricevuto alle ore 11,30.

Il Signor Strachwitz ha iniziato la conversazione esprimendo il rammarico del Ministro von Brentano per il rinvio del viaggio a Bonn del Ministro degli Esteri italiano, rinvio che, come è noto, fu dovuto alla crisi politica. Ora, tuttavia, il momento sembrava di nuovo propizio per una visita dell’On. Martino nella capitale tedesca ed egli quindi aveva l’onore di rinnovare, a nome del Ministro von Brentano, l’invito di visitare Bonn se possibile nei giorni 21, 22 e 23 ottobre p.v. e cioè prima della Conferenza N.A.T.O. che verrà tenuta in relazione alla riunione di Ginevra tra i Ministri degli Esteri di Gran Bretagna, di Francia, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica.

S.E. il Ministro ha risposto ringraziando per il cortese invito e dicendosi molto lieto di incontrare il Ministro degli Esteri germanico. Ha ricordato all’Incaricato d’Affari tedesco che, in occasione del primo invito, questo era stato esteso anche al Presidente del Consiglio ed ha quindi chiesto se S.E. Segni si intendeva incluso per la prossima visita.

Il Signor Strachwitz ha precisato di avere solo il nome dell’On. Martino nella comunicazione ricevuta dal Ministro von Brentano, ma ha subito aggiunto di ritenere che una visita del Presidente Segni sarebbe stata molto gradita e quindi si sentiva di affermare che l’invito comprendeva anche il Presidente del Consiglio.

Il Ministro Martino ha allora detto che prima di poter dare una risposta per quanto riguardava la data proposta per la visita, era necessario che egli si consultasse con il Presidente del Consiglio. Si riservava di ritornare sull’argomento con il Signor Strachwitz non appena avrebbe avuto ogni elemento utile per poter dare al Ministro degli Esteri germanico una conferma dell’accettazione italiana1.


1 Per il seguito vedi D. 98.

81

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 14153/1631. Bruxelles, 2 settembre 1955, ore 19,50 (perv. ore 3,15 del 3).

Oggetto: Conferenza Ministri Esteri C.E.C.A.

Relazione che il Ministro Spaak farà a suoi colleghi sui lavori Bruxelles esporrà in dettaglio risultati singole Commissioni. In una visione sintetica può dirsi che bilancio prima fase Conferenza è positivo per quanto riguarda prima individuazione elementi costitutivi e tappe del mercato comune, negativo quanto a integrazione sezionale. Già da ora infatti sembra evidente che quasi nessuno dei vari pools proposti da fautori approccio per settori incontra favore esperti. Se Commissione ente autonomo occupa suo tempo a filosofare su definizione politica energetica comune, Commissione trasporti terrestri ha messo cortesemente in disparte piano Lemaire, e Sottocommissione aeronautica progetto di società internazionale. Anche piano P [...] non pare destinato sorte migliore.

Commissione energia nucleare: è da dirsi che essa si trova davanti problemi molto più seri; avere limitato sua riunione prossima settimana – dopo sospensione un mese – ad un solo pomeriggio, ne è in certo senso un riconoscimento.

Reazione negativa esperti a vari progetti non ha forse riguardo a certe esigenze politiche che potrebbero consigliare dare ancora spago tentativo fare Europa un pezzo per volta, ma indubbiamente conforta posizione di chi come noi è sempre stato favorevole a mercato comune generalizzato. Mi sembra che anche questo sia elemento positivo in quanto permetterà a tempo opportuno chiarire un equivoco tuttora persistente.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.

82

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

Appunto riservato 11. Bruxelles, 2 settembre 1955.

Oggetto: Riunione del Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. a Noordwijk2.

A proposito della prossima riunione del Consiglio dei Ministri della C.E.C.A., che si terrà all’Aja (Noordwijk) il 6 settembre corrente, sotto la presidenza di Beyen, ho chiesto stamane a Spaak quali fossero il suo pensiero e le sue idee circa il proseguimento dei lavori del Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina e circa l’ulteriore corso delle proposte e delle conclusioni che da esso sarebbero uscite.

Il Ministro degli Esteri belga mi ha detto:

1) All’Aja si potrà procedere soltanto a un breve esame dello stato attuale dei lavori delle varie Commissioni, ed egli si limiterà a farne una esposizione di carattere generale. Sarebbe prematuro, ed anche inopportuno, di scendere a disamine più particolari e approfondite e di troppo accelerare i tempi; anche perché le difficoltà del Governo francese si sono aggravate in conseguenza della crisi del Nord-Africa e dei dissensi che essa ha riacutizzati nel paese, nel Parlamento e in seno allo stesso Gabinetto. Non conviene quindi mettere Faure e Pinay (nonostante la loro buona volontà, ed anzi appunto per questo) in maggiore imbarazzo, a rischio di dare ai loro oppositori maggiore esca e forse anche un pretesto per mettere una buccia sotto i piedi del Presidente del Consiglio creando su questo terreno il diversivo di una eventuale crisi ministeriale. L’«atteggiamento reticente» della Delegazione francese in questa ultima settimana sembra a Spaak assai indicativo in tale ordine di idee.

2) Per il seguito dei lavori, Spaak ritiene che si potrebbe stabilire la data del 15 ottobre p.v. quale termine per i lavori preliminari delle Commissioni, dopo di che si potrebbe riunire il Comitato Direttivo per la redazione del Rapporto generale. In tal modo si arriverebbe ai primi di novembre. Per il 15 di novembre, o forse anche per la fine di detto mese, potrebbe essere indetta una riunione dei Ministri per l’esame del Rapporto generale e per studiare la 2ª tappa dei lavori.

In tale riunione, secondo Spaak, potrebbe essere decisa la convocazione di una Conferenza dei Ministri della C.E.C.A. per la fine dell’inverno o anche a primavera, col compito di prendere le intese conclusive e di stabilire gli eventuali progetti di accordi. La detta Conferenza, secondo Spaak, dovrebbe svolgersi durante le elezioni francesi. Nel suo concetto, tale congiuntura faciliterebbe il compito di Faure e di Pinay nel senso che eviterebbe ad essi difficoltà di ordine parlamentare e li renderebbe con ciò meno vincolati nella loro azione durante i lavori, con la prospettiva di trovare una Camera «meno difficile» a elezioni ultimate. Non so se i calcoli di Spaak, ispirati certo alla sua consumata esperienza parlamentare, siano del tutto valevoli nel caso in ispecie e data la complessità e le innumerevoli correnti di contrasto che agitano il mondo politico francese. Non gli ho taciuto perciò qualche riserva, specie per quanto si riferisce all’incognita dei risultati delle nuove elezioni francesi.

A proposito della anzidetta Conferenza dei Ministri, Spaak ha aggiunto di aver avuto notizia che il Governo italiano aveva confidenzialmente suggerito che essa potrebbe essere convocata a Roma. Egli è pienamente favorevole a tale suggerimento, e mi ha assicurato che vi darebbe il proprio appoggio.


1 Trasmesso con Telespr. riservato 3883 del 5 settembre al Ministero degli Affari Esteri e per conoscenza alle Ambasciate a Londra, Parigi, Washington, Bonn, L’Aja e alla Legazione a Lussemburgo. Ad esso erano allegati i seguenti appunti, relativi ad un colloquio di Scammacca del Murgo con Spaak: 1) Riunione del Consiglio dei Ministri della C.E.C.A a Noordwijk; 2) Sarre; 3) Conferenza dei Quattro Ministri degli Affari Esteri a Ginevra; 4) Distensione Est-Ovest – U.E.O., N.A.T.O. – Germania; 5) Viaggio Spaak a Roma e New York».


2 Vedi D. 85.

83

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI

Appunto. Bruxelles, 5 settembre 1955.

STATO DI AVANZAMENTO DEI LAVORI DELLE COMMISSIONI1

Commissione del mercato comune.

Il metodo di lavoro adottato è stato di compiere anzitutto una generale ricognizione del terreno; nella seconda fase (che è in corso) la Commissione ha affrontato più direttamente i grandi gruppi di problemi (tariffari, di salvaguardia, di armonizzazione, ecc.).

Le principali divergenze, oltre che su taluni punti tecnici, vertono sul ritmo che dovrebbe presiedere alla progressiva instaurazione del mercato comune, e sui metodi per limitare i rischi e le perdite derivanti dall’apertura dei mercati nazionali.

Il più pericoloso préalable francese (quello dell’armonizzazione delle «condizioni iniziali» prima o contemporaneamente alla stesura di un accordo sul mercato comune) viene mantenuto nell’ombra, rimanendo tuttavia sempre disponibile per essere usato come mezzo di pressione o addirittura per giustificare un rifiuto.

Un mutamento importante rispetto agli scorsi anni è che la Commissione affronta i problemi con spirito pragmatico e senza pregiudizi di sorta. Non si tenta di definire un mercato comune ideale, tutte le difficoltà e gli ostacoli del quale siano superati in anticipo. I modelli si cercano piuttosto nel Benelux e nel Commonwealth; la querelle des institutions è quasi totalmente assente.

Sottocommissione degli investimenti (Pres. Prof. Di Nardi).

Ha fatto un buon lavoro e presentato un primo rapporto. Sono state superate alcune difficoltà iniziali, come p.e.:

- i francesi richiedevano solo un fondo di riadattamento, i tedeschi solo un fondo d’investimenti;

- i tedeschi pensavano al fondo di investimenti come a una banca, e non a un istituto per finanziare lavori d’infrastrutture e miglioramento.

La posizione tedesca, e entro certi limiti quella del Benelux, sono però sempre ispirate alla comprensibile cautela di chi dovrà essere fornitore piuttosto che beneficiario di risorse.

Il problema di quale ammontare dovrebbero e potrebbero avere le risorse dei due fondi non è stato ancora sfiorato.

Sottocommissione dei problemi sociali.

Ha anch’essa presentato un primo rapporto, nel quale la posizione della Francia è alquanto isolata. Le altre Delegazioni non sono infatti inclini ad attribuire la stessa importanza alle cosiddette «distorsioni sociali» (differenze sui salari, sugli oneri di sicurezza sociale, sulle ore di lavoro, ecc.); benché ammettano che esse dovranno essere corrette nel corso del periodo di progressiva instaurazione del mercato comune.

Per quanto riguarda la libera circolazione delle persone, il rapporto preliminare non è cattivo, ma è stato chiesto alla Sottocommissione di meglio precisare i tempi ed i metodi della progressiva instaurazione di tali libertà. Un utile lavoro è stato compiuto dal Gruppo sulle persone non salariate, presieduto dal Terzo Segretario Bettini.

Commissione dell’energia nucleare.

È quella che si è riunita meno frequentemente (23 luglio, 29 luglio, 5 settembre). Si è finora limitata a raccogliere materiale sulla situazione di diritto e di fatto dell’energia nucleare (leggi, accordi internazionali, istituti pubblici, ricerche scientifiche, relazioni industriali) nei vari paesi. Gli elementi raccolti sono di valore ineguale, e ne occorrerebbero altri se si dovesse passare a qualcosa di concreto.

La Delegazione francese ha preparato un interessante documento per indicare in quali campi dell’utilizzazione industriale dell’energia nucleare sarebbe proficua o perfino indispensabile una collaborazione europea. I principali sono:

- metallurgia dell’uranio;

- ufficio europeo delle misure nucleari;

- produzione di acqua pesante (Larderello?);

- estrazione dell’elio;

- separazione del boro e del litio;

- costruzione di prototipi di reattori industriali;

- separazione dell’uranio 235 (prima che siano disponibili grandi quantità di plutonio in U.S.A. o in Europa);

- laboratori di ricerca tecnologica;

- centri di formazione scientifica e specializzata.

La Commissione non ha ancora iniziato l’esame di tali proposte. In riassunto, la Commissione ha terminato soltanto la prima delle quattro fasi di lavoro prescrittele, quella dell’inventario.

Commissione dell’energia classica.

Si è riunita abbastanza assiduamente ma non si può dire che abbia ottenuto risultati molto soddisfacenti o comunque proporzionati alla mole di lavoro svolto.

Praticamente tutto quello che si è fatto sinora consiste nell’esame delle iniziative appena abbozzate dall’O.E.C.E. e dalla C.E.C.A. in materia di energia e nella stesura di una lista di sedici problemi «da esaminare» ma, che certo non potrebbero essere risolti in questa sede, presupponendo indagini, anche di carattere statistico, approfondite e molto ampie.

L’impressione complessiva che si ricava dall’attività di questo settore è che il lavoro – forse anche per difetti inerenti al mandato – proceda piuttosto lentamente e senza grande mordente.

Quanto alla parte del mandato riferentesi alle linee di un programma comune di investimenti in materia energetica ed al problema istituzionale, essa non è stata ancora affrontata e probabilmente non lo sarà mai date le difficoltà intrinseche di tale impostazione.

Commissione dei trasporti (Pres. Prof. Laloni).

Ha lavorato molto assiduamente e, nel complesso, in modo abbastanza soddisfacente.

Dopo una prima fase, in cui la Commissione ha dovuto superare una certa difficoltà di orientamento dovuta forse ad una non perfetta comprensione dell’indirizzo generale della Conferenza, essa ha ora affrontato il compito assegnatole.

Ancora in corso è l’inventario della rete delle comunicazioni d’interesse europeo nonché quello dei programmi in corso di sviluppo.

Il rapporto della Conferenza europea dei Ministri dei Trasporti, così come i rapporti Lemaire e Kapteijn, che, a termini del mandato dovevano essere esaminati in vista della eventuale formulazione di proposte, non hanno incontrato grande favore tra gli esperti che hanno finito sommessamente per accantonarli. E ciò poiché l’andamento delle discussioni in sede di Commissione, riflesso dell’impostazione generale della Conferenza, ha imposto l’esigenza di spostare piuttosto l’indagine verso l’individuazione dei problemi che, in questo settore, solleverebbe l’applicazione del mercato comune.

Sottocommissione dei trasporti aerei.

Specie tenendo conto dell’ampiezza, forse eccessiva, delle direttive impartite, i risultati finora ottenuti non sono molto incoraggianti.

Erano state avanzate tre proposte concrete: una per la costituzione di una società per l’acquisto del materiale aeronautico; un’altra mirante alla creazione di una società comune per lo sfruttamento di talune linee transcontinentali; una terza, volta a ricercare i metodi per la standardizzazione del materiale di volo per incoraggiare la costituzione di un’industria aeronautica europea.

Per diversi motivi, tutti questi progetti non hanno incontrato gran favore da parte della Commissione. Le varie compagnie aeree interessate sono state consultate sia riunendone gli esponenti in un apposito gruppo di lavoro, sia interpellandole per iscritto come è accaduto per la proposta costituzione di una società per l’acquisto del materiale aeronautico.

Nel complesso non sembra che in questo settore ci si possano aspettare progressi sensibili anche se qualche risultato potrebbe forse essere conseguito nel campo delle facilitazioni ed in quello dell’economia del trasporto aereo.

Per tali problemi sono costituiti due appositi gruppi di lavoro ai quali la Delegazione italiana ha presentato alcune proposte costruttive.

Sottocommissione delle poste e telecomunicazioni.

È stata costituita con l’incarico di esaminare il rapporto del Ministro francese Bonnefous e di studiare le possibilità di applicazione ai sei paesi ed eventualmente ad altri. Tale compito è stato esaurito in due giorni.

Tutti i problemi sono stati raggruppati in tre categorie:

a) questioni che potrebbero ostacolare la creazione del mercato comune;

b) questioni la cui soluzione non sarà possibile che dopo la creazione del mercato comune;

c) questioni attualmente allo studio o in corso di realizzazione e la cui realizzazione può prescindere dalla creazione del mercato comune.

È in preparazione un documento conclusivo impostato su queste linee2.


1 Del Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina.


2 Vedi D. 84.

84

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1.

COMITATO DIRETTIVO

(seduta del 5 settembre)

Nelle due sedute del 5 corrente, il Comitato Direttivo ha ascoltato i rapporti dei Presidenti delle diverse Commissioni e Sottocommissioni in merito all’andamento dei lavori.

Come risulta dal progetto di sommario delle decisioni (Doc. 230), il Comitato ha approvato il metodo di lavoro, inaugurato per prima dalla Commissione del mercato comune e successivamente seguito anche da altre Commissioni e Sottocommissioni (energia classica, energia nucleare, investimenti), metodo che consiste nel redigere un questionario dei problemi sollevati dal dibattito e nel chiamare successivamente le Delegazioni a rispondere ai vari quesiti.

Il sistema offre – a comune avviso – il vantaggio di ottenere la migliore individuazione dei diversi problemi e di chiarire conseguentemente l’atteggiamento delle Delegazioni riguardo ad essi. Ciò che consentirà ai Ministri degli Affari Esteri di avere una realistica base di valutazione per le loro decisioni definitive.

Nel documento sopra citato, la data fissata per il deposito delle conclusioni da parte delle Commissioni è indicata nel 15 ottobre p.v.

Il periodo intercorrente tra il 15 ed il 31 (data fissata dai Ministri a Noordwijk)2 sarà utilizzato per l’esame e gli eventuali ritocchi dei singoli rapporti in modo da consentire, a partire dal 31 ottobre, l’inaugurazione della nuova fase di lavoro consacrata alla stesura del cosiddetto «rapporto d’insieme» sull’attività del Comitato Intergovernativo.

Secondo quanto è sinora previsto, la compilazione del rapporto d’insieme sarà affidata ad un apposito Comitato di redazione che avrà cura, nel documento finale, di enunciare i vari problemi sollevati dal mandato conferito agli esperti dalla Conferenza di Messina, ed indicare 1e soluzioni sulle quali esiste un accordo nonché quelle eventuali per le quali si sarà manifestata una divergenza di opinioni.

Nella prossima seduta del Comitato Direttivo, fissata al 3 ottobre p.v.3, salvi altri argomenti che potranno essere aggiunti da qui fino ad allora, i Capi delle Delegazioni esamineranno i rapporti finali preparati dalla Sottocommissione per i trasporti aerei e da quella per le poste e telecomunicazioni. Nella stessa sessione sarà decisa anche la procedura da seguire dopo il 31 ottobre, per la stesura del rapporto d’insieme.

Per i Dicasteri più direttamente interessati si allega copia del documento n. 230 sopra menzionato4.


1 Diretto agli stessi destinatari di cui al D. 69, nota 1, con l’aggiunta del Ministero dell’Agricoltura e Foreste, della Banca d’Italia, della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori e dell’Unione Italiana del Lavoro, con il Telespr. 44/14367 del 27 settembre. Il documento fu redatto successivamente al 6 settembre 1955.


2 Vedi D. 85.


3 Vedi D. 94.


4 Non si pubblica.

85

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

Appunto riservato1.

APPUNTO SULLA RIUNIONE DEI SEI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI

DEI PAESI CHE FORMANO LA C.E.C.A.

(Noordwijk-Olanda – 6 settembre 1955)

I sei Governi dei paesi che formano la Comunità del Carbone e dell’Acciaio hanno tenuto fede alla procedura fissata nella «Risoluzione» di Messina dei primi di giugno2 nella quale si faceva esplicita menzione della opportunità che i loro Ministri degli Affari Esteri si riunissero prima del 1° ottobre 1955 per prendere conoscenza dei rapporti, di carattere provvisorio, preparati dal Comitato dei Delegati governativi che, come è noto, ha trovato da due mesi la sua residenza a Bruxelles sotto la direzione del «coordinatore politico» e Ministro degli Affari Esteri del Belgio, Signor Spaak.

Così alla data del 6 settembre e sotto la presidenza del Presidente di turno, Ministro degli Affari Esteri dei Paesi Bassi, Beyen, ha avuto luogo la prevista riunione allo scopo specifico, oltre che di conoscere i risultati fino ad oggi raggiunti, di impartire le istruzioni necessarie per la continuazione dei lavori, sempre a norma della suaccennata «Risoluzione» di Messina.

Sono stati presenti tutti i Ministri degli Affari Esteri ad eccezione di quello della Repubblica Federale Tedesca, von Brentano, trattenuto a Bonn per la preparazione del viaggio del Cancelliere Adenauer a Mosca, e sostituito a Noordwijk dal Segretario di Stato Hallstein. Per l’Italia, il Ministro degli Affari Esteri, On. Martino, accompagnato dall’On. Benvenuti, Delegato italiano nel Comitato di Bruxelles. Assente, invece, e per quanto tempestivamente invitato, il Regno Unito, il cui Governo aveva preferito, in accordo con quello di Washington, far pervenire, pochi giorni prima della riunione, al «coordinatore» Spaak una sua comunicazione intesa a porre in rilievo i caratteri attuali dell’azione europea di cooperazione economica con particolare riguardo alla necessità che lo sviluppo dei lavori del Comitato di Bruxelles potesse avvenire parallelamente ed in armonia con quelli che da tempo vanno svolgendosi principalmente nella cornice dell’O.E.C.E. di Parigi.

L’ordine del giorno della riunione era, e non poteva essere altrimenti, piuttosto limitato e quasi interamente basato sul primo rapporto del Ministro Spaak. E questi lo ha svolto con una certa ampiezza ma mantenendosi sempre, ed esclusivamente, nel campo procedurale, senza entrare in una esposizione delle tesi già affiorate a Bruxelles nella prima fase applicativa della «Risoluzione» di Messina. Così egli ha esaurientemente indicato l’organizzazione e l’intelaiatura del Comitato di Bruxelles che, come è noto, si è suddiviso in: a) Commissione dei trasporti e dei lavori pubblici, con una Sottocommissione per i trasporti aerei; b) Commissione per l’energia classica; c) Commissione per l’energia nucleare; d) Commissione per il mercato comune, con una Sottocommissione per gli investimenti ed una Sottocommissione per le questioni sociali.

Tutte queste Commissioni hanno già svolto una serie di indagini dirette sopratutto a «fissare» i termini dei vari problemi anche alla luce e con la scorta di quanto è stato fino ad oggi compiuto, in quei settori, dalle varie organizzazioni economiche internazionali esistenti: naturalmente esse non hanno mancato di cominciare ad osservare il problema della composizione e delle funzioni degli organi che dovessero essere preposti alla futura applicazione delle decisioni che venissero raggiunte.

Il Ministro Spaak si è dimostrato, nel complesso, soddisfatto di questa prima fase di lavori pur non tacendo come – e d’altra parte non poteva essere altrimenti – non tutte le Commissioni abbiano proceduto di pari passo e come le difficoltà incontrate nei vari settori siano state diverse per numero e per intensità. Egli inoltre, e sopratutto, ha ripetutamente illustrato il concetto «informatore» che, secondo i suoi intendimenti, dovrebbe essere alla base di tutto il lavoro degli esperti convocati a Bruxelles. Questi, cioè, dovrebbero avere una piena e completa libertà di esposizione e di fissazione dei problemi e delle soluzioni adatte a risolverli, senza alcuna preoccupazione di carattere politico o di altra natura inquantoché, una volta formulato il previsto rapporto generale che dovrà concludere e riassumere l’azione del Comitato, saranno poi i singoli Governi ad emettere, in sede politica, i loro giudicati e ad assumere le loro piene responsabilità.

Questa tesi, evidentemente, non sempre potrà trovare, specialmente per taluni settori, a cominciare da quello, del tutto nuovo, dell’energia nucleare, facile applicazione. Essa, infatti, ha già sollevato, nella stessa riunione di Noordwijk, una prima reazione, per lo specifico e delicato settore dell’agricoltura, proprio da parte del rappresentante del Lussemburgo, Presidente Bech, il quale si è mostrato subito molto preoccupato del fatto che la responsabilità del suo Governo potrebbe, in pratica, essere già compromessa da un atteggiamento soverchiamente indipendente degli esperti di Bruxelles.

All’esposizione procedurale del Ministro Spaak ha fatto seguito una discussione i cui punti principali e maggiormente interessanti sono stati:

1) l’intervento del Rappresentante italiano, On. Martino, il quale ha messo bene in chiaro come tutto il lavoro del Comitato presieduto dal Ministro Spaak debba sempre più svolgersi con lo scopo e sulla base della formazione di un «mercato comune» tra i paesi interessati. La circostanza che, come hanno dimostrato i lavori preparatori fino ad oggi eseguiti, i mezzi per il raggiungimento di tale mercato possano essere anche diversi nell’intendimento dei vari paesi (tariffa doganale comune destinata a creare una vera unione doganale, oppure conservazione delle tariffe esistenti con l’istituzione di meccanismi intesi ad evitare la deviazione dei traffici con la creazione di una zona di libero scambio) non deve far perdere di vista il vero e proprio scopo dell’azione intrapresa dai sei Governi. In altre parole l’integrazione verticale per settori deve cedere il passo dinanzi alla integrazione orizzontale destinata, anche se con le opportune graduazioni e gli opportuni temperamenti, a creare nell’Europa Occidentale effettive e solide fondamenta per il processo generale integrativo.

A Bruxelles, quindi – ha concluso il Rappresentante italiano – bisognerà che gli esperti, a qualunque Commissione essi appartengano, abbiano sempre e costantemente dinanzi agli occhi questa «direttiva» di marcia: tesi che ha riscosso, peraltro, l’approvazione degli altri Ministri degli Affari Esteri.

2) L’intervento del Rappresentante della Repubblica Federale Tedesca, Hallstein, il quale ha, con parole molto esplicite, voluto dissipare quei dubbi circa l’avviamento «europeista» che, secondo taluni, sarebbero apparsi, in questi ultimi tempi, nelle sfere direttive germaniche. Così egli, nell’ammettere come in Germania siano esistite ed esistano tuttora polemiche in tale campo, ha affermato che esse riguardano unicamente il metodo ma non il fine da raggiungere, inquantoché tutti (e qui Hallstein ha fatto addirittura esplicitamente il nome del Ministro dell’Economia Erhard) desiderano proseguire l’azione intrapresa da anni e diretta a facilitare, proprio ai fini politici di dare all’Europa Occidentale un contenuto ed un valore sempre maggiori anche nei confronti del mondo sovietico, il processo integrativo economico e politico: dichiarazione, questa, che, proprio al momento stesso della partenza del Cancelliere Adenauer per le conversazioni di Mosca, è apparsa degna di notevole attenzione.

La seconda parte della riunione è stata dedicata ad altre questioni procedurali in merito ai termini di azione e di tempo per la continuazione dei lavori del Comitato di Bruxelles. Così è stata, fra l’altro, decisa una maggiore partecipazione dell’Alta Autorità della C.E.C.A., mentre al Ministro Spaak è stato dato l’incarico di prendere gli opportuni contatti per vedere attraverso quale autorità – probabilmente un Ministro del Comitato dei Ministri della C.E.C.A. – potrà avvenire, nel prossimo futuro, una presa di contatto espositiva con l’Assemblea Comune della C.E.C.A. stessa. Altra parola, infine, è stata fatta in merito alla nota raccomandazione n. 72 adottata, nello scorso luglio, dall’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e nella quale si indicava l’opportunità che i risultati dei lavori del Comitato preparatorio di Bruxelles venissero portati a conoscenza di quell’Assemblea.

A conclusione della riunione, che è durata soltanto poche ore, è stato emesso un comunicato nel quale si dichiara che i Ministri, nel riconoscere con soddisfazione l’opera fino ad oggi compiuta dal Comitato di Bruxelles, sia in merito alla creazione di un mercato comune, e sia per una maggiore integrazione nel campo dei trasporti ed in quelli dell’energia nucleare e dell’energia classica, hanno riaffermato l’intera e completa adesione dei loro Governi alla politica e agli obiettivi che vennero già definiti a Messina. Il comunicato stesso, inoltre, in merito alla procedura per la prosecuzione dei lavori, ha fissato al 31 ottobre (e cioè posticipando di un mese la data prevista a Messina) la presentazione, da parte degli esperti di Bruxelles, delle conclusioni della loro azione, dimodoché il Rapporto finale possa, nel più breve tempo possibile, dopo quella data, essere portato a conoscenza dei Governi interessati perché questi, a loro volta, possano prendere le loro decisioni. A Messina, infatti, era già stata prospettata la necessità della convocazione futura di una o più conferenze intese a favorire l’elaborazione di trattati e di accordi in merito alle materie già oggetto dello sforzo diretto all’integrazione economica europea.

La riunione di Noordwijk si presta ad alcune considerazioni e cioè:

1) il Governo francese, che è stato rappresentato alla riunione dal Ministro Pinay, accompagnato da una imponente anche se taciturna Delegazione, è apparso voler sempre inspirare la propria azione a quella estrema cautela che è stata la sua caratteristica in tutto il travaglio integrativo degli ultimi anni. La posizione della Francia è, infatti, oggi caratterizzata sempre più da una posizione interna politica e parlamentare estremamente difficile e complessa, ma al tempo stesso da una prosperità economica di indubbia importanza, e tale da provocare dubbi e interrogativi circa la convenienza di battere nuove strade economiche. Non per nulla, proprio nella vigilia immediata di Noordwijk, il Ministro delle Finanze, Pflimlin, aveva annunciato a Strasburgo che in un solo anno la produzione industriale francese è cresciuta di ben l’11%.

Nulla esclude, naturalmente, che domani, e cioè dopo le prossime e non lontane elezioni politiche, la Francia possa affrettare la sua marcia (nei corridoi di Noordwijk si è anche accennato alla possibilità di una non lontana presentazione, da parte francese, di un «piano» inteso a promuovere una unione doganale europea, sempre naturalmente a lunga scadenza) ma, per il momento, troppi sintomi fanno prevedere che il Governo di Parigi manterrà, si ripete, la sua circospezione e la sua diffidenza in merito ad applicazioni e realizzazioni ritenute intempestive e troppo drastiche.

2) Il Governo di Bonn, come si è già sopra accennato, appare rendersi pienamente conto dei dubbi che in Europa sono effettivamente sorti, negli ultimi tempi, circa la sua volontà «europeista» quale era stata immaginata ai tempi della C.E.D. e della C.E.P. E cerca di dissiparli, per quanto è possibile. Naturalmente gli sviluppi e gli eventi dei prossimi mesi permetteranno agli altri paesi di giudicare con maggiore esattezza in merito agli effettivi intendimenti germanici. Sta di fatto, comunque, che il Governo di Adenauer desidera apparire, tuttora, «ortodosso» in tema di collaborazione occidentale europea.

3) Nei paesi del Benelux si nota qualche diversità di impostazione in merito al «rilancio europeista» intrapreso a Messina: situazione, questa, che è apparsa abbastanza chiara nell’atteggiamento assunto dal Presidente lussemburghese Bech che, si può dire per la prima volta, si è molto chiaramente ed ampiamente espresso per indicare le sue gravi preoccupazioni nel settore dell’agricoltura. Ciò nondimeno, gli intendimenti del Belgio e dell’Olanda appaiono tuttora concordi per rappresentare un elemento positivo ai fini di quel «rilancio».

4) La «Carta di Messina» si va effettivamente rivelando come un atto internazionale di notevole ed interessante carattere, inquantoché essa, in un momento molto delicato della politica europea, ha rappresentato, ai fini sopratutto dell’integrazione economica, un punto di ancoraggio ed una pedana di partenza degni, si ripete, di attenzione. Essa si è dimostrata valida e vivente anche all’indomani della Conferenza di Ginevra. E ora, senza esagerarne le possibilità di sviluppo ai fini della politica generale, quella Carta appare sempre più un efficace correttivo a quei troppo rapidi sbandamenti o addirittura deviazioni che la situazione degli ultimi mesi, in tema di cooperazione europea, avrebbe potuto far temere. A ciò si aggiunge la circostanza, di carattere pratico, che queste ripetute riunioni dei Ministri degli Affari Esteri dei paesi occidentali europei, del tipo di quella di Noordwijk, appaiono sempre destinate a permettere e facilitare utili scambi di idee anche su altre questioni di comune interesse, oppure in merito ad interessi particolari tra Stato e Stato.

5) Naturalmente qualche equivoco può essere creato dal fatto che queste riunioni dei sei Ministri degli Affari Esteri non sono, sotto il profilo giuridico e statutario, riunioni del «Comitato dei Ministri della C.E.C.A.», organo specifico di quella Organizzazione, ma sono invece riunioni dei Ministri degli Affari Esteri dei paesi che formano la C.E.C.A.: situazione questa che, ad un certo momento, potrebbe far sorgere interrogativi anche di natura parlamentare, in merito all’autorità ed alla potestà della C.E.C.A. in tema di «rilancio europeista». Ma, qualora, come è augurabile, effettivi passi in avanti potranno essere compiuti nel campo dell’integrazione economica non dovrà essere difficile trovare, ad un certo momento, anche gli opportuni accorgimenti, riprendendo cioè quella azione che aveva permesso di vedere profilarsi in seno alla progettata e poi mancata Comunità Europea di Difesa, una Comunità Politica Europea3.


1 L’appunto, datato Roma 10 settembre, venne trasmesso da Magistrati a Quaroni con L. riservata 1339, pari data. Per il verbale della riunione vedi Appendice documentaria, D. 2.


2 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.


3 Vedi anche D. 88.

86

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 14405/521. L’Aja, 7 settembre 1955, ore 11,25 (perv. ore 13,20).

Oggetto: Conferenza Ministri C.E.C.A.

Consiglio dei Ministri Esteri ha ascoltato rapporto Spaak su primi risultati lavori Comitato Brusselle. Ministri Esteri hanno approvato organizzazione e metodo lavori. Su mia proposta, appoggiata da Spaak e da Hallstein, Ministri hanno precisato che esperti delle varie Commissioni e Sottocommissioni devono affrontare problemi di settore solo in funzione però dell’instaurazione di un mercato comune generalizzato.

Sia per difficoltà tecniche intrinseche al lavoro esperti, sia per nota situazione francese, Ministri hanno deciso che Commissioni concluderanno loro studio entro fine ottobre e che Comitato Direttivo presenterà rapporto d’insieme non appena possibile dopo tale data. Si è rimasti intesa che Ministri torneranno a riunirsi probabilmente verso fine di novembre per prendere conoscenza delle grandi linee di tale rapporto. Esso verrà successivamente sottoposto ad esame dei Governi e un’ulteriore riunione Ministri a data da stabilirsi entro i primi mesi dell’anno 1956 deciderà dell’eventuale convocazione della Conferenza per stesura del trattato.

Prego comunicare quanto precede Presidente Segni.

Parto oggi per Londra.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a L’Aja.

87

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,CON IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERIDEL REGNO UNITO, MACMILLAN

Verbale segreto1. Londra, 9 settembre 1955.

SUNTO DELLE CONVERSAZIONI CHE HANNO AVUTO LUOGO IL 9 SETTEMBRE 1955NELLA SEDE DEL FOREIGN OFFICE TRA IL MINISTRO MARTINOE IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, SIGNOR MACMILLAN

Al colloquio assistevano da parte italiana oltre a S.E. il Ministro, l’Ambasciatore Zoppi e il Ministro Migone. Macmillan era assistito dai Sig. Caccia, Ward, Pink, etc. Il colloquio che faceva seguito ad una colazione offerta nell’abitazione del Ministro degli Esteri alle citate persone, ebbe inizio alle ore 15,30 ed ebbe termine alle 17,30.

Macmillan dà il benvenuto. Ritiene utile l’occasione per uno scambio d’idee, anche agli effetti dell’opinione pubblica italiana, le cui reazioni nel momento attuale gli sono ben note.

Il Ministro Martino espone in sintesi tale stato d’animo. Il pubblico italiano si preoccupa effettivamente di vedere esclusa l’Italia da trattative che la concernono ormai direttamente, dato che il problema della Germania ha cessato di rappresentare un interesse preminentemente alleato per divenire, con quello delle relazioni con l’Est, d’interesse europeo. La posizione geografica poi della Germania giustifica particolari preoccupazioni da parte nostra.

Una soddisfazione a queste correnti di opinione pubblica potrebbe essere trovata nella partecipazione diretta dell’Italia ai lavori della Commissione delle Nazioni Unite per il disarmo.

Non si nasconde che in realtà quello che si desidera in Italia – sia ciò giustificato o meno – è la partecipazione diretta alle discussioni che dovrebbero decidere a Ginevra della sorte dell’Europa2. Si rende conto che non è facile la nostra inclusione, ma si domanda se non si potrebbe escogitare una formula che risulti soddisfacente per tutti.

A questo punto il Ministro cita il comunicato di Ginevra che lasciava prevedere la possibilità che altri paesi fossero associati ai lavori dei Grandi (e non si nasconde che l’allusione concerneva evidentemente la Germania). Secondo quanto Foster Dulles aveva detto a Magistrati questo principio avrebbe potuto fornire anche per noi certe possibilità.

Passa poi a parlare della questione dell’ammissione dei nuovi membri che verrà portata alla prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Si pone quindi il problema dell’ammissione dell’Italia e fa presente che se anche una sola ammissione vi fosse, il Governo italiano verrebbe a trovarsi in una situazione ben delicata se l’Italia non figurasse tra i prescelti.

Per rispondere a queste esigenze che non sono soltanto italiane, sarebbe inoltre forse opportuno dare più peso all’attività che può essere svolta in seno alla N.A.T.O. e alla U.E.O. L’atmosfera di Ginevra aveva mostrato la tendenza dell’opinione pubblica, almeno in Italia, verso un diminuito interesse in queste organizzazioni. Si potrebbe pensare a qualche iniziativa o a qualche riunione sulla base dell’art. 2 dello Statuto del N.A.T.O. per porre riparo a questo inconveniente?

Il Ministro Martino ammette di non poter essere ottimista sui prossimi incontri dei Grandi. Gravi questioni vi saranno certamente discusse ma non risolte. A più forte ragione occorre cogliere l’occasione per valorizzare gli enti sopra citati. Questa valorizzazione è più che mai necessaria dato lo stato dell’opinione pubblica in Italia.

Macmillan si rende perfettamente conto delle difficoltà del problema nel suo insieme. Illustrerà come è vista la situazione in Gran Bretagna.

Lo spirito di Ginevra è certamente pericoloso perché crea la sensazione che essendosi realizzata una distensione apparente non occorrono gli sforzi che sarebbero invece necessari per raggiungere quella effettiva.

È molto più difficile in questa nuova atmosfera convincere il contribuente che sono tuttora necessarie delle spese militari, ecc. Cita la favola di La Fontaine del vento e il sole.

D’altra parte è certo che se si riesce a mantenere un certo equilibrio anche in questo campo, Ginevra avrà offerto il notevole vantaggio di poter dare luogo alle discussioni. Anche in Gran Bretagna si parla di apertura a sinistra (dell’apertura a sinistra aveva fatto cenno il Ministro Martino per quanto concerne l’Italia); ma si sa bene che apertura a sinistra vuol dire aprire la porta ai comunisti. Dobbiamo d’altra parte renderci conto che anche l’U.R.S.S. deve far fronte a dei problemi analoghi, ciò che può in un certo qual senso riequilibrare la situazione. Da tutto l’atteggiamento della Delegazione sovietica a Ginevra ci si poteva rendere facilmente conto quanto i russi – e probabilmente tutti gli strati della popolazione sovietica – fossero felici di essersi liberati dell’incubo di Stalin. Per i negoziatori sovietici era certo una liberazione non essere più terrorizzati a distanza dal dittatore nel modo di portare le trattative. Kruschev ebbe a spiegare che anche la Russia si trovava ora nella necessità di dover provvedere alla formazione di un governo di gabinetto e c’era in Russia un’opinione pubblica con la quale i governanti sovietici dovevano fare i conti.

Un sintomo che un cambiamento del genere, sia pure in misura assai limitata, si era verificato, consisteva nel fatto che degli occidentali potevano ora recarsi in Russia. Ma sarebbe ancora più desiderabile che dei russi vengano in Occidente perché ne rimarrebbero colpiti, ed era verosimile che maggiori scambi di uomini e di idee potessero influire favorevolmente.

Esiste indubbiamente nel presente stato di cose un grave pericolo per le nostre popolazioni, ma le condizioni attuali dell’Unione Sovietica fanno pensare ad un certo equilibrio.

Il Governo britannico si recava a Ginevra con il piano di insistere al massimo per ottenere la riunificazione della Germania. Certo era legittimo di dare un giusto peso al bisogno russo di sicurezza. Non si avevano peraltro speranze di notevoli progressi, né in un campo né nell’altro, in occasione di questo prossimo incontro.

A questo punto conveniva osservare, prosegue Macmillan, che il nostro problema principale non è tanto quello delle informazioni che effettivamente ci scambiamo, per quanto utile ciò possa essere, quanto il tener debito conto delle reazioni dell’opinione pubblica. Ci si rendeva conto a Londra dello stato di disagio in cui si trovavano i Governi dei paesi aderenti alla N.A.T.O. che non partecipavano direttamente alle discussioni di Ginevra.

Egli, Macmillan, si proponeva di dare maggior rilievo alla prossima riunione del Consiglio Atlantico e dedicare a questa riunione il tempo necessario per un più approfondito scambio di idee, cosa di cui non avrebbe mancato di prendere nota la stampa. Egli si rendeva conto altresì che agli effetti dell’opinione pubblica italiana era importante sottolineare il rango e l’importanza dell’Italia di fronte agli altri membri della N.A.T.O. Si domandava se sarebbe stato di qualche utilità dare maggiore importanza alla U.E.O. D’altra parte già troppo numerose sono le organizzazioni internazionali, né è facile ridurne il numero perché certi paesi fanno parte di una organizzazione e altri paesi dell’altra.

Macmillan si domandava che cosa si potesse immaginare per provare all’opinione pubblica italiana che maggiore è il peso dell’Italia. Vediamoci intanto più spesso tra Ministri degli Esteri dei due paesi in modo di fornire alla stampa più frequenti comunicati. Ciò darà almeno l’impressione della considerazione che il Governo britannico ha dell’Italia.

Per quanto concerne l’ammissione dell’Italia nelle Nazioni Unite l’Italia può contare sul massimo appoggio da parte britannica. Macmillan credeva di poter giungere fino ad assicurarci che il Governo britannico sarebbe contrario all’ammissione di qualunque paese se non fosse ammessa l’Italia.

Zoppi osserva che il pericolo esisteva che l’Austria fosse ammessa anche a esclusione dell’Italia, date le clausole del recente Trattato.

Caccia e Pink osservano che la posizione dell’Austria non è più forte di quella dell’Italia, in quanto il diritto a far parte delle Nazioni Unite deriva in ambedue i casi dal Trattato di pace ed è analogamente formulato.

Macmillan osserva che evidentemente i russi possono votare per l’Austria e votare contro di noi.

Pink non si nasconde che questa possibilità esiste. Ad evitare inconvenienti si potrebbe chiedere che le elezioni avessero luogo nell’ordine cronologico delle domande.

Macmillan replica che forse nello spirito di Ginevra i russi hanno modificato il loro atteggiamento nei nostri confronti in questo specifico argomento.

Risponde alla domanda già posta dal Ministro Martino dicendo che l’Italia potrebbe essere chiamata a far parte della Commissione per il disarmo mediante cooptazione anche senza essere membro delle Nazioni Unite. In tal caso peraltro è possibile che i russi chiedano l’ammissione della Cina.

Il Ministro Martino replica che la Cina è membro dell’Organizzazione. I russi fanno infatti questione quale dei due Governi, se quello comunista o quello nazionalista, debba essere riconosciuto legittimo rappresentante della Cina.

Macmillan ritiene che migliore soluzione è evidentemente quella di assicurare l’ammissione dell’Italia. Il voto dovrebbe avere luogo molto prossimamente. Se per un motivo qualsiasi tale ammissione non avesse luogo, parlerà con Foster Dulles perché si venga chiamati a far parte della Commissione del disarmo.

Macmillan conclude la sua esposizione dicendo che è veramente difficile calcolare che cosa stia accadendo. Bisogna intanto evitare che l’eventuale abolizione della guerra atomica non abbia ad incoraggiare aggressioni con armi convenzionali di guerra. Chiede poi di essere informato di quanto è accaduto a seguito degli incontri di Messina.

Il Ministro Martino spiega quali furono questi accordi e il funzionamento delle Commissioni e Sottocommissioni di Bruxelles. Illustra i risultati dell’incontro del giorno 6 corrente all’Aja3 e si dice molto lieto nell’avere appreso che gli osservatori britannici siano stati molto attivi con suggerimenti e altre forme di collaborazione, in seno alle Commissioni e Sottocommissioni del Comitato Intergovernativo presieduto da Spaak.

All’Aja si è constatato che sussistono difficoltà pur essendoci trovati di fronte ad un incoraggiante inizio. Dà altri dettagli sul tipo di queste difficoltà ed osserva che i Ministri hanno constatato la necessità di procedere lentamente perché il Parlamento francese non dispone oggi di una maggioranza favorevole all’integrazione europea. Si impone quindi di attendere il risultato delle elezioni francesi. Il problema dell’integrazione europea è invece molto sentito in Italia. È ovvio, secondo il Ministro Martino, che qualsiasi cosa si faccia in tale sede, occorrerà sempre che ciò avvenga in pieno accordo con la N.A.T.O., perché risolvere il problema del mercato comune non significa ancora avere risolto quello più essenziale della difesa comune.

Macmillan chiede quale sia stato l’atteggiamento della Delegazione germanica all’Aja.

Il Ministro Martino risponde citando le dichiarazioni fatte da Hallstein e da Pinay3. Concludendo, egli non crede che le difficoltà del problema possano consentire un rapido risultato, ma qualche progresso parziale gli parrebbe possibile.

Il Ministro Martino passa poi a parlare della possibilità che venga rivolto ai governanti italiani l’invito di recarsi a Mosca. Mette al corrente Macmillan di quanto ha recentemente comunicato Di Stefano al riguardo. Gradirebbe conoscere l’opinione del Foreign Secretary su questo argomento.

Macmillan esprime il suo pensiero nel senso di una estrema cautela, giacché non si può evitare in modo assoluto qualche contatto.

Ritiene che sarebbe molto meglio ottenere che i sovietici vengano per primi a Roma.

Poiché il Ministro Martino gli ha detto che Bulganin sosterà a Roma nel suo passaggio per il Medio Oriente, sarebbe opportuno fare in modo che questa sua sosta risulti chiaramente la conseguenza di un nostro invito ufficiale. Allora ci sarà possibile, qualora ci pervenisse l’invito da parte sovietica, ritardare al massimo la nostra visita a Mosca. Sembra naturale infatti che questi scambi di cortesie non si succedano immediatamente.

Macmillan ritiene che con questa procedura il viaggio a Mosca dei membri del Governo italiano potrebbe essere rimandato all’autunno del 1956.

Caccia riferendosi ad una parte della conversazione di Macmillan, osserva che il Consiglio dei rappresentanti permanenti della N.A.T.O. tratta tutte le questioni, incluse quelle politiche che verranno discusse a Ginevra. Quindi già esiste una vera e propria consultazione tra i paesi che fanno parte dell’Organizzazione.

Il Ministro Martino replica che le riunioni ordinarie del Consiglio dei rappresentanti permanenti della N.A.T.O. non hanno nessuna eco nella pubblica opinione e pertanto non riescono a dare soddisfazione alcuna. Sono necessarie dunque le discussioni a livello Ministri.

Macmillan a sua volta commenta che l’ultima riunione del Consiglio dei Ministri della N.A.T.O. era stata ottima per l’atmosfera e il contenuto delle discussioni. Come ha già detto, quella che precederà immediatamente l’incontro di Ginevra dovrà avere ancor maggiore importanza.

Del resto a Ginevra l’Italia, come anche la Germania, manderà nuovamente dei suoi osservatori. Si potrebbe dare maggiore rilievo agli incontri che i Ministri dei tre grandi avranno con costoro.

Zoppi suggerisce che abbia luogo a Ginevra al momento della chiusura della Conferenza un incontro dei cinque Ministri degli Esteri (i tre grandi più Italia e Germania).

Caccia suggerisce invece che a Ginevra abbia luogo in quella occasione una riunione dei Ministri degli Esteri della N.A.T.O. Sembrando che una riunione del genere non possa avere luogo in un paese neutrale, viene suggerita Evian come sede dell’incontro.

Migone riprendendo il suggerimento fatto da Zoppi osserva che dal punto di vista dell’opinione pubblica italiana un incontro di tutti i Ministri degli Esteri della N.A.T.O. non avrebbe la stessa ripercussione di un incontro a cinque.

Macmillan torna a ripetere che vuol comunque assolutamente aiutare l’Italia in queste sue attuali difficoltà. Studieranno la cosa. Si rende conto che in vista delle prossime elezioni amministrative cui ha fatto cenno il Ministro Martino bisogna aver fatto qualcosa. Ciò corrisponde del resto anche ad un interesse britannico.

Il Ministro Martino chiede a Macmillan se abbia delle informazioni sulla situazione del Vicino Oriente.

Macmillan ritiene la situazione pericolosa ma non irreparabile. Finora le due parti hanno dato appunto l’impressione di trarsi indietro per evitare, quando ve ne era il pericolo, che le cose potessero precipitare irrimediabilmente.

In questi ultimi giorni sembra essersi verificato un miglioramento e le proposte di Foster Dulles non sarebbero state troppo mal ricevute dagli arabi.

Il Ministro Martino chiede se risulta al Foreign Office che vi siano state interferenze egiziane nei recenti incidenti in Nord Africa.

Macmillan ritiene che in misura ridotta ciò possa essersi verificato. Le frontiere fra 1’Egitto e il Nord Africa hanno caratteristiche tali da renderle praticamente incontrollabili.

Passando a questioni di minore importanza Macmillan ringrazia il Governo italiano per le indennità testé accordate a titolo grazioso a cittadini britannici che avevano subito danni all’epoca delle dimostrazioni per Trieste.

Dà quindi lettura dell’accluso comunicato stampa4 che viene approvato.


1 Il verbale non è firmato, probabilmente venne redatto da Migone che, come risulta da un foglio di trasmissione datato 13 settembre, lo inviò a Magistrati.


2 Ci si riferisce agli incontri a livello dei Ministri degli Affari Esteri dei quattro «Grandi» decisi in occasione del summit di Ginevra.


3 Vedi D. 85.


4 Non pubblicato.

88

LA SEGRETERIA GENERALE

Verbale riservato1. Roma, 12 settembre 1955, ore 17,45.

RIUNIONE DEI DIRETTORI GENERALI PRESIEDUTA DAL SEGRETARIO GENERALE

Sono intervenuti:

- l’Ambasciatore GHIGI

Direttore Generale del Personale

- l’Ambasciatore MASCIA

Direttore Generale Emigrazione

- il Ministro FRACASSI

Direttore Generale Somalia

- il Ministro MIGONE

Capo di Gabinetto

- l’Ambasciatore MAGISTRATI

Direttore Generale Affari Politici

- il Ministro GIUSTINIANI

Capo Servizio Stampa

- il Ministro CARROBIO

Capo Servizio Economico Trattato

- il Ministro ROBERTI

Capo del Servizio del Cerimoniale

- il Prof. TOSCANO

Capo Ufficio Studi e Documentazione

- il Consigliere DE NOVELLIS

Vice Direttore Generale Relazioni Culturali

- il Dott. Enrico CARRARA

AMBASCIATORE MAGISTRATI: Premette alcune indicazioni sui precedenti della Conferenza dell’Aja2. Essa è una conseguenza della Conferenza di Messina. Dopo il fallimento della C.E.D., dopo la crisi dell’europeismo, venne creata 1’U.E.O. che, nell’inverno scorso, dette i suoi primi vagiti. Nella primavera successiva uno dei Governi della Comunità ritenne opportuno fare un nuovo tentativo di integrazione europea, sotto il profilo economico. L’idea era una vecchia idea olandese, dibattuta sin da quando il processo integrativo era alle sue origini. Noi lo avevamo visto politico, gli olandesi sempre economico. Questi, in aprile, presentarono un progetto e, riprendendo le fila, promossero la riunione di Messina. Vi è un equivoco in partenza che, se non corretto subito, potrebbe dar luogo a degli spiacevoli sviluppi. La cornice delle riunioni dei sei Ministri degli Esteri è la Comunità Carbone Acciaio. Il Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. in quanto tale, però, non ha mai avuto l’incarico di promuovere l’integrazione in altri settori che non fossero quelli del carbone e dell’acciaio. Per ragioni pratiche i Ministri si sono serviti del Segretariato della C.E.C.A. che dapprima è stato loro prestato, poi si è reso indispensabile. Conseguentemente si parla di riunioni di Ministri della C.E.C.A., ciò che non è esatto. Ci potrebbe pertanto essere chiesto in Italia quale è il motivo per cui la C.E.C.A. si occupa di queste cose e chi sia a darle tale potestà. Particolare interessante è che ora la carta da lettere usata è intestata: «Consiglio dei Ministri degli Affari Esteri dei paesi che fanno parte della Comunità Carbone ed Acciaio».

A Messina, riavviandosi il processo di integrazione europea, si produsse una Carta di notevole interesse. Si disse quali erano i settori che dovevano riprendere la strada della integrazione e per far ciò si dette incarico ad un gruppo di esperti di considerare il problema e di fare dei rapporti interinali. Per dare poi al tutto la spinta politica si creò un coordinatore politico nella persona di Spaak, persona capace ed europeista di vecchia data.

Nel Comitato di Bruxelles noi siamo rappresentati dall’On. Benvenuti, da alcuni colleghi e da esperti. Il lavoro è suddiviso nelle seguenti Commissioni:

- Commissione per i trasporti, con accanto una Sottocommissione per i trasporti aerei;

- Commissione per la energia classica;

- Commissione per la energia nucleare;

- grande Commissione per il mercato comune. Era infatti sul mercato comune che l’antico lavoro si era accentrato come sta a dimostrare la presentazione dei piani Pella e Stikker, quando si era parlato delle tariffe doganali e della zona preferenziale europea. Accanto a questa una Sottocommissione per gli investimenti ed una Sottocommissione per i problemi sociali.

I Comitati hanno lavorato discretamente. Hanno naturalmente tratto profitto dagli studî effettuati da dieci anni a questa parte in sede O.E.C.E., G.A.T.T., ecc. Il loro compito è stato quello di prendere l’essenza dei lavori precedenti e di coordinarli.

Il compito specifico della riunione dell’Aja è stato quello di prendere conoscenza della prima relazione di Spaak. A Messina si era detto che, prima del 1° ottobre (data alla quale Spaak avrebbe dovuto presentare il suo rapporto finale), i Ministri si sarebbero riuniti: come infatti si sono riuniti sotto la presidenza del Presidente di turno Ministro Beyen. Spaak ha fatto una brillante esposizione, senza entrare però nelle questioni di fondo ma toccando solo la questione di procedura ed evitando accuratamente di riferire sulle posizioni assunte dagli esperti nazionali, ciò che avrebbe necessariamente comportato una discussione di merito. Ha proposto di dare per il futuro istruzioni agli esperti di agire più liberamente ed indipendentemente per fare alla fine un rapporto completo sulle possibilità di integrazione europea. È stata questa la sola nota di immaginazione del suo rapporto, che ha dato poi adito a taluni interventi, primo fra i quali quello negativo del collega del Benelux Bech, evidentemente preoccupato del settore agricolo del suo paese. Bech ha chiesto chiarimenti sulla proposta Spaak ed ha aggiunto che se essa fosse stata approvata sarebbe stato meglio (come era stato immaginato in un primo momento a Messina) che gli esperti fossero stati degli estranei anziché degli esperti nazionali. La risposta di Spaak è stata piuttosto evasiva, limitandosi egli a dire che avrebbe preferito dare maggiore libertà agli esperti, anziché assoggettarli ad istruzioni nazionali rigide.

Spaak ha aggiunto che non era possibile completare il rapporto finale per il 1° ottobre ed ha chiesto di posticiparne la presentazione. A queste punto è intervenuto il Ministro degli Esteri italiano Martino. Egli si è detto persuaso della necessità di evitare un rinvio sine die che facesse apparire, di fronte alla pubblica opinione, come abbandonato nel tempo il risultato di Messina. Ha chiesto quindi che si precisasse la data del rinvio, da lui suggerita per il 31 ottobre: su questo punto si è raggiunto l’accordo.

Il rapporto sarà firmato da Spaak e dai Presidenti delle Commissioni, tra i quali ci sono due italiani. Al momento della presentazione, i Governi saranno invitati a dire se è giunto il momento di convocare una conferenza generale, che potrebbe eventualmente aver luogo nel corso della primavera prossima.

Da notare in particolare l’assenza a L’Aja dell’Inghilterra. Nonostante la esplicita menzione fatta a Messina sulla opportunità della sua presenza, il Governo del Regno Unito ha ritenuto opportuno limitare la sua partecipazione ad una comunicazione simile ad altra americana intesa a porre in rilievo la necessità che i lavori si svolgessero in armonia con quelli di altre organizzazioni, prima 1’O.E.C.E.

Durante la brevissima riunione, esauritasi nel corso di una giornata, si sono avuti due interventi interessanti: il primo dei quali quello del Ministro degli Affari Esteri italiano è stato notevole per la sua impostazione. Premesso che il lavoro delle Commissioni, che studiano i settori, deve essere in funzione del mercato comune, in quanto da esso condizionato, il Ministro Martino ha espresso l’avviso che dette Commissioni si devono orientare decisamente in tale senso. In tanto è utile studiare il problema dei trasporti in quanto questo può essere utile al mercato comune. Analogamente per l’energia nucleare, il Ministro Martino ha in sostanza ripreso l’antica tesi italiana favorevole alla integrazione orizzontale, in contrasto con quella verticale. Non è da dimenticare che l’Italia ha aderito alla C.E.C.A. soltanto per dare l’avvio a quel movimento che, secondo i nostri intendimenti, doveva culminare nella comunità politica.

Le strade che si sono profilate per il cammino da percorrere sono quella dell’avvicinamento delle tariffe doganali, per raggiungere poi un’unica tariffa nei confronti di terzi e quella della creazione della zona preferenziale. Di fronte a questo il Ministro Martino ha chiarito che a noi interessa non il mezzo ma il fine e che lo scopo dei lavori deve rimanere il raggiungimento del mercato comune.

Il secondo intervento non tecnico bensì politico è stato quello di Hallstein. Egli ha smentito decisamente le voci circa il diminuito interesse del Governo tedesco alla integrazione europea dopo il fallimento della C.E.D. Il Governo tedesco non ha nessuna intenzione di ritirarsi. Coraggiosamente Hallstein ha fatto dei nomi. Erhard è accusato ad esempio di volere soltanto rafforzare il complesso nazionale tedesco e di trascurare il mercato comune europeo: Hallstein si è dichiarato autorizzato a smentire categoricamente tali voci ed ha aggiunto che il rafforzamento di questa Europa è intanto valido in quanto si erge nei confronti del mondo sovietico. Una dichiarazione di questo genere, proprio alla vigilia della partenza di Adenauer per Mosca, è sicuramente indicativa.

La Delegazione francese, presentatasi numerosissima, ha nel complesso taciuto. Si è mostrata d’accordo nel perseguire i fini dell’integrazione, ma con l’aria di dire: «andiamoci piano». Ciò si giustifica da un lato considerando il momento politico e parlamentare, così difficile, che la Francia attraversa; dall’altro l’ottima fase economica che registra un incremento dell’11% nella sua produzione industriale. In queste condizioni non è facile per i francesi, proprio alla vigilia delle elezioni, presentare delle innovazioni economiche. Ciò nondimeno l’europeista Pinay non si è mai opposto ad alcuna iniziativa, dichiarandosi in linea di massima d’accordo.

Il Benelux, sia pure con qualche rifrazione specie nel settore agricolo (l’intervento Bech è stato sopra ricordato) ha tenuto sempre un atteggiamento decisamente favorevole all’avviamento dell’integrazione.

È stato stabilito che, dopo il rapporto, si vedrà dove e come lanciare l’idea della conferenza che dovrà essere aperta e non limitata ai Sei.

Utile sopratutto è da considerarsi la Conferenza per l’occasione che ha dato ai Ministri di vedersi e sentirsi. Erano tutti infatti presenti ad eccezione di von Brentano, sostituito dal Segretario di Stato, Hallstein.

SEGRETARIO GENERALE: Chiede quale accoglienza abbia avuto la dichiarazione di Hallstein e quale ricettività positiva abbia trovato nei Ministri degli Esteri. In poche parole: ne sono rimasti contenti? I fatti starebbero a provare esattamente il contrario di quanto Hallstein ha detto e sono questi fatti che hanno fatto diffondere l’idea che la politica economica tedesca fosse antieuropeista.

AMBASCIATORE MAGISTRATI: Precisa che la Delegazione italiana è rimasta persuasa fino ad un certo punto, ma che nell’insieme la dichiarazione di Hallstein sembra avere ottenuto un certo successo, pur senza poter egli dire se abbia o meno convinto i Ministri degli Esteri presenti.

AMBASCIATORE MAGISTRATI: Accanto ai problemi tecnici della Conferenza ci sono stati i contatti con il ministro Pinay sui nostri problemi particolari.

1) Ammissione alle Nazioni Unite. Ci stiamo avvicinando a settembre, epoca in cui avrà luogo l’Assemblea delle Nazioni Unite. Il problema delle ammissioni è sul tappeto e ciò ci interessa da vicino.

2) La presenza dell’Italia nei consessi e nelle conversazioni internazionali è argomento che ci sta molto a cuore, specie nel settore limitazioni degli armamenti.

3) L’interpretazione che viene data in Italia all’art. 2 del Patto atlantico, concernente lo sviluppo dei settori economico e sociale, con sbocco finale nella Comunità atlantica, ci interessa tuttora.

Il Ministro Martino ha detto a Pinay che i nostri rapporti con la Francia ci davano titolo per chiedere che cosa essa intendesse fare nel caso in cui noi non venissimo ammessi nelle Nazioni Unite. Su questo l’Ambasciatore Magistrati ricorda la teoria del Ministro Martino circa la nostra parità con gli Stati satelliti. Il Preambolo del Trattato di pace è analogo sia per noi che per loro. Ma il Ministro Martino sostiene che la differenza esiste e consiste nel fatto che, mentre le nostre carte sono state riconosciute valide dai votanti (soltanto il veto sovietico ha impedito il nostro ingresso), per i satelliti non c’è stato bisogno di nessun veto perché essi non hanno mai raggiunto i voti necessari nel Consiglio di Sicurezza.

Pinay è stato molto esplicito ed ha detto che tutto questo lo interessava relativamente: l’Italia deve essere il primo paese ad entrare nelle Nazioni Unite. Se avvenisse altrimenti la Francia eserciterà il suo diritto di veto. Ci si è chiesto il perché di una posizione così decisa da parte dei francesi. La Francia in effetti non ha nessun interesse di vedere aumentare il numero dei membri delle Nazioni Unite in questo momento e tanto meno di vedere aumentare il numero dei membri anticolonialisti. Per questa volta quindi, sia pur per ragioni ben diverse, gli interessi francesi ed italiani collimano perfettamente.

Sul secondo punto il Ministro ha detto a Pinay che taluni lavori, che si svolgono senza la nostra partecipazione, ci interessano particolarmente. La questione ha già fatto oggetto di studio e non è escluso che il Sottocomitato dei cinque per il disarmo veda la opportunità di ingrandirsi con paesi aventi notevoli forze armate. Tale proposta potrebbe andare al Comitato e quindi in Assemblea. Nel caso in cui ciò avvenisse sarebbero i francesi disposti ad appoggiare una simile proposta? La risposta di Pinay è stata del tutto affermativa (vale la pena ricordare che Pinay e successivamente Macmillan hanno precisato che, nel caso in cui si risolvesse favorevolmente la questione dell’ingresso alle Nazioni Unite, il secondo punto cadrebbe da sé).

Circa il terzo punto (art. 2 del Patto atlantico), i francesi hanno ripetuto il loro interesse ad ogni iniziativa che venisse presa ed hanno, in linea di massima, assicurato il loro appoggio, qualsiasi fosse la sede in cui venisse presentata. Infine ha espresso la sua preferenza che tutto quanto da noi detto fosse messo per iscritto, ciò che è stato fatto. Il perché di questa richiesta deve forse trovarsi nel bisogno che Pinay ha sentito di presentarsi eventualmente a Faure con un pezzo di carta in mano, atto a dare alla Francia un argomento di più per opporsi a troppe ammissioni alle Nazioni Unite ed al tempo stesso atto a mostrare quale aumento di prestigio la Francia otterrebbe in Italia se fosse costretta dagli eventi a porre il suo veto ad altre ammissioni nelle Nazioni Unite ove l’Italia non fosse ammessa. E questo, probabilmente, dovrebbe avvenire prima della sua partenza per le Nazioni Unite.

SEGRETARIO GENERALE: Prima di aprire la discussione chiede al Ministro Migone di proseguire la relazione sul viaggio del Ministro Martino a Londra3.

MINISTRO MIGONE: Dopo avere messo in rilievo che la caratteristica principale dell’arrivo del Ministro Martino a Londra è stata la tinteggiatura politica che si è voluta dare da parte degli inglesi ad una visita che ufficialmente era limitata alla Mostra aerea di Farnborough, descrive vivacemente l’atmosfera della manifestazione aerea, i voli degli apparecchi, le esibizioni degli elicotteri, e così via.

La cosa forse più significativa del viaggio è stato l’invito a pranzo del Premier Eden che ha dato la temperatura della cordialità nei nostri confronti. Secondo quanto il Ministro gli ha detto, la conversazione è stata più che amichevole ed ha toccato tutte le questioni che potevano avere un interesse per l’Italia. Il Ministro Martino ha avuto modo di farsi eco del malessere diffuso in Italia perché il nostro paese è tenuto fuori dai consessi e dalle discussioni relative al futuro dell’Europa.

Il Ministro Macmillan ha offerto una colazione al Foreign Office cui hanno partecipato da parte nostra, oltre il Ministro, l’Ambasciatore Zoppi, lui stesso e da parte inglese Caccia, Ward e Pink. Alla colazione ha fatto seguito un incontro formale al Foreign Office nell’ufficio del Ministro degli Esteri, durato oltre due ore. Il Ministro Martino ha ribadito la sua preoccupazione per il malessere dell’opinione pubblica italiana: ha proposto l’inclusione dell’Italia nella Commissione per il disarmo delle Nazioni Unite, ed ha auspicato il reperimento di una formula che faccia partecipare l’Italia direttamente ai lavori dei quattro grandi. Ha infine ripetuto l’interesse italiano ad entrare nelle Nazioni Unite.

La reazione di Macmillan è stata molto favorevole. Egli ha detto che si rende conto delle legittime aspirazioni italiane e si è chiesto cosa si possa fare per venire incontro ad esse. Ha suggerito frequenti incontri italo-inglesi e frequenti comunicati che diano l’impressione di una stretta collaborazione e consultazione anglo-italiana. Per la Commissione del disarmo, ove una procedura particolare si rendesse necessaria nel caso in cui l’Italia non fosse ammessa nelle Nazioni Unite, la Gran Bretagna proporrà la cooptazione di altri paesi interessati alla questione e, in un secondo momento, presenterà il nostro nome. Circa l’ammissione nelle Nazioni Unite Macmillan ha ribadito per la Gran Bretagna quanto Pinay aveva detto all’Aja per la Francia, e cioè che il Governo britannico si sarebbe opposto ad una qualsiasi altra soluzione che non comportasse l’ingresso dell’Italia. Si sarebbe orientato a favore della tesi canadese favorevole all’ammissione dei 17 Stati.

Circa la partecipazione dell’Italia alla sistemazione dell’Europa, Macmillan ha dichiarato che si proponeva di dare maggior rilievo alla prossima riunione del N.A.T.O. a Parigi, e che si era riservato un maggior tempo libero proprio per dare alla stampa la sensazione della partecipazione del N.A.T.O. alle discussioni preparatorie alla Conferenza di Ginevra. Era suo vivo desiderio che l’Italia e la Germania inviassero a Ginevra degli osservatori.

A questo punto, dopo che da parte nostra era stato fatto notare che la reazione della stampa italiana all’invio di osservatori, che erano restati fuori della porta, era stata quanto meno divisa e che molto più opportuna sarebbe stata una riunione a cinque (tre grandi più Italia e Germania) alla chiusura della Conferenza, da parte inglese venne accennato alla possibilità di riunire i Ministri degli Esteri del N.A.T.O., eventualmente ad Evian, al termine della Conferenza.

Non era da escludersi, si è aggiunto, da parte inglese, che in un secondo tempo una partecipazione più diretta dell’Italia possa essere contemplata, ma bisognava andare cauti per evitare un eventuale risentimento degli altri paesi del N.A.T.O.

Il Ministro Martino chiese quindi al Ministro Macmillan quali sarebbero state le eventuali reazioni inglesi di fronte ad un invito che ci venisse rivolto dai sovietici di recarci a Mosca. Il Ministro, dopo aver fatto cenno ai rapporti dell’Ambasciatore Di Stefano, aggiunse che Bulganin potrebbe forse passare per Roma prossimamente, nel corso di un suo viaggio e che naturalmente verrebbe fatto oggetto di quelle cortesie che spettano ad una persona del suo rango. A questo punto il Segretario Generale precisa quali sono state le istruzioni date a Di Stefano sull’argomento.

Macmillan si è chiesto se non fosse questa una buona occasione per fare valere il passaggio di Bulganin come visita ufficiale mediante un precedente invito formale, il che ci avrebbe consentito di rimandare la restituzione della visita alle calende greche (suggerendo l’autunno del 1956).

Delle osservazioni importanti sono state fatte da Macmillan circa le reazioni post-ginevrine. Aperture a sinistra ci sono anche in Inghilterra e sono pericolose perché aprono la porta al comunismo. Inoltre a furia di parlare della necessità di evitare la guerra atomica, vi è pericolo che la guerra convenzionale, agli occhi dell’opinione pubblica divenga auspicabile. Si poteva forse ritenere che i russi avessero a casa loro le nostre stesse difficoltà. Egli aveva avuto l’impressione a Ginevra che i governanti sovietici fossero sollevati dalla sparizione di Stalin, non solo per la fine del suo regime, ma anche per l’alleggerimento che a loro derivava quali negoziatori. Kruscev aveva poi detto che si presentava per il futuro la necessità che anche in Russia si costituisse un governo di gabinetto ed aveva aggiunto che anche nell’U.R.S.S. si doveva tener conto di un’opinione pubblica.

SEGRETARIO GENERALE: Invita il Prof. Toscano a parlare circa l’ammissione dell’Italia all’O.N.U.

PROF. TOSCANO: Osserva, relativamente a quanto detto dall’Ambasciatore Magistrati, circa la differenziazione della posizione italiana da quella dei satelliti che in effetti la posizione è diversa, ma limitatamente. È vero che nel Consiglio di Sicurezza l’Italia ha raccolto una larga maggioranza, che, ove non vi fosse stato il veto sovietico, le avrebbe consentito di essere portata in Assemblea. È anche vero che i satelliti non hanno raggiunto questa maggioranza e pertanto non si è dovuto fare ricorso a veti per impedire la trasmissione delle loro candidature all’Assemblea, ma, giuridicamente, i preamboli dei trattati di pace nostri e dei satelliti (alcuni Governi dei quali erano già comunisti al momento della sottoscrizione dei trattati in questione) sono identici. Pertanto il mancato raggiungimento della maggioranza raggiunta dall’Italia si deve al fatto che molti dei 22 Stati firmatari dei trattati di pace e membri del Consiglio di Sicurezza i quali avevano riconosciuto ai paesi satelliti il diritto di entrare nell’O.N.U., non hanno poi votato a loro favore, venendo quindi meno ad un impegno preso e commettendo dunque un atto illecito. Tiene quindi a fare una precisazione su quanto dettoci da Pinay: la sua promessa avrebbe un valore assoluto se la candidatura dell’Italia fosse la prima ad essere esaminata dal Consiglio di Sicurezza. (Come è noto i sovietici hanno sostenuto la teoria del «package», mentre gli americani sono sempre stati favorevoli all’esame caso per caso). Ora poiché la prima candidatura è quella dell’Ungheria, cosa potrebbe fare Pinay? Porre il suo veto a tutti sin dall’inizio, senza sapere se la nostra candidatura sarà accettata o meno, o non porlo, e vedere, ad esempio, l’Ungheria entrare all’O.N.U., mentre noi potremmo esserne esclusi?

Bisogna quindi arrivare al «package deal» convincere cioè gli americani ad arrivare ad un accordo preventivo. Ciò che è sopratutto interessante nelle dichiarazioni di Pinay, è che egli abbia promesso di mettere eventualmente il veto ai candidati di Bandung. Il problema quindi è il seguente: è nostro interesse entrare all’O.N.U.? Se sì, dobbiamo convincere amici ed alleati a fare il «package deal». Circa il nostro interesse, alle molte considerazioni già fatte in proposito, bisogna aggiungere ora che nell’attuale clima di distensione le Nazioni Unite hanno cessato di essere unicamente una palestra di propaganda, ma sono divenute altresì un importante punto di incontro al quale è nostro vivissimo interesse essere presenti. Inoltre, di fronte al problema delicato della salvaguardia dell’integrità e della indipendenza dell’Albania che in questi giorni tanto ci assilla, una delle poche cose che possiamo fare è precisamente quella di agevolarne l’ingresso nelle Nazioni Unite.

Noi siamo tenuti a realizzare questo nostro interesse, perché dobbiamo tener presente che la nostra opinione pubblica può ad un certo momento rendersi conto degli svantaggi che comporta la nostra esclusione.

Per concludere è necessario indurre gli americani a rivedere la loro posizione. Da uno studio recentemente fatto, risulta che, anche se tutti i 21 candidati entrassero alle Nazioni Unite, gli Stati Uniti ed i paesi amici potrebbero sempre disporre della maggioranza dei due terzi.

Possono gli Stati Uniti mutare il loro passato atteggiamento, in tema di ammissioni? A ben vedere ciò non comporterebbe concessioni sostanziali nella loro politica, tanto più che non implicherebbe il riconoscimento della Cina comunista. C’è anche nell’opinione pubblica americana una certa evoluzione e se la distensione è particolarmente interessante per l’U.R.S.S., neppure gli Stati Uniti possono o presumibilmente intendono ritornare di colpo alla guerra fredda. Le elezioni sono prossime: l’opinione pubblica americana è stata positivamente colpita dal fatto che a Ginevra Eisenhower apparentemente abbia svolto un ruolo così importante di pacificatore.

Di concessioni vere e proprie, in questo clima di distensione, non se ne faranno molte: una delle poche, che, senza compromettere questioni di fondo, consentirebbe di mantenere in vita la politica della distensione, potrebbe precisamente essere data da un’intesa in tema di ammissioni di nuovi membri nelle Nazioni Unite. Un nostro atteggiamento fermo nei confronti del «package deal» potrà forse dare i suoi frutti. L’interesse italiano oggi non è più soltanto negativo (cioè nessuna ammissione senza di noi) esso è anche positivo, vale a dire deve mirare a tendere al nostro ingresso nelle Nazioni Unite. Ciò non potrà realizzarsi che facendo abbandonare l’esame caso per caso ed adottare il «package deal».

MINISTRO FRACASSI: Rileva che, dopo le chiare esposizioni dell’Ambasciatore Magistrati, del Ministro Migone e del Prof. Toscano, gli viene logica una domanda: esiste realmente un interesse italiano ad essere ammessi nelle Nazioni Unite? Questo problema non è nuovo perché è stato dibattuto fin dal 1945. La risposta è ovvia, specie ora che la nostra linea politica è ben definita. Ciò posto bisogna fare un passo avanti e chiederci se vale la pena di fare un grosso sforzo diplomatico per raggiungere questo obiettivo. Tutti i presenti hanno partecipato, nel corso della loro carriera a consessi internazionali ed hanno una buona esperienza in questo campo. Si sa che dietro le quinte ogni paese continua con tenacia e talvolta con asprezza a perseguire i proprî interessi nazionali. Quindi, quando si va a questi consessi internazionali, si ha sempre una doppia faccia, quella che si mostra intorno al tavolo e quella che si mostra invece al di fuori delle sale di riunione.

A suo avviso quando si parla di interesse ad essere ammessi nelle Nazioni Unite bisogna tener presente che forse non ci conviene dimostrare un desiderio troppo vivo perché si rischia poi, una volta ammessi, che ci sia dato, come concessione, quello che gli altri Stati hanno ottenuto senza sforzi da molti anni.

PROF. TOSCANO: Osserva circa l’azione diplomatica che se non la avessimo cominciata in tempo non saremmo oggi garantiti contro l’eventualità di altri ingressi, ipotesi quest’ultima che potrebbe dare luogo a reazioni psicologiche negative. Il nostro è un paese che guarda molto alla forma e molto meno alla sostanza: va da sé che, una volta entrati, seguiteremo a perseguire anche i nostri interessi. Uno dei mezzi atti ad attenuare quel latente malcontento diffuso in Italia, circa la nostra limitata partecipazione alle grandi decisioni di politica internazionale potrebbe proprio essere dato dal vedere sui giornali la notizia che un Delegato italiano parla all’Assemblea delle Nazioni Unite.

È nostro preciso interesse, quasi un dovere, perseguire tutto quello che consente di alleggerire la pressione dell’opinione pubblica laddove essa potrebbe indebolire la popolarità dell’Alleanza.

SEGRETARIO GENERALE: Osserva che la posizione assunta e ribadita dal Prof. Toscano è molto decisa. Si chiede però se l’ingresso dell’Italia all’O.N.U. rafforzi realmente l’Occidente. A suo avviso un simile ingresso nel quadro dell’interesse occidentale, è un elemento di limitato rilievo: si chiede anche se dal punto di vista italiano, tale ingresso costituisca veramente un nostro grosso interesse ovvero abbia per noi soltanto un interesse limitato. Conviene quindi decidere se tale interesse meriti che venga da noi affrontata una grossa battaglia che comporta il rischio di quelle reazioni dell’opinione pubblica che non potrebbero mancare in caso di insuccesso.

Attualmente non può dirsi che la nostra opinione pubblica si preoccupi troppo del fatto che non facciamo parte dell’O.N.U.

Tiene poi a riprendere la tesi sostenuta dal Ministro Martino (e soltanto perché di essa egli è anche in parte responsabile) diretta a differenziare la nostra posizione da quella dei satelliti. Ritiene infatti che la tesi per cui la posizione dell’Italia e quella dei satelliti vadano differenziate possa essere sostenuta. Il voto contrario ai satelliti dato dagli Stati occidentali al Consiglio di Sicurezza è stato un voto e non un veto: anche i russi al Consiglio di Sicurezza hanno votato contro di noi. Ma ciò malgrado noi abbiamo raggiunto un certo traguardo, che i paesi satelliti non sono mai riusciti a raggiungere. In sostanza se la nostra candidatura non è andata all’Assemblea, ciò lo si deve soltanto al veto sovietico, laddove la candidatura dei satelliti è venuta meno perché essi non sono mai riusciti ad ottenere la maggioranza qualificata nel Consiglio di Sicurezza, ottenuta invece da noi malgrado il voto sovietico contrario.

Il fatto che il Prof. Toscano non ritenga che l’ingresso dei satelliti all’O.N.U. non faccia perdere all’Occidente la maggioranza qualificata è una sua opinione molto rispettabile ma che non è condivisa dagli americani. Quindi prima di impegnarci in un’azione a fondo per una universalità indiscriminata dobbiamo considerare prima di tutto se tale azione non finirebbe per avere altro risultato che quello di metterci gratuitamente contro quella che è la politica ufficiale e dichiarata degli Stati Uniti.

In questa situazione a suo avviso è più opportuno non affrontare questa battaglia anche perché, come ha accennato sopra, se, dopo esserci impegnati a fondo, noi non entrassimo all’O.N.U. si sconterebbe inevitabilmente una reazione di opinione pubblica, oggi inesistente, che non potrebbe che essere anti-occidentale. E allora in un paese come il nostro, con le elezioni amministrative alle porte, quali potrebbero essere le reazioni dell’elettorato, se non quelle di rendere responsabili i partiti di maggioranza, di non essere riusciti ad ottenere dagli alleati neppure l’ingresso alle Nazioni Unite?

Quello che è stato fatto e che dobbiamo continuare a fare è di rappresentare nel modo più fermo agli alleati che non potremmo mai tollerare per la nostra dignità e per le immancabili gravi ripercussioni che non potrebbero mancare nella nostra opinione pubblica, che un qualsiasi altro paese venisse ammesso all’O.N.U. qualora noi ne dovessimo continuare a rimanere esclusi.

A una obiezione del Prof. Toscano circa la necessità di svolgere una azione diplomatica segreta, fa presente che la stampa viene a conoscere praticamente tutto quello che facciamo.

In linea generale ritiene poi opportuno che prima di prendere o subire iniziative distensive convenga attendere di vedere quello che succederà a Ginevra a ottobre. Sino ad allora dobbiamo cercare di resistere ad ogni apertura, in attesa di vedere quale sarà il reale svolgimento degli eventi. Il prestigio indubbiamente è una cosa importante: ma non si può determinare la nostra azione politica soltanto sulla base del prestigio, senza che vi sia anche un contenuto sostanziale: non dimentichiamo quanto Macmillan ha detto a Londra.

PROF. TOSCANO: Ritiene che la nostra aspirazione al «package» non significhi necessariamente prendere posizione contro gli americani, perché se così fosse gli inglesi si troverebbero da tempo in questa condizione. D’altra parte, lungi dal volerle indebolire, è proprio per rafforzare le posizioni dell’Alleanza occidentale che egli suggerisce di battere la sola strada che, a suo avviso, potrebbe portare al nostro ingresso nelle N.U. Egli infatti ritiene che la nostra opinione pubblica non mancherà di rimproverare ai nostri alleati ed in particolare agli Stati Uniti un nuovo eventuale insuccesso della nostra candidatura.

SEGRETARIO GENERALE: Ribadisce quella che è la posizione che noi abbiano assunto nei confronti della ammissione, quale è stata da ultimo espressa dal Presidente Segni in Parlamento. Noi siamo in favore della universalità delle Nazioni Unite ma non stiamo a chiedere con la mano tesa di essere ammessi. Considereremmo peraltro non amichevole da parte dei nostri alleati se essi consentissero ad una discriminazione a nostro danno.

Circa lo studio fatto dal Prof. Toscano, senza volerne mettere in dubbio la fondatezza, non può non ripetere che gli americani sono giunti a diverse conclusioni, perché è proprio il timore di perdere la maggioranza qualificata che determina il loro atteggiamento, timore giustificato da un possibile slittamento di taluni gruppi di paesi, come per esempio il gruppo dei Paesi arabi.

PROF. TOSCANO: Rileva che distensione ed adozione del principio dell’universalità nelle ammissioni alle Nazioni Unite sono questioni che non vanno necessariamente legate insieme. Basta pensare che la cosiddetta teoria dell’universalità è sorta in piena guerra fredda.

SEGRETARIO GENERALE: Rileva che, se noi insistiamo nel fare un «package» indiscriminato la nostra azione non potrebbe non essere considerata distensiva.

AMBASCIATORE MASCIA: Ricorda i precedenti delle nostre domande di ammissione e l’avviso espresso dagli esperti sulla possibilità che l’Assemblea decidesse anche senza il voto del Consiglio di Sicurezza. Ma a quell’epoca americani, inglesi e francesi ci dissero che non potevano seguirci su quella strada perché la maggioranza non è automatica ma varia a seconda delle questioni. Gli americani non ammettono il «package» proprio per queste ragioni. Come voteremmo infatti noi in determinate circostanze, sul Marocco o su Israele ad esempio?

PROF. TOSCANO: Circa la questione giuridica della procedura da seguire per l’ammissione, questa è stata ormai da tempo risolta. Insiste nel dire che la nostra assenza sarebbe comunque controproducente in futuro. Anche se, una volta entrati nelle N.U., difficoltà di scelta di posizione non mancherebbero in determinate votazioni, avremo però sempre dinanzi a noi per orientarci un faro, che sarà costituito dall’atteggiamento degli americani. Una politica diretta ad evitare nel modo più assoluto qualsiasi scelta equivarrebbe ad un totale abbandono di ogni nostra funzione. D’altra parte, per essere conseguente con le sue preoccupazioni relative alla situazione nella quale verremmo a trovarci una volta entrati nelle N.U., il Ministro Mascia dovrebbe proporre non già di imprimere un carattere blando alla nostra azione diplomatica, ma proporre il ritiro della nostra domanda di ammissione giacché potremmo trovarci ad essere ammessi anche per circostanze di politica generale estranee a detta nostra azione.

AMBASCIATORE MAGISTRATI: Riprendendo l’intervento del Ministro Fracassi spiega quali sono a suo avviso i motivi per cui, oggi, la nostra ammissione nelle Nazioni Unite presenti un nuovo interesse.

1) Austria. Quando si parlò della garanzia si convenne che il modo migliore per assicurargliela sarebbe stato l’inquadramento dell’Austria all’O.N.U. Si ebbe allora un certo risveglio in Italia e si sentì qualche nervosità negli ambienti parlamentari, più che nella pubblica opinione. Non bisogna dimenticare che Gonella, nella sua relazione, qualificò di «intollerabile» la nostra posizione di fronte all’O.N.U. Per quanto ci concerne direttamente non possiamo passare sopra al fatto che la critica al Governo in questo settore suonerebbe come critica al Ministero degli Affari Esteri.

2) Risultato della Conferenza di Bandung, con le nuove proposte di ammissione.

3) Trattazione di determinati problemi che, per ragioni diverse, hanno imboccato la strada delle Nazioni Unite.

Su questi tre fatti si è risollevato in Italia il problema della nostra ammissione. Personalmente è convinto che se nessuno entrasse, tutto andrebbe bene (formula Pinay). Comunque come Ministero degli Esteri, noi non ci possiamo disinteressare della questione, sopratutto per il fatto che ci sono talune candidature che toccano da vicino la suscettibilità di certe sfere della nostra opinione pubblica, la Libia per esempio. Ricorda da ultimo che per la nostra natura, così come oggi discutiamo sull’ammissione, domani discuteremo, ove ammessi, sulla nostra aspirazione ad entrare nel Consiglio di Sicurezza, e così via.

MINISTRO FRACASSI: Riprendendo il suo intervento precedente, precisa di avere premesso che esiste senza dubbio un nostro interesse ad entrare nell’O.N.U. Ma si è chiesto sino a che punto convenga impegnare la nostra azione e la nostra responsabilità, proprio in funzione delle reazioni del Parlamento. A suo avviso, se presentiamo di nuovo la nostra candidatura, dobbiamo presentarla con la certezza assoluta di essere ammessi.

SEGRETARIO GENERALE: Conclude la discussione ribadendo la propria convinzione che non sia opportuno fare della nostra ammissione nelle Nazioni Unite una questione predominante e determinante della nostra politica estera e che si debba andare molto cauti prima di esporci ad eventuali reazioni parlamentari e dell’opinione pubblica, che, in caso di insuccesso, non potrebbero che tradursi in posizioni propagandistiche antioccidentali.


1 Trasmesso con Telespr. 4/353/c. del 20 settembre alle Ambasciate a Bonn, Parigi, Londra, Washington, alle Rappresentanze presso il Consiglio Atlantico e presso l’O.E.C.E., a Parigi, presso l’ O.N.U., a New York, e per conoscenza alla Direzione Generale degli Affari Politici.


2 Si tratta della Conferenza tenutasi a Noordwijk il 6 settembre, vedi D. 85


3 Vedi D. 87.

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IL CAPO DELL’UFFICIO IVDELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. 44/135691. Roma, 12 settembre 1955.

Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.

COMMISSIONE MERCATO COMUNE

Alla ripresa dei lavori le discussioni in seno alla Commissione del mercato comune si sono imperniate su di un documento di lavoro presentato dalla Delegazione belga, documento che contiene in forma di questionario, un elenco dettagliato dei problemi che si porranno per l’inizio, il funzionamento e la realizzazione del mercato comune (doc. 158).

Il Presidente del Comitato Intergovernativo che ha presenziato alla riunione del 31 agosto dopo aver ricordato che la decisione politica circa la instaurazione del mercato comune era in principio già stata presa dai Ministri degli Esteri a Messina, ha invitato la Commissione ad affrontare ormai le reali difficoltà e a tentare di conciliare le eventuali divergenze fra le varie posizioni nazionali o intellettuali.

Nonostante la esitazione del Delegato francese è stato deciso di accettare il sistema di lavoro proposto dai belgi invitando le altre Delegazioni a precisare la loro posizione.

Delle proposte di aggiunta o emendamento sono state presentate dalle Delegazioni tedesca e olandese (doc. 164 e 162).

La Delegazione italiana ha ritenuto anch’essa opportuno presentare una proposta di aggiunta al documento belga, al fine di permettere un migliore chiarimento della nostra posizione sul problema del sistema di salvaguardia (doc. 163). Tale sistema non dovrà infatti rimediare unicamente alle eventuali difficoltà che si produrranno in conseguenza dell’apertura del mercato comune ma anche permettere lo sviluppo armonico dell’economia italiana. Pertanto, secondo la concezione esposta dalla Delegazione italiana, le clausole di salvaguardia dovrebbero poter essere invocate da quei paesi le cui condizioni di partenza sono meno favorevoli.

Sempre al fine di chiarire meglio il pensiero su questo argomento una seconda proposta di aggiunta al questionario belga è stata fatta per sottolineare la importanza di prevedere nel sistema di salvaguardia non solo clausole derogatorie, ma anche clausole sospensive, che permettano al paese che si trova in condizioni economicamente meno favorevoli, nella fase iniziale di creazione del mercato comune, di differire l’applicazione di talune misure adottate.

La stampa finanziaria britannica ha dimostrato per la ripresa dei lavori di Bruxelles un maggiore interessamento al quale ha fatto seguito una più attiva partecipazione dei Delegati del Regno Unito alle questioni trattate alla Conferenza: in particolare dalla Commissione del mercato comune e dalle Sottocommissioni per le questioni sociali e per le poste e telecomunicazioni.

Il Delegato inglese alla Commissione del mercato comune è intervenuto con frequenza nei dibattiti dimostrando che le Autorità britanniche hanno profittato della sosta per approfondire i vari aspetti dell’integrazione economica europea e che ne seguono con interesse le vicende.

Bretherton ha naturalmente tenuto a sottolineare che le opinioni da lui espresse sono tacitamente precedute dalla proposizione condizionale «se il Governo britannico decidesse di partecipare al processo di integrazione europea ... ». Resta però il fatto che i britannici hanno già pronte alcune formule per il caso che tale ipotesi si verificasse. Un esempio particolarmente interessante è stato dato da Bretherton, allorché è stato discusso il problema della forma che dovrà avere il mercato comune, se esso cioè dovrà assumere la fisionomia di una unione doganale o di una zona di libero scambio.

Il Delegato britannico ha dichiarato, a questo proposito, che il Regno Unito potrebbe più facilmente partecipare a una iniziativa che fosse limitata alla creazione di una zona di libero scambio.

La partecipazione inglese sarebbe ancora più facile, se fosse accantonato non solo per il periodo transitorio, ma anche per il periodo finale, l’obbiettivo dell’unione doganale.

Nelle sedute del 30 e 31 agosto u.s. la Commissione ha discusso dei problemi tariffari connessi con la formazione e la realizzazione del mercato comune, seguendo il questionario belga sopra ricordato.

Avendo la Commissione rinviato la risposta alla domanda se la creazione del mercato comune chiedeva soltanto la soppressione delle restrizioni quantitative oppure anche la eliminazione di restrizioni valutarie, di diritti doganali, delle discriminazioni nel campo delle tariffe di trasporto, dei cartelli e dei doppi prezzi, in quanto la formulazione della domanda è sembrata troppo vasta, si è passati all’esame del punto II.

Sono state cioè affrontate le sei questioni sulle quali il documento belga ha inteso articolare i problemi di carattere doganale, e successivamente altre due questioni proposte dalla Commissione stessa e precisamente:

a) il problema delle restrizioni quantitative verso paesi terzi;

b) il problema della distorsione del traffico.

È stato concordato che le risposte date dalle varie Delegazioni a tali quesiti dovevano essere considerate come prime reazioni ai problemi segnalati, e che sarebbe stato affidato alle successive riunioni il compito di una messa a punto di esse come pure il tentativo di avvicinare i vari punti di vista espressi.

Si riportano qui di seguito le sei domande del citato documento belga con il pensiero delle varie Delegazioni manifestato nel corso delle discussioni:

I. Quelles méthodes préconisez-vous pour la réduction des droits de douane à l’intérieur du marché commun? (d’une manière générale, ou différenciée par secteur; automatique ou souple; écrétement par priorité des tarifs élevés).

A fronte del metodo, suggerito dalla Delegazione italiana per un automatismo «souple», legato a decisioni collegiali da prendere di volta in volta, vi sono state altre proposte.

La Delegazione olandese ha dichiarato che la sua preferenza andava all’automatismo puro, giacché questo solo, a suo parere, avrebbe costituito un efficace stimolo a che i Governi ed i settori produttivi nazionali collaborassero alla realizzazione del mercato comune.

Tale preferenza, tuttavia, non le avrebbe impedito di esaminare con intendimento favorevole, qualunque altra proposta meno rigida, alla condizione che questa si dimostrasse tale da permettere il raggiungimento metodico dello scopo finale.

Essa inoltre ha chiesto che nell’esercizio della riduzione graduale dei dazi fosse tenuto particolare conto dei dazi così detti eccessivi e di quelli così detti bassi. Per i primi, ha suggerito una decapitazione preventiva o un tasso di riduzione più forte, per i secondi ha prospettato la possibilità che la loro riduzione seguisse un ritmo più lento.

La proposta della decapitazione dei dazi così detti alti non è sembrata molto ortodossa ed infatti è stato obiettato che la riduzione di un dazio, in base ad una percentuale fissa, colpisce in misura proporzionalmente maggiore i dazi alti che quelli bassi e che tale graduale successiva riduzione conduce alla fine ad una parificazione dei dazi alti a quelli bassi fino al punto in cui tutti e due saranno uguali a zero.

La richiesta, invece, di dare un ritmo più lento alla riduzione dei dazi così detti bassi non ha sollevato commenti.

La Delegazione inglese ha preso una posizione che si ispira all’evidente preferenza del suo Governo per un piano quanto più possibile elastico e che lasci la più larga discrezionalità. La percentuale di riduzione fissata dovrebbe essere applicata dai Governi dei sei paesi in base a propri criteri discrezionali sottomettendo alcuni settori ad una riduzione maggiore, altri ad una minore, alla condizione però che ad ogni tappa risulti una riduzione media su tutta la tariffa pari a quella stabilita.

Infine vi è stata una proposta tedesca, poi riportata nel doc. n. 178 qui allegato2, che si ispira al piano di riduzione tariffe studiato dal G.A.T.T. (antico Piano Pflimlin). Nel loro documento, i tedeschi dichiarano di voler coordinare i vantaggi di un certo automatismo a quelli di una certa elasticità nella procedura.

Essi suggeriscono la suddivisione di comune accordo della tariffa in un numero non troppo piccolo di gruppi merci, di natura analoga, in modo che l’abbassamento dei dazi possa essere applicato al maggior numero di merci possibile (i tedeschi hanno suggerito due gruppi o poco più; i francesi hanno espresso una preferenza per un numero molto maggiore). Per ciascuno di questi gruppi occorrerebbe stabilire l’incidenza media dei dazi, da calcolare sul movimento di un dato anno, scelto di comune accordo e sulla base dei dazi effettivamente percepiti ed il valore dell’importazione effettuata. L’abbassamento dovrebbe essere effettuato in tappe, in base a percentuali da fissare, in misura uguale per tutti i gruppi di merci ed in modo che la soppressione completa dei dazi coincida con la data fissata per la creazione dell’unione doganale. Il tasso di riduzione per le varie merci all’interno di ciascun gruppo dovrebbe essere fissato da ogni Governo prima dell’inizio di ogni tappa e le decisioni dei Governi dovrebbero essere, in principio, armonizzate fra loro. A tal fine i Governi dovrebbero consultarsi, prima di ogni tappa, circa le disposizioni che intendono adottare e inoltre per giustificare il ritardo eventualmente frapposto nella riduzione di qualche dazio.

La complessività di tale piano non permette ancora alcun commento. Esso richiede, in ogni caso, ulteriori precisazioni, che verranno certamente fornite dalla Delegazione proponente allorché la Commissione tornerà ad esaminarlo.

II. Quelles méthodes préconisez-vous pour la suppression des restrictions quantitatives et autres barrières équivalentes?

Circa la soppressione delle restrizioni quantitative le Delegazioni italiana e belga hanno messo in evidenza che una riduzione dei dazi mal si concilia con la permanenza di tali restrizioni e delle sovvenzioni alle esportazioni. Queste, perciò, dovranno essere abolite o all’inizio della riduzione dei dazi oppure, per motivi da esaminare, durante le prime tappe della formazione dell’unione doganale.

Tale principio dovrà valere anche per le restrizioni affini, come il commercio di Stato, le pratiche amministrative, ecc.

La questione delle restrizioni quantitative ha richiamato il problema del settore agricolo e delle difficoltà che incontrerà la produzione di questo settore allorché dovrà rinunciare a tale mezzo di protezione.

Il rappresentante dell’O.E.C.E. e la Delegazione tedesca si sono mostrati del parere che l’integrazione agli effetti del settore agricolo dovrebbe essere studiata a parte, dato che la graduale riduzione dei dazi e dei contingenti si rivela, in questo caso, una arma inadeguata e non corrispondente. Tale opinione è stata respinta dalla Delegazione olandese. Essa giudica il diverso trattamento tra industria e agricoltura, che si vorrebbe in tal modo introdurre, psicologicamente dannoso e controproducente agli effetti della formazione del mercato comune in quanto potrebbe distogliere gli agricoltori dal compiere la parte di sforzo che spetta loro. Per la Delegazione olandese il sistema di salvaguardia dovrebbe essere sufficiente a risolvere il problema di questo settore.

III. Quel délai final assignez-vous pour la réalisation des objectifs prévus aux 1) et 2)?

Le Delegazioni del Benelux hanno sostenuto che un termine di 10 anni sembrava adeguato e che la rigidità di tale termine poteva essere corretta, anticipandolo o ritardandolo, in base ad una decisione unanime dei Governi. La Delegazione italiana, nel dichiarare che pur non avendo istruzioni definitive a questo riguardo [sic], mentre quella francese ha proposto che non venisse fissato alcun limite perché l’indicazione di esso avrebbe potuto causare reazioni sfavorevoli nell’ambiente produttivo del suo paese e aumentare le difficoltà che il suo Governo doveva sormontare.

IV. Faut-il prévoir un rythme et des étapes intermédiaires précises pendant la période transitoire précédant l’établissement du marché commun?

Le Delegazioni del Benelux e della Repubblica Federale ritengono che anziché stabilire tappe annuali, sia più proficuo fissare un numero minore di tappe pluriennali. In particolare esse hanno voluto fermare l’attenzione delle altre Delegazioni sul numero di tre tappe, in cui, nella prima dovrebbe essere raggiunta la riduzione del 40% e nella seconda e nella terza due successive riduzioni del 30%.

Da parte della Delegazione italiana e francese non si è respinta tale proposta; si è però insistito sull’opportunità che l’adozione della percentuale di riduzione successiva venga stabilita dopo una consultazione fra i Governi interessati sul grado di armonizzazione raggiunto. La Delegazione tedesca ha inoltre richiamato l’attenzione sulla necessità di studiare il problema preliminare che pone la fase di «démarrage» del mercato comune.

V. Considérez-vous que le marché commun prendra la forme d’une Union Douanière ou d’une zone de libre-échange, telle qu’elles sont définies à l’article XXIV du G.A.T.T.:

a) pendant la période transitoire;

b) pendant la période définitive?

Tutti sono d’accordo che nella fase definitiva il mercato comune dovrà prendere la forma doganale ad eccezione della Delegazione del Regno Unito la quale ha tenuto a segnalare che per il suo paese potrebbe essere più facile entrare a far parte di una «zona di libero scambio» che in una unione doganale, per il fatto che la prima permetterebbe di mantenere una tariffa doganale nazionale, mentre la seconda no.

Per quanto questo accenno riterrà, in seguito, certamente tutta l’attenzione della Commissione, per un esame più approfondito di esso, la proposta ha suscitato, come prima reazione, qualche perplessità a causa delle maggiori difficoltà di carattere tecnico che la creazione di una tale zona fra sette paesi comporterebbe.

È da notare, in ogni modo, che la creazione di una zona di libero scambio, auspicata da parte inglese non sarebbe in armonia con la Decisione di Messina, in cui si parla espressamente (al punto B-a) «de l’unification progressive du régime douanier à l’égard des pays tiers» e quindi si esclude il mantenimento per un tempo indefinito delle tariffe nazionali.

Circa la fase transitoria, la maggior parte delle Delegazioni ha manifestato il parere che la zona dei paesi partecipanti venga considerata e definita, agli effetti giuridici, come «zona di libero scambio» in quanto questo istituto sarebbe, secondo la definizione data dal G.A.T.T., più corrispondente all’esercizio da intraprendere.

VI. A quel niveau s’établira éventuellement le tarif commun vis-à-vis des pays tiers?

La Delegazione italiana ha dichiarato che l’esigenza del G.A.T.T. di una tariffa comune che, nel suo insieme, non abbia una incidenza generale più elevata di quella che avevano i dazi dei territori dell’unione doganale prima della formazione di questa, poteva rappresentare un’utile base per i negoziati da svolgere agli effetti della formazione di tale tariffe. Tale punto di vista che è stato sostenuto anche dalla Delegazione tedesca non è stato condiviso né dalle Delegazioni del Benelux né da quella francese, per motivi tra loro opposti.

Le Delegazioni del Benelux rifiutano il criterio del G.A.T.T. in quanto troppo benevolo e tale da condurre alla formazione di una tariffa troppo elevata o comunque tale da influire sul costo della vita delle loro popolazioni.

La Delegazione francese, invece, ha sostenuto che la formazione del mercato comune è un’operazione di tale importanza che essa non coincide e va molto al di là dei due istituti previsti dal G.A.T.T., cioè l’unione doganale e la zona di libero scambio e quindi i paesi del mercato comune non dovevano essere tenuti a rispettare quel massimo di dazi che il G.A.T.T. fissa nel principio ricordato dalla Delegazione italiana.

La dichiarazione francese, rimasta senza eco, ha suscitato, anzi, reazioni sfavorevoli generali, non solo come era da attendersi, da parte delle Delegazioni dei paesi del Benelux ma anche da parte dei Rappresentanti dell’O.E.C.E., della C.E.C.A. e del Consiglio d’Europa. Questi ultimi hanno sottolineato che se, in principio, l’O.E.C.E. e il G.A.T.T. sono favorevoli alla formazione di una unione doganale, questo riconoscimento è legato alla condizione che tali unioni non contribuiscano alla formazione di grossi mercati a tendenza autarchica, ma ad aree economiche con migliore efficienza produttiva.

La Delegazione italiana e olandese hanno ricordato che anche la tariffa comune richiede un’applicazione graduale e che quindi questa dovrà essere studiata e messa in applicazione durante lo stesso periodo transitorio.

A queste domande, la Commissione ha voluto aggiungere due altre che richiamano in effetti altri problemi connessi con la formazione del mercato comune.

La prima riguarda il regime delle restrizioni quantitative verso i paesi terzi. Tutte le Delegazioni si sono dimostrate d’accordo che tale problema non esisterà in pratica allorché il mercato comune sarà stato formato, ma che invece si porrà in forma grave e dovrà essere perciò risolto nel periodo transitorio.

L’adozione del principio di una graduale coordinazione delle politiche commerciali dei paesi partecipanti verso i paesi terzi è sembrata a tutti indispensabile. Quali metodi dovranno essere adottati per tale scopo, non sono stati, però, indicati.

A giudizio della Delegazione tedesca, e del Rappresentante della C.E.C.A., la necessaria accettazione, all’inizio del processo di unificazione, del diverso grado di liberazione degli scambi applicato dai singoli paesi partecipanti potrà essere fonte di inconvenienti e in particolare causa di distorsione del traffico. Tale circostanza comporterà necessariamente l’adozione di regole comuni per eliminare tale distorsione.

Il problema della distorsione del traffico di cui all’ultima domanda, viene creato dall’esistenza contemporanea di una tariffa interna e di varie tariffe esterne con livelli daziari differenti, nonché dal diverso grado di liberazione degli scambi. Tutte le Delegazioni si sono mostrate convinte che occorrerà stabilire una regola comune, la quale dovrà basarsi: a) sull’adozione del certificato di origine che garantisca in modo inequivocabile la provenienza e l’origine delle merci dai paesi membri; b) sulla scelta del criterio che dovrà definire chiaramente il grado di lavorazione che un dato prodotto deve aver subito in uno dei paesi della futura comunità perché venga considerato originario della zona ed abbia quindi diritto al trattamento preferenziale.

Il Presidente della Commissione del mercato comune redigerà, col Segretariato, un documento di sintesi della discussione svoltasi in materia tariffaria, che servirà di base agli ulteriori dibattiti. Esso probabilmente verrà diramato nel corso delle settimane prossime, e preso in esame nella terza decade di settembre.

In attesa di tale documento riassuntivo si trasmettono alle amministrazioni più direttamente interessate i documenti sinora pubblicati.

Si fa riserva di convocare quanto prima una riunione interministeriale per un riesame dell’intera questione del mercato comune onde poter fornire alla nostra Delegazione a Bruxelles le istruzioni per il proseguimento dei lavori in seno alla Commissione.


1 Trasmesso agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.


2 Non pubblicato.

90

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 4864/23771. Londra, 26 settembre 1955.

Oggetto: Deposito strumento ratifica dell’Accordo tra la C.E.C.A. e il Regno Unito.

Riferimento: Mio telespr. n. 4738/2322 del 19 settembre u.s.2.

Il Foreign Office ha comunicato che, in conformità a quanto previsto dall’art. 13 dell’Accordo firmato a Londra il 21 dicembre 1954 fra il Regno Unito e la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, lo strumento di ratifica da parte della Repubblica Federale di Germania è stato depositato a Londra il 23 settembre. Poiché tutti gli strumenti di ratifica sono stati ora depositati, l’Accordo suddetto è entrato in vigore alla stessa data del 23 settembre.

Allegato

[IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI DEL REGNO UNITO, MACMILLAN,]ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI

L. M 602/1213. Londra, 23 settembre 1955.

Sir,

I have the honour to inform you that the instrument of ratification of the Federal Republic of Germany of the Agreement concerning the relations between the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland and the European Coal and Steel Community signed in London on the 21st of December, 1954 was deposited with the United Kingdom Government in the forenoon of Friday, the 23rd of September, and that, all other instruments of ratification of the Agreement having already been deposited, the Agreement entered into force in accordance with paragraph (3) of Article 13 thereof on that day.

The High Authority of the European Coal and Steel Community has been informed, and similar notes are being sent to the diplomatic representatives in London of other States members of the European Coal and Steel Community.

I have the honour to be, with high consideration, Sir, Your obedient Servant.


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Lussemburgo.


2 Con il quale Theodoli aveva comunicato che il Foreign Office, ricevuta la ratifica da parte italiana dell’Accordo tra Regno Unito e C.E.C.A., l’aveva depositata il giorno 9 settembre.


3 La lettera è sottoscritta per conto di Harold Macmillan. La firma in calce non è stata identificata.

91

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

Telespr. urgentissimo 44/145231. Roma, 29 settembre 1955.

Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.

COMMISSIONE DEL MERCATO COMUNE

Direttive per la Delegazione italiana. La Delegazione italiana presso la Commissione del mercato comune del Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina ha compilato un appunto, che qui sotto si trascrive, in materia di problemi tariffari, per cui la Delegazione stessa necessita di direttive per il proseguimento dei lavori.

Data l’urgenza di trasmettere a Bruxelles tali direttive, si pregano quelle Amministrazioni che sono più direttamente interessate ai problemi in discussione di voler far conoscere al più presto possibile, e comunque non oltre il 6 ottobre p.v. se intendano intervenire, in tal caso specificando il nominativo del loro rappresentante, ad una riunione che si terrà presso la scrivente Direzione Generale il giorno 10 ottobre alle ore 10, al fine di concordare gli elementi da comunicare alla Delegazione italiana.

APPUNTO

«La Commissione del mercato comune ha condotto un esame dei problemi tariffari, in base al quale il Segretariato, dopo tutte le ulteriori discussioni che saranno ancora necessarie, redigerà un documento che costituirà la sezione del rapporto finale che tratterà di tali problemi.

Data l’importanza della questione e poiché varie sono state le tesi esposte, si segnala la necessità di un suo attento esame, specie sui seguenti punti che richiedono l’adozione di una scelta.

I. Periodo di tempo per formare il mercato comune.

La maggioranza degli esperti ha dimostrato una preferenza per un periodo di dieci anni; la stessa maggioranza non ha rifiutato, in sostanza, il correttivo, proposto dalla Delegazione belga, che tale limite di tempo possa essere modificato, ulteriormente, da una decisione collettiva.

La Delegazione italiana, che ha accettato la proposta di un tale correttivo perché le sembrava aderente alla realtà, non ha preso una posizione ferma su un numero di anni piuttosto che un altro.

Se, ad uno stadio ulteriore della discussione, la soluzione di questo problema verrà ritenuta indispensabile (ciò che sembra probabile dato che essa costituisce una esigenza non solo di alcuni paesi, come la Germania e i paesi del Benelux, ma anche delle norme del G.A.T.T.), si chiede di conoscere se da parte della Delegazione italiana si possa accettare il periodo di dieci anni, da prolungare secondo la proposta belga, oppure propendere fin da ora per un periodo maggiore.

II. Riduzione dei dazi all’interno della comunità.

Tre sono stati i sistemi suggeriti:

1) automatico, con la possibilità di far ricorso alle clausole di salvaguardia;

2) sistema “souple”, in cui le tappe dovranno essere determinate e di volta in volta collettivamente, con l’impegno del rispetto del termine finale;

3) sistema di riduzione all’interno di dati gruppi di prodotti secondo il criterio indicato dal Piano Pflimlin-G.A.T.T.

Da parte della maggioranza delle Delegazioni (salvo, per il momento, quella olandese e quella italiana) si é manifestato un interesse a concentrare le discussioni e ad approfondire lo studio del terzo sistema. Data tale circostanza, si desidera conoscere se da parte nostra si debba prendere posizione contraria o meno su tale sistema dando, invece, una preferenza ad uno degli altri due – specialmente il primo – o ad una combinazione di essi.

Inoltre, occorrerà conoscere se invece di una riduzione annuale dei dazi, non sia preferibile ricorrere a riduzioni per gruppi di anni; così per es. attuare una riduzione del 40% dopo i primi quattro anni e del 60% successivo in due tappe di tre anni o più l’una.

III. Eliminazione delle restrizioni quantitative negli scambi fra i paesi partecipanti.

La Delegazione italiana si è dichiarata in favore di una soppressione delle restrizioni quantitative all’interno del mercato comune mediante un metodo proprio, senza rimettersi all’azione dell’O.E.C.E. Questo perché la contemporanea riduzione dei dazi doganali richiede uno stretto parallelismo fra le due azioni, non necessario in seno all’O.E.C.E. D’altra parte sembra conveniente non distaccarsi da tale principio affinché il problema del settore agricolo venga comunque inquadrato nel meccanismo generale del mercato comune: per quanto si debba tener conto che anche in questa sede si tende da parte di altri a voler trattare specificatamente i problemi particolari del settore agricolo nell’intento di consentire un diverso ritmo di liberazione per detto settore.

IV. Tariffa comune esterna.

La dichiarazione riportata nel rapporto che “tutti gli esperti, ad eccezione di uno solo, si sono dimostrati favorevoli per una tariffa bassa” non corrisponde all’effettivo andamento delle discussioni. Da parte nostra si è sostenuta l’idea di una “tariffa media” simile a quella prevista dall’art. 24 del G.A.T.T. Essa è stata accolta da tutti gli altri esperti, salvo, per il momento, le ben note reticenze francesi.

Circa l’adozione della tariffa comune, la Delegazione italiana ha dichiarato essere favorevole ad un’attuazione di essa fatta progressivamente e per tappe entro il limite finale fissato.

V. Politica commerciale dei paesi partecipanti al mercato comune già realizzato rispetto ai paesi terzi.

La Delegazione italiana e tutte le altre Delegazioni hanno convenuto sull’opinione che il mercato comune realizzato comporta: delle liste comuni di liberazione, una coordinazione nella negoziazione degli accordi commerciali e, ulteriormente, degli accordi di commercio unici, negoziati congiuntamente dagli Stati partecipanti con i terzi paesi.

Si gradirà conoscere, per quanto riguarda i primi due punti, quali soluzioni potranno essere sostenute da parte italiana e, per i punti successivi, se la linea finora seguita debba o meno essere mantenuta.

Bruxelles, 23 settembre 1955».


1 Trasmesso agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.

92

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 15897/1891. Bruxelles, 30 settembre 1955, ore 10,30 (perv. ore 11,30).

Oggetto: Riunioni.

Riunione 3 ottobre Comitato Direttivo2 ha carattere interlocutorio dato che nessuna Commissione ha terminato suoi lavori; unici elementi sostanziali di discussione saranno due note trasporti aerei (trasmesse con mio telespresso 90/98 del 26 corrente)3 e rapporto Sottocomitato poste e telecomunicazioni (mio telespresso 65/64 del 10 corrente)3 con aggiunte in corso redazione in riunione odierna.

Comitato Direttivo ascolterà inoltre breve relazione orale Presidente altra commissione; Di Nardi indicherà maggiori punti di controversie sussistenti in materia investimenti per offrire possibilità intervento a Delegato italiano.

Riunione a parere Segretariato dovrebbe avere termine entro pomeriggio lunedì4. Scambio di vedute confidenziali su procedura per confermare rapporto d’insieme avrà luogo a colazione offerta da Spaak ai soli sei Capi di Delegazione, senza inglesi né osservatori altri organismi.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Vedi D. 94.


3 Non rinvenuto.


4 Il 3 ottobre.

93

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. riservato personale 15361. Parigi, 30 settembre 1955.

Oggetto: Riunione di Garmisch.

Signor Ministro,

penso possa esserle di qualche interesse avere delle impressioni sulla riunione di Garmisch. Come è noto a V.E., trattasi di una specie di forum, dove tutti intervengono a titolo assolutamente privato: il suo interesse è rappresentato dalla tradizione, ormai stabilita, di una grande franchezza di espressione e di discussione.

1) Rapporti con la Russia.

L’atteggiamento degli americani è risultato un po’ dubbio ed esitante: da una parte essi continuano a ritenere che i cambiamenti della politica sovietica debbono essere considerati sopratutto come un cambiamento di tattica, dall’altra la maggior parte di loro sembrano ritenere che c’è qualche cosa che sta cambiando in profondità in tutto il sistema russo, per cui si può effettivamente pensare che, in un periodo più lontano, ci si possa trovare di fronte ad una Russia ben più comprensiva dell’attuale.

Il linguaggio che ho sentito, su questo argomento, mi ricorda stranamente – anche perché si tratta in parte delle stesse persone – il linguaggio che si teneva nel ʼ44 e nel ʼ45, quando gli americani cercavano di dimostrare, anche allora, che la Russia era cambiata o stava cambiando. Orientamento pericoloso perché – la sua conseguenza logica essendo che si deve fare il possibile per incoraggiare queste evoluzioni interne – esso può costituire un eccellente pretesto per gli americani per giustificare qualsiasi cedimento da posizioni già tenute per fermissime.

Per il momento, si insiste molto da parte americana sulla necessità di non cedere nulla d’essenziale: ma si insiste parimenti sull’opportunità di intensificare gli scambi di visite, in tutti i settori e sotto tutte le forme, sempre coll’idea di far breccia nella cortina di ferro.

Da parte inglese, si è insistito piuttosto sulla necessità di negoziare, senza scoraggiarsi, proponendo sempre nuove formule e mostrando sempre di prendere in seria considerazione qualsiasi proposta che venga presentata dai russi; e cercare di approfondire qualsiasi elemento costruttivo che ci si possa trovare.

Da qualche elemento laburista è stato accennato ad una curiosa linea di pensiero. Si è insistito sulla necessità di continuare a parlare della liberazione dei paesi satelliti, aggiungendo però che, ai fini di rendere la cosa accettabile, o per lo meno presentabile, ai russi, si dovrebbe dire loro che, contro libere elezioni nei paesi satelliti e loro sganciamento dal blocco comunista – è stato specificato che solo una liquidazione del regime comunista sarebbe da considerarsi come soddisfacente – saremmo disposti a prendere in considerazione lo sganciamento dell’Europa Occidentale dal N.A.T.O., e naturalmente l’abbandono delle basi americane.

Da parte tedesca si è sopratutto insistito perché le trattative tra Est ed Ovest non venissero fatte a spese della Germania.

In genere un ambiente di ottimismo un po’ eccessivo, secondo me.

Questo stesso generale ottimismo si è riflesso sulla questione della riunificazione della Germania. Mentre nessuno ha mostrato di credere ad un possibile successo immediato, si è generalmente avuta un’impressione di maggiore fiducia a più lunga scadenza.

2) Articolo 2 del N.A.T.O.

Da parte americana ci si è mostrati molto reticenti, per non dire negativi. Si è tenuto in ogni modo a dire, in maniera più che esplicita, che, se per approfondimento dell’art. 2 si intende – il che è poi la realtà – una maggiore larghezza di aiuti americani nel settore civile, allora non c’è assolutamente da sperarci.

C’è stato sull’argomento molto spreco di parole poiché, effettivamente, nemmeno i più spinti, i canadesi, quando si trattava di scendere dalle enunciazioni di principio ai fatti, avevano delle proposte concrete da fare.

Il pensiero della maggioranza sembrava piuttosto orientato nel senso di dire che era in fondo bene che il N.A.T.O. restasse quello che era, ossia un’organizzazione prevalentemente militare: che era certo bene che si continuasse a sviluppare la parte politica estera del N.A.T.O. stesso. Ma che, per quello che riguardava i problemi economici ed economico-sociali, era molto meglio servirsi per il loro sviluppo degli altri organismi esistenti, e specialmente dell’O.E.C.E.

3) Rilancio europeo.

Da parte americana si è tenuto a mettere in rilievo che l’interesse americano per l’integrazione europea non era affatto diminuito dopo il riarmo della Germania: se si taceva da parte di Washington, era sopratutto perché dopo l’esperienza della C.E.C.A. ci si chiedeva se delle prese di posizioni aperte da parte degli Stati Uniti avevano una buona od una cattiva influenza. La risposta europea è stata, in maggioranza, che un’azione diplomatica americana sarebbe stata sempre opportuna: quanto a manifestazioni pubbliche, sarebbe stato opportuno scegliere una forma adeguata. I tedeschi, da parte loro, hanno tenuto ad assicurare che sono europei come prima.

La discussione, mercato comune e agenzie specializzate, è stata riservata al settore europeo: gli americani sono stati generalmente a sentire, limitandosi ad osservare, a più riprese, che, a loro avviso, questa lotta fra vari sistemi minacciava di degenerare in posizioni ideologiche e che sarebbe stato molto meglio per l’Europa di avere, in questo campo, più realismo, più empirismo e meno ideologia.

Gli americani hanno risposto unanimemente coll’affermativa quando è stato chiesto loro se avrebbero accettato delle tariffe preferenziali intereuropee durante il periodo transitorio, necessariamente lungo, precedente il mercato comune.

Forse è stato sotto questa influenza americana che il dibattito si è orientato piuttosto nel senso che mercato comune e agenzie specializzate non si debbono escludere l’un l’altro: che il cammino verso il mercato comune è necessariamente lungo, difficile e lento: e che, in attesa, non bisognerebbe rifiutare delle agenzie speciali quando esse si manifestino utili e realizzabili.

Specialmente marcata è stata la tendenza generale ad insistere sulla necessità di procedere al più presto alla creazione di una agenzia per l’energia nucleare. Da parte americana è stata fatta un’esposizione interessante sulle complicazioni e sui costi di tutta l’attrezzatura nucleare, e sulla sciocchezza quindi dei paesi europei di voler procedere ognuno per conto proprio. È stata sottolineata la necessità di fare presto, prima che dei vested interests si siano cristallizzati intorno ai processi atomici.

Alcuni britannici ritengono che non sarebbe impossibile che anche l’Inghilterra aderisse a qualche forma di agenzia atomica.

In conversazioni private, essendo stata sollevata la questione di possibili difficoltà, dell’ultimo momento, da parte del Parlamento francese, è stata generale la conclusione che, nel campo economico e sopratutto nel campo nucleare, bisogna che si tenga presente anche la possibilità di andare avanti senza la Francia.

La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio.

Quaroni


1 Trasmesso da Quaroni a Grazzi con L. riservata personale 1537, pari data.

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IL CAPO DELLA DELEGAZIONEPRESSO IL COMITATO INTERGOVERNATIVODI BRUXELLES, BENVENUTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 16168-16175/194-1951. Bruxelles, 4 ottobre 1955, ore19,45 (perv. ore 20,30)2.

Oggetto: Riunione Comitato Direttivo. Proposte di Spaak circa metodo lavori.

194. Ieri nel pomeriggio riunitosi Bruxelles Comitato Direttivo presieduto da Ministro Spaak. Corso riunione Presidenti quattro Commissioni e Presidente Sottocommissione trasporti aerei hanno fatto esposizione su lavori effettuati ed è stato quindi deciso che Comitato Direttivo terrà prossima riunione 7 novembre. Per trasporti aerei è stato approvato documento 271 (telespresso 90/88 del 26 settembre scorso)3 ed è stata lasciata facoltà sei Governi trasmettere o meno documento stesso a compagnie aeree. Dopo esposizione su documento 275 per sfruttamento itinerari intercontinentali (telespresso suddetto) Delegazione francese ha presentato memorandum su creazione Società europea costruzioni aeronautiche. Memorandum dovrà formare oggetto esame Sottocommissione e rendere necessaria per prossima riunione partecipazione altro nostro esperto per costruzioni aeronautiche. Ho fatto comunque presente che Risoluzione Messina non contemplava problema costruzioni aeronautiche. Per Commissione trasporti, energia nucleare, e Sottocommissione poste e telegrafi è stato preso atto lavori effettuati.

Presidente della Commissione energia classica in sua esposizione ha fatto presente se non venisse creato fondo investimento comune, dovrebbe crearsi fondo specifico per energia classica.

Ho rilevato che se non vi sarà fondo comune investimento non ci sarà mercato comune e quindi trattasi di problema differente da esaminare in altra sede. Inoltre Delegazione francese ha presentato nuovo memorandum in cui in sostanza pro-pone confidare Alta Autorità, assistita da Comitato consultivo speciale, fonteenergia.

Presidente mercato comune ha riferito su lavori effettuati sottolineando che esistono ancora divergenze particolarmente su taluni aspetti dei problemi: doganali, livello tariffe esterne, concorrenza, bilancio pagamenti, armonizzazione e distorsione. Ha riferito infine sui rapporti Sottocommissioni investimenti e problemi sociali.

195. Spaak in colloquio confidenziale con sei Capi delle Delegazioni ha fatto seguenti proposte circa metodo lavori che sono state accettate: tutti rapporti Commissioni e Sottocommissioni saranno presentati 15 ottobre; Comitato Direzione si riunirà ultima volta 7 novembre e anche tutti partecipanti potranno tale occasione esprimere critiche e suggerimenti su rapporti predetti. Dopo che Comitato Direzione si scioglierà e redazione rapporto finale verrà affidata a soli Capi delle Delegazioni sei paesi (accompagnati se richiesto da un collaboratore) i quali lavoreranno su avanprogetto che Spaak ha acconsentito preparare.

D’altra parte Spaak ha invitato Capi delle Delegazioni riunirsi ufficiosamente 19 e 20 ottobre per prendere visione rapporti Commissione nucleare energia classica, trasporti aerei onde iniziare preliminari scambi di idee circa rapporto finale tali materie.

Nel colloquio confidenziale di oggi, Gaillard a mia richiesta ha ammesso avere approntato nuovo documento su mercato comune, documento però che egli non poteva ancora presentare attendendone approvazione suo Ministero degli Affari Esteri. Gaillard si riserva distribuirlo quanto prima ma non per 15 corrente. Egli non ha voluto precisare contenuto documento ma ha detto esso rappresenterebbe primo impegno conclusivo in materia.

Osservo che maniera procedere francese è perlomeno anormale perché documento potrà essere esaminato solo in Comitato della cooperazione 7 novembre senza nessun preliminare esame da parte Comitato tecnico.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 La prima parte del presente documento (T. 194), partita alle ore 19,45, pervenne alle ore 20,15, mentre la seconda (T. 195), partita alle ore 19,50, pervenne alle ore 20,30.


3 Non rivenuto.

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L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 1547/993. Parigi, 4 ottobre 1955.

Oggetto: Cooperazione atomica europea. Atteggiamento inglese.

Da fonte abitualmente bene informata risulterebbe che il Governo britannico avrebbe notificato al Signor Armand, Presidente del Sottocomitato per l’energia nucleare alla Conferenza di Bruxelles per l’integrazione europea, che l’Inghilterra non intenderebbe dare la propria adesione all’«Agence Atomique» europea, qualora venisse costituita, e contribuire al finanziamento di un programma comune europeo in campo atomico.

La decisione inglese (sulla quale, del resto, nessuno qui si è mai fatto illusioni) verrebbe giustificata col fatto che una stretta partecipazione inglese a un sistema europeo intralcerebbe la realizzazione dei piani, già da tempo preparati, per lo sviluppo dei risultati raggiunti dalla Gran Bretagna in campo nucleare, e specialmente dei piani tracciati in comune con il Canadà e l’Australia.

La notizia, sulla quale si fa riserva di sentire il Quai d’Orsay, non ha nulla di sensazionale e confermerebbe il punto di vista del Quai d’Orsay (sul quale si è riferito con telespresso ris. 1291/831 del 19 agosto u.s.)1 circa l’atteggiamento inglese in materia di cooperazione atomica europea.

Gli inglesi sono poco proclivi a legarsi a un programma comune di realizzazioni tecniche e industriali e di scambi di segreti tecnologici: l’unica forma di cooperazione che possono accettare è quella commerciale, che apra nuovi sbocchi ai prodotti dell’industria atomica inglese. D’altra parte, negli ambienti vicini ai ministri gollisti circola insistente la voce che Sir John Cockrost, nel suo recente viaggio in Germania Occidentale, avrebbe fatto concrete offerte ai tedeschi di reattori nucleari inglesi e avrebbe proposto un limitato scambio di informazioni circa gli sviluppi dei nuovi metodi tecnici adoperati per la reazione.

Si profilerebbe, quindi, una cooperazione anglo-tedesca per l’uso pacifico dell’energia atomica. Qui, tuttavia, non intendono drammatizzare. Si sa bene che l’Inghilterra non è disposta a sbilanciarsi in materia di scambio di segreti industriali in questo campo (Sir John Cockrost l’ha anche esplicitamente dichiarato a Ginevra), e certamente non comprometterebbe la propria superiorità tecnica e produttiva con inopportune rivelazioni alla Germania.

Le «avances» inglesi vengono piuttosto interpretate come l’espressione di una politica commerciale decisa, pur di raggiungere i suoi obbiettivi, ad orientarsi verso tutti i possibili acquirenti: oggi è la volta dei tedeschi; domani sarà la volta degli stessi francesi.


1 Vedi D. 75.

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L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, BROSIO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 14572/4072. Washington, 4 ottobre 1955.

Oggetto: Colloqui tra von Brentano e Governo americano.

Riferimento: Mio telegramma del 1° ottobre 19551.

Faccio seguito al mio telegramma citato per fornire a codesto Ministero ulteriori informazioni a completamento di quelle già inviate con il telegramma predetto sugli incontri tedesco-americani di Washington.

Dalle notizie raccolte da varie fonti, sia americane e sia tedesche, mi sembra di poter caratterizzare gli incontri in questione come degni di rilievo per l’impostazione avvenire dei rapporti di questo paese, e dell’intera N.A.T.O., con il Governo della Germania Occidentale. Né ciò deve stupire se si pensa che i colloqui avvenivano poche settimane dopo gli incontri di Mosca e in connessione con la preparazione di quella seconda riunione di Ginevra di cui nessuno più oggi si nasconde qui le asperità.

I documenti che ho già trasmesso a codesto Ministero indicano come il Governo americano abbia tenuto a sottolineare la solidificazione del rapporto tra la Germania di Bonn e le tre potenze occidentali, in relazione al riconoscimento del Governo di Pankow. Ciò facendo, il Segretario di Stato, nel venire incontro alle pressanti richieste di von Brentano, ha anche adottato una linea di azione del tutto consona con le intenzioni che mi risultano essere andate qui prendendo piede alla vigilia del nuovo difficile incontro di Ginevra: potenziare cioè al massimo il complesso atlantico e a eventuali nuovi allettamenti inconsistenti e al tentativo di perpetuamento dello «status quo» da parte dell’U.R.S.S. opporre un solido fronte che induca il Governo sovietico ad un «ripensamento» della propria linea politica. Per questo non deve essere stato difficile a Brentano ottenere la dichiarazione che è stata diramata per riconfermare gli impegni del dopoguerra assunti dalle quattro potenze, compresa 1’U.R.S.S., e per contestare la legittimità del riconoscimento di Pankow, come richiesto dalla Delegazione tedesca fin dall’inizio delle conversazioni di New York e di Washington.

Collegato con la questione del riconoscimento della Germania Occidentale, è subito emerso nelle conversazioni stesse anche il problema di Berlino. Brentano ha da parte sua illustrato i pericoli insiti nelle potenziali minacce delle autorità comuniste della Berlino Orientale, le quali, attraverso il controllo che esse possono esercitare sulle autostrade e sugli altri mezzi di comunicazione, potrebbero facilmente attuare un blocco parziale o completo della Berlino Occidentale. Sia da parte americana e sia da parte tedesca ci si è trovati di accordo nel riconoscere la estrema pericolosità di una simile situazione, in cui la Berlino dell’Ovest e gli occidentali potrebbero trovarsi costretti a dover discutere con il Governo di Pankow. Mosca potrebbe infatti artatamente lasciar libere le autorità di Berlino Est di perseguire una tattica ricattatoria, costringendo gli occidentali a un colloquio diretto con la Germania Orientale. Gli americani, secondo quanto ci è stato anche detto al Dipartimento, hanno fatto presente che le maggiori responsabilità incombevano ora al Governo di Bonn e ciò sia perché era, per quanto possibile, da evitarsi il sorgere di un qualsiasi incidente tra forze alleate e forze di polizia della Germania Orientale, e sia perché se il Governo di Pankow possedeva gran parte delle chiavi della città di Berlino, i tedeschi della Berlino Ovest erano fornitori di prodotti essenziali per la parte orientale della città e in quanto tali, in grado di esercitare concrete rappresaglie, perseguendo, se del caso, una guerra economica in miniatura contro la Berlino dell’Est. Secondo il Dipartimento di Stato, la gamma dei prodotti che la Berlino Ovest sta fornendo alla Berlino Est è tale e risponde a tali perentorie necessità del settore Est della città, che gli occidentali possono ancora contare su un notevole margine di manovra e di controblocco. Naturalmente, gli americani, nel raccomandare che fin d’adesso il Governo di Bonn e le autorità di Berlino Ovest si preparino alla eventualità di rappresaglie, ha anche assicurato che, nel caso sia necessario attuarle, il Governo americano si associerà a una simile azione, confidando che anche gli altri paesi alleati agiscano analogamente. Ciò che insomma è da prevedersi è che, se dalla parte Est si manifesterà qualche segno di intenzioni di iniziare una politica di blocco, dalla parte Ovest dovrebbe attuarsi subito qualche rappresaglia di controblocco ad indicare l’intenzione degli occidentali di non voler soggiacere ad alcuna minaccia. Secondo quanto dettoci dai tedeschi, Brentano avrebbe replicato da una parte rilevando che il Governo di Pankow verosimilmente non prenderà iniziative se non per pressioni e consigli di Mosca, e dall’altra assicurando comunque che il Governo di Bonn prenderà opportune precauzioni per il perseguimento di un’azione di controblocco che eventualmente si rendesse necessaria.

Come ho segnalato con il mio telegramma citato, si è anche parlato, tra americani e tedeschi, del problema della unificazione europea. Brentano si è riferito al crollo della C.E.D. come a un avvenimento che aveva profondamente turbato il Governo di Bonn, ma che comunque non era valso a distoglierlo da una politica intesa a favorire al massimo il processo di integrazione europea. Alla richiesta di Brentano volta a conoscere il pensiero americano, Dulles ha risposto esprimendo la soddisfazione del suo Governo per tale intenzione tedesca e manifestando l’intenzione di favorire al massimo tutte quelle manifestazioni che tale processo potessero facilitare. Ci è stato anche detto che da parte americana si è voluto marcare in particolare l’interesse al rilancio intrapreso nella Conferenza di Bruxelles, anche per contrapporre tale fermo desiderio americano a quella freddezza e avversione che risulta qui allignare nei circoli industriali tedeschi su tale tema, e in particolare nel settore dell’integrazione atomica.

I problemi dell’integrazione europea hanno dato facile gioco a Dulles per attaccare a fondo la questione del riarmo tedesco.

È questo l’argomento in cui, secondo i nostri informatori, si sono verificate le esortazioni più pressanti da parte americana e le più forti difese da parte tedesca.

Dulles ha chiesto a Brentano di avere assicurazioni che il riarmo della Germania Occidentale procederà senza ulteriore ritardo. Egli ha fatto presente che il riarmo della Germania è una necessità vitale per la N.A.T.O. e potrà costituire un utile contrappeso a quei conati di slittamento verso riduzioni delle spese militari che stanno ormai affiorando in vari paesi occidentali.

Il Segretario di Stato ha infine fatto rilevare a Brentano che solo attraverso una concreta azione di riarmo la Germania potrà partecipare in linea fattiva a quella organizzazione occidentale che costituisce per la Germania stessa l’unico «ambiente» in cui essa potrà adeguatamente potenziarsi e trovare in linea definitiva il suo «ubi consistam» politico.

Secondo i funzionari del Dipartimento, le insistenze di Dulles sono state motivate dalla ormai ricorrente constatazione che vi è da parte tedesca una tendenza al traccheggiamento in tema di riarmo e comunque una intenzione di impostare in bilancio somme considerate del tutto inadeguate. L’ammontare di 9 miliardi di marchi annuali corrisponderebbe infatti, secondo i calcoli qui effettuati, all’incirca a un 5% del reddito nazionale e quindi a una percentuale quasi irrisoria se si considera la ripresa economica e la situazione di benessere generale raggiunta dalla Germania Occidentale nel dopoguerra, tra l’altro a spese anche dell’Erario americano. In particolare si giudicano qui con severità le intransigenze del Ministro delle Finanze Schaeffer e l’opera corrosiva che egli svolge nell’ambito del Governo tedesco per evitare maggiori impegni finanziari. Si ha anche l’impressione che le esitazioni tedesche corrispondano in fondo alla solita politica del non pronunciarsi in attesa di conoscere, in via concreta, quale potrà essere l’integrale contributo americano. D’altro canto, il Governo americano non intende precisare l’ammontare complessivo dei propri contributi quali sono resi possibili dagli armamenti già accantonati e dalle impostazioni attuali di bilancio, se prima il Governo di Bonn non avrà chiaramente espresso le sue intenzioni. È su questo circolo vizioso che si sono imperniate le discussioni di questi giorni ed è a causa di esso che le esortazioni di Dulles sembrano avere avuto un particolare calore.

Per fare il bilancio di tali conversazioni, mi sembra si possano formulare i seguenti commenti:

1) le conversazioni sono apparse alla Delegazione tedesca abbastanza soddisfacenti, pur non avendo essa mancato di notare con un certo disappunto che Dulles ha posto maggiore insistenza e calore nel parlare della necessità del riarmo tedesco di quanto non abbia fatto in merito al problema della unificazione della Germania;

2) Brentano è certamente piaciuto agli americani per l’insistenza con cui egli si è richiamato in ogni momento alla necessità dell’unità e fermezza del mondo occidentale e con cui egli ha scetticamente parlato della campagna di pace sovietica;

3) si è avuto l’impressione, confermata anche dalle assicurazioni pubbliche che Brentano ha creduto di dare dopo il suo discorso al National Press Club (vedi mio telespresso odierno n. 14570/4070)2, che egli era uscito dai colloqui alquanto preoccupato per l’atteggiamento di fermezza adottato dagli americani nel chiedere un maggiore dinamismo in tema di riarmo.

Vorrei formulare ora alcune considerazioni a carattere conclusivo, in relazione anche allo scambio di idee avuto al Dipartimento di Stato in rapporto alla situazione determinatasi dopo l’incontro di Mosca. A parte quelli che possono essere stati i paludamenti dei comunicati stampa ufficiali o delle dichiarazioni dei «portavoce», sta di fatto che i tedeschi sono usciti da Mosca alquanto scossi e sotto il peso di un cedimento psicologico. È ormai convinzione generale qui che Bulganin e Krhushchev hanno usato nei confronti dei loro interlocutori, un trattamento di notevole durezza, lasciando chiaramente intendere, almeno fino all’ultim’ora, che il Governo sovietico non era disposto né a venire a patti, né ad accordare alcuna considerazione alle aspirazioni della Germania Occidentale verso l’unificazione, cercando invece di avvalorare nei tedeschi l’impressione che da parte del Cremlino si intendeva tutto sommato tenere un atteggiamento di distaccata indifferenza nei confronti della Germania di Bonn. È pur vero che gli incontri si sono risolti con la ripresa delle relazioni diplomatiche e che, in quanto tali, essi hanno potuto segnare un punto all’attivo del Cancelliere. È anche vero però che il tutto è avvenuto in un’atmosfera di isolamento antagonistico e che tali circostanze non hanno mancato di lasciare un’impronta sul Cancelliere e sul suo seguito. A discorrere con i funzionari del Dipartimento, si sarebbe indotti a pensare che i pericoli insiti in una ripresa di rapporti bilaterali tra Mosca e Bonn e nelle possibilità di «giri di waltzer» da parte della Germania Occidentale, non sono qui oggi più temuti. Dulles si è invece fatto forte della situazione intervenuta dopo Mosca per porre in rilievo con i tedeschi l’importanza che ha per la Germania di Bonn un dinamico, onesto e fattivo inserimento nel complesso della N.A.T.O. La riunificazione sarà ovviamente la bandiera per cui in via ufficiale le Delegazioni occidentali si batteranno a Ginevra, ma, essendo già scontato l’insuccesso di un’azione avente tale miraggio, gli americani cercano di prendere già le loro precauzioni ributtandosi su un potenziamento della N.A.T.O. Ciò è ormai apparso chiaro dalla cura con cui essi cercano ora di aumentare le informazioni e i contatti nell’ambito dell’Organizzazione atlantica e mi sembra anche confermato dalla vigoria con cui ci è stato detto che Dulles ha parlato ai tedeschi esortandoli alla più ferma associazione con la N.A.T.O. stessa. È questo un punto che mi è sembrato opportuno recare all’attenzione particolare di codesto Ministero perché esso mi sembra offrire la chiave dell’evolvere del pensiero americano nell’attuale congiuntura e dare anche qualche utile spunto per i contatti che potranno aversi a Bonn in occasione della prossima visita di S.E. il Ministro. Appunto in relazione a tale visita, non abbiamo mancato di richiedere agli americani di tenerci il più possibile informati dell’andamento dei problemi di interesse tedesco-americano per quei riflessi che essi potranno avere sui nostri rapporti con il Governo di Bonn e nell’ambito della N.A.T.O.


1 T. segreto 16047/679, con il quale Brosio aveva comunicato quanto appreso dal Dipartimento di Stato circa le conversazioni tedesco-americane.


2 Non pubblicato.

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IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. segreto 16294/470. Lussemburgo, 6 ottobre 1955, ore 18,45 (perv. ore 19,40).

Oggetto: Incontro Faure-Adenauer.

Riassumo le informazioni che ho potuto avere sull’incontro Faure Adenauer:

a) Conferenza Ginevra. Piena identità di pensiero su:

1) completa sfiducia circa le intenzioni russe;

2) impossibilità di riunificazione della Germania (l’uscita della Germania dalla N.A.T.O. non sarebbe sufficiente all’U.R.S.S. che esigerebbe invece il completo smantellamento della N.A.T.O.);

3) l’inaccettabilità della creazione di zone smilitarizzate in Europa;

4) necessità di cautele per l’opinione pubblica ovunque propensa ad illusioni.

b) Viaggio Mosca. Adenauer ha felicitato Faure per l’aggiornamento del suo viaggio. Le impressioni di Adenauer sul suo soggiorno a Mosca sono:

1) insufficienza risultati esperienza sovietica (grave crisi in agricoltura);

2) ottusa albagia dei dirigenti sovietici che persistono nella convinzione del prossimo crollo dell’economia capitalistica.

c) Saar. Concordanti franco-tedeschi che 40% popolazione è a favore Statuto europeo, 40% contraria, 20% incerta. In reciproca sincerità intenti fare riuscire plebiscito si è voluto emanare un comunicato che, evitando le accuse di indebite interferenze, possa influenzare il predetto 20%. A tale scopo si sono fatte da parte francese notevoli concessioni sia in comunicato congiunto (garanzie per rispetto carattere e affinità popolazione saarrese) sia in dichiarazione unilaterale opportunamente concordata (relativa Trattato di pace).

d) Milizia internazionale per la Saar. Perdurando opposizione Adenauer, non si è raggiunto accordo.

e) Rilancio europeo. Adenauer ne ha nuovamente sottolineato la necessità; Faure ha ammesso di aver avuto nel passato qualche perplessità; ora egli però è pienamente convinto e disposto ad incoraggiarlo al massimo se resterà al potere.

Superfluo aggiungere che Faure è apparso estremamente preoccupato della situazione ed ha sinceramente ammesso di avere voluto incontro Lussemburgo per motivi politica interna. Ho avuto informazioni di cui sopra in parte da Bech in parte da partecipanti alle conversazioni.

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L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 13454/2060. Bonn, 6 ottobre 1955.

Oggetto: Visita a Bonn del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Affari Esteri.

Riferimento: Mio rapporto n. 13033/1973 del 28 settembre u.s.1.

Ho telegrafato in data odierna che da parte del Governo Federale sembra non vi siano difficoltà per il rinvio della visita di V.E. e del Presidente del Consiglio a data da concordare all’inizio di novembre.

In attesa della risposta definitiva informo che dai primi contatti avuti a livello uffici dell’Auswärtiges Amt è emerso quanto segue:

Il Governo Federale è lieto che l’invito rivolto al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri italiani sia stato accolto2. La loro venuta a Bonn permetterà al Cancelliere di prendere con gli uomini di Governo italiani quei contatti personali che nella sua opinione sono indispensabili per una migliore comprensione tra i popoli e per favorire l’apporto comune alla politica di intesa e di integrazione europea. Il Cancelliere infatti ha vivamente deprecato di non aver potuto recarsi a suo tempo a Messina e quindi anche per questo motivo vede nella visita la possibilità di riparare al mancato incontro di allora.

Il Governo Federale è anche lieto di poter cogliere l’occasione della visita per esprimere al Governo italiano e personalmente al Ministro Martino il proprio apprezzamento per la politica europeista svolta e in particolare per le sue recenti dichiarazioni, in sede di discussione del bilancio degli Affari Esteri, sul problema della riunificazione tedesca. Tale problema nonché quello della sicurezza dovrebbero formare oggetto di scambi di idee nell’incontro di Bonn.

Il Cancelliere si propone anche di intrattenere i Ministri italiani sulle proprie impressioni riportate da Mosca nonché esaminare la situazione quale si presenterà dopo la Conferenza di Ginevra.

In merito ad argomenti di carattere più propriamente bilaterale si hanno all’Auswärtiges Amt le seguenti idee di massima:

Accordo di amicizia, commercio e navigazione. Sulla base di quanto convenuto nel novembre 1954 a Monaco dai Direttori Generali Corrias e von Maltzan in seno alla Commissione mista governativa italo-tedesca, il Governo Federale ha ultimato in questi giorni la compilazione di un progetto di accordo di amicizia, commercio e navigazione. Detto progetto si basa sugli analoghi accordi italo-americano e tedesco-americano. Esso, a quanto mi è stato comunicato, regolerebbe anche alcune questioni di stabilimento. Secondo le idee dell’Auswärtiges Amt tale progetto di accordo potrebbe venire rimesso al Ministro degli Esteri italiano in occasione della sua presenza a Bonn, e di esso potrebbe venir fatta menzione nel comunicato finale della visita.

Questioni economiche. Si pensa che esse non dovrebbero formare oggetto di discussione tanto che, mi è stato detto, la Delegazione italiana potrebbe anche non comportare esperti economici. Rilevo a tale proposito che vi è invece da parte nostra interesse ad ottenere una presa di posizione politica che possa modificare a nostro favore l’atteggiamento che i Ministeri tecnici hanno da tempo assunto su varie questioni che a noi interessano, e che appare difficile orientare sul piano amministrativo verso soluzioni a noi favorevoli.

Scambi culturali. Si vorrebbe trarre motivo dalla visita per dare ad essi nuovo impulso e vigore. In particolare dovrebbe venire portato a termine il testo attualmente in fase finale di discussione per l’accordo culturale. Da parte nostra si potrebbe trarre occasione per avanzare le due proposte di cui al mio appunto relativo alle questioni culturali, trasmesso con telespresso n. 12898/1969 del 27 settembre u.s.3.

Stampa. Infine all’Auswärtiges Amt, dove ci si rende conto dello scarso rilievo che gli avvenimenti italiani e l’apporto italiano alla politica mondiale trovano nella stampa tedesca, si pensa che l’argomento dovrebbe far oggetto di scambio di idee, essendo il Governo Federale desideroso di fare quanto è in suo potere per migliorare la situazione in questo settore4.


1 Preparatorio della visita in argomento, con cui Grazzi aveva fornito chiarimenti e precisato gli scopi che la visita avrebbe dovuto avere nelle aspettative tedesche.


2 Vedi D. 80.


3 Con tale telespresso Grazzi aveva riassunto una serie di questioni generali e specifiche dei rapporti italo-tedeschi che avrebbero dovuto essere affrontate in occasione della visita. Per quel che concerneva le questioni culturali, in particolare, egli aveva tra l’altro suggerito di proporre al Governo tedesco la creazione di un Istituto tedesco di studi italiani e l’inserimento dell’insegnamento della lingua italiana nelle scuole medie.


4 Sulla visita a Bonn vedi DD. 113, 117 e 126.

99

IL CONSIGLIERE DELLA RAPPRESENTANZAPRESSO L’O.E.C.E., MACCOTTA,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 16389/300. Parigi, 7 ottobre 1955, ore 19,21 (perv. ore 21,55).

Oggetto: Gruppo lavoro Consiglio.

Mio 2981.

Nicolaides mi ha detto, nelle capitali sino ad ora visitate, il Gruppo del Consiglio per l’energia nucleare ha avuto riunioni delegazioni con i Rappresentanti qualificati dei rispettivi paesi, ottenendone ampie informazioni sui punti indicati nel memorandum trasmesso con telespresso 3055/1655 del 7 luglio scorso2.

Le informazioni così raccolte, pur non impegnando i Governi, sono tali da permettere al Gruppo di formarsi una visione sufficientemente esatta della politica dei paesi in materia energia nucleare. Inoltre, in ciascuna capitale il Gruppo è stato ricevuto, alla fine contatti, da un membro del Governo.

È sino ad ora impressione di Nicolaides che non manchino nel quadro dell’O.E.C.E. possibilità cooperazione effettiva nel settore dell’energia nucleare, senza che ciò interferisca con le iniziative in corso a Bruxelles, che hanno carattere ed ambito territoriale diversi.

D’altra parte, interlocutori svedese e svizzero hanno ribadito a Nicolaides che i loro Governi non sono disposti ad aderire a formule che nascessero da Bruxelles a causa «sottintesi sopranazionali» che, secondo loro, animerebbero quella Conferenza.

Circa data visita, Nicolaides propone, dati altri impegni, che Gruppo giunga a Roma lunedì 17 mattina ed abbia incontri con nostri rappresentanti nel pomeriggio ed in tutta giornata successiva. Pregasi telegrafare benestare3.


1 T. 16268/298 del 6 ottobre, con il quale Maccotta aveva informato che Nicolaides avrebbe iniziato da Roma l’avvio dei contatti con i paesi membri della C.E.C.A. ai fini della preparazione del rapporto da presentare al Consiglio per l’energia nucleare.


2 Non rinvenuto.


3 Cattani rispose (T. 10814/326 del 10 ottobre) comunicando che il Gruppo sarebbe stato ricevuto dal Comitato nazionale per le ricerche nucleari il giorno 19.

100

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 1620/1050. Parigi, 17 ottobre 1955.

Oggetto: Iniziativa di Jean Monnet per la costituzione di un Comitato per gli Stati Uniti d’Europa1. Stampa parigina. Reazioni negli ambienti politici francesi.

Monnet, si sa, non è uomo da rassegnarsi all’inazione; né, tanto meno, può ammettere che si costruisca l’Europa senza di lui o, come insinuano i suoi avversari, nonostante lui. Nessuna meraviglia, quindi, se mentre procede a Bruxelles lo studio dei vari problemi connessi alla realizzazione del programma di Messina, Monnet ritorna clamorosamente alla ribalta per mobilitare partiti e sindacati a favore di questo programma.

Tutti, anche i nemici di Monnet, riconoscono, però, che questa nuova iniziativa europeistica è di portata di gran lunga superiore a quelle intraprese dai vari movimenti che hanno finora, nobilmente ma sconsolatamente, perseguito il grande ideale. I partiti, i cui capi (seppure a titolo personale) hanno dato la loro adesione al nuovo Comitato di azione, hanno raccolto, si fa osservare, nelle ultime elezioni dei rispettivi paesi, la maggioranza dei seggi parlamentari e dei suffragi. I sindacati operai, i cui dirigenti partecipano alla costituzione del Comitato, contano un totale di 10 milioni di iscritti. Se il Comitato saprà assolvere il suo compito essenziale che è quello di realizzare l’unità di azione delle organizzazioni politiche e sindacali per il perseguimento degli obbiettivi europei, la forza di penetrazione della nuova iniziativa e la sua influenza sull’azione dei Governi interessati saranno notevoli.

Nell’impostare il programma per il nuovo Comitato, Monnet ha fatto tesoro, in certo senso, del fallimento della C.E.D.: per superare i contrasti che questa ultima aveva scatenato ed allargare la base delle adesioni, egli ha, realisticamente, posto l’accento sulle istanze economico-sociali dell’europeismo, eliminando «l’ipoteca militare» che gravò sul destino della C.E.D.

Il primo importante risultato di questo rinnovato programma europeo è l’adesione del partito socialdemocratico tedesco. «Per la prima volta gli amici di Ollenhauer accettano di partecipare con quelli di Adenauer ad un’iniziativa comune in materia di politica estera, osserva il “Monde”. È un fatto capitale per la Germania, che avrà delle ripercussioni fuori della Germania».

Anche in Francia l’accoglienza degli ambienti socialisti e, in genere, dei gruppi democratici di sinistra è stata assai favorevole e si riflette nei commenti piuttosto calorosi della stampa. «Populaire», «Franc-Tireur», «Combat» dedicano ampio spazio alla costituzione del Comitato, mettono in rilievo il valore dell’adesione socialista, illustrano i punti del piano Monnet (realizzazione per tappe graduali del programma di Messina con l’istituzione di una Comunità atomica europea e di un Mercato Comune europeo; attribuzione alla C.E.C.A. dei poteri necessari per lo sviluppo di un’azione sul piano sociale) che legittimano pienamente quest’adesione. In particolare, si fa notare come la collaborazione della S.F.I.O., del Partito socialdemocratico tedesco e dei sindacati socialisti elimina la prospettiva di un’«Europa clericale» che per il passato aveva suscitato la diffidenza di certi ambienti socialisti e radicali contro le iniziative europeistiche.

Il deciso orientamento a sinistra che Monnet ha seguito nella scelta del Comitato di azione dimostra, inoltre, che il nuovo movimento europeo sarà ispirato alle esigenze di una moderna politica sociale. «Il socialismo europeo è deciso a giocare un ruolo propulsivo nel rilancio dell’Europa», ha dichiarato Guy Mollet al «Monde», «Cedisti e anti-cedisti, commenta con entusiasmo “Franc-Tireur”, hanno ritrovato l’unità per costruire economicamente l’Europa e indirizzarla verso la democrazia sociale. Finalmente, unita nell’azione, la sinistra europea è chiamata a svolgere una funzione decisiva nella battaglia che si sta per sostenere per un vero rilancio dell’Europa».

Naturalmente, a commenti tanto «lirici» non si abbandona la stampa di destra la quale, in genere, non dà molto rilievo all’evento. Un violento attacco di «Information» rivela, peraltro, le apprensioni degli ambienti industriali e finanziari che sostengono il giornale e che, certo, non si sentono di condividere i nuovi progetti di Monnet. Tuttavia anche negli ambienti di destra si riconosce il maggior realismo su cui è impostato il nuovo programma europeo e l’importanza e il numero delle adesioni che ne dovrebbero assicurare il successo. Del nuovo spirito di concretezza che anima l’iniziativa è, del resto, prova, secondo alcuni giornali d’informazione, l’intenzione di Monnet di promuovere la stretta collaborazione con la Gran Bretagna per l’esecuzione dei nuovi piani d’integrazione europea.

In un interessante commento, Roger Massip si sofferma sul «Figaro» sulle ripercussioni favorevoli che il nuovo piano Monnet avrà per l’accettazione dello Statuto europeo nel referendum sarrese: «gli avversari dello Statuto europeo in Sarre, scrive Massip, affermano che l’idea europea è morta e che il regime proposto per il loro paese è già anacronistico. Il nuovo piano Monnet infliggerà loro una smentita tanto più netta in quanto, raccogliendo l’adesione dei socialisti e dei sindacati tedeschi, imprime un nuovo slancio al rilancio dell’Europa».

Tuttavia, di fronte all’euforia generale, negli stessi ambienti favorevoli ai programmi di integrazione europea si avanzano alcune riserve. Vi è, ad esempio, chi si domanda se la forza che al nuovo movimento si ritiene derivi dall’adesione di correnti fino a ieri in contrasto fra di loro, non costituirà, a lungo andare, la vera sua debolezza. La partecipazione di gruppi ed ambienti di netta tendenza neutralista, la stessa pubblicità che giornali come il «Monde» e «Combat» stanno dando all’iniziativa dimostrerebbero che le idee non sono sufficientemente chiare e che sotto la formula dell’europeismo si vorrebbe conciliare quello che politicamente appare inconciliabile. Di europeismo vi sono varie forme: vi è quello della terza forza e della «equidistanza», che dovrebbe servire da giustificazione al neutralismo; vi è quello filo-atlantico, che considera la costruzione dell’Europa in funzione della difesa comune contro il blocco comunista e della necessità di potenziare, ed anche valorizzare, 1’apporto dei paesi dell’Europa Occidentale a questa difesa. Si ha un bel dire che nel superamento della C.E.D. si può realizzare «l’union sacrée» degli europeisti; sta di fatto che la C.E.D. pose apertamente sul tappeto dei problemi (politici ed anche militari) che, se si vuol attuare seriamente l’unità europea, finiranno prima o poi col ripresentarsi e che peseranno sul destino della nuova organizzazione lanciata da Monnet. È possibile che Ollenhauer, deciso avversario del riarmo tedesco, vada sempre d’accordo con Guy Mollet, partigiano invece di questo riarmo, o che l’azione concreta di Monnet soddisfi i repubblicani popolari francesi e riscuota nello stesso tempo il consenso di quanti oggi, attraverso il giornale di Beuve-Méry, plaudono al nuovo europeismo? Il successo del piano Monnet rispetto ai precedenti tentativi europeistici sarebbe, dopo tutto, assicurato, secondo queste critiche, dal perpetuarsi di un equivoco: se l’equivoco viene chiarito, in un senso o nell’altro, sfuma l’entusiasmo di una buona parte degli aderenti e, quindi, il loro stesso appoggio.

Tali critiche vengono dai sostenitori del piano Monnet confutate con l’argomento che se l’idea centrale da realizzare è la costruzione dell’Europa, è per questa idea che si devono mobilitare le forze politiche e sindacali e risvegliare l’opinione pubblica. Tutti sono d’accordo che l’integrazione europea deve attuarsi per tappe graduali e che la tappa meno difficile è quella economica, specie per quanto riguarda un’organizzazione comune in campo nucleare. Non si può rinunciare a perseguire assieme il programma minimo solo perché vi sarebbero dissensi nella realizzazione, ancora purtroppo lontana, del programma massimo. Preoccuparsi sin d’ora della funzione che l’Europa unificata dovrebbe avere nei confronti delle relazioni fra Est e Ovest significa frapporre degli ostacoli non necessari allo stesso processo iniziale di unificazione.

A parte queste polemiche che dimostrano, in ogni caso, la vitalità dell’idea e l’interesse che il nuovo programma ha destato in questi ambienti, è generale l’opinione che un successo del piano Monnet avrebbe notevoli ripercussioni sullo scacchiere politico francese e sulle relazioni fra i vari partiti. Si comincia già a prospettare la possibilità che attraverso il sistema degli apparentamenti, venga a costituirsi con le prossime elezioni una vera e propria «maggioranza europea», che raggruppi tutte le forze politiche che aderiscono all’iniziativa Monnet e sia capace di fronteggiare stabilmente in Parlamento l’opposizione comunista e nazionalista. Le previsioni si spingono al punto da attribuire a Christian Pineau più «chances» di quanto non ne ebbe nello scorso febbraio per la formazione di un Gabinetto «europeista», da lui presieduto e sostenuto da quella maggioranza.

Si tratta di ipotesi azzardate o di aspirazioni ambiziose, ancora non giustificate dalla realtà, e contro le quali sarebbe, comunque, facile obbiettare che l’eventuale maggioranza europea, risultante dall’unione di gruppi che concepiscono l’europeismo in maniera differente, sarebbe altrettanto eterogenea quanto qualsiasi maggioranza attuale e non sfuggirebbe, pertanto, ai contrasti interni e alla corrosione del «trasformismo» di moda.

Una conseguenza immediata del successo del piano Monnet potrebbe essere, invece, l’isolamento del partito comunista e il fallimento definitivo dei tentativi in corso (specie per opera della sinistra radicale) per la ricostruzione di un fronte popolare. Vi sarebbe sempre l’incognita, davanti a un’alleanza elettorale sottoscritta dal Comitato centrale della S.F.I.O. con gli altri partiti europeistici, dell’atteggiamento delle Federazioni provinciali socialiste in cui, come si è già segnalato, si nota da tempo una certa tendenza, alimentata dal cosiddetto «spirito di Ginevra», a apparentarsi con i comunisti. Comunque, il pericolo dell’isolamento per questi ultimi esiste, tanto è vero che la loro stampa («Humanité» e «Libération») l’ha subito avvertito, criticando aspramente sotto questo profilo il piano Monnet. Per «Humanité», infatti, «con la nuova iniziativa si tratta, in sostanza, di risuscitare sotto la bandiera degli Stati Uniti d’Europa gli apparentamenti per le prossime elezioni. Si tratta, innanzi tutto, di rinsaldare l’alleanza tra il partito socialista e l’M.R.P., partito tipico della reazione, cioè di lanciare un uomo come Pinay, che sarebbe anche lui un apparentato».

È da domandarsi quali sono state le reazioni degli ambienti ufficiali e fino a che punto il programma di Monnet può conciliarsi con le direttive finora seguite dalla politica francese in materia di integrazione economica europea. Per quanto concerne il Mercato Comune si sa che queste direttive, con tutta la buona volontà che la Francia vuol dimostrare a Bruxelles, sono condizionate ad ostacoli di natura obbiettiva (diversità di «strutture» produttive, di sistemi fiscali e sociali) che non possono purtroppo superarsi immediatamente. Per quanto concerne la cooperazione atomica che, secondo il programma di Monnet (confermato, del resto, dalle dichiarazioni di Monnet al «Monde»), dovrebbe essere il primo obbiettivo da raggiungere, la Francia, in conformità ai criteri fissati da Palewski e dal Commissariato per l’energia atomica, ha sostenuto finora la tesi dell’autonomia dei singoli programmi nazionali e della costituzione di una «Agence» atomica europea, con poteri limitati alla realizzazione di programmi sperimentali e industriali comuni ed all’acquisto ed alla distribuzione delle materie prime.

Per contro Monnet (chi non lo sa?) è per un’organizzazione superstatale che assuma il controllo e la direzione di tutte le iniziative del settore economico in cui si effettua la cooperazione; nella sua lettera-programma, inviata ai Capi di partito ed ai sindacati, egli accenna espressamente, del resto, alla necessità che gli Stati deleghino certi loro poteri ad appropriate «istituzioni federali». Per accettare i criteri sostenuti da Monnet, il Governo francese dovrebbe, quindi, rivedere l’impostazione data finora alla sua politica di cooperazione atomica, così come è stata presentata a Bruxelles. Non è forse una mera coincidenza che Monnet, per lanciare il suo programma per la comunità atomica europea, abbia aspettato le dimissioni di Palewski e degli altri Ministri gollisti che, nel Gabinetto francese, costituivano il principale ostacolo alla realizzazione dei piani di «europeismo integrale». Dato che il nuovo Ministro che si occuperà delle questioni atomiche non è stato ancora designato (si parla di July, ma la conferma non è ancora avvenuta) e dato, anzi, che il pericolo di crisi dell’intero Governo non è stato ancora scongiurato, una previsione non è ancora possibile circa la tesi (favorevole o contraria all’autorità superstatale) che prevarrà con il successore di Palewski. Non v’è dubbio, in ogni caso, che il settore atomico sarebbe sottoposto ad un’«Agence» specializzata poiché tutti, René Mayer per primo, sono d’accordo che in tale settore un’estensione dei poteri della C.E.C.A. non è da prendere neanche in considerazione.

All’ufficio competente del Quai parlano con simpatia dell’iniziativa Monnet. La parola d’ordine del Quai è oggi: «collaborazione sincera alla realizzazione del programma di Messina, graduale europeismo»; due punti che, nella loro enunciazione generica, coincidono con le direttive tracciate da Monnet al suo Comitato di azione (è noto che Pinay tiene ad attribuirsi il merito del «rilancio dell’Europa» su basi più realistiche, e che peraltro sta attraversando un periodo di perfetto idillio coi Ministri e i dirigenti dell’M.R.P.).

Ma il programma di Messina può attuarsi in forme diverse e si sa che, per quanto concerne l’elaborazione di piani precisi che definiscano, tra l’altro, i programmi comuni da realizzare e i poteri dell’«Agence» atomica, l’influenza che esercita il Quai è molto relativa: finora esso si è limitato a dare un crisma formale e un colorito europeistico ai progetti elaborati dall’Alto Commissariato e presentati da Palewski al Gabinetto.

Sarebbe interessante sentire, perciò, le reazioni del Commissariato all’iniziativa di Monnet; e, al riguardo, mi riservo di riferire in un prossimo telespresso2.


1 Dopo aver lasciato la presidenza dell’Alta Autorità della C.E.C.A., tra il luglio e l’ottobre del 1955, Jean Monnet aveva dato avvio all’iniziativa destinata a creare il Comitato d’Azione per gli Stati Uniti d’Europa, un gruppo di pressione composto da uomini politici, sindacalisti, ecc. di vari paesi europei.


2 Vedi D. 104.

101

IL CAPO DELL’UFFICIO IVDELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

Telespr. 44/157351. Roma, 22 ottobre 1955.

Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.

COMMISSIONE MERCATO COMUNE

Circa i lavori della Commissione per il Mercato Comune la Delegazione italiana al Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina ha riferito in data 23 settembre quanto segue:

«Si trasmette per opportuna conoscenza, il documento di lavoro n. 264 in merito ai problemi relativi al mantenimento dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti per i paesi partecipanti al Mercato Comune.

Il documento suddetto è stato redatto sulla base delle prime discussioni intervenute e deve formare oggetto di ulteriore esame, inoltre dovrà essere emendato in alcuni punti che non rispecchiano esattamente la posizione assunta da alcune Delegazioni nel corso delle riunioni.

La Commissione ha riconosciuto che l’equilibrio della bilancia dei pagamenti dei paesi partecipanti è condizione essenziale per la creazione e la conservazione del Mercato Comune, ma che potrebbero sorgere delle difficoltà per il mantenimento dell’equilibrio stesso, sia in conseguenza della creazione del Mercato Comune, sia a causa delle modifiche delle correnti di scambio che potrebbero sopravvenire nelle relazioni economiche con i paesi terzi. Pertanto i paesi partecipanti al Mercato Comune, pur adottando, come principio generale, l’obbligo di praticare una politica intesa a mantenere l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, dovranno, ad avviso della Commissione, approfondire quali siano i mezzi mediante i quali sia possibile mantenere l’equilibrio. Ciò comporta lo studio della tecnica monetaria e finanziaria da seguire e delle istituzioni che dovranno presiedere al coordinamento ed all’adozione dei mezzi d’armonizzazione che verranno ritenuti necessari.

Il documento di cui trattasi, a pag. 3, punto 5, non sottolinea sufficientemente l’atteggiamento di alcune Delegazioni in merito alla “irreversibilità del Mercato Comune” una volta che questo sia stato raggiunto. Infatti mentre la Delegazione belga ha fermamente sostenuto tale principio, altre Delegazioni fra cui la nostra, si sono mostrate assai perplesse circa l’adozione del principio dell’irreversibilità e non hanno escluso la possibilità, una volta raggiunto il Mercato Comune, di dover nuovamente ricorrere, nel quadro dei sistemi di salvaguardia, alle restrizioni quantitative. D’altra parte tale punto è stato più ampiamente discusso durante l’esame delle clausole di salvaguardia per cui riferisco con telespresso a parte.

Il primo mezzo a cui uno Stato potrebbe ricorrere per eliminare il proprio squilibrio della bilancia dei pagamenti sarebbe quello dell’aggiustamento del tasso di cambio. Ma ciò comporterebbe una svalutazione, le cui conseguenze non sono facilmente prevedibili e potrebbero comportare un grave perturbamento non solo nello Stato colpito dallo squilibrio ma anche negli altri Stati associati. Pertanto, pur non escludendo che si possa in taluni casi, ricorrere a tale drastico mezzo, occorrerà, possibilmente, agire attraverso altri interventi come: nella politica del credito, nella politica dei salari, o mediante mezzi fiscali. Inoltre la Commissione ha riconosciuto il principio che gli Stati associati dovranno dare il loro concorso allo Stato che si trova in difficoltà e ciò potrà venire mediante:

a) crediti a breve termine;

b) aumento delle importazioni;

c) intervento del Fondo d’investimenti.

Tutto ciò presuppone però la creazione di un meccanismo di armonizzazione pienamente efficace, e che preveda le difficoltà che possano sorgere e, nello stesso tempo, assicurare la possibilità di adottare i mezzi necessari ad eliminarle.

Quasi tutte le Delegazioni hanno messo l’accento sulla necessità di un tale meccanismo. Secondo un primo scambio di idee, esso dovrebbe essere così costituito: un “organo di carattere permanente” con alle sue dipendenze un “comitato consultivo”, composto di funzionari competenti, un “comitato dei Governatori delle banche centrali degli Stati associati” ed un “comitato ministeriale”.

Tale organo dovrebbe procedere ad un esame continuativo della situazione monetaria degli Stati partecipanti ed avrebbe il potere di rivolgere raccomandazioni agli Stati stessi ed, in taluni casi, di prendere decisioni obbligatorie. Circa quest’ultima facoltà alcuni esperti hanno già formulato delle riserve. È evidente, comunque, che tale soluzione “istituzionale” andrà riveduta alla luce delle risultanze finali dei lavori, definita in maniera unitaria e complessiva.

Si fa infine presente che il Segretariato, nel redigere il rapporto, non ha fatto cenno alla posizione assunta da alcune Delegazioni in merito al mantenimento dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti nel periodo transitorio e come per alcuni Stati possa essere necessario, prima di arrivare al Mercato Comune, ricorrere a particolari clausole di salvaguardia quando la loro situazione economica faccia prevedere difficile, se non impossibile, il raggiungimento dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti».

E in data 26 settembre quanto segue:

«I giorni 20 e 21 settembre, la Commissione ha affrontato il problema delle configurazione da dare all’istituto della salvaguardia. Tale istituto sorge dalla previsione che non sarà sempre possibile che le riduzioni graduali delle difese della produzione, richieste dalla formazione del mercato comune, possano riprodurre quei meccanismi di adeguamento spontaneo, come pure che l’azione condotta per una contemporanea armonizzazione e reciproca coordinazione delle varie economie possa essere sempre sufficiente.

L’opinione prevalente della Commissione è stata che un tale istituto doveva essere considerato nel quadro e in funzione dell’azione di armonizzazione delle economie e che perciò il ricorso ad esso doveva essere temporaneo ed eccezionale ed essere riservato quindi a quei soli casi per i quali tale azione si fosse rivelata inadeguata. Inoltre che il ricorso alla deroga poteva essere ammesso non solo per rimediare ma anche per prevenire degli squilibri come pure per permettere di correggere (specie all’inizio del processo di formazione del mercato comune) situazioni difficili preesistenti.

Si sono distinti, poi, i casi, in cui un paese può essere costretto ad invocare una deroga, in quelli di carattere particolare, riguardanti un settore produttivo od una regione ed in quelli di carattere generale attinenti alla bilancia di pagamenti ed inoltre se tali casi si producono nel periodo transitorio della formazione, cioè, dell’unione doganale od in quello in cui l’unione è già formata.

a) Per quanto riguarda gli squilibri produttivi in un settore o in una regione si è ammesso che, nel periodo transitorio, si poteva fare ricorso alla clausola di salvaguardia che permettesse di sospendere il processo di riduzione sia dei dazi che dei contingenti. Però, mentre da parte olandese, tedesca e belga si è accettato solo il principio della sospensione della riduzione dei dazi dei contingenti, da parte italiana, invece, si è fatto presente che, per casi gravi, non si poteva escludere anche la necessità della reintroduzione delle restrizioni quantitative qualora queste fossero state, in precedenza, eliminate.

Per il periodo definitivo, la maggioranza delle Delegazioni si è dimostrata della convinzione che non era più concepibile a quello stadio un ricorso a tale clausola la quale comportava la reintroduzione di dazi e di contingenti già scomparsi.

Se una tale eventualità fosse permessa, il mercato comune già formato ne risulterebbe pregiudicato. Interventi per proteggere un dato settore od una data regione potevano essere necessari ma questi avrebbero dovuto essere realizzati adottando, mediante un’azione solidale dei paesi partecipanti, altre misure.

Da parte della Delegazione italiana si è dichiarato che, pur condividendo lo spirito che animava le altre Delegazioni, la reintroduzione di restrizioni quantitative poteva, a suo giudizio, rivelarsi necessaria qualora, esperite tutte le altre formule di collaborazione, queste non avessero potuto dare il risultato preconizzato.

b) Per quanto riguarda gli squilibri della bilancia dei pagamenti di un paese partecipante, gli esperti belgi e tedeschi ritengono che questi devono essere affrontati dall’azione congiunta di tutti i paesi formanti il mercato comune, nel quadro del processo di armonizzazione economica e finanziaria che dovrà essere condotta a tale scopo. Tuttavia essi, insieme a quelli delle altre Delegazioni, ammettono che, nel periodo transitorio, un paese possa, in casi gravi, mantenere o reintrodurre per un periodo di tempo limitato restrizioni quantitative per le importazioni provenienti dai paesi della comunità.

Per il periodo definitivo, invece, i belgi e i tedeschi escludono che per fronteggiare uno squilibrio nella bilancia dei pagamenti di un paese si debba far ricorso alla reintroduzione nel commercio fra i paesi partecipanti sia dei dazi che dei contingenti, dato che questi non farebbero che interrompere lo sviluppo della integrazione delle economie dei sei paesi. L’azione congiunta e solidale nei riguardi del paese che attraversa una congiuntura meno favorevole sembra il mezzo più appropriato.

Gli esperti italiani e olandesi invece, non escludono che in casi gravi di deficit crescenti della bilancia dei pagamenti si possa determinare la necessità di fare ricorso alla clausola di salvaguardia per poter reintrodurre provvisoriamente delle restrizioni quantitative.

Riassumendo: l’opinione generale si è rivelata favorevole a che prima di far ricorso alle deroghe consentite dalle clausole di salvaguardia si debbano esperire tutti gli altri mezzi che la solidarietà fra i paesi della futura comunità può offrire.

La divergenza consiste nel fatto che da parte di qualche Delegazione si tiene a non impedire che nei casi più gravi si possa far ricorso alla reintroduzione di restrizioni quantitative (Delegazione italiana ed olandese nel caso di squilibrio della bilancia di pagamenti; Delegazione italiana, nel caso di una regione o di un settore da riequilibrare) qualora non si siano raggiunti risultati soddisfacenti nell’esperire gli altri mezzi di collaborazione. Naturalmente la reintroduzione delle restrizioni quantitative è legata all’osservanza della procedura che verrà stabilita nella deroga.

Per evitare che di un tale istituto venga fatto un uso eccessivo ed improprio, la Commissione si è dichiarata d’accordo che il futuro trattato doveva indicare i limiti che avrebbero dovuto essere rispettati dai paesi partecipanti. Essi si possono così riassumere:

1) esistenza o minaccia di danni fondamentali e persistenti;

2) obbligo da parte del paese interessato di presentare un piano in cui devono essere indicate le misure che intende prendere per correggere le cause che hanno motivato la deroga richiesta;

3) approvazione da parte degli altri paesi della deroga;

4) fissazione del limite di tempo per cui la deroga è concessa».

Il 23 settembre è stato pubblicato il documento n. 276 che reca alcune proposte di emendamento al documento 245 relativo al problema delle distorsioni.

Nella riunione del 29 settembre si è discusso in seno alla Commissione per il mercato comune il problema istituzionale. Alcuni Delegati hanno premesso di esprimersi a titolo personale: ciò che era quanto mai vero nel caso del Delegato italiano e probabilmente di quello francese, quasi certamente no nel caso degli altri i quali hanno pronunciato elaborati interventi.

In merito la Delegazione italiana in data 30 settembre ha riferito quanto segue:

«Un primo elemento emerso dalla discussione è che quasi nessuno ama affidare decisioni in materia di mercato comune a maggioranze semplici o qualificate, salvo in casi procedurali e comunque ben specificati. In difetto di autorità sopranazionale le preferenze vanno all’unanimità o, come per il Benelux, a una combinazione delle due. Anche i metodi giurisdizionali, come il ricorso all’arbitrato, hanno i loro fautori per casi particolari.

I Delegati del Benelux hanno con varie graduazioni tentato di conciliare il mantenimento di sovranità nazionali in certi campi con instaurazione di organi sopranazionali in altri. Quanto al Delegato italiano egli ha delineato a titolo strettamente personale un sistema che movendo da quello classico tipo O.E.C.E. introduce fra Consiglio di Ministri e complesso Segretariato-Comitati un organo collegiale permanente formato da poche alte personalità indipendenti, con funzioni di conciliazione, propulsione, consiglio ed eventualmente arbitrato: ad esso man mano andrebbero delegati più vasti poteri, anche di decisione. Tale concezione, non lontana da quella esposta dall’Ambasciatore Cavalletti nel suo rapporto del 9 agosto2, è risultata corrispondente quasi in tutto alla tesi formulata con ricchezza di particolari dal Delegato tedesco.

Questa tesi per così dire italo-tedesca è stata accolta con vivo interesse dai francesi, con simpatia dagli inglesi, con riserbo dal Benelux, con disappunto dai rappresentanti dell’Alta Autorità. Si suggerisce che essa formi oggetto di attento studio nella versione tedesca della quale sarà rimesso un largo sunto, e che mi sembra possa ad un certo momento fornire un terreno di incontro, se si deciderà di lasciare alla forza stessa delle cose di imporre col tempo alle opinioni pubbliche e parlamentari l’inevitabile passaggio a forme sopranazionali; e altresì avere il vantaggio di non fornire agli inglesi un troppo facile pretesto ideologico per motivare il loro rifiuto di partecipare alla costruzione europea».

La posizione assunta dalle varie Delegazioni in materia istituzionale è stata raccolta ed illustrata nel documento n. 313 pubblicato il 7 ottobre 1955.

Sempre in materia di mercato comune la Delegazione italiana ha riferito in data 24 settembre che secondo informazioni raccolte nell’ambiente della Conferenza, alcuni alti funzionari francesi hanno predisposto un «progetto di istruzioni» nel quale vengono fissati, per le principali questioni, il limite massimo cui il Governo francese ritiene di potersi spingere e ciò che esso intenderebbe assicurarsi per dare la sua adesione eventuale al trattato per il mercato comune.

Alcuni aspetti di tale progetto non sarebbero nemmeno troppo restrittivi; i francesi accetterebbero per esempio il sistema tedesco (già Pflimlin) di riduzioni tariffarie per settori purché i settori fossero numerosi. Le richieste francesi in materia di armonizzazione delle politiche monetarie e sociali sarebbero invece più rigide.

Il progetto costituirebbe comunque un insieme unitario e verrebbe presentato come base organica di discussione.

In un rapporto del 30 settembre la Delegazione ha riferito che:

«Il Delegato francese ha confermato al Dott. Di Falco di sperare che il progetto di cui sopra, già approvato di massima da Pflimlin, sia sottoposto da Pinay al Consiglio dei Ministri entro la prima metà di ottobre. Qualora ciò avvenisse la posizione francese sarà esposta da Gaillard al Comitato Direttivo il 21 ottobre. Tesi fondamentale del documento è che, pur ammettendo la opportunità di un piano generico per la realizzazione progressiva del mercato comune entro il periodo di tempo prestabilito in linea di massima, sarebbe irreale ed astratto fare delle previsioni precise sul ritmo di attuazione dall’inizio sino alla fine delle diverse misure richieste. Più realistico dal punto di vista tecnico economico e più presentabile all’opinione pubblica ed ad ogni particolare sarebbe un programma basato sull’impegno di applicare certe misure nei diversi settori per singole tappe di durata limitata, ad esempio tre o quattro anni; tale programma essendo suscettibile di revisione e riaggiustamento nelle tappe successive sulla base dell’esperienza fatta. I francesi sostengono che è nell’interesse comune di mettere in moto un processo e in piedi un’organizzazione che non abbia rigide caratteristiche per lunghi periodi, ma siano dotati di adeguata elasticità per adattarsi alle contingenze economiche e politiche.

Altra tesi fondamentale è che l’armonizzazione delle politiche economiche e sopratutto di quelle sociali debba costituire fin dall’inizio un elemento essenziale del processo di attuazione del mercato comune.

Questa è la formula di cui i francesi attualmente si servono per sfuggire all’accusa di voler imporre condizioni preliminari. L’accordo in materia di salari, sicurezza sociale ecc. dovrebbe cioè essere parte integrante del trattato sul mercato comune con applicazione progressiva sin dall’inizio».

La Commissione del mercato comune ha finito i suoi lavori il 13 ottobre. Il rapporto finale è stato approvato senza tuttavia che vi sia stata una accurata revisione ed un ulteriore approfondimento dei problemi in esso contenuti.

Si rimettono per i Dicasteri più direttamente interessati le copie dei documenti citati più sopra e si fa riserva di rimettere, non appena possibile, copia del rapporto finale.


1 Trasmesso agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.


2 Non rinvenuto.

102

IL CAPO DELL’UFFICIO IVDELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

Telespr. 44/171051. Roma, 17 novembre 1955.

Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.

MERCATO COMUNE

Si trascrive per opportuna conoscenza ed informazione quanto ha riferito in data 9 novembre il Presidente della Delegazione italiana presso il Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina, On. Lodovico Benvenuti, circa l’argomento in oggetto:

«In un breve amichevole colloquio ho illustrato a Spaak i punti fondamentali sui quali l’Italia intende battersi in tema di Mercato Comune. Devo dire subito che le reazioni del mio interlocutore sono state in complesso positive.

Ho premesso che la nuova proposta Spaak-Uri relativa al metodo delle riduzioni tariffarie ha trovato in linea di massima favorevole accoglienza da parte dei nostri tecnici; ho aggiunto che l’Italia sarà sempre attivamente “collaborativa” per realizzare il rispetto integrale delle norme di concorrenza; che anche il problema delle tariffe esterne ci trovava disposti a soluzioni ragionevoli.

Ho rilevato anche che i tre punti del memorandum francese relativi alle convenzioni di lavoro presentavano delle difficoltà ma che essi non avrebbero tuttavia costituito per noi dei punti di “rottura” salvo ad evitare artificiosi aumenti dei costi di produzione.

Ho spiegato infine che in materia agricola, da trattarsi nel quadro del Mercato Comune e non separatamente, taluni aiuti e protezioni avrebbero necessariamente dovuto essere mantenuti e ciò per un periodo da determinarsi sulla base dell’esperienza di alcuni anni.

A questa prima parte del mio esposto Spaak rispose:

a) mostrando una certa propensione a non abbattere le tariffe esterne sostenendo, in polemica con gli olandesi, che la caduta dei costi interni come conseguenza dell’applicazione del Mercato Comune, avrebbe consentito senza inconvenienti una tariffa esterna relativamente alta;

b) che le questioni “sociali” impostate dai francesi col problema delle distorsioni non lo persuadevano interamente e che egli già aveva fatto presente il diritto di altri paesi a presentare a loro volta in compensazione le loro eventuali distorsioni (per esempio: imponibili di mano d’opera ecc.), e che per quanto concerne l’agricoltura gli pareva giusta la nostra esigenza di non enucleare il settore dal Mercato Comune e quindi dal gioco delle contropartite.

Dopo di che Spaak mi ha invitato a esporre i punti più “duri”, alcuni dei quali – feci presente – sono per noi “punti di rottura”.

Ossia:

a) Coordinazione monetaria e creditizia. Su di essa Spaak si è detto d’accordo aggiungendo che sarebbe stato bene se nel frattempo i paesi rispettassero l’accordo di Bretton Wood, richiamando al riguardo il caso della sterlina. Ho risposto che l’autonomia, anzi l’autarchia in materia monetaria potrebbe avere conseguenze in ben altra direzione nel corso del processo di creazione del Mercato Comune. Su questo argomento Spaak si è riservato di inviarci un ulteriore documento.

b) Emigrazione. Spaak è rimasto impressionato dalla cifra modesta (20.000 unità all’anno) della nostra emigrazione stabile in Europa. Si è dichiarato d’accordo sull’aumento sin dall’inizio del decennio per due ordini di ragioni. Anzitutto per il fatto che non si tratta di cifre favolose ed in secondo luogo per il motivo che il Piano Vanoni prevede un andamento demografico nel decennio che, verso la fine, renderà meno acuto il nostro problema della mano d’opera. Ha però aggiunto che, a suo avviso, l’ostacolo per una immediata, massiccia immigrazione italiana risiedeva nell’effetto depressivo che essa avrebbe potuto esercitare sui salari con vantaggio del padronato, effetto peraltro attenuato dall’azione dei sindacati e dalle convenzioni collettive. Secondo Spaak – per tranquillizzare i sindacati dei paesi di immigrazione – occorrerebbero delle clausole di salvaguardia operanti solo nel caso di “troubles” ribassisti sui salari. Ho replicato che la questione può essere studiata, restando in ogni caso escluse eventuali clausole di salvaguardia che contemplassero il diritto di respingere in patria i lavoratori già regolarmente emigrati.

c) Abolizione delle restrizioni quantitative. Ho dichiarato che era assolutamente impensabile che l’Italia potesse anche solo ritoccare le sue tariffe all’inizio del processo di integrazione se contemporaneamente non si fosse proceduto ad una ulteriore e concreta tappa di “liberazione” dei contingenti. Riprendendo la discussione della sera prima ho mostrato al mio interlocutore le tabelle dell’O.E.C.E. riguardanti il commercio di Stato (Francia 34%) ed ho ricordato che un progetto serio di liberazione graduale avrebbe “ab initio” dovuto considerare come contingentate le merci sottoposte al commercio di Stato. Spaak ha aderito in linea di principio, richiamando in materia la proposta Uri di allargamento dei contingenti.

d) Zone depresse e piano di sviluppo. Ho infine sollevato in pieno il problema particolare dell’Italia, delle sue zone depresse e del piano di sviluppo. È questo il punto sul quale il consenso di Spaak è stato particolarmente caloroso e senza riserve. Ho fatto presente che l’Italia intende affrontare la rinascita del Mezzogiorno depresso senza ricorrere al tipico mezzo tecnico d’altri tempi, ossia alla protezione; che non solo essa non chiede protezioni per l’incipiente industrializzazione meridionale, ma che anzi è disposta ad abbassare le sue tariffe. Ho ricordato che la più sicura e necessaria conseguenza dell’industrializzazione e di una politica anti-depressione consiste nell’aumento delle importazioni. I nostri “partners” avranno quindi il vantaggio di un sempre più largo ed aperto mercato italiano. Ciò vale ampiamente lo sforzo che chiediamo alla comunità, ossia prestiti non “grants”, ma prestiti sicuri, in misura cospicua, ai quali deve corrispondere un cospicuo fondo europeo di investimenti. Ho accennato, come ordine di cifre, al fondo monetario europeo. Spaak mi ha dichiarato che se è sempre stato restio ed avaro in sede O.N.U. in materia di contributi alle zone depresse, ciò ha fatto col “background” di riservare tutte le forze politiche ed economiche europee alla comunità europea, alle sue zone depresse ed in particolare all’Italia. Ha aggiunto che oggi occorre far comprendere a tutti che il problema del “piano italiano” non interessa solo l’Italia, ma l’Europa intera e che lo sforzo che ciascun paese sarà chiamato a fare lo farà anche nell’interesse proprio.

Concludendo Spaak si è mostrato preoccupato per gli sviluppi psicologici della situazione tedesca: il recente atteggiamento tedesco in materia nucleare denuncia un rincrudimento di pressioni autarchiche con tutte le conseguenze relative.

Bisogna quindi – ha concluso Spaak – fare l’Europa e subito».


1 Trasmesso agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.

103

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E, VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato urgente 0020. Parigi, 18 novembre 1955.

Oggetto: Gruppo di lavoro del Consiglio sull’energia nucleare: contatti con le Autorità tedesche.

Riferimento: Telespresso urgente di questa Rappresentanza n. 0017 del 4 novembre 19551.

Riassumo di seguito le informazioni direttamente fornitemi circa i contatti avuti dal Gruppo di lavoro sull’energia nucleare a Bonn con i Rappresentanti del Governo tedesco e con quelli dell’industria privata.

I. CONVERSAZIONI CON I RAPPRESENTANTI DEL GOVERNO TEDESCO

Con i Rappresentanti del Governo non è stata trattata la maggior parte dei problemi tecnici che sono stati invece oggetto di conversazioni con i Rappresentanti dell’industria.

Sono stati discussi i seguenti problemi tecnici:

1. Scambi. Secondo i tedeschi, essendo il settore dell’energia nucleare un settore nuovo, dovrebbe essere facile evitare distorsioni e protezionismi.

2. Legislazione. Le Autorità tedesche sono in favore di un’armonizzazione delle legislazioni nazionali concernenti la sicurezza. Ciò è soprattutto importante per quel che concerne i materiali radioattivi. È stato dichiarato che la legislazione dovrebbe coprire tanto il campo dell’energia nucleare che quello della sicurezza. In Germania si sta per ora preparando una legge concernente l’energia nucleare.

3. Questioni finanziarie. Secondo le Autorità tedesche il finanziamento della ricerca generale dovrebbe essere di competenza dello Stato. Al finanziamento della ricerca applicata, invece, dovrebbe partecipare anche l’industria privata. Per quanto riguarda la creazione di un fondo comune di ricerca, le Autorità tedesche ritengono che ciò sarà inevitabile. Ugualmente, sarà necessario costituire un’organizzazione comune centrale per la collaborazione nel settore dell’energia nucleare.

4. Problemi istituzionali. I membri del Gruppo di lavoro hanno avuto un ampio scambio di idee con i Rappresentanti del Governo tedesco sui problemi istituzionali. Da quanto segue, appare chiaro che il Governo tedesco ha un punto di vista diverso da quello manifestato dai Rappresentanti dell’industria privata (v. parte II). Il Sig. Ophuels, premesso che il lavoro dell’O.E.C.E. in questo settore non debba essere ostacolato da iniziative regionali più ristrette, ha confermato che l’integrazione dei sei paesi C.E.C.A. può essere inserita nel quadro più vasto dei diciassette paesi O.E.C.E. Vi sono tuttavia vantaggi e svantaggi in ognuno dei due metodi di lavoro. Il sistema adottato a Bruxelles avrebbe portato ad un’integrazione più stretta. D’altra parte, il metodo O.E.C.E. ha parecchi vantaggi, in quanto la soluzione del problema dell’energia nucleare non è legata ad altri problemi e non è richiesta la ratifica per iniziative in questo settore. Il problema è ancora allo studio. Egli ha dichiarato di aver ricevuto istruzioni dal Governo tedesco di non fare opposizione alla trasmissione del rapporto della Commissione dell’energia nucleare al Comitato Direttivo, ma di riservare la posizione del suo Governo tanto al livello tecnico che su quello politico. Il Dr. Ophuels si è dichiarato d’accordo con il Gruppo, in particolare per quanto concerne la possibilità di servirsi dell’O.E.C.E. come una piattaforma per la collaborazione tra i Sei e i Diciassette. Egli ha inoltre sottolineato che l’iniziativa presa a Bruxelles non ha un carattere dirigista. Infatti, si può creare un’Autorità supranazionale senza necessariamente svolgere un’azione di carattere dirigista. Il Dr. Dahlgrum ha dichiarato, da parte sua, che i tedeschi, pur rimanendo membri fedeli dell’O.E.C.E., non possono rinunciare alla partecipazione ad iniziative tendenti ad un’integrazione europea.

II. CONVERSAZIONI CON I RAPPRESENTANTI DELL’INDUSTRIA PRIVATA

Le conversazioni avute con i rappresentanti dell’industria tedesca si sono concentrate su due serie di problemi: problemi tecnici e problemi istituzionali.

a. problemi tecnici

1. Formazione di tecnici. Secondo i tedeschi, sarà utile uno scambio di studenti e professori. All’inizio, tuttavia, la Germania dovrà reclutarne ed ospitarne più che inviarne all’estero.

2. Scambio di informazioni e brevetti. Scarse sono le informazioni sulla produzione di minerale, in quanto le risorse di materie prime si trovano soprattutto nella parte della Germania Orientale. Sono pronti a dare informazioni sulla produzione della Germania Occidentale. È stato ricordato che in Germania vi è una scarsità delle fonti tradizionali energetiche. Tra l’altro, è necessario importare carbone, nonostante la lunga tradizione di paese esportatore. Lo sviluppo dell’energia nucleare è quindi di enorme importanza, pur prevedendo un lungo periodo di tempo per la sua realizzazione. L’industria tedesca è favorevole ad uno scambio di brevetti su basi le più libere possibile nel settore dell’energia nucleare. Lo scambio di brevetti è di consuetudine nell’industria tedesca, anche nelle sue relazioni con l’estero. Si vorrebbe, tuttavia, che tale scambio avvenisse su basi commerciali, senza carattere di obbligatorietà.

3. Creazione in comune di laboratori per ricerche e saggi di materiale non radioattivo. È in questo settore tipico in cui può svolgersi una cooperazione internazionale. Esiste già un’esperienza a questo riguardo, in quanto società tedesche hanno svolto già lavori di ricerca per paesi esteri i quali in cambio hanno fornito attrezzature, materie prime ed informazioni tecniche. Tale cooperazione potrebbe trovare nell’O.E.C.E. un quadro particolarmente adatto, in quanto una struttura supranazionale non è ritenuta adatta a questo scopo. L’industria privata tedesca si oppone inoltre al monopolio di Stato internazionale in questo settore.

4. Materiali ausiliari (acqua pesante, litio, berillio, ecc.). L’industria privata tedesca è in favore di un libero mercato delle materie prime nucleari e di un libero scambio di informazioni. Tali attività dovrebbero essere esercitate dall’industria privata e non tramite un’organizzazione di distribuzione centralizzata.

5. Trattamento del metallo irradiato (diffusione). L’industria privata tedesca ritiene che la cooperazione internazionale potrà svolgersi fruttuosamente in questo settore, dati i considerevoli investimenti e l’energia elettrica necessaria per la creazione di un impianto di diffusione. Per quanto riguarda la trasformazione del minerale in metallo, la collaborazione internazionale può risultare necessaria solo per i piccoli paesi. L’industria germanica è in favore della cooperazione europea in questo campo, purché essa non abbia un carattere obbligatorio.

6. Produzione ed utilizzazione di isotopi. L’industria tedesca è in favore di un mercato comune nel settore dell’energia nucleare; ma devesi sottolineare che tale atteggiamento riguarda esclusivamente l’Europa ed il settore dell’energia nucleare. Infatti, l’industria privata tedesca non è favorevole ad un libero scambio con certi paesi dell’Europa Orientale e con gli Stati Uniti, a causa della scarsità di valuta forte.

7. Produzione e standardizzazione di attrezzature speciali. È stata sottolineata l’importanza della standardizzazione delle attrezzature e la necessità di intraprendere tale opera fin da questo momento.

8. Costruzione e sfruttamento in comune di centrali nucleari. L’industria tedesca è favorevole a tale tipo di collaborazione, che del resto è già in atto nel campo dello sfruttamento di impianti idroelettrici confinari.

9. Regolamentazione e legislazione. L’industria privata tedesca è favorevole ad un coordinamento delle regolamentazioni e legislazioni concernenti i problemi di sicurezza. Inoltre, i principi informatori delle legislazioni nazionali concernenti il settore nucleare dovrebbero essere comuni a tutti i paesi.

10. Questioni finanziarie. L’industria tedesca preferirebbe un finanziamento separato di progetti concreti, affinché ogni paese possa prendere parte a tali progetti secondo i suoi interessi. Un fondo comune internazionale farebbe sorgere difficili problemi per quanto riguarda la distribuzione delle risorse tra i vari progetti. Nel settore della ricerca, tuttavia, si potrebbe prendere in considerazione la creazione di un fondo comune. Inoltre, dovrebbe esserci un piccolo bilancio comune per l’amministrazione della cooperazione nel settore dell’energia nucleare.

b. problemi istituzionali

L’industria privata tedesca è favorevole in principio al metodo della cooperazione internazionale e non a quello che porterebbe alla creazione di una autorità sovranazionale.

Il settore dell’energia nucleare è un settore nuovo ed è difficile dire quale direzione prenderà il suo sviluppo. È quindi prematuro creare un’Alta Autorità in questo momento.

I rappresentanti dell’industria tedesca hanno ripetuto a varie riprese che il metodo dell’O.E.C.E. ed una cooperazione del tipo praticato da anni in seno all’Organizzazione parigina è la soluzione preferibile nel settore dell’energia nucleare.

Le informazioni di cui sopra vanno considerate, per il momento, come riservate e confidenziali.


1 Non pubblicato.

104

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERIE ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., A PARIGI

Telespr. riservato 1799/1146. Parigi, 25 novembre 1955.

Oggetto: Orientamenti del Commissariato per l’energia atomica sulla cooperazione europea. Seguito.

Riferimento: Seguito telespresso n. 1726/1114 dell’11 corrente1.

Il Commissariato parte da due presupposti: 1) alla Francia non conviene rinchiudersi in un sistema di cooperazione atomica a sei che non consenta la partecipazione di altri paesi europei ad alto livello industriale o ricchi di uranio; 2) alcuni punti importanti del programma tracciato a Bruxelles, per i quali la Francia ha particolare interesse (come la produzione industriale in comune, attraverso la separazione isotopica, di combustibili nucleari) potrebbero essere soltanto realizzati nell’ambito dei Sei di Messina, dato che gli altri paesi che fanno parte dell’O.E.C.E. non sembrano, almeno per ora, disposti a legarsi a forme di cooperazione così strette.

La soluzione del problema della cooperazione dovrebbe essere impostata, secondo il Commissariato, su entrambi questi presupposti e potrebbe essere raggiunta, come l’articolo di Drouin sul «Monde» ha messo bene in luce, tanto attraverso le trattative in corso a Bruxelles (almeno se si concretassero in un sistema conforme alle aspirazioni francesi), quanto con l’iniziativa prospettata dall’O.E.C.E.

Da un canto, infatti, è possibile formare a Bruxelles un sistema a sei che permetta la successiva partecipazione di altri Stati: in tal caso i Sei dovrebbero soltanto costituire il primo nucleo dei paesi europei che si legano in una forma di cooperazione permanente, un nucleo suscettibile di allargarsi ad altri paesi a mano a mano che, in relazione ai progressi economici e tecnici conseguiti, aumenta la sua «forza di attrazione». L’adesione dei terzi paesi potrebbe, poi, concretarsi in una loro piena partecipazione, a parità di diritti e doveri con i Sei, all’organizzazione comune, oppure potrebbe essere limitata a determinati punti del programma comune e regolata da convenzioni particolari.

Questa interpretazione, non certo molto ortodossa, del programma di Messina (che l’articolo del «Monde» attribuisce genericamente «agli esperti di Bruxelles») è chiaramente ispirata al principio dell’«europeismo aperto» e riflette, quindi, più il punto di vista dei tecnici francesi che l’opinione concorde delle Delegazioni che partecipano ai lavori di Bruxelles. Comunque è la sola interpretazione che il Commissariato, decisamente ostile ad un’organizzazione a sei di carattere «comunitario» sembra disposto ad accettare.

D’altra parte, l’O.E.C.E. ha la struttura adatta per «graduare» la forma di cooperazione alla fede europeistica dei diversi membri, in maniera che, nel quadro di una collaborazione generale di tutti i quindici Stati (collaborazione, per forza di cose, limitata), possano sussistere dei sistemi di cooperazione più spinta tra Stati disposti ad impegnarsi reciprocamente nella realizzazione di determinati programmi comuni, che gli altri paesi non vogliono sottoscrivere. Il «Monde» giustamente osserva che l’art. 14 della Convenzione dell’O.E.C.E. renderebbe possibile la formazione, in seno all’O.E.C.E., di questi gruppi ristretti, legati da «carte» particolari: il nucleo dei Sei di Messina potrebbe così, anche nell’ambito dell’O.E.C.E., perseguire per proprio conto tutti gli obiettivi che sono stati proposti a Bruxelles per Euratom e potrebbe inoltre «agganciare» l’Inghilterra, la Svizzera, i Paesi scandinavi, ecc. con accordi speciali per l’esecuzione in comune di quei progetti in cui anche questi paesi sono interessati.

Per evitare inutili interferenze, una scelta tra l’iniziativa in corso a Bruxelles e quella che intende intraprendere l’O.E.C.E. diventa però, prima o poi, necessaria. Dato che i lavori di Bruxelles procedono già da mesi, mentre vere e proprie trattative non sono state ancora iniziate per un programma di cooperazione nell’ambito dell’O.E.C.E., sarebbe logico insistere nell’iniziativa già in corso qualora attraverso di essa cominciassero a profilarsi delle prospettive concrete di riuscita. Al Commissariato, tuttavia, non sembrano tanto convinti che queste prospettive si siano già aperte a Bruxelles. Gli esperti francesi fanno al riguardo presente che, sebbene la Commissione per l’energia nucleare abbia raggiunto un accordo di massima sul progetto (ancora vago, peraltro, in molti punti essenziali) per Euratom, le intenzioni di alcuni Governi e di alcuni ambienti industriali non sono ancora chiare, né è stato finora possibile valutare il preciso contributo che ciascun paese è disposto ad apportare sul piano tecnico e produttivo.

La critica principale che i dirigenti del Commissariato fanno ai lavori preparatori di Bruxelles, almeno per quanto concerne il settore nucleare, è che essi sono stati troppo influenzati da argomenti politici mentre il loro scopo era e doveva restare essenzialmente tecnico. I problemi politici e istituzionali relativi all’organizzazione comune, le polemiche pro e contro l’autorità superstatale sono certo molto importanti, ma trovano una giustificazione soltanto se si tratta di dare una forma politica e giuridica ad un sistema di cooperazione atomica già tecnicamente definita nelle sue linee fondamentali.

Tutte le volte che la Delegazione francese ha chiesto dei dati concreti sulla partecipazione di ciascun paese ai programmi industriali comuni, ha affermato uno dei dirigenti del Commissariato, «i tedeschi si sono messi a parlare di istituzioni».

Naturalmente questa riluttanza di alcune Delegazioni ad impostare il problema sul piano tecnico ed economico trova la sua spiegazione nel fatto che gli ambienti industriali dei rispettivi paesi sono decisamente contrari al «dirigismo» che si ritiene verrebbe ad instaurare l’organizzazione comune, e poco proclivi, perciò, ad appoggiare l’iniziativa ufficiale di Bruxelles. Non soltanto l’industria privata tedesca, come ormai generalmente noto, ma anche quella belga sono, stando agli esperti francesi, contrarie all’organizzazione euratomica. Ora, si fa qui rilevare, i Governi di Adenauer e Spaak, poiché si atteggiano a campioni della «relance» dell’Europa, dovrebbero logicamente trovare il sistema per indurre gli industriali del loro paese a collaborare al programma d’integrazione europea: altrimenti è inutile insistere su questo programma. Per quanto in particolare concerne il campo atomico, dovrebbero essere capaci d’imporre nei loro paesi un ordinamento che disciplini i compiti dell’industria privata in funzione delle iniziative atomiche governative (un dirigente del Commissariato ha rivelato che Strauss ha chiesto informazioni dettagliate sull’ordinamento francese, ma naturalmente non si può prevedere fino a che punto intenda o possa farlo introdurre in Germania).

Un altro fattore negativo per la realizzazione del programma di Messina resta sempre per i francesi l’atteggiamento belga in materia di uranio (ovviamente i belgi, rovesciando le posizioni, potrebbero dire lo stesso per l’atteggiamento finora assunto dai francesi). Nel progetto approvato dalla Commissione per l’energia nucleare di Bruxelles, viene (con una certa prudenza!) prospettato che l’organizzazione euratomica abbia non solo la priorità di acquisto del minerale sulla produzione dei paesi membri, ma anche altri rilevanti poteri che giungono fino alla facoltà di adottare misure restrittive, nell’impiego dell’uranio, anche nei confronti delle industrie dei paesi produttori, qualora un razionamento, per così dire, della quantità complessiva sia reso necessario dall’andamento del ciclo produttivo. Dato che la maggior parte dell’uranio prodotto nel Congo resta vincolato per gli americani, difficilmente gli industriali belgi saranno disposti a dare la loro adesione ad un progetto che sottopone al controllo dell’organizzazione comune la quantità di produzione nazionale disponibile. Quando Spaak dichiara che potrà far accettare questo sacrificio all’industria belga soltanto se l’integrazione europea sarà realizzata in tutti i settori economici, implicitamente viene a rinnegare il principio, caro a tutti gli europeisti, che l’integrazione deve cominciare proprio nel campo atomico. D’altra parte, aggiungono gli esperti francesi, finché i belgi non comunicano il quantitativo di uranio prodotto nel Congo e, quindi, l’ammontare della parte disponibile in base all’accordo con gli americani, mancano i dati obiettivi necessari per stabilire con precisione, in un accordo formale, entro quali limiti debba esplicarsi l’azione dell’organizzazione comune per assicurare l’equa distribuzione e l’unità di prezzo del minerale.

Se si tiene conto anche delle restrizioni che l’accordo [belga]-americano pone al Governo belga in materia di scambi di segreti tecnologici, si arriva alla conclusione (cui da tempo i francesi sono giunti) che la libertà d’azione dei belgi, nonostante l’europeismo di Spaak, è talmente vincolata da quell’accordo che la possibilità stessa di una loro partecipazione alla cooperazione atomica dipende dall’atteggiamento che gli Stati Uniti intendono assumere verso il programma di Messina. Un dirigente del Commissariato ha apertamente dichiarato che quando si rimprovera ai tecnici francesi la loro tendenza all’europeismo aperto, non si considera che la convenienza per la Francia di una soluzione a sei dipenderebbe principalmente da quei due fattori, uranio belga ed organizzazione industriale tedesca, che costituiscono proprio le incognite del problema della cooperazione, dal momento che ancora non è possibile accertare in che misura potrà utilizzarli un’organizzazione comune.

A questo punto è logico domandarsi se il contributo che invece la Francia potrebbe apportare al sistema euratomico potrebbe spingere tedeschi e belgi verso un atteggiamento più conciliante. Ora, il libero accesso alla produzione di uranio francese (che, se pur sufficiente per l’attuazione del piano atomico triennale, costituisce, sul piano mondiale, addirittura un’entità insignificante) non interessa per nulla i belgi e non rappresenta neanche una prospettiva vantaggiosa per gli stessi tedeschi, i quali possono ottenere il minerale dagli Stati Uniti, data la politica commerciale che gli americani hanno di recente inaugurata in questo campo, ad un prezzo inferiore allo stesso costo di produzione francese. All’infuori del minerale, il principale contributo dei francesi potrebbe consistere nella loro più avanzata esperienza tecnica e nell’attrezzatura che già la Francia possiede per studi e ricerche. Ma il programma atomico francese è stato, fino ad oggi, impostato sulla costruzione di centrali, più o meno imponenti, che funzionano con reattori a neutroni lenti, quel tipo cioè di reattori su cui la Conferenza di Ginevra ha fornito a tutto il mondo abbondantissimi dati, che gli americani, peraltro, sono disposti ad integrare con informazioni più dettagliate purché si stipuli con loro un accordo bilaterale.

I tedeschi, quindi, potrebbero ottenere dagli americani quel minimo di «cooperazione tecnica» che è necessario per realizzare, in un tempo relativamente breve, quello che i francesi, operando nel periodo di isolamento atomico, hanno potuto conseguire attraverso dieci anni di ricerche e di lavoro: il problema, quindi, per i tedeschi sarebbe solo finanziario. I belgi, poi, possono sin da ora utilizzare i sistemi ed i procedimenti di una tecnica molto più progredita di quella «standard», attraverso il loro accordo con gli americani.

Sono queste preoccupazioni (che i tecnici francesi non osano interamente confessare, legati, come sono, al postulato nazionalistico della superiorità atomica della Francia sugli altri Cinque di Messina) che inducono i dirigenti del Commissariato a concludere che il destino del programma di Messina è nelle mani degli Stati Uniti.

Per il Commissariato, questa non è una speranza ma una semplice constatazione di fatto (forse anche spiacevole): esso ritiene che gli Stati Uniti hanno non solo nell’accordo belga-americano, ma, in genere, nella loro stessa politica commerciale in questo settore gli strumenti per scoraggiare od accelerare la realizzazione dell’organizzazione euratomica. Se l’interesse americano per l’integrazione europea si fosse risvegliato al punto da indurre gli Stati Uniti ad adottare una politica preferenziale verso l’organizzazione euratomica nel suo insieme, allora sarebbero superate le diffidenze e le riluttanze degli ambienti tecnici ed industriali e l’opera dei Governi dei sei paesi verrebbe facilitata.

Stando ad un’informazione fornita da un funzionario di quest’Ambasciata americana, sembra che gli Stati Uniti siano al massimo disposti a non firmare per ora un accordo bilaterale atomico con la Germania per non incoraggiare l’opposizione dell’industria tedesca al programma atomico di Messina, ma non intendano, data l’esperienza della C.E.D., dare un appoggio diretto alle iniziative in corso per la «relance» europea, fino a quando esse non raggiungeranno dei risultati concreti.

Per quanto concerne l’O.E.C.E., se è vero che questa organizzazione offre la possibilità di attuare nel proprio ambito dei programmi minimi e dei programmi massimi di cooperazione atomica, è pur vero che il successo dell’iniziativa che si va prospettando dipenderebbe in massima parte dall’atteggiamento inglese.

Se gli inglesi vogliono servirsi della cooperazione soltanto come strumento di espansione commerciale e per il resto si fanno promotori delle solite forme di cooperazione «accademica», l’iniziativa, qui si ritiene, viene a perdere molto del suo valore.

Per concludere, il punto di vista del Commissariato nei riguardi tanto del programma di Messina quanto di quello che va prospettando l’O.E.C.E., potrebbe riassumersi in questa affermazione del Sig. G. Renou, Vice Direttore per le relazioni estere: «La chiave del programma atomico di Messina deve cercarsi a Washington, la chiave di una cooperazione attraverso l’O.E.C.E. deve cercarsi a Londra».

Nel frattempo il Commissariato resta in posizione di prudente attesa, continuando a partecipare ai lavori di Bruxelles per difendervi il principio dell’europeismo aperto.


1 Riservato, indirizzato al Ministero degli Affari Esteri e, per conoscenza, alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E. a Parigi, con il quale Quaroni aveva fornito le prime informazioni circa la questione oggetto del presente documento.

105

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BADINI CONFALONIERI,ALLE AMBASCIATE A L’AJA, BONN, BRUXELLES,PARIGI E LUSSEMBURGO

Telespr. 44/177511. Roma, 26 novembre 1955.

Oggetto: Comitato Intergovernativo di Bruxelles per l’integrazione europea. Energia nucleare.

Riferimento: Seguito telespresso n. 44/17106 del 17 novembre 19552. Telegramma di codesta Ambasciata n. 5573.

Questa Ambasciata di Gran Bretagna ha fatto conoscere a questo Ministero, col memorandum che si acclude in copia, la posizione del Governo britannico nei riguardi del problema suindicato.

Il documento riassume e conferma ufficialmente le linee dell’atteggiamento inglese, quali si erano venute man mano chiarendo nel corso dei lavori di Bruxelles. Da parte inglese è stato inoltre fatto presente verbalmente che la determinazione di non entrare nell’Euratom dipende sopratutto da considerazioni militari e non è quindi da ritenere che l’una o l’altra soluzione istituzionale potrebbe avere l’effetto di modificare l’atteggiamento britannico.

L’atteggiamento italiano – in linea generale favorevole alla costituzione dell’Euratom nel quadro del Mercato Comune generalizzato – per quanto concerne il problema della collaborazione in seno all’O.E.C.E. si può riassumere come segue.

Com’è noto l’O.E.C.E., dopo aver inviato una missione di studio nei diversi paesi membri (Nikolaides) sta ora esaminando le possibilità che si offrono, a termini dell’art. 14 del suo Statuto, per una collaborazione in materia di energia nucleare da effettuarsi nel quadro dell’O.E.C.E. stessa.

Da parte italiana si ritiene che l’O.E.C.E. non possa offrire, per la sua stessa costituzione, uno strumento sufficiente a raggiungere il grado di integrazione che si desidera in materia nucleare, e in particolare ad assicurare in paesi europei una larga disponibilità di minerali e combustibili nucleari.

Una volta costituito l’Euratom, si dovrà considerare in che modo possa stabilirsi una più generale collaborazione fra tale gruppo e gli altri paesi europei. Nulla esclude, anzi è possibile, che tale collaborazione possa esercitarsi nel quadro o sotto l’azione dell’O.E.C.E., soprattutto per quanto concerne gli scambi di informazioni, la messa in comune di ricerche tecniche ecc.

Non sembra, d’altronde, che la recente presa di posizione inglese escluda la speranza che una volta che l’Euratom sia costituito e funzioni, possa realizzarsi una collaborazione diretta colla Gran Bretagna mediante accordi del tipo di quello stipulato fra C.E.C.A. e Gran Bretagna4.

Le Rappresentanze in indirizzo, salvo l’Ambasciata in Lussemburgo che vi ha già provveduto3, sono pregate di far conoscere le reazioni dei Governi presso i quali sono accreditate circa il memorandum inglese.

Allegato

Roma, 16 novembre 1955.

MEMORANDUM

Il Governo di S.M. britannica riconosce che esiste un forte impulso verso una cooperazione multilaterale in Europa nel settore dell’energia nucleare e che, nel contempo, una qualche forma di collaborazione europea eviterebbe una duplicazione di sforzi. Esso desidera pertanto collaborare nei limiti dei propri mezzi.

Il Governo di S.M. non intende ostacolare la creazione dell’Euratom ove i paesi partecipanti alla Conferenza di Messina decidano che ciò risponde ai loro interessi. Tuttavia il Regno Unito non entrerà nell’Euratom. Il Regno Unito sarebbe disposto a concludere un accordo separato con tale organismo, ma non sarebbe parimenti disposto a porre automaticamente su di una base multilaterale i suoi accordi bilaterali con i singoli paesi della Conferenza di Messina.

D’altro canto, il Gruppo di lavoro dell’O.E.C.E. potrebbe avere intenzione di raccomandare – a differenza della Conferenza post-Messina – un sistema elastico di cooperazione multilaterale che potrebbe comprendere paesi a differenti stadi di sviluppo. Il Gruppo di lavoro proporrà probabilmente che nell’ambito della organizzazione venga lasciato adito ad accordi specifici o per scopi specifici fra gruppi di paesi, accordi che non dovrebbero essere vincolanti nei riguardi di altri paesi in seno all’organizzazione stessa, né soggetti al loro veto.

Quale principale paese europeo in materia di energia atomica, e in virtù della propria speciale posizione nell’O.E.C.E., il Regno Unito è pronto, nei limiti dei propri mezzi, a collaborare ad un programma di questo genere in sede O.E.C.E.


1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Washington, Londra, Ottawa, Atene, Ankara, Vienna, Berna e Oslo, alle Rappresentanze presso la N.A.T.O. e l’O.E.C.E., a Parigi, alle Legazioni a Dublino, Lisbona, Stoccolma e Copenaghen e alla Direzione generale degli Affari Economici.


2 Non rinvenuto. Riferimento per tutte le Ambasciate in indirizzo ad eccezione di Lussemburgo.


3 T. 19002/557 del 21 novembre, con il quale Cavalletti aveva riferito circa la reazione del Governo lussemburghese al memorandum inglese riportando l’opinione di Bech che riteneva « … più che mai urgente e necessaria l’integrazione europea a carattere sopranazionale anche e particolarmente nel campo atomico». Il riferimento a questo telegramma è solo per l’Ambasciata a Lussemburgo.


4 Firmato a Londra il 21 dicembre 1954, vedi D. 90.

106

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1.

RESOCONTO DELLA RIUNIONE DEL 1° DICEMBRE 1955DEI CAPI DELLE DELEGAZIONI AL COMITATO INTERGOVERNATIVOCREATO DALLA CONFERENZA DI MESSINA

I Sigg. Benvenuti (Italia), Gaillard (Francia), Ophuels (Germania), Snoy (Belgio), Verrijn Stuart (Paesi Bassi) e Schaus (Benelux) si sono riuniti a Bruxelles il giorno 1° dicembre, sotto la presidenza del Ministro degli Esteri belga Spaak.

Scopo della riunione era la discussione della prima serie di documenti – già in possesso delle nostre Amministrazioni interessate – redatti dal Sig. Spaak (con l’aiuto dei Sigg. Uri, von der Groeben e Guazzugli) in preparazione del rapporto finale sul Mercato Comune da presentare ai sei Ministri degli Esteri dei paesi membri della C.E.C.A.

2. Documento di lavoro n. 1 (Struttura del trattato). Non ha sollevato particolari commenti. Sia da parte italiana che da parte olandese si è tenuto a mettere in rilievo che il concetto di una prima tappa nel processo di stabilimento del Mercato Comune (tappa che nel trattato dovrebbe essere definita nei suoi particolari) è subordinato a quella dell’irreversibilità dello sviluppo del Mercato Comune. La gravosa opera di riconversione delle economie nazionali per renderle adeguate a un Mercato Comune generalizzato non verrebbe intrapresa con fermezza e coraggio se non vi fosse la sicura convinzione che il processo si svilupperà, al di là della prima tappa, fino allo stabilimento di un Mercato Comune per quanto possibile completo.

L’opinione è apparsa condivisa dagli altri Delegati, se anche con moderato calore da parte del Delegato francese. Ad avviso di quest’ultimo, la medicina del Mercato Comune non può essere somministrata al suo paese ed al suo Parlamento che in quantità opportunamente dosate. Il Delegato francese ha tuttavia escluso che i Parlamenti possano essere chiamati a riconsiderare il trattato al termine della prima tappa; ma ha insistito che, a compenso di ciò, largo posto sia fatto all’istituzione di una assemblea parlamentare comune che possa guidare e controllare lo svolgimento del processo di integrazione.

3. La discussione sul documento di lavoro n. 2 (Metodo per la soppressione dei diritti doganali) si è portata piuttosto sugli aspetti tecnici del sistema.

Gaillard (Francia) ha criticato il metodo di raggruppamento delle voci doganali secondo il tasso, proponendo di adottare invece i gruppi della nomenclatura del Gruppo studi doganali di Bruxelles, che sta per essere approvata. La tesi francese non è stata però accolta, essendo l’altro sistema di più facile esecuzione.

Circa l’opportunità di dare al sistema una maggiore o minore rigidità (ciò che potrebbe ottenersi aumentando o diminuendo il numero dei raggruppamenti) i Delegati del Benelux si sono dichiarati contrari ad un metodo che lascia troppa latitudine ai Governi nazionali. Si è quindi ventilata la possibilità di aumentare il numero dei gruppi (da 1% a 2,5%, da 2,6% a 5%, ecc.) e di limitare la facoltà dei Governi di associare i gruppi, due a due, all’accoppiamento dei gruppi estremi (ad es.: 1-2,5% = 47,5-50%). Per la riduzione dei diritti proibitivi, i quali avrebbero quindi una ponderazione uguale a zero, era stato proposto di correggere il sistema mediante l’applicazione del tasso di riduzione, concordato anche alla media aritmetica dell’insieme delle posizioni doganali. Uri avanzava la nuova proposta di stabilire l’obbligo di ridurre ogni diritto al di sopra del 25%, di almeno la metà della riduzione prescritta per ciascun gruppo. Tale idea non incontrava però il favore del Delegato francese, a cui avviso una simile norma avrebbe allarmato anzitempo gli ambienti interessati.

Veniva anche sollevata la questione della base di partenza: e cioè, se essa dovesse trovarsi in uno o più anni di referenza (la maggioranza è stata in favore di un periodo triennale, da spostarsi di anno in anno); e se si dovesse tenere conto della tariffa effettiva applicata per decisione unilaterale o di quella legale. In genere i Delegati si sono dichiarati propensi a prendere per base i diritti effettivamente applicati, salvo quelli introdotti per situazioni di fatto temporanee.

Sulla questione posta dall’On. Benvenuti circa l’atteggiamento da tenersi da parte dei sei paesi del G.A.T.T. nel prossimo gennaio, il barone Snoy (Belgio) ha espresso, a titolo personale, avviso contrario all’opportunità che i sei paesi si concedano in anticipo riduzioni doganali che verrebbero automaticamente estese a tutte le parti contraenti. Della questione – che è di notevole importanza – dovrà discutersi fra i sei Governi prima della riunione del G.A.T.T.

4. Il documento di lavoro n. 3 (Tariffa verso i paesi terzi) ha dato luogo a una netta presa di posizione da parte di Verrijn Stuart (Olanda), a favore di una tariffa esterna inferiore al plafond consentito dal G.A.T.T. (tariffa comune non superiore nella sua incidenza generale alle differenti tariffe cui si sostituisce). Il Delegato olandese ha messo in rilievo la grave difficoltà politica di fronte a cui si troverebbe il suo Governo accettando di sostituire alla sua attuale bassa tariffa una tariffa elevata anche su certi prodotti di base (ha citato il grano e l’alluminio). Tale sostituzione causerebbe non solo un aumento del costo della vita, ma ridurrebbe il margine di concorrenzialità dell’industria olandese su mercati terzi.

Sono state fatte da varie parti, al Delegato olandese, le obiezioni del caso: mettendo in rilievo fra l’altro che l’annunciare da parte dei sei paesi la rinuncia al plafond consentito dal G.A.T.T. equivarrebbe a gettar via una carta importante per l’inevitabile negoziato con i Governi dei paesi terzi (Stati Uniti e Gran Bretagna). Non è stato possibile vincere la resistenza del Delegato olandese: egli avrà tuttavia nei prossimi giorni contatti con Spaak e con i suoi consiglieri, per ricercare una formula di compromesso. Altre due questioni minori sono state sollevate a proposito del documento n. 3. La prima è se il Mercato Comune debba essere esteso – fino dal periodo transitorio – anche alle merci non originarie dei paesi membri. È stata ricordata in proposito l’eccezione francese alle regole del Trattato C.E.C.A.

La seconda questione, sollevata da Snoy (olandese)2, riguardava i diritti consolidati verso paesi terzi, e il rischio che, venendo essi rialzati per instaurare una tariffa comune ne conseguano sanzioni da parte di essi. Gli eventuali negoziati dovranno quindi essere condotti a sei.

5. Un altro vivace dibattito si è svolto sul documento di lavoro n. 4 (Metodo per la soppressione dei contingenti). Già in apertura di discussione Uri, a seguito dei contatti avuti con la nostra Delegazione, dichiarava che il documento era da rifare, prendendo per base del sistema l’allargamento progressivo dei contingenti, da iniziarsi già nel primo anno del trattato, senza attendere gli sviluppi della procedura O.E.C.E. Per i contingenti nulli egli proponeva l’obbligo di aprire dei contingenti equivalenti a una percentuale della produzione interna, aumentabile ogni anno, o alla media delle importazioni intraeuropee divisa per abitante. Favorevoli invece all’idea di affidarsi totalmente, per lo meno per una prima tappa quadriennale agli auspicati sviluppi dell’operazione O.E.C.E. si dichiaravano Gaillard e Spaak: quest’ultimo, presumibilmente, per agevolare le relazioni fra l’esercizio di Bruxelles e i paesi membri della sola O.E.C.E. (Spaak tornava dal suo viaggio a Londra). Non è stato difficile al Delegato italiano, appoggiato da Snoy e da Uri, dimostrare che non si potrebbero da un lato imporre le riduzioni tariffarie secondo un sistema a sei, lasciando d’altro canto a un organo esterno il compito di fissare il ritmo delle riduzioni da apportare alle restrizioni quantitative. Qualsiasi sistema che non convogliasse di pari passo e i diritti doganali e i contingenti verso l’abolizione, rischierebbe di frenare l’intero sviluppo dell’operazione. Infatti i Governi sarebbero indotti a ridurre i dazi su prodotti non liberati, rinviando la liberazione agli ultimi anni dell’esercizio, e ottenendo anche la possibilità di dare un ritmo lento alla riduzione dei diritti doganali su prodotti liberati; con la conseguenza che verso la fine dell’esercizio ben poco si sarebbe ottenuto, sia nell’uno che nell’altro settore, e in particolare nei prodotti più sensibili.

È stato quindi deciso che il documento n. 4 verrà completamente rifatto; ma è quanto mai probabile che su questo argomento continueranno ad aversi forti resistenze da parte francese.

6. Il documento n. 5 (Agricoltura) non è stato posto in discussione perché non sono state ancora completate le consultazioni previste (Uri lo ha discusso con il Ministro Mansholt, ma non ancora con Papi). Comunque il documento verrà esaminato in prima linea – come già comunicato – da un gruppo composto da esperti di Mercato Comune ed esperti agricoli, che si riunirà verso la metà del dicembre o più probabilmente all’inizio del gennaio.

7. Anche sul documento di lavoro n. 6 (Istituzioni) il dibattito non è sceso al disotto della superficie. Notevole che Ophuels (Germania) abbia dichiarato di non poter esprimere per ora che le sue simpatie personali per il sistema proposto.

Spaak ha ribadito la sua convinzione che non sia possibile amministrare, e anche meno portare a termine, il processo di stabilimento del Mercato Comune senza l’istituzione di un organismo dotato di autorità propria e di responsabilità comune. La tendenza presente è di mettere l’accento sui poteri arbitrali, ancor più che esecutivi, di cui tale organismo dovrebbe essere dotato: in questo senso ha insistito anche Gaillard, richiamandosi ai tribunali americani sulle intese industriali. Si evita tuttora di dare all’organismo comune il nome di Alta Autorità, e si parla – in prima approssimazione – di una magistratura, per la quale il Delegato lussemburghese ha rinfrescato il ricordo storico della pretura romana, che aveva poteri giudiziari ed esecutivi. Ma su tutta la questione delle istituzioni è venuta a gravare l’ombra delle prossime elezioni francesi.

8. In considerazione delle quali, è stato deciso che il Comitato dei Capi Delegazione aggiornasse i suoi lavori alla metà di gennaio. Nell’intervallo il Ministro Spaak e i suoi collaboratori, che dovranno rivedere i documenti discussi nell’ultima sessione, faranno pervenire ai loro colleghi altre formule di lavoro: sull’armonizzazione delle politiche sociali ed economiche, sul sistema di salvaguardia, sulla libera circolazione delle persone, capitali e servizi, e sul fondo di investimenti e di riadattamento. (Su questi due ultimi soggetti, una prima discussione si è avuta già in una riunione di esperti tenutasi il 28 novembre, sulla quale si riferisce a parte). Altri documenti di lavoro riguarderanno l’integrazione nei settori dell’energia nucleare, dell’energia classica e dei trasporti. Allo stato attuale delle previsioni, i Capi Delegazioni dovrebbero terminare l’esame di tali documenti e del testo del rapporto finale nella seconda metà di febbraio: così da permettere la riunione dei Ministri degli Affari Esteri per la fine di febbraio o per l’inizio di marzo. Tale riunione potrebbe avere luogo a Bruxelles, la presidenza di turno spettando al Ministro belga; ma sembra che Brentano gradirebbe di poterla tenere a Bonn3.


1 Trasmesso da Ducci con Telespr. 44/18264 del 6 dicembre agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.


2 Sic. Si intenda: belga.


3 La riunione ebbe luogo a Bruxelles l’11-12 febbraio 1956, vedi D. 132.

107

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 19872-19934/356-3571. Parigi, 7 dicembre 1955, ore 14 (perv. ore 2 dell’8)2.

Oggetto: Riunione privata dei Capi delle Delegazioni.

356. Ellis-Rees ha convocato ieri sera una riunione del tutto confidenziale e privata dei Capi delle Delegazioni per uno scambio personale di idee sui problemi in corso di trattazione all’O.E.C.E. All’inizio della riunione egli ha fatto tuttavia una lunga dichiarazione destinata in modo specifico ad esporre il punto di vista del Governo britannico sui progetti dei sei paesi e sui lavori di Bruxelles. Trasmetto per corriere un resoconto particolareggiato di quanto egli ha detto e della discussione che ha seguito3. Qui do intanto i punti essenziali.

Il Governo britannico – egli ha detto – ha voluto qualche tempo per riflettere sui problemi sollevati dalla iniziativa dei sei paesi. Lo scopo perseguito dai sei paesi è uno scopo politico: essi vogliono giungere ad una forma di unità politica attraverso il metodo della integrazione economica. Nel perseguire questo obiettivo i loro progetti vengono necessariamente ad intrecciarsi con l’opera che svolge l’O.E.C.E. Il Governo britannico non è stato mai contrario al progetto di una maggiore unificazione tra i sei paesi. Di quello che i sei paesi ora intendono fare il Governo britannico non è esattamente informato, ma pare chiaro che è intenzione dei sei paesi di stabilire un mercato comune ed una organizzazione per la energia atomica. Il processo per giungere a questo sarà verosimilmente lungo, ma vi può essere ragione di temere che si possa venire ad un regime discriminativo che attenterebbe agli sforzi contro la discriminazione compiuta in seno all’O.E.C.E., ed in definitiva potrebbe provocare la divisione dell’Europa in due campi, con inevitabile indebolimento e dissolvimento dell’O.E.C.E. Governo britannico considera che O.E.C.E. sia strumento necessario di cooperazione e non potrebbe vedere che con preoccupazione suo scardinamento. Vi deve essere un modo, e certo vi è, di conciliare interessi e obiettivi che sono in discussione a Bruxelles con quelli generali dei paesi O.E.C.E. Questo non può farsi in sede bilaterale, ma può farsi proprio in sede O.E.C.E. Governo britannico desidera perciò che in questa sede si cerchi la conciliazione di questi interessi. Cancelliere dello Scacchiere propone quindi che la questione venga iscritta all’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei Ministri, per il quale egli propone la data del 10 febbraio. Ellis-Rees è poi passato a parlare dell’energia atomica per riaffermare che Gran Bretagna è pronta, entro i limiti delle sue possibilità a cooperare alla soluzione di questo problema in sede O.E.C.E.

Poiché nessuno dei Delegati aveva avuto prima sentore della dichiarazione che Ellis-Rees avrebbe fatto, in discussione che è seguita non sono state espresse che opinioni di carattere personale, riservando ciascun Delegato posizione del suo Governo.

Il primo a prendere la parola è stato Delegato tedesco che a titolo personale si è felicitato che questione venisse posta all’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei Ministri.

357. Delegato tedesco ha aggiunto che suo paese favorirà tutti gli sforzi dell’O.E.C.E. pur sperando che i sei paesi possano andare più lontano. Ha parlato poi Delegato belga spiegando ampiamente le ragioni e gli obiettivi della decisione di Messina e negando carattere esclusione discriminatorio del programma dei sei paesi i quali – egli ha detto – sono pronti ad accettare la collaborazione di altri Stati. Ha insistito poi particolarmente sul concetto che un’azione dei sei paesi non può portare a indebolimento dell’O.E.C.E. né questo potrebbe essere in alcun modo nei loro interessi.

In senso sostanzialmente opposto si è espresso Delegato elvetico. Egli ha detto che la Svizzera non farà mai nulla per intralciare intesa politica dei sei paesi per mezzo integrazione economica. Vi sono comunque conseguenze inevitabili che vanno calcolate alle quali gli altri paesi non possono essere indifferenti. La sua tesi è stata che azione dei sei paesi poteva benissimo essere svolta in sede O.E.C.E., mentre l’iniziativa Messina ha pregiudicato la possibilità di sviluppi dell’O.E.C.E.

Degli altri Delegati nessuno è entrato molto in questioni di fondo. I Delegati dell’Irlanda, dell’Austria e del Portogallo hanno tuttavia marcato il loro accordo con il Delegato svizzero. Quelli dei Paesi scandinavi hanno espresso il convincimento che iniziative particolari dovranno svolgersi nel quadro dell’O.E.C.E. valendosi dell’art. 14. Tutti, riservando l’atteggiamento del loro Governo, hanno riconosciuto utile che la questione sia portata al Consiglio dei Ministri. Solo il Delegato francese ha fatto presente che, data la situazione politica francese, egli non sarebbe stato in grado di far conoscere che cosa il futuro Governo avrebbe deciso né circa l’iscrizione della questione all’ordine del giorno né circa la data indicata da Ellis-Rees per la riunione del Consiglio dei Ministri.

Per mio conto, mi sono limitato a far osservare, in contraddittorio con quanti avevano affermato che l’iniziativa di Messina avrebbe potuto essere presa in seno all’O.E.C.E., che questa era una questione retrospettiva e non rilevante ai fini di una soluzione pratica dei problemi posti dal Delegato britannico. Né si poteva giudicare degli effetti della iniziativa di Messina parlando sin da ora di discriminazione prima di conoscere i risultati delle discussioni in corso tra i sei paesi. Come gli altri, riservando beninteso l’atteggiamento del Governo italiano, ho detto che mi sembrava utile una discussione.

Il Delegato degli Stati Uniti è intervenuto per ultimo. Egli ha ricordato il favore che ha sempre mostrato il suo Governo per la causa e gli sforzi che si compiono sulla via dell’integrazione e della unione supernazionale. Anche egli ha richiamato l’attenzione sulla necessità di non formulare giudizi senza una base sicura di fatti, parlando fin da ora di discriminazione e di divisione, poiché è possibile che unione dei sei paesi possa funzionare nel più largo sistema di cooperazione dell’O.E.C.E.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con i numeri di protocollo di sede 733 e 737.


2 La prima parte del presente documento (T. 356), partita alle ore 14, pervenne alle ore 15,15, mentre la seconda (T. 357), partita alle ore 0,10, pervenne alle ore 2 del giorno 8.


3 Vedi D. 114.

108

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

Telespr. 44/183801. Roma, 7 dicembre 1955.

Oggetto: Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea.

STATO DI AVANZAMENTO DEI LAVORI DELLA CONFERENZA DI BRUXELLES SUL RILANCIO EUROPEO

L’imminenza delle elezioni politiche francesi ha imposto una pausa ai lavori della Conferenza di Bruxelles sul «rilancio europeo». La presente nota2 intende fornire un bilancio dell’andamento dei lavori iniziati – come è noto – nei primi giorni del luglio 19553.

Il primo periodo della Conferenza ha visto all’opera un certo numero di Commissioni e Sottocommissioni di esperti, a ciascuna delle quali è stato affidato l’incarico di studiare le varie possibilità di integrazione economica europea (orizzontali e verticali) indicate dalla Risoluzione di Messina4.

Questa fase dei lavori ha presentato un certo interesse politico, perché essa ha valso a sgombrare un terreno da alcune pregiudiziali. Si è visto subito, infatti, che un allargamento delle competenze della Comunità carbone e acciaio alle altre fonti di energia classica (petrolio, elettricità, gas naturale) non offrirebbe un reale compenso alle difficoltà politiche e parlamentari che sarebbero da superare per revisionare il Trattato Schuman. Egualmente, nel campo dei trasporti interni, è risultato che il quadro dei sei paesi della C.E.C.A. è geograficamente troppo ristretto per un efficace e valido coordinamento delle politiche nazionali in materia di trasporti.

Questi dati tecnici, confortati dall’avviso dei vari esperti, hanno rafforzato la tesi di quei Governi che, come il nostro, hanno costantemente dichiarato la loro perplessità a forme di integrazioni cosiddette verticali, che non si iscrivessero nel più largo quadro di una integrazione economica generale. Tale tesi fu anche sancita, in larga massima, dai Ministri degli Esteri riuniti in settembre a Noordwijk5.

Il progresso dei lavori è stato anche assai limitato in taluni sottosettori cui la Conferenza di Bruxelles ha allargato la sua indagine. Per le poste e telecomunicazioni è stato discusso un progetto di unione europea ristretto ai sei paesi: non senza dubbi sulla sua effettuabilità tecnica e finanziaria. Nel settore dei trasporti aerei, sotto il pertinace impulso della Delegazione francese, sono stati affrontati due progetti di interesse comune. Il primo, per la costituzione di una società europea di costruzioni aeronautiche, non ha passato lo stadio di un primo scambio di vedute, il secondo, per la costituzione di una società europea per la gestione delle linee transcontinentali e per l’acquisto in comune del materiale di volo, ha urtato contro l’ostilità delle stesse compagnie aeree esistenti nei vari paesi. Le più prospere di esse, quale la KLM olandese, hanno apertamente mostrato, passando contratti con società americane per la fornitura di aerei a reazione, di voler continuare sulla strada della libera concorrenza.

2. Più fruttuoso è stato il lavoro compiuto dalle Commissioni negli altri due grandi campi di indagini: il mercato comune generalizzato e l’integrazione nucleare.

Sul primo punto la competente Commissione ha rimesso al Comitato Direttivo un rapporto alquanto dettagliato e che, dal punto di vista tecnico, costituisce indubbiamente un progresso sugli analoghi lavori svoltisi sullo stesso soggetto a Parigi nel primo semestre 1954.

Su buona parte però degli argomenti in discussione, gli esperti non sono riusciti a concordare una posizione unanime. Ciò ha confermato quanto si conosceva per esperienza: e cioè, che i dibattiti fra esperti si arrestano prima o poi su posizioni che non possono essere cancellate se non da decisioni in sede politica. Né questa realtà era del tutto ignota agli esperti stessi, i quali si sono astenuti dall’approfondire il dibattito sull’argomento più prettamente politico, quello delle istituzioni.

3. La Commissione che ha compiuto maggiore cammino verso un accordo unanime è stata quella per l’energia nucleare. In questo campo la novità della materia e le non numerose pregiudiziali di fatto e di diritto hanno permesso la stesura di un rapporto nel quale vengono delineate le grandi linee di un sistema di integrazione dell’attività dei sei paesi nel campo nucleare, detto Euratom. Anche qui, tuttavia, si è posto, all’ultimo momento, un problema di scelta politica.

4. Come si ricorderà, la Conferenza di Messina aveva affidato al Ministro Spaak il compito di farsi coordinatore e propulsore dei lavori in corso di svolgimento a Bruxelles. Il Sig. Spaak ha eseguito tale mandato con l’ardore e con la costanza che gli sono propri. È da riconoscersi che egli ha dedicato a quest’opera molto del suo tempo e moltissime delle sue energie. Terminata, in maniera non del tutto soddisfacente, la fase di lavoro della Commissione, il Ministro Spaak ha assunto in proprio la responsabilità della continuazione e – se possibile – della conclusione dell’esercizio, mediante una procedura che non era stata prevista a Messina e che ha dimostrato di poter dare buoni frutti.

Spaak ha infatti chiamato presso di sé due consulenti speciali: Pierre Uri, che fu già il braccio destro di Monnet e che è uno dei Direttori dell’Alta Autorità della C.E.C.A., e un membro della Delegazione tedesca, von der Gröben. Ad essi sono stati poi aggiunti il Dott. Guazzugli del Segretariato Generale della C.E.C.A., nonché il barone Snoy Segretario Generale del Ministero degli Affari Economici belga. A tale ristretto gruppo di persone, che si riunisce molto frequentemente sotto la presidenza di Spaak, è stato affidato il compito di elaborare una serie di formule di compromesso sulle varie materie controverse. Tali formule, di cui il merito va principalmente al Sig. Uri, vengono portate a conoscenza dei Capi delle sei Delegazioni nazionali, che le discutono nel corso di riunioni ufficiose. Spesso le formule innovano completamente sui risultati cui gli esperti erano giunti; assai spesso esse vengono corrette e modificate in base alle discussioni dei Capi Delegazione e ai contatti e alle consultazioni del Sig. Uri con vari ambienti, e particolarmente con la Delegazione italiana.

5. Tale tipo di procedura aveva cominciato a portare i suoi frutti, quando è stato interrotto dallo scioglimento del Parlamento francese. Esso – ci si augura – potrà venire ripreso a metà gennaio: il calendario che Spaak si è proposto prevede che questa seconda fase dei lavori possa essere completata a metà febbraio o al più tardi alla fine di tale mese. Per questa data dovrebbe essere pronto il rapporto finale che i Capi Delegazione sottoporrebbero ai Ministri degli Esteri. Questi ultimi, a termini della Risoluzione di Messina, dovrebbero decidere sulla opportunità di convocare una o più conferenze per concludere i trattati che darebbero veste di impegno giuridico internazionale all’integrazione economica europea. Sembra probabile che tale decisione non verrebbe presa dai Ministri degli Esteri a presentazione del rapporto, ma dopo un congruo periodo di studio di esso e di consultazioni dei rispettivi Governi e degli ambienti interessati.

6. Non vale la pena di nascondersi che le difficoltà che restano da superare, nonostante la migliore buona volontà dei Capi Delegazione e il fattivo impulso del Ministro Spaak non sono poche.

In materia di energia nucleare lo sviluppo più favorevole è stata la decisione da parte del Governo belga di mettere a disposizione di Euratom l’intera quantità dell’uranio congolese residuato dall’accordo con gli U.S.A. e l’Inghilterra. Quale sia effettivamente tale quantità (un decimo della produzione del Congo fino a tutto il 1957, e un quarto dal 1958 al 1960) non è noto ufficialmente, la produzione totale del Congo non essendo mai stata rivelata pubblicamente.

Uomini politici ed esperti belgi sostengono tuttavia che essa è più che sufficiente per gli sviluppi che l’industria nucleare potrà avere in Europa nel prossimo quinquennio. Si mette in rilievo il notevole sacrificio che il Belgio compie nel mettere a disposizione dei suoi cinque partners tale quantità di uranio, invece di servirsene in prima priorità per i suoi bisogni (grazie alla collaborazione tecnica che il Belgio ha potuto assicurarsi dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra). Più volte anche Spaak ha sostenuto che il suo paese avrebbe dovuto compiere tale sacrificio soltanto «sull’altare dell’Europa»: intendendo con ciò legare l’offerta belga di materie fissionabili alla costituzione di un mercato comune. Più recentemente tale posizione è apparsa attenuata: nel senso che il Governo belga sarebbe anche disposto a stipulare il trattato Euratom prima che venga raggiunto un accordo sul mercato comune. Ciò che può apparire realistico se non si vogliano accumulare le difficoltà della trattativa per il mercato comune a quelle che già ha nel suo seno il negoziato per Euratom.

Infatti (e anche lasciando da parte le obiezioni degli ambienti industriali belgi) la situazione è tutt’altro che chiara in Francia e in Germania. In Francia – astrazione fatta di coloro che sono nemici di un Europa a sei, e forse anche a sette – la decisione è tuttora aperta fra gli elementi politici che vedono in Euratom una possibilità di controllare l’industria tedesca, sfruttandone le capacità a beneficio comune, e gli elementi tecnici che vorrebbero mantenere una larga libertà di iniziativa e che hanno piuttosto gli occhi sulla collaborazione cogli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

In Germania assistiamo ad una serrata offensiva da parte dell’ambiente industriale contro un progetto che viene accusato di «dirigismo sopranazionale»: nella quale offensiva si mescolano e il desiderio di non vedere intralciata la libertà di azione dei grandi gruppi industriali da parte del Governo, per il tramite di Euratom, e la coscienza di ciò che l’industria tedesca potrebbe fare da sola, purché si assicuri l’aiuto americano.

Tale posizione di ostilità ad Euratom ha trovato un punto d’appoggio nella nomina a Ministro per l’energia nucleare del Sig. Strauss, legato alla grande industria chimica. Finora non sembra che il Cancelliere Adenauer abbia avuto la possibilità o il tempo di mettere decisamente a tacere tali opposizioni: e il rapporto della Commissione nucleare è andato ai Capi Delegazione senza essere ufficialmente indossato da quella tedesca.

È probabilmente a Washington che andrà cercata la maniera di superare le reticenze francesi e tedesche.

Una dichiarazione americana che escluda accordi bilaterali riservando la collaborazione tecnica degli Stati Uniti ad una agenzia comune europea metterebbe termine a molte esitazioni. L’esperienza della C.E.D. deve però avere reso assai cauti gli americani in materia ed è possibile che essi non vogliono dichiararsi decisamente in tal senso prima di avere constatato una larga misura di accordo tra gli europei stessi.

7. Anche per quanto concerne il mercato comune le difficoltà vengono dal campo francese e da quello tedesco. Note sono le difficoltà che qualsiasi Governo francese dovrà superare per fare inghiottire al suo Parlamento un vero mercato comune europeo, perché valga la pena di dilungarcisi. Lo sforzo costante del Delegato francese Gaillard (il quale in materia è certo en flêche sui suoi colleghi parlamentari) è stato quello di lasciare quanto mai fluida la regolamentazione mediante la quale dovrebbe progressivamente stabilirsi il mercato comune: così da lasciare aperta la strada a frequenti revisioni del trattato, e a lunghi periodi di indugio. Posizione questa che naturalmente non è sempre accettabile dalle altre Delegazioni preoccupate piuttosto di iniziare in buona fede una riconversione delle loro economie, che non debba più a un certo momento avere seguito.

Gli interlocutori tedeschi sono apertamente assai più favorevoli ad un mercato comune europeo, possibilmente svestito da ogni impronta dirigistica preferenziale. Per [la Germania] lo stabilimento di un mercato unificato in Europa è considerato certo vantaggioso, ma a due condizioni: che esso non tagli fuori la Germania dal resto del mondo nel quale essa intende spaziare con i suoi commerci; e che esso non costi alla Germania, in aiuti e compensi agli altri partners (sviluppo del Mezzogiorno in Italia, aiuti all’agricoltura francese, ecc.) più dei benefici che essa può ritrarne. Estremamente cauto è ad esempio l’atteggiamento tedesco in materia di risorse da mettere a disposizione del fondo di investimenti europeo (la proposta Spaak-Uri è per l’equivalente di un miliardo di dollari): atteggiamento che è in netto contrasto con quello preso da Spaak al Parlamento belga, quando egli ha ribadito la priorità da darsi allo sviluppo delle zone depresse europee prima che a quelle dei paesi sottosviluppati degli altri continenti.

Ma, in materia di mercato comune, e fatte salve talune difficoltà di dettaglio sorte con le altre Delegazioni, sarebbe già possibile intravedere la struttura di un trattato, se le prossime elezioni francesi daranno una sufficiente indicazione della possibilità di vararlo al Parlamento di Parigi.

Secondo gli umori politici che a quel momento prevarranno, sarà possibile fare dei passi avanti anche sulla questione delle istituzioni che è finora rimasta molto indietro, sia pure con un generico consenso alla necessità di un organismo dotato di poteri autonomi (sopratutto arbitrali) e di un campo di responsabilità propria a garanzia del processo di progressivo stabilimento del mercato comune, e quale auspicabile ponte verso comuni istituzioni politiche.


1 Diretto agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.


2 La nota non è firmata ed è datata Roma, 6 dicembre.


3 Vedi D. 55.


4 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.


5 Vedi D. 85.

109

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, BROSIO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERIE ALLE RAPPRESENTANZE PRESSO L’O.E.C.EE PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, A PARIGI

Telespr. 17675/4775. Washington, 8 dicembre 1955.

Oggetto: Integrazione atomica europea.

Come noto a codesto Ministero, gli Stati Uniti, manifestando un rinnovato interesse ad una ripresa dell’idea integrativa europea, si sono ripetutamente dichiarati disposti ad appoggiare la formazione di un pool atomico europeo ove questo fosse diretto a promuovere una maggiore integrazione dell’Europa Occidentale. Allo scopo di avere ogni utile informazione sull’evolvere del pensiero americano abbiamo nuovamente intrattenuto i funzionari competenti del Dipartimento in proposito.

I nostri interlocutori hanno ribadito con marcata enfasi che qualsiasi iniziativa diretta a favorire una sempre maggiore integrazione europea non può che trovare il favore del Governo americano. Questo si rende tuttavia conto che la questione deve essere affrontata e risolta unicamente dagli europei sulla base dei numerosi elementi e dati di fatto politici, economici, sociali e storici, la cui valutazione esatta deve essere lasciata a loro. L’esperienza della C.E.D. ha d’altra parte insegnato agli americani che certe pressioni, in campo europeo, possono produrre effetti contrari a quelli sperati.

In questo ordine di idee, gli Stati Uniti pur avendo una manifesta preferenza per una soluzione del problema dell’energia atomica secondo una formula analoga a quella – se non addirittura nel quadro – della C.E.C.A., si rendono conto che esistono già organizzazioni di carattere cooperativo quale 1’O.E.C.E., della cui esperienza sarebbe difficile privarsi in un esperimento di sfruttamento dell’energia atomica su base europea. Il Dipartimento ha tenuto pertanto a sottolineare in modo particolare, che nella opinione americana, vi è la possibilità per una fruttuosa collaborazione in questo campo tra le forme integrative e quelle cooperative secondo le linee che d’altra parte sono già state indicate anche dal Governo italiano nel corso delle riunioni di Brusselle.

In un esame dei vari aspetti della questione con riguardo agli altri paesi partecipanti che abbiamo fatto successivamente con i noti interlocutori, ci è stata confermata l’evoluzione in senso favorevole all’Euratom che si nota attualmente in Francia dopo le perplessità e le diffidenze dei mesi scorsi e alle quali non era estraneo il timore di veder sparire, in un pool atomico europeo, i vantaggi sperati dai francesi come conseguenza degli studi e degli investimenti già fatti per lo sviluppo dell’industria atomica1. Comunque, anche per gli americani, tale atteggiamento doveva in gran parte essere considerato come uno degli aspetti delle reazioni francesi di fronte al problema tedesco. Sembra tuttavia che in Francia ci si stia persuadendo che qualunque iniziativa destinata a legare sempre più permanentemente la Germania all’Europa Occidentale e all’Organizzazione difensiva atlantica, quale sarebbe indubbiamente una forma integrativa dello sfruttamento dell’energia atomica, sia di gran lunga preferibile ad una situazione che lasciasse il potenziale tecnico ed industriale tedesco libero di disporre senza controlli di una fonte di energia dell’imponenza di quella atomica.

Anche agli americani consta che dietro a un atteggiamento ufficiale tedesco favorevole alla costituzione dell’Euratom, stiano molte difficoltà e riserve che l’iniziativa solleva negli ambienti industriali della Germania Occidentale.

Si tratta di atteggiamenti teorici, nonché di tattica e strategia economica. I primi, che si risolvono in definitiva in illusioni pericolose, si riferiscono all’impostazione liberale dell’ attuale economia tedesca, per cui quegli industriali pensano di poter ricavare maggiori vantaggi da un mercato libero che non da uno «comune» dell’energia atomica e sostengono – più o meno in buona fede – che qualsiasi controllo statale o sopranazionale sia superfluo.

Da un punto di vista tattico e strategico, la tesi degli industriali tedeschi sarebbe poi quella di evitare controlli e discriminazioni, assicurando così all’industria tedesca quei vantaggi a cui essa per il suo livello di sviluppo di tecnica ritiene di poter aspirare.

Per quanto riguarda l’atteggiamento britannico, ci è stato detto che l’Inghilterra ha, a suo tempo, comunicato il suo desiderio di non impegnarsi in un sistema integrativo europeo, pur non escludendo la possibilità di una associazione del tipo di quella già conclusa per quanto concerne la produzione del carbone e dell’acciaio.

Da parte americana, si considera con tranquillità tale atteggiamento anche perché esso non costituisce una novità da parte britannica ed era perciò, in un certo senso, atteso.

Ci si rende conto a Washington che gli impegni che la Gran Bretagna ha oltre oceano, anche per il fatto di dover attingere a riserve di uranio situate non in territorio di dominio diretto, ma in quelli dei paesi del Commonwealth, spiegano, entro certi limiti, l’atteggiamento di riserva mantenuto nei confronti del movimento integrativo europeo dell’atomo. A questi motivi di carattere politico si aggiunge, come avviene per i francesi e a molta maggior ragione, il timore di perdere i vantaggi acquisiti da vari anni nel progresso dell’industria atomica. In questa sono state infatti investite considerevoli somme di denaro che, se l’atomo potesse essere venduto su un mercato libero, potrebbero dare maggiori frutti che non se esso dovesse essere offerto su un mercato comune.

In ogni caso si ritiene che il pragmatismo britannico consiglierà l’adozione di quelle forme, quali l’associazione del tipo adottato per la C.E.C.A., che, per ora, rispondono meglio alle varie esigenze mondiali ed europee della politica inglese.

Nel considerare tutti gli aspetti del problema, i nostri interlocutori hanno voluto attirare anche la nostra attenzione sulle conseguenze e sulla portata di carattere militare che può avere lo sviluppo dell’energia atomica per scopi pacifici. Il Governo americano si rende ben conto che un uso ed una disponibilità incontrollata del materiale fissionabile, come pure il passaggio dalla cessione di reattori di ricerca a quelli di reattori di energia produttori di plutonio, possano risultare in pericolo se incognite nella costruzione di armi atomiche, da parte di paesi stranieri, che potrebbero sconvolgere l’attuale distribuzione delle forze in Occidente.

Il Dipartimento ci ha lasciato intendere che su questo punto è oggi concentrata l’attenzione degli esperti americani: non è da escludersi anzi che proprio alla complessità di tale studio e di tali decisioni sia da attribuirsi la maggiore lentezza e cautela che si va sperimentando da parte delle case americane nei contatti con quelle estere in tema di reattori di potenza. Comunque il Dipartimento di Stato si augura che, nella eventuale costituzione di un pool atomico, destinato a favorire lo svilupparsi di questo ramo dell’industria in Europa, non venga trascurato questo aspetto del problema e vengano, fin da ora, studiate e messe in atto tutte le misure possibili di controllo atte a prevenire un abuso delle riserve di plutonio.

A questo riguardo, i nostri interlocutori hanno espresso l’avviso che potrebbe essere di grande interesse e utilità se i paesi membri dell’Euratom eseguissero un attento studio comparativo delle legislazioni rispettive e di quella americana, allo scopo di addivenire ad un opportuno coordinamento e possibilmente alla emanazione di provvedimenti analoghi.

Abbiamo osservato da parte nostra che era certamente interesse italiano e dei paesi del gruppo europeo di conoscere in dettaglio la legislazione americana e, più che quella esistente, le eventuali intenzioni di modifiche e di adattamenti che potrebbero manifestarsi nell’ambito della Atomic Energy Commission. A questo riguardo è possibile che nei prossimi giorni si abbia una riunione con la Commissione stessa.

Abbiamo quindi accennato ai nostri interlocutori alla notizia di recente annunziata da Hollister, secondo la quale il Governo americano era pronto a costituire un centro di studi e di ricerche atomiche in Asia quale contributo allo sviluppo di quel settore. Circa tale centro, sulla cui ubicazione non è stata ancora presa una decisione e su cui gli americani mantengono un imbarazzato riserbo (non sarebbe da escludere che tale riserbo fosse determinato da un «fiasco» sperimentato con gli indiani e dalla conseguente incertezza della scelta tra due paesi come Filippine e Ceylon), i nostri interlocutori hanno fatto osservare che esso avrebbe dovuto essere incaricato dell’addestramento di studenti e di scienziati ancora in stadio iniziale di preparazione.

È apparso chiaro, d’altra parte, che non si contemplerebbe qui una iniziativa americana per la costituzione in Europa di un centro analogo, dato lo stadio più avanzato di progresso raggiunto dagli europei nel campo della fisica nucleare. Ci è stato invece detto che, non appena si fosse costituito l’Euratom, l’Amministrazione avrebbe l’intenzione di farsi parte diligente per ottenere che il Congresso modifichi la legislazione vigente in materia atomica, allo scopo di permettere la concessione all’organizzazione integrata di quegli aiuti e di quell’assistenza, anche nel campo degli studi, delle ricerche e dell’addestramento, che sono previsti ora soltanto sulla base di accordi bilaterali.

Si è comunque approfittato della conversazione per riferirci alla possibile intensificazione dei rapporti nel campo atomico, tanto dal punto di vista dell’addestramento scientifico, quanto da quello dello scambio di informazioni più riservate, come ad una possibile via da percorrere nell’ambito dell’art. 2 del Patto atlantico.

È ovvio tuttavia che gli americani, in questa fase iniziale di formazione dell’Euratom, non desiderino sovrapporre idee o iniziative che possano frustrare quell’azione intrapresa dai sei paesi europei, che dovrebbe portare alle realizzazioni di integrazione europea nel campo atomico tanto auspicate in questo momento dal Governo americano.


1 Vedi D. 104.

110

COLLOQUIO DEL DIRETTORE GENERALEDEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,CON L’AMBASCIATORE DEL REGNO UNITO A ROMA, CLARKE

Appunto. Roma, 12 dicembre 1955.

APPUNTO PER S.E. IL MINISTRO

È venuto stamani a vedermi Sir Ashley Clarke per fare comunicazioni identiche a quelle fatte a Parigi dal suo collega Sir Hugh Ellis-Rees alla riunione di Capi Delegazioni della O.E.C.E. (vedasi telegramma di Vitetti n. 356)1.

Sir Ashley Clarke in sostanza mi ha dichiarato che il Governo britannico, nella sua responsabilità di presidente dell’O.E.C.E., e per tener conto di preoccupazioni che gli sono state avanzate dai vari Governi membri dell’O.E.C.E., ritiene che sarebbe giunto il momento di esaminare e di discutere all’O.E.C.E., al prossimo Consiglio di Ministri, i progetti di stretta cooperazione economica fra i sei Governi partecipanti ai lavori di Messina e di Bruxelles, al fine di far sì che gli obiettivi di raggiungimento di un mercato comune europeo, o di altre costruzioni a ciò connesse, siano confrontati ed eventualmente riconciliati con gli obiettivi presi in comune in sede O.E.C.E. e particolarmente nel campo degli scambi e dei pagamenti. Il Governo britannico pensa che non si dovrebbe far sì che la costruzione dei Sei possa indebolire o minare i risultati finora ottenuti nel cerchio più vasto dell’O.E.C.E.

Si ha anzi la sensazione in Gran Bretagna che il fatto che da parecchi mesi siano in corso lavori tra i Sei, ha già avuto effetti non favorevoli sulla esecuzione degli obiettivi dell’O.E.C.E., da parte di qualche Governo partecipante ai lavori di Bruxelles (Francia).

Ho preso atto di quanto comunicato da Clarke e l’ho assicurato che ne avrei riferito senza indugio a V.E.

Come prima reazione, beninteso, a carattere personale, e ispirata alle direttive date da V.E., ho fatto presente quanto segue:

È sempre stata costante preoccupazione del Governo italiano che la collaborazione dei sei Governi, enunciata nel programma di Messina, costituisse un apporto importante per la cooperazione in Europa e, come tale, un fattore di rafforzamento dell’O.E.C.E. stessa e cioè della cooperazione con i membri del cerchio più largo in Europa.

Il Governo italiano si è reso conto che qualche inconveniente poteva nascere dalla troppo prolungata discussione tecnica tra i sei Governi per la definizione degli obiettivi per un mercato comune.

V.E. infatti nella riunione di Noordwijk dell’ottobre2 aveva esercitato pressioni molto chiare per una conclusione dei lavori.

Se non è stato possibile andare più svelti, ciò è in dipendenza della crisi francese. Ma intenzione nostra e di altri Governi dei Sei è di concludere i lavori preparatori appena vi sia un Governo francese nel prossimo gennaio. Sulla sostanza delle preoccupazioni degli altri Governi membri dell’O.E.C.E. e cioè che genere di mercato europeo si abbia intenzione di realizzare, chiuso o aperto, la posizione italiana è sempre stata di mirare ad un rafforzamento dell’economia europea in stretta connessione però con le altre economie europee, con le quali è connessa.

Ho aggiunto che mentre sono incline a pensare che il Governo italiano non veda nessun inconveniente nell’avere una discussione in sede O.E.C.E. degli obiettivi comuni dei sei paesi in campo economico, mi sembrava di dover aggiungere, sempre a titolo personale, che una tale discussione non potrebbe essere fruttuosa se non quando una prima bozza di conclusioni ferme sia stata raggiunta a Bruxelles dai sei Governi. Mettere questo argomento all’ordine del giorno del Consiglio di Ministri dell’O.E.C.E., se questo avesse luogo il 10 febbraio, non avrebbe portato a nulla di molto utile in quanto la discussione non avverrebbe soltanto fra i sei Governi e gli altri membri dell’O.E.C.E., ma anche tra gli stessi Sei, se fra di essi non vi fossero ancora intese preliminari.

In tal caso una insistenza britannica a discutere prematuramente questi problemi avrebbe potuto correre il rischio di essere interpretata come un freno al raggiungimento di un orientamento comune tra i Sei.


1 Vedi D. 107.


2 Vedi D. 85.

111

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., A PARIGI

T. segreto 12981/3921. Roma, 13 dicembre 1955, ore 15,30.

Oggetto: Rilancio europeo e O.E.C.E.

Suoi 356 e 3572.

È pensiero anche nostro che, quando decisioni dei sei Governi interessati avranno avuto modo di essere precisate sulla base dei lavori tuttora in corso a Bruxelles, sarà utile avere uno scambio di idee in sede O.E.C.E. sia per mettere al corrente altri Governi linee generali azione europeista, sia per stabilire necessari collegamenti in relazione alle regole di carattere generale vigenti nella Organizzazione. È tuttavia da domandarsi se una discussione prematura possa condurre a utili risultati e pertanto ci sembra che decisione per iscrizione all’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei Ministri non possa essere presa ora, ma piuttosto in prosieguo di tempo quando lavori Bruxelles saranno giunti a stadio più avanzato.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con il numero di protocollo 504.


2 Vedi D. 107.

112

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

Appunto riservatissimo1.

APPUNTO SULLA RIUNIONE MINISTERIALE DEL CONSIGLIO ATLANTICO

E SULLA RIUNIONE DEL CONSIGLIO DIRETTIVODELL’UNIONE DELL’ EUROPA OCCIDENTALE

(Parigi 14-16 dicembre 1955)

Secondo la consuetudine di fine d’anno e sotto la presidenza del Presidente di turno, Ministro degli Affari Esteri di Islanda, Signor Gudmundsson – che poi, nel corso delle discussioni, ha praticamente ceduto la presidenza stessa al Segretario Generale, Lord Ismay – il Consiglio Atlantico si è riunito, nel Palais de Chaillot, alla data prevista del 15 dicembre 1955.

Alla riunione, che ha avuto carattere plenario ed alla quale hanno partecipato Delegazioni particolarmente numerose, l’Italia è stata rappresentata dal Ministro degli Affari Esteri, On. Martino, con il quale erano il Ministro della Difesa, On. Taviani ed il Sottosegretario per il Bilancio, On. Ferrari Aggradi.

Dopo aver preso visione, anche qui secondo la prassi oramai abituale, del rapporto compilato dal Segretariato Generale dell’Organizzazione sull’azione da questa compiuta nel periodo intercorso tra il 1° maggio ed il 30 novembre, il Consiglio ha iniziato lo studio compiuto, dagli organi competenti, tanto sul coordinamento dell’azione dell’Alleanza quanto sugli sviluppi della politica sovietica negli ultimi mesi. E tale studio ha permesso una discussione generale di carattere politico, sviluppatasi poi in una riunione ristretta alla quale hanno partecipato i Ministri degli Affari Esteri.

In essa i Rappresentanti dei vari Stati hanno posto in risalto le conclusioni che è lecito trarre dagli importanti sviluppi politici degli ultimi mesi culminati con il non felice esito della seconda Conferenza di Ginevra.

Tra gli altri il Ministro On. Martino ha messo in particolare rilievo come Mosca, rimanendo fedele al dogma dell’universalità del comunismo e continuando una sua politica di disturbo tanto in Europa quanto negli altri continenti, vada oramai nettamente orientandosi verso una azione economica e psicologica altrettanto pericolosa di quella militare: azione alla quale occorre, da parte dell’Alleanza atlantica, controbattere efficacemente e negli stessi settori prescelti da Mosca favorendo quindi tutti quei metodi e quei sistemi atti – primo tra tutti, per quanto concerne il nostro continente, l’integrazione europea – a impedire la disgregazione interna dei paesi interessati. In altre parole se i problemi di ciascun paese dovessero essere considerati quali locali e non già generali, si produrrebbe una deformazione di prospettiva capace di favorire, in forma definitiva, la nuova azione intrapresa dall’Unione Sovietica: azione di cui gli ultimi e più clamorosi episodi sono costituiti dai rapporti diretti e personali che i dirigenti di Mosca stanno successivamente prendendo con tutti i paesi del settore asiatico. Situazione, questa, che necessita uno sforzo coordinato dei paesi del mondo libero in merito a tutti i problemi politici ed economici con una organica ed efficace coordinazione di tutte le loro grandi forze politiche, tecniche ed industriali, finanziarie e di mano d’opera. Soltanto così l’Alleanza atlantica potrà rivolgere a tutti i paesi, e particolarmente a quelli non sufficientemente sviluppati, un messaggio di effettivo interessamento ed incoraggiamento per impedire il loro progressivo inglobamento nel blocco avversario.

Il Consiglio è poi passato ad esaminare in dettaglio le importanti questioni di carattere più propriamente militare concernenti tanto la «revisione annuale» per il 1955 nella quale le necessità di difesa vengono, come è noto, considerate alla luce delle possibilità economiche e finanziarie di ciascuno dei paesi alleati, quanto i rapporti relativi ai progressi compiuti dall’Organizzazione nel coordinamento della protezione militare atlantica.

Tutti questi documenti sono apparsi, proprio perché nel quadro degli sviluppi della strategia e delle applicazioni delle armi nuove nei confronti di quelle convenzionali, particolarmente interessanti. Tra l’altro il Comandante in Capo dello S.H.A.P.E., Generale Gruenther, ha personalmente illustrato al Consiglio gli intendimenti ed i piani del Comando stesso in merito alla formazione di un nuovo sistema di avvistamento e di protezione antiaerea in tutta la zona europea con la sua divisione in quattro speciali settori coordinati a mezzo di un organismo centrale.

Tra tali questioni militari è apparsa di primaria importanza e significato quella costituita dalla necessità di una revisione completa dei cosiddetti «piani di Lisbona» e ciò sia per le avvenute trasformazioni, strategiche e tattiche, del dispositivo di difesa nel nostro continente a causa degli avvenimenti politici in esso recentemente verificatisi, sia per la conseguente maggiore importanza assunta da taluni dei settori medesimi, quali il Mediterraneo: situazione questa che aveva già fatto oggetto di una iniziativa italiana avanzata e sviluppata nel corso della riunione dei Ministri della Difesa tenutasi a Parigi nello scorso ottobre.

Così il Ministro italiano della Difesa, On. Taviani, nel ritornare su questa iniziativa, ha potuto fare approvare dal Consiglio una decisione di massima per la quale, tra l’altro, viene stabilito che, a mezzo di un esame collettivo, sarà dato di identificare quei casi nei quali – sempre allo scopo del rafforzamento della difesa in taluni settori considerati di particolare interesse generale – uno sforzo comune, anche di carattere finanziario, dovesse rendersi necessario.

L’ultima parte della riunione è stata infine dedicata alla discussione, richiesta da parte italiana, in merito ad una maggiore e più efficace attuazione delle norme e degli intendimenti contenuti nell’articolo n. 2 del Patto atlantico, relativo, come è noto, agli sviluppi di una coordinazione fra gli alleati nei settori culturale, economico e sociale per il raggiungimento di un migliore regime di vita delle popolazioni dei singoli paesi.

Questo argomento era già stato trattato altra volta e fin dai tempi della Conferenza atlantica di Ottawa del 1951, ma, forse anche a causa della urgente ed improrogabile polarizzazione dell’attività atlantica sulle necessità del potenziamento della difesa militare, non aveva mai trovato la sua giusta impostazione e la sua effettiva valorizzazione, con un conseguente minore interessamento, da parte delle pubbliche opinioni, nei confronti della creazione di una vera e propria comunità atlantica atta ad affrontare tutti i problemi della vita collettiva e non già soltanto quelli di natura specificamente militare.

Oggi – come ha fatto subito osservare il Ministro On. Martino, che, nell’illustrare i motivi della necessità della discussione stessa, ha ad essa dato inizio – i termini del conflitto fra i due blocchi vanno spostandosi, probabilmente anche a causa di un relativo raggiunto equilibrio di forze e particolarmente per i tremendi pericoli insiti in una guerra guerreggiata, verso settori importantissimi nella vita civile. Si sta cioè passando ad un periodo di «competitive coexistence» nel quale le iniziative politiche, economiche e di propaganda sono destinate a moltiplicarsi come proprio sta a dimostrare, in questi giorni, lo sforzo che l’Unione Sovietica sta compiendo non soltanto nei riguardi di paesi asiatici ma oramai anche del Medio Oriente e, in certa parte, dell’Africa. La contromanovra alleata non può quindi non svolgersi proprio prendendo lo spunto da una valorizzazione della collaborazione prevista e contemplata nell’articolo n. 2 del Patto.

Ora – ha continuato l’On. Martino – se nel campo della consultazione politica ed anche in taluni settori della propaganda collettiva qualche progresso è stato effettivamente compiuto, poco è stato fatto per una effettiva ed efficace collaborazione economica e sociale. Sembra così giunto ora il momento di dare maggiore considerazione alle capacità tecniche, finanziarie e di lavoro dei paesi alleati sia per venire, in una proiezione di carattere esterno, in soccorso ai paesi sottosviluppati, sia per raggiungere un effettivo rafforzamento della collaborazione economica nell’interno dell’Alleanza. Su questo ultimo punto, e per quanto concerne specificamente l’Europa, occorre che i paesi maggiormente interessati si adoperino per raggiungere al più presto possibile un accordo per la creazione di un mercato comune in Europa, e per svolgere un’azione collettiva diretta a permettere lo sviluppo delle zone economicamente deboli che si trovano in seno all’Alleanza. Lo stesso studio compiuto dagli organi della N.A.T.O. in merito agli sviluppi paralleli delle economie del blocco atlantico e del blocco sovietico, mostra chiaramente quale sia il pericolo rappresentato da un accrescimento molto rapido del potenziale economico delle zone che fanno capo a Mosca: da ciò la constatazione della necessità di compiere qualsiasi sforzo per profittare delle capacità di produzione fino ad oggi non sufficientemente sfruttate e che effettivamente esistono nei nostri paesi. In una parola, alla nozione dell’alleanza deve, in effetti, corrispondere la nozione della indivisibilità della stabilità economica.

Le argomentazioni fatte presenti dal Ministro On. Martino sono state poi ampiamente riprese e confermate dal Ministro degli Affari Esteri dei Paesi Bassi, Beyen, al quale si sono associati altri Rappresentanti in modo che alla fine è stato possibile, questa volta, espressamente e specificamente indicare, nel comunicato finale della riunione, il riconoscimento da parte del Consiglio Atlantico della necessità, in vista della recente evoluzione della situazione internazionale, di una maggiore stretta collaborazione tra gli alleati sulla base prevista dall’art. 2 del Trattato: il Consiglio Permanente di Parigi studierà ora e metterà in azione le misure ritenute utili a tale scopo.

Di notevolissimo interesse è stata, questa volta, anche la compilazione di tale comunicato finale, affidata specificamente dal Consiglio ai Ministri degli Affari Esteri del Belgio e della Repubblica Federale Tedesca, Spaak e von Brentano, e ciò dato il carattere di notevole rilevanza politica che il Consiglio stesso ha voluto dare ad un simile documento. In esso, infatti, dopo la constatazione del rifiuto sovietico manifestatosi a Ginevra di venire davvero ad un accordo in merito tanto alla riunificazione, a mezzo di libere elezioni, della Germania, quanto all’istituzione di un efficace sistema di controllo degli armamenti e persino alla creazione di un libero scambio di informazioni e di persone tra i popoli dell’Unione Sovietica e quelli del mondo libero, si afferma nettamente la volontà dei paesi atlantici di vedere nel Governo di Bonn il solo governo libero e legittimamente costituito della Germania stessa.

Il comunicato inoltre, nel fare accenno alle recenti iniziative e dichiarazioni definite «provocatorie» dell’Unione Sovietica in merito al Medio Oriente ed all’Asia, dichiara che una tale tattica, parallela al continuo accrescimento della capacità militare dei Soviet, è destinata a sollevare nuovi problemi e a costituire una nuova «sfida» contro il mondo libero. In conclusione gli alleati dichiarano che la N.A.T.O. resta il fondamento non rimpiazzabile della sicurezza delle quindici Nazioni alleate e che soltanto attraverso di essa si potrà dare fine all’antico sistema per il quale le Nazioni, rimanendo isolate, erano destinate ad essere soggiogate, l’una dopo l’altra, da un gruppo «dispotico» quale quello sovietico.

La riunione atlantica è stata preceduta da altra, ad essa in certo modo collegata, del Consiglio Direttivo dell’Unione dell’Europa Occidentale tenutasi, sotto la presidenza del Ministro degli Affari Esteri dei Paesi Bassi, Beyen, nel Quai d’Orsay nel pomeriggio del 14 dicembre.

Per tale riunione non era previsto un vero e proprio ordine del giorno. Ma essa si è rivelata non poco interessante in quanto che il Ministro degli Affari Esteri del Belgio, Spaak, che, come è noto, è il «coordinatore» dell’attività prevista dagli accordi di Messina per il rafforzamento e l’unicità dell’azione economica tra i sei paesi europei che formano la C.E.C.A., ha ritenuto opportuno mettere nettamente sul tappeto l’interrogativo se effettivamente esista – come vari indizi, in questi ultimi tempi, hanno fatto supporre – una vera e propria riserva britannica nei confronti di un progettato e auspicato mercato unico europeo tra i sei paesi continentali. Sensazione, questa, destinata evidentemente a creare preoccupazioni ed inquietudini tali da praticamente infirmare lo sviluppo e la conclusione dei lavori degli speciali Comitati formatisi, a quello scopo, a Bruxelles.

Il Ministro degli Affari Esteri del Regno Unito, Macmillan, chiamato tanto direttamente in causa, ha fornito alcune specificazioni, rievocando tutta l’azione svolta dal Governo di Londra, proprio per difendere e potenziare l’Europa, all’indomani stesso del crollo della C.E.D., e facendo presente come Londra non intenda svolgere alcuna ingerenza nei confronti dei lavori di Bruxelles. Egli però non ha mancato di aggiungere come l’U.E.O. fosse rimasta, in quanto tale, estranea agli accordi di Messina. Ora – egli ha continuato – il Regno Unito è stato spesso accusato, in questi ultimi decenni, di aver fatto troppo tardi udire la propria voce in merito agli sviluppi delle situazioni internazionali. Questa volta esso non intende pronunciare alcuna «condanna» circa gli sviluppi di una «Europa a sei» ma esso mancherebbe al suo dovere se non facesse tempestivamente giungere un suo avvertimento (warning) in merito ai pericoli insiti nel voler creare una speciale e particolare situazione economica in un solo settore dell’Europa con evidenti danni tanto nei confronti di altri paesi quanto delle organizzazioni internazionali, prima tra tutte l’O.E.C.E., oggi esistenti. La creazione, quindi, di un mercato comune limitato a sei paesi non potrebbe non sollevare problemi che devono essere tempestivamente, ed in antecedenza, attentamente studiati e considerati.

A queste argomentazioni ed osservazioni hanno controbattuto specialmente, oltre lo stesso Spaak, Beyen e l’On. Martino facendo tra l’altro presente come le preoccupazioni affiorate tanto nel Governo del Regno Unito quanto in seno all’O.E.C.E. sembrino ingiustificate specie anche perché appare ben difficile considerare le eventuali conseguenze dei lavori di Bruxelles prima che questi siano stati effettivamente conclusi. A Bruxelles tanto il Regno Unito quanto l’O.E.C.E. sono del resto rappresentati da speciali loro osservatori e cio renderà possibile una ulteriore tempestiva consultazione.

Il Consiglio Direttivo ha poi preso in esame il delicato problema della entità delle forze militari dei singoli paesi componenti l’U.E.O. nel quadro ed in merito alle limitazioni stabilite negli accordi costitutivi di Parigi, e ha deciso di incaricare i Rappresentanti permanenti, residenti a Londra, di stabilire una procedura atta a permettere, ogni anno, di pronunciarsi in merito alla pianificazione delle forze concernenti le unità poste, da parte degli Stati membri dell’U.E.O., sotto il comando degli organi della N.A.T.O.

Ultimo argomento trattato al Consiglio è stato quello relativo alla formazione ed al funzionamento della Agenzia di controllo degli armamenti, costituita, a norma degli stessi accordi di Parigi e che appare avere incontrato, in questi ultimi tempi, talune difficoltà dovute sopratutto al fatto che non pochi dei paesi interessati appaiono tuttora privi delle disposizioni legislative interne atte a facilitare, in pratica, il suo effettivo funzionamento.

Dopo una esauriente esposizione fatta dal Capo della Agenzia, Ammiraglio Ferreri, si è svolta una discussione diretta a considerare la convenienza di una pronta entrata in funzione dell’organismo. Il Rappresentante italiano, On. Martino, nel porre in rilievo tutti i motivi politici che consigliano, anche ai fini di una eventuale nuova ripresa di contatti con l’Unione Sovietica in merito ai sistemi ritenuti migliori per un effettivo controllo degli armamenti, tale inizio, ha insistito perché i paesi dell’U.E.O. non dessero l’impressione di praticamente mettere in sordina un efficace sistema di autocontrollo, quale quello previsto dall’Agenzia. Alla fine è stato, di comune accordo, stabilito che l’Agenzia stessa potrà alla data del 1° gennaio 1956 iniziare effettivamente la sua azione di studio e di comparazione sulla base dei documenti informativi che, su sua richiesta, le verranno forniti dai singoli Stati dell’Unione. In un secondo periodo, che deve augurarsi prossimo, essa passerà all’effettivo controllo a mezzo di visite ed ispezioni «in loco».

Le due riunioni, e particolarmente quella del Consiglio della N.A.T.O., si prestano, a seguito ed a riassunto delle interessanti discussioni in esse avvenute, a talune osservazioni e considerazioni.

1. L’Organizzazione atlantica è indubbiamente passata, negli scorsi mesi, ed a causa delle perplessità sorte in merito agli sviluppi della cosiddetta «distensione», attraverso un periodo non facile vuoi di carattere psicologico vuoi, conseguentemente, di carattere organizzativo. Ora i giochi sono stati fatti e hanno dimostrato come in realtà si sia passati ad una nuova impostazione di «guerra fredda» con conseguente necessità di una revisione e di un rafforzamento dei piani dell’Alleanza. A questo proposito l’imponenza della riunione alla quale, come si è sopra già accennato, le Delegazioni hanno partecipato in numero inusitatamente considerevole, ha dimostrato la «ripresa» dell’attività atlantica. E la vivacità dei termini e degli argomenti contenuti nel comunicato finale ha voluto essere, nei confronti delle pubbliche opinioni, una prova provata delle rinnovate possibilità di reazione dei paesi atlantici alla cosiddetta nuova «sfida» sovietica.

2. Di quanto sopra gli americani non hanno potuto, naturalmente, non compiacersi e il Segretario di Stato Foster Dulles non ha mancato, in compenso, di dare assicurazioni per il mantenimento, la prosecuzione e forse anche l’intensificazione degli aiuti militari ai paesi dell’Alleanza ritenuti in condizione di maggiore necessità.

3. Tutte le informazioni fornite dai singoli Rappresentanti – e particolarmente da quelli degli Stati presenti alle Conferenze di Ginevra nonché dal Ministro canadese Pearson recatosi, come è noto, negli scorsi mesi a Mosca – hanno concordato nel far ritenere come il Governo sovietico, convinto forse dei pericoli di una guerra combattuta, si sia nettamente orientato per l’istituzione di un «interludio di pace» nel quale esso, sicuro di una vittoria dei principi comunisti a più o meno lunga scadenza, conta poter svolgere in numerosi settori e particolarmente presso i cosiddetti paesi neutrali un’azione intesa a facilitare la disintegrazione dell’Occidente: niente, quindi, riunificazione della Germania se non a prezzo di una sua progressiva comunistizzazione.

4. Il problema tedesco, come è apparso chiaramente nel corso della discussione politica accentratasi intorno ad alcune importanti dichiarazioni fatte dal Ministro degli Esteri von Brentano, resta tuttora al centro dell’attenzione della N.A.T.O. Il Rappresentante di Bonn ha, a tale proposito, riaffermato la netta convinzione del suo Governo – e ciò anche ai fini della sua solidità nei confronti della propria opinione pubblica – di voler rimanere fedele all’Alleanza occidentale chiedendo però in cambio una rinnovata condanna ed ostracismo del cosiddetto Governo di Pankow. In altre parole un qualsiasi tentennamento occidentale porterebbe, secondo von Brentano, a conseguenze molto gravi sulla compagine tedesca. E tale concetto ha ribadito il Segretario di Stato Hallstein nell’esporre la situazione oggi regnante a Berlino.

5. I paesi alleati, nel prendere conoscenza degli sviluppi del Patto di Bagdad2 quali esposti dal Rappresentante della Turchia, hanno mostrato di volere aprire bene gli occhi su quanto avviene nel Medio Oriente e in taluni altri Stati asiatici. Tra l’altro il Ministro degli Esteri di Francia, Pinay, ha fatto allusione alla creazione, da parte occidentale, di un «piano» da lanciarsi nel quadro delle Nazioni Unite, a favore dei paesi di quel settore.

6. I dubbi e le perplessità, esistenti in taluni paesi europei, circa i veri intendimenti del Regno Unito nei confronti della cosiddetta «Europa a sei» sono usciti, dalle riunioni di Parigi, piuttosto confermati in quanto che, questa volta, si è avuto un abbastanza esplicito «avvertimento» britannico, al quale si sono naturalmente associati specialmente i Paesi scandinavi, inteso a far comprendere come il mantenimento e l’efficienza dell’O.E.C.E., nella quale, come è noto, il Regno Unito svolge funzioni preminenti, siano ritenute condizioni essenziali e pregiudiziali per la collaborazione economica. Evidentemente è questo un campo ed una situazione degni della maggiore attenzione. Da parte italiana è stato comunque esplicitamente fatto presente come l’attività ed i lavori intesi a permettere progressivamente la creazione di un mercato comune limitato, per ora, ai sei paesi ma naturalmente aperto a quanti volessero parteciparvi, saranno continuati fino all’auspicato raggiungimento dell’accordo. Si tratta, nel caso dell’integrazione europea, di una vera e propria «idea forza» che, specie nei paesi come l’Italia aventi una forte opposizione comunista, appare suscitare, specie in taluni settori della gioventù, interesse ed attrazione.

7. Nella riunione della N.A.T.O. è stata fatta questa volta, e per iniziativa portoghese, chiara parola della opportunità che un giorno la Spagna possa entrare a far parte dell’Organizzazione in quanto ritenuto elemento importante nel quadro politico e militare della reazione alleata alle mosse sovietiche nel Medio Oriente e sulle coste mediterranee. Ma qui l’opposizione dei Paesi scandinavi, Norvegia dapprima e Danimarca in seguito, è stata chiara e precisa in quanto che i loro Rappresentanti hanno esplicitamente affermato come il regime di Madrid non possa essere considerato dalle loro opinioni pubbliche quale atto a confermare, con la sua partecipazione alla N.A.T.O., il «carattere democratico» dell’Alleanza: atteggiamento questo che può sembrare contraddittorio con l’approvazione, data proprio negli scorsi giorni, dagli stessi Paesi scandinavi, all’ammissione della Spagna alle Nazioni Unite, ma di cui occorre comunque tenere debito conto.


1 Il documento è datato Roma, 19 dicembre 1955.


2 Ci si riferisce all’alleanza politico-militare fra l’Iraq e la Turchia, siglata il 24 febbraio 1955 e alla quale avevano successivamente aderito l’Iran, il Pakistan e la Gran Bretagna.

113

L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 69/3. Bonn, 2 gennaio 1956.

Oggetto: Viaggio dell’On. Presidente del Consiglio e dell’On. Ministro degliAffari Esteri a Bonn.

Con telespresso n.12898/1969 del 27 settembre 19551, trasmisi a codesto Ministero una serie di appunti in relazione alla visita del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Affari Esteri allora prevista per il mese di ottobre.

Poiché nel frattempo molti avvenimenti si sono prodotti ed altri sono venuti man mano modificandosi rispetto alla situazione descritta negli appunti stessi, ritengo opportuno aggiornare questi ultimi di maniera che V.E. possa avere al momento della sua venuta qui, un quadro più esatto tanto circa lo stato dei rapporti italo-tedeschi, quanto circa le reazioni germaniche in merito a questioni più generali.

Gli appunti inviati nel mese di settembre, si dividevano come segue: questioni dirette italo-tedesche (A. Alto Adige, B. Lavoratori, C. Rapporti economici, D. Rapporti culturali); questioni particolari (Caso Kappler, Restituzioni, Rapporti fra ANSA e DPA); questioni generali (Interpretazione dell’alleanza; Integrazione europea; Riunificazione tedesca; Patti di sicurezza e rapporti con l’Est).

Le questioni particolari sono rimaste all’incirca quelle che erano all’epoca in cui i precedenti appunti vennero redatti; quindi l’aggiornamento di essi (allegati a, b e c) ha comportato solo limitate modifiche: credo del resto che scarse saranno le possibilità di trattare gli argomenti relativi.

Le questioni più specificatamente italo-tedesche hanno invece subito modificazioni anche sostanziali: e perciò trasmetto qui uniti i Promemoria nn. 1, 2, 3 e 42, i quali le riprendono alla luce dei rapporti odierni fra il nostro paese e la Germania.

Per quanto infine riguarda le questioni generali, credo utile riassumere il mio pensiero in un Appunto unico che prende quindi il n. 53.

Allegato

PROMEMORIA N. 5

I

La questione che avevo segnalata per prima tra quelle da sollevare in occasione della visita, e cioè l’interpretazione dell’alleanza tra i due paesi nel quadro dell’alleanza generale, è restata all’incirca quella che era allora descritta. Direi anzi che essa si è acutizzata, nel senso che presenta oggi un’importanza maggiore, in vista dell’eventualità che o per pressione dell’opinione pubblica o per allettamenti sovietici, il Governo tedesco possa un giorno venir indotto a trattare direttamente con l’Est, ossia o con Mosca o con il Governo della Repubblica Democratica Tedesca o con ambedue.

In tal caso, è evidente che i rischi che potrebbero correre gli alleati relativamente ad una modificazione dell’atteggiamento tedesco nei rispetti dell’alleanza generale risulterebbero ancor più gravi di quanto non fossero in precedenza. Tali rischi possono essere connessi con due eventualità: o che la Germania, per addivenire alla sua riunificazione, esca dall’alleanza occidentale, indebolendo così tutto il sistema di difesa del mondo libero ed avviandosi in tal modo verso la strada della neutralizzazione o quanto meno di una terza forza fra i due blocchi contendenti; oppure che essa richieda modifiche sostanziali dei Trattati di Parigi, tali da alterarne profondamente la portata e il contenuto.

Tralascio volutamente la terza e più grave eventualità, e cioè che per inconsulti atteggiamenti la Germania possa spingere ad una situazione tale dalla quale non vi sia altra via d’uscita se non quella di un conflitto.

Rammenterò invece che in questo momento di profonda delusione a seguito dell’insuccesso della Conferenza di Ginevra, e a motivo dell’intransigenza sovietica, si assiste in Germania ad un lento riscaldarsi dell’opinione pubblica, la quale, se dapprima indifferente alla questione della riunificazione, poco a poco, e spinta dal successo ottenuto nel plebiscito della Saar nonché dal rapido benessere che si afferma nel paese, è indotta ad occuparsi sempre maggiormente dell’avvenire nazionale, avocando in certo modo a sé quello che era rimasto fino ad ora un problema ristretto ad alcune classi politiche, problema che del resto queste ultime trattavano non già a sé stante bensì come materia di gioco nella politica di opposizione a quella del Cancelliere.

Si assiste perciò ad alcuni tentativi, prevalentemente sostenuti da una frazione dei liberali e da ambienti protestanti, affinché si giunga ad avvicinarsi alla tesi sovietica in quanto essa proclama che la riunificazione tedesca è materia da trattarsi direttamente fra tedeschi anche se appartenenti a due Governi così diversi come quelli dell’Ovest e dell’Est. L’idea di un Comitato o di un Parlamento pantedesco va prendendo piede, purché esso (nell’erronea idea dei sostenitori) possa consistere di una rappresentanza proporzionale e non paritetica delle due popolazioni. E’ chiaro che una volta posti su questa strada, i rapporti fra Germania Occidentale e Orientale scivolerebbero fatalmente nelle trattative dirette con l’URSS in quanto essa è la potenza che di fatto detiene la chiave della riunificazione o della separazione del paese.

Perciò, non appena inoltrati su questo cammino, i tedeschi potrebbero trovarsi di fronte a richieste sovietiche che sarebbe loro difficile respingere, in quanto l’opinione pubblica, già tendente di per sé stessa al neutralismo, si rifiuterebbe di rinunziare ad una riunificazione ormai intraveduta, unicamente per salvare il riarmo inserito «à l’avance» nel quadro dell’alleanza occidentale.

Ecco perché sembra opportuno chiarire con il Governo federale quali dovrebbero essere i rapporti che debbono intercorrere tra alleati, di maniera che a nessuno di questi sia consentito procedere ad atti positivi o sottrarre, in maniera negativa, alla conoscenza altrui fatti e tendenze che potrebbero coinvolgere in maniera gravissima l’avvenire di tutti. Sarebbe conveniente in altre parole far presente che gli alleati, e quindi anche noi, dobbiamo essere informati e presentiti di tutti quelli che possono essere gli sviluppi della politica germanica sulla quale ormai fa pernio la politica generale.

Può essere che impegni del genere siano già stati presi da parte tedesca in sede N.A.T.O.; ma non mi sembrerebbe ciò malgrado inopportuno che essi venissero richiamati alla luce in occasione della visita, e che i governanti tedeschi udissero dalla bocca dei governanti italiani quale importanza noi annettiamo a che una politica di alleanza comune sia e permanga veramente tale, ponendo fine, per quanto possibile, a quella divisione tra alleati maggiori ed alleati minori che per forza di cose la Germania ha sin qui praticato.

Ciò tanto più, in quanto i tedeschi non mancheranno certo di domandare agli uomini di stato italiani: un rinnovato impegno a non riconoscere, neppure indirettamente, il Governo di Pankow; un costante appoggio alla tesi tedesca (oggi tesi ufficiale fino a quando non sia passibile di pratiche modificazioni) essere cioè indissolubile il problema della riunificazione da quello della sicurezza; nonché, infine, un generico ma continuo appoggio italiano ai fini della riunificazione, da far valere in qualunque occasione, sia collegiale sia bilaterale. Parrebbe perciò ovvio che se impegni od affidamenti ci vengono chiesti, anche da parte nostra si chiedano affidamenti ed impegni corrispondenti, anche se per noi è più facile concedere i primi e per i tedeschi più difficile consentire ai secondi.

II

Già nell’appunto redatto in settembre scrivevo che «il Cancelliere sente che gli occorre un solido piedistallo e che questo piedistallo può trovarsi anche in una forma di unificazione europea». Questa tendenza del Cancelliere è uscita rafforzata dalla delusione di Ginevra. Egli ritiene infatti che per ancorare la Germania all’Ovest, e per difendere i tedeschi contro loro stessi e magari loro malgrado nei rispetti dei pericoli insiti nell’espansionismo proprio di questa nazione, è indispensabile che si crei un contrappeso per impedire l’eventuale scivolamento del paese tanto verso un isolazionismo nazionalista quanto verso il mondo dell’Est.

Per tale motivo, il Cancelliere ed il Governo hanno in questi ultimi tempi rafforzato i loro atteggiamenti europeisti, ed hanno moltiplicate le loro affermazioni a tale riguardo, non solo all’interno del paese ma anche in occasione delle più recenti riunioni internazionali. Direi anzi che essi si affrettano in tale direzione, quasi temendo che il tempo o le circostanze possano sfuggir loro ed impedire di raggiungere lo scopo. Conviene quindi a noi di approfittare di questo stato d’animo e di tale possibilità, anche perché essa potrebbe anche essere l’ultima che ci si presenti in tal senso.

Non occorre d’altro canto dimenticare che mentre il Governo è decisamente indirizzato, almeno per il momento, verso l’integrazione europea, le forze economiche del paese vi oppongono per contro una seria resistenza. Ed è ovvio. L’espansione tedesca da un lato è tale, e dall’altro l’esperienza subita nella C.E.C.A. è anche tale, da indurre gli industriali tedeschi a desiderare di far da soli. Questo contrasto tra opinione delle classi dirigenti economiche ed il Governo si manifesta in special modo in due settori: l’Euratom ed il mercato comune circa il quale sta lavorando il Comitato di Bruxelles.

Potrà dirsi, in relazione al primo problema, che le recenti dichiarazioni del Signor Dulles le quali escluderebbero una diretta collaborazione bilaterale degli Stati Uniti con i differenti paesi europei in materia atomica, dovrebbero costituire una remora molto forte ai tentativi tedeschi di isolare questo paese da una collaborazione comune in campo atomico. Ma ciò non toglie che la creazione della Commissione presieduta dal Ministro Strauss, le ingenti sovvenzioni stabilite in bilancio per le ricerche atomiche, nonché il progresso scientifico tedesco (che nella sola fisica possiede oggi ben quattro Premi Nobel viventi) rende più difficile l’avvicinamento della Germania ad un atteggiamento comune europeo. Occorrerà pertanto vincere delle resistenze, o quanto meno contrastare le tendenze centrifughe che si manifestano in Germania in tale materia, collegando anche la questione atomica con l’integrazione europea generale, e quest’ultima con tutto il sistema di sicurezza del mondo libero. Per il quale ultimo sarebbe impossibile lottare contro un avversario come l’URSS soltanto nel settore militare, in cui gli altri alleati sarebbero chiamati a dare tutta la loro forza ed a giocare l’esistenza nazionale, senza che l’alleanza riceva in altri settori quei correttivi che soli possono influenzare il benessere di tutti e quindi il rafforzamento intrinseco dell’alleanza stessa.

Ma è da ritenere che fra l’idea di Spaak (pool atomico supernazionale della C.E.C.A.) e le idee inglesi (collaborazione paritetica in seno all’O.E.C.E.), gli ambienti interessati tedeschi propendano tuttora per quest’ultime.

Quanto al mercato comune, gli industriali tedeschi temono che si ripresenti il caso della C.E.C.A., nella quale i contributi prelevati sulle ricche industrie tedesche sono stati in gran parte spesi a beneficio di industrie più povere, quali le nostre. Si potrà forse dare assicurazione ai governanti tedeschi che le nostre richieste in materia di fondi di integrazione europea non mirano ad ottenerci sovvenzioni del genere e che siamo disposti ad esaminare caso per caso con loro se e quale collaborazione diretta possa essere sviluppata allo scopo di impedire un troppo acuto dislivello tra i vari rami delle due produzioni.

Inoltre non può farsi astrazione dalle idee estremamente liberali del Ministro Erhard, il quale sostiene (e sostenne anche a Roma) che il mercato comune non dev’essere chiuso e concedere ai partecipanti facilitazioni reciproche maggiori di quelle che sarebbero riservate al mondo esterno. È chiaro che se tali idee venissero mantenute «in toto» nessun trattamento preferenziale potrebbe venir stabilito fra i partecipanti ed ancor meno un’unione doganale completa.

Non sono da qui in grado di avanzare suggerimenti di quanto possa venir chiesto o proposto in materia di integrazione sopratutto per controbattere le tendenze di Erhard: solo gli uffici del Ministero possiedono gli elementi necessari. Ma ho ritenuto opportuno porre in risalto tanto il momento favorevole per richieste del genere presso il Cancelliere ed il Ministro degli Esteri, quanto le difficoltà di fondo che continuano a sorgere, in modo che da parte nostra si possa controbattere presso i governanti l’impressione che questi possono anche involontariamente risentirne, o avanzare delle proposte atte a facilitare lo sviluppo di quanto da noi desiderato.

Certo, se potessimo presentare qui delle idee, anche di massima, concrete, e avanzare delle proposte precise, ciò sarebbe opportuno, data anche la mentalità tedesca che occorre sempre agganciare a qualcosa di specifico.

III

Gli ultimi due appunti inviati in settembre concernevano rispettivamente la questione della riunificazione e delle frontiere tedesche, l’uno, e l’altro l’orientamento tedesco in fatto di patti di sicurezza e di distensione col mondo orientale.

Gli avvenimenti intercorsi dal settembre ad oggi inducono a ritenere tali appunti come superati, dato che la Conferenza di Ginevra, lungi dal portare ad un progresso, ha condotto ad un regresso (ma insieme ad una chiarificazione) sia della situazione generale che della questione tedesca propriamente detta.

Tuttavia molte delle considerazioni esposte allora valgono ancora adesso, con l’avvertenza che: in fatto di riunificazione, se l’atteggiamento ufficiale del Governo tedesco non ha cambiato, l’opinione pubblica, assente allora, sta dando segni di progressivo interessamento; e che in fatto di patti di sicurezza e di distensione, se l’atteggiamento governativo è rimasto, anzi è divenuto più ortodosso di quello che non fosse alcuni mesi or sono, è probabile che lo svolgimento ulteriore degli avvenimenti possa condurre ad un riesame del punto di vista tedesco, tanto che esso si indirizzi in futuro verso una eventuale revisione dei patti militari quanto che esso abbia ad orientarsi verso sistemi di sicurezza di fatto tendenti alla formazione di un blocco di terza forza, il quale se anche non si identificasse con la neutralizzazione del paese potrebbe avvicinarvisi.

È tuttavia troppo presto per considerare praticamente tali eventualità più di quanto non sia già stato fatto in precedenza; tanto più che nel corso della prossima visita è da ritenersi per sicuro che i governanti tedeschi le scarteranno e negheranno recisamente, anche se il discorso vi fosse portato da parte dei governanti italiani.

È quindi opportuno cercare di approfittare di questo momento che intercorre fra atteggiamento governativo rimasto per ora fermo e probabile mutamento che potrà verificarsi nell’opinione pubblica e che potrebbe condurre in un prosieguo di tempo a modificazioni progressive della linea politica di questo paese. Dico approfittare di questo momento, perché, come ho accennato in materia di collaborazione europea, questo periodo o questa occasione potrebbero essere le ultime.

La più recente manifestazione internazionale dopo l’insuccesso di Ginevra si è svolta durante la riunione della N.A.T.O. lo scorso dicembre. Sia per garantire agli alleati la fedele osservanza della linea politica fin qui seguita, o sia per agganciare i rappresentanti americani al fine di evitare che scavalcando la Germania essi potessero considerare la possibilità di accordi diretti con l’URSS, sta di fatto che in quell’occasione il Governo tedesco ha in un certo senso investito la N.A.T.O. dell’intera questione germanica, in tal modo manifestando l’intendimento tanto di voler collaborare il più strettamente possibile con detta organizzazione quanto di volerla al massimo valorizzare.

In questa linea il Governo tedesco è dunque parallelo con l’atteggiamento del Governo italiano il quale, così giustamente, intende ed insiste perché l’alleanza militare non continui ad essere unicamente tale, ma anzi perché essa estenda i suoi compiti e le sue finalità a due settori: 1) la formazione di una politica comune tra i vari paesi aderenti all’alleanza; 2) l’applicazione estensiva dell’articolo 2 del Patto atlantico.

Su queste due direzioni si troverà il Governo tedesco consenziente, e converrà impegnarlo in tal senso, ancora una volta.

È infatti ovvio il nostro interesse a far sì che la politica generale venga dibattuta nel foro nel quale anche la nostra voce è udita con autorevolezza, evitando colloqui o decisioni a quattro che sostanzialmente ricostituirebbero un direttorio di potenze europee dal quale il nostro paese rimarrebbe estraneo. Anche per quanto riguarda l’art. 2, il nostro interesse è così evidente che non v’è da spendere parole per rammentarlo.

Tuttavia conviene osservare che allorché noi siamo i soli o per lo meno i principali attori a sollevare l’avvenire di tale articolo e a spronare gli alleati verso il compimento delle promesse ivi contenute, ci troviamo in evidenti condizioni di inferiorità, in quanto siamo tosto supposti di parlare, sia come «zona depressa» dell’intera Europa, sia come paese che intende sopratutto esportare una manodopera esuberante.

Pertanto, se invece di continuare ad essere noi la pattuglia di avanguardia di tale tendenza potessimo spingere i tedeschi ad assumersi essi questa parte, o quanto meno a marciare di conserva con noi, credo che la nostra posizione sarebbe facilitata e che i risultati che ci auguriamo di conseguire sarebbero forse raggiungibili con maggiore facilità.

Cosa può proporsi ai tedeschi in questo senso ? Esito a dare una risposta, perché mi mancano troppi elementi, e rischierei di scrivere cose banali o non pratiche. È però mio compito attirare l’attenzione su questa possibilità e pregare gli uffici del Ministero di voler esaminare se e quali proposte o richieste di indole concreta potrebbero essere sottoposte e discusse in occasione della visita, al fine di poter basare su di esse un’azione ed un lavoro comune.

Comunque, anche un semplice accenno nel comunicato finale circa la identità di vedute dei due Governi su questa particolare questione e sul loro comune intendimento di farsi parti diligenti per vederla realizzata, costituirebbe un passo in avanti che potrebbe avere il suo peso sugli altri partners dell’alleanza.

IV

È da domandarsi quali potranno essere le domande che alla loro volta i tedeschi potranno presentare agli uomini di stato italiani. Per quanto riguarda gli impegni circa la riunificazione e la sicurezza, ho già accennato in precedenza.

Per quanto concerne altre questioni, ritengo che i tedeschi non mancheranno di rivolgere ai colleghi italiani precise domande sui seguenti punti:

a) Da che cosa dipende la scarsa stabilità dei Governi italiani?

Occorre rammentare che la Costituzione tedesca è tale, per cui il Cancelliere è assicurato per tutta la durata della legislatura dell’appoggio della maggioranza precostituita e che in caso di frantumazione di quest’ultima, egli non abbandona la carica se la maggioranza prima di rovesciarlo non abbia indicato e votato il nome del successore. La stabilità che consegue da un tale sistema rende difficile alle classi politiche tedesche di comprendere perché paesi come la Francia e come l’Italia, i quali intendono il regime democratico in maniera diversa, siano sottoposti a crisi successive dovute al modificarsi a breve scadenza di maggioranze talvolta occasionali.

Inoltre, non va neppure dimenticato che il Parlamento tedesco non conosce un frazionamento dei partiti politici analogo al nostro. Due sono i partiti maggiori, il democristiano ed il socialista, mentre quelli minori (Liberali, Profughi-Rifugiati e Partito Tedesco) o fanno parte della coalizione governativa o rappresentano scarse frazioni nel numero dei votanti parlamentari. Un tale sistema si avvicina a quello inglese dei due grandi partiti, ed ignora quali siano le conseguenze che la votazione proporzionale produce in un paese come il nostro, il quale ha inoltre più vivo il senso della lotta politica e sopratutto quello del personalismo. Infine, se l’azione comunista prende oggi un certo piede in Germania attraverso le agitazioni sindacali e nelle votazioni dei consigli di fabbrica, un partito comunista esiste in Germania solo sulla carta e non ha in Parlamento alcun seggio; di maniera che non riesce facilmente comprensibile ai governanti tedeschi perché i Gabinetti italiani sono costantemente sotto la minaccia di agitazioni comuniste e perché i socialisti, invece di esercitare un’opposizione parlamentare normale, sono legati con i primi da un patto di azione che con essi sostanzialmente li identifica.

b) Esistono modificazioni nella politica italiana?

Il Cancelliere, tanto legato anche personalmente alla memoria di De Gasperi, non mancherà di interessarsi per sapere se i Governi italiani che han succeduto al di lui ultimo Gabinetto, si considerino ancora gli eredi della sua politica.

Se in fatto di direttive internazionali una tale domanda potrebbe risultare strana, lo sarebbe meno se invece si riferisse all’indirizzo interno di «centro che va a sinistra» pur mantenendosi centro.

A tal proposito occorre però notare che, sotto la spinta dell’infiltrazione comunista che il Cancelliere teme e che ha posto in risalto anche recentemente, e in vista anche del lievitare di scontenti sociali cui si sta assistendo in Germania, il Governo Federale mette molto l’accento, per l’anno testé aperto, su una politica sociale più attiva. È quindi probabile che tendenze italiane più aperte oggi verso tale direzione siano ora più apprezzate qui di quanto non lo sarebbero forse state mesi or sono.

c) Quali sono le prospettive della lotta comunista in Italia e quali i progressi o i regressi del comunismo?

A questo argomento il Cancelliere è sempre stato particolarmente sensibile. Lo è più ancora oggi, in quanto una infiltrazione comunista nelle masse operaie a fini prettamente sindacalisti si sta già profilando nel suo paese, ed in quanto l’istallazione di una Rappresentanza sovietica condurrà anche qui alla forzata collusione di rappresentanti coperti dall’immunità diplomatica con gli agitatori che essi sapranno fomentare nel paese. È quindi probabile che verranno rivolte delle domande precise: se le iscrizioni al partito comunista sono in regresso o meno, se esiste una alleanza politica tra i partiti di estrema sinistra ed i sindacati e con quali mezzi la controbattiamo; se nei consigli di fabbrica i comunisti sono in regresso o in progresso e quale azione è stata esperita al riguardo, e simili.

Il dare impressione agli uomini politici tedeschi che si è in Italia decisi a fare una politica sociale aperta, ma allo stesso tempo a stringere le fila di difesa contro le infiltrazioni e contro le agitazioni comuniste, sarà il miglior sistema per guadagnarsene la stima e la fiducia, e quindi l’appoggio in tutte le questioni internazionali. Per contro insistere sul pericolo di una espansione comunista in casa nostra, ai fini di indurre i governanti tedeschi ad un’azione più decisa o in fatto di europeismo o in materia di resistenza all’Est, condurrebbe a risultati opposti.


1 Vedi D. 98, nota 3.


2 Non pubblicati.


3 Per il seguito vedi DD. 117 e 126.

114

IL PRIMO SEGRETARIO DELLA RAPPRESENTANZAPRESSO L’O.E.C.E., UNGARO,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. 00011. Parigi, 2 gennaio 1956.

Oggetto: L’O.E.C.E. ed i lavori di Bruxelles. Punti di vista britannico e olandese.

Per opportuna informazione di codesta Rappresentanza si trasmette in allegato:

1) testo delle dichiarazioni fatte dal Rappresentante permanente britannico, Sir Hugh Ellis-Rees, in una riunione dei Capi Delegazione del 6 dicembre scorso2;

2) testo delle dichiarazioni di risposta fatte dal Delegato dei Paesi Bassi, sig. Kruisheer, nella successiva riunione dei Capi Delegazione che ha avuto luogo il giorno 20 dello stesso mese.

Allegato I

For personal informationof Heads of Delegations

RECORD OF A STATEMENT BY SIR HUGH ELLIS-REES CHAIRMAN OF THE COUNCIL OF O.E.E.C.

TO HEADS OF DELEGATIONS AT AN INFORMAL MEETING ON TUESDAY, DECEMBER 6, 1955

My intention in arranging this informal meeting was to have an intimate discussion about the future of O.E.E.C. and how that future may be affected by the work which was initiated by the Messina Conference.

I am aware that there has been a certain amount of unsettlement and anxiety about the future of our work and economic co-operation in Europe, and perhaps some impatience that we have not had this kind of discussion before. It has also been impressed upon me that the attitude of the United Kingdom is of special significance, because its economic links with Europe are important and because the holder of the Chair of the Organization is expected to give a lead. No doubt all will have recognized that this is something which cannot be hurried and plenty of time has to be allowed for mature reflection. But I think we can with advantage turn our minds to this question today, and it falls to me as Chairman to initiate a discussion, and to put certain considerations before you.

The meetings which started at the Messina Conference six months ago have been going on all the summer in Brussels. The United Kingdom was asked to send a representative to meetings of the Preparatory Committee and the O.E.E.C. in common with other international organization was asked to send an observer. I have had the advantage of drawing upon their experience, as well as many informal discussions with our colleagues here who represent the «Six» countries. If they disagree with what I am saying, they will no doubt tell us afterwards.

The first point I want to make is that it has been clear from the Messina communique, and from subsequent discussions and statements, that the objectives of the «Six» countries are primarily political. There were political objectives in the formation of the Coal and Steel Community, and in the attempts to create a European Defense Community and a European political Community. The Messina initiative attempts to reach the objective of closer political unity of federation through economic integration and the main manifestation of this is in the project to form a Common market. There are, of course, a number of other specific projects for which integration was advocated at Messina, including the development of nuclear power, conventional energy, transport and so on.

The second point is that it was obvious from the Messina communique the pursuit of the studies could lead to overlapping and duplication with work of O.E.E.C. and others; and the United Kingdom, both in its formal communication to the «Six» Governments and through its representatives in Brussels, has constantly pointed to the need to avoid such duplication. This has also been stressed by our Secretary General while attending the meetings of the Preparatory Committee. But I am less concerned with what has been happening during the last four months than I am about what is going to happen in future. I should say here and now that the United Kingdom has never opposed or discouraged in any way the move by the Six towards greater political unity, and nothing I say now should be construed in a different sense. What I do say is that one cannot deal with this problem in isolation when economic means are selected to secure the political end.

My third point is that we cannot yet be certain what problems will confront us, because the reports of the Preparatory Committee to the Six Foreign Ministers are still in preparation, or if they have been completed, their content is unknown, and the Ministers who attended the Messina Conference will have to meet to decide what their recommendations are to be. Incidentally it should be noted that neither the representatives of the United Kingdom nor of the O.E.E.C. took any part in the drawing up of the reports. But I think that we can be certain that there will be a problem and that we are entitled to assume for the purposes of our own reflections, in O.E.E.C., that the formation of a Common Market among the «Six» countries and the creation of an institution to deal with atomic energy will be contained in the recommendations in the report which the Ministers have to consider. There will be no doubt other recommendations in which we are interested but we shall come to these later.

As regards any proposal which may emerge from the discussion in Brussels about the creation of a Common Market in Europe, Member Governments can only define their attitude when the definite proposal emerges. There is no need for me to dwell on the special difficulties which this kind of proposal presents to the United Kingdom, in view of its relationship with, and obligations to, the members of the British Commonwealth. You are no doubt all familiar with them, as such difficulties have been stressed before when schemes for integration or preferential areas have been discussed in days gone by. Nothing that has emerged from Brussels so far has in any way removed these difficulties.

My purpose, however, this afternoon, is not so much to define an attitude to what we imagine certain proposals may turn out to be, as to reaffirm the interest of the United Kingdom in this Organization, in which it is our privilege to hold the Chair, and in promoting economic cooperation in Europe as a whole through O.E.E.C.

It is perhaps helpful if we remind ourselves of the situation in Europe with which we are all concerned. O.E.E.C. is not, as some recent commentators seems to imagine, an obscure and isolated community of experts. It is a conference of 17 member countries, who, with the assistance of their expert advisers, meet in perpetual session and are bound by a most far-reaching Convention to which all Member Governments have adhered. We have the United States and Canadian Governments in close association with us. One can realize the force of what membership means when we discuss whether or not a new member can adhere to the Convention. We do not represent any sectional or departmental interest. I am an Ambassador who represents the views of Her Majesty’s Government, and I am responsible to them for decisions taken in their name. If the Chancellor of the Exchequer or another British Minister comes here, he is speaking for the Government. We are not just an institution, we are the chosen instrument by which the Government work in co-operation and have been gradually strengthening the bonds between us over the seven years of our existence, reinforcing the economy of Europe, increasing the standards of living of our peoples and thereby serving the political ends of the free world. We have with these ends in view, tried to expand trade in the vast area which we represent and externally also, and make it free from restriction. We have been working towards a larger multilateral system of trade and payments in close association with the British Commonwealth and the United States. We have new candidates for membership knocking at the door. Who could say that the future is unpromising? If the Governments are willing, we can attain our objectives.

I have seen it said recently that O.E.E.C. has gone as far as it can go; that it was all very well in its time, but now its useful life is coming to an end. I have also read in an article that nothing concrete or dynamic can be achieved under a system of inter-governmental co-operation: the person who wrote this did not, of course, understand what has been happening in Europe. The agreements which we forged for ourselves last July would put a lie to any statement that we have reached an end of our usefulness or ability to progress, or that nothing could be achieved through co-operation. Member Governments showed what could be achieved by these methods only a few months ago.

Now, within this group of countries there are six from which there have merged ideas of closer relationships between themselves, a political unity or federation which they hope may be achieved through economic integration, and we have to consider whether these exclusive interests can be reconciled with the wider interests of O.E.E.C. We are fully alive to the arguments for promoting political stability in Western Europe by economic integration and even to the long-term economic arguments in terms of the more efficient use of resources which can be adduced in favor of encouraging the idea of a European Common Market. I think it is open to argument whether, in view of the difficulties facing this group, which are well known to us all, they would achieve their targets any quicker than O.E.E.C. might do through other methods. But this is not the time or the place for such an argument. I am working on the assumption that this method of attaining the political unity which they are seeking is not in question. None the less, the European Common Market as is now envisaged would be an exclusive group; and it is probable that if an agreement were to be signed tomorrow the period required for setting it up might be as long as ten or fifteen years. It goes without saying that the subjects with which the creation of a Common Market is concerned, are to a large extent identical with problems with which O.E.E.C. is concerned: the liberalization of trade, tariffs and the removal of other barriers to trade, free movements of manpower, harmonization of economic policies and so on. The difference is that whereas we have been working to adopt general principles of freer trade and payments on the widest possible basis, the creation of a European Common Market as now envisaged would be an exclusive grouping and as at present advised it might take the form of a discriminatory bloc. The period required for setting it up would be very long, and during that period there is a risk that there would be a growing measure of discrimination which would undo the work which has taken place in O.E.E.C. in reducing discrimination.

The danger in all this is that if we do not pay careful attention to the probable evolution of these plans, so far from leading to a greater integration of Europe, we may be faced with a division of Europe into two camps. The threat of such a division in the field of payments last summer helped to spur us on to finding a way of preventing it.

What seems essential to the United Kingdom is that the intimate co-operation on the broadest scale through O.E.E.C., which has been so effective in what it has achieved in the past seven years and which brings closer together all countries of Western Europe should be continued and strengthened. I have heard it said that we should, in O.E.E.C., remember that what is happening at Brussels is purely of a political character, the inference being that it is something which cannot affect us. This inference cannot be accepted. What, I ask you, would the political consequences be if this Organization were to be brought to an end? The trouble is that since it has been successful and has not taken steps, to assert itself in the councils of nations, it is taken for granted. But if there were any treat that it would collapse and leave nothing in its place, as far as many Members are concerned that would be an event of great political significance.

If the main concentration of economic work by six important members is carried out for their exclusive interests and the work of the whole group is secondary so far as they are concerned, this Organization is bound to be weakened. An Organization of this kind, if greatly weakened and frustrated, would disintegrate. I have heard it said that this would not matter greatly. I think it would matter a great deal and I take it that we are all agreed on this.

If this is recognized by all Member countries, I am sure that a way can be found of reconciling the interests of some who wish, through integration, to have even closer ties.

How can we handle this? We cannot, I think, take the experience of the last few months as a precedent. It is quite inadequate that O.E.E.C. on issues of this kind should merely send an observer to the Working Committees of the group, or supply it with information. We have had no consultations between the varying interests where consultations are obviously essential.

As the Six countries are naturally entitled to discuss among themselves how they can achieve their political objectives, I could not suggest that they discontinue them or hold them under the auspices of O.E.E.C. I do not think that this would be reasonable or practical at present. But I do suggest that the situation demands that the relationship between the Messina initiative and O.E.E.C. should be discussed between all the interested parties in the O.E.E.C. forum: so that instead of our sending observers, who, although as competent as could be found for the purpose, are not principals in a discussion, the movement should be reversed and the representatives of the Six in O.E.E.C., who do act as principals, should represent the views of that group.

Then again, the kind of problem that the evolution of a Common Market will create for the members of O.E.E.C., who are not in the Common Market does not appear susceptible to a satisfactory solution by bilateral agreement or Councils of Association between the Common Market and each of the O.E.E.C. Members outside. That is why it seems to me that general understanding progressively worked out through O.E.E.C. would be more appropriate and profitable.

It is clearly impossible for this Organization to pause in its work or to change direction for an undetermined period, while we wait to see whether or not this initiative will be successful. We cannot neglect the work which our Convention and the acts of our Council require us to perform. We cannot have a repetition on a much broader scale of what happened during the arguments with the Green Pool when no agricultural work of any importance was performed in this Organization while the institutional problem was being argued. This is impossible. Rather does it seem that the Six countries themselves should, with all the concentration and genius which they possess, make their program fit into the broad co-operation of O.E.E.C., so that we do not lose the broader objective in searching for the narrower. I wish to inform you that in pursuance of these ideas the Chancellor of the Exchequer will be proposing that this subject should be placed on the agenda of the next Ministerial Council in February, when we would hope that the Ministers of the Six countries would discuss with their colleagues how the reconciliation can be brought about.

This is why I have raised this problem in a general way this afternoon. I have tried to avoid falling into the trap, of which M. Valery warned us come months ago, of making the issue one of black or white within this Council which has for so long worked in harmony. But I feel it my duty to draw attention to the dangers of the continuance of a separate initiative going its own way without co-ordination with this Organization. I feel, and in this I am expressing the views of Her Majesty’s Government, that the position of O.E.E.C. as the major instrument of economic co-operation on an all-European basis, is something which we must preserve in full strength and in good heart, otherwise it will not succeed. But it must inevitably be weakened if it does not at an early date take full cognizance of the problems which I have put before you. For this reason I hope that you will support me in my suggestions that we should be bringing our minds to bear on these problems and prepare the way for Ministerial discussions in two months’ time.

There is one issue on which I have not yet touched, and that is in regard to nuclear energy; and this will, if I understand the plans aright, be coming before us before Christmas. Here again we must await the report of the Working Party before discussing the substance? Professor Nicolaidis may wish to tell us what progress they are making and how they see the timetable. I am hoping to see the report completed before Christmas for a first reading and discussion in the Council. There would then have to be a closer scrutiny of the proposals in order that recommendations might be put before Ministers in February. I mentioned this because it will bring to a test the possibility of reconciling the special interests of some with the general interests of all. This particular case is, of course, not on all fours with the Common Market, because many Member countries outside the Six are equally interested in securing European collaboration in the field of nuclear energy. There will be some proposals from the Brussels Preparatory Committee, and most of us do not know what those proposals will be, or what the recommendations of our own working party will be. We shall therefore have to postpone our substantial discussion till later. But if my understanding of what the Working Party has in mind is correct, it is a plan which would allow Member countries within O.E.E.C. to collaborate or not to collaborate for specific purposes, depending on their needs and resources. That is to say, on some questions collaboration between the 17 countries might be feasible and sensible; on others there might be various groups, but all under the broad umbrella of O.E.E.C. This would be the kind of scheme the United Kingdom would support in principle, and we should be prepared to collaborate in a program of this kind in O.E.E.C., so far as our resources permit, and we should hope that everyone else would be able to do the same.

I think that I have now said enough, and I hope that it will be clear to you that the United Kingdom puts great store in the continued efficiency and usefulness of O.E.E.C. and is alive to the responsibilities which it accepted in being elected to the Chair.

Allegato II

RECORD OF A STATEMENT BY THE REPRESENTATIVE OF THE NETHERLANDSTO HEADS OF DELEGATIONS AT AN INFORMAL MEETING ON TUESDAY DECEMBER 20TH, 1955

Mr. Chairman,

I would like to refer to the meeting of Heads of Delegations we had on the 6th of December, during which you made an important statement with regard to the relationship between the O.E.E.C. and the work which was initiated by the Messina Conference.

As you indicated that the views you expressed were those of the U.K. Government, my Government has felt the desirability and the need to give their reaction to your statement at this early stage.

In the first place it should be pointed out that the following observations are strictly limited to the aspects of the problem dealing with the common market, with the exclusion of matters relating to nuclear energy. It is unfortunate that these two problems are in our discussions often linked so closely together. Although they are, of course, related, in a very general sense, in our view they should be better considered separately, as the problems with which we are confronted in the field of nuclear energy are in many respects fundamentally different from those of the common market. Introducing a common market raises problems of economic and social policy arising from the abolition of trade impediments – problems which will not confront us in connection with a common approach to nuclear matters. On the other hand, the common approach to nuclear matters has many technical and also political aspects entirely of its own. Nuclear energy matters will be discussed in detail at the forthcoming ministerial meeting and it is felt premature to deal with this matter in this statement.

With regard then to the problem of the common market my Government have some difficulty in understanding the extreme anxiety which was expressed in your statement and they find it also difficult to follow many of the arguments which have been put forward.

At the basis of your statement, Mr. Chairman, there are three assumptions which I am sorry to say, seem completely unwarranted.

The first is that the Messina Conference was prompted primarily by political considerations.

The second is that the action of Messina is destructive to the strength and the future of O.E.E.C.

The third is that the six of Messina are striving to form an exclusive and discriminatory group.

The first assumption, Mr. Chairman, shows a misapprehension of the intentions which lead the six governments to adopt the Messina resolution. The Messina resolution intended to coordinate and reinforce the efforts towards close economic cooperation in Europe. It aimed at convening a conference or conferences of governments which would establish such close cooperation. However, as it could not be expected that such a conference or conferences should lead to practical results without a thorough preparation, the Messina conference decided the creation of a preparatory meeting of experts under the leadership of a political personality. It did not seem practicable to organize this preparatory work in too wide a group. It was therefore decided to limit the group of countries participating in this work to the six Messina countries, inviting the United Kingdom to share in the work and to invite a number of international bodies to join the work as observers. In this way it was thought that the widest possible use could be made of available experience, that duplication of work could be avoided and that the implications of any proposal which might be put forward for all the countries participating in those organizations would be considered. Nothing was decided at Messina about the institutional aspects of the problems nor about the countries who would be considered as natural participant to any form of cooperation to be studied or proposed, or, for that matter, to any conference of Governments to be convened to take action on proposals originating from the work of the preparatory Committee.

All economic cooperation has political overtones and the political importance of close economic cooperation in Europe will not be denied by anybody. But to say that the Messina resolution was, in fact, an attempt of six countries to achieve political unity or federation by way of economic cooperation is a gross misstatement which is all the more surprising because all I say now has been explained by the Netherlands Minister of Foreign Affairs in the Council of O.E.E.C. immediately after the Messina Conference.

Nothing in the work of the Messina Conference can therefore considered to be destructive to O.E.E.C. Your statement seems particularly unjust in view of the fact that the Governments of the six countries have always adhered full heartedly to the work of the O.E.E.C. and have done all they possibly could to strengthen the O.E.E.C. and to assure its useful existence in the future. If – as a consequence of the work at Brussels – a common market in the six countries would gradually be established, there is no valid reason to assume that such common market would obviate, hamper or destruct the existence or usefulness of O.E.E.C. As to the statement that the six of Messina are striving to form an exclusive group, nothing has been done or said by the six to justify such a statement.

In this connection I would like to remind you of the text of the Messina Resolution, which explicitly leaves open the question to which Governments will be invited to participate in the Conference of Governments. A decision with regard to this will be taken at a later stage.

Moreover it has always been made clear from the beginning that the results of the Brussels Conference will be open to everybody. There is no question here of exclusiveness.

A word should also be said about the so called discriminatory character of a common market, a point which also was emphasized in your statement. One should be very careful with the use of the word discrimination which has an unpleasant flavor. If it is meant that the creation of a common market as envisaged by the six is an incentive to discrimination, then I may remind the Council that Article 5 of our Convention actually goes so far as to encourage member countries of this Organization to commit the sin of discrimination when it advocates that they should bend together to form customs unions.

This is precisely and exactly the objective of Brussels and these efforts are therefore completely in conformity with the objectives of our Organization as laid down in the Convention. It is the purpose of the six to do away with discrimination in a larger degree than has been possible up to now in Western Europe. I believe that the traditional policy of the Benelux countries form a guarantee that they will not allow discrimination in the form of protection to crop up between the Brussels group and non-members. It might be of interest to draw a parallel with the development of Benelux, where the three countries within O.E.E.C. have proved that they do not intend to hamper foreign trade. Moreover, just as in the case of Benelux, the non-participating countries will enjoy all advantages that a larger integrated market offers to their exports.

It is always hazardous to work with analogies, but it is tempting to remind the Council of the strong opposition of the International Monetary Fund against the establishment of the European Payments Union. The arguments put forward at the time by the I.M.F. were of similar nature as the arguments we find in the statement you made at our informal meeting on the 6th of December. If these arguments would have triumphed I think none of us will deny that this would have been not only highly detrimental to the development of intra-European trade and payments, but also to this development in the world as a whole.

These, Mr. Chairman, are the observations my Government would like to draw to your attention and to the attention of my colleagues for consideration and reflection. I sincerely hope that these observations may help to bring to an end the unfortunate atmosphere of rivalry and competition which exists between our Organization and Brussels. We believe that there is no reason for this. If Brussels succeeds, which my Government sincerely hope it will, this need not result in any weakening of our Organization of which my Government will continue to be an active member with a positive and cooperative attitude. You yourself, Mr. Chairman, have said: «If Governments are willing, we can attain our objectives». My Government would like to leave no doubt as to their willingness to attain the objectives of O.E.E.C.


1 Diretto alle Ambasciate a Ankara, Atene, Belgrado, Berna, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Lussemburgo, Madrid, Oslo, Ottawa, Parigi, Vienna e Washington, alle Rappresentanze presso il Consiglio Atlantico a Parigi e presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, alle Legazioni a Copenaghen, Dublino, Lisbona e Stoccolma e, per conoscenza, alla Direzione Generale degli Affari Economici (riferimento per la D.G.A.E.: « Foglio n. 1558 del 29/12/1955 di codesto Ministero»).


2 Vedi D. 107.

115

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 196/1071. Londra, 9 gennaio 1956.

Oggetto: Cooperazione nel campo dell’energia atomica. Atteggiamento britannico di fronte a iniziative Euratom e O.E.C.E.

Si è preso lo spunto dall’avvenuta pubblicazione del rapporto O.E.C.E. sulle possibilità di azione nel campo dell’energia nucleare, nonché da recenti notizie di questa stampa che fanno chiara allusione alla preferenza dimostrata dagli inglesi al progetto O.E.C.E. in confronto all’Euratom, per prendere qualche contatto al Foreign Office, a livello uffici, al fine di conoscere il pensiero degli ambienti responsabili circa le ragioni che orienterebbero il Governo britannico a favorire, in materia, una impostazione anziché un’altra.

Premesso che una cosa sono le intese tecniche fra la United Kingdom Atomic Energy Authority e gli organismi similari di altri paesi – intese frequenti, per non dire continue, e illustrate nell’ultima parte del rapporto annuale dell’Ente britannico, trasmesso a codesto Ministero col foglio n. 5657/2782 del 10 novembre u.s.2 – e un’altra cosa sono gli accordi intergovernativi, di cui si vuol parlare qui, è da rilevare che l’atteggiamento inglese parte da questi presupposti generali:

1) la considerazione che, in fatto di energia nucleare, ci si trova ancora in fase sperimentale: per cui è prematuro, se non pericoloso, prendere impegni e fare progetti troppo precisi; e ciò non soltanto per il noto motivo che non si riesce a separare il campo delle applicazioni civili da quello militare, che involve problemi di difesa e di sicurezza, ma anche perché un eccesso di coordinamento non porterebbe necessariamente ad un più rapido progresso;

2) il fatto che l’ordine di grandezza dei fondi, assegnati e disponibili per la ricerca e la sperimentazione, è ad un tempo modesto – nei confronti degli Stati Uniti – e ingente nei riguardi di altri paesi: il che porta alla necessità di curarne l’utilizzazione migliore in un senso e nell’altro;

3) la circostanza per cui la Gran Bretagna, pur essendo pronta e disposta a collaborare con altri Stati, dai quali non pretende di ricevere una stretta reciprocità, è anche in tale campo legata all’obbligo e all’interesse di riservare un trattamento più favorevole a certi paesi rispetto a certi altri: a cominciare da quelli del Commonwealth, per ovvii motivi politici, economici e sentimentali (v. Accordo con l’India di cui al foglio di questa Ambasciata n. 6526/3251 del 26 dicembre u.s.)2.

Tutto questo – ci si dice al Foreign Office – è stato del resto chiaramente esposto ai membri del Working Group dell’O.E.C.E., che hanno visitato questo paese per due volte, all’inizio e alla fine del loro giro di studio. Se il rapporto uscito da questa Organizzazione è stato reso pubblico anche prima del previsto, lo si deve – è stato ammesso al Foreign Office – anche alle raccomandazioni inglesi, che sarebbero state fatte non solo (lo accenna anche l’«Economist») per poter mettere il risultato dei lavori dell’O.E.C.E. a diretto e contemporaneo raffronto con quelli in corso da parte della Commissione dei sei a Bruxelles, ma anche per evitare il rischio di indiscrezioni le quali avrebbero potuto rinnovare e magari aggravare qualche idea inesatta o tendenziosa circa la reale posizione della Gran Bretagna di fronte alle varie iniziative.

Questa posizione inglese viene spiegata così: la Gran Bretagna ha a suo tempo aderito a che l’argomento relativo agli sviluppi e alle applicazioni dell’energia nucleare facesse parte di quelli trattati dall’O.E.C.E., mentre avrebbe potuto opporsi, data la non necessaria correlazione e data la propria posizione specifica. Gli altri membri dell’O.E.C.E. sono padroni di costituire gruppi speciali nell’ambito dell’Organizzazione, con fini di propulsione, o di avanguardia, o quel che sia, ma non possono pretendere che i loro interessi coincidano con quelli di tutti, altrimenti appunto non vi sarebbe alcuna ragione di allontanarsi dalla linea generale adottata.

In sostanza, per quanto riguarda il campo dell’energia nucleare, la Gran Bretagna non può prescindere dal considerare come uno stato di fatto la propria posizione di paese che trovasi, almeno in Europa, ad uno stadio più avanzato di altri. Il che le permette di scegliere tra le varie proposte che le vengono fatte, da qualunque parte esse vengano. Questa situazione di privilegio non viene sconfessata, dai funzionari dal Foreign Office con cui abbiamo parlato, per quanto essa sia ritenuta temporanea: anzi, proprio per questo.

È appunto sotto questo profilo che la cornice dell’O.E.C.E. viene considerata la più appropriata per garantire agli sviluppi futuri dei programmi e dei progetti atomici quella libertà di manovra, che non si intravede invece nel caso dell’Euratom, anche se esso non dovesse necessariamente comportare la creazione di una autorità sopranazionale.

A questo proposito ci risulta che i francesi, approfittando della circostanza per cui il rapporto O.E.C.E. è proprio ora allo studio dei vari organi competenti, che impartiranno al momento opportuno le direttive del caso alla Delegazione britannica a Parigi, hanno presentato a Londra un memorandum nel quale, sostanzialmente, si chiede agli inglesi una chiara presa di posizione.

Gli stessi francesi ci hanno detto di non aspettarsi per ora una risposta soddisfacente. Essi pensano tuttavia che, come avvenne per la C.E.C.A., gli inglesi finiranno coll’arrendersi all’evidenza e collaborare con l’Euratom, non appena questo giunga a dimostrare concretezza e dinamismo.

Vorrei aggiungere che, da parte dei funzionari del Foreign Office con cui si è avuta occasione di trattare l’argomento, si è molto insistito sul fatto che la Gran Bretagna, proprio in materia di collaborazione per gli studi e le applicazioni dell’energia nucleare, è disposta nel modo più ampio ad entrare in accordi bilaterali o multilaterali con i paesi interessati: una posizione che, a loro modo di vedere, dimostra la volontà di cooperare e la larghezza di vedute che ispira la politica inglese in questo campo. Il riserbo britannico si manifesta ogni volta che le iniziative altrui si impostano prima su modalità di ordine generale che sul modo di rendere più efficienti meccanismi già in esistenza.


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Parigi.


2 Non pubblicato.

116

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI

L. riservata 209. Londra, 9 gennaio 1956.

Caro Cattani,

dato che, secondo quanto mi risulta sinora, (telespr. 0001 del 2 gennaio della nostra Rappresentanza presso 1’O.E.C.E.)1 il solo Delegato olandese avrebbe risposto alla dichiarazione fatta da Ellis-Rees all’O.E.C.E. il 6 dicembre 1955, e in considerazione di quanto riferito dall’Aja sulle dichiarazioni di Beyen nel corso dell’esposizione del bilancio degli Esteri (vostro telespr. n. 00005 del 2 gennaio)2, ho ritenuto opportuno prendere contatto con Stikker per sapere se egli avesse già avuto occasione di discutere la questione a Londra.

Pregandomi di tenere riservate le informazioni che mi dava (ed è per questo che ne faccio oggetto di una lettera anziché di un telespresso), questo Ambasciatore di Olanda mi ha detto che all’epoca della visita qui di Beyen (novembre 1955) Butler, cui egli si era recato a fare una visita di pura cortesia, aveva di sua iniziativa sollevato la questione del mercato comune non escludendo la possibilità che la Gran Bretagna potesse anche entrarvi: aveva anzi dato istruzioni ai suoi uffici di preparare studi in proposito. Butler aveva pregato Beyen in quella occasione di indurre Spaak, pel quale disse di avere grande stima, a fargli una visita a Londra. Spaak venne in effetti circa tre settimane dopo, ma dal colloquio con Butler trasse una impressione del tutto diversa e negativa. Si ebbero poi le dichiarazioni di Ellis-Rees a Parigi e il noto passo nelle sei capitali.

Stikker mi ha detto anche che quanto riferitomi da Caccia (mio telespresso n. 6515/3243 del 23 dicembre)3 non è del tutto esatto. Egli sa che questa è ora la versione ufficiale del Foreign Office (che cioè Macmillan fosse a Parigi impreparato a rispondere a Spaak), ma la ritiene una versione di ripiego in quanto egli stesso aveva ufficialmente comunicato al Foreign Office per incarico di Beyen (Presidente di turno dell’U.E.O.) che si intendeva sollevare nella riunione di Parigi la questione dell’atteggiamento britannico di fronte ai progetti di mercato comune. A Stikker risulta che gli inglesi hanno anche cercato appoggi a tale loro atteggiamento negativo. Infatti, come avrai visto dai verbali, durante l’ultima riunione del Consiglio N.A.T.O., portoghesi, norvegesi e canadesi espressero le loro perplessità; gli inglesi stanno facendo sopratutto pressioni sui canadesi.

Stikker riconosce che il problema ha due aspetti: partecipazione britannica al mercato comune (e questa è per il momento da escludere), e opposizione britannica ad un mercato comune anche senza il Regno Unito. Il più preoccupante aspetto è, pel momento, il secondo (benché sia in certo senso una conseguenza negativa del primo). Conviene con me anche nel pensare quanto ho già riferito col telespresso citato (e che del resto Caccia mi aveva confermato) e cioè che si teme qui che la Francia possa indurre gli altri cinque a proteggere il mercato comune con elevate barriere per difendere la propria economia.

Stikker non ha avuto istruzioni di svolgere qui alcuna azione. Quanto alla frase usata da Beyen in Parlamento circa le dichiarazioni di Ellis-Rees, da lui definite «non ufficiali», il collega olandese mi ha detto di non sapere su che cosa sia basata. Beyen aveva preso sulla questione un atteggiamento «furioso» trattando anche piuttosto male l’Ambasciatore inglese, all’Aja quando fece il noto passo: nelle sue dichiarazioni alla Camera Bassa ha voluto probabilmente «slow down» il tono delle sue prime reazioni.

Ti ho riferito queste notizie e questi retroscena per quell’interesse che possono avere e pur sapendo che la presente situazione francese, a parte anche l’atteggiamento britannico, non induce a soverchio ottimismo.

Con molti cordiali saluti.

Zoppi


1 Vedi D. 114.


2 Indirizzato alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi, e, per conoscenza, alle Ambasciate ad Atene, Berna, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Lussemburgo, Ottawa, Oslo, Parigi, Vienna e Washington, alle Legazioni a Copenaghen, Dublino, Lisbona e Stoccolma, alle Rappresentanze presso il Consiglio Atlantico, a Parigi, e presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, e alla Direzione Generale degli Affari Economici, trasmetteva una comunicazione da L’Aja del 27 dicembre 1955 circa la reazione moderata di Beyen all’atteggiamento inglese manifestatosi in sede O.E.C.E. e i suoi dubbi sulla possibilità di una partecipazione britannica al Mercato Comune. Secondo tale comunicazione Beyen, nel discorso alla Camera Bassa, si era limitato ad asserire che le critiche britanniche erano premature ed a esprimere la speranza che la Gran Bretagna non si sarebbe ritenuta vincolata alle dichiarazioni «non ufficiali» del suo Rappresentante nell’O.E.C.E.


3 Con tale telespresso Zoppi aveva comunicato: «Ho chiesto oggi a Sir Harold Caccia quale impressione avesse riportato dalla vivace presa di posizione di Spaak nel Consiglio dell’U.E.O. [vedi D.112] a livello Ministri (Parigi 19 dicembre) in relazione alla comunicazione fatta dagli Ambasciatori britannici nelle capitali dei Sei, a proposito del rilancio europeo. Caccia mi ha detto che il Governo britannico aveva avuto sentore che Spaak si proponeva di trattare l’argomento nella riunione di Parigi, ma che riteneva lo avrebbe fatto in maniera “informal”; sicché nulla era stato qui preparato per Macmillan onde metterlo in grado di discutere tale questione. Il Segretario di Stato aveva perciò soprattutto sottolineato che i piani di Messina non rientravano nell’U.E.O. e che il Governo britannico non aveva mai pensato dovessero rientrarvi. Il che, per la verità, non è confutabile. Ho tuttavia fatto presente a Caccia, venendo alla sostanza del problema, che mentre si comprendeva sul continente che la Gran Bretagna, dati i suoi legami col Commonwealth, non potesse partecipare in pieno a quelle forme di integrazione che si stavano studiando a Bruxelles, non poteva non suscitare una certa impressione l’accenno fatto dagli Ambasciatori ai rischi che da tali forme di integrazione potrebbero derivare in seno all’O.E.C.E. Mentre infatti la prima enunciazione non faceva che confermare il noto atteggiamento britannico, già fatto valere nei confronti della C.E.C.A. e della C.E.D., la seconda poteva apparire come una larvata minaccia. Dal tono della conversazione Cattani-Ashley Clarke [vedi D. 110] ciò non appariva, gli ho detto, ma poteva essere che in altre capitali gli Ambasciatori inglesi si fossero espressi in modo tale da suscitare qualche preoccupazione o reazione ad esempio come quella di Spaak. E del resto anche le dichiarazioni di Macmillan a Parigi non potevano non venire considerate come un “warning” diretto a cercare di fermare l’azione dei Sei. Il mio interlocutore ha risposto che tale non era certamente l’intenzione britannica. Ciò che peraltro preoccupa il Governo inglese, e anche altri Governi dei paesi membri dell’O.E.C.E., è la tendenza di alcuni dei Sei (ad esempio la Francia) di proteggere il mercato comune con alte barriere doganali: il che, mi ha detto, farebbe fare un passo indietro a quella più vasta cooperazione negli scambi che l’O.E.C.E. ha perseguito e tuttora persegue, e sarebbe, aggiungo, di evidente danno per la Gran Bretagna. Già prima di parlare sull’argomento al Foreign Office supponevo che fosse questa la reale ragione delle perplessità britanniche. Occorrerà mi pare tenerne conto se si vorranno evitare in un primo tempo le reazioni di questi ambienti economici e cercarne successivamente la collaborazione, come fu fatto con la C.E.C.A. Intanto per parte mia mi sono espresso con Caccia, parlando a titolo personale, nel senso che non si può giudicare “ante litteram” e che nel clima di collaborazione intervenuto anche nel quadro dell’O.E.C.E. e dell’U.E.O. vi è certo la possibilità di risolvere i problemi che derivassero da una collaborazione a sei, d’accordo con il Regno Unito».

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L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. 592/102. Bad Godesberg, 11 gennaio 1956.

Signor Ministro,

è da ritenere che a seguito delle elezioni francesi1 la visita di S.E. il Presidente del Consiglio e di V.E. abbia ad assumere un carattere o comunque svolgersi in un’atmosfera in certo senso diversi da quanto era prevedibile prima.

Che le elezioni francesi non siano andate bene, come pure che esse aprano la via ad un periodo di incertezza in cui possono accadere non poche sorprese è un fatto. Ed è anche un fatto che il loro risultato ha suscitato in Germania una impressione profonda. Anche se qui si è registrato, sia pure con un certo sollievo, lo sfaldamento delle destre, il sentimento dominante è quello del pericolo che le dissensioni del centro aprano la strada ad un fronte popolare e che tutta la politica della Francia possa progressivamente sottostare, oltre che ad un’aumentata instabilità dei Gabinetti, a larghe possibilità di revisione. L’unica carta che questo Governo considera come favorevole è quella di una possibile ma anche non molto probabile ripresa dello spirito europeista, per il caso in cui i socialisti andando al potere vi rimanessero fedeli.

Però, tali timori sono in gran parte controbilanciati da un senso di maggiore orgoglio nazionale per il fatto di avere la propria abitazione così in ordine quando non si può dire altrettanto degli altri proprietari della casa, e sopratutto da un senso di consapevolezza per il peso della nazione tedesca che aumenta in funzione di quanto diminuisce quello altrui.

La visita di V.E. si svolgerà dunque sotto il segno di questi duplici ed opposti elementi: preoccupazione da un lato, e rafforzamento dall’altro. È pertanto possibile che da parte tedesca ci vengano rivolti inviti a schierarci apertamente dalla parte dei benpensanti, od allettamenti a comprometterci in maniera ostensibile al loro fianco ed in tale linea, sia per premere sulla Francia, sia per accrescere il prestigio della Germania. Ho detto «ostensibile» perché l’aspetto esterno e direi spettacolare si addice molto al carattere di questo popolo e di questa politica.

È anche possibile che da parte nostra per parare, in maniera invece sostanziale, ai contraccolpi che usualmente gli avvenimenti francesi producono a breve o a media scadenza su di noi, si abbia intendimento di avviarsi nei riguardi della Germania verso un avvicinamento superiore e quindi più consistente di quanto non fosse in un primo tempo preveduto.

Sotto le riserve che esprimerò appresso, un maggior grado di calore, quasi un avvicinamento ulteriore «sub condicione», che potesse apparire un contrappeso agli eventuali scivolamenti francesi, è da augurare. È difficile dire se ciò possa servire di monito o di incoraggiamento ai francesi affinché non si allontanino dalla strada sin qui battuta, poiché le masse degli elettori fluttuanti, che sono poi quelli che formano i parlamenti e quindi la politica, potrebbero essere piuttosto urtate che non ravvedute da una intesa italo-tedesca troppo stretta, conducendo quindi ad un risultato totalmente controproducente. Su ciò, ovviamente, non può pronunciarsi che il mio collega a Parigi.

Ma non è però da escludere che uomini pensosi dell’avvenire della Francia (ce ne saranno pure a Parigi) siano sensibili ad un monito e ad un esempio che vengano dalle due più grandi nazioni continentali europee, le quali hanno insieme – e dovrebbero avere con i francesi – gli stessi timori e talora gli stessi pericoli cui ovviare, nonché i medesimi problemi, se pur in scala diversa, da risolvere: e per dar loro forza e per consentire loro di aver coraggio, anche una spinta tedesco-italiana potrebbe servire, o comunque non si dovrebbe in alcun modo trascurare di tentarla. Senza contare che a noi, nel periodo incerto che sta per aprirsi, potrebbe esserci utile un contrappeso su cui appoggiarci nel caso di cedevolezza francese; e in tale eventualità un nocciolo più stretto può sempre costituire il punto di attrazione per un conglomerato ulteriore o per lo meno un punto di arresto del movimento centrifugo.

Vi sono però altri punti da considerare.

Anzitutto occorre tener presente che finora, dal dopoguerra in poi, la nostra politica si è sempre appoggiata principalmente sulla Francia. Che non se ne siano ritratti vantaggi grandi, o per lo meno tutti quelli che ne aspettavamo, può anche discutersi: ma il fatto in sé stesso resta. Lo spirito di Santa Margherita2, se a Parigi è stato qualche volta un fantasma, a Roma è stato spesso un corpo: purtroppo però quel fantasma, benché talora evanescente, ha l’abitudine di allarmarsi di fronte a tutti, e specie di fronte alla Germania, e di essere quindi suscettibile, ed esclusivista ad oltranza.

Di fronte a tale eventualità sono perciò da tener presenti altri elementi più specialmente attinenti a questo paese. Che possa solleticare l’orgoglio tedesco il fatto di acquistare eventualmente un «secondo», ritengo che lo si possa affermare senz’altro: meno, invece, che l’amicizia o la protezione così conseguite potrebbero essere per noi ed a nostro favore o determinanti, od esclusive o profonde. La Germania, cui sempre la latinità riesce così difficilmente comprensibile, si sente già troppo grande, specie se la Francia diminuisce, per impegnarsi sul serio ed a fondo con qualcuno: e ciò essendo, è opportuno porre bene sulla bilancia, contro quello che si potrebbe perdere, quello che si tratterebbe di acquistare.

In secondo luogo, la politica che in vista delle elezioni il Governo tedesco si prepara a fare (e si sa che qui le cose si preparano alla lontana) è, oltre che sui concetti tradizionali di ordine e di autorità, basata oggi su due cardini ben precisi (parlo dal punto di vista interno). Tali cardini sono: lotta contro le infiltrazioni comuniste, e politica sociale economica e fiscale, aperta sì, ma rigidamente applicata. Analoghi impegni, «mutatis mutandis», ci potrebbero venir richiesti, non dico proprio nei giorni della visita, ma, a seconda dello svolgimento di questa, nei mesi successivi; e sarebbe perciò opportuno che anche questo lato della questione venisse preso in considerazione prima di impegnarsi in determinati sensi e di modificarli successivamente. Naturalmente – aggiungo – parlo del Governo tedesco di oggi. Domani le cose potrebbero anche cambiare, anzi addirittura potranno; ma la Germania è ricca e forte e, come alle belle donne, i cambiamenti le si perdonano più volentieri: solo i poveri ed i brutti hanno da essere senza scampo virtuosi.

E se i cambiamenti non fossero in tal caso simultanei o sincronizzati, più che rischiar di trovarsi di fronte al vecchio dilemma di tutta la storia italiana (o con Francesco o con Carlo) potrebbe accadere divenissimo sospetti agli uni e agli altri.

Non vorrei che V.E. scorgesse una contraddizione tra la prima e l’ultima parte di questo rapporto. Se non sbaglio, esse dovrebbero conciliarsi, perché tenute insieme da un filo: quello dell’unità di misura, sia nell’eventuale intesa, sia nella maniera di auspicarla e di presentarla, senza attendersi cioè più di quanto la Germania possa dare, pur tenendo conto di poter se del caso remare insieme per salvare da una deriva comune la barca.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Grazzi


1 Ci si riferisce alle elezioni politiche francesi del 2 gennaio 1956 che conducevano alla formazione di un Governo guidato dal socialista Guy Mollet.


2 Si riferisce all’incontro italo-francese di Santa Margherita Ligure del 12-14 febbraio 1951, vedi I Documenti Diplomatici Italiani, serie undicesima, vol. V, D. 233.

118

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI,ALL’AMBASCIATA A BRUXELLES

T. 558/12. Roma, 18 gennaio 1956, ore 23,10.

Suo 41.

S.E. il Ministro concorda su opportunità riunione sei Ministri Esteri, la quale potrà dare direttive per proseguimento lavori Comitato Intergovernativo, alla luce dei risultati finora raggiunti, nonché permettere scambi vedute circa recente atteggiamento inglese.

Concorda per sede Bruxelles: pregherebbe Spaak orientarsi per data 10 (dico dieci) febbraio, trovandosi a Bonn in visita Governo tedesco fino a giorno 92.


1 T. 741/4 del 17 gennaio, con il quale De Strobel aveva ricevuto da Spaak, con preghiera di sottoporla a Martino, la proposta di indire una riunione dei Ministri della Conferenza di Messina in un giorno fra il 10 e il 15 febbraio, successivamente alla costituzione del nuovo Governo francese essendo giunto il momento, dopo la riunione dell’Aja (Noordwijk) di presentare il risultato dei lavori degli esperti. Secondo Spaak scopo principale della riunione doveva essere «quello di concertare l’atteggiamento comune dei sei Governi di fronte [alle] posizioni contrarie a sviluppo [dell’integrazione] assunte da inglesi in sede O.E.C.E.» e, per tale ragione, riteneva indispensabile che la riunione si svolgesse prima del Consiglio dei Ministri dell’O.E.C.E. prevista per la fine di febbraio, e alla quale egli avrebbe partecipato personalmente. Con Telespr. 00950 del 20 gennaio 1956 Cattani ritrasmise questo telegramma, e la risposta di Rossi Longhi, alle Ambasciate a Bonn, L’Aja, Lussemburgo, Londra, Parigi, e, per conoscenza, all’Ambasciata a Washington, alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi, ed alla Direzione Generale degli Affari Politici. Le istruzioni contenute in tale ritrasmissione erano le seguenti: «Mentre si pregano le Rappresentanze italiane accreditate presso i paesi che partecipano ai lavori di Bruxelles di voler far conoscere con cortese urgenza quali siano le reazioni dei rispettivi Governi alla proposta del Ministro Spaak, si sarà grati all’Ambasciata a Londra se vorrà – anche in vista dei recenti mutamenti al Foreign Office – cortesemente tenere al corrente questo Ministero sugli ulteriori sviluppi dell’atteggiamento inglese nei confronti del problema di cui è cenno nel testo del telegramma dell’Ambasciata in Bruxelles». Non è stata rinvenuta una risposta da Londra.


2 Con T. 1155/8 del 24 gennaio, Scammacca rispose riferendo l’opinione di Spaak circa l’opportunità che la proposta riunione avesse luogo a Bonn, e ciò anche al fine di evidenziare l’impegno tedesco al rilancio europeo. La Conferenza ebbe poi luogo a Bruxelles l’11-12 febbraio, vedi D. 132. Spaak inoltre ribadì di annettere particolare importanza alla riunione allo scopo di preparare e coordinare un atteggiamento comune in previsione della riunione dei Ministri dell’O.E.C.E. a Parigi del 28 febbraio. In tale occasione Spaak intendeva: «dare alla Rappresentanza belga maggior rilievo possibile in considerazione della posizione assunta dalla Gran Bretagna ed a [sic] chiarire intenzione da essa manifestata di portare dibattito sull’aspetto politico. Spaak ritiene (e desidera prospettare in modo particolare a V.E.) che in tale sede occorrerà difendere con impegno nostre posizioni e nostre tesi, sia sulla questione del mercato comune sia sulla questione atomica».

119

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 870/38. Parigi, 18 gennaio 1956, ore 23 (perv. ore 23,30).

Oggetto: Lavori Comitato1.

I lavori del Comitato presieduto da Monnet sono terminati questo pomeriggio.

La discussione è stata molto animata. Due tesi in presenza: la tesi socialista e la tesi liberale favorevole invece ad una maggiore libertà all’iniziativa privata.

Molto discusso è stato parimenti l’impegno escludente la fabbricazione di armi atomiche cui era nettamente contrario il Commissariato francese per l’energia atomica. La posizione di punta della nostra Delegazione è stata assunta dall’On. Malagodi validamente appoggiata nei momenti decisivi dall’On. Fanfani.

Il documento finale riveduto2:

1) mette in maggiore evidenza il riferimento alla Conferenza di Messina e ai lavori del Comitato di Bruxelles;

2) non si parla più della data del 30 aprile; è prevista una nuova riunione per il 5 aprile per discutere:

a) l’approvazione parlamentare della dichiarazione concernente l’energia atomica;

b) le decisioni da prendere per l’applicazione della risoluzione di Messina circa la realizzazione progressiva del Mercato Comune;

3) è stato marcato che la dichiarazione non tocca necessariamente l’esecuzione degli impegni internazionali attualmente in vigore il che, secondo i relatori, esclude l’impegno non costruire armi atomiche;

4) è stata attenuata la formula concernente il controllo dei combustibili nucleari e fanno però (manca) nuovi impianti in forma che elementi liberali considerano soddisfacente;

5) è stato infine detto soltanto che il numero dei membri dell’Assemblea comune dovrà essere aumentato.

I nostri rappresentanti sembrano nel complesso tutti soddisfatti, in vista delle precedenti esperienze.

Ora Fanfani e Malagodi hanno detto a Monnet che il Parlamento italiano approverà la dichiarazione solo dopo che essa sarà stata approvata dai Parlamenti di Parigi e Bonn.


1 Ci si riferisce al Comitato d’Azione per gli Stati Uniti d’Europa guidato da Monnet.


2 Vedi D. 125.

120

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,ALLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO VII,E AI MINISTERI DEL BILANCIO E DELL’INDUSTRIA E COMMERCIO

Telespr. 219/146. Parigi, 20 gennaio 1956.

Oggetto: Rapporto del Gruppo di lavoro n. 10 del Consiglio sull’energia nucleare: inizio della discussione.

Riferimento: Telespressi di questa Rappresentanza n. 147/100 del 14 e 152/105 del 16 gennaio c.a.1.

I Capi Delegazione, in una riunione non formale svoltasi il 17 u.s., hanno cominciato ad esaminare il documento CES/56/12, trasmesso col mio telespresso n. 152/105.

La discussione è stata piuttosto vaga e confusa, sia perché la grande maggioranza dei presenti non avevano istruzioni, sia perché mancava a molti la possibilità di pronunziarsi su argomenti di natura tecnica, specie prima che fosse stato deciso se e in qual modo l’O.E.C.E. si occuperà di energia nucleare.

È stato possibile, peraltro, rendersi conto di alcune tendenze che sono chiaramente affiorate. Il Presidente del Consiglio, come delegato britannico, desidera che l’O.E.C.E. non interrompa la sua attività in questo settore, anche se occorre attendere il Consiglio dei Ministri di fine febbraio per prendere una decisione formale: e del suo avviso sono anche i Delegati scandinavi, svizzero, austriaco, irlandese. Il Delegato belga ha l’ordine di Spaak di non intervenire: parla però a titolo strettamente personale, o come membro del Gruppo n. 10, e sempre in senso restrittivo o dilatorio. Lo stesso dicasi del collega olandese. Il Delegato francese, che anche lui si esprime a titolo personale, ha detto di essere disposto ad una discussione anche tecnica, che permetta di valutare a fondo le varie soluzioni proposte: evidentemente, le Autorità francesi desiderano chiarire alcuni punti prima di un’opzione definitiva tra le diverse forme di cooperazione. Ma invece il Presidente ha mostrato di preferire una discussione di carattere strutturale ed organizzativo, verso la quale ha spinto tutti i presenti. Ciò dimostra che quel che interessa la Gran Bretagna è di creare una struttura che consacri l’intervento dell’O.E.C.E. in materia di cooperazione nucleare, poco o nulla importando, almeno per il momento, il contenuto concreto di essa.

In linea di fatto, peraltro, gli unici argomenti che sono stati alquanto approfonditi sono quelli di cui ai n. 2 e 6 del documento CES/56/12, e cioè l’articolo 14 ed i rapporti con i paesi associati (Stati Uniti e Canadà) con i paesi non membri e gli Organismi internazionali. Su quest’ultimo punto, diversi Delegati hanno detto che un’attiva partecipazione dei paesi associati è indispensabile per qualsiasi forma di cooperazione nucleare che l’O.E.C.E. voglia intraprendere. Non è privo d’interesse sottolineare che, mentre il Delegato canadese ha subito risposto che il suo Governo è pronto a cooperare in qualsiasi caso, quello nordamericano non ha preso la parola.

Alla fine della riunione, è stato stabilito di riprendere la discussione in un’altra seduta ufficiosa, fissata per lunedì 23 p.v.2, alla quale il Gruppo di lavoro n. 10 presenterà uno studio sulle possibilità di applicazione dell’articolo 14 in materia di cooperazione nucleare, preparato d’intesa col Servizio giuridico.

Da quello che è dato comprendere sinora, questa serie di discussioni ufficiose tra i Capi Delegazione dovrebbe avere come scopo concreto quello di chiarire alcuni punti del rapporto del Gruppo n. 10 per quando i Ministri saranno chiamati a discuterlo ed a decidere l’istituzione di un Comitato speciale. Il desiderio britannico che la materia rimanga costantemente all’ordine del giorno si è così realizzato; ma anche i sei paesi della C.E.C.A. sono riusciti ad evitare che ci si impegni in una discussione di sostanza, prima di conoscere i risultati concreti dell’iniziativa da loro intrapresa a Messina ed a Bruxelles.


1 Non pubblicati.


2 Vedi D. 122.

121

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. riservata 115 segr. pol. Roma, 21 gennaio 1956.

Caro Quaroni,

ti unisco copia di un rapporto di Grazzi testé pervenutoci1.

Non posso non mettere in relazione le considerazioni, indubbiamente assai interessanti, di Grazzi con le osservazioni di cui all’ultima parte del tuo rapporto2 sul risultato delle elezioni in Francia e sulle prospettive di un futuro quanto mai incerto.

L’argomento toccato da Grazzi è ovviamente assai delicato, e la mia prima reazione è che sia consigliabile – ed a noi in particolar modo convenga – la massima prudenza e senso di misura: il che traspare in sostanza anche dalle parole di Grazzi.

Ci sarebbe comunque di grande utilità un tuo commento3.

Credimi,

tuo aff.mo

Massimo Magistrati


1 Vedi D. 117.


2 Con R. riservato 0051 del 9 gennaio Quaroni, dopo aver illustrato il risultato delle elezioni francesi, commentava: « … La Francia è un paese malato, e, ripeto, paese non Parlamento: il Parlamento non è che un riflesso del paese. Può guarire: nonostante tante apparenze, ha ancora infinite risorse materiali e morali. Ma questa guarigione può venire solo dall’interno: interventi dall’estero, da qualsiasi parte essi vengano, non fanno che del male. La malattia della Francia è una malattia interna: uomini politici e partiti, di fronte alla gravità dei problemi interni, tendono a delle diversioni di politica estera: è umano, del resto, e generale … » e ancora: « … Non cerchiamo quindi, noi od altri paesi, di spingere la Francia in quella o quell’altra direzione, di metterla con le spalle al muro, di metterla davanti alle sue responsabilità. Non serve a niente: la malattia della Francia si manifesta intanto in una specie di isolazionismo stizzoso e patriottardo, che è il vero comune denominatore di questo paese: pochi ci sfuggono, e quei pochi non hanno influenza. Dico questo soprattutto per quello che concerne il rilancio europeo. L’attuale Parlamento è più europeo del precedente? È troppo presto per dirlo … » per concludere: « … Con molta pazienza, con molta amicizia, forse, si può aiutare la Francia a guarire, nella direzione in cui vorremmo tutti che guarisca. Se invece la prendiamo a contropelo, mi permetto di ricordarlo a V.E., veramente non si sa dove la Francia ed i singoli uomini politici francesi possano andare, sia in politica interna che in politica estera. Questa pazienza con la Francia l’abbiamo avuta, finora: si tratta solo di non perderla: ma credo che faremmo cosa utile a noi stessi, alla politica che noi seguiamo, in ultima analisi alla Francia stessa, se cercassimo di consigliare questa pazienza a tutti i paesi, gruppi e personalità politiche straniere, sui cui abbiamo o possiamo avere una certa influenza».


3 Vedi D. 123.

122

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,ALLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO VII,E AI MINISTERI DEL BILANCIO E DELL’INDUSTRIA E COMMERCIO

Telespr. 283/196. Parigi, 24 gennaio 1956.

Oggetto: Rapporto del Gruppo di lavoro n. 10 del Consiglio sull’energia nucleare. Seguito della discussione.

Riferimento: Telespresso di questa Rappresentanza n. 219/146 del 20 corr.1.

La discussione sul documento CES/56/12 è stata ripresa dai Capi Delegazione nella giornata di ieri 23 gennaio, svolgendosi sui punti 3 – imprese comuni – e 4 – Ufficio di controllo di sicurezza – dato che lo studio sull’articolo 14 non era ancora pronto.

Il dibattito è stato, in verità, più interessante di quello precedente, sia per il numero e la qualità degli interventi, sia per l’importanza degli argomenti. Alcuni Delegati dei paesi minori, quali il norvegese e l’irlandese, hanno dimostrato di prendere una parte molto seria allo studio di questi problemi. Come sempre attivo ed interessato su ogni punto è stato lo svizzero, mentre il belga – cautelatosi la volta scorsa con la dichiarazione che parlava a titolo personale – è anch’egli intervenuto spesso. Degno di rilievo mi pare però sopratutto il rinnovato interesse col quale il collega francese ha partecipato alla discussione, chiedendo ripetutamente ragguagli e delucidazioni e cercando di chiarire molti singoli argomenti: a quanto egli mi ha lasciato intendere, sembra che il Quai d’Orsay, dopo le recenti riunioni del «Comitato Monnet», desideri riflettere bene e ripensare, in un certo senso, tutto il complesso e delicato problema della cooperazione atomica europea.

Punto 3. Imprese comuni. Il problema più importante è quello del metodo di finanziamento e di sfruttamento in comune, sul quale si è particolarmente soffermato il Delegato della Svizzera, chiedendo che il Segretariato pubblichi un documento con tutti gli esempi già esistenti, ed in particolare quello della «Eurofima», e facendo uno specifico accenno alla possibilità di regimi fiscali privilegiati per le imprese comuni.

Un argomento largamente trattato è stato quello di sapere sino a che punto lo Stato potrà o dovrà intervenire in materia d’industria nucleare, sia all’interno che per la costituzione di queste imprese comuni. Il costo di questa attività nascente è invero altissimo, e la ricerca sperimentale, indispensabile a questo stadio, non potrebbe essere facilmente effettuata da imprese private, perché gli investimenti ad essa adibiti rischierebbero di non essere redditizi ogni qualvolta il progresso della ricerca stessa si dimostrasse più rapido di qualsiasi applicazione tecnologica alle industrie. Sono stati forniti in proposito alcuni esempi, come quello di un metodo di separazione degli isotopi allo studio in Germania, presso l’Università di Marburgo, che parrebbe molto meno caro di quelli in corso negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.

Su questo problema fondamentale si è innestata una discussione, che ha dato modo di constatare come anche tra i Capi Delegazione dell’O.E.C.E. (i quali non potevano non essere echi del pensiero delle rispettive capitali) esistessero due correnti di opinioni, favorevoli l’una ad un certo «liberismo» e l’altra ad un certo «dirigismo». Tutti però sono sembrati concordi nell’affermare che la natura e la portata della nuova industria nucleare sono tali, che in nessun caso si potrà prescindere da un qualche intervento dello Stato: si tratterà piuttosto di un problema di misura di esso. Lo stesso argomento è stato del resto ripreso nella trattazione del punto n. 4 del documento concernente i controlli.

Per iniziativa del Delegato francese, è stato approfondito il punto concernente la localizzazione delle imprese comuni, che andrebbe connessa con il concetto di sicurezza: su questo argomento il Delegato belga, in qualità di membro del Gruppo di lavoro n. 10, ha commentato il paragrafo 68 del rapporto. Un altro argomento dibattuto è stato quello di sapere sino a che momento le imprese comuni rimanessero aperte all’adesione di Stati non interessati all’inizio. A questo proposito, il Delegato belga ha affermato, con estrema chiarezza, che è da auspicare una adesione del maggior numero possibile di Stati sin dal primo momento, perché non sarebbe concepibile che paesi i quali non hanno ritenuto di dover prendere il rischio iniziale – che è molto grande, specie in termini d’investimenti, in un settore vergine come quello dell’energia nucleare – ne colgano poi, senza sforzo, tutti i benefici con una partecipazione successiva. Il Ministro Ockrent ha aggiunto che l’interpretazione dell’articolo 14 deve perciò avvenire con estrema prudenza e cautela, e che da essa dipenderà in parte l’adesione di alcuni paesi membri alle formule di cooperazione proposte dall’O.E.C.E.

Questa opinione ha del resto riscosso, almeno in una certa misura, l’approvazione generale, compresa quella dello svizzero che aveva sollevato il problema.

Punto 4. Ufficio di controllo di sicurezza. È un problema di grande delicatezza sia per gli impegni particolari che legano alcuni dei paesi membri nei confronti degli Stati Uniti, del Regno Unito e del Canadà, sia per l’inevitabile connessione con gli aspetti militari. Il concetto ispiratore del rapporto del Gruppo di lavoro n. 10 è, ovviamente, che l’O.E.C.E. deve occuparsi dell’energia nucleare ai fini della cooperazione economica, e con opportune garanzie affinché la produzione di materiale nucleare, sviluppata in comune, non sia impegnata da alcun paese membro ai fini militari. D’altra parte, lo stesso Nicolaides – pur dichiarando che il sistema delineato dal rapporto gli sembra più completo ed adeguato di qualunque altro, compreso quello dell’Eurofima – ha dovuto ammettere che la distinzione tra utilizzazione pacifica e militare è molto difficile, o meglio che essa potrebbe avvenire solo ad uno stadio talmente avanzato da renderla inutile.

Come è noto, un problema del genere è affiorato anche nella riunione del «Comitato Monnet», ed è oggetto di interessamento da parte della stampa (v. articolo del «Figaro» trasmesso con telespresso a parte).

I rappresentanti del Canadà e degli Stati Uniti hanno fatto una breve esposizione sui metodi di controllo nei loro rispettivi paesi, dove produzione ed utilizzazione dell’energia nucleare sono, in realtà, nelle mani dello Stato.

Si è accesa quindi una discussione tra i Delegati del Belgio e della Svizzera sulla natura di un eventuale ufficio di controllo, e sui poteri che esso potrebbe esercitare come organo «di polizia» oppure di giurisdizione. Il Delegato francese ha accennato invece ad alcuni importanti problemi pratici, quali quelli della composizione e delle regole di procedura, domandandosi se queste dovessero basarsi sul principio dell’unanimità o su quello della maggioranza. Nicolaides, parlando beninteso a titolo personale, ha allora ricordato che trattasi di questioni sulle quali deve decidere il Consiglio, accennando però alle seguenti eventualità:

a) per la composizione, che tutti i paesi interessati intervengano ai negoziati sull’istituzione dell’ufficio di controllo;

b) per il controllo, che questo non si effettui sulle attività permanenti nazionali, salvo al momento in cui esse impieghino la produzione delle imprese comuni: e siccome questo impiego dovrà avvenire prima o poi, il controllo tenderà necessariamente ad estendersi sempre più alla sfera interna degli Stati.

Gli stessi Delegati di paesi normalmente ostili a qualsiasi formula di cooperazione non strettamente paritaria o intergovernativa – come per esempio quelli dell’Irlanda e della Norvegia – hanno ammesso esplicitamente che un ufficio di controllo non sarebbe funzionale se esistesse, in ogni sua fase, un potere di veto, affermando che la cooperazione in un settore nuovo come quello dell’energia nucleare deve fatalmente assumere aspetti anche essi nuovi. Il Delegato belga ha giustamente fatto allusione alla necessità dell’abbandono di una parte della sovranità nazionale in favore di un «organo comune» chiamato ad esercitare «funzioni comuni», senza che sia viceversa indispensabile ricorrere a concetti di supernazionalità, non a tutti bene accetti.

A conclusione di questa discussione, il consulente giuridico dell’O.E.C.E. ha così riassunto i compiti che potrebbero spettare a un eventuale ufficio di controllo:

a) dettare regole, ciò che comporta uno studio sulla composizione e la procedura;

b) controllare il rispetto di tali regole, ciò che comporta l’esercizio di alcuni poteri e funzioni e di verificare anche sui territori dei singoli paesi membri;

c) constatare le infrazioni alle regole, con una funzione giurisdizionale del tipo di quella esercitata all’interno dei paesi dalla Corte dei Conti (invece che di «storno di fondi» si parlerebbe di «storno di materiali»);

d) pronunziare sanzioni per le eventuali infrazioni.

Date le evidenti complessità e delicatezza degli argomenti trattati nel punto 4 del documento, il Delegato della Svizzera ha chiesto che fosse costituito uno speciale gruppo di lavoro del Consiglio, incaricato di fare un rapporto al Consiglio dei Ministri di fine febbraio. Per il momento, però, il presidente Ellis-Rees si è limitato a raccomandare al Gruppo di lavoro n. 10 ed al Segretariato di registrare accuratamente le discussioni già svoltesi, stabilendo che esse siano riprese venerdì 27 p.v.2.


1 Vedi D. 120.


2 Per il seguito vedi D. 124.

123

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

L. riservata 164. Parigi, 27 gennaio 1956.

Caro Massimo,

mi hai mandato l’eccellente rapporto di Grazzi in via diretta1: te lo commento anch’io in forma personale, intendendo, naturalmente, che a tutti i fini utili anche questo è un rapporto.

Grazzi esamina la questione sotto due punti di vista: gli effetti francesi e gli effetti italiani: seguo anch’io lo stesso sistema.

Per quello che riguarda la parte francese, la mia risposta era, ritengo, implicita nell’ultima parte del mio rapporto n. ris. 0051 del 9 gennaio2.

La situazione francese è estremamente fluida: non a causa delle elezioni: lo è sempre stata: le elezioni sono come delle analisi del sangue che si fanno, di tanto in tanto, su di un malato: ricordano la malattia che esiste. Quando un male è cronico, nella vita di ogni giorno qualche volta lo si dimentica: ma dimenticarsi una malattia non vuol dire che la malattia non esista.

È del resto a questa malattia che rimontano tutte le delusioni nostre od altrui: la politica di Santa Margherita3 è rimasta un fantasma, l’Unione doganale non è stata ratificata – come non è stata ratificata la C.E.D. – perché, sul piano intellettuale, i Governi francesi possono concepire tutte le politiche: ma quando si tratta di farle accettare dal loro Parlamento è un altro affare. Questo lo dimenticano spesso i francesi: ma purtroppo lo dimenticano anche più spesso i loro partners stranieri.

È stato così dal 1946 e, temo, continuerà così per un bel pezzo.

La cura dall’esterno è una cosa delicata assai, e pericolosa: ne abbiamo fatta l’esperienza colla C.E.D. A Bruxelles si è voluto mettere la Francia di fronte alle sue responsabilità: il Parlamento francese ha prese le sue responsabilità.

Se pazienza e prudenza sono necessarie sempre con la Francia, esse lo sono anche più in un momento come questo in cui la Camera comincia appena a rodarsi – alla fine essa si mostrerà né meglio né peggio delle precedenti – e gli equilibri sono particolarmente instabili, e certe reazioni possono segnare tutta una legislatura.

Grazzi ha ragione quando dice che i rapporti italo-francesi sono stati, in larghissima misura, un fantasma: vorrei precisare: hanno un simbolo – si dice così in matematica? – negativo. Non ci sono stati conflitti italo-francesi: non c’è più nervosismo in Francia per quello che riguarda l’Italia. In mancanza di meglio, anche il segno negativo ha la sua importanza. È probabile che qualche cosa di ostensibile, fra Italia e Germania, aumenterebbe – per lo meno – il nervosismo francese nei riguardi della Germania che, quello, invece esiste e come.

Non dimentichiamo, caro Massimo, quale è stata la maggioranza di investitura che ebbe, a suo tempo, Mendès-France. Allora le intenzioni che gli si prestavano erano precise: ci sono stati quindi più di 400 deputati i quali, piuttosto che allearsi con la Germania contro la Russia, preferivano almeno esplorare la possibilità di allearsi con la Russia contro la Germania.

È molto cambiata questa maggioranza al Parlamento francese? In queste elezioni, la politica estera è stata completamente assente: ma sarebbe assai azzardato il dedurne, adesso, che questo Parlamento sia più sicuro del precedente.

Ora, che si cominci a diffondere qui l’impressione che si sta ricostituendo un asse Roma-Berlino appoggiato a Washington, e potremmo assistere [sic] ad uno scivolamento francese verso Mosca. È per lo meno strano che noi, mentre ragioniamo continuamente della possibilità che la Germania torni ad una politica di Rapallo, si direbbe dimentichiamo la possibilità che sia invece la Francia a fare anche lei qualche cosa di simile.

Dal punto di vista europeo? Anche qui bisogna precisare: in fondo, oggi l’Europa possibile è l’Euratom. Qui si ha fortemente l’impressione che la Germania sia più che reticente nei riguardi dell’Euratom; certo che lo sia la Germania industriale. Una affermazione italo-tedesca di volontà euratomica potrebbe essere utile per calmare certe apprensioni: ma se in una dichiarazione di questo genere Italia e Germania sposassero nettamente la formula Monnet, l’effetto sarebbe negativo. Mi riservo di riferire sull’Euratom quando il Governo sarà fatto e tendenze ed intenzioni saranno più chiare. Posso però già anticipare che il Progetto Monnet ha poche chances di andare avanti: quindi, se come Governo noi ci dichiariamo adesso per l’Euratom di Monnet, insieme ai tedeschi, noi siluriamo le chances che ci sono – e che non sono poche – di realizzare, in qualche modo e forma, l’Euratom.

È evidente che bisogna ogni tanto che noi ricordiamo alla Francia – e che anche lei non deve dimenticarsi – che noi esistiamo. Questo risultato, probabilmente senza volerlo – ma in politica le migliori cose le si fanno quasi sempre senza volerlo – lo abbiamo ottenuto con la visita di Erhard. Ferrari Aggradi, durante il suo soggiorno qui, nello spirito di Santa Margherita ha informato i francesi, magari, forse, con una punta di «wishful thinking», di quello che è stato combinato. La cosa è stata sentita: avrà il suo effetto nella misura in cui il Governo francese è in grado di occuparsi di qualche cosa: ma non è il caso di calcare troppo la mano. Ci sono dei rimedi che, al di là di certe dosi, diventano dei veleni.

Per me, una cosa molto utile che potremmo fare a Bonn, agli effetti sia francesi che generali, sarebbe rimettere alle loro giuste proporzioni le elezioni francesi. Lo stato della Francia non è certo brillante: ma non è peggiore di quanto lo era all’epoca in cui Schuman, De Gasperi ed Adenauer si illudevano di stare facendo insieme l’Europa. Farà bene ai tedeschi se riusciamo a convincerli: e siccome a questo mondo tutto si sa, dicendo la verità, diremo anche una cosa che avrà un buon effetto a Parigi.

Passando al piano della politica generale italiana, non potrei che associarmi a quello che dice Grazzi, ossia andrei molto piano a lasciarci trascinare – per la terza volta nella nostra storia – dal miraggio tedesco. La Germania non è un miraggio – loin de là – ; è la politica tedesca dell’Italia che è un miraggio.

Per me, colla nostra situazione interna – che non è certo brillante né tranquillizzante agli occhi dei terzi nemmeno lei – colla situazione internazionale nostra e generale, noi, nel quadro della Comunità atlantica, dobbiamo cercare di avere le migliori relazioni possibili colla Francia, coll’Inghilterra, colla Germania – e naturalmente cogli Stati Uniti – senza fare delle esclusive: dobbiamo evitare di dare l’impressione di voler giuocare Francia contro Germania o viceversa. In realtà non lo facciamo, al più si tratta di qualche movimento velleitario; ma lo abbiamo fatto per tanto tempo che il sospetto è sempre attaccato a noi ed alle nostre mosse. Il primo passo per la rivalorizzazione internazionale dell’Italia è quello di creare l’impressione che siamo un paese di cui, internazionalmente, ci si può fidare.

Tra l’altro, non è nemmeno difficile. Basta non dire a Parigi cose che non si potrebbero dire a Bonn o viceversa.

Se poi si parlerà anche di rapporti franco-tedeschi, è forse bene che da parte nostra si tenga presente che, oggi, e da parecchio tempo a questa parte, un problema cruciale è il problema del Canale Mosella-Reno. Ha esso realmente l’importanza che gli attribuiscono i francesi in genere e la siderurgia in ispecie? Non lo so. Quello che è certo è che questa questione ha assunte le proporzioni di un banco di prova.

La C.E.C.A. ha fallito nelle sue funzioni di pilota dell’Europa di fronte a quelli che formano l’opinione pubblica francese, perché Jean 1er non ha voluto occuparsi di questo. I tedeschi, Adenauer stesso, possono parlare di Europa quanto vogliono: qui ci saranno sempre infinite riserve fino a che essi continuano a rifiutare questo Canale. Lo stesso problema della Sarre, problema difficile senza dubbio, potrebbe essere meno difficile a risolvere e lascerebbe meno strascichi se, sull’altro piatto della bilancia, i tedeschi si decidessero a metterci questo Canale4.

E con questo credimi

Quaroni


1 Vedi D. 121.


2 Vedi D. 121, nota 2.


3 Vedi D. 117, nota 2.


4 Su questo argomento vedi D. 224, nota 2.

124

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,ALLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO VII,E AI MINISTERI DEL BILANCIO E DELL’INDUSTRIA E COMMERCIO

Telespr. 469/335. Parigi, 3 febbraio 1956.

Oggetto: Rapporto del Gruppo di lavoro n. 10 del Consiglio sull’energia nucleare. Discussione sull’art. 14 della Convenzione.

Riferimento: Telespresso di questa Rappresentanza n. 383/266 del 30/1/19561.

I Capi Delegazione, nella riunione del 31 gennaio u.s., hanno continuato la discussione sul rapporto del Gruppo di lavoro n. 10, esaminando la nota preparata dal Segretario Generale sull’applicazione dell’art. 14 della Convenzione dell’O.E.C.E. nel settore dell’energia nucleare (documento CES/56/21 che allego)2.

Come si ricorderà, il Servizio Giuridico del Segretariato Generale si era già occupato in precedenza dell’applicazione dell’art. 14 (v. mio rapporto n. 4855 del 14/11/1955)1; ma il documento odierno aveva un carattere alquanto diverso. Esso era stato preparato per espressa richiesta dei Capi Delegazione alla riunione del 17 gennaio (v. mio telespresso n. 219/146 del 20/1/1956)3, ed alla sua redazione avevano collaborato sia il Presidente del Gruppo di lavoro n. 10, Nicolaides, che alcuni Capi Delegazione. Questo spiega la differenza di impostazione tra il precedente documento del Servizio Giuridico e l’attuale, ove a mio avviso si adombrava un tentativo di far considerare l’intero settore dell’energia nucleare come un «caso speciale», soggetto quindi ad un regime diverso da quello che regola le deliberazioni dell’Organizzazione: e ciò mediante una interpretazione estensiva dell’art. 14 della Convenzione.

Prima di riassumere l’andamento della discussione, mi pare opportuno indicare quali siano, a mio avviso, i termini esatti della questione, che non mi paiono coincidere con quelli del documento.

L’art. 14 della Convenzione dice testualmente:

«A moins que l’Organisation n’en décide autrement pour des cas spéciaux, les décisions sont prises par accord mutuel de tous les Membres. Dès lors qu’un Membre déclare ne pas être intéressé à une question, son abstention ne fait pas obstacle aux décisions, qui sont obligatoires pour les autres Membres».

Le due frasi dell’articolo contengono ciascuna un precetto diverso, anche se si riferisce sempre al potere deliberativo del Consiglio. Il primo riguarda l’unanimità delle decisioni, stabilendo che esse possono essere prese soltanto col mutuo accordo di tutti i paesi membri, a meno che l’Organizzazione non decida altrimenti per dei «casi speciali».

Il secondo precetto contempla il criterio dell’universalità, in quanto stabilisce che quando un paese membro dichiara di non essere interessato ad una questione, la sua astensione non costituisce ostacolo al raggiungimento delle decisioni, che sono obbligatorie per gli altri membri. Per dirla in altre parole, si è voluto intendere che la regola generale è quella dell’unanimità, con la quale soltanto è rispettato il principio della sovranità dello Stato, ma che è sufficiente che essa venga raggiunta tra coloro che sono interessati, senza far entrare nel computo i paesi astenuti per mancanza di interesse.

Si può però fare un’eccezione alla regola dell’unanimità, quando vi sia una decisione contraria del Consiglio per dei «casi speciali». Come dice chiaramente l’espressione usata, nel suo senso letterale, deve perciò trattarsi di casi, e cioè non di interi settori o categorie, i quali siano riconosciuti come speciali dal Consiglio che si pronunzia al riguardo secondo la regola generale dell’unanimità.

Nel documento CES/56/21 viceversa, era chiaramente formulata una interpretazione diversa, vale a dire quella che un intero settore – nella fattispecie il settore dell’energia nucleare – avrebbe potuto essere considerato quale «caso speciale» e sottratto così all’applicazione del principio generale dell’unanimità. Questa interpretazione mi è sembrata tale da aprire la via a serie conseguenze pratiche, e sopratutto a questa: se il Consiglio stabilisse che tutto il settore dell’energia nucleare possa essere considerato «caso speciale», si verrebbe a istituire per quell’intero settore un regime anch’esso speciale, sottratto alla regola generale dell’unanimità. Con ciò si potrebbero certamente superare molte delle difficoltà che sono apparse nel corso delle discussioni sulle possibilità pratiche di inserire una struttura di cooperazione quale quella prevista per l’energia nucleare negli schemi costituzionali dell’Organizzazione, ma si sfascerebbe l’O.E.C.E. stessa che verrebbe a trasformarsi in un quadro generico entro il quale opererebbe una serie di gruppi ristretti, variamente costituiti. E tra l’altro significherebbe che uno Stato, il Regno Unito, per esempio, avrebbe la possibilità di decidere caso per caso se cooperare in qualsiasi progetto del settore energetico nucleare, venendosi a perdere uno dei vantaggi principali della cooperazione nucleare in seno all’O.E.C.E., che è quello della stretta associazione generale con la Gran Bretagna.

Il malinteso, più o meno intenzionale che fosse, mi è parso abbastanza grave, e sia per questa ragione che per tener conto delle indicazioni di cui alla lettera n. 01464 in data 6 dicembre 1955 dell’Ambasciatore Cattani1, ho ritenuto di dover aprire io stesso la discussione alla riunione del 31 gennaio u.s., con una domanda di chiarimenti su quale fosse esattamente il pensiero contenuto nel documento. Ho chiesto se con esso si fosse voluto realmente considerare l’intero settore quale un «caso speciale», aggiungendo che, a mio parere, ciò avrebbe provocato tra l’altro una vera distorsione nell’interpretazione dell’art 14, superando oltre tutto i limiti contenuti in quella delegazione di poteri degli Stati al Consiglio dell’O.E.C.E., che è alla base stessa della facoltà deliberativa del Consiglio.

Il Consigliere giuridico mi ha dato una risposta che, a mio avviso, non era neppur tale e non risolveva nulla, dicendomi che «sono da considerarsi casi speciali tutti quei casi per i quali il Consiglio decida che essi costituiscono un caso speciale». Egli ha soggiunto che il Consiglio potrebbe così decidere anche per un intero settore, e che lo faccia o meno è una mera questione di opportunità politica. La seconda parte del ragionamento del Signor Huet è certamente valida, ma non risolve il problema dal punto di vista giuridico.

Ho allora risposto che non mettevo in dubbio che spettasse al Consiglio determinare i «casi speciali»: ma, siccome la norma generale della Convenzione è quella dell’unanimità, alla quale i casi speciali costituiscono una eccezione, l’interpretazione di questa eccezione non può che essere restrittiva, in base al principio giuridico che ogni eccezione ad una regola generale non può essere interpretata estensivamente, ma deve anzi esserlo restrittivamente.

Hanno poi preso la parola diversi altri Capi Delegazione. Il Delegato della Svizzera, premesso che da tempo egli andava chiedendo uno studio sull’applicazione dell’art. 14, che a suo parere conferisce al Consiglio dell’O.E.C.E. la necessaria flessibilità, ha ricordato la genesi di tale articolo richiamando i processi verbali dell’aprile 1948, e sopratutto come esso avesse costituito un compromesso tra i partigiani della regola assoluta dell’unanimità e quelli della regola della maggioranza. La Svizzera, che era tra i primi, aveva accettato il compromesso, appunto perché esso faceva sì che le decisioni del Consiglio non venissero imposte a chi non avesse voluto liberamente accettarle, ciò che salvaguardava il principio dell’unanimità inteso come «strumento di politica difensiva e di rispetto della sovranità degli Stati».

Il Delegato della Norvegia (il quale partecipa molto attivamente a queste discussioni) ha cercato di portare il problema fuori dello schema dell’art. 14. Egli ha fatto rilevare che tra le varie forme di cooperazione, proposte dal rapporto del Gruppo di lavoro n. 10, bisogna distinguere tra la cooperazione generale e quella delle imprese comuni: nel primo caso, è evidente che i paesi membri debbono assumere gli stessi obblighi e che, per ciò che attiene alla politica commerciale, non si possono «rilasciare assegni in bianco», ma occorre negoziare volta per volta tra gli eventuali gruppi ristretti da una parte, l’insieme dell’O.E.C.E. (e il G.A.T.T.) dall’altra. Per le imprese comuni, ogni gruppo di Stati è viceversa libero di porre regole specifiche, salvo il rispetto degli obblighi preesistenti e della facoltà di partecipazione altrui; ma è evidente che coloro i quali assumono i rischi iniziali, molto seri nel settore nucleare, debbano essere lasciati liberi di determinare le condizioni delle successive partecipazioni altrui. Il vero problema è stato definito dall’Ambasciatore Boyesen come un problema di «condizioni preliminari politiche» necessarie perché si realizzi questa cooperazione tra i gruppi ristretti e l’insieme dell’Organizzazione. E se vi sarà la volontà politica di applicare i suggerimenti contenuti nel rapporto del Gruppo di lavoro n. 10, egli ha detto di ritenere, non esistono nella Convenzione norme che possano ostacolarla.

Il Delegato dell’Irlanda – uno dei Capi Delegazione che avevano contribuito alla redazione del documento, e col quale avevo avuto contatti prima della riunione per illustrargli il mio punto di vista – si è detto d’accordo con quanto avevo fatto presente circa l’impossibilità di dare all’interpretazione dell’art. 14 un carattere così ampio. Non è possibile, egli ha riconosciuto, che non si tenga conto del principio informatore della Convenzione, che è quello del rispetto della sovranità degli Stati mediante l’applicazione del principio dell’unanimità, e si faccia una eccezione per un intero settore.

Il Delegato dei Paesi Bassi ha sollevato un punto delicato, chiedendo di conoscere se, nell’ipotesi in cui fosse ammessa per qualche caso speciale la regola della maggioranza, si dovesse poi intendere che quest’ultima si applicasse nel senso che la minoranza dissenziente fosse tenuta ad uniformarsi alla volontà della maggioranza. Su questa sua domanda si è innestata una polemica tra i Delegati della Svizzera e del Belgio circa le intenzioni degli autori della Convenzione e la genesi dell’art. 14, nonché i casi nei quali l’articolo stesso è stato già applicato e specie quello del modo di votazione del Comitato di direzione dell’U.E.P.

Il Delegato britannico si è detto d’accordo sulla necessità che una certa flessibilità presieda alle deliberazioni dell’O.E.C.E. in materia di energia nucleare, aggiungendo che occorreva trovare un modo obiettivo affinché il Consiglio potesse decidere quali fossero i casi speciali. Ha riconosciuto che la mia dichiarazione iniziale era esatta e che non si poteva definire preventivamente il «caso speciale», ed auspicato che la maggioranza dei paesi partecipasse alla maggioranza dei progetti di cooperazione nel settore, riconciliando così la regola dell’unanimità con la necessità che non si impedisse ad un gruppo ristretto di progredire più degli altri. Lo stesso concetto è stato sostenuto dal Delegato della Grecia, il quale ha giustamente rammentato che l’idea base dell’art. 14 è quella che l’astensione da parte di alcuni Stati non rompe l’unanimità degli altri: ha cioè posto la distinzione tra i concetti di unanimità e di universalità, contenuti nei due precetti distinti dell’articolo.

Il Presidente del Consiglio, riassumendo la discussione, ha indicato che il risultato da raggiungere è quello di cercare di togliere gli ostacoli che potrebbero frapporsi a paesi, i quali volessero cooperare tra di loro in modo più stretto nell’ambito dell’O.E.C.E.: evidentemente, la procedura per i casi speciali deve rimanere eccezionale e non può trasformare la regola fondamentale dell’Organizzazione, che è quella dell’unanimità. Ha concluso che avrebbe pregato i Capi Delegazione di riprendere la discussione su questo delicato e complesso argomento in una prossima riunione, onde meglio approfondirlo e chiarirlo.

Le impressioni ricavate sia dall’andamento della discussione che sopratutto dai contatti avuti, prima e dopo di essa, con altri colleghi e col Segretariato, hanno suffragato in me l’opinione che mi ero fatta leggendo il documento CES/56/21: cioè che l’impostazione di esso fosse in sostanza dovuta al tentativo di promuovere l’applicazione di regole speciali all’intero settore dell’energia nucleare, con le conseguenze pratiche alle quali ho più sopra accennato.

Credo però di poter affermare che già il primo scambio di idee svoltosi tra i Capi Delegazione ha fatto chiaramente emergere, ed accettare da tutti, che effettivamente non è possibile che un intero settore sia qualificato «a priori» come un caso speciale. È da sperare che il seguito delle discussioni condurrà ad un chiarimento definitivo della questione, e sarà mia cura adoperarmi in tal senso. Dubito peraltro che si riesca, tra Capi Delegazione, a formulare un’opinione comune definitiva da sottoporre al Consiglio dei Ministri di fine mese4.


1 Non pubblicato.


2 Non pubblicato, la nota riguardava la possibilità di adottare decisioni non unanimi applicando l’art. 14 del Trattato del 1948, che ammetteva in via di eccezione decisioni non unanimi quando l’organizzazione avesse ritenuto trattarsi di un «caso speciale».


3 Vedi D. 120.


4 Vedi D. 128.

125

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

Telespr. 44/021481. Roma, 7 febbraio 1956.

Oggetto: Comitato Monnet. Risoluzione e Dichiarazione comune approvate nella riunione di Parigi del 18/1/56.

Riferimento: Telespresso ministeriale 44/1279/c. del 26/1/562.

A seguito del telespresso sopra indicato si trascrivono, per opportuna informazione e notizia, i due testi relativi alla Risoluzione e alla Dichiarazione comune adottati entrambi alla unanimità dal Comitato Monnet nella riunione tenutasi a Parigi il 18 gennaio 19563.

Il testo della Risoluzione è il seguente:

« 1. Nos organisations, partis et syndicats, réunis pour la première fois au-delà de ce qui peut les diviser sur le plan national, sont unanimes pour estimer que les espoirs de nos peuples d’amélioration des conditions de vie, de justice, de liberté et de paix ne seront pas réalisés si les efforts nationaux restent séparés. Nos pays doivent mettre en commun leurs ressources et leurs efforts. C’est pourquoi nous avons pris l’initiative de constituer le Comité d’Action pour les États-Unis d’Europe. Le Comité assurera l’unité d’action des organisations qui en sont membres, afin de parvenir, par des réalisations concrètes, successives, aux États-Unis d’Europe.

Le Comité tient à rappeler qu’il reste ouvert à toutes les organisations similaires des autres pays d’Europe qui se déclareraient d’accord sur les principes qu’il affirme, et les buts qu’il poursuit. Il se refuse à accepter comme définitive la situation actuelle qui fait que les organisations de six pays d’Europe seulement aient pu donner leur accord, et renouvelle son espoir unanime de voir d’autres nations d’Europe prendre sans réserve la place qui est la leur dans l’organisation de l’Europe, ou à tout le moins s’y associer étroitement.

2. L’action du Comité consistera, d’abord, par son intervention et celle des organisations groupées en son sein à manifester auprès des gouvernements, des parlements et des opinions publiques leur détermination de voir faire de la Résolution de Messine prise le 2 juin dernier par les Ministres des Affaires Étrangères allemand, belge, français, italien, luxembourgeois et néerlandais, une véritable étape vers les États-Unis d’Europe.

Comme le déclaraient les six ministres des Affaires Étrangères dans leur Résolution de Messine, les 1er et 2 juin 1955, nos organisations elles aussi, “estiment qu’il faut poursuivre l’établissement d’une Europe unie par le développement d’institutions communes, la fusion progressive des économies nationales, la création d’un marché commun et l’harmonisation progressive de leurs politiques sociales”.

A Bruxelles, les experts du “Comité intergouvernemental créé par la Conférence de Messine” ont étudié les problèmes techniques posés par cette Résolution. Ils ont déposé leurs rapports. Les Gouvernements vont devoir, dans un avenir rapproché, se prononcer sur les décisions nécessaires pour passer des conclusions des experts à des réalisations effectives.

Parmi ces réalisations que notre Comité veut faire aboutir, celle qui doit et peut être la plus rapide, concerne l’énergie atomique.

3. Le développement de l’énergie atomique, à des fins pacifiques, ouvre la perspective d’une nouvelle révolution industrielle et la possibilité d’une transformation profonde des conditions de travail et de vie.

Nos pays, ensemble, sont capables de développer eux-mêmes une industrie nucléaire. Ils forment la seule région du monde qui puisse se mettre au niveau des grandes puissances mondiales. Mais, séparément, ils ne pourront rattraper leur retard, conséquence de la désunion européenne.

L’action est urgente, si l’Europe ne veut pas laisser passer sa chance.

L’industrie nucléaire, productrice d’énergie, sera inévitablement à même de fabriques des bombes. Pour cette raison, les aspects politiques et les aspects économiques de l’énergie atomique sont inséparables. La Communauté européenne doit développer l’énergie atomique à des fins exclusivement pacifiques. Cette option exige un contrôle sans fissures. Elle ouvre la voie à un contrôle général à l’échelle du monde. Elle n’affecte en rien l’exécution de tous les engagements internationaux actuellement en vigueur.

Pour atteindre ces objectifs, une simple coopération entre les gouvernements ne saurait suffire. Il est indispensable que les États délèguent l’autorité propre et le mandat commun nécessaires à des institutions européennes.

4. Afin que les mesures nécessaires soient prises rapidement, nous sommes convenus de soumettre la déclaration ci-jointe à l’approbation parlementaire en Allemagne, en Belgique, en France, en Italie, au Luxembourg et aux Pays-Bas, et d’inviter nos gouvernements à conclure sans délai un traité conforme aux règles qui y sont exposées.

5. Enfin, le Comité a décidé de se réunir le 5 avril 1956 sur les points suivants:

- Approbation parlementaire de la déclaration commune ci-jointe relative à l’énergie atomique;

- Décisions à prendre sur les mesures nécessaires afin d’appuyer l’action des gouvernements pour l’application de la Résolution de Messine, en particulier en ce qui concerne la réalisation progressive du marché commun».

Il testo della Dichiarazione comune è il seguente:

«1. Pour assurer un développement exclusivement pacifique de l’énergie atomique, ainsi que la sécurité de la main-d’œuvre et des populations, et pour améliorer le niveau de vie des populations, pour faciliter l’effort et le progrès des industries intéressées,

- par un approvisionnement suffisant en combustible nucléaire,

- par une aide financière et technique,

- par la création des services et établissements communs indispensables,

- par la création d’un marché commun pour les matières et équipements spéciaux définis par la Commission,

- par la mise en commun des connaissances,

il est indispensable que nos pays délèguent ensemble à une Commission européenne de l’énergie atomique l’autorité propre et le mandat commun nécessaires.

2. Pour garantir le caractère exclusivement pacifique des activités nucléaires ainsi que la sécurité de la main-d’œuvre et des populations, la Commission devra établir un système de contrôle. Il est indispensable:

a) D’une part, exclusivement à cette fin, que tous les combustibles nucléaires produits ou importés dans les territoires relevant de la juridiction de nos pays soient acquis par la Commission européenne de l’énergie atomique. Cette règle n’affectera pas l’exécution des engagements internationaux actuellement en vigueur. La Commission doit conserver la propriété exclusive des combustibles nucléaires à travers leurs transformations. Elle devra les mettre à la disposition des utilisateurs, équitablement et sans discriminations, aussi bien en période normale qu’en cas de pénurie.

b) D’autre part, que la construction et l’exploitation des installations nucléaires soient soumises à une autorisation préalable de la Commission que délivrera la Commission [sic] quand seront remplies les conditions qui la mettent à même de suivre les transformations et l’utilisation des combustibles et de veiller à la sécurité de la main-d’œuvre et des populations.

Les règles de sécurité à observer dans le transport et la manipulation des matières, la construction et le fonctionnement des installations et l’évacuation des résidus devront être définies par la Commission, en liaison avec les organisations internationales et notamment l’O.N.U. Elle devra en assurer l’application.

3. Le contrôle parlementaire sur la Commission devra être exercé par l’Assemblée Commune et le contrôle juridictionnel par la Cour de Justice de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier.

Le nombre des membres de l’Assemblée Commune devra être accru pour faire face à ses tâches nouvelles.

Le Conseil spécial des Ministres devra harmoniser l’action de la Commission et celle des gouvernements nationaux responsables de la politique économique générale de leur pays.

Un Comité Consultatif composé de travailleurs, d’employeurs, d’utilisateurs devra être institué auprès de la Commission.

4. Toutes les possibilités d’une participation à la Communauté doivent être ouvertes aux pays européens autres que nos pays.

a) Ces pays européens doivent pouvoir participer pleinement, s’ils acceptent les règles ci-dessus. Plus ces pays seront nombreux, plus l’effort commun sera profitable à chacun.

b) En particulier, tout devra être fait pour obtenir une participation entière de la Grande-Bretagne. Si la Grande-Bretagne n’accepte pas une entière participation, les mesures nécessaires devront, en tous cas, être prises pour qu’elle soit étroitement associée.

c) Enfin, la possibilité d’utiliser les services et établissements communs ou de participer à leur mise sur pied suivant des accords spéciaux à conclure ultérieurement devra être ouverte aux pays européens non membres.

La Commission devra être seule habilitée à négocier et conclure avec les pays tiers tous les accords nécessaires à l’accomplissement de sa mission et, en particulier, en ce qui concerne l’approvisionnement en matières nucléaires.

Les droits et les obligations des pays participants résultant d’accords en vigueur relatifs à l’utilisation pacifique de l’énergie atomique devront être transférés à la Commission, sous réserve de l’accord des pays tiers avec lequel ces accords ont été conclus».

Si informa, ad ogni buon fine, che nei due testi approvati dal Comitato si rilevano le seguenti variazioni nei confronti dei progetti originari.

Per quanto concerne la Risoluzione, al punto 3 è stata introdotta la dichiarazione in base alla quale il fatto che la costituenda Comunità europea debba sviluppare l’energia atomica soltanto a scopi pacifici non verrà a incidere in alcun modo sulla attuazione di tutti gli accordi internazionali attualmente in vigore.

Mentre il progetto di Risoluzione non prevedeva, inoltre, alcuna azione concreta da parte del Comitato in materia di mercato comune europeo, la Risoluzione approvata stabilisce, al punto 5, che, nella prossima riunione del 5 aprile, il Comitato debba esaminare, fra l’altro, il problema delle misure necessarie al fine di appoggiare le iniziative dei sei Governi per la progressiva realizzazione di un mercato comune. Per quanto concerne la Dichiarazione comune si rileva come nel testo approvato sia stato introdotto al punto 2, lettera a) il concetto di una distribuzione equa e senza discriminazioni dei combustibili atomici fra gli utenti anche in periodo di scarsità.

Sono stati infine eliminati dalla Dichiarazione comune i maggiori tratti di dirigismo e di «nazionalizzazione sopranazionale», che figuravano nel primitivo progetto. In particolare:

a) alla Commissione Europea viene riconosciuto il diritto di acquistare i combustibili nucleari prodotti o importati, ma si lascia libera la ricerca, lo sfruttamento di giacimenti, la prima lavorazione dei minerali. L’acquisto da parte della Commissione è inoltre previsto esclusivamente a scopo di controllo (Dichiarazione comune n. 2, lettera a).

b) Sono state abbandonate molte altre disposizioni che erano contenute in un allegato al testo originario e che si proponevano di attribuire alla Commissione ampi poteri di direzione su tutta la politica energetica dei vari paesi.


1 Diretto agli stessi destinatari di cui al D. 57, nota 1.


2 Non pubblicato.


3 Vedi D. 119.

126

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

Verbale riservatissimo1.

VERBALE DELLA CONVERSAZIONE SEGNI-MARTINO-ADENAUER-VON BRENTANO

(Bonn, Palazzo della Cancelleria Federale, 7 febbraio 1956)

Il Presidente del Consiglio, On. Segni, ed il Ministro degli Affari Esteri, On. Martino, si sono incontrati, allo scopo di avere uno scambio di idee di natura politica, con il Cancelliere Federale tedesco Adenauer e con il Ministro degli Affari Esteri, von Brentano, nel Palazzo della Cancelleria di Bonn, nella giornata del 7 febbraio 1956.

Hanno assistito a tale incontro, da parte italiana, l’Ambasciatore d’Italia a Bonn, Grazzi, il Capo di Gabinetto di Palazzo Chigi, Migone, il Direttore Generale degli Affari Politici, Magistrati, ed il Ministro Canali, e da parte tedesca il Segretario di Stato Hallstein, l’Ambasciatore tedesco a Roma, von Brentano, ed alcuni alti funzionari del Ministero degli Affari Esteri.

Dopo brevi parole di saluto rivolte dal Cancelliere tedesco agli ospiti italiani, il Ministro von Brentano ha, quale primo tema della conversazione, illustrato brevemente il punto di vista tedesco in merito alla imminente Conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri dei paesi della C.E.C.A. a Bruxelles, indicando come il problema dell’integrazione dell’Europa sia sempre oggetto di grande attenzione e di vivo interesse da parte del Governo di Bonn. L’aspetto più recente di tale problema è quello concernente il «pool» atomico tra i paesi dell’Europa Occidentale, oggi noto sotto il nome di «Euratom», progetto al quale i tedeschi sono sostanzialmente favorevoli desiderando vederlo piuttosto legato alla formazione progressiva di un mercato comune anziché soltanto quale oggetto di accordi internazionali in sede O.E.C.E. A Bruxelles i due problemi, quello del mercato comune e quello dell’Euratom, dovranno possibilmente essere trattati congiuntamente ed è stato bene averli messi all’ordine del giorno di quella prevista riunione.

Il Ministro On. Martino, nel porre in rilievo come il Governo italiano sia sempre stato coerente al presupposto dell’integrazione politica europea, definisce quale «pietra miliare», sul cammino della integrazione stessa, la decisione che unanimemente venne presa a Messina nel giugno 19552. Da parte italiana si è sempre favorevoli ad una integrazione economica orizzontale anziché verticale ossia per settori e a Nordwijk3, allorché cominciò a parlarsi del pool atomico, la Delegazione italiana insisté perché esso venisse appunto considerato in un quadro generale e non quale settore indipendente. Il Governo di Roma resta fedele a queste idee e dovrà essere compiuto ogni sforzo in funzione della creazione del mercato comune e soltanto qualora fosse assolutamente impossibile procedere su tale cammino, da parte italiana si sarebbe non contrari a compiere un’azione intesa a favorire un’organizzazione di integrazione nel settore dell’energia atomica.

Il Cancelliere Adenauer, dopo aver ricordato i tempi della fondazione della C.E.C.A. e l’azione meritoria allora svolta dal Presidente francese Schuman, pone in rilievo l’aspetto psicologico del problema e come gli interessi e gli sviluppi del progettato mercato comune debbano essere affidati sopratutto alla politica e non soltanto alla economia. Proprio per motivi psicologici qualunque tentativo capace di suscitare interesse, anche la creazione di un francobollo e di un passaporto comuni e gli scambi di persona particolarmente nel settore della gioventù, deve essere considerato favorevolmente.

Oggi naturalmente la situazione francese non può non essere oggetto di grande attenzione per quanto il Presidente Guy Mollet sia indubbiamente un europeista e per quanto lo stesso Mendès-France potrebbe compiere un’evoluzione in quella direzione. Evidentemente la situazione algerina è molto difficile ed è ben arduo avanzare previsioni in merito alla solidità del Gabinetto francese, situazione questa che fa prevedere un atteggiamento sostanzialmente incerto, anche se formalmente favorevole, da parte della Delegazione francese che sarà presente alla Conferenza di Bruxelles, ed è veramente un peccato pensare che la sperata Comunità europea debba «zoppicare» perché uno dei suoi membri si trova nella impossibilità di camminare diritto.

L’On. Martino conferma come da parte italiana si condivida la preoccupazione del Cancelliere. Evidentemente il nuovo Governo francese appare non cattivo sotto il profilo dell’europeismo ma gli avvenimenti algerini sembrano metterlo sempre più in difficoltà. Con ogni probabilità quindi non sarà dato, a Bruxelles, di conoscere quali siano le precise idee francesi. Comunque i Rappresentanti degli altri paesi dovranno non perdere occasione per stringere i tempi mettendo così il Governo francese dinanzi alle sue responsabilità. Evidentemente è molto difficile immaginare un vero movimento di integrazione europea con una assenza della Francia perché le opinioni pubbliche dei nostri paesi difficilmente potrebbero comprenderlo, ma però l’intento da raggiungere appare talmente importante che domani, qualora davvero la Francia dovesse fare macchina indietro, non potrebbe non mettersi il quesito della convenienza di continuare a lavorare per facilitare l’integrazione di una Europa «a cinque» perché così facendo – e lasciando naturalmente sempre pronta una sedia vuota per la Francia – la grande idea potrebbe essere conservata e difesa.

Il Ministro von Brentano si dichiara in linea generale d’accordo con l’On. Martino ponendo però in rilievo come uno sforzo d’integrazione, con l’assenza francese, sarebbe veramente difficilissimo anche perché, in quelle condizioni, molto problematica sarebbe una collaborazione dei paesi del Benelux. Bisogna comunque stringere i tempi e in fondo il Parlamento di Parigi dovrebbe finire per trovare una maggioranza a carattere europeista sempreché non si succedessero crisi per difficoltà interne. Comunque l’esperienza insegna che occorre talvolta permettere alla Francia di prendere qualche iniziativa che andrebbe provocata ed appoggiata.

Il Cancelliere Adenauer, pur dichiarandosi d’accordo sulla possibilità della creazione di una maggioranza parlamentare francese in tema di europeismo, non può non ripetere come le difficoltà attuali francesi sembrino molto notevoli. La dichiarazione iniziale del Presidente Mollet inspira indubbiamente fiducia ma non lontane esperienze insegnano come dichiarazioni di tale natura non costituiscano dei veri vangeli. Da tutto ciò può risultare una paralisi nel movimento europeo ed è quindi necessario un nuovo impulso che, per vari motivi, potrebbe essere dato particolarmente dal Ministro Spaak, convinto ed attivo europeista, con un forte concorso da parte italiana.

Il Presidente, On. Segni, si dichiara del tutto d’accordo.

Il Ministro On. Martino abborda la questione dell’applicazione dell’articolo 2 del Patto atlantico rievocando le discussioni avvenute in merito durante l’ultima riunione del Consiglio Atlantico del dicembre 19554. È inutile nascondersi come recenti avvenimenti, quali le Conferenze di Ginevra e tutto il cosiddetto movimento distensionista, abbiano creato in Italia un certo disinteresse nei confronti della N.A.T.O. considerata un’organizzazione troppo esclusivamente militare e come negli ultimi tempi sia sorto troppo grande ottimismo perché gli sforzi di ogni Nazione possano essere visti soltanto in quel settore. Tutto ciò porta alla necessità che la solidarietà atlantica possa rassodarsi. Ora, proprio l’articolo 2 del Patto contempla una vera solidarietà politica, economica e sociale e non soltanto militare. Inoltre dopo la seconda Conferenza di Ginevra siamo entrati nel periodo della cosiddetta «coesistenza competitiva» con le conseguenti offerte sovietiche di assistenza a favore sopratutto dei paesi del Medio Oriente. Un esempio classico e significativo è costituito dall’azione di Mosca nei confronti dell’India. In queste condizioni i nostri paesi devono approntarsi per una competizione di carattere economico e l’Alleanza atlantica, per il dispositivo dell’articolo 2 del Patto, sembra poter formare una utile cornice in tale materia.

Il Cancelliere Adenauer desidera fornire qualche delucidazione e spiegazione in merito ad un tacito rimprovero, indubbiamente esistente, in taluni paesi, circa il ritardo nel riarmo tedesco. Occorre vedere tale questione sotto il profilo psicologico. Le Forze Armate tedesche godevano in passato di un grande rispetto nell’opinione pubblica del paese, ma in seguito, anche per i nefasti effetti della corruzione nazista, si è avuto un vero e proprio collasso mentre a loro volta gli alleati vincitori hanno imposto, in un primo periodo, sistemi di rieducazione politica che si sono rivelati controproducenti ai fini di creare nuovamente la necessaria stima ed il necessario rispetto nei confronti delle Forze Armate del paese. Da ciò una indubbia lentezza che non deve però far dubitare dei risultati finali. Naturalmente, sempre in tema di situazioni psicologiche, non può non vedersi come esista una differenza tra i metodi che governano e reggono l’azione dei paesi della N.A.T.O. e quelli in uso nel blocco sovietico. Ad esempio, proprio mentre il Presidente Eisenhower inviava al Signor Bulganin la sua lettera di tono sicuro e deciso, il Governo francese riteneva opportuno di sbandierare nuovamente il Trattato di amicizia tra Parigi e Mosca, dichiarandolo tuttora in pieno vigore. Assistendo a tale confronto si spiega come la Russia debba essere convinta dell’esistenza, tuttora, di gravi contrasti tra i paesi occidentali. Se invece l’Occidente mostrasse di possedere uno spirito di vera e profonda unione, non sarebbe difficile creare le solide premesse per una decisa resistenza contro la pressione sovietica.

Il Presidente On. Segni si dichiara d’accordo. Dinanzi all’offensiva sovietica la Germania e l’Italia si trovano nella stessa linea per respingere i pericoli che potrebbero essere causati da una pretesa distensione. L’Italia è conscia di quei pericoli e pensa che una collaborazione italo-germanica potrebbe costituire per l’Europa un elemento di grande importanza anche se una integrazione a sei dovesse rivelarsi lenta e difficile. La Germania e l’Italia sono due zone di confine con il mondo sovietico e perciò ambedue i paesi sentono, meglio di altri, i pericoli insiti nella situazione attuale. Queste conversazioni confermano come esistano basi di intesa tra Bonn e Roma sia bilateralmente sia nel quadro della politica generale. La politica italiana, in tema di difesa contro il comunismo, non è affatto mutata nella sostanza, anche se, formalmente, il cosiddetto «spirito di Ginevra» abbia creato delle difficoltà. Ma ora anche questa deviazione è forse sorpassata e ciò spiega la nuova offensiva sovietica basata sopratutto sull’offerta di patti bilaterali. In Francia e in Italia esistono grandi partiti comunisti e quindi la situazione di ambedue i paesi è senza dubbio non poco complessa ma ciò non vuol dire che manchi una netta volontà di resistenza e di difesa.

Il Cancelliere Adenauer ringrazia l’On. Segni per tali significative dichiarazioni. In Germania la grande maggioranza del Parlamento e dell’opinione pubblica è nettamente contraria al comunismo. Effettivamente la intensificazione dei rapporti italo-tedeschi non potrà non costituire un elemento importante per il successo della causa sostenuta e difesa dai due Governi5.


1 Il documento non è datato.


2 Vedi D. 43.


3 Vedi D. 85.


4 Vedi D. 112.


5 Per il resoconto sull’intero svolgimento della visita vedi D. 135.

127

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. riservato 0237. Parigi, 7 febbraio 1956.

Oggetto: Conversazione con Pineau.

Signor Ministro,

ho avuta stamane una lunga conversazione con Pineau di cui riporto gli argomenti principali.

Il comunicato del Quai d’Orsay sullo scambio di corrispondenza fra Eisenhower e Bulganin si è prestato ad interpretazioni varie, sia sulla stampa francese che su quella straniera. Pineau mi ha dichiarato che era stata intenzione sua – e del suo Governo – marcare una differenza di atteggiamento da quello del suo predecessore.

La posizione della Francia è inattaccabile: è stata la Russia a denunciare unilateralmente il trattato con la Francia: la Francia condivide l’opinione che degli accordi avrebbero maggior peso se portassero anche regolamento delle questioni in sospeso; non invece è del tutto d’accordo che sia stata una buona cosa il respingere «tout court» la proposta di Bulganin.

Sostanzialmente – mi ha detto Pineau – sappiamo tutti che i russi non hanno nessuna intenzione di liquidare alcuna delle questioni in sospeso. È convinto che, quando i russi dicono che condizione della riunificazione è la democratizzazione della Germania Occidentale, essi dicono il loro vero pensiero: i russi non ammettono unificazione della Germania che sotto forma di una Germania comunista. Ma, una volta ammesso questo – pensa Pineau – perché allora dare l’onore di un rifiuto a delle proposte russe che hanno un valore puramente di facciata? Noi abbiamo lasciato ai russi il beneficio della lotta per la pace: bisogna che glielo leviamo: è una posizione di troppo vantaggio per loro di fronte a tanti settori dell’opinione pubblica: dobbiamo mostrare maggior «souplesse» e maggiore immaginazione.

A mia richiesta se questo voleva dire che il Governo francese era dell’opinione che la questione del disarmo dovesse avere precedenza sulla questione della riunificazione della Germania, mi ha detto che, da parte nostra, bisogna continuare ad insistere sull’unificazione della Germania: e ciò per considerazioni di politica interna tedesca. Ma il Governo francese aveva intenzione di proporre nuove iniziative in materia di disarmo. Si stava consultando al riguardo con Jules Moch: ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima di formulare delle proposte concrete. Mi ha promesso che saremo informati in tempo utile delle intenzioni del Governo francese.

In tema di Conferenza di Washington, Pineau mi ha confermato il noto punto di vista francese contrario al Patto di Bagdad. Mi ha detto che, secondo le sue informazioni, da parte inglese si era cercato invano di avere da parte americana un maggiore riavvicinamento al Patto di Bagdad. Gli americani si erano limitati a mostrarsi favorevoli alla creazione di un organismo per l’aiuto economico ai membri del Patto di Bagdad.

Pineau mi ha detto di aver già fatto sapere a Londra ed a Washington che la Francia non è d’accordo con questo progetto di aiuto economico limitato ai membri del Patto di Bagdad. Essa vorrebbe invece la creazione di una specie di agenzia Piano Marshall per tutti i paesi del Medio Oriente, abbiano o no aderito al Patto di Bagdad. Le idee francesi in proposito sono ancora in gestazione e Pineau mi ha di nuovo assicurato che saremo informati a tempo delle sue decisioni.

La Francia non è neppure molto entusiasta dell’idea del «no man’s land» fra le linee israeliane ed egiziane: ed ancor meno dell’idea dei soldati che passeggiano lungo questa zona vuota. Certo – mi ha detto – non ce ne saranno di francesi. A sua impressione, bisogna insistere sul controllo del traffico delle armi; mi ha detto di averne parlato anche a questo Ambasciatore di Russia, naturalmente senza risposta. Pineau ritiene che il pericolo di un colpo di testa da parte ebraica non sia ancora del tutto da escludere: è quindi necessario, da una parte, di evitare inutili provocazioni nei riguardi di Israele; dall’altra, che non si lesinino i consigli, anche energici, di prudenza a Tel Aviv.

Pineau ha appena da tre giorni preso possesso del suo Ministero: mi ha ripetuto più volte di essere impreparato, che si trattava di idee sue personali. Ha molto insistito, cosa non abituale qui per un Ministro degli Esteri, sul fatto che la decisione spettava al Presidente del Consiglio, e che, sebbene lui ne avesse la fiducia (il che è esatto) e una larga delega di poteri, era in sostanza Guy Mollet che avrebbe dovuto dire l’ultima parola.

È evidente anche il risentimento da parte francese per questo esame dei problemi mondiali fatto con una certa ostentazione a Washington senza partecipazione della Francia. È la prima volta, da molti anni, che questo avviene, almeno in una forma così patente; la reazione francese era quindi da aspettarsi: tanto più che non mancherà chi dirà qui in Francia che essa è trattata così perché ha un Governo socialista. La strada della decadenza è difficile a percorrere.

Con queste premesse, e queste riserve, va notato però che il Governo francese vorrà mostrare che fa qualche cosa di nuovo. Dei socialisti come Guy Mollet e Christian Pineau sono, in realtà, quello che c’è qui di più solidamente anticomunista ed anti-russo: debbono però tener conto di certi umori che serpeggiano in molti settori del Partito socialista. Non so certe volte cosa sia meglio, avere un Nenni aperto, come da noi, o essere pieni di cripto-Nenni come in Francia. Il loro atteggiamento, come ho già detto, è centrato sulla propaganda: essi sono, in realtà, più pessimisti di tutti circa quello che, di fatto, c’è da sperare dai russi: e trovano quindi che, di fronte ad un’opinione pubblica che continua ad avere delle illusioni e con tante personalità politiche – non tutte di sinistra – che queste illusioni hanno e mantengono, non sia una cosa utile darsi quasi l’aria di temere che i russi possano diventare più ragionevoli.

Posizione che, sotto molti punti di vista, può essere considerata anche ragionevole, ma che, all’atto pratico, è assai difficile differenziare chiaramente da una posizione di «appeasement». E sopratutto è una posizione assai difficile da sostenere e da giustificare da parte di un Governo il quale può essere domani obbligato a sostenersi sui voti comunisti: ed è troppo facile l’accusa di volersi conquistare questi voti comunisti con delle scivolature in politica estera.

Non so quanto questo Governo durerà: l’affare d’Algeria è una mina sufficiente a far saltare un Governo ben più solido di questo. Mentre però, dal punto di vista sostanza, per quello che concerne i russi, considero Guy Mollet e Pineau come più sicuri, non dico di Mendès-France, ma anche di Edgar Faure, le cui improvvisazioni intellettuali possono in certi casi diventare pericolosissime, non credo di poter escludere che non ci troveremo di fronte a delle iniziative francesi che possano apparire almeno sconcertanti.

Tutto questo può essere molto pericoloso. Per le reazioni americane: gli americani stimano Guy Mollet, ma sentono puzza di fronte popolare. E così pure per le reazioni interne francesi. Tuttavia, ripeto, anche contando sull’indiscutibile influenza frenante di certe istanze del Quai d’Orsay, è bene che ce le aspettiamo.

Per ultimo abbiamo parlato di Euratom.

A mia richiesta precisa, Pineau mi ha detto che il progetto presentato da Jean Monnet non era il progetto del Governo francese, nemmeno dell’attuale.

Mi ha parlato di segnalazioni del suo Ambasciatore a Roma, che non ha ben capito perché, fra l’altro, il nostro Ministero degli Esteri non ha ritenuto necessario informare il suo Ambasciatore a Parigi delle sue reazioni in materia di Euratom. Teneva a dirmi, in linea molto generale, che, a sua idea, nella Euratom ci doveva essere una Alta Autorità con funzioni più ristrette di quelle della C.E.C.A., più che altro coordinamento, controllo ed arbitraggio delle difficoltà: alle sue dipendenze, un ente incaricato dell’acquisto e della distribuzione del materiale fissile: l’Alta Autorità avrebbe dovuto avere il potere di stabilire come dovessero essere distribuiti, fra i vari paesi europei, gli impianti per la trasformazione del minerale di uranio 233 e in plutonio, che sono poi gli impianti che domandano i più forti immobilizzi di capitale. Ma che per tutto quello che concerneva l’utilizzazione pacifica di questo materiale, sia per produzione elettrica che per altre, ogni paese avrebbe dovuto essere libero di farne quello che credeva, ossia darlo all’industria privata o tenerlo prevalentemente in mano allo Stato.

A mia richiesta quale fra i due progetti, quello redatto a Bruxelles o quello di Monnet, avesse le preferenze del Governo francese, Pineau mi ha detto di preferire personalmente il progetto Monnet perché più decisamente insiste sull’utilizzazione a scopo pacifico dell’energia atomica. Ma che, a parte questo, considerava sia l’uno che l’altro progetto come eccellenti basi di discussione.

Gli ho fatto osservare come, in Francia, era proprio il fatto di prescrivere ogni uso bellico dell’energia atomica che sollevava alcune reazioni. Premettendo che parlavo a titolo personale, gli ho detto che, pur essendo escluso che al momento attuale e nel futuro prossimo i paesi europei avessero mezzi e voglia per dedicarsi alla fabbricazione di bombe o di altre armi atomiche, mi domandavo se fosse il caso di escluderci, in principio, e da noi, questa possibilità.

Dopo tutto, gli ho detto, l’idea dell’Europa a sei parte dal principio che i sei paesi, se uniti in qualche modo, potrebbero avere un peso ed un’indipendenza maggiori di quanto non possano averne separati. Privarci a priori, e senza nessuna contropartita, di un elemento di potenza come l’armamento atomico, mi sembrava un po’ utopistico.

Pineau mi ha detto – a titolo personale – che sarebbe d’avviso di attenuare i termini della dichiarazione ministeriale. Converrebbe dire che l’Euratom rinuncia alla fabbricazione di armi atomiche nella speranza che si arrivi ad un accordo sul disarmo atomico, e perché questo serve come esempio. Ma che se si dovesse verificare che queste speranze sono infondate, ci riserveremmo di rivedere la nostra posizione.

Mi sono limitato a dirgli che questa impostazione mi sembrava comunque migliore che un rifiuto assoluto di occuparsi di armamenti. Anche su questo punto bisogna però tener presente l’impronta pacifista che, fin dall’epoca di Jaurès, grava sul socialismo francese.

Ho poi chiesto a Pineau se il Governo francese si rendeva conto che volendo un’Alta Autorità, con questo stesso escludeva l’Inghilterra. Mi ha risposto che si sperava di avere un’associazione dell’Inghilterra in qualche forma, come la si era avuta per la C.E.C.A.

Avendo io fatto allusione a tutti gli interventi inglesi i quali mi erano sembrati più che negativi in materia di alta autorità, quasi minacciosi, Pineau mi ha detto che, secondo le sue informazioni, di Euratom si era parlato molto a Washington e che, mentre Dulles avrebbe accettata l’opposizione inglese al mercato comune, Eden, sotto la pressione americana, avrebbe da parte sua accettato di non opporsi all’Euratom nella forma desiderata dagli americani e dai francesi. Per cui, ad avviso di Pineau, la situazione attuale era la seguente. Non ci sarebbe stata opposizione – almeno aperta, ho commentato io – inglese all’Euratom purché non si insistesse nel «jumeler» l’atomo con il mercato comune. Così come sembra invece essere l’intenzione dell’Olanda.

Il Governo francese era in principio in favore del Mercato Comune, ma doveva ammettere che, allo stato attuale delle cose, era assolutamente fuori di questione parlarne altro che come di una cosa di avvenire lontano: passare a questioni concrete avrebbe suscitato il finimondo in Parlamento – il che non è che troppo esatto.

Gli ho fatto osservare che questo portava a delle difficoltà anche da parte nostra: la posizione del Governo e degli organi competenti italiani era contraria alle integrazioni per settori e favorevole invece e soltanto al Mercato Comune: anche se quindi, di fatto, avremmo potuto assumere una posizione meno intransigente di quella dell’Olanda, bisogna tener conto che, sostanzialmente, la nostra posizione era la stessa.

Ho tenuto a dire questo a Pineau, ritenendo che questa sia ancora la posizione del Governo italiano.

Avendo fatto con questo il mio dovere verso il Governo francese, mancherei al mio dovere verso quello italiano se non confermassi che, checché ci possano dire in proposito alcuni nostri amici europeisti francesi, non c’è la minima chance che qualsiasi mercato comune, anche ridotto assai, passi davanti al Parlamento francese. Quindi, quegli europeisti italiani i quali sostengono la necessità del rilancio europeo, ma al tempo stesso dicono o mercato comune o niente, è bene che sappiano che sostenere la tesi mercato comune o niente, nella situazione attuale della Francia equivale a dire che si vuole niente. A noi di vedere se ci possa convenire e possa essere possibile realizzare dei mercati comuni con altri dei nostri amici europei, senza la Francia: ma, ripeto, mentre far passare l’Euratom, non nella forma Monnet, è probabilmente possibile, non c’è Governo francese sulla terra che possa far accettare al suo Parlamento un mercato comune anche attenuato.

La prego di gradire, Signor Ministro i sensi del mio devoto ossequio1.

Quaroni


1 Per la risposta di Cattani vedi D. 144.

128

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,E AL MINISTRO DEL BILANCIO, VANONI1

R. 581. Parigi, 8 febbraio 1956.

Signor Ministro,

come ho avuto già occasione di riferire a V.E., nel corso degli ultimi giorni hanno avuto luogo qui alcune riunioni ufficiose dei Capi Delegazione per un esame preliminare del rapporto sull’energia nucleare preparato dal Gruppo di lavoro n. 10. Delle singole questioni che in queste riunioni sono state trattate io ho avuto già l’onore di rendere conto partitamente a V.E. con i miei telespressi nn. 219/146 del 20 gennaio; 283/196 del 24 gennaio2; 383/266 del 30 gennaio3; 469/335 del 3 febbraio4.

Vorrei ora dare a V.E. alcune impressioni generali che possano servire a ricostruire l’andamento generale di queste riunioni e degli scambi di idee alle quali esse hanno dato luogo, e fare per così dire il punto sulla situazione dei lavori dell’O.E.C.E. per quanto concerne questo problema. Ma credo utile per prima cosa richiamare un po’ l’origine di queste riunioni.

Una volta approntato il rapporto del Gruppo n. 10, era evidente intenzione di Sir Hugh Ellis-Rees, per sollecitazione di alcune Delegazioni estranee ai sei paesi, di procedere rapidamente all’esame del rapporto stesso e venire possibilmente ad una decisione del Consiglio sulle proposte contenute nella sua parte finale: la istituzione cioè di un «Comitato speciale» per proseguire lo studio del problema e la creazione di un «Comitato direttivo per l’energia nucleare».

La opposizione di alcune Delegazioni, e in particolare delle Delegazioni dei sei paesi membri della C.E.C.A., e la difficoltà di poter costituire rapidamente il Comitato speciale che, nelle intenzioni del Presidente, avrebbe dovuto riunirsi in gennaio, hanno bloccato questa procedura; e si è allora concordato che, di seguito alla decisione del Consiglio dei Ministri del 10 giugno u.s., ogni decisione in materia di cooperazione in seno all’O.E.C.E. nel campo dell’energia nucleare fosse rimessa al Consiglio dei Ministri fissato per il 28 febbraio.

Non potendosi quindi procedere alla discussione del rapporto in sede formale, il Presidente del Consiglio ebbe a suggerire una procedura ufficiosa di consultazione collettiva dei Capi Delegazione, che è stata accettata nell’intesa (secondo le istruzioni impartitemi da V.E. con telegramma n. 397 del 23 dicembre 1955)5 che si sarebbe trattato di un esame del tutto preliminare del rapporto del Gruppo di lavoro n. 10; e a questo esame i Delegati avrebbero partecipato a titolo personale, senza in alcun modo impegnare i propri Governi e solo per meglio chiarire i termini di una discussione futura e preparare convenientemente le decisioni dei Ministri.

In pratica, poi, questo programma di un esame di carattere preliminare e preparatorio si è ulteriormente ridotto, sia perché quasi nessun Delegato era in grado, per propria dichiarazione, di discutere in base ad orientamenti sia pur di carattere generale ricevuti dal proprio Governo; sia perché la complessità e la varietà dei problemi da esaminare si sono rivelate tali da richiedere uno studio lungo ed approfondito, che non poteva esser fatto senza il sussidio di tecnici particolarmente competenti, e prima che i Governi avessero potuto essi stessi studiare, ciascuno per suo conto, questi problemi. Quel che ne è risultato non è stato perciò neppure un esame preliminare e tuttavia ordinato dal rapporto, ma una serie di scambi di idee su varie questioni poste nel rapporto stesso, e che, prese in esame una a una e in termini del tutto generici, non potevano permettere alcuna conclusione.

Non si è giunti infatti, alla fine di ciascuna seduta, che a constatare la necessità di continuare a discutere; e dubito che, proseguendosi ancora in qualche altra riunione ad altri scambi di idee, si giungerà, prima del 28 febbraio, a molto di più che a chiarire alcuni punti, e a riconoscere se mai – non certo a risolvere – nuovi problemi.

Non dico con ciò che questi scambi d’idee siano stati inutili. Comunque non sono stati certo privi di interesse. Intanto essi hanno permesso di constatare che i problemi che in sede O.E.C.E. si pongono per istituire un regime di cooperazione nel campo dell’energia nucleare sono più complessi di quanto non potesse giudicarsi da un esame sommario del rapporto del Gruppo n. 10, e che l’O.E.C.E. non può frettolosamente procedere. Questo non era certo lo scopo che si proponevano quelle Delegazioni – e in primo luogo le Delegazioni della Svizzera, dell’Austria e dei Paesi scandinavi – che avevano più insistito per prendere in esame il rapporto del Gruppo n. 10; ma questo è il risultato. Più si è andato discutendo e più si è visto che uno studio lungo ed approfondito sarà necessario per ben definire i problemi che la cooperazione atomica pone, nonché le condizioni e i termini nei quali questa cooperazione potrebbe eventualmente essere attuata nel meccanismo costituzionale dell’O.E.C.E. Inoltre, non è neppure risultato, e, come dirò tra breve, sempre meno risulta chiaro, che questo meccanismo sia veramente il più atto a reggere le forme di cooperazione che nello stesso rapporto del Gruppo n. 10 sono disegnate. È possibile, ma non è né ovvio né facile. Ed a ogni modo lo studio delle difficoltà che si presentano e dei modi di superarle, non è cosa che possa farsi in pochi giorni, e poiché pochi giorni ormai ci dividono dal 28 febbraio, data della riunione del Consiglio dei Ministri, non si vede quale altra decisione i Ministri potrebbero prendere, se non quella di incaricare l’O.E.C.E. di proseguire gli studi in sede di quel Comitato speciale del quale il Gruppo n. 10 ha proposto la costituzione.

Non è questa la posizione dei paesi che vorrebbero che il Consiglio dei Ministri decidesse il 28 febbraio, almeno in linea dì principio, la creazione del Comitato di direzione prevista dal rapporto del Gruppo n. 10. Ma non è una posizione che sia molto ben difendibile.

La creazione di un Comitato di direzione implica necessariamente una decisione non solo sul suo campo d’azione, quale è descritto nel rapporto del Gruppo n. 10 (par. 57) ma sui suoi poteri, e tale decisione implica a sua volta la soluzione dei problemi di fondo, fra i quali in primo luogo proprio i problemi costituzionali. Chiaro è dunque che, se sui problemi di fondo è necessario proseguire gli studi e meditare prima di prendere una qualunque decisione, non si vede come si possa definire la competenza dell’organo che dovrebbe gestire l’applicazione di queste decisioni.

Dalla riunione ministeriale del 28 febbraio non vedo perciò, ripeto, che possa uscire altro che una decisione generica: la costituzione di un Comitato speciale con un generale mandato di studi e l’incarico di presentare entro un congruo tempo (ma il termine proposto dal Gruppo n. 10 di sei settimane è troppo breve) proposte specifiche.

Questo quanto alla procedura. Dei problemi di fondo poco può dirsi e poco è stato detto nel corso delle riunioni, ma non tanto poco, tuttavia, che alcuni punti non siano risultati evidenti. Nella polemica sotterranea tra sostenitori dell’iniziativa di Messina e dell’iniziativa dell’O.E.C.E., era tesi sostenuta da questi ultimi che la soluzione del problema della cooperazione europea entro il meccanismo dell’O.E.C.E. sarebbe stata improntata a deciso carattere di liberismo economico, mentre le soluzioni tipo C.E.C.A. porterebbero necessariamente a una industria di Stato. Questa tesi non ha trovato serio conforto nella discussione. Quello che è apparso è che l’iniziativa privata sopratutto in questa fase essenzialmente sperimentale non sarebbe in grado di affrontare i gravi oneri e i rischi estremi di uno sviluppo dell’industria atomica – oneri e rischi particolarmente pesanti a causa dell’incertezza stessa dello sviluppo tecnologico – e che solo gli Stati potrebbero assumersi. L’intervento dello Stato – in misura che è variamente valutabile – è apparso come necessario; e discutibili solo i limiti entro i quali questo intervento è necessario. Né questi limiti, poi, sono apparsi calcolabili solo sul terreno economico. Appena avvicinato – non direi preso in esame – il problema del controllo di cui al cap. VI del rapporto, è stato subito chiaro che le esigenze di un regime di controlli che presenti garanzie di sicurezza spingono nel senso di un intervento dello Stato e di un limite nell’iniziativa privata (v. telespresso 283/196, punto 4). Considerazioni, dunque, da una parte tratte dall’alto livello degli oneri e dei rischi connessi, in questa fase, con lo sviluppo di una industria atomica, e dall’altra parte tratte dalle esigenze di un sistema esteso di controllo (esteso tanto nel campo industriale che in quello commerciale – v. al riguardo il telespresso 383/266, punto 5), sono apparse limitare seriamente la tesi di una cooperazione internazionale, intesa più che altro a promuovere e coordinare attività private.

Attività dunque, almeno in una prima fase, prevalentemente pubbliche: iniziative di Stati e consorzi statali a carattere industriale o commerciale per imprese comuni, che (pur se questa necessità non si è voluta da tutti riconoscere) porterebbero l’O.E.C.E. a costruire nel suo seno un organismo di carattere operativo, mentre un tale organismo sarebbe comunque necessario per provvedere al controllo.

Data questa esigenza, la esigenza cioè di un organismo di carattere operativo, e atto a promuovere imprese industriali e a gestire un regime di controlli, si è posto, e si pone, di necessità il problema della possibilità di inserire un tale organismo nel meccanismo costituzionale dell’O.E.C.E. Questo problema non è stato direttamente affrontato negli scambi di idee che hanno avuto finora luogo, ma si è innestato in quello più generale delle possibilità che la Convenzione istitutiva dell’O.E.C.E. presenta per accogliere in sé istituzioni del genere di quelle che sono descritte nel rapporto del Gruppo n. 10. È venuta così, e si è posta in prima linea, la questione della interpretazione e applicazione dell’art. 14.

Io ho avuto già a suo tempo (v. mio rapporto n. 4855 del 14 novembre 1955)3 a riferire su tale questione. Essa è stata in origine sollevata da alcune Delegazioni, e particolarmente da quella svizzera anche, se pur non essenzialmente, con intenti polemici: dare la dimostrazione che non è necessario ad un gruppo di paesi negoziare accordi di cooperazione fuori dell’O.E.C.E. Ciò perché la costituzione dell’O.E.C.E. permette e prevede al 2° comma dell’art. 14 la costituzione di gruppi ristretti; e se è pur vero che il meccanismo costituzionale dell’O.E.C.E. è retto dalla regola dell’unanimità, né questa regola è assoluta (poiché è ammessa una eccezione per «casi speciali») né essa è valida altro che nei limiti nei quali i paesi siano interessati a una questione, o quando uno o più paesi si dichiarino non interessati e si escludano perciò volontariamente da un negoziato e da un determinato regime di impegni, essa non è valida che per gli altri. L’intento polemico di questa dimostrazione è visibile. Non era tuttavia forse il solo.

È anche possibile e, almeno in un primo momento, forse probabile che nel meccanismo dell’art. 14 si vedesse la porta aperta a un assorbimento, per così dire, dei progetti di Messina entro l’O.E.C.E., e il modo di indurre i sei paesi della C.E.C.A. a portare i loro negoziati in sede O.E.C.E. Ora, come mostrerò più oltre, non credo che si pensi seriamente a questo. E tuttavia, se in qualche Delegazione resta il desiderio di polemizzare con il metodo seguito dai sei paesi, e l’intenzione di mettere le mani innanzi per altre iniziative del genere che avessero a prendersi, i ragionamenti sull’art. 14 sono i soli che si prestino a farlo.

Ma messi pur da parte questi intenti, i metodi comunque di cooperazione descritti nel rapporto del Gruppo n. 10 implicano effettivamente il ricorso all’art. 14, e in genere a una interpretazione elastica della Convenzione dell’O.E.C.E., che permetta:

1) la costituzione di gruppi ristretti, se pure aperti a tutti gli Stati membri;

2) un negoziato non intralciato dalla norma rigida dell’unanimità;

3) un sistema flessibile di accordi, che non obblighi tutti gli Stati a cooperare tra loro nelle stesse attività, ma, entro un quadro generale, a partecipare in varia combinazione, ora all’una attività ora all’altra.

Empiricamente questo problema è stato presentato nei termini seguenti: non è necessario che tutti gli Stati membri dell’O.E.C.E. decidano di stabilire un regime di cooperazione tra loro nel campo dell’energia nucleare. La possibilità di stabilirlo deve essere aperta a tutti, la volontà di procedere a farlo può essere ristretta ad alcuni. Basterà che coloro che non intendono associarsi lo dichiarino e, in base al secondo comma dell’art. 14, si astengano pur facendo salvo il proprio diritto a intervenire più tardi per associarsi, in qualunque fase, al negoziato o alla decisione. Lo stesso per i vari rami nei quali la cooperazione può attuarsi, e in particolare le imprese comuni di cui al paragrafo 66 del rapporto del Gruppo di lavoro n. 10, alle quali gli stessi Stati parti nell’accordo possono inizialmente associarsi o no, e anzi comunque a loro scelta associarsi in qualunque momento. Una organizzazione elastica, dunque, nel suo funzionamento in un quadro elastico, che permetta varietà di combinazioni e nel campo operativo libertà di scelta particolarmente nelle imprese comuni da stabilire.

In questo disegno empirico si riflettono evidentemente due esigenze contraddittorie, che si cerca di conciliare tra loro: da una parte la esigenza, insita nella natura stessa dell’O.E.C.E., di mantenere il carattere collettivo della cooperazione tra tutti gli Stati membri, dall’altra quella di articolare le forme particolari di una cooperazione nel campo dell’energia nucleare ristretta ad alcuni Stati, e finanche, tra questi stessi Stati, ad alcune iniziative.

Non è facile sul terreno pratico conciliare queste due esigenze, meno facile ancora conciliarle entro gli schemi costituzionali dell’O.E.C.E. Un negoziato, che si istituisca in un gruppo ristretto di Stati ma che sia aperto in qualunque momento agli altri, non è un negoziato che, nella incertezza dei soggetti, possa seriamente condursi. E meno può seriamente condursi se anche l’oggetto del negoziato è incerto, per la flessibilità che dovrebbero avere gli impegni contrattuali. Da escludersi poi – come è risultato dalla discussione su questi punti (v. mio telespresso n. 469/335 del 3 febbraio u.s.) – che un gruppo di Stati si impegnino in una impresa comune, e siano poi obbligati, una volta assuntisi gli oneri e i rischi di questa impresa, e l’impresa sia avviata, ad ammettere in essa la partecipazione di altri Stati, che avevano inizialmente rifiutato questi oneri e questi rischi. Non è tanto facile conciliare nel terreno pratico la esigenza di mantenere il quadro di cooperazione generale che è proprio ed essenziale dell’O.E.C.E., con le esigenze di una cooperazione ristretta. Né il problema si presenta diversamente quando esso si ponga sul terreno giuridico.

Ogni importante decisione che si prenda in seno all’O.E.C.E. deve essere retta dalla norma dell’unanimità, a cominciare dal consenso stesso a costituire un gruppo ristretto che deve essere dato in realtà per voto unanime, poiché gli Stati che non intendono parteciparvi devono esprimere la loro rinuncia. Questa rinuncia poi non può essere intesa come avente un carattere definitivo. Ciascuno Stato può sempre dichiarare a un certo momento il suo interesse, e riprendendo il suo diritto al voto, bloccare le decisioni del gruppo ristretto. Bisognerebbe – ed è stata questa l’idea di alcune Delegazioni – che, definito «caso speciale» ai termini del 1° comma dell’art. 14, tutto il settore dell’energia nucleare fosse sottratto per decisione unanime del Consiglio alla norma dell’unanimità; ed è questa la proposta infatti contenuta nella nota del Segretariato allegata al telespresso n. 469/335 del 3 febbraio u.s.

Ma questa non è, come ho dimostrato nell’ultima riunione dei Capi Delegazione, una proposta che giuridicamente regga, poiché per «caso speciale», ai termini del 1° comma dell’art. 14, non può intendersi un intero settore di attività ma solo un cas d’espèce, ben determinato; e comunque se alla dicitura «caso speciale» fosse data, per via di interpretazione, una estensione così vasta, sarebbe una interpretazione che porterebbe allo sfasciamento dell’O.E.C.E., perché minerebbe la struttura di questo organismo internazionale, che è fondata sulla nozione di una cooperazione e solidarietà generale degli Stati, e non su quella di un quadro generico entro il quale si pongano forme sporadiche e occasionali di associazioni ristrette e con regole proprie. Si può interpretare con una certa flessibilità l’art. 14, e può essere opportuno in alcuni casi determinati il farlo per accrescere le possibilità di realizzazioni pratiche, ma non si può rovesciarne il senso, senza compromettere il fondamento stesso e il carattere dell’O.E.C.E. e correre il rischio di favorire (come giustamente lo osserva l’Ambasciatore Cattani nella sua lettera del 6 dicembre scorso)6 tendenze dissociatrici che potrebbero portare alcuni paesi a una interpretazione più arbitraria dei tradizionali obblighi di cooperazione economica.

Su questa questione la discussione è stata, dopo l’ultima riunione, interrotta e verrà ripresa. Ma intanto anche sotto questo aspetto è risultato chiaro che i problemi posti dal rapporto del Gruppo n. 10 esigono uno studio approfondito, e nonché decisioni frettolose, non si possono neppure frettolosamente stabilire orientamenti di principio. Anche il riferimento all’art. 14 contenuto nel progetto di decisione suggerito dal Gruppo n. 10 va dunque meditato.

Così stanno all’incirca le cose.

Se imprimere ai lavori dell’O.E.C.E. un ritmo accelerato per portarli almeno a livello di quelli di Bruxelles era l’intento di quelle Delegazioni che hanno insistito per un esame preliminare del rapporto del Gruppo n. 10, questo intento nel complesso non è stato raggiunto. Né ciò è dovuto – seppure questa impressione è qui piuttosto diffusa – al freno che i Delegati dei sei paesi della C.E.C.A. hanno posto alla fretta degli altri. Sono i problemi che obiettivamente presentano aspetti assai complessi e, per la sua stessa natura puramente esplorativa, il lavoro compiuto dal Gruppo n. 10 non poteva esaurientemente approfondirli. Ciò – è ormai opinione comune – non potrà essere fatto che nel Comitato speciale, se il Consiglio dei Ministri deciderà il 28 febbraio di crearlo, e solo dopo che il Comitato speciale, in prosieguo di tempo, avrà ultimato i suoi studi, il problema della cooperazione nel campo dell’energia nucleare potrà in sede O.E.C.E. essere seriamente affrontato.

Le condizioni nelle quali esso verrà affrontato dipendono evidentemente dallo svolgimento dei negoziati in corso tra i sei paesi partecipi della Decisione di Messina7, dal grado di accordo al quale essi saranno giunti, e dal carattere che avranno gli istituti dell’Euratom. Che questi prenderanno vita è ora un fatto generalmente ammesso e che appare almeno come probabile. L’idea comunque che l’O.E.C.E. possa sopravvanzare con una sua iniziativa quella dei sei paesi, se non escludo che sia esistita, non è ora presa in seria considerazione, anche se alcune Delegazioni come quella svizzera e quelle scandinave vorrebbero almeno che gli Stati fin da ora si pronunziassero sugli impegni che sono disposti ad assumersi. Neppure qui alcuno pensa più, e ne ho fatto cenno poco innanzi, che i negoziati per l’Euratom possano essere portati in seno all’O.E.C.E. I termini si sono esposti nel senso indicato nella lettera che il Segretario Generale ha diretto ai Capi Delegazione in data del 31 gennaio e che ho trasmesso con mio telepresso n. 446/321 del 2 febbraio u.s.3.

Si tratta non più di una alternativa tra due soluzioni concorrenti – o Euratom o O.E.C.E. – ma di un raccordo tra le istituzioni che creeranno i sei paesi e quelle che l’O.E.C.E. potrebbe creare: di due cerchi concentrici, se vogliamo, non di due cerchi separati ed opposti. Da qui una posizione diversa da quella polemica originaria: i sei paesi possono certamente creare tra loro e fuori dell’O.E.C.E. una associazione propria ad essi per l’utilizzazione pacifica dell’energia atomica, e darle quei caratteri costituzionali che essi credono più atti al suo funzionamento. Non dovrebbero tuttavia impedire – ed essi hanno certo, in un istituto fondato sul principio dell’unanimità come l’O.E.C.E., la possibilità d’impedirlo – che anche in seno all’O.E.C.E. si crei un sistema di cooperazione nel campo dell’energia nucleare, alla quale essi inizialmente parteciperebbero. Nessun intralcio dunque da parte dei paesi dell’O.E.C.E. alla realizzazione dell’Euratom a sei, nessun intralcio da parte dei sei paesi allo sviluppo dei programmi più generali e più flessibili dell’O.E.C.E.

A un ragionamento di questo genere si sono andate avviando qui le Delegazioni, e anche le più impazienti, come quella svizzera. Né è un ragionamento distante da quello britannico.

Non starò ora a rifare la storia dell’atteggiamento, non sempre coerente e non sempre deciso, che il Regno Unito ha tenuto qui di fronte al problema della cooperazione europea nel campo dell’energia nucleare. Esso riflette preoccupazioni e interessi che sono stati con molta chiarezza esposti dall’Ambasciatore a Londra nel rapporto trasmessomi con il telespresso ministeriale n. 44/013306. Se è vero che la Gran Bretagna prese qui nel giugno scorso una netta posizione di principio, e il Cancelliere dello Scacchiere ebbe a dichiarare che solo nell’O.E.C.E. il Regno Unito era pronto a collaborare con altri Stati, essa non ha mai tenuto a preannunciare impegni specifici, e resta da vedere se lo farà, come le Delegazioni della Svizzera e dei Paesi scandinavi cercano di indurla a fare. Per ora quello che piuttosto si vede è: 1) la preferenza britannica per istituzioni di carattere flessibile, che permettano un margine di libera scelta; 2) l’intento non direi di opporsi, o almeno di opporsi più all’Euratom, ma di trovare qui, in seno all’O.E.C.E., e non in un negoziato bilaterale, il raccordo dei propri interessi con quelli dei sei paesi. La Gran Bretagna – mi è stato detto – non può accettare che i sei paesi concludano un trattato e poi, a cose fatte, negozino con essa. I sei paesi dicono, nel negoziare gli accordi che intendono concludere fra loro, prendere in considerazione gli interessi di altri paesi europei, e la sede nella quale il raccordo con questi è da farsi, e solo il Regno Unito può accettare che si faccia, è l’O.E.C.E.

Nell’assumere questo atteggiamento e nell’impostare il disegno di un negozio multilaterale, Londra si fa forte dell’appoggio che può trovare, e certamente troverà, negli altri paesi membri dell’O.E.C.E., tra i quali vi sono alcuni, come la Svezia e la Norvegia, che per capacità tecnica e perché fonti di materie prime, hanno nel campo degli sviluppi tecnologici dell’energia nucleare un certo peso. E non è detto che questo disegno, prospettato sullo sfondo di una difesa della cooperazione generale europea quale è nei compiti dell’O.E.C.E., si presenti vantaggiosamente impostato.

«Nessuno vi dice – è il motivo britannico – che non potete e non dovete fare l’Euratom. Solo dovrete farlo in modo da non danneggiare gli altri e sopratutto in modo da non indebolire la cooperazione generale assicurata dall’O.E.C.E.».

Non è dubbio, a mio avviso, che questo modulo vada al di là del problema dell’energia atomica, e miri a portare fin d’ora sullo stesso piano la questione del mercato comune e in definitiva a un duplice ordine di negoziati: un ordine di negoziati, per così dire interni, tra i sei paesi; e un ordine di negoziati esterni in sede O.E.C.E.

La posizione di strenua difesa dell’O.E.C.E. presa recentemente dalla Gran Bretagna (e ne è indizio anche il cenno dell’O.E.C.E. nella recente dichiarazione anglo-americana in occasione della visita di Eden a Washington) riflette evidentemente il proposito di impostare su questo modulo i problemi posti dalla Dichiarazione di Messina.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

Vitetti


1 Ministro delegato per la Cooperazione Economica Europea.


2 Vedi DD. 120 e 122.


3 Non pubblicato.


4 Vedi D. 124.


5 T. 13305/397 del 22 dicembre, trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con il numero di protocollo 534, personale per Vitetti. Con tale telegramma Cattani aveva precisato che il rapporto del Gruppo di lavoro n. 10 doveva essere sottoposto all’esame ed alle decisioni del Consiglio dei Ministri.


6 Non rinvenuto.


7 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.

129

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,ALLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI,UFFICI IV E VII

Telespr. urgente 003. Parigi, 8 febbraio 1956.

Oggetto: Dichiarazioni di alcuni Delegati sulla cooperazione in materia di energia nucleare all’O.E.C.E.

Riferimento: Mio rapporto n. 581 dell’8 corrente1.

Nella riunione dei Capi Delegazione svoltasi oggi per continuare l’esame del rapporto del Gruppo di lavoro n. 10 del Consiglio – sulla quale riferisco con telespresso a parte – i Delegati della Svizzera, della Svezia e della Norvegia hanno confermato formalmente posizione dei loro Governi in materia di cooperazione nel settore dell’energia nucleare.

Essi hanno singolarmente dichiarato che i loro rispettivi paesi sono pronti a partecipare ad imprese comuni quali quelle designate nel rapporto del Gruppo n. 10, come in genere alla cooperazione in materia di utilizzazione dell’energia nucleare che potrà stabilirsi nell’O.E.C.E. tra i paesi membri ed associati.

La maniera conforme con la quale i predetti Delegati si sono espressi ha dato l’impressione che le loro dichiarazioni fossero state concordate; e, come ho accennato nel mio rapporto sopracitato, che esse abbiano avuto come scopo quello di spingere la Delegazione britannica ad uscire dal suo riserbo. Così almeno esse sono state interpretate; ed infatti subito dopo il Presidente del Gruppo di lavoro n. 10, Nicolaides, ha affermato necessità che tanto il Regno Unito che i paesi associati chiariscano il loro punto di vista, ed ha rivolto un particolare appello in tal senso al Delegato britannico.

In assenza di Ellis-Rees, ha risposto il Delegato aggiunto del Regno Unito, il quale è anche uno dei membri del Gruppo di lavoro n. 10. Egli ha detto di non essere ancora in grado di impegnare in alcun modo il suo Governo, assicurando però che quest’ultimo sta studiando con la massima attenzione il rapporto e tutti i problemi che da esso sorgono, cosciente dell’interesse col quale gli altri paesi attendono la sua presa di posizione definitiva. Ha pregato i Capi Delegazione di tener presente la diversità di posizione che esiste tra il Regno Unito e gli altri paesi, specie in materia di imprese comuni, dato che il Regno Unito ha già realizzato, per proprio conto, alcuni dei risultati che altri paesi membri potrebbero attendersi dalle imprese comuni.

Alla fine della riunione il collega francese mi ha confidenzialmente informato di essersi intrattenuto ieri con il Ministro Pineau sull’argomento della cooperazione europea in materia di energia nucleare. Egli mi ha detto di aver fatto presente al Ministro che, dato che tra le formule di cooperazione escogitate a Bruxelles e quelle delineate nel rapporto del Gruppo di lavoro n. 10 non vi è troppa differenza, non si vede come la Francia potrebbe sottrarsi dal cooperare in sede O.E.C.E. Avendogli il Ministro risposto che poteva essere vero anche l’inverso, e cioè che gli altri paesi non avevano che accedere all’accordo per l’Euratom, il Signor Valéry ha fatto osservare che non è facile ad uno Stato accedere ad un accordo alla cui redazione non ha cooperato, e comunque che alcuni paesi membri dell’O.E.C.E. non appaiono affatto disposti a farlo.

Inoltre, mio collega francese ha ribadito che in materia di energia nucleare la Francia, avendo compiuto progressi maggiori degli altri cinque paesi, è chiamata ad offrire più di quello che non possa ricevere. Ha aggiunto che non si vede molto bene quale sia effettivo collegamento tra cooperazione atomica e mercato comune, e che attuale Governo francese, pur rimanendo convinto della necessità futura del mercato comune, non intende discostarsi da un atteggiamento di estrema prudenza e gradualità, per salvaguardare l’economia del proprio paese.


1 Vedi D. 128.

130

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. 02411. Parigi, 9 febbraio 1956.

Oggetto: Conversazione con Maurice Faure.

Signor Ministro,

sono stato a vedere stamane il Segretario di Stato Maurice Faure che, come è noto a V.E., è particolarmente designato ad occuparsi degli affari concernenti l’Europa e la Saar.

Dopo le considerazioni – che sono qui di prammatica – sulla scarsa probabilità di durata del Ministero, Maurice Faure ha tenuto, non so perché, a dirmi che era in completo disaccordo sia in politica interna che in politica estera con le idee di Mendès-France e che si trovava al suo posto non per volontà di Mendès-France, ma contro la volontà del medesimo.

Ciò premesso, ho chiesto a Maurice Faure se e fino a che punto il progetto Monnet di Euratom potesse essere considerato come un progetto del Governo francese.

Maurice Faure mi ha risposto che il Governo francese deve ancora pronunciarsi su questa materia. Appena le questioni politiche più urgenti lo permetteranno, si dovranno esaminare i tre progetti attualmente esistenti e cioè: il progetto O.E.C.E., il progetto di Bruxelles ed il progetto Monnet.

In linea generale poteva dirmi che il Governo francese era favorevole all’idea di un’autorità sopranazionale. Del progetto Monnet, era certamente da ritenersi l’idea della proprietà statale e sopranazionale dei materiali fissili. Per quanto riguardava invece gli sviluppi industriali dell’energia atomica ed il conflitto fra dirigisti e liberisti, egli riteneva personalmente che bisognava lasciare una larga autorità ai singoli Stati di decidere come volevano, e ciò sopratutto se si volevano evitare delle difficoltà serie al Parlamento francese.

Personalmente era molto reticente sulla questione del divieto ad Euratom di occuparsi di armamenti atomici. A parte le difficoltà che ciò avrebbe potuto sollevare in seno al Parlamento francese, egli vi era contrario per ragioni di principio. Riteneva che gli armamenti cosiddetti convenzionali sono completamente superati e che soltanto lo spirito di «routine» dei militari porta il Governo a pensare in termini di divisioni convenzionali. In queste circostanze non interessarsi agli armamenti atomici equivaleva ad una dichiarazione di disarmo completo: una posizione cioè che poteva convenire alla Danimarca, ma non certo alla Francia.

Mi ha detto che su questo punto il Presidente del Consiglio personalmente è molto impegnato: molto più «nuancée», invece, è la posizione del Ministro degli Esteri e comunque non sarebbe facile avere l’unanimità su questo punto al Consiglio dei Ministri.

A titolo personale mi ha detto che le idee del Governo francese si sarebbero probabilmente cristallizzate su qualche cosa di non molto cartesiano, ma, nel suo complesso, di molto più vicino, forse, alle idee di Bruxelles che alle idee Monnet. Del resto, a sua impressione, bisognava limitarsi a fare il possibile.

Gli ho spiegato la nostra posizione in materia di mercato comune, posizione di cui del resto era al corrente, e gli ho, come al solito, raccomandato di tenerci, nella misura del possibile, al corrente delle decisioni del Governo francese, in maniera che noi potessimo a tempo far conoscere loro quelli che potevano essere i nostri desiderata e le nostre difficoltà.

Parlandomi della Saar, Maurice Faure mi ha confermata la buona volontà del Governo francese di essere ragionevole e la sua fiducia nelle buone disposizioni personali di Adenauer, senza considerare la Saar come una condizione preliminare, come era stato fatto in altre occasioni. Non poteva nascondermi, però, l’impor-tanza che una soluzione soddisfacente per le due parti di tutti i problemi tecnici connessi colla questione della Saar avrebbe potuto avere per il cosiddetto rilancio europeo.

Ha naturalmente insistito sull’importanza capitale che ha, dal punto di vista francese, il Canale della Mosella.

Ho approfittato dell’occasione per dirgli, incidentalmente, come le notizie, pubblicate da certa stampa, di nostre intenzioni di mediazione per la questione della Saar erano assolutamente prive di qualsiasi fondamento.

Partigiani ferventi dell’Europa, amici della Francia ed amici della Germania, facevamo dei voti per l’eliminazione di una questione così delicata: però, il nostro intervento nella questione, si limitava a questo voto. Faure mi ha detto di essere perfettamente al corrente della posizione nostra su questo delicato argomento.

La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio.

P. Quaroni


1 Ritrasmesso con Telespr. riservatissimo 318/c. segr. pol. del 25 febbraio alle Ambasciate a Washington, Londra, Mosca, Ottawa, Bruxelles, L’Aja, Lussemburgo e Bonn, alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi, alle Direzioni Generali degli Affari Economici e degli Affari Politici e, per conoscenza, all’Ambasciata a Parigi.

131

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

T. 2224/27. Londra, 10 febbraio 1956, ore 21 (perv. ore 7,30 dell’11).

Oggetto: Integrazione europea.

Il Segretario Permanente del Foreign Office mi ha detto oggi che in colloqui di Washington1 le questioni relative all’integrazione europea non sono state approfondite. Per parte sua non sarebbe ora contrario a che i paesi della C.E.C.A., pur salvaguardando la collaborazione in seno all’O.E.C.E. (che è di comune interesse) procedano anche nell’esame della possibilità di una maggiore cooperazione fra di essi. Trova tuttavia difficile diretta partecipazione all’Euratom, oltre che per i noti motivi costituzionali, anche perché gli studi dell’energia atomica in questo paese sono organizzati da un unico organismo industriale-economico-militare e riuscirebbe difficile, né sarebbe conveniente, separarne i vari aspetti ed attività. Mi sembra che nel complesso si possa registrare da parte inglese, di fronte a questi problemi, un atteggiamento più comprensivo che nel passato pur persistendo, specie per la questione del mercato comune (anche a sei) delle notevoli perplessità da parte della Tesoreria, Board of Trade ed il Ministero del Commonwealth.

Telegrafato Roma Bruxelles.


1 Sullo stesso argomento Scammacca aveva riferito (T. riservato 2021/17 del 7 febbraio): « Spaak mi ha detto di avere appreso da sicura fonte che, nel recente incontro a Washington con Eisenhower Eden aveva mosso una “offensiva a fondo” contro gli esponenti dei sei paesi volta a realizzare un mercato comune. Aveva basato le sue obiezioni in tre argomenti: 1) timore che da iniziativa dei sei paesi possa derivare in prosieguo la formazione di un “blocco politico neutrale” dell’Europa che si porrebbe fra l’U.R.S.S. e gli Stati Uniti d’America; 2) conseguenza dannosa per gli interessi dell’economia britannica; 3) possibilità di collegare la Germania al mondo occidentale anche con metodi diversi da quelli del mercato comune. Spaak mi ha manifestato vivo disappunto per tale iniziativa di Eden ed ha criticato il modo e le circostanze in cui era stata compiuta; ha soggiunto che aveva sentito il bisogno di intrattenerne questo Ambasciatore degli U.S.A. per gli opportuni chiarimenti a Washington specie per quanto riguarda il punto 1. Gli risulta peraltro che le mosse del Premier britannico non hanno avuto presa nello spirito del Presidente degli Stati Uniti. A commento della cosa, Spaak ha osservato che in tale maniera Eden ha “indirettamente condannato anche U.E.O.”. È questa infatti la vera sede, il “club europeo” nel quale tali gravi problemi dovrebbero essere discussi e risolti con lealtà e aperti scambi di vedute fra gli Stati che ne fanno parte e non per vie indirette e con azioni di sorpresa. Telegrafato Roma e Bad Godesberg».

132

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1.

[RIUNIONE DEI MINISTRI DEGLI ESTERI DEI PAESI C.E.C.A.]

[Bruxelles, 11-12 febbraio]

La riunione dei sei Ministri degli Esteri dei paesi membri della Comunità Europea Carbone e Acciaio, tenutasi a Bruxelles l’11 e il 12 febbraio sotto la presidenza del Ministro Spaak, si ricollega a quella svoltasi all’inizio di settembre 1955 a Nordwijk2. Come quella, anche la riunione di Bruxelles ha avuto carattere interlocutorio; ma per quanto anche questa volta il Ministro Spaak abbia dovuto limitarsi ad un rapporto orale sullo stato di avanzamento dei lavori del Comitato Intergovernativo da lui diretto, il progresso compiuto da allora nell’esame delle possibilità di applicazione della Risoluzione di Messina3 ha consentito ai Ministri una discussione più concreta e più fruttuosa.

Davano inoltre particolare rilievo alla riunione due fatti nuovi. Da un lato, essa si svolgeva a elezioni francesi avvenute e con la partecipazione del nuovo Ministro degli Esteri della Repubblica francese, il socialista ed europeista Christian Pineau; dall’altro, essa seguiva di qualche settimana il «manifesto» del Comitato di azione per gli Stati Uniti di Europa, presieduto da Jean Monnet.

Il Ministro Pineau, nel confermare attraverso il dibattito la sua familiarità con i problemi europei, ha tuttavia chiaramente indicato la sua intenzione di attenersi per ora strettamente in materia di rilancio europeo, ai termini della dichiarazione di investitura del Presidente Mollet.

Il Comitato Monnet e la sua mozione non sono stati mai menzionati dai Ministri, salvo un fugace accenno di Spaak alle non pienamente ortodosse procedure costituzionali da esso suggerite. Ma l’unanime consenso dei cinque Ministri (quello tedesco essendo tenuto dall’Accordo U.E.O. a non occuparsi dell’argomento) circa l’impossibilità di escludere a priori l’utilizzazione dell’energia nucleare a fini militari lascia supporre che difficilmente la mozione Monnet potrebbe essere approvata dai Parlamenti senza modifiche.

2. Il rapporto orale del Ministro Spaak, che ha occupato buona parte del primo pomeriggio, si è iniziato con una lunga e talvolta tecnica esposizione degli elementi di accordo finora raggiunti circa le procedure e i meccanismi per l’installazione di un mercato comune generale fra i sei paesi. Dando alla questione del mercato comune il primo posto nella sua esposizione, Spaak ha voluto riconfermare (e ciò è stato messo in rilievo anche nel comunicato finale) l’importanza che egli e alcuni dei suoi colleghi danno all’integrazione economica generale dell’Europa: contraddicendo in ciò alla posizione presa in vari ambienti, europeisti o meno, dei diversi paesi, secondo la quale il progetto di integrazione atomica a sei dovrebbe avere non solo un’assoluta priorità, ma costituire in pratica l’unico decisivo sforzo da compiersi nell’attuale momento in pro dell’Europa.

L’esposizione verbale del Ministro Spaak ha illustrato per sommi capi i documenti di lavoro sui quali verte la discussione fra i sei Capi Delegazione, e sulla base dei quali verrà redatto il rapporto finale del Comitato Intergovernativo, rapporto che Spaak ha promesso ai suoi colleghi per il 15 marzo p.v.

Non vi è stato un dibattito di dettaglio sulla relazione di Spaak. Negli interventi degli altri cinque Ministri, punti di rilievo sono stati sollevati da Pineau, Brentano e dall’On. Martino.

L’intervento di Pineau è stato inteso a richiamare l’attenzione dei suoi colleghi sull’ostilità persistente in molti ambienti francesi nei riguardi del mercato comune, sull’opportunità di una lunga e accurata preparazione psicologica dei circoli parlamentari ed extra-parlamentari, e sulla convenienza di non correre nuovamente lo stesso tipo di rischio cui il trattato C.E.D. sottopose l’Europa. Egli ha quindi auspicato che il rapporto finale del Comitato Intergovernativo venga attentamente studiato dai Governi, e offerto alla discussione dell’opinione pubblica, prima che sia presa la decisione di convocare una conferenza per la redazione del trattato.

Brentano, dopo aver raccomandato di evitare gli scogli del perfezionismo nella redazione del rapporto finale, si è domandato se non fosse giunto il momento di affiancare ai Ministri degli Esteri i rispettivi Ministri dell’Economia. La proposta (dalla quale non era evidentemente assente il desiderio di legare Erhard a un principio di accordo) è stata considerata di difficile esecuzione e prematura. In questa occasione il Ministro Martino ha ribadito chiaramente che, per quanto il contenuto del rapporto e del futuro trattato sia economico, il fine da raggiungere è in realtà politico: il mercato comune essendo un mezzo per arrivare alla unificazione politica dell’Europa. Egli riteneva perciò che la responsabilità dei Ministri degli Esteri fosse primordiale: naturalmente il rapporto avrebbe dovuto essere discusso a suo tempo nel seno dei singoli Gabinetti.

Il comunicato finale, nell’assegnare la data del 15 marzo per il completamento del rapporto, afferma che i Ministri torneranno a riunirsi «subito dopo» tale data. Luogo della riunione sarà con ogni probabilità Roma, salvo il consenso di Pineau che il Segretario di Stato Maurice Faure si è riservato di chiedere.

Terminata la riunione, si è avuto tuttavia sentore di qualche dubbio negli ambienti del Segretariato e delle Delegazioni circa l’opportunità di riunire i Ministri per la semplice formalità della consegna ufficiale del testo del rapporto Spaak, che i Ministri non sarebbero in grado di discutere non avendo avuto il tempo di consultarsi con i rispettivi Governi. Si penserebbe quindi ad utilizzare gli Ambasciatori accreditati a Bruxelles per la ricezione e la trasmissione ai Governi del rapporto; i Ministri si riunirebbero uno o due mesi dopo per una discussione di fondo, cui dovrebbe seguire la decisione di convocare o meno la conferenza o le conferenze incaricate di redigere i trattati.

3. È quindi seguita la relazione orale di Spaak sullo stato di avanzamento degli studi per Euratom. Spaak e i suoi collaboratori avevano redatto un nuovo documento, ampiamente basato sul rapporto Armand dello scorso novembre, al quale erano state apportate tuttavia due significative novità.

Il rapporto Armand ignorava in pratica la grave e complicata questione dell’utilizzo militare dell’energia nucleare. Essa veniva escamotée attribuendo a Euratom il monopolio di tutto il materiale fissile da usarsi per impieghi pacifici. Nel frattempo il Comitato Monnet aveva invece proposto la rinuncia dei sei paesi agli usi militari, salvo gli impegni presi nel campo internazionale.

Alla ricerca di una formula di compromesso Spaak proponeva ora una rinuncia dei sei Governi all’utilizzo unilaterale dell’energia nucleare per fini non pacifici: sottointendendo che tale utilizzo avrebbe potuto avvenire solo sotto nome «europeo», dando così luogo ad una rinascita sia pure parziale dell’integrazione europea in campo militare.

L’altra innovazione rispetto al rapporto Armand era che quest’ultimo attribuiva a Euratom un monopolio di acquisto sui materiali e combustibili prodotti all’interno della Comunità e su quelli da importarsi dall’estero per completare il fabbisogno europeo. Per superare le difficoltà sollevate dagli ambienti industriali tedeschi, timorosi che l’assoluto controllo della distribuzione delle materie prime da parte di Euratom potesse condurre a una discriminazione di fatto ai danni dell’industria tedesca, Spaak proponeva di togliere a Euratom il monopolio degli acquisti all’estero in caso di penuria e offriva la scelta fra il sistema della rivendita della materia prima agli utilizzatori, o della locazione (o concessione) di essa ai predetti.

Su queste due questioni principali Spaak apriva la discussione fra i suoi colleghi, aggiungendovi in seguito i due problemi della posizione da prendere nei riguardi del progetto di collaborazione atomica dell’O.E.C.E., e della connessione politica fra Euratom e il mercato comune.

4. Sulla prima questione (usi militari) Pineau dichiarava subito che la nuova formula Spaak non gli sembrava sufficiente. Egli proponeva di collegare piuttosto l’eventuale rinuncia da parte degli Stati europei alla soluzione del problema dell’interdizione universale degli esplosivi nucleari e del disarmo controllato generale.

Anche i Ministri Martino, Beyen e Bech dichiaravano di ritenere che non fosse il caso di rinunciare a priori e senza contropartita alla possibilità per l’Europa di essere un giorno difesa dalle nuove armi, costruite sul proprio suolo.

Di fronte a tale manifesta opposizione Spaak rinunciava alla sua formula, riservandosi di sottoporne un’altra ai Capi Delegazione.

5. In materia di regime giuridico delle materie prime nucleari il consenso generale dei Ministri era che le differenze fra il sistema della proprietà privata e quello della concessione fossero trascurabili, date le strette misure di controllo che sarebbero state imposte agli utilizzatori sia in un caso che nell’altro.

Più nuancées sono apparse le dichiarazioni di Pineau e di Brentano. Il primo ha suggerito in termini alquanto imprecisi che il sistema di distribuzione delle materie prime fosse affidato ad un comptoir spécialisé de vente, funzionante in base alle comuni norme commerciali: il significato di questa proposta è apparso più chiaro nella successiva riunione dei Capi Delegazione. Brentano ha ammesso la necessità di un efficace controllo, ma non ha escluso la possibilità che non tutti gli acquisti di materie prime siano fatti direttamente dalla Commissione atomica europea. Brentano ha comunque messo in rilievo che il Governo Federale tedesco aveva bensì tenuto una riunione di Gabinetto per discutere dei principi generali di Euratom: ma che nessuna decisione definitiva sarebbe stata presa finché il rapporto non fosse stato terminato dai Capi Delegazione. In conversazione privata Brentano assicurava che l’Ambasciatore Ophuels sarebbe stato autorizzato a firmare il rapporto come esperto, ma che l’ultima parola sarebbe sempre spettata al Governo Federale.

6. La posizione da prendere nei riguardi del rapporto O.E.C.E. sulle possibilità di azione nel campo dell’energia nucleare, che sarà discusso dal Consiglio dei Ministri O.E.C.E. del 28-29 febbraio, è stata oggetto di un diffuso dibattito.

In particolare il Ministro Pineau ha rilevato l’opportunità. che il rapporto di Bruxelles tenga aperte le porte alla collaborazione più larga possibile degli altri paesi europei. Se tale collaborazione non può avvenire entro Euratom, essa potrà attuarsi nel seno dell’O.E.C.E.; l’importante è chiarire che le due attività sono complementari e non concorrenti. Pineau era lieto di comunicare ai Ministri che il giorno precedente l’Ambasciatore Jebb gli aveva consegnato un promemoria in cui il Governo britannico affermava di non avere alcuna opposizione di principio al progetto di Euratom e che avrebbe anzi cercato di collaborare per quanto possibile con questi, una volta costituito4. Pineau interpretava tale affermazione come un’ammissione da parte del Governo britannico della possibilità di negoziare con Euratom un trattato di associazione.

(La nota britannica, della quale è stato possibile prendere visione confidenziale e che non risulta sia stata finora comunicata ad altri Governi della C.E.C.A., non parla di trattato di associazione, ma dichiara che il Governo britannico sarà lieto «to be helpful». Nella sua seconda parte il memorandum rinnova invece l’espressione della preoccupazione britannica per il progetto di costituire un’unione doganale sul continente europeo, affermando che essa costituirebbe un grave motivo di divisione dell’Europa).

Sullo stesso argomento – e dopo qualche frecciata polemica nei riguardi dell’Inghilterra da parte di Beyen – i Ministri hanno aderito all’impostazione del problema proposto dall’On. Martino: i Sei intendono procedere alla costituzione di Euratom, ma senza chiudere le porte a nessuno; hanno preso certi impegni firmando la Convenzione O.E.C.E., che intendono rispettare; e quindi sono pronti a collaborare in seno all’O.E.C.E., ma intendono spingersi più lontano di quanto gli altri paesi europei ritengono di poter fare.

Si è pertanto convenuto che il Rappresentante di uno dei sei Governi (che sarà Spaak) leggerà al Consiglio dei Ministri dell’O.E.C.E. a nome dei Sei una dichiarazione in questo senso, il cui testo verrà preventivamente approvato dagli altri Ministri. Nella successiva discussione ogni Rappresentante nazionale prenderà la parola a nome del suo Governo, sopratutto se dovesse essere discussa la questione del mercato comune, sulla quale anche sarebbe opportuno addivenire ad un chiarimento con gli altri paesi O.E.C.E.

7. Infine è stato discusso il delicato problema politico della connessione fra il progetto Euratom e il progetto di mercato comune. Il solo Pineau ha ribadito le sue precedenti dichiarazioni circa la necessità di un più lungo periodo di preparazione psicologica dell’opinione pubblica francese per farle accettare il mercato comune. Gli altri Ministri hanno dato atto al loro collega francese di tali difficoltà: hanno tuttavia reiterato che per i loro Governi fra Euratom e il mercato comune esiste una precisa connessione politica. (Brentano ha detto che il Governo tedesco non ama una seconda integrazione parziale tipo C.E.C.A.). Nessuno intende escludere la possibilità che il trattato istitutivo di Euratom sia presentato per il primo ai Parlamenti, e discusso isolatamente. Ma tutti auspicano, come ha affermato Brentano, che allorquando il trattato Euratom sarà per essere ratificato, vi siano segni certi che si possa raggiungere un accordo sul mercato comune. Il fine dell’una e l’altra costruzione è infatti, come ha rilevato il Ministro Martino, l’instaurazione dell’unità politica dell’Europa.

Il dibattito su questo punto non ha avuto conclusione precisa, ma larga traccia delle perplessità e delle esitazioni francesi è rimasta nel comunicato finale di cui si allega il testo.


1 Il documento, datato Roma 16 febbraio, fu trasmesso da Bobba (Telespr. 44/02806 c. del 20 febbraio) alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai Ministeri del Bilancio, Tesoro, Finanze, Difesa, Lavori Pubblici, Trasporti, Industria e Commercio, Lavoro, Commercio Estero, Agricoltura e Foreste e Poste e Telecomunicazioni, alla Confederazione Generale Industria Italiana, alla Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori, all’Unione Italiana del Lavoro e al Centro Italiano Ricerche Nucleari, alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Berna, Bruxelles, L’Aja, Lussemburgo, Londra, Oslo, Parigi, Vienna e Washington, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E., a Parigi, e presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, alle Legazioni a Copenaghen, Dublino, Lisbona e Stoccolma e, per conoscenza, alle Direzioni Generali degli Affari Politici, dell’Emigrazione e degli Affari Economici. Per il verbale della Conferenza vedi Appendice documentaria, D. 3.


2 Vedi D. 85.


3 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.


4 Per il precedente memorandum britannico sull’argomento vedi D. 105.

133

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERIE ALL’AMBASCIATA A PARIGI

Telespr. 839/476. Londra, 11 febbraio 1956.

Oggetto: Euratom.

Faccio seguito al telegramma del 10 u.s. (diretto anche a Bruxelles)1 per fornire qualche ulteriore dettaglio sui contatti avuti al Foreign Office in merito all’atteggiamento britannico sulla questione dell’Euratom. Tali contatti non si sono potuti ovviamente avere se non dopo il ritorno di Selwyn Lloyd e degli esperti da Washington e da Ottawa. Già a livello uffici ci era stato tuttavia detto che il «wording» del comunicato anglo-americano per quella parte relativa ai problemi della integrazione europea era stato lasciato volutamente vago onde consentire al Governo britannico un certo qual margine di azione e sopratutto di orientamento dinanzi alle resistenze che provengono sopratutto dalla Tesoreria, dal Board of Trade e dal Commonwealth Office particolarmente nei confronti dei progetti di mercato comune. Ci era anche stato detto che la posizione del Foreign Office è più avanzata (in senso favorevole) di quanto non lo sia quella di altre Amministrazioni di cui il Foreign Office deve tuttavia farsi portavoce in sede internazionale.

Ho ieri posto chiaramente a Kirkpatrick il quesito se da parte britannica vi sia da attendersi una attitudine di preconcetta opposizione alla creazione dell’Euratom. Kirkpatrick mi ha risposto enfaticamente di no. Da parte britannica, mi ha detto, si considera che non convenga infirmare le possibilità di collaborazione in sede O.E.C.E. e ciò nell’interesse di tutti. Non ho potuto fare a meno di ricordare che un anno fa vi erano dei forti dubbi che Londra volesse continuare a mantenere in vita quella Organizzazione, ma non ho voluto introdurre nella conversazione spunti polemici e mi sono quindi limitato a sottolineare, a questo proposito, che tale è anche il punto di vista del Governo italiano, ma che ciò non appare incompatibile con le possibilità di una più intima collaborazione a sette o a sei. Kirkpatrick ha continuato dicendo che ogni più stretta intesa fra i continentali non potrà non trovare benevola comprensione da parte inglese, specialmente del Foreign Office. Per parte sua e a titolo personale egli vi si è anzi dichiarato apertamente favorevole. Ha osservato che, come sappiamo, la Gran Bretagna non può entrare in alcun organismo a carattere sopranazionale tanto più, nel caso specifico, in quanto in questo paese, per ragioni pratiche, tecniche ed economiche gli studi e le realizzazioni atomiche sia nel campo dell’uso pacifico che di quello militare, sono condotte dalle stesse persone, con gli stessi finanziamenti e gli stessi laboratori. Non si potrebbe quindi mutare ora questo sistema, già bene avviato, e dall’altra parte il Governo inglese non può rinunciare a proseguire gli studi per l’eventuale uso bellico dell’energia termo-nucleare. Kirkpatrick mi ha fatto al riguardo il seguente ragionamento: fra dieci anni, o anche meno, i russi saranno in grado di far cadere bombe atomiche o all’idrogeno sugli Stati Uniti. È probabile che allora gli americani saranno, assai meno di oggi, disposti a minacciare ad ogni momento l’uso di tali armi ed anche ad impiegarle in caso di aggressione sovietica in Europa tanto più se, dall’inizio, si trattasse di invasione limitata a paesi marginali. Le attuali rispettive posizioni inglese e americana di fronte all’impiego di tali armi potranno allora trovarsi rovesciate perché la Gran Bretagna non potrà non rimanere estremamente sensibile ad ogni minaccia sull’Europa; e anche per questo motivo noi intendiamo avere una nostra disponibilità di armi termo-nucleari e non possiamo impegnarci a dare alle nostre ricerche in campo atomico carattere esclusivamente pacifico. Benché questo discorso mi sia stato fatto da un alto funzionario il quale, anche per temperamento, vede i problemi che si presentano al suo esame con l’obiettività con cui un medico vede o giudica le condizioni di salute di una persona che si sottopone alla sua diagnosi, e prescinde quindi da considerazioni politiche, esso non è meno interessante e aiuta a comprendere certi atteggiamenti e orientamenti britannici. Ritengo del resto probabile che l’opinione di Kirkpatrick sia condivisa, ove addirittura non ispirata, dai tecnici della materia e questo è un paese in cui i tecnici sono sempre molto ascoltati.

L’«Economist» di questa settimana ha pubblicato un articolo, che allego, nel quale si auspica che il Governo britannico prenda una parte più attiva ai progetti di integrazione europea. Non è la prima volta che l’«Economist» si esprime in questo senso. Nel complesso l’articolo è interessante perché rileva, e cerca di smontare, quelle che sono le perplessità delle Amministrazioni britanniche. Come è ben noto la mentalità britannica rifugge per istinto dalle «novità». Ha bisogno di avvicinarsi ad esse per incominciare a studiarle o a comprenderle. Poi, a volte, finisce anche per farle proprie. Credo quindi, tutto sommato, che i Sei possano ora procedere sulla via intrapresa verso la creazione dell’Euratom senza attendere troppo espliciti beneplaciti, né tanto meno promesse di partecipazione. Conviene però al tempo stesso dare agli inglesi assicurazioni e garanzie nel senso che i loro interessi non saranno lesi e che anzi la loro collaborazione verrà nel comune interesse sempre auspicata e ricercata.

Martedì prossimo avrò un colloquio con Sir Edward Boyle, Permanent Secretary alla Treasury. Riferirò quindi ulteriormente2.


1 Vedi D. 131.


2 Con il D. 137, incrociatosi con le istruzioni di Rossi Longhi di cui al D. 136.

134

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1.

RIUNIONE A BRUXELLES DEI CAPI DELEGAZIONE

DEL COMITATO INTERGOVERNATIVO PER IL RILANCIO EUROPEO

(13-14 febbraio 1956)

Subito dopo la riunione dei Ministri degli Esteri, sulla quale si è riferito con separato appunto2, Spaak ha riunito presso di sé i Capi Delegazione del Comitato Intergovernativo, per riprendere il lavoro che era stato interrotto all’epoca delle elezioni francesi.

Sono state oggetto di discussione:

1. Le questioni attinenti l’Euratom;

2. gli aspetti istituzionali del Mercato Comune;

3. alcuni problemi del Mercato Comune.

Si indicano così di seguito gli argomenti principali del dibattito.

1. Euratom. I Ministri avendo dichiarato di non poter prendere in considerazione una rinuncia unilaterale dei loro paesi al diritto di utilizzare l’energia nucleare a fini militari, è stata intrapresa la ricerca di una formula che, salvaguardando il sistema di stretto controllo che verrebbe instaurato da Euratom, permetta tuttavia ai paesi che lo desiderino di costruire armamenti nucleari.

La questione era resa più complicata dal fatto che l’intero sistema di controlli proposto da Spaak nell’ultimo documento relativo a Euratom si basava appunto sulla rinuncia da parte dei Governi all’utilizzo unilaterale dell’energia nucleare a fini militari. È opportuno ricordare a questo proposito che il progetto Euratom prevede che tutti gli utilizzatori di materie prime fissili (sia gli Stati che i privati) devono passare per il loro approvvigionamento attraverso la Commissione Atomica Europea. Difficile sembra immaginare che gli Stati Maggiori acconsentano a sottoporre i loro fabbisogni nucleari al controllo – sia pure formale – di una commissione sopranazionale. Nel caso invece che essi fossero autorizzati ad astenersene, dal controllo verrebbe esclusa una zona abbastanza vasta, e la ripartizione delle materie prime in caso di penuria diventerebbe assai più difficile.

La discussione fra i Capi Delegazione ha mirato ad esaminare le possibili vie di uscita da questa impasse; ma non è stato possibile concordare una formula precisa.

Da parte francese si è accennato alla possibilità seguente: i paesi si impegnerebbero a non costruire armi atomiche per un certo periodo (4 o 5 anni); come è stato possibile accertare in conversazioni private, i francesi non saranno infatti pronti per la costruzione della bomba prima del 1959. È stato osservato a proposito di questa formula che essa non risolve il problema che verrà a porsi al termine di tale periodo intermedio; Spaak ha accennato ad un obbligo di consultazione con gli altri Governi, ammettendo anche la possibilità che basti solo il consenso di altri due Governi perché l’autorizzazione sia concessa; ma anche questa vaga formula non è stata ritenuta.

Un progresso si è invece compiuto nel campo della definizione di che cosa debba intendersi per armi nucleari. Si è infatti riconosciuto che è opportuno lasciare liberi i paesi membri di sperimentare e costruire motori atomici, anche se essi dovessero venire usati su navi o aerei militari. Si è quindi convenuto di accogliere la definizione che delle armi nucleari dà l’annesso II del Protocollo IX del Trattato di Parigi per la costituzione dell’Unione dell’Europa Occidentale. Anche la Germania avrà quindi la possibilità di dedicarsi alla costruzione di motori atomici.

Altre difficoltà ha rivelato la questione dei brevetti; essa è stata rinviata ad uno speciale gruppo di lavori che si riunirà il 21-22 febbraio a Bruxelles.

La discussione sul sistema di approvvigionamento delle materie prime ha messo in luce taluni problemi delicati. È noto che i tedeschi intendono ridurre per quanto possibile l’obbligo da parte degli utilizzatori di rivolgersi a Euratom per la fornitura di tali materiali. Per venire incontro al loro desiderio è stato proposto che, qualora Euratom non sia in condizioni di fornire tutta la materia prima richiesta, l’utilizzatore abbia la possibilità di contrattare direttamente con eventuali venditori al di fuori della Comunità. Si è affacciata qui l’ipotesi che le offerte possano pervenire da paesi del Blocco sovietico e che esse siano fatte a prezzi molto inferiori a quelli vigenti sul mercato occidentale. La difficoltà di conciliare un sistema di approvvigionamento non monopolistico con l’opportunità di non prestare il fianco ad un possibile giuoco sovietico non è stata tuttora risolta.

Di maggiore importanza sono due riserve sommessamente enunciate dal Rappresentante francese Gaillard. La prima lascerebbe alla Francia la piena disponibilità di una percentuale dei suoi minerali, qualora dopo il 1960 tutto il minerale del Congo non possa andare ad Euratom. Spaak ha osservato che la necessità di trattare al più presto con gli americani, per definire il regime dei minerali congolesi alla scadenza dell’attuale contratto, gli è ben presente: ma che ciò è difficile a farsi prima che Euratom sia costituito. Egli ha ricordato anche i vantaggi che al Belgio derivano dalla vendita agli Stati Uniti ed all’Inghilterra del minerale del Congo, vantaggi che passerebbero alla Comunità.

La seconda riserva avanzata dai francesi mira ad ottenere che, in caso di penuria, una certa priorità venga assicurata ai paesi produttori di minerali. Questa proposta, che riflette fra l’altro il desiderio degli ambienti militari francesi di una certa sicurezza nella esecuzione dei loro programmi, ha incontrato una opposizione quasi generale.

Per quanto riguarda la dibattuta questione se Euratom debba rivendere o affittare agli utilizzatori la materia prima da esso acquisita, si è prospettata una soluzione di compromesso nel senso di lasciare la scelta all’interessato. Il contratto specificherebbe comunque tutte le condizioni di utilizzazione della materia prima. È stato anche indicato che nessun utilizzatore verrebbe autorizzato a mantenere stocks superiori alla misura ragionevole.

Quanto alle istituzioni che dovranno reggere Euratom se ne è parlato solo per accennare che tre di esse (Consiglio dei Ministri, Assemblea, Corte di Giustizia) saranno le stesse previste per il Mercato Comune, mentre la Commissione Atomica Europea costituirà un ente a sé, dotato di proprie caratteristiche. Anche per le tre prime istituzioni non sarà tuttavia possibile rinviare al trattato del Mercato Comune, se questo non verrà sottoposto al Parlamento contemporaneamente a quello per Euratom.

2. Istituzioni del mercato comune. Per la prima volta il delicato argomento politico delle istituzioni europee che dovranno presiedere allo stabilimento del Mercato Comune è stato affrontato nel suo insieme sulla base di un documento di lavoro contenente precise proposte. L’aspetto più significativo del dibattito è stato il tacito accordo fra i Capi Delegazione di non invocare formule ideologiche (sopranazionalità o meno), e di disegnare le grandi linee di un edificio che sia funzionale anche se non ispirato alla logica formale delle costituzioni scritte.

Il sistema che si è venuto delineando differisce quindi da quello della C.E.C.A. (e da quello che era stato studiato per la C.E.D.) nel senso che acquistano maggiore rilievo gli organi intergovernativi rispetto a quelli comunitari.

Sono quindi riservate al Consiglio dei Ministri le decisioni più importanti, ed in particolare quelle intese a regolare il ritmo di progresso del mercato comune. Ma proprio su questo punto una delicata controversia è sorta con il Delegato francese. Le proposte Spaak prevedevano che la regola dell’unanimità del Consiglio (valida sempre per il coordinamento delle politiche economiche) avesse qualche eccezione, trasformandosi in regola della maggioranza qualificata (sulla base di voti ponderati, come si dirà più oltre). Tali sarebbero per esempio i casi dei negoziati con paesi terzi per la fissazione della tariffa esterna, dell’eliminazione delle distorsioni economiche, e del mutuo aiuto per far fronte alle difficoltà di bilancia dei pagamenti. Il motivo di contrasto con Gaillard è sorto quando si è discusso degli eventuali aggiustamenti e delle modifiche che potrebbero dover essere apportate ai meccanismi e alle regole del Mercato Comune dopo l’esperienza della prima tappa di quattro anni. Alla proposta di Spaak, che prevedeva un voto del Consiglio a maggioranza qualificata, su conforme proposta della Commissione Europea interinata dall’Assemblea, Gaillard tornava ad opporre la regola dell’unanimità. Prendevano quindi forma due posizioni di principio alquanto distanti. La prima, condivisa dalla maggioranza dei Delegati e tenacemente difesa dagli olandesi e da Spaak, riteneva che le regole generali del Mercato Comune andassero fissate nel trattato, salvo quelle relative alla liberazione dei servizi e dei capitali e all’organizzazione del mercato agricolo, per le quali si sarebbe potuto provvedere in un secondo tempo; che, salve le correzioni suggerite dall’esperienza e dalla realtà delle cose, tali regole dovessero conservarsi valide anche dopo la prima tappa, in modo che non si formino soluzioni di continuità; che le modifiche fossero convenute a maggioranza qualificata, in modo da non dare ad una singola potenza il diritto di veto.

Dal canto suo, Gaillard non ammetteva invece questa impostazione, sostituendole un concetto diverso: e cioè, che la prima tappa sia un vero periodo di esperimentazione, a termine del quale (come anche della successiva tappa dal quarto all’ottavo anno) i Governi debbono ulteriormente concordare la loro linea di azione. A favore della sua tesi, Gaillard indicava che il Parlamento francese non avrebbe accettato di firmare un assegno in bianco al Governo per la durata di dodici anni, senza la sicurezza che il Governo possa ottenere le modifiche che l’esperienza avrebbe suggerito. Ricordava anche che la Francia aveva rinunciato al préalable sociale, e che appunto per ciò doveva garantirsi dell’effettivo inizio dell’armonizzazione delle politiche sociali prima di fare progressi sostanziali nella soppressione degli ostacoli agli scambi.

Su questo punto la discussione è stata rinviata ad una successiva sessione. Un accordo di massima è stato invece raggiunto sul criterio del voto ponderato per i vari paesi membri, come già nella C.E.C.A., ma con formula diversa: un voto a Lussemburgo, due ciascuno, al Belgio ed all’Olanda, quattro ciascuno ai tre grandi paesi.

All’organo comune, che è stato provvisoriamente denominato Commissione Europea, sarebbero attribuite funzioni di decisione (regole di concorrenza, distorsioni commerciali, clausole di salvaguardia), funzioni di istruzione nei casi di violazione degli impegni del trattato da sottoporre al giudizio della Corte, facoltà di presentare proposte e raccomandazioni al Consiglio, infine la gestione del Fondo di riadattamento. Circa il numero dei membri della Commissione si è accennato all’opportunità di mantenerlo il più basso possibile, ad esempio non superiore a 5. Il Presidente dovrebbe essere nominato all’unanimità dai Governi.

La Corte di Giustizia della C.E.C.A. vedrebbe trasformarsi ed allargarsi non solo la sua competenza ma la sua organizzazione, in quanto essa si articolerebbe su varie sezioni specializzate, composte oltre che di giudici, di assessori esperti.

L’Assemblea della C.E.C.A. vedrebbe aumentato il numero dei suoi membri (probabilmente triplicato) e, oltre a mantenere il diritto di votare mozioni di censura alla Commissione Europea, approverebbe i bilanci dei differenti organi della Comunità.

3. Mercato comune. I Capi Delegazione hanno riveduto un certo numero di documenti di lavoro già in precedenza discussi. I punti di maggior rilievo nel dibattito sono i seguenti:

- durata del periodo transitorio fino al pieno e completo stabilimento del Mercato Comune: 12 anni (divisi in tre tappe), prorogabili a 15 anni su decisione del Consiglio a maggioranza qualificata (oltre i 15 anni, all’unanimità);

- riduzione dei diritti doganali del 30 % nei primi 4 anni, e di un ulteriore 30 % nei secondi 4; base di partenza i diritti di uso e non quelli legali (all’obiezione italiana è stato risposto che difficilmente potrebbe concepirsi che un paese che entri nel Mercato Comune possa a questo riguardo prendere una posizione diversa da quella di tutti gli altri);

- livello della tariffa esterna: si sono riprodotte qui le violente obiezioni olandesi contro il sistema della media aritmetica corretta. Per superare queste obiezioni, il Ministro Spaak si recherà personalmente questa settimana all’Aja per discuterne con i Ministri olandesi.

La discussione fra i Capi Delegazione, sia sui documenti ancora da rivedere sia su quelli tuttora non discussi (settore agricolo, distorsioni, clausole di salvaguardia, regole di concorrenza) riprenderà a Bruxelles giovedì 23 febbraio3. Un’ulteriore sessione all’inizio di marzo4 sarà indispensabile prima che Spaak ed i suoi collaboratori possano passare alla redazione del rapporto finale.


1 Il documento, datato Roma 18 febbraio, fu trasmesso da Ducci (Telespr. 44/02974/c. del 21 febbraio) agli stessi destinatari di cui al D. 132, nota 1.


2 Vedi D. 132.


3 Vedi D. 145.


4 Vedi D. 151.

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IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

Appunto riservato. Roma, 14 febbraio 1956.

APPUNTO SULLA VISITA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, ON. SEGNI,E DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, ON. MARTINO, NELLA GERMANIA OCCIDENTALE

(6-9 febbraio 1956)

A seguito di ripetuto invito da parte del Governo Federale tedesco, il Presidente del Consiglio, On. Segni, il Ministro degli Affari Esteri, On. Martino, si sono recati in visita ufficiale a Bonn tra il 6 ed il 9 febbraio 1956, accompagnati da alcuni funzionari di Palazzo Chigi.

Tale visita, svoltasi nei giorni immediatamente precedenti la prevista riunione dei Ministri degli Affari Esteri dei sei paesi della C.E.C.A., a Bruxelles1, ha assunto un particolare rilievo proprio nel quadro degli sforzi attualmente nuovamente perseguiti per favorire il processo di integrazione destinato a condurre, possibilmente, alla creazione di un Mercato Comune tra i sei paesi stessi.

Le accoglienze riservate dal Presidente Federale Heuss, dal Cancelliere Adenauer, dal Ministro degli Affari Esteri von Brentano e dai principali membri del Governo di Bonn sono state molto cordiali mentre lo svolgimento delle conversazioni, di carattere politico, sia in un quadro generale, sia in via bilaterale, ha permesso di constatare un certo effettivo parallelismo di situazioni e di intenti: situazione, questa, che ha avuto conferma nell’assenza di qualsiasi momento sgradevole nel corso dell’incontro. La partecipazione, infine, alle manifestazioni organizzate in onore dei due Ministri italiani, di molte personalità di rilievo della politica e dell’economia della Repubblica Federale hanno permesso contatti ed indagini di molto notevole interesse ai fini sopratutto di valutare quali possano essere gli sviluppi della politica tedesca nell’attuale complesso momento politico internazionale.

Nel corso degli incontri tra gli uomini di Stato dei due paesi è stato possibile innanzi tutto constatare come l’interessamento del Governo tedesco e personalmente del Cancelliere Adenauer – apparso in ottima forma e completamente ristabilito dalla recente malattia – in merito al movimento europeista, destinato a facilitare l’integrazione, sia tuttora molto vivace. Naturalmente esistono sfumature e gradazioni inquantoché il Cancelliere, evidentemente impressionato dagli sviluppi delle crisi parlamentari ed interne francesi, sarebbe in certo modo disposto anche ad immaginare una «Europa a cinque» sempre lasciando naturalmente alla Francia una sedia libera per una eventuale futura partecipazione (idea, questa, nella quale lo stesso Ministro degli Affari Esteri On. Martino si è dichiarato sostanzialmente d’accordo) mentre il Ministro von Brentano appare maggiormente perplesso circa un tale indirizzo nonché scettico circa una partecipazione, in quelle condizioni, dei paesi del Benelux. Ma, si ripete, l’orientamento generale resta quello che guidò la Delegazione tedesca nel corso della recente Conferenza di Messina, allorché, dopo il fallimento della C.E.D. e gli sbandamenti che ne seguirono, si volle riaffermare la possibilità di un «rilancio europeo».

Ciò spiega anche come, in merito alle attuali iniziative per la creazione del «pool» atomico europeo, il Governo di Bonn appaia maggiormente favorevole ad un avviamento inteso alla creazione di un vero settore di integrazione occidentale europea in tale materia anziché ad un accordo generale internazionale del tipo di quello immaginato in sede O.E.C.E.

In merito alle recenti discussioni avvenute in seno al Consiglio Atlantico per una più decisa realizzazione dei dettami contenuti nell’articolo 2 del Patto circa la necessità di maggiori sviluppi e di maggiore solidarietà tra gli alleati nei settori politico, economico e sociale e non soltanto militare, nelle conversazioni di Bonn è stato fatto ripetuto cenno, da parte italiana, e con evidenti segni di notevole interesse da parte tedesca, della situazione venutasi a creare con la creazione della cosiddetta «coesistenza competitiva», e con le conseguenti offerte sovietiche di assistenza a favore sopratutto dei paesi del Medio Oriente. L’Italia, come è noto, intende riprendere l’argomento in sede competente proprio perché convinta, sotto il profilo politico, che i recenti avvenimenti, a cominciare dalle Conferenze di Ginevra e dal cosiddetto movimento distensionista, abbiano creato troppi interrogativi in merito ai valori esclusivamente militari della N.A.T.O. mentre oramai i termini del contrasto tra i due blocchi appaiono essersi spostati in altri settori. E da parte tedesca, si ripete, è apparso non piccolo l’interesse sulla questione.

In merito al tanto discusso problema della riunificazione della Germania ed ai metodi ed ai tempi per conseguirla, si è tratto a Bonn l’impressione che il Governo del Cancelliere Adenauer, dopo le disillusioni di Ginevra e di Mosca, non intenda per il momento avanzare clamorose iniziative e preferisca attenersi alla formula della inscindibilità dei tre grandi problemi: sicurezza, controllo degli armamenti e riunificazione. E, a tale proposito, non sono mancate parole di apprezzamento per l’atteggiamento mantenuto, in materia, dai dirigenti americani ed inglesi nel corso del loro recente incontro di Washington mentre qualche critica è stata elevata nei confronti del Governo francese, il quale, proprio mentre il Presidente Eisenhower inviava la sua prima netta risposta alla nota lettera del Signor Bulganin, riteneva opportuno ufficialmente confermare l’esistenza ed il valore dell’antico trattato di amicizia tra Parigi e Mosca2.

Naturalmente, accanto a queste constatazioni, si è avuto un ripetuto appello, per bocca del Cancelliere, alla necessità di una maggiore solidarietà tra i paesi dell’Occidente proprio per dare ai governanti di Mosca un’impressione effettiva di un intendimento e di un’azione comuni. Ed è sopratutto sotto questo profilo che non sono mancate le affermazioni sul significato e sull’utilità di un sempre maggiore parallelismo e di una sempre maggiore coordinazione nelle linee politiche seguite da Bonn e da Roma.

Un interessante elemento, sempre nel corso di quelle conversazioni, è stato costituito da una lunga spiegazione del Cancelliere Adenauer intesa a giustificare la lentezza nella quale, indubbiamente, va svolgendosi il riarmo tedesco. In realtà – a detta del Cancelliere – le difficoltà psicologiche delle Forze Armate si sono dimostrate, in Germania, maggiormente grandi e profonde di quanto previsto: e ciò perché è venuto a mancare, per tutti gli avvenimenti del recente passato ed anche per la propaganda svolta, in un primo tempo, in territorio tedesco, dagli stessi alleati vincitori, quel senso di rispetto e di ammirazione nei confronti delle Forze Armate stesse che era stata la caratteristica tedesca di tutti i tempi. In altre parole, il tradizionale esercito germanico, sopratutto per le vicissitudini trascorse nel periodo nazionalsocialista, ha bisogno ora di essere rivalutato agli occhi di una gran parte dell’opinione pubblica. Ciò indubbiamente avverrà ma saranno necessari un qualche tempo ed un notevole sforzo.

A conclusione e riassunto di queste conversazioni politiche di carattere generale si è, infine, posto in rilievo, da ambedue le parti, come l’Italia e la Germania costituiscano due vere e proprie «marche di frontiera» a immediato contatto con il mondo comunista e come quindi sia necessario un’azione concorde dei Governi dei due paesi per affrontare il pericolo di una diretta pressione sovietica nei loro confronti.

Le conversazioni tra i quattro uomini di Stato sono state seguite da incontri di funzionari alla presenza del Segretario di Stato Hallstein e dell’Ambasciatore Grazzi, incontri che hanno servito, sopratutto, a sgombrare il terreno da alcune questioni interessanti i rapporti bilaterali tra i due paesi.

Così, in merito alle ricerche da effettuarsi ancora per conoscere la sorte dei prigionieri di guerra in Russia, è stato stabilito il mantenimento di un contatto tra le autorità competenti dei due paesi per la raccolta di notizie e di indizi, dato sopratutto il ritorno in Germania di gruppi di prigionieri tedeschi in numero abbastanza rilevante.

Circa l’accoglimento in Germania di lavoratori italiani è stato preso nota, con soddisfazione, delle prime richieste tedesche per una pronta applicazione dell’accordo di emigrazione recentemente firmato a Roma.

In merito, poi, a talune questioni originate dalla guerra, è stato confermato il dissequestro, da parte italiana, dell’Accademia tedesca di Villa Massimo a Roma (per il cui sgombero, però, occorrerà ancora un certo periodo di tempo) e dell’Ospedale Imperatore Federico di San Remo, mentre da parte tedesca è stata data nuova assicurazione per una collaborazione intesa a rintracciare e consegnare quelle residue opere d’arte, asportate a suo tempo dall’Italia, di cui fosse possibile l’identificazione.

Nel settore dei rapporti culturali è stato firmato, con una certa solennità, dal Ministro On. Martino e dal Ministro von Brentano, nella sede del Ministero degli Esteri tedesco, l’Accordo culturale per il cui raggiungimento si era svolta, in precedenza, una complessa trattativa. Tale accordo, che tocca diversi settori dell’attività culturale, potrà dare notevoli e specifici risultati specialmente nel campo dell’insegnamento linguistico reciproco nei due paesi3.

In pari tempo da parte tedesca è stato consegnato un progetto di accordo di amicizia, commercio e navigazione che nelle sue linee generali si inspira sopratutto al recente Trattato italo-americano in argomento, e che sarà ora sottoposto all’esame degli organi competenti italiani4.

Ma, sopratutto, è stata interessante la presa di contatto sui problemi economici che interessano i due paesi. E qui, mentre da una parte si è avuta una riaffermazione, consacrata anche nelle parole del comunicato ufficiale finale sull’incontro, della necessità di favorire sempre più gli scambi commerciali italo-germanici, dall’altra si è abbordato il problema, già discusso dagli organi tecnici, costituito dallo studio delle misure ritenute maggiormente idonee a facilitare, nel quadro della cooperazione internazionale, l’attuazione del programma di sviluppo italiano.

Sull’argomento il diretto contatto avuto con il Ministro germanico dell’Economia, Erhard, il quale, come si ricorda, ha recentemente compiuto una visita a Roma e nell’Italia meridionale, ha permesso di constatare come siano tuttora necessari un maggiore approfondimento ed una maggiore specificazione della materia inquantoché mentre da parte nostra si desidererebbe il raggiungimento, nel più breve tempo possibile, di un diretto accordo tra i due paesi per un consolidamento di una buona parte del nostro debito nel quadro dell’Unione Europea dei Pagamenti, da parte tedesca si vorrebbe portare la questione in sede O.E.C.E. perché essa possa avere un crisma ed una soluzione internazionale anziché di tipo, si ripete, bilaterale. Comunque non si tratta, come erroneamente taluni giornali dei due paesi hanno pubblicato, di una richiesta italiana di un prestito di 100 milioni di dollari alla Germania, ma viceversa di un consolidamento a lungo termine, per un simile valore, delle quote debitorie italiane nel quadro del commercio internazionale europeo dove, come è noto, la Germania si trova in posizione di grande creditrice. Un consenso tedesco di massima esiste, ed è stato confermato dallo stesso Erhard, ma ora occorrerà intensificare la trattativa per dirimere eventuali equivoci in argomento.

Conclusasi nella giornata del 9 la visita e partito per l’Italia il Presidente del Consiglio On. Segni, il Ministro degli Esteri On. Martino ha desiderato prendere un personale contatto con la città di Berlino, compiendo così un atto che ha avuto una notevole ripercussione inquantoché per la prima volta, si può dire, un Ministro degli Esteri di paese occidentale si è recato nell’antica capitale tedesca allo scopo diretto di osservarne la situazione.

Tale atto è stato considerato al suo giusto valore negli ambienti tedeschi e ha suscitato non soltanto «in loco» – e se ne è avuta una chiara prova nelle accoglienze insolitamente cordiali riservate all’ospite italiano dal Senato e dal Municipio della Berlino Occidentale – ma anche in tutta la Repubblica Federale, commenti molto favorevoli. Tale visita, del resto, si è dimostrata profondamente utile inquantoché forse soltanto a Berlino si può avere, in certo modo, fisicamente e direttamente, la sensazione di cosa voglia dire la divisione della Germania in due parti. Colà, infatti, esiste tuttora, checché se ne dica, la sensazione di un vero e proprio assedio e non può non saltare agli occhi di chiunque l’assurdità di una posizione per la quale una grandissima e tanto importante città dell’Europa Centrale, già grande capitale di un grande Stato, si veda, a undici anni dalla fine della guerra, spaccata in due monconi praticamente l’un contro l’altro armato.

A Berlino, quindi, le parole rivolte dall’On. Martino ai Rappresentanti del Senato e del Municipio, in merito a quella inscindibilità del problema della riunificazione tedesca da quello della sicurezza e del controllo in Europa, alla quale si è sopra accennato, non poteva non suscitare una effettiva emozione.

La visita dei due Ministri italiani ed i contatti verificatisi durante il suo svolgimento si prestano a talune considerazioni:

1) Il Cancelliere Adenauer appare tuttora l’uomo di centro e di base di tutta la Repubblica Federale inquantoché gli stessi oppositori, numerosi e di non piccolo peso, ne rispettano l’autorità e la personalità. Naturalmente gli interrogativi, per il caso di una sparizione dell’uomo dalla scena politica e terrena, si fanno sempre più frequenti e non sembra che i nominativi degli uomini eventualmente destinati a succedergli appaiano riscuotere consensi generali. Caratteristico, in proposito, è l’atteggiamento dello stesso partito liberale la cui presenza nell’attuale Governo è sempre più oggetto di discussioni e di travaglio.

2) Il Governo tedesco e anche l’opposizione parlamentare (molto utile ed intelligente fu senza dubbio la compartecipazione di uno dei maggiori esponenti dell’opposizione stessa, lo Schmid, al viaggio di Adenauer a Mosca) sembrano oramai convinti della impossibilità di una prossima soluzione del problema della riunificazione e preferiscono, dopo le disillusioni del 1955, attenersi piuttosto a formule teoriche che non a pratiche iniziative. Da ciò le riaffermate affermazioni circa la necessità di una solidarietà occidentale sulla base delle posizioni della seconda Ginevra, e per ora null’altro.

3) Il problema della Saar è tuttora – e non può essere altrimenti date le sue vivissime ripercussioni nella politica interna del paese – oggetto di notevole osservazione e attività di Bonn. Proprio in questi giorni si vanno intensificando le conversazioni franco-tedesche sull’argomento e il Ministro von Brentano si recherà a Parigi il giorno 20 per avere nuovi contatti con il Ministro degli Esteri Pineau. Evidentemente l’evoluzione degli ultimi mesi è stata nel complesso favorevole ai tedeschi, ma da parte francese anche il nuovo Governo sembra risoluto a voler mantenere taluni importanti punti di vista delle industrie francesi. Da parte tedesca si mantiene un certo ottimismo ma nulla ancora è stato deciso sopratutto in merito alle ripetute richieste francesi per la soluzione del problema del Canale della Mosella che da parte di Parigi viene considerata tuttora una «conditio sine qua non» per un accordo franco-tedesco in tema di Saar.

4) Effettivamente si sente in Germania la lentezza e la pesantezza del riarmo per quanto le supreme autorità insistano nel dichiarare tale fenomeno quale contingente e passeggero. Né si può dire che le prime apparizioni in pubblico di poche e sparute formazioni militari (ben cattiva impressione, ad esempio, ha suscitato l’adozione di una uniforme in nulla rispondente a quelle antiche tradizionali) abbiano suscitato unanimità, non dico di entusiasmi, ma soltanto di consensi. Situazione, questa, che è, come è noto, attualmente sfruttata dal Governo di Pankow, che, tra l’altro, ha ridato alle sue nuove formazioni l’antica uniforme delle Forze Armate del Terzo Reich.

5) La Germania Occidentale si trova tuttora in fase di netta espansione economica ed i risultati raggiunti appaiono davvero, in taluni settori, impressionanti (i due Ministri italiani hanno compiuto una lunga visita alle rinate ed imponenti installazioni della Bayer a Leverkhusen). La sua posizione di creditrice, inoltre, nei confronti dell’intera Europa pone poco a poco il Governo di Bonn in situazione di indubbio peso specifico destinato ad avere diretta e notevole influenza in seno alle organizzazioni economiche internazionali e, nello stesso tempo, lo porta a considerare con attenzione la possibilità di maggiori penetrazioni non soltanto nei mercati orientali ma anche in quelli sudamericani ed africani.

6) Nei confronti dell’Italia si sono notati un indubbio interessamento ed una volontà, almeno nei maggiori dirigenti, di evitare malintesi e dissapori. Così, ad esempio, il Governo di Bonn ha senza indugio aderito ad una nostra richiesta intesa a dare conferma, in qualche modo, del completo disinteressamento tedesco nei confronti del problema dell’Alto Adige, dal Cancelliere Adenauer considerato quale interno italiano e non internazionale.

7) In riassunto, la visita italiana in Germania va considerata come un atto positivo. E la prontezza con la quale il Cancelliere ed il suo Ministro degli Esteri hanno accettato l’invito italiano di recarsi in visita ufficiale a Roma nei prossimi mesi5, è stata in certo modo la prova del come essi, forse anche perché in un momento molto complesso e difficile per l’avviamento della politica tedesca, considerino i rapporti con il nostro paese quale elemento di molto apprezzabile significato.


1 Dell’11-12 febbraio, vedi D. 132.


2 Ci si riferisce al Trattato di amicizia e collaborazione franco-sovietico siglato a Mosca da Stalin e de Gaulle il 10 dicembre 1944.


3 Accordo culturale tra la Repubblica Federale di Germania e la Repubblica Italiana, Bonn 8 febbraio 1956, in «Bundesgesetzblatt», Teil II, 1958, nr. 5, pp. 77-84.


4 Trattato di amicizia, commercio e navigazione fra la Repubblica Italiana e la Repubblica Federale di Germania, firmato a Roma da Pella e von Brentano il 21 novembre 1957 in «Bundesgesetzblatt», Teil II, 1959, nr. 38, pp. 949-971.


5 La visita ebbe luogo dal 1° al 4 luglio, vedi D. 186.

136

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI,ALL’AMBASCIATA A LONDRA

T. 1520/24. Roma, 16 febbraio 1956, ore 18.

Suo telespresso 476 dell’11 febbraio1.

Per orientamento di V.E. e norma di linguaggio nei prossimi contatti costì, informola che durante riunione sei Ministri Bruxelles2 sono apparsi chiari seguenti punti per quanto concerne Euratom.

1) Obiettivi e mezzi per una stretta collaborazione nel campo dell’energia nucleare fra i sei paesi sono ormai a uno stadio pressoché finale di chiarificazione e di accettazione;

2) punti ancora da perfezionare concernono:

a) l’inclusione di una enunciazione che non escluda la destinazione collettiva ad impieghi non pacifici;

b) la concessione se in vendita o in locazione del combustibile nucleare da parte dell’Ente comune agli utilizzatori privati;

3) è stato unanimemente affermato l’intento di lasciare la porta aperta a chiunque desideri unirsi od associarsi, intendendosi con ciò che la collaborazione con l’Inghilterra è ritenuta da tutti oltremodo desiderabile. È stato altresì opinione comune, e da noi vivamente sostenuta, che l’O.E.C.E. ha ogni possibilità di procedere nei suoi studi con il concorso dei Sei e che sarà senz’altro possibile di trovare forme e mezzi di collaborazione fra O.E.C.E. ed Euratom.

Per quanto riguarda il Mercato Comune verrà mantenuto il parallelismo in sede di Bruxelles nella conclusione dei lavori pur ammettendosi che possano esservi tempi di realizzazione diversamente scalati.

Anche in questo campo il riconoscimento degli interessi degli altri partecipanti all’O.E.C.E. è stato pienamente riconosciuto e ciò permetterà a tempo opportuno di discuterne anche in sede O.E.C.E.


1 Vedi D. 133.


2 Vedi D. 132.

137

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERIE ALL’AMBASCIATA A PARIGI

Telespr. 922/5221. Londra, 16 febbraio 1956.

Oggetto: Euratom.

Riferimento: mio rapporto n. 839/476 dell’11 corrente (unito in copia per la Rappresentanza presso l’O.E.C.E.)2.

Nell’attesa del colloquio che avrò con Sir Edward Boyle, abbiamo chiesto ad Harrison, Assistente Sottosegretario di Stato al Foreign Office, se la comunicazione fatta a Pineau dall’Ambasciatore britannico a Parigi, alla vigilia della riunione di Bruxelles, in tema di Euratom, significasse una definitiva evoluzione in senso positivo dell’atteggiamento del Governo inglese anche oltre quanto dettomi da Kirkpatrick sullo stesso argomento.

Harrison ci ha chiarito che non vi sarebbe stato, in realtà, un vero e proprio mutamento nel punto di vista britannico. Questo è stato, invece, ora presentato più esattamente e più felicemente di quanto non lo fosse stato in precedenza (comunicazione di Ellis-Rees all’O.E.C.E.) allorché, assenti da Londra il Ministro degli Esteri e alcuni fra i suoi principali collaboratori, impegnati a Ginevra, si incorse in errori di «forma» che determinarono un malinteso sulla sostanza. Sir Gladwyn Jebb, dovendo prendere il suo primo contatto ufficiale con il nuovo titolare del Quai d’Orsay, aveva chiesto a Londra se vi fosse qualche particolare comunicazione da farsi in tale occasione: se ne è approfittato per effettuare una messa a punto che era considerata tempestiva ed opportuna.

Circa il fondo del problema l’Assistente Sottosegretario di Stato ci ha, in pratica, confermato quanto mi aveva detto Kirkpatrick. La Gran Bretagna non intende interferire nei riguardi dell’iniziativa dei Sei e sarà anzi lieta se essa giungerà a svilupparsi e concretarsi. Per le note ragioni, non è in grado di associarvisi, ma ammette la possibilità di stipulare un «working agreement» con l’organismo «a sei» di collaborazione in campo atomico – se e quando fosse costituito – sulla falsariga degli accordi già esistenti con la C.E.C.A. Ciò detto, Harrison ha soggiunto che il Governo inglese avrebbe preferito e preferirebbe la soluzione studiata in sede O.E.C.E., perché più elastica e geograficamente più ampia e sopratutto in quanto nell’O.E.C.E. vi sono anche gli S.U.A. e il Canadà: ciò non esclude tuttavia che l’una e l’altra soluzione possano svilupparsi senza danneggiarsi reciprocamente, ma siano anzi «come due cerchi concentrici e intercomunicanti».

Questa la spiegazione dataci da Harrison. Per parte mia ho l’impressione, e lo «specioso» chiarimento del Foreign Office non può che confermarla, che in realtà il punto di vista britannico fosse più rigido tre mesi fa e sia oggi diventato più flessibile in seguito ai colloqui di Washington. E il «chiarimento» dato a Pineau ha avuto lo scopo di orientare i Ministri dei Sei riuniti a Bruxelles in modo da evitare prese di posizione analoghe a quella che, portavoce Spaak, aveva messo in considerevole imbarazzo Macmillan all’ultimo Consiglio dell’U.E.O. Del resto, se si fosse effettivamente trattato di un equivoco, non vi sarebbe stato motivo per attendere tanto a lungo per dissiparlo.

Nel parlare di organismi geograficamente più vasti, come l’O.E.C.E. e la N.A.T.O., Harrison – il cui linguaggio è sempre cauto e misurato – ha fatto anche un accenno che mi pare interessante. Egli ha rilevato che gli Stati del continente come Italia e Francia troverebbero forse maggiori garanzie in forme di associazione di cui facessero parte gli S.U.A., il Canadà e il Regno Unito, che non in altre più ristrette – e qui si è riferito anche al Mercato Comune – in cui essi si troverebbero alle prese col «gigante economico» tedesco.


1 Diretto per conoscenza alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi.


2 Vedi D. 133.

138

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 297/1981. Parigi, 17 febbraio 1956.

Oggetto: Riunione a Bruxelles dei sei Ministri degli Esteri per la «relance» europea. Posizione del nuovo Governo francese.

Secondo i commenti di questi ambienti politici e giornalistici, i risultati della recente riunione dei sei Ministri degli Esteri a Bruxelles2 vanno differentemente valutati in relazione ai problemi specifici che nella riunione stessa sono stati affrontati.

Per quanto concerne i rapporti tra Euratom e l’O.E.C.E., qui generalmente si ritiene che le direttive di massima concordate a Bruxelles serviranno di utile orientamento per i lavori della sessione ministeriale dell’O.E.C.E. del 27 e 28 corrente. Non si può dire, però, secondo questi osservatori, che i risultati siano stati altrettanto positivi per quanto, invece, riguarda il coordinamento del problema dell’integrazione atomica con quello del mercato comune: tuttavia, l’atteggiamento del Ministro francese su questa particolare questione offre, si fa qui rilevare, delle indicazioni interessanti sui prossimi sviluppi della politica francese in materia di «relance europea».

Anche il nuovo Governo francese, infatti, malgrado gli slanci europeistici della dichiarazione ministeriale di investitura, ha mostrato di essere legato alla concezione dell’integrazione «per compartimenti» e, quindi, alla necessità di limitare ad Euratom l’obiettivo immediato della sua politica europea.

Tuttavia, se la posizione assunta da Pineau a Bruxelles (che è, del resto, conforme a quella espostami dallo stesso Ministro nella conversazione su cui ho riferito con rapporto n. ris. 0237 del 7 corrente)3 ha fatto svanire le illusioni degli europeisti più intransigenti, che si aspettavano, dopo la dichiarazione programmatica del Governo, una svolta decisiva nella politica estera francese; si deve ammettere, d’altra parte, secondo critici più realistici, che soltanto con questa posizione si può tentare di salvare il progetto su Euratom dal triste destino della C.E.D. Ancorare l’organizzazione Euratom al problema del mercato comune significa pregiudicare la realizzazione di un progetto possibile per perseguire un ideale che, data la decisiva influenza che avrebbero in Parlamento i numerosi interessi lesi da un mercato libero europeo, oggi come oggi appare in Francia impossibile. Per studiare una forma di mercato comune che possa conciliarsi con le attuali condizioni strutturali dell’economia francese, e sia quindi accettabile al Parlamento francese, occorre ancora molto tempo, e l’Europa rischierebbe intanto di perdere la corsa atomica: il nocciolo della dichiarazione (allegata nel testo integrale)4 che ha voluto fare Pineau alla stampa prima di lasciare Bruxelles, quasi per giustificare il suo atteggiamento, è in fondo tutto qui. La preoccupazione di «non rinnovare gli errori commessi al tempo della C.E.D. e di non incorrere in un rifiuto del Parlamento» resta sempre il motivo determinante di qualsiasi politica francese che voglia sinceramente fare qualcosa per l’Europa.

Anche i punti della dichiarazione ministeriale su Euratom che s’ispirano al programma di Monnet sono stati, in certo senso, sacrificati alle esigenze di una politica più realistica. Le critiche che in questi ultimi tempi sono state rivolte a quel programma (e che mi riprometto di analizzare specificatamente) provengono da «centri di influenza» assai diversi ma tutti piuttosto importanti, i quali convergendo insieme sul Parlamento francese, finirebbero per orientarlo in senso nettamente contrario a qualsiasi progetto europeo che precludesse alla Francia la possibilità di iniziare un proprio programma militare nucleare o lo costringesse a sacrificare interamente l’autonomia del suo programma atomico nazionale a favore di un’organizzazione superstatale. Di questa situazione interna Pineau non poteva non tener conto nel presentare a Bruxelles la posizione francese.

Alla luce di queste considerazioni, si spiega, pertanto, come l’atteggiamento del Ministro francese a Bruxelles abbia provocato delle reazioni favorevoli, se non addirittura un certo senso di sollievo, negli ambienti tecnici francesi e, in generale, in quanti temevano che l’eccessivo «idealismo» del nuovo programma governativo avrebbe implicato delle sostanziali modifiche nella politica atomica francese. Al Commissariato per l’energia atomica, peraltro, tengono a far rilevare che, di fronte alla tendenza di certi ambienti politici ad identificare la cooperazione atomica a sei con le formule vaghe e sonore di Monnet, la riunione di Bruxelles è servita, se non altro, a riportare la questione nei suoi termini concreti. Al riguardo lo stesso comunicato finale, nel quale vengono fissati i compiti di Euratom secondo i criteri già prospettati dalla Commissione dell’energia nucleare della Conferenza di Bruxelles, costituisce una messa a punto quanto mai necessaria.

Restano ancora, è vero, grossi problemi per i quali i Ministri, prima di esaminare il rapporto Spaak, non potevano certo tracciare una soluzione. Tuttavia, è bene, secondo i dirigenti del Commissariato, lasciare maturare ancora per qualche tempo questi problemi piuttosto che prendere delle decisioni intempestive che sarebbe difficile, poi, armonizzare con gli interessi concreti di tutti i sei paesi e, soprattutto, con le tendenze prevalenti nei loro Parlamenti.


1 Diretto per conoscenza alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi.


2 Vedi D. 132.


3 Vedi D. 127.


4 Non pubblicato.

139

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 307/2001. Parigi, 17 febbraio 1956.

Oggetto: Conversazione di Pineau con von Brentano sull’integrazione europea.

Riferimento: Seguito telespresso di questa Ambasciata n. ris. 0297/198 del 17 corr.2.

Un funzionario francese che ha personalmente assistito al colloquio che Pineau e von Brentano hanno avuto a Bruxelles, in occasione della recente riunione dei sei Ministri degli Esteri3, ci ha riferito, in via confidenziale, che Pineau, nel corso della conversazione, ha voluto esporre, nel tono più amichevole, al Ministro tedesco le difficoltà che impediscono al Governo francese di accettare la tesi di collegare strettamente il problema dell’integrazione atomica europea con quello del mercato comune.

Pineau avrebbe chiaramente detto che il Parlamento francese, oggi come oggi, non approverebbe mai un progetto di mercato comune ed ancorare a questo progetto la realizzazione di Euratom significherebbe rinviare indefinitivamente l’attuazione di quei programmi di cooperazione nel campo dell’energia nucleare che, nell’interesse stesso dei sei paesi, potrebbero essere concordati in un tempo relativamente breve. L’atteggiamento di von Brentano sarebbe, però, stato poco conciliante: egli avrebbe insistito, piuttosto decisamente, sulla necessità di evitare quanto più è possibile che l’integrazione europea avvenga per «settori separati» e sull’opportunità, quindi, di coordinare in una soluzione comune i problemi fondamentali, come quelli del Mercato Comune e di Euratom.

Le impressioni che Pineau ha tratto dalla conversazione, ha aggiunto il nostro interlocutore, non sono molto incoraggianti. Il Ministro francese è un convinto assertore dell’ideale europeistico, ma appunto per questo desidererebbe che i Governi degli altri cinque paesi si rendessero conto, data l’esperienza della C.E.D., della situazione in cui si trova il Governo francese di fronte al suo Parlamento.

Il colloquio di Pineau con von Brentano avrebbe invece confermato, sempre secondo il nostro interlocutore, che nella posizione che il Governo francese è stato costretto ad assumere a Bruxelles i tedeschi hanno trovato un nuovo spunto per continuare nella loro tattica ostruzionistica verso Euratom e, nello stesso tempo, atteggiarsi a paladini dell’Europa.


1 Diretto per conoscenza alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi


2 Vedi D. 138.


3 Vedi D. 132.

140

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

T. urgente 2874/37-381. Bruxelles, 21 febbraio 1956, ore 23,25 (perv. ore 1,35 del 22).

Oggetto: Costituzione di un Comitato speciale in materia nucleare.

Spaak mi ha comunicato oggi con preghiera trasmetterlo V.E., allo scopo conoscere tempestivamente eventuali osservazioni Governo italiano, seguente progetto di dichiarazione verbale che egli si propone di fare nella riunione O.E.C.E. 28 corrente Parigi circa la costituzione di un Comitato speciale in materia nucleare: e ciò conformemente all’incarico affidatogli dai sei Ministri degli Affari Esteri C.E.C.A. nella riunione di Bruxelles dell’11 corrente2: «Ministri Esteri sei paesi C.E.C.A., riunitisi a Bruxelles 11 e 12 febbraio, mi hanno pregato di fare, in loro nome, dichiarazione sull’argomento attualmente in discussione davanti a voi.

Problema posto è quello di sapere se occorra costituire in seno O.E.C.E. Comitato speciale che sarebbe incaricato di elaborare misure necessarie per assicurare applicazione piano relativo utilizzazione pacifica energia nucleare presentato 15 dicembre 1955. Risulta che sei Governi paesi C.E.C.A. sono pronti a votare risoluzione proposta da O.E.C.E. regolarmente Assemblea a lavori3 che ne conseguiranno. Essi tengono tuttavia a dichiarare che, avendo preso conoscenza del rapporto O.E.C.E., ritengono insufficienti le conclusioni del medesimo.

Riuniti a Messina nel giugno 19554 essi avevano deciso di studiare istituzione di una organizzazione comune cui sarebbero attribuite responsabilità e mezzi per assicurare sviluppo pacifico energia nucleare.

Nelle loro riunioni dell’11-12 febbraio essi hanno avuto occasione di esaminare conclusione del rapporto redatto da Commissione presieduta dal Signor Armand e ne hanno accettato linee generali.

Secondo tale rapporto occorre realizzare un organismo europeo cui caratteristiche essenziali sono seguenti:

1) applicazione di un sistema che non costituisca un semplice elenco delle possibilità di azione, ma programma coerente e preciso in vista attuazioni che sembrano loro indispensabili;

2) stabilimento di un sistema di controllo rigido dei minerali e combustibili nucleari, onde impedire che essi possano venire utilizzati a scopi diversi da quelli previsti;

3) attribuzione ad una organizzazione comune di poteri limitati, ma effettivi e di mezzi finanziari autonomi indispensabili.

Ministri riuniti a Bruxelles hanno deciso proseguire attivamente lavori su basi indicate più sopra.

Essi sperano che saranno in possesso di rapporto definitivo nel corso mese marzo e di essere in grado prendere posizione sui problemi esposti entro brevissimo tempo dopo presentazione rapporto.

La via che essi hanno così scelta non si oppone a quella preconizzata da rapporto O.E.C.E., ma proposte su cui essi hanno raggiunto accordo generale sono più audaci e più precise.

I sei Governi membri C.E.C.A. decidono così di superare man mano ulteriore tappa, quella della redazione di un trattato che dovrà istituire nuovo organismo europeo auspicato. Essi non mancheranno tuttavia di rivolgere ad altri paesi O.E.C.E. invito preciso a collaborare con loro sulla strada che avranno scelta.

Ove contrariamente a questa aspettativa, tale invito non dovesse venire accolto, sarebbe sempre possibile per nuovo organismo che verrà creato di stringere con altri paesi europei relazioni di associazione o di collaborazione».

Resto in attesa risposta V.E. per mia norma di linguaggio con Spaak5.


1 Anche se non espressamente indicato il telegramma è diretto personalmente al Ministro, come si evince dal testo.


2 Vedi D. 132.


3 Gruppo probabilmente decifrato in modo errato.


4 Vedi D. 43.


5 Vedi D. 142.

141

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 2877/54. Parigi, 22 febbraio 1956, ore 0,15 (perv. ore 1,35).

Oggetto: Rapporti tra i lavori di Bruxelles ed il Mercato Comune1.

Mio telespresso 739/5432.

Stamane Sir Hugh Ellis-Rees ha riunito i Capi delle Delegazioni dei sei paesi per informarli che il Cancelliere dello Scacchiere si propone di sollevare alla fine della riunione del Consiglio la questione dei rapporti tra i lavori di Bruxelles per il Mercato Comune e il programma dell’O.E.C.E. In particolare egli vorrà chiedere in quale maniera si potranno coordinare questi lavori con le attività dell’O.E.C.E. stessa, e vorrà richiamare l’attenzione del Consiglio sulla necessità che l’opera dell’O.E.C.E. non venga intralciata e ridotta.

È stato risposto dai Delegati dei sei paesi:

1) che non si vede in che cosa i lavori di Bruxelles possano danneggiare l’O.E.C.E.;

2) che a Bruxelles non si tratta di scostarsi dagli impegni di liberazione presi in sede O.E.C.E. ma di procedere ad una riduzione progressiva delle tariffe doganali con quelle misure di altro ordine che sono necessarie ad una tale riduzione;

3) che quando i Ministri avranno approvato il programma di azione dell’O.E.C.E. proposto nel Memorandum del Segretario Generale, con ciò stesso avranno riconfermato gli impegni dei loro paesi a potenziare l’O.E.C.E., che nessuno desidera indebolire.


1 Sic. Si intenda: per il Mercato Comune e l’O.E.C.E.


2 Non pubblicato.

142

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALL’AMBASCIATA A BRUXELLES

T. urgente 1797/38. Roma, 23 febbraio 1956, ore 16,45.

Suo 37-381.

Concordo in linea di massima con dichiarazione proposta da Spaak. Mi sembra peraltro che sua intonazione possa qua e là prestare fianco a interpretazioni di uno spirito di freddezza nei confronti azione O.E.C.E. che certamente non era nell’animo dei Ministri a recente Conferenza di Bruxelles2.

Inoltre rilevo in particolare:

1) frase «ritengono insufficienti conclusioni del medesimo» che significa evidentemente insufficienza ai fini che i sei Governi si sono proposti a Messina, può invece suonare critica ai lavori O.E.C.E. e suscitare inutili polemiche. Mi sembrerebbe quindi più prudente abolirla;

2) parlando delle caratteristiche di Euratom (paragrafo I del suo citato telegramma) è superfluo e inesatto accennare al rapporto O.E.C.E. come semplice elenco possibilità, in quanto questa non è che la prima fase dell’eventuale collaborazione che O.E.C.E. prevede nel proprio quadro;

3) accenno a decisione sei Governi di superare ulteriore tappa appare impreciso potendo, nell’attuale formulazione, dar luogo a polemiche nell’opinione pubblica e nei Parlamenti circa l’effettiva misura dell’impegno politico finora assunto dai Governi;

4) in parte finale, riguardante relazioni con altri paesi, mi sembrano necessarie precisazioni ed eliminazione apparente contraddizione. Sei Governi inviteranno paesi terzi ad aderire a nuovo Organismo, e comunque essi, o meglio nuovo Organismo, sarà pronto collaborare con paesi terzi e a tale scopo ci sembra che O.E.C.E., se avrà nel frattempo approntato strumenti attualmente allo studio, possa essere utile quadro.


1 Vedi D. 140.


2 Vedi D. 132.

143

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 2947/40. Bruxelles, 23 febbraio 1956, ore 10,10 (perv. ore 12,10).

Oggetto: Mozione Monnet su Euratom.

Mi riferisco al telegramma ministeriale 1668/c.1.

La mozione di Monnet circa l’Euratom non è stata ancora presentata a questo Parlamento.

L’opinione del Consiglio dei Ministri (che Spaak mi ha confermato stamane) è che «si tratta di un affare parlamentare al di fuori del Governo». Spaak ha soggiunto che personalmente è assai esitante a dare in proposito suggerimenti o consigli. A suo avviso Monnet non ha grande esperienza dei dibattiti e delle reazioni delle Assemblee parlamentari ed è portato perciò a «scambiare i desideri con la realtà». Nella fattispecie sarebbe assai imprudente oltre che errato di credere che la mozione possa regolare tutte le complesse difficoltà della materia. Si rischierebbe fra l’altro di aprire un dibattito a fondo sull’Euratom che sarebbe prematuro ed anche dannoso, mentre l’argomento è ancora allo studio fra i sei Governi interessati; né il Governo belga potrebbe accettare di essere legato nella sua responsabilità e nella sua risposta definitiva da un anticipato dibattito parlamentare che rovescerebbe in certo modo la prassi abituale per cui sono i Governi a fare i trattati ed i Parlamenti ad approvarli e non viceversa. Da vari contatti con i membri influenti del Parlamento mi risulta che molte perplessità ed esitazioni esistono sia alla Camera dei Rappresentanti sia al Senato e che se ne è fatta eco del resto anche la stampa, come già ebbi a segnalare.

Ho chiesto a Spaak quali siano le sue previsioni nell’ipotesi che la mozione Monnet venga portata al Parlamento. Mi ha risposto che certamente sarebbe votata ma con ampie riserve sulla interpretazione.


1 T. 1668/c. del 20 febbraio, diretto alle Ambasciate a L’Aja, Bruxelles, Bonn, Lussemburgo e Parigi, con il quale Rossi Longhi chiedeva di essere informato circa le impressioni degli ambienti parlamentari sulla possibile accoglienza della mozione Monnet.

144

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,ALL’AMBASCIATA A PARIGI

Telespr. 44/03003/31. Roma, 23 febbraio 1956.

Oggetto: Euratom. Posizione italiana.

Riferimento: Rapporto di V.E. 0237 del 7 febbraio1.

V.E. riceverà con questo corriere due appunti contenenti rispettivamente il resoconto della riunione di Bruxelles dei sei Ministri degli Affari Esteri dei paesi della C.E.C.A., e della riunione dei Capi Delegazione del Comitato Intergovernativo che ha fatto seguito all’incontro ministeriale2.

Da essi V.E. potrà rilevare quale posizione sia stata presa dal Ministro Martino e dall’On. Benvenuti a proposito dell’ultima versione del progetto di Bruxelles per la costituzione di una Autorità europea in materia nucleare.

Si unisce anche, a migliore illustrazione dei dibattiti, copia del documento di lavoro sottoposto da Spaak, documento che è attualmente superato in alcuni punti e che verrà riveduto e ripresentato da Spaak ai Capi Delegazioni.

Come V.E. non ignora, la posizione del Governo italiano è stata, dalla Conferenza di Messina a oggi, quella di far progredire contemporaneamente gli studi per i due principali progetti di integrazione economica europea, Euratom e Mercato Comune.

Non è certo sfuggito a questo Ministero, grazie alle segnalazioni di V.E., il fatto che il progetto di un mercato comune generale incontra negli ambienti politici francesi molte maggiori difficoltà che quello di Euratom.

Si è tuttavia ritenuto di dover insistere anche nell’ultima riunione di Bruxelles – così come lo hanno fatto gli altri Ministri europei, escluso quello francese – sulla connessione che ci sembra augurabile fra l’integrazione economica generale e l’istituzione di una autorità specializzata nel settore dell’energia nucleare. Da tutti i Ministri senza eccezione è stato accettato che il rapporto finale Spaak copra ambedue i problemi; e ciò sembra destinato ad avvenire, a meno che non sorgano impreviste difficoltà dell’ultima ora.

Quando i Ministri torneranno a riunirsi per deliberare sul rapporto Spaak, sarebbe nostra intenzione – ove le circostanze del momento non consiglino altrimenti – di chiedere che siano convocate contemporaneamente due conferenze per la stesura dei trattati: una per Euratom e una per il Mercato Comune. Non faremmo naturalmente una conditio sine qua non della contemporanea presentazione ai Parlamenti dei due trattati: anche perché sembrerebbe opportuno prendere alla lettera l’intenzione manifestata dal Presidente Mollet nel suo discorso di investitura di varare il trattato Euratom prima dell’estate.

Anche per facilitare l’eventuale approvazione di quest’ultimo da parte dell’Assemblea nazionale francese, abbiamo ritenuto di non opporci al desiderio di Pineau di non escludere la possibilità che le nazioni del continente europeo, possano fabbricare armi nucleari, purché possa instaurarsi un sistema di controlli che dia ogni garanzia anche agli Stati Uniti.

Per analoghi motivi siamo rimasti sensibili all’opportunità di venire incontro al desiderio tedesco di dare un carattere meno dirigista all’istituendo Euratom.

È su queste linee, e con gli aggiustamenti che saranno consigliati dalle circostanze, che si svolgerà la nostra azione politica in tale argomento nei prossimi mesi.


1 Vedi D.127.


2 Vedi DD. 132 e 134.

145

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1.

RIUNIONE A BRUXELLES DEI CAPI DELEGAZIONE DEL COMITATOINTERGOVERNATIVO PER IL RILANCIO EUROPEO DEL 23-24 FEBBRAIO 1956

In base a quanto stabilito nell’ultima riunione di Bruxelles del 13 e 14 febbraio2, sulla quale si è riferito con un appunto precedente, i Capi Delegazione del Comitato Intergovernativo sono tornati a riunirsi nei giorni 23 e 24 febbraio, per proseguire nell’esame dei documenti di lavoro preparati dall’apposito Comitato di Redazione.

La riunione ha trattato:

1. i problemi relativi all’organizzazione ed alle funzioni di Euratom;

2. le questioni inerenti alla progressiva abolizione dei contingenti e delle altre restrizioni quantitative agli scambi;

3. le proposte concernenti la migliore utilizzazione delle risorse comuni (Riadattamento e Fondo di Investimenti).

Si riassumono qui di seguito i temi principali che hanno formato oggetto delle discussioni.

Euratom.

Il dibattito si è svolto sulla base di una nota aggiuntiva preparata dal Comitato di Redazione in merito alle istituzioni in cui dovrà articolarsi l’organizzazione di Euratom ed ai principali compiti da affidarsi a ciascuna di esse.

Quantunque le opposizioni incontrate nel dibattito su Euratom siano state meno numerose e meno difficilmente conciliabili di quelle che si sono presentate nell’esame delle altre materie, purtuttavia non sono mancate da parte delle varie Delegazioni riserve e prese di posizioni, alcune delle quali del tutto divergenti.

a) Una prima perplessità è stata manifestata da varie Delegazioni sul previsto potere della Commissione Atomica Europea di emanare norme per la protezione fisica (contro le radiazioni, ecc.): funzione che, è stato obiettato, avrebbe carattere legislativo e che quindi non può non essere riservata ai singoli Parlamenti.

Ad evitare incertezze e malintesi, si è convenuto pertanto che tali norme facciano oggetto di una apposita convenzione che verrebbe sottoposta all’approvazione dei Parlamenti contemporaneamente al Trattato istituente la Comunità dei Sei.

b) Come si prevedeva, le più serie difficoltà si sono ripresentate quando si è passato a discutere sulla parte del documento riguardante la possibilità di usi non pacifici dell’energia atomica.

Ritenendo alcune delle proposte fatte nell’ultima riunione, la Nota in discussione fissava su tale punto i seguenti principii:

I) richiamarsi per la definizione di armi nucleari alla definizione datane nel Trattato dell’U.E.O., escludendo quindi i motori atomici;

II) proporre una rinuncia collettiva da parte degli Stati alla fabbricazione di armi atomiche per un periodo da determinarsi;

III) anche al di là di questo periodo prevedere un limite alla facoltà di ciascun paese (esclusa la Germania) di fabbricare armi atomiche e determinarlo nella necessità che il paese ottenga l’adesione al suo programma di almeno altri due paesi della Comunità;

IV) fissare un’eccezione a questa procedura nell’eventualità di penuria di materiali fissili, richiedendo in tal caso una decisione unanime del Consiglio per l’attribuzione del materiale necessario all’attuazione del programma militare dello Stato che ne faccia richiesta.

Sull’insieme delle proposte vi è stata una presa di posizione del Delegato francese Gaillard, il quale ha dichiarato di non potere, allo stato attuale, pronunciarsi sulle varie proposte a nome del suo Governo.

Di fronte alla riserva francese si è convenuto di attribuire a tutto il paragrafo carattere di ad referendum, senza impegnare quindi per il momento l’atteggiamento dei Capi Delegazione.

c) L’esame di tale questione ha dato modo al Capo della Delegazione tedesca di sollevare il problema del controllo dei materiali atomici usati per scopi militari. Il rilievo della Delegazione tedesca è stato ispirato alla preoccupazione di impedire che un paese il quale sia autorizzato a fabbricare armi atomiche possa andare, nella attuazione del suo programma, al di là dei limiti nei quali ha ottenuto il consenso degli altri paesi.

La delicata questione non poteva essere risolta, ma si è convenuto che il rapporto finale dovrà trovare una formula anche per tale problema.

d) Evidentemente perché la Commissione Atomica possa far fronte alle spese di funzionamento, nonché a quelle per la ricerca scientifica e per la partecipazione finanziaria nelle imprese comuni, è necessario che disponga di un proprio bilancio formato dai contributi dei varii paesi.

Si è posto tuttavia il problema del criterio in base al quale ripartire le contribuzioni degli Stati.

La Nota preparata dal Comitato di Redazione proponeva due sistemi alternativi di ripartizione, l’uno basato sul consumo generale di energia di ogni singolo Stato, l’altro dividendo forfettariamente le spese in tredicesimi, di cui l’Italia avrebbe risposto per i 3/13 (Germania e Francia, 4/13, U.E.B.L. e Olanda 1/13 ciascuno).

La ripartizione proposta dai redattori della Nota ha incontrato varie obiezioni; si è lasciata pertanto sussistere nel documento la pura e semplice alternativa fra i due criterii di massima – consumo generale di energia, o criterio forfettario da determinarsi.

e) Come è noto, fra i poteri riservati alla Commissione Atomica è prevista anche la fornitura di materie prime agli utilizzatori. E appunto trattandosi di una funzione per così dire privatistica e commerciale, era sembrato che il suo espletamento potesse essere meglio effettuato attraverso un’agenzia dotata di autonomia propria; in questo senso si era espresso anche il Ministro Pineau.

Quando si è tuttavia passati all’esame dei vari problemi connessi alla costituzione di tale agenzia – problemi di carattere finanziario, istituzionale e di politica commerciale – si è dovuto constatare che un accordo sui varii punti non era facilmente raggiungibile e si è perciò deciso di ritornare sull’argomento nella prossima riunione.

f) Un problema che ha presentato minori difficoltà è stato quello dei brevetti. I Capi Delegazione hanno infatti preso atto con soddisfazione che il Gruppo di lavoro cui era stato demandato lo studio della materia ha adottato uno schema di proposte che ha riscosso l’approvazione in linea di massima degli esperti dei sei paesi.

Mercato comune. Abolizione dei contingenti e delle altre restrizioni quantitative.

Il dibattito che si è avuto su tale settore ha purtroppo confermato le notevoli divergenze che ancora sussistono fra i varii paesi in materia di liberalizzazione degli scambi.

Le maggiori divergenze si sono manifestate ovviamente fra i Rappresentanti italiani e quelli francesi. È infatti ben noto che, mentre l’Italia è il paese europeo che ha compiuto il maggior sforzo sulla via della liberalizzazione, la Francia non si è ancora adeguata alle norme dell’O.E.C.E. e guarda sempre con preoccupazione ad una eliminazione, sia pur graduale, delle restrizioni quantitative.

Se da una parte quindi i Rappresentanti italiani hanno insistito che il nostro paese non può accettare di mantenersi al presente livello di liberazioni se tutti gli altri Governi non abbiano effettivamente applicato le norme O.E.C.E. all’atto dell’entrata in vigore del Trattato, il Delegato francese ha invece manifestato molte perplessità sulla possibilità che la Francia possa aderire alla progressiva ulteriore liberazione prevista nel documento ed ha proposto perciò di rimettere l’intera questione alla decisione dei Ministri.

Anche per quanto riguarda il problema del c.d. commercio di Stato, non è stato possibile prendere alcuna decisione, in quanto si è osservato che tale questione si riallaccia in massima parte all’organizzazione del mercato agricolo. Si ritornerà quindi sull’argomento allorché si discuterà del documento relativo all’agricoltura.

Piena utilizzazione delle risorse europee.

Sotto questo titolo vengono raggruppati tre ordini di questioni:

a) il problema di facilitare il riadattamento della struttura produttiva in conseguenza della creazione del Mercato Comune;

b) lo sviluppo degli investimenti al fine di stabilire un equilibrio economico fra i varii paesi;

c) la libera circolazione della mano d’opera.

Di questi tre aspetti di un unico problema, solo i primi due sono stati discussi dai Capi Delegazione nell’ultima riunione.

a) Riadattamento.

Nonostante la precisa intenzione del Presidente Spaak tendente a far sì che su ciascun problema venga trovata una soluzione unitaria e coerente da sottoporre ai sei Ministri degli Esteri, il dibattito svoltosi sul tema del riadattamento ha fatto temere che difficilmente possa evitarsi che il rapporto finale contenga soluzioni alternative o per lo meno faccia cenno delle numerose riserve avanzate nel corso del dibattito.

Alla fine della discussione in materia di riadattamento si sono potuti nettamente delineare quattro sistemi differenti.

Il sistema proposto nel documento n.7 propone, come noto, l’istituzione di un fondo di riadattamento, finanziato dagli Stati membri, il quale dovrebbe intervenire rimborsando agli Stati il 50% della somma spesa per le prestazioni seguenti: indennità di «déplacement»; rieducazione professionale; sussidii alle imprese in corso di riconversione limitatamente ai salarii degli operai temporaneamente disoccupati; indennità di attesa agli operai che restassero disoccupati più di quattro o eventualmente sei mesi.

Tali interventi sarebbero d’altra parte giustificati dalla chiusura totale o parziale di un’impresa o dalla riduzione o interruzione della sua attività. Il sistema proposto dal Comitato di Redazione prescinde tuttavia dalla dimostrazione del rapporto di causalità con l’instaurazione del Mercato Comune, ritenendola in ogni caso difficile e pericolosa.

I rappresentanti olandesi hanno invece sostenuto che l’intervento del Fondo di Riadattamento dovrebbe aversi solo nel caso in cui possa provarsi che la riduzione dell’impiego non è estranea all’instaurazione del Mercato Comune, escludendo le riduzioni di attività dovute a cattiva gestione, disastri, ecc.

La distinzione fra caso e caso sarebbe operata dalla Commissione europea.

È stato tuttavia osservato da altre Delegazioni che la proposta olandese, pur essendo in sé stessa sostenibile, difficilmente potrebbe conciliarsi con i principii che sono a base del sistema adottato dal documento, per cui il Presidente Spaak ha invitato il Delegato dei Paesi Bassi a presentare un progetto organico, che verrà discusso nella prossima riunione.

Oltre alla presa di posizione degli olandesi, vi è stata anche una riserva di massima da parte della Delegazione tedesca. Mossi dallo stesso scopo di limitare, il più possibile, gli interventi del Fondo, i rappresentanti tedeschi hanno dichiarato di trovare ingiustificati i sussidii alle imprese in corso di riconversione, ritenendo tale assistenza da parte della Comunità come una misura anti produttivistica e distorsiva di una sana concorrenza. Di fronte alla resistenza di altre Delegazioni e specialmente di quella francese, i tedeschi si sono alla fine mostrati disposti ad accettare una soluzione di compromesso basata sul seguente principio: l’intervento del Fondo sarebbe automatico per le indennità di sistemazione e di rieducazione professionale dei lavoratori; solo una somma ben delimitata verrebbe invece destinata per i sussidii alle imprese. Qualunque aumento di tale somma, stanziata nel bilancio del Fondo, dovrebbe essere approvato dal Consiglio dei Ministri con decisione adottata alla unanimità.

Data la difficoltà di conciliare le diverse proposte, ci si è domandati se non convenisse abbandonare tali sistemi, più o meno complicati, per ripiegare su una formula certamente semplicistica e meno perfetta, ma di più facile applicazione.

La formula, che è stata prospettata dal Presidente Spaak, riprende una proposta già fatta in sede di Comitato, e cioè di porre a carico della Comunità una parte, certo più modesta del 50% degli oneri sociali gravanti su ogni Stato per la sopraggiunta disoccupazione in seguito alla creazione del Mercato Comune. Varie obiezioni, di carattere tecnico, sono state tuttavia avanzate contro tale formula, la quale non sembra – tra l’altro – giovare agli interessi italiani.

b) Fondo di investimenti.

I Capi Delegazione si sono principalmente soffermati su due aspetti essenziali di questo secondo Fondo: natura delle operazioni che esso deve essere autorizzato ad effettuare, determinazione delle sue risorse finanziarie.

Sulla prima questione si sono riprodotte le due note posizioni contrastanti: da una parte, i fautori di un criterio di scelta per così dire bancaria, i quali hanno sostenuto che il Fondo dovrebbe ispirarsi nelle sue operazioni al concetto della redditività delle operazioni; dall’altra parte, e fra questi i Delegati italiani, coloro i quali hanno richiesto che gli interventi del Fondo vadano essenzialmente a quegli investimenti il cui carattere produttivo sia inteso in senso lato, e quindi principalmente ai progetti volti a ristabilire l’equilibrio economico fra le diverse regioni. A tal fine la Delegazione italiana ha insistito perché sia previsto un maggior potere di controllo da parte della Commissione europea sulle decisioni del Fondo di investimenti, il quale nel progetto dei redattori era praticamente autonomo.

Sull’altro argomento in discussione, è stato più facile raggiungere un’intesa. Fra la tesi del Comitato di Redazione intesa a precisare il plafond finanziario del Fondo nella somma minima di un miliardo di u/c E.P.U., e l’altra tesi, contraria a menzionare fin da ora l’ammontare delle risorse finanziarie, è prevalso il punto di vista del Rappresentante italiano il quale ha proposto una soluzione intermedia. Nel rapporto finale non si determinerà la dotazione del Fondo, ma si suggerirà, a titolo indicativo, che essa dovrebbe essere proporzionata al capitale sociale di cui dispone la Banca Internazionale per la Ricostruzione (che come è noto è di dieci miliardi di dollari).

È apparso chiaramente dall’andamento della discussione, e dal fatto che varii argomenti restano ancora da trattare, come non sia possibile concludere, entro il 15 marzo, l’esame dei documenti e terminare la stesura del rapporto finale. Presumibilmente questo potrà essere pronto solo per i primi di aprile e quindi la riunione dei Ministri degli Esteri avrà luogo solo alla fine di quel mese.

La prossima riunione dei Capi Delegazione si terrà a Bruxelles nei giorni 7, 8 e 9 marzo3.


1 Il documento non è datato. Trasmesso da Bobba (Telespr. 44/03612 del 2 marzo) agli stessi destinatari di cui al D. 132, nota 1.


2 Vedi D. 134.


3 Vedi D. 151.

146

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 1079/6061. Londra, 23 febbraio 1956.

Oggetto: Euratom.

Riferimento: Telespresso di quest’Ambasciata n. 929/528 del 16 febbraio2.

Sul problema Euratom e integrazione europea ci si prepara da parte britannica a fare uno «statement» nella prossima riunione dell’O.E.C.E. a Parigi. La messa a punto di questo «statement» non ha potuto ancora essere completata in quanto la improvvisa decisione del Governo di accelerare l’emanazione dei provvedimenti finanziari già previsti per il prossimo aprile e il conseguente dibattito ai Comuni, hanno tenuto la Tesoreria incessantemente impegnata in questi ultimi quindici giorni. Si sono tuttavia potute raccogliere dalle caute ammissioni degli esponenti della Tesoreria, dalle impressioni avute dal Ministro tedesco Erhard e da notizie date dal Foreign Office, le seguenti informazioni: il Governo britannico, se i Sei si mettono d’accordo per la costituzione dell’Euratom, ne prenderà atto e si dimostrerà disposto a collaborare. Limiti di questa collaborazione sono quelli già indicatimi da Kirkpatrick (carattere misto civile e militare degli studi, ricerche e applicazioni britanniche) e la difficoltà di avere disponibile un numero di tecnici sufficiente per assicurare il mantenimento della collaborazione già predisposta in base agli impegni bilaterali assunti da parte inglese e per assicurare al tempo stesso la collaborazione con un nuovo organismo multilaterale. La prima difficoltà viene invocata per escludere la Gran Bretagna da una partecipazione diretta all’organizzazione. Essa non impedirà tuttavia, e qui ciò viene ormai ammesso come ho già avuto occasione di segnalare, che il Regno Unito, se l’Euratom verrà costituito, trovi modo di collegarvisi nel suo stesso interesse. La seconda obiezione tende a mantenere qualche riserva sulle modalità di tale collaborazione: è bensì vero che in questo paese si incomincia a lamentare (e la stessa stampa se ne fa eco) una deficienza di esperti e scienziati atomici, tuttavia dovrebbe risultare evidente che spostando la collaborazione da un piano bilaterale a un piano multilaterale si può anche ottenere risparmio di tecnici.

Per quanto si riferisce al Mercato comune la politica britannica non sembra aver fatto ancora molti progressi non soltanto verso una qualsiasi forma di partecipazione o collaborazione, ma anche nel senso di un effettivo ammorbidimento della posizione di preoccupazione già assunta. E ciò tanto più nel momento attuale della situazione economica britannica che, come riferisco con altro telespresso, sembra indurre questo Governo, secondo le notizie dateci, a mantenere una situazione di «status quo» anche in sede O.E.C.E.

Fino al momento di far partire le suesposte informazioni la Tesoreria non aveva ancora programmato i dettagli dell’intervento britannico nella riunione O.E.C.E. di lunedì prossimo e i funzionari hanno pertanto mantenuto sul contenuto di tale intervento il maggiore riserbo.


1 Diretto per conoscenza alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E. e all’Ambasciata a Parigi.


2 Non pubblicato. Indirizzato al Ministero degli Affari Esteri e, per conoscenza, all’Ambasciata a Parigi e alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E., trasmetteva un estratto del verbale della discussione svoltasi il 15 febbraio alla Camera dei Comuni in materia di progetti europei per l’energia atomica.

147

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 344/2311. Parigi, 23 febbraio 1956.

Oggetto: L’europeismo francese dopo Bruxelles.

Chi riprenda in mano oggi, a vent’anni di distanza dalla sua pubblicazione, l’«Histoire de deux Peuples continuée jusqu’à Hitler»2 non può non essere stupito del fatto che questo studio dei rapporti franco-tedeschi – così apparentemente lucido per il passato – serva così poco a far comprendere quanto è accaduto in questi ultimi anni sulle due rive opposte del Reno. All’antagonismo franco-tedesco, vecchio ormai di secoli, si è infatti apparentemente sostituito, quasi all’improvviso e proprio dopo una delle guerre più duramente combattute, un tentativo di superamento delle vecchie posizioni antitetiche, che ha preso perfino l’aspetto di una creazione di istituzioni politiche originali e comuni.

Quello che è anche più strano è il fatto che, come ho avuto occasione di scrivere, proprio dalla Francia sono partiti, nello spazio di soli cinque anni, dal 1950 al 1955, i tre maggiori progetti di costruzione europea: il Piano Schuman, il Piano Pleven (che, poi, come è noto, ha dato luogo, attraverso alle vicissitudini della C.E.D. ed all’intervento di Mendès-France, all’U.E.O.) ed il Piano Monnet, e tutto ciò senza tener conto di molti altri piani europeistici minori, anch’essi tutti di iniziativa francese, quali il pool verde, il pool bianco, il pool dei trasporti, il pool aeronautico, etc. etc.

Questa fioritura, è proprio il caso di dirlo, di progetti europeistici francesi (anche se si voglia ammettere che alcuni di essi non significano molto di più che il tentativo di copiare, in altro campo, la comunità carbo-siderurgica) dimostra indubbiamente una continuità – o un «trend» – veramente singolare della recente politica francese; tanto più singolare se si tiene conto che proprio in seno al Parlamento francese (per non dire in seno al popolo francese) la resistenza all’europeismo, inteso sopratutto come tendenza all’istituzione di organi sopranazionali, si è espressa con la maggiore tenacità e quasi con la maggiore violenza.

Per rendersi conto di quanto è avvenuto qui in Francia, bisogna fare un passo indietro e cercare di rifarsi all’evoluzione della mentalità francese dai primissimi anni del recente dopoguerra. Un fenomeno che, a prima vista, impedisce di farsi una chiara idea delle origini e del valore dell’europeismo francese è che esso, nella sua parte intellettuale, è, in buona fede ed abbastanza logicamente, convinto di avere delle «attaches» storiche profonde e degli antenati nobilissimi e lontani.

Del resto è probabile che qualcosa di analogo accada anche da noi e in Germania, tanto che è difficile leggere qualche saggio sull’europeismo in italiano o in tedesco senza che vi ricorrano senz’altro i nomi di Leibniz o di Mazzini.

In realtà l’europeismo francese, come fenomeno politico, è di origine molto recente; ed appunto per questo esso non trova posto nelle pagine di Bainville.

Esso è nato in questo recente dopoguerra, in circostante politiche eccezionali che mi propongo di mettere in luce. Se ha portato, almeno apparentemente, ad un rovesciamento dell’impostazione classica dei rapporti fra francesi e tedeschi (o, se non a un rovesciamento, ad una loro presentazione totalmente nuova e originale) occorre vedere quali siano le condizioni in cui tale rovesciamento, vero od apparente, si è verificato e perché esso si sia cristallizzato nell’idea di una comunità – o di certe comunità – europee.

Ora, se guardiamo ai rapporti franco-tedeschi nell’immediato dopoguerra – voglio dire fra il 1945 ed il 1949 – si noterà che le reazioni francesi nei confronti della Germania sono state perfettamente – e anzi fin troppo monotonamente – conformi alle reazioni tradizionali: voglio dire, alle mosse quasi automatiche della politica estera francese nei confronti degli Stati e degli spazi germanici dal Trattato di Westfalia in poi. Se si vogliono, infatti, «dégager» le linee generali della politica francese nei confronti della Germania negli anni dal 1945 al 1949, si vedrà che esse possono essere riportate a pochi principi classici: a) occupazione e rivendicazione di territori tedeschi e particolarmente dei distretti germanici aventi maggiore importanza ai fini economici (Sarre, Warndt, Renania); b) indebolimento interno della Germania attraverso l’appoggio alle autonomie locali nonché tentativo di favorire movimenti centrifughi di particolari regioni o ambienti; c) ricerca di un alleato all’Est.

In altre parole si pensava in quegli anni quasi unanimemente a Parigi che, qualunque fossero le condizioni attuali dell’Europa, il nostro continente avrebbe finito di ricostituirsi più o meno secondo il modello politico tradizionale. Era quindi opportuno predisporre fin d’allora (e cioè prima che si giungesse ad una cristallizzazione dei singoli problemi europei) la realizzazione di un sistema che garantisse la sicurezza francese ed impedisse la rinascita e lo sviluppo della Germania in maniera più efficace di quanto non fosse avvenuto fra le due guerre.

Tuttavia poco dopo il 1947 – tutte queste date hanno un valore largamente indicativo – sorsero o cominciarono a sorgere in certi ambienti francesi dei dubbi circa la possibilità di continuare a svolgere nei confronti della Germania una politica di tipo – per così dire – classico.

Vi erano, per ciò, motivi di carattere storico, e cioè soprattutto la convinzione, che a mano a mano si andava facendo strada in alcuni settori dell’opinione pubblica francese (dovrei dire che il Quai d’Orsay era, tuttavia, allora come adesso, piuttosto incline ad una valutazione più conservatrice), che, anche con il passar del tempo, non si sarebbe giunti alla ricostruzione di un’Europa più o meno conforme al suo disegno tradizionale e cioè quale, più o meno, essa era stata dal 1648 fino alla seconda guerra mondiale.

Ma, a parte questa valutazione di carattere generale o storico, vi erano dei motivi di carattere pratico e immediato che rendevano via via più difficile l’attuazione da parte francese, nei confronti della Germania, di una politica di carattere classico.

Senza parlare, infatti, della cosiddetta politica dei pegni tedeschi che si dovette ben presto mettere da parte per la riluttanza degli altri alleati occidentali nel seguirla, apparve chiaro che il mondo era diviso ormai in due blocchi, l’uno all’altro contrapposti, e che l’appartenenza al blocco occidentale (o, se si vuole, all’Alleanza atlantica) non consentiva di cercare e di trovare all’Est quell’appoggio tradizionale, che era stato dato alla Francia prima del 1914 dalla Russia, e, dopo la prima guerra mondiale, dalla Polonia e dalla Piccola Intesa in senso soprattutto anti-tedesco, ma anche, occorre forse dirlo, in senso parzialmente anti-italiano.

D’altra parte, indipendentemente dalle azioni svolte dalla Francia a tale fine, la Germania appariva più o meno definitivamente divisa in due differenti zone, la cui riunificazione appariva tuttavia agli alleati occidentali come uno degli obiettivi principali della loro politica in Europa, sia ai fini propagandistici che ai fini del cosiddetto «containment». Per ragioni di solidarietà occidentale, anche sulla politica di frantumazione della Germania, che era stata perseguita per un certo tempo da Parigi, appariva quindi impossibile insistere.

D’altronde, se da un punto di vista strettamente francese una riunificazione della Germania poteva essere considerata, specie negli ambienti tradizionali, un pericolo, la divisione della stessa Germania, così come si era creata, sembrava essere una favorevole premessa per agganciarne la zona occidentale alla politica francese e per consentire che non si ripetesse quel fenomeno della rinascita tumultuosa e irresistibile della potenza germanica che si è verificato ad intervalli quasi regolari negli ultimi secoli.

L’opinione pubblica francese, che, come abbiamo veduto, si poteva considerare nei primi anni del dopoguerra unanime nell’approvare una politica tedesca di tipo tradizionale, si venne così a scindere, di fronte a queste constatazioni di fatto, in due masse distinte.

La prima di esse era costituita, oltre che dai comunisti, da elementi nazionalisti tradizionali che ritenevano la politica atlantica come un fenomeno transitorio e come un espediente postbellico e che pensavano si dovesse ritornare, presto o tardi, allo stesso sistema di alleanze che l’Europa aveva sperimentato da oltre un secolo. Su questo punto s’effettuò la congiunzione, in Francia, delle politiche estere gollista e comunista. (Potrebbe essere interessante studiare quali sono le ragioni, pure nelle loro differenti premesse, di tale coincidenza, ma ciò non avrebbe molto valore ai nostri fini attuali. Ciò che forse preme di rilevare è che il vero punto di coincidenza delle due politiche è il loro comune – se pur differente – anti-atlantismo, e cioè l’opinione che si possa giungere, in un modo qualsiasi, al termine della cosiddetta politica dei due blocchi, ciò che consentirebbe alla Francia di riacquistare quella libertà d’azione che è la premessa di una politica tradizionale).

L’altro settore dell’opinione pubblica francese più o meno inconsciamente impregnato da premesse atlantiche, cercò invece di «dégager» i principi di una politica di carattere realistico che si adattasse al quadro attuale dei rapporti Est-Ovest. Non era più possibile, come si è detto, pensare ad un alleato dell’Est, non era più pensabile una frantumazione della Germania oltre alla sua divisione verticale operata dalla cortina di ferro. Anche la politica dei pegni trovava delle difficoltà insuperabili nella necessità di tener conto dei punti di vista dei propri alleati. In questo quadro obbligato (e qui, fra gli «atlantici», bisogna distinguere fra quelli che lo ritenevano temporaneo e quelli che lo ritenevano sostanzialmente definitivo) occorreva trovare un sistema di sicurezza che permettesse alla Francia di continuare ad avere la preminenza nell’Europa occidentale, tenendo a freno, anche per il futuro, ma con metodi totalmente diversi ed appoggiandosi esclusivamente all’Ovest, tanto la Germania quanto, entro certi limiti, l’Italia, contro le quali non ci si poteva più garantire con il mezzo tradizionale della politica di alleanze orientali.

È questa l’origine della politica europeistica della Francia ed è questo che ne spiega l’urgenza e le caratteristiche, come spiega le ripetute iniziative francesi cui abbiamo assistito negli anni scorsi e a cui assistiamo oggi.

Non è forse inopportuno insistere nel rilevare che questa politica europeistica è strettamente connessa con premesse atlantiche, perché ciò spiega quello che a prima vista potrebbe anche sembrare incomprensibile e cioè l’opposizione sistematica dei comunisti alle iniziative europeistiche. Infatti, in linea puramente teorica, non è affatto escluso che si possa concepire la costruzione di un’Europa neutralista e terzaforzista, che costituirebbe, quindi, una «perdita secca» per il blocco occidentale. Potrebbe quindi essere nell’interesse dell’Unione Sovietica di favorire, almeno, entro certi limiti, un tale sviluppo.

Se ciò non è avvenuto – almeno per quanto riguarda il comunismo francese – lo si deve certo, o soprattutto, alle premesse ideologiche cui ho accennato più sopra.

Riassumendo e schematizzando, nelle sue linee generali, quanto ho esposto sinora, mi pare che si possa dire, innanzitutto, che l’europeismo francese non è che una forma – e probabilmente una forma transitoria – dei rapporti franco-tedeschi. Intanto, che l’europeismo francese sia sorto di pari passo con la recente rinascita della Germania, non ha bisogno di essere dimostrato: bastano poche date a provarlo. E si può aggiungere, del resto, che, almeno sotto un certo aspetto, ciò è anche logico perché non si può pensare ad una Europa, sia grande, sia piccola, senza una Germania; né le considerazioni geografiche, a questo riguardo, sono quelle che hanno maggior peso.

In secondo luogo, si deve sottolineare che l’europeismo francese è – di sua natura – un movimento di carattere realistico: voglio dire, un movimento che parte da certe premesse reali – che, anzi, scorge con forse maggiore chiarezza che i suoi avversari – e che cerca, con mezzi originali e dialettici, di garantire, in condizioni sostanzialmente nuove, il raggiungimento di certi fini tradizionali. In altre parole, nel fare la sua politica europeistica, la Francia è partita – come del resto è suo dovere – dalla considerazione dei suoi interessi, della sua personalità, anzi, addirittura, di quello che essa ritiene sia il suo «leadership» tradizionale. Non è una colpa – tutt’altro. Del resto anche gli altri europeismi (e forse anche quello cui noi aderiamo), partono da altrettanti egoismi: forse meno visibili, ma non per questo meno esistenti: e, soltanto, diversi. Ma val la pena di conoscere questi veri egoismi per vedere se, dalla loro coincidenza, non possa nascere qualcosa di nuovo e di più alto.

Non si vuol dire, quindi, con questo, che vi sia qualcosa di inferiore nell’europeismo francese. Esso, anzi, è un movimento con certe premesse storiche che può portare, senz’altro, a certi determinati risultati: non esclusa, in certe forme, l’Europa. Ma il conoscerne il significato, le caratteristiche e, per così dire, i limiti non può non essere utile anche per gli altri movimenti europeistici anche in vista di una loro azione comune.

In terzo luogo, se si guarda al modo con cui la Germania, col suo risveglio, qui considerato inaspettatamente rapido, ha agito sul pensiero politico francese, si deve riconoscere che le reazioni francesi sono state tutte mosse dal timore. Le iniziative francesi sono state, tutte, altrettante difese contro la paura: paura dell’industria pesante tedesca, dapprima, da controllare attraverso la C.E.C.A.; paura della rinascita di un esercito convenzionale tedesco, da controllare attraverso la C.E.D. e successivamente l’U.E.O.; paura del sorgere di una potenza atomica tedesca da controllare attraverso l’Euratom (nella versione Monnet).

Per questo sono nati i progetti di pool. Non soltanto i tre maggiori, che trovano nel Piano Monnet il loro coronamento logico, ma anche la nebulosa dei pool minori – verde, nero, bianco. E, in questo senso, i «pool» sono, non soltanto storicamente e formalmente, ma intimamente, una costruzione francese.

Detto questo, bisognerà ricordare ancora che premesse politiche dell’europeismo francese sono l’esistenza di una tensione tra i due blocchi, la divisione della Germania, la sua condizione di inferiorità militare. Quest’ultima premessa spiega quanto sia importante, nella costruzione europea, come del resto nei progetti di riunificazione della Germania, la teoria del disarmo: e specialmente, da un punto di vista francese, del disarmo per zone.

Di fatto, il problema del disarmo può modificare notevolmente i dati apparenti della questione. La creazione, di cui si era parlato in un certo momento delle trattative per l’U.E.O., di zone demilitarizzate, o di zone più o meno esposte, allo scopo di interdire, in esse, la presenza di installazioni militari, o, meglio ancora, di impianti industriali, rientra pienamente in questo quadro generale – ripeto in questo quadro francese – di una politica europea.

L’influenza del tema del disarmo, come del resto del tema della riunificazione tedesca, è implicita in ogni possibilità di costruzione europea, vista da Parigi.

Si può forse dire di più: lasciando per ora da parte il tema del disarmo, che è particolarmente sottile e che consente molte variazioni, e limitandoci ai temi più semplici, ad esso del resto connessi, dei rapporti fra i due blocchi e della riunificazione tedesca, si può certo affermare che la riunificazione della Germania, la sua possibilità vera o creduta, non può che agire in senso negativo sull’europeismo francese. Si possono, del resto, fare facilmente degli esercizi teorici sull’effetto, pur sempre negativo, e tuttavia vario dei fattori sopraccennati sopra le varie forme di europeismo al di qua del Reno.

Ciò che è più importante è che si può con sufficiente sicurezza affermare che, comunque sia congegnato, un progetto di costruzione europeistico ha poche probabilità di essere approvato in Francia, qualora sembri verosimile l’attenuazione della tensione tra i due blocchi, o la riunificazione di una Germania riarmata (o, ancor più, quando sembrino possibili tutte e due le cose insieme).

Il sistema che gli ambienti atlantici francesi hanno scoperto per poter giungere ad una nuova impostazione dei rapporti franco-tedeschi, doveva partire necessariamente da una impostazione non più bilaterale, ma multilaterale del problema; ed è ciò che ha portato necessariamente alle cosiddette concezioni europeistiche francesi. Le ragioni di quanto precede sono semplici e hanno appena bisogno di essere ricordate. Esse sono soprattutto nel fatto che man mano che la rinascita tedesca si verificava appariva evidente che non era possibile tener a freno stabilmente questo slancio costruttivo risorto nel centro dell’Europa con le sole forze della Francia. Occorreva, quindi, associarsi altri paesi per avere un margine di sicurezza e questo margine doveva essere tanto maggiore quanto maggiore era l’«essor» della nuova Germania. (Questo spiega come sempre più insistente sia stato negli ultimi tempi la ricerca di un appoggio dell’Inghilterra).

Questo europeismo – inteso come la necessità di una politica che si riferisce – per ragioni geografiche – ad almeno sei Stati (la Spagna, per ragioni occasionali, non è entrata sinora in linea di conto) è un fenomeno diffuso in Francia, più, o meno coscientemente: ma, come si vede, suscettibile delle soluzioni più differenti.

Immaginiamo, a prima vista, come, in linea teorica, possa configurarsi questa nuova politica francese. Innanzitutto bisogna tener presente che essa non si sviluppa in un quadro da cui l’Europa Orientale è scomparsa come se fosse invasa da un oceano, ma in un quadro in cui tutti i paesi occidentali sono solidalmente sottoposti ad una pressione – anzi ad una minaccia – ed in cui, quindi, non può essere questione di diminuire la loro efficienza, ma, al massimo, di disciplinarla. Di conseguenza, e di fronte a questa comune minaccia, non è pensabile, in una Europa a sei o a sette, una contrapposizione di alleanze come nella vecchia Europa: un minimo, più o meno elevato, di solidarietà o di cooperazione è ammesso da tutti.

Se noi ci mettiamo, quindi, senza pregiudizi storici, nei panni di un francese che cerchi, nella situazione attuale, di costruire una politica adatta e realistica per la Francia, appare subito non soltanto l’impossibilità di cercare appoggi oltre cortina e, cioè, l’impossibilità di fare una politica di accerchiamento, per così dire, fisico o militare della Germania (o dell’Italia), ma vediamo anche che la Francia, a ben guardare, è in una situazione delicata, perché lo stesso costante appoggio del Benelux non servirebbe ad equilibrare in suo favore un sistema come quello della piccola Europa, che deve muoversi entro limiti così ristretti.

Data la sua connessione con l’impossibilità di applicare la politica estera tradizionale – ed ammesso che in un paese come la Francia quest’ultima ha radici particolarmente forti – è poi probabile che 1’europeismo – inteso nel suo senso più generico – rimanga una costante, nei prossimi anni, della politica francese. In un modo o nell’altro, esso ricercherà e sosterrà una politica che non può contare su appoggi al di là della cortina di ferro: ed, in queste condizioni, sosterrà una politica che ha per suo principale quadro l’Europa cosiddetta a sei, al massimo un’Europa a sette con l’Inghilterra. Se però questo vago europeismo non è che la conseguenza della divisione dell’Europa in due blocchi e della conseguente necessità di svolgere una certa politica nel quadro dell’Europa a sei (e cioè se è una conseguenza della premessa atlantica), l’europeismo in senso più stretto e più vero ha delle premesse più limitate e più precise che occorre ricordare.

Quali sono le basi del sopranazionalismo francese? Come mai si è pervenuti, in Francia, a quest’idea? Si può affermare, senz’altro, che non si è trattato, per così dire, di un’idea altruistica e generosa e che siamo di fronte alla più recente manifestazione dell’«esprit de grandeur» francese, anzi all’ultimo tentativo di costituire un’Europa francese.

Ma vale forse la pena di spiegarsi, un po’ più particolarmente, il procedimento con cui il fenomeno è avvenuto.

La revisione della politica estera francese, conseguente all’impossibilità di applicare, nelle nuove circostanze, una politica classica, si è svolta in circostanze confuse e spesso drammatiche. Intanto ha pesato sopra questa ricerca l’attaccamento dei francesi agli schemi tradizionali, che continuano a formare un paradigma obbligato nella politica estera francese, almeno in certi ambienti.

La novità della situazione, poi, ha fatto sì che le soluzioni cercate non si susseguissero e non si concatenassero in ordine logico, ma fossero, più che altro, il risultato di impressioni e di valutazioni casuali. Comunque, riordinando sistematicamente i tentativi francesi di revisione della politica estera nella situazione creatasi nell’immediato dopoguerra, si può constatare che essi si sono indirizzati soprattutto verso tre diverse soluzioni:

1) Si è cercato – e ciò inizialmente – di creare in Europa Occidentale un sistema di Stati (una coalizione o eventualmente una federazione) sotto direzione francese, che assicurasse la prevalenza contro qualsiasi ritorno offensivo della Germania Occidentale (sistema di Bruxelles nella sua prima forma). Senonché questa politica sarebbe stata logica nel caso che l’Europa Orientale non soltanto non si prestasse a fornire un appoggio ad un’azione francese, ma fosse diventata totalmente inesistente dal punto di vista politico. Se un diluvio avesse fatto scomparire dal mondo tutta l’Europa al di là dell’Elba, una simile soluzione avrebbe avuto una certa logicità. In realtà, l’Europa Orientale non è scomparsa, ma preme egualmente su tutti gli Stati dell’Europa Occidentale, costringendoli quindi ad una certa solidarietà ed impedendo che i loro rapporti si svolgano secondo i semplici schemi di forza tradizionali. Occorre quindi ammettere, in ogni caso, una ripresa economica – ed eventualmente militare – di tutti gli Stati dell’Europa Occidentale allo scopo di permettere una loro più efficace resistenza alla pressione comunista.

2) Di fronte all’impossibilità di una politica come quella sopraccennata, politica che pure è stata tentata, si è cercato (o si è esaminata l’eventualità), da parte francese, di aumentare il potenziale della Francia legando ad essa, attraverso vincoli soprattutto di carattere economico, sia il blocco del Benelux, che l’Italia. Anche questo tentativo fu rapidamente abbandonato per le difficoltà che l’economia francese oppone strutturalmente all’accoglimento di progetti di unione doganale.

Sono queste, del resto, le stesse resistenze che si sono notate, in campo francese, di fronte alla liberalizzazione degli scambi europei nonché, con anche maggior energia, di fronte ai progetti di mercato comune. È, infatti, evidente che, se l’esperienza dell’unione doganale poteva essere, entro certi limiti almeno e con risultati calcolabili, tentata da parte francese con un solo paese di cui era ben nota la struttura economica, molto maggiori dovevano essere le resistenze di fronte a progetti di una unione doganale con sei paesi europei, unione che avrebbe sconvolto imprevedibilmente l’attuale situazione economica francese.

3) Le esperienze tentate nelle direzioni sopraccennate, e specialmente nel senso di cui al paragrafo precedente, spiegano sufficientemente la nascita, ed anzi il fiorire, del «sopranazionalismo» francese e, soprattutto, il carattere di europeismo verticale che è tipico dell’europeismo francese, almeno nei suoi settori più caratteristici. Data l’impossibilità di giungere ad una integrazione di carattere orizzontale, la Francia è stata indotta, infatti, a studiare la convenienza di concentrare i suoi sforzi su particolari settori di speciale importanza dal punto di vista economico e militare. Condizione «préalable» che non si può sufficientemente sottolineare è che i settori prescelti siano quelli in cui, per ragioni tecniche o giuridiche, i francesi ritengono di essere in una posizione di notevole vantaggio rispetto alla Germania. Il sopranazionalismo delle istituzioni comuni si spiega, quindi, sia per la necessità, dal punto di vista francese, di esercitare un controllo sopra lo sviluppo tedesco, sia per lo scopo di impedire che la Germania, al momento opportuno, possa liberarsi unilateralmente dagli impegni presi. La formula, come è stato già rilevato, è stata adoperata in vari settori, ma, si può dire, in generale sempre con gli stessi precisi fini; e se, alla luce di quanto sopra, noi esaminiamo anche le ultime iniziative europeistiche francesi in senso sopranazionale (il Piano Monnet ed il tentativo del pool aeronautico, di cui ho dato notizia con il mio telespresso ris. 261/173 del 10 corrente)3, ci si rende conto subito che esse rispondono perfettamente al paradigma comune dei cosiddetti «pools».

Un punto, tuttavia, che ho già sottolineato, è che questo paradigma presuppone la superiorità, vera o presunta, della Francia sulla Germania in determinati settori. Ora ciò fa sorgere immediatamente la domanda se e fino a quando tali premesse esistano e possano essere considerate valide. Se, quindi, come si può affermare, l’europeismo francese è una politica realistica, si può aggiungere che si tratta di una politica che ha fretta e che non può essere ripresentata al di là di un certo termine.

Si dovrebbero, a questo proposito, studiare gli effetti di un possibile rafforzamento progressivo della Germania Occidentale nei confronti dell’europeismo francese, soprattutto in relazione ai rapporti che esso tende sempre maggiormente ad auspicare fra l’Inghilterra e le eventuali istituzioni europee.

Ma tutto ciò ci porterebbe piuttosto lontano. Tuttavia le osservazioni fatte sinora, per quanto brevi e dogmatiche, mi sembrano non senza rilievo perché esse spiegano ciò che, apparentemente, è piuttosto singolare e, cioè, che non vi siano stati praticamente piani od iniziative francesi per una integrazione europea in senso totale ed orizzontale. Ciò, invece, al lume di quanto esposto, è perfettamente logico e conferma che l’idea francese non può essere – partendo da una premessa sopranazionale e rebus sic stantibus – che quella di una comunità europea a settori.

Potrebbe infine essere interessante, non soltanto ai fini storici, ma anche a fini pratici ed attuali, esaminare quali siano o siano stati i partiti od i gruppi francesi che hanno appoggiato, od ostacolato, le soluzioni cui ho fatto cenno più sopra. Lasciando da parte la politica di una coalizione europea antigermanica che, come ho detto, è stata superata dagli eventi, si può tener presente, a titolo indicativo, che i progetti di unione doganale (come, in sede O.E.C.E., quelli relativi alla liberazione degli scambi) hanno trovato una rigida opposizione non soltanto da parte dei rappresentanti dell’industria francese (che siedono sui banchi parlamentari nei settori dei radicali, dei gollisti, o dei moderati), ma anche da parte dei rappresentanti dei settori immobilistici dell’economia francese (che possono ritenersi rappresentati dai moderati e, ora, dal movimento Poujade). E tali opposizioni si sono dimostrate – come del resto era naturale e come ho detto – molto più forti quando, anziché parlare di unione doganale, si è giunti a parlare di mercato comune, ossia di un’unione doganale estesa a più paesi, le cui conseguenze, quindi, possono essere ancor più gravi per l’economia francese, la quale certo non può sperare di esercitare il suo controllo sopra tutti gli altri paesi interessati.

Più interessante è, comunque, il vedere quali siano stati i partiti o i gruppi francesi che hanno appoggiato più saldamente e con maggiore continuità le soluzioni europeistiche sopranazionali a settori verticali.

Si tratta, in prima linea, come è noto, dei socialisti e dei democristiani. E, per quanto il fenomeno della vocazione europeistica di tali partiti meriti una spiegazione più approfondita di quella che mi sia consentito di dare ora, si può dire, in una prima approssimazione, che alla base della loro politica europea è il loro anticomunismo (aspetto o riflesso interno, più o meno rettamente compreso, del conflitto Est-Ovest); il comune atteggiamento verso il disarmo; e soprattutto il fatto che si tratta di due partiti che perseguono dei programmi tipicamente internazionali, che hanno contatti con analoghi partiti di altri Stati e che non sono direttamente, in Francia, legati ai gruppi industriali od economici particolarmente contrari a qualsiasi forma di integrazione.

A fianco di tali elementi comuni della politica europeistica S.F.I.O. ed M.R.P. (in realtà si tratta di motivi analoghi, ma non coincidenti, come è facile dimostrare in ciascuno dei casi) vi è poi probabilmente, nella S.F.I.O., il concetto di aiutare i camerati tedeschi nella loro lotta contro la ricostruzione della Germania Occidentale in base a formule capitalistiche; nei democristiani l’idea di contribuire al consolidamento della Germania cattolica: si tratta, cioè, di due – divergenti e in parte irrealistiche – politiche estere di partito.

Si deve poi subito aggiungere che i problemi europeistici sono, qui, ormai connessi inestricabilmente colle altre questioni di politica interna. Ho esposto, altrove, come l’europeismo, anche recentemente, abbia costituito e costituisca una importante leva per la costituzione di una maggioranza centrista e come, quindi, lo si trovi al fondo di tutte le manovre che si fanno, attualmente, intorno al Gabinetto Mollet.

E potrebbe essere interessante vedere – guardando nel recente passato gli sviluppi del fenomeno – come la maggioranza atlantica, che ha votato per la C.E.C.A., si sia poi scissa con la costituzione del Governo Pinay e col passaggio dei socialisti all’opposizione.

Se questo è il lato parlamentare del fenomeno, c’è forse una ragione più profonda perché, nel Parlamento francese, ci si sia trovati di fronte a due gruppi di europeisti.

Oggi si potrebbe avere l’impressione di essere dinanzi ad un movimento inverso: ma il raccostamento fra socialisti e democristiani è dettato da ragioni di politica generale interna, e si ammanta soltanto di motivi europeistici.

Ritornando a quella che può chiamarsi la «politica estera di partito», si vedrà che i progetti di integrazione europea per settori sono dei progetti che permetterebbero una integrazione europea, altresì, per partiti: e per questo rispondono abbastanza bene a quella che può essere la preoccupazione dei socialisti o dei repubblicani popolari; in pratica, tuttavia, e cioè al momento dell’eventuale realizzazione di un progetto, non è certo da escludere che gli antagonismi dei due gruppi non debbano risorgere.

Bisogna aggiungere che, d’altronde, in seno a questi partiti, e soprattutto in seno al partito socialista, vi sono, come ha dimostrato a suo tempo il dibattito per la C.E.D., numerosi elementi che sono nettamente contrari ad una politica europeistica, sia in senso generico che in senso sopranazionale. Si tratta, in questo caso, tipicamente di gruppi che ritengono possibile e preferibile una politica di Fronte popolare, ossia, traducendo la formula in termini di politica estera, una politica tradizionale.

Quello che anche qui è importante di rilevare è che non vi sono gruppi francesi, come non vi sono, del resto, progetti francesi, che propugnino, anziché l’integrazione per settori, una integrazione europea sul piano generale – se non con un fine lontano o teorico – non molto di più che un «lip’s service». È questo, indubbiamente, uno dei punti-chiave per comprendere l’atteggiamento del Governo francese su tutto l’argomento.

Se queste sono le premesse dell’europeismo francese, appare evidente che la recente riunione di Bruxelles costituisce una svolta quanto mai indicativa nello sviluppo europeistico di questo paese.

Guardando, infatti, lo sviluppo delle cose, è chiaro che il Piano Monnet ha costituito il culmine logico delle costruzioni europeistiche francesi. Raggiunto, infatti, un certo controllo sulla produzione germanica del carbone e dell’acciaio (e cioè sopra l’industria pesante tradizionale) attraverso alla C.E.C.A., la Francia, attraverso l’U.E.O., aveva acceduto al riarmo convenzionale della Germania dietro l’impegno da parte della Repubblica Federale tedesca di un disarmo atomico. Se si tiene presente che questa posizione era stata propugnata ed accettata dai mendesisti e dai gollisti, che rappresentano qui indubbiamente gli ambienti più avanzati in fatto di problemi di armamenti, è chiaro che l’idea francese era che si poteva consentire senz’altro, sia pure con certe limitazioni, ad un riarmo tedesco di tipo tradizionale purché la Francia potesse essa sola disporre, nei confronti dell’antica rivale, degli armamenti atomici destinati, nel pensiero gollista, ad avere un’influenza assolutamente determinante nei prossimi conflitti.

La costituzione in Germania di un Ministero per l’Energia Atomica e il fatto che in pratica non è possibile distinguere nettamente fra impiego civile ed impiego militare dell’energia atomica, sono stati all’origine del Piano Monnet che, dal punto di vista politico, costituisce indubbiamente il culmine di una fase intera della politica estera francese di questo dopoguerra; e le divergenze di opinione, che quest’Ambasciata ha avuto spesso occasione di mettere in luce, fra l’Alto Commissariato francese perl’energia atomica e gli ambienti politici, derivano appunto dal fatto che l’Alto Commissariato ha visto il problema dell’energia atomica nei suoi termini tecnici e produttivistici, mentre gli ambienti politici, più o meno realisticamente, lo hanno visto soprattutto nel senso di garantire alla Francia un predominio sulle altre potenze europee e soprattutto sulla Germania.

Si trattava, quindi, secondo questi ambienti politici, non tanto di un problema di cooperazione tecnica, quanto di un problema di sicurezza e di potenza politica.

I risultati della Conferenza di Bruxelles, da questo punto di vista, lasciano presumere il prevalere di un concetto europeistico a base internazionale nei confronti del concetto, di origine francese, di un’organizzazione europeistica con istituzioni sopranazionali.

Non si può certo dire che con questo gli europeisti sopranazionali francesi cesseranno di presentare altri piani analoghi ai precedenti, né si può affermare che siamo dinanzi al seppellimento dell’europeismo francese.

Anzi, come ho detto, i motivi europeistici costituiranno una costante del pensiero politico francese fino a che la Francia non avrà trovato una politica estera perfettamente adatta alla nuova situazione così differente da quella tradizionale.

Ma se questo si può dire dell’europeismo, in senso generico, bisogna riconoscere che obbiettivamente siamo dinanzi ad un declinare dell’idea europeistica francese «stricto sensu», e cioè in senso sopranazionale. Ciò si può notare, del resto, anche nei settori dell’opinione pubblica francese che le erano tradizionalmente favorevoli.

Se si tiene presente che, come ho accennato, le premesse del sopranazionalismo francese sono da un lato la convinzione che la Francia possiede in determinati settori-chiave (e sono, naturalmente, settori direttamente od indirettamente militari) una posizione di vantaggio di carattere tecnico e giuridico rispetto alla Germania; e dall’altro che la Germania ha, appunto per raggiungere una parità tecnica e giuridica con la Francia, un interesse ad accettare un controllo europeo (e comunque in partenza direttamente od indirettamente francese), è chiaro che i recenti avvenimenti tendono a diminuire notevolmente le possibilità del permanere di un sentimento sopranazionalistico francese anche negli ambienti in cui esso è più tradizionale.

Del resto, lo sviluppo della situazione nella Sarre (che molto più che una condizione o un «préalable», può essere considerato un sintomo dei rapporti franco-tedeschi e quindi delle possibilità dell’europeismo francese) lascia intendere quanto sia difficile il mantenere l’illusione di una superiorità francese, sia pure in determinati settori, nei confronti della Germania.

Si può quindi concludere che l’europeismo francese «stricto sensu», e cioè in senso sopranazionale, non ha, salvo imprevisti, che un tempo limitato per continuare a svolgere la sua opera.

Vi è, tuttavia, nel fenomeno europeistico francese, un fattore di grande importanza che non viene, generalmente, messo sufficientemente in luce. Esso è dato dall’influenza della situazione africana o coloniale sopra le tendenze europeistiche, come espressione della politica estera francese. È, questo, un argomento non trascurabile che richiede un discorso non breve e che mi riservo di trattare a parte.


1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Bonn, Londra e Washington.


2 Jacques Bainville, Histoire de deux Peuples continuée jusqu’à Hitler, Parigi, Librairie Arthème Fayard, 1938.


3 Non pubblicato.

148

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 346/2331. Parigi, 23 febbraio 1956.

Oggetto: Euratom.

Ho intrattenuto sulla questione dell’Euratom il signor Commin, Segretario Generale del partito socialista e braccio destro di Mollet.

Commin mi ha confermato che la mozione concertata all’epoca della riunione indetta da Jean Monnet è stata depositata alla Assemblea e sarà richiesta la discussione d’urgenza. Salvo imprevisti, ritiene che questa procedura d’urgenza saràaccettata.

Commin mi ha detto che, come d’intesa, questa mozione contiene i principi a cui si dovranno attenere gli esperti per procedere alla redazione di un trattato.

Circa la reazione della Camera, Commin era piuttosto ottimista. A suo avviso – che del resto condivido – gli ostacoli principali sono tre:

1) La questione della proibizione di adoperare l’energia atomica per scopi militari. L’appello nazionalista è naturalmente di quelli che trovano una risposta in larghi settori del Parlamento: è stato d’accordo con me nel considerare l’opposizione del Commissariato Atomico come importante per l’influenza che essa può avere sui deputati incerti.

A titolo personale – perché non ho nessuna informazione su quali siano le intenzioni del Governo italiano – gli ho detto che la formula Spaak (come singoli, i componenti dell’Euratom si interdicono l’uso dell’energia nucleare a titolo militare, ma come collettività si riservano la possibilità di farlo) mi sembrava eccellente. La reazione di Commin è stata di pieno accordo: rilevo che su questo argomento ho avuto dai leaders socialisti delle reazioni differenti. Guy Mollet mi ha detto che essa è assolutamente inaccettabile: Pineau mi ha detto che può essere presa in considerazione con qualche riserva e Commin mi dice che è eccellente.

2) L’offensiva da parte del settore privato ha luogo perché lo sfruttamento pacifico dell’energia nucleare venga lasciato all’industria privata: questo atteggiamento degli industriali francesi è potentemente appoggiato dagli industriali tedeschi. Commin mi ha detto che, su questo argomento, l’opinione del partito socialista era concorde e formale: dopo le spese che il Governo aveva incontrato per l’organizzazione dell’industria nucleare in Francia, spese che si avvicinavano ormai ai 200 miliardi di franchi, non era ammissibile che l’industria privata beneficiasse lei dei frutti del denaro dei contribuenti.

Gli ho fatto osservare che su questo argomento bisognava lasciare una larga libertà ai singoli paesi di organizzarsi come volevano. Per esempio la situazione in Italia, a tutt’oggi, era molto differente dalla situazione francese. Lo Stato per l’energia nucleare non aveva fatto praticamente niente e quel poco che era stato fatto l’avevano fatto i privati.

3) La necessità di assicurare discretamente l’Assemblea che Jean Monnet non avrebbe avuto nessuna carica nell’Euratom. Adesso i dirigenti socialisti si sono resi conto dell’opposizione irriducibile che c’è nel Parlamento contro Monnet: d’altra parte come conciliare gli impegni presi da Mollet verso Monnet con questa necessità di dire e di disdire?

Per mio conto ho chiesto a Commin se non riteneva che l’ostilità dell’Inghilterra all’Euratom avrebbe potuto creare anch’essa delle difficoltà al Parlamento francese.

Commin mi ha risposto molto recisamente con l’affermativa. Mi ha detto che i primi fatti cominciano a dar ragione a tutti quelli che non credevano ad una non-opposizione inglese all’Euratom, come era stato fatto sperare da Washington.

Già adesso tutte le persone più sensibili alla influenza britannica cominceranno ad agitarsi. Questo ha creato delle difficoltà nello stesso partito socialista, per esempio per Daniel Mayer e compagni. Questa azione inglese contro l’Euratom si annunciava decisa, energica e senza risparmio di colpi bassi.

Ho chiesto a Commin se non gli sembrava che anche su questo punto le idee di Spaak dei «cerchi concentrici» non fossero forse di natura tale da diminuire questa opposizione britannica. È stato entusiasticamente d’accordo.

Riassumendo, Commin ritiene che, come affermazione di principio e di principi, l’Euratom può passare al Parlamento francese: più presto passerà, secondo lui, meno si dà il tempo all’opposizione di organizzarsi. Per mio conto gli ho fatto osservare che l’opposizione avrà tutto il tempo di organizzarsi dopo. Questa è la mia quarta esperienza del genere al Parlamento francese; ormai ne conosciamo la tecnica. Per una certa attrazione verso le idee nuove o generose, il Parlamento francese era facilmente disposto ad accettare i principi. Quando però questi principi generali prendevano la forma di articoli precisi, i francesi si mettevano ad esaminarli con la lente d’ingrandimento e uno spirito da usciere e in ogni parola di questi articoli trovavano una minaccia mortale per i loro interessi e per gli interessi della Francia. Così quello che era stato approvato in principio finiva per non essere approvato in pratica.

Per me, bisognava che si evitasse, nel voto al Parlamento, di legare eccessivamente la mano ai futuri negoziatori, salvo che su principî essenziali: e che i negoziatori preparassero un trattato di pochi articoli e rinunciassero al piacere di mettere in partenza tutti i punti sugli i e tenessero ben conto degli interessi e della loro influenza in Parlamento.

Per quello che riguarda noi, gli ho detto che avremmo ratificato la dichiarazione del gruppo Monnet solo dopo che essa sarebbe stata ratificata a Parigi e a Bonn: di questo i nostri avevano a suo tempo informato Monnet e i loro colleghi francesi.

Ho ripetuto il nostro punto di vista circa il Mercato Comune. Commin mi ha a sua volta ripetuto il solito argomento francese; che cioè, intendono non solo continuare a parlarne, ma anche a studiarlo ed a vedere quali prime misure di realizzazione siano adottabili. Ma sono contrari all’abbinamento Euratom-Mercato Comune, così come è voluto dagli olandesi perché l’Euratom forse lo si può realizzare anche in un futuro prossimo e il Mercato Comune è una proposta molto più ardua e suscettibile di qualche realizzazione soltanto a molto più lunga scadenza.


1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Londra, Washington e Bonn.

149

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., VITETTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 3031/58-59. Parigi, 24 febbraio 1956, ore 9,20 (perv. ore 11,05).

Oggetto: O.E.C.E. Riunione Capi Delegazioni.

Mio telespresso n. 739/543 del 18 corrente1.

Riunione odierna Capi Delegazioni ha fissato come segue ordine del giorno definitivo del Consiglio ministeriale:

1) Esame dei lavori dell’Organizzazione (memorandum del Segretario Generale trasmesso col telespresso n. 446/321 del 19 corrente)1.

2) Possibilità d’azione nel settore dell’energia nucleare (rapporto del Gruppo di lavoro numero 10 trasmesso col telespresso n. 5420/3359 del 20 dicembre 1955)1.

3) Piano italiano di sviluppo economico.

4) Altre questioni.

Il Presidente ha annunziato che il Cancelliere dello Scacchiere accennerà, martedì 28 mattina, all’inizio della discussione del memorandum del Segretario Generale, alle relazioni tra i lavori dell’O.E.C.E. e quelli di Messina e Bruxelles, argomento che sarà poi ripreso tra le altre questioni.

Circa il punto 1, è stato confermato che nell’ordine del giorno verrà menzionato, per memoria, il settimo rapporto. Delegato degli Stati Uniti ha chiesto che figurasse anche il rapporto sulla liberazione dalla area del dollaro (vedi mio telespresso n. 694/508 del 17 corrente)1, dato che Rappresentante americano al Consiglio ministeriale intende accennare all’argomento; ma ha poi accettato che il Segretario Generale faccia menzione del problema nell’introdurre il suo memorandum, che del resto ne parla esplicitamente al P.C.B.

Circa il punto 2, si è concordato che discussione avvenga senza presenza di osservatori. Delegato belga, riferendosi alle differenze obiettive tra gli statuti dei vari osservatori, ha chiesto che venisse ammesso quello della C.E.C.A.; ed ho ritenuto opportuno appoggiarlo su questo punto specifico.

Maggioranza dei Capi delle Delegazioni si è però mostrata propensa ad una esclusione generale, per evitare discriminazioni, e questa tesi è stata accettata da collega belga con riserva però di riaprire la questione domani se il suo Governo insisterà per la presenza dell’osservatore della C.E.C.A.

Per quanto riguarda i vari documenti preparati dal Segretariato a complemento del rapporto del Gruppo di lavoro numero 10, è stato deciso di raccoglierli in un unico documento, preceduto da una nota esplicativa e che sarà menzionata per memoria nel punto 2 dell’ordine del giorno.

Circa il punto 3 (piano Vanoni) il Delegato U.S.A. ha fatto una dichiarazione esprimendo rincrescimento per mancato accenno ai problemi del petrolio nel rapporto del Gruppo di lavoro n. 9 (vedi mio telespresso n. 788/750 del 22 corrente)1, che – egli ha detto – è dannoso anche per l’O.E.C.E. Gli ho risposto riprendendo argomenti già svolti al Gruppo n. 9 e cioè che esclusione di cenni specifici a quei problemi trova fondamento nel fatto che rapporto di andamento del Governo italiano si riferisce a situazione nel 1955 ed a previsioni a corto termine per il 1956, e non può perciò considerarsi come un quadro generale di tutti i problemi economici italiani.

Circa il punto 4, ogni decisione sull’opportunità di far discutere ai Ministri il nuovo memorandum sui problemi del turismo preparato dal Segretario Generale, nonché un altro memorandum sull’avvenire dell’Agenzia Europea della produttività (vedi mio telespresso n. 666/484 del 17 corrente)1, è stata rimandata alla riunione di domani.

Infine, Presidente ha ricordato che la questione associazione della Spagna all’O.E.C.E. dovrà formare oggetto scambio di vedute tra i Ministri, o ufficiosamente o nella riunione in cui si discuterà punto 2 dell’ordine del giorno senza la presenza di osservatori.


1 Non pubblicato.

150

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E UFFICI CENTRALI

Telespr. 036991. Roma, 5 marzo 1956.

Oggetto: Euratom. Trattative cessione uranio.

Il Delegato americano presso la C.E.C.A., che il nostro Ambasciatore a Lussemburgo aveva intrattenuto sull’eventualità di iniziare trattative tecniche con gli americani per l’Euratom, ha comunicato all’Ambasciatore stesso di ritenere giunto il momento di dare senza ritardo il mandato a Spaak di prendere contatto con Washington a nome dei sei Governi. Lo stesso Delegato americano ha aggiunto che la sua Delegazione, dopo l’annuncio dell’offerta di concessione di un quantitativo di uranio da parte degli americani, sconsiglierebbe che si sviluppassero trattative bilaterali piuttosto che trattative con la Comunità.

D’altra parte all’Ambasciatore a Lussemburgo risulterebbe che Spaak vedrebbe con favore un simile incarico e si riserverebbe di presentire in merito i Governi della Comunità.

Questo Ministero, condividendo in linea di massima l’idea di un primo negoziato di Spaak, idea a suo tempo sottoposta a S.E. il Ministro e che è stata recentemente confortata dai colloqui avuti da S.E. il Ministro stesso con Dulles, riterrebbe opportuno, per quanto concerne il «timing» del negoziato, che esso avvenisse quando fossero terminati i lavori in corso a Bruxelles per il rapporto del Comitato Intergovernativo; ciò sia al fine di non distogliere Spaak dai lavori stessi, sia perché, anche per quanto concerne l’Euratom, alcuni punti sostanziali non sono stati ancora risolti.

Dopo tale fase questo Ministero vedrebbe con favore un primo negoziato di Spaak, quale portavoce dei sei, con Washington e potrebbe anche prendere eventualmente iniziativa di proporlo.

Pertanto si pregano le Ambasciate in indirizzo di voler svolgere discreti sondaggi al riguardo mentre l’Ambasciata a Lussemburgo potrà portare quanto sopra a conoscenza della Delegazione americana.


1 Diretto alle Ambasciate a Parigi, Bonn, L’Aja, Bruxelles e Lussemburgo, alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E. a Parigi e alla Direzione Generale degli Affari Politici.

151

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1.

RIUNIONE DEI CAPI DELEGAZIONE

DEL COMITATO INTERGOVERNATIVO PER IL RILANCIO EUROPEO

(Bruxelles, 7-8-9 marzo 1956)

I Capi Delegazione del Comitato Intergovernativo per il rilancio europeo hanno tenuto a Bruxelles, i giorni 7-8-9 marzo, sotto la presidenza del Ministro Spaak, l’ultima riunione per discutere le linee generali del rapporto finale.

La compilazione del testo del rapporto è ora affidata a quattro redattori (Pierre Uri, Direttore dell’Alta Autorità della C.E.C.A.; von der Groeben, del Ministero dell’Economia tedesco; Ministro plenipotenziario Hupperts del Ministero degli Esteri belga; Giulio Guazzugli, Direttore del Segretariato della Conferenza di Bruxelles), i quali dovranno avere completato il proprio lavoro per gli ultimi giorni di marzo.

Il testo del rapporto verrà immediatamente diramato ai Capi Delegazione, i quali torneranno a riunirsi sotto la Presidenza di Spaak il 18 aprile per l’esame di esso e per la sua approvazione finale2. Il rapporto, che porterà la firma dei sei Capi Delegazione e del coordinatore politico Ministro Spaak, verrà quindi rimesso ai Ministri degli Esteri. È stato chiarito che il rapporto non impegna i Governi: esso costituisce un insieme di proposte e di suggerimenti che i Capi Delegazione fanno ai sei Governi per la messa in atto della Risoluzione di Messina. Il rapporto verrà probabilmente reso pubblico non appena i Ministri ne avranno preso conoscenza.

Allo stadio attuale sembra che la riunione dei Ministri degli Esteri dei paesi C.E.C.A., che dovrà decidere sul seguito da dare al rapporto (e cioè sulla convocazione di una o più conferenze intergovernative per la stesura dei trattati) potrebbe aver luogo entro la seconda metà di maggio, con ogni probabilità in Italia3.

2. Le ultime discussioni del Comitato Intergovernativo di Bruxelles sono state caratterizzate da un lato da una certa stanchezza, dall’altro da un sensibile irrigidimento nelle posizioni dei vari Delegati.

La stanchezza è stata sopratutto visibile nei dibattiti in materia di mercato comune: per alcuni capitoli di quello che sarà il rapporto finale non erano stati presentati documenti di lavoro; l’atteggiamento dei vari Delegati mostrava chiaramente che essi preferivano tenere in riserva le munizioni per la discussione del testo definitivo; faceva da sfondo al dibattito il dubbio che il lavoro di molti mesi (lavoro indubbiamente utile e concreto) debba, per forza di cose parlamentari ed extra-parlamentari, rimanere ancora una volta un’esercitazione accademica.

L’irrigidimento delle varie posizioni si è verificato sopratutto nel settore di maggiore attualità e per il quale più grande è l’aspettativa, e cioè per Euratom.

3.Tre questioni principali erano rimaste aperte dalle precedenti discussioni:

a) Utilizzo dell’energia nucleare per fini militari.

La proposta di compromesso fatta da Spaak è stata accettata dai Capi Delegazione a titolo di suggerimento personale ai loro Governi, i quali restano liberi di decidere. Ai termini di tale proposta i sei Governi dichiarerebbero di rinunciare, nella prospettiva degli sforzi che si stanno compiendo per il disarmo mondiale, alla fabbricazione di armi nucleari di distruzione massiccia – esclusi cioè i motori – per un periodo da determinarsi (che corrisponderà ai 3-4 anni ancora necessari alla Francia per iniziare la produzione).

Scaduto tale periodo ogni paese membro potrebbe chiedere agli altri paesi l’autorizzazione di fabbricare armi nucleari (a meno che esso non ne sia impedito da altri accordi internazionali: leggi Germania). Qualora almeno altri due paesi fra i Sei si dichiarassero d’accordo, ciò varrebbe di autorizzazione al paese richiedente.

Sanata così temporaneamente tale questione altamente controversa, alcune dichiarazioni del Rappresentante germanico, Ambasciatore Ophuels, hanno fatto rinascere un grave motivo di dissidio. Il Delegato tedesco ha infatti informato i suoi colleghi che il Governo tedesco riteneva che, qualora da parte di uno dei Governi membri e sia pure con l’autorizzazione sopra accennata si addivenisse a fabbricazioni di armi nucleari, ciò avrebbe messo in forse tutto il sistema di Euratom quale è attualmente delineato, e in particolare il sistema di controllo. Appariva infatti improbabile al Governo tedesco che il paese che decidesse di iniziare la costruzione di armi nucleari fosse disposto a sottoporla alle regole di Euratom (acquisti del materiale fissile dalla Commissione Atomica Europea, controllo di quest’ultima sull’effettiva utilizzazione di esso, controllo del materiale eventualmente demilitarizzato, ecc.). In tali condizioni il Governo tedesco era d’avviso che, qualora si autorizzasse uno dei sei paesi alla produzione di armi nucleari, il trattato di Euratom dovesse essere rinegoziato fra i paesi membri per renderlo aderente alla nuova situazione che sarebbe venuta a crearsi. La mossa tedesca rivela chiaramente l’intenzione di precostituire la possibilità di ottenere al momento voluto l’abrogazione del protocollo II dell’U.E.O., che vieta alla Germania di produrre armi nucleari, sotto la minaccia di mandare per aria Euratom (nessuno ha accennato a quella che potrebbe essere l’alternativa al riarmo nucleare della Germania, e cioè l’«europeizzazione» degli esplosivi nucleari). Così chiaro era l’intento tedesco che il Delegato francese Gaillard, come principale interessato, si è affrettato a dichiarare che non vedeva quali obiezioni il suo Governo avrebbe potuto avere a sottoporre anche le fabbricazioni militari al controllo di Euratom.

Di tale dichiarazione, della quale c’è da domandarsi quanto sia autorizzata (in particolare dallo Stato Maggiore francese), ci si è affrettati a prendere atto per chiudere un dibattito che poteva divenire delicato. Resterà da vedere se allorquando la dichiarazione di Gaillard verrà trascritta nel rapporto finale essa verrà avallata da parte francese, e se sembrerà sufficiente ai tedeschi.

b) Proprietà europea o privata dei materiali nucleari.

Già fin dalla riunione dei Ministri degli Esteri all’inizio di febbraio4 era stato sollevato il problema se Euratom debba avere e conservare la proprietà di tutte le materie prime nucleari, sia primarie (minerali di uranio e di torio, relativi metalli) che secondarie (uranio arricchito in U 235 e plutonio), dandole in locazione agli utilizzatori; o se invece Euratom debba vendere tali materie prime agli utilizzatori, che ne conserverebbero la proprietà, fermo restando il controllo sugli usi di esse da parte di Euratom.

La soluzione da darsi a tale questione incide notevolmente sul regime interno da farsi alle materie prime nucleari nei singoli Stati, dato che un regime di proprietà privata è caldeggiato dagli industriali dei vari paesi, e in primo luogo da quelli tedeschi.

Era stata accennata dal Ministro Martino la soluzione che ambedue i sistemi fossero ammessi da Euratom, a scelta degli utilizzatori che avrebbero potuto richiedere di acquistare o di affittare le materie prime: in ambedue i casi esse avrebbero dovuto essere sottoposte al più stretto controllo.

Nel riaprire la discussione su questo punto Spaak proponeva invece che la scelta fra la vendita e la locazione fosse lasciata ad Euratom. Questa proposta suscitava nel Delegato tedesco una violenta presa di posizione. Egli giungeva fino a dire che, se il suo Governo non avesse avuto soddisfazione su questo punto, Euratom non avrebbe visto la luce.

Alla domanda di Spaak se il Governo tedesco considerasse nulli i vantaggi che avrebbe potuto trarre da Euratom, Ophuels rispondeva che effettivamente negli ambienti tedeschi non si vedeva l’assoluta necessità di un sistema così complesso come quello che si veniva delineando, e che una forma di collaborazione molto più souple sarebbe stata considerata sufficiente.

Spaak ricordava allora la sua offerta di mettere a disposizione della Comunità l’uranio del Congo, che tante difficoltà politiche gli procurava nel proprio paese, e domandava al tedesco se anche questo non fosse considerato un vantaggio. La risposta del Delegato germanico era che la recente offerta americana di 20 tonnellate di U 235 dimostrava tangibilmente che anche nel campo delle materie prime i paesi potevano avere largo accesso ai fornitori.

(Va notato a questo punto come l’offerta americana abbia naturalmente portato acqua al mulino di coloro che pensano che fra qualche anno vi sarà un largo mercato mondiale di materie prime nucleari – incluse quelle secondarie che sono le più preziose – e abbia svalutato quindi di altrettanto il «sacrificio» che il Belgio compirebbe mettendo una parte del suo minerale di uranio a beneficio della Comunità Europea. L’arma che Spaak credeva di avere in mano per ottenere delle contropartite «europee» appare quindi piuttosto spuntata. Non mancava d’altro canto negli ambienti della Conferenza di Bruxelles chi attribuiva l’irrigidimento tedesco, in questa ed altre questioni, anche ad offerte di collaborazione tecnica che sarebbero state fatte da parte inglese al Ministro Erhard durante la sua recente visita a Londra).

L’atmosfera non era delle migliori la sera di giovedì 8; e Spaak rinviava la seduta al giorno successivo. Nel riaprire la questione venerdì pomeriggio appariva subito che la notte aveva portato consiglio e che la disputa tra vendita o locazione non dava possibilità di una rottura. Spaak e Gaillard proponevano quindi che nel rapporto venisse proposto di lasciare la scelta agli utilizzatori salvo che la Commissione Atomica Europea non decidesse di rendere obbligatorio per tutti il sistema della locazione di certi materiali (particolarmente uranio arricchito ad alto tenore). Tale formula figurava quindi nel progetto di rapporto finale, ma è difficile prevedere se essa sarà in definitiva accettabile ai tedeschi: i quali sostengono, fra l’altro, che l’uranio fortemente arricchito, U 235 non serve solo agli esplosivi nucleari ma anche a certi nuovi tipi di «reattori veloci».

c) Libertà o meno degli acquisti di materie prime all’estero.

Questo delicato problema è stato nel dibattito alquanto messo nell’ombra dall’altro della vendita o locazione, col quale è stato confuso. Esso meritava invece di essere trattato singolarmente perché è questo il punto su cui più forti appaiono le resistenze tedesche.

Il sistema Euratom, fin dall’epoca del rapporto Armand, prevedeva che gli utilizzatori (Governi e privati) non potessero rivolgersi che ad Euratom per ottenere la disponibilità di materie prime nucleari. Sono note le obiezioni che l’industria tedesca ha pubblicamente avanzato contro tale regime monopolistico; esse hanno fondamento anche nel diffuso timore esistente in Germania che tale sistema possa di fatto volere la discriminazione contro l’industria germanica. Quest’ultima ha quindi richiesta la facoltà di poter acquistare dovunque, e non solo per il tramite di Euratom, le materie prime nucleari. I sospetti degli industriali tedeschi sono quasi certamente infondati, ma che tale situazione psicologica esista è un dato di cui bisogna tener conto. L’Ambasciatore Ophuels ha detto che certamente l’industria tedesca non si servirebbe della facoltà di acquistare direttamente all’estero, ma che questa libertà le doveva in principio essere assicurata.

Non è possibile non rilevare come questa concessione tedesca di un sistema totalmente aperto possa gettare il seme di gravi difficoltà politiche che avrebbero malefici effetti sulla Alleanza atlantica oltre che sulla Comunità europea. Lasciare ai singoli paesi europei la facoltà di acquistare uranio o plutonio dove vogliono, può significare invitare l’Unione Sovietica a turbare la coesione occidentale con offerte di materiali atomici, a basso prezzo e a favorevoli condizioni. Che cosa accadrebbe ad esempio, se la Germania Orientale offrisse alla Repubblica Federale qualche fornitura di uranio, a prezzi di favore che possono farsi ai fratelli con i quali ci si vuole riunificare? Ophuels ha cercato di escludere questa ipotesi rievocando che nel trattato C.E.C.A., mentre viene lasciata la più ampia libertà nell’approvvigionamento di carbone, uno speciale articolo vieta di approfittare delle offerte estere che avessero significato politico e carattere di dumping.

Nessuna conclusione chiara è emersa dal dibattito e c’è da supporre che esso riprenderà al momento dell’esame del rapporto finale.

4. Nel tempo lasciato libero dalla discussione su Euratom i Capi Delegazione hanno completato l’esame di alcuni principi tuttora controversi nel sistema che si intende delineare per il mercato comune.

In materia di armonizzazione delle politiche economiche e sociali, Gaillard ha ricordato il Memorandum del Governo francese che chiedeva almeno tre delle cosiddette distorsioni sociali (durata del lavoro, durata delle vacanze pagate, eguaglianza di trattamento tra uomini e donne) siano corrette nel corso della prima tappa di quattro anni. Egli ha sottolineato che qualora gli altri Governi non volessero prendere un impegno del genere, sarebbe stato molto difficile far digerire il mercato comune alla opinione pubblica e parlamentare francese. La pretesa del Governo francese è puramente politica, essendo a tutti chiaro che, secondo i dettami della scienza economica, le distorsioni indicate da Gaillard non sono in realtà tali, o quanto meno esse dovrebbero essere corrette insieme ad altre distorsioni che i restanti paesi membri potrebbero invocare.

La risposta che il rapporto finale darà alla richiesta francese sarà quindi anch’essa politica: nel senso cioè di consigliare che, nel quadro dell’armonizzazione delle politiche sociali, le tre distorsioni care ai francesi siano raddrizzate nel miglior modo possibile.

In materia di tariffa esterna nella Comunità, che era stata causa di grosse difficoltà con gli olandesi, una formula di compromesso sembra esser stata trovata tra Spaak e Zijlstra che verrà esaminata da uno speciale gruppo di esperti doganali. Essa allevierebbe le maggiori preoccupazioni olandesi circa il livello dei dazi sui prodotti semi-lavorati che costituiscono una delle basi dell’industria di trasformazione dei Paesi Bassi.

Il documento di lavoro sull’agricoltura, che era stato precedentemente discusso in una riunione di esperti agricoli, è stato approvato dai Capi Delegazione con minime variazioni. È stata anche accolta in linea di principio la richiesta del Lussemburgo che la sua agricoltura possa godere di un regime speciale in seno al mercato comune (non va dimenticato che Bech è anche Ministro della Viticoltura).

I tedeschi non hanno fatto obiezioni alla cifra di un miliardo di dollari per il capitale sottoscritto del Fondo di investimenti; essi hanno espresso tuttavia le loro riserve circa il progettato contributo dei Governi al Fondo, qualora nei primi anni esso non trovi sufficienti capitali sui mercati.

Per la liberazione della mano d’opera i belgi hanno avanzato la proposta di combinare il sistema dell’aumento progressivo dei contingenti con quello del codice O.E.C.E. (riducendo però progressivamente il periodo dopo il quale si può far ricorso alla mano d’opera estera per coprire le vacanze e il numero di anni necessari agli operai immigrati per accedere a qualsiasi impiego).

5. In tutti questi casi, e in molti altri minori, un accordo finale non può sperarsi che all’atto della discussione del progetto di rapporto definitivo.

Questo Ministero si riserva quindi di convocare le Amministrazioni interessate, non appena tale testo sarà stato distribuito, per concordare le istruzioni finali, da darsi al Delegato italiano.


1 L’appunto non è datato. Trasmesso da Ducci (Telespr. 44/04388/c. del 17 marzo) agli stessi destinatari di cui al D. 84, nota 1.


2 Vedi D. 166.


3 A Venezia nei giorni 29 e 30 maggio, vedi D. 178.


4 Vedi D. 132.

152

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. urgente 03. Bruxelles, 10 marzo 1956.

Oggetto: Colloquio con Spaak.

Ho visto Spaak stamane; contrariamente all’usato, l’ho trovato piuttosto depresso e di malumore. Me lo ha confermato egli stesso dicendomi che tutto il quadro poco lieto degli ultimi eventi internazionali che si sono accumulati l’un sull’altro in questi ultimi giorni (le dichiarazioni di Pineau ai giornalisti anglo-americani; la tensione crescente nel Vicino Oriente fra arabi e Israele e il congedo del Generale Glubb; la situazione nel Nord-Africa che pone ancora una volta la Francia in una crisi interna ed esterna di estrema gravità; il rincrudirsi della questione di Cipro, specie dopo la «imprudente» deportazione del Metropolita Makarios) lo ha reso «scoraggiato e perplesso». Tutta la paziente opera di consolidamento delle posizioni occidentali, il Patto atlantico, gli sforzi verso l’avviamento di una più vasta integrazione europea, ne subiscono una scossa quanto mai grave. Il credito dei paesi occidentali di fronte alle tendenze «neutralistiche» di tanti paesi si indebolisce ancor maggiormente a tutto vantaggio della politica sovietica. Se le cose dovessero continuare di questo passo, egli ha concluso, vi sarebbe davvero da disperare.

Per quanto riguarda in particolare le dichiarazioni di Pineau, Spaak ha avuto un giudizio assai severo: «è stato tutto un discorso non costruttivo, senza orientamento, inquietante; anche a voler riconoscere che molte delle considerazioni e delle critiche da lui fatte siano giuste e fondate, non si può essere d’accordo con Pineau nel buttarne tutta la responsabilità, e quasi la colpa, sui suoi alleati tacendo quelle non meno gravi della stessa Francia e sopratutto sul modo che egli ha scelto per il suo intervento». Se rettifiche vi sono da fare, ed egli Spaak ne conviene, non è certo la via migliore quella di sciorinare ai quattro venti una così delicata materia, cogliendo di sorpresa i propri associati. «Non si coordinano così le politiche». E anche se taluni temperamenti alle dichiarazioni anzidette sono successivamente venuti da parte di Mollet e dello stesso Pineau, il danno delle prime impressioni non viene con ciò annullato nell’opinione pubblica internazionale e nel giuoco politico degli avversari dell’Occidente.

Spaak ritiene perciò necessario di approfittare della prossima riunione del N.A.T.O. per chiedere a Pineau di chiarire il suo pensiero, le sue intenzioni e la posizione della Francia e di discutere in seno a tutti gli alleati sul complesso della politica dell’Occidente. Egli si propone di prendere la parola su tale argomento e di far chiaramente presente, ancora una volta – e se necessario con maggiore fermezza che nel passato – che nell’Alleanza atlantica, e in tutto il complesso delle grandi questioni internazionali, «ci sono – sì – i grandi paesi e i loro interessi, ma ci sono anche (e non meno impegnati e non meno sensibili a tali problemi) i paesi minori e i loro interessi».

A proposito delle dichiarazioni di Pineau e in contrasto con esse, Spaak ha rilevato con compiacimento quanto siano state invece ponderate e costruttive (pur nel concetto di un aggiustamento e di una estensione del campo d’azione dell’Alleanza atlantica e della politica occidentale) le dichiarazioni e l’opera svolta dal Presidente della Repubblica Gronchi e dal Ministro degli Affari Esteri Martino durante il recente viaggio negli Stati Uniti. E a tale proposito avendogli io posto nuovamente la necessità di dare vita e contenuto all’art. 2 del Patto, l’ho trovato questa volta più chiaramente consenziente di quanto non lo sia stato in passato.

«Di questi problemi, ha concluso Spaak, sarò molto lieto di poter discorrere con l’On. Martino in occasione della riunione del N.A.T.O. e della sua visita a Bruxelles».

153

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 0519/3461. Parigi, 16 marzo 1956.

Oggetto: Statuto di Euratom. Posizione del Commissariato francese per l’energia atomica sui punti controversi.

Riferimento: Telespressi di codesto Ministero n. 44/02806/c. del 20 febbraio2, n. 44/2974/c. del 21 febbraio3, n. 44/03003/31 del 23 febbraio u.s.4 e n. 44/03612 del 2 marzo corr.5.

Gli appunti cortesemente inviatimi da codesto Ministero sulla recente riunione di Bruxelles dei Capi delle Delegazioni governative alla Conferenza sull’integrazione europea, precisano che i punti controversi su Euratom concernono principalmente: 1) i limiti al diritto di ciascun paese membro di poter fabbricare per proprio conto armi atomiche; 2) i poteri della Commissione europea in materia di approvvigionamenti e di distribuzione agli utilizzatori delle materie prime e dei combustibili nucleari, e la possibilità per i paesi membri di acquistare i materiali fissili all’estero senza o per il tramite della Commissione; 3) il sistema di controllo dell’impiego delle materie prime e dei combustibili nucleari; 4) i criteri su cui impostare il bilancio della Commissione europea.

Dato che il parere dell’organo tecnico competente non potrà non influenzare l’atteggiamento del Governo francese sulle varie questioni in discussione, ho ritenuto opportuno interpellare in proposito il Commissariato per l’energia atomica.

Il Direttore aggiunto per le relazioni estere, Renou, ha fatto le seguenti precisazioni circa la posizione del Commissariato sui punti controversi:

1) Il Commissariato resta fermo sul principio che ciascun paese membro di Euratom, tranne la Germania (vincolata al disarmo atomico dagli accordi di Parigi), deve conservare il pieno diritto di fabbricare per proprio conto armi atomiche, senza che il diritto stesso venga subordinato al consenso di altri membri o dell’intera Comunità: le proposte presentate al riguardo nell’ultima riunione dei Delegati governativi a Bruxelles (v. appunto ministeriale 44/03612) e sulle quali Gaillard espresse le sue riserve, non sono, quindi, per il Commissariato, nel loro insieme accettabili. Renou ha confermato che a partire dal 1959 la Francia potrà disporre del quantitativo di plutonio sufficiente per iniziare un programma di costruzione di bombe atomiche, implicante una spesa che non può considerarsi insostenibile, dato che verrà ripartita in diversi esercizi finanziari (secondo i calcoli approssimativi del Commissariato, che confermano – del resto – un’informazione datami da un alto funzionario del Quai d’Orsay, la spesa si aggirerebbe tra i 50 ed i 100 miliardi di franchi). È superfluo aggiungere che una proposta, del resto di scarsa portata pratica, tendente a limitare la rinuncia dei paesi membri alla fabbricazione di armi atomiche ad un breve periodo iniziale, sarebbe accettabile per il Commissariato se questo periodo coincidesse, più o meno, con quello necessario per perfezionare i procedimenti tecnici e per costruire l’attrezzatura adatta alla realizzazione del programma militare nucleare francese.

2) Il criterio che gli utilizzatori (sia gli Stati che i privati) di materie prime e combustibili nucleari debbano necessariamente passare, per il loro approvvigionamento, attraverso la Commissione europea, sembra al Commissariato preferibile rispetto a qualsiasi altro. La Commissione dovrebbe, quindi, avere il monopolio di acquisto di tutte le materie prime e dei combustibili prodotti nei paesi membri e su quelli da importare dall’estero per completare il fabbisogno europeo, per distribuirli agli utilizzatori, secondo le esigenze di quest’ultimi, o in vendita o in concessione (la distinzione giuridica è, anche per il Commissariato, di scarsa importanza dato che entrambe le forme implicherebbero le stesse misure di controllo). Pertanto gli approvvigionamenti che un paese membro volesse fare fuori della Comunità euratomica dovrebbero effettuarsi per il tramite della Commissione stessa e dovrebbe, perciò, escludersi qualsiasi contratto diretto tra gli utilizzatori e il paese produttore che non è membro di Euratom (è evidente che, con questa tesi, si mira a creare un sistema che possa raffrenare e controllare lo sforzo atomico della Germania).

Circa la riserva, avanzata da Gaillard a Bruxelles (v. appunto ministeriale n. 44/2974/c.) di assicurare ai paesi produttori di minerali una certa priorità sui minerali stessi in caso di penuria, il Commissariato ritiene che la Francia deve insistere nella sua richiesta per ragioni di principio; tuttavia la riserva non dovrebbe avere pratiche conseguenze in quanto è da prevedere che fino al 1960 non vi sarà scarsità di materie prime e di combustibili, dato che le disponibilità di uranio che il mercato internazionale offrirà (specie negli Stati Uniti e nel Canada) saranno tali da poter integrare, ove occorrerà, la produzione della Comunità euratomica e soddisfare il fabbisogno totale della Comunità stessa, tanto più che tale fabbisogno, nella fase iniziale, non potrà raggiungere, per forza di cose, grandi proporzioni. Dopo il 1960 la Comunità dovrebbe disporre di tutto il minerale del Congo e il problema della penuria dovrebbe considerarsi risolto. Se, però, Euratom non dovesse avere la piena disponibilità dell’uranio belga dopo il 1960 (cioè se non si dovesse raggiungere quello che per il Commissariato è un obiettivo essenziale della cooperazione a Sei), la Francia non potrebbe accettare un razionamento indiscriminato per tutti i paesi membri, in caso di congiuntura sfavorevole, ma dovrebbe riservarsi la piena disponibilità di una percentuale della sua produzione (questa tesi, del resto, è già stata sostenuta da Gaillard a Bruxelles).

3) Non si può non ammettere in principio, riconosce il Commissariato, che Euratom debba perseguire scopi esclusivamente pacifici e che a tal fine la Commissione europea debba controllare l’impiego delle materie prime e dei combustibili nucleari attraverso le diverse fasi di lavorazione e trasformazione. Tuttavia il sistema di controllo deve potersi conciliare con il diritto dei singoli Stati membri (eccetto la Germania) di impiegare l’energia atomica a scopi militari. Per questo problema piuttosto complicato, data la riluttanza degli Stati Maggiori a sottoporre i loro piani ad un sistema di controllo europeo, il Commissariato prospetta due soluzioni:

a) ciascuno dei cinque Stati membri interessati dichiara alla Commissione qual è, nel suo complesso, la quota di materie prime e di combustibili di cui ha bisogno per il proprio programma nucleare militare: tale quota è sottratta al controllo della Commissione, il quale invece viene applicato sui procedimenti di impiego del resto dei materiali da essa forniti. Questo sistema avrebbe la conseguenza pratica di sottoporre ad un controllo illimitato la sola Germania, la quale, vincolata dagli accordi di Parigi, non potrebbe denunciare alla Commissione un proprio fabbisogno militare. Per gli altri paesi il controllo perderebbe molto della sua importanza perché si applicherebbe sui contingenti che i paesi stessi espressamente destinerebbero a scopi pacifici, e il sistema potrebbe soltanto servire per una valutazione comparativa, ma generica, della portata e degli sviluppi dei diversi programmi militari nazionali. Non sarebbe certo facile, perciò, dimostrare (specie agli americani) che con questa soluzione Euratom conserverebbe un esclusivo carattere pacifico o convincere i tedeschi ad accettare che il principio del «contrôle sans fissures» venga applicato solo ai loro danni. Pertanto il Commissariato ha già pronta la soluzione di ricambio.

b) Il controllo della Commissione non dovrebbe esercitarsi sulle materie prime e sui combustibili che vengono utilizzati nel paese stesso che li ha prodotti. Questo criterio, fa rilevare Renou, non deve confondersi con quello di limitare il monopolio di acquisto della Comunità solo a quella parte di minerale che eccedesse il fabbisogno nazionale dei paesi produttori. Questo monopolio, secondo il Commissariato, deve essere mantenuto, e non si può concedere ai paesi produttori la facoltà di riservarsi una quota della loro produzione in relazione ad esigenze non sempre facilmente valutabili. Tuttavia, anche con il sistema del monopolio comune di acquisto, il ritrasferimento da parte della Commissione europea ai singoli paesi della loro produzione, o di parte di essa, si concreterebbe in una «partita di giro» che potrebbe bene servire a «chiffrer» i limiti entro cui il controllo della Commissione sull’impiego e la trasformazione della materie prime e dei combustibili non debba essere esercitato. Con questo sistema la Francia potrebbe praticamente destinare la sua produzione nazionale (che per ora è sufficiente per il funzionamento delle centrali atomiche previste dal piano triennale ed in corso di realizzazione) al suo programma militare nucleare, utilizzando liberamente il plutonio di Marcoule per la fabbricazione di bombe atomiche.

Per sostenere questa soluzione il Commissariato deve essere giunto evidentemente alla conclusione che la Germania avrà una produzione di uranio non impressionante e, comunque, inferiore a quella della Francia. Conseguentemente i tedeschi (a parte il divieto imposto loro dagli accordi di Parigi e il controllo che potrebbe esercitare al riguardo l’Agenzia degli armamenti dell’U.E.O.) potrebbero, invocando la parità di trattamento in seno ad Euratom, sottrarre al controllo della Commissione soltanto un settore assai limitato, che non offrirebbe la possibilità di rovesciare a favore della Germania la superiorità di fatto conseguita dalla Francia. La soluzione, tuttavia, implicherebbe teoricamente la possibilità per il Belgio di poter impiegare, senza il controllo della Commissione, la sua enorme produzione di uranio. Ma questa possibilità troverebbe un insormontabile ostacolo pratico nel fatto che solo una minima parte dell’uranio grezzo congolese potrebbe essere trasformata per l’impiego nella reazione e quindi «lavorata» nel Belgio stesso. Quando questo paese avrà la sua «infrastruttura» atomica (di cui adesso manca completamente), tale infrastruttura avrà una capacità limitata e, in ogni caso, non raggiungerà – almeno qui si ritiene o si spera – le dimensioni di quella francese (per la Germania sarà invece, molto probabilmente, il contrario). Ora, l’uranio del Congo che non fosse lavorato o trasformato, e quindi prodotto in quanto combustibile, nel Belgio, dovrebbe essere acquistato dai belgi alle stesse condizioni del combustibile di altra provenienza e dovrebbe essere sottoposto al controllo della Commissione. La formula del Commissariato, pertanto, se correttamente interpretata, ridurrebbe in termini accettabili, per la Francia, il rischio dell’impiego incontrollato, da parte belga, dell’uranio congolese (in ogni caso il rischio non sarebbe tanto grave rispetto al vantaggio che conseguirebbe la stessa Francia verso la Germania e gli altri paesi associati poveri di materie prime). I1 sistema, comunque, sarebbe basato su una sperequazione di fatto che intaccherebbe, alla sua base, il principio del controllo paritario nell’ambito della Comunità.

4) Per quanto concerne la ripartizione del contributo che dovrebbero apportare i paesi membri al bilancio comune, il Commissariato ritiene sia preferibile applicare un sistema forfettario anziché un sistema basato sul consumo generale di energia dei singoli Stati.

Data la complessità dei problemi, i chiarimenti sommari che Renou ha potuto darci sulla posizione del Commissariato sono, naturalmente, incompleti ed insufficienti: tuttavia possono offrire qualche utile indicazione circa l’atteggiamento che assumerà alle prossime riunioni di Bruxelles il Governo francese.

Al riguardo, però, Renou ha voluto precisare che la posizione ufficiale della Francia potrà non coincidere, in alcuni punti, con le tesi del Commissariato in quanto potrà essere influenzata da fattori politici che solo il Governo, e non il Commissariato, è in grado di valutare (ad es. il principio del diritto di ciascun paese a fabbricare armi atomiche potrà ancora essere sostenuto dal Governo francese in forma più «nuancée», nel senso di collegare la rinuncia dei paesi stessi ad un proprio programma nucleare militare con la soluzione del problema generale del disarmo, ecc. ecc.).

Insomma, il Commissariato, se vuole influenzare l’azione governativa nei suoi aspetti sostanziali, non vuole certo sostituirsi in tutto e per tutto nelle questioni atomiche ai Ministri responsabili, lasciando volentieri a quest’ultimi, in esclusiva competenza, il campo dell’ideologia. Se si considera, d’altra parte, da quali premesse Mollet e Pineau sono partiti nei riguardi di Euratom, sia per personale favorevole disposizione verso il programma di Monnet, sia in omaggio ai principi sostenuti dal Partito Socialista, e quali conclusioni, per contro, il Governo francese ha potuto presentare a Bruxelles, si deve pur riconoscere che il Commissariato, nell’orientare la politica atomica francese, sa proprio quello che vuole.


1 Diretto per conoscenza alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E. a Parigi.


2 Vedi D. 132, nota 1.


3 Vedi D. 134, nota 1.


4 Vedi D. 144.


5 Vedi D. 145, nota 1.

154

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

L. 1404. Bruxelles, 19 marzo 1956.

Signor Ministro,

il Signor Spaak mi ha oggi rimesso l’acclusa lettera, relativa alle riunioni del «Comitato di Messina», destinata a V.E.

Mi fo premura di inviargliela, e resto in attesa delle istruzioni eventuali per la risposta a questo Ministro degli Affari Esteri1.

Voglia gradire, Eccellenza, gli atti del mio profondo ossequio e dei miei devoti sentimenti.

M. Scammacca

Allegato

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DEL BELGIO, SPAAK,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

L. Bruxelles, 15 marzo 1956.

Mon cher collègue,

Je me propose de réunir les Chefs de délégation les 18, 19 et 202 avril prochain pour leur soumettre le texte écrit du rapport qu’ils doivent remettre aux Ministres des Affaires Étrangères. J’espère que durant ces trois jours les Chefs de délégation pourront se mettre d’accord sur un rapport unanime avec peut-être l’une ou l’autre réserve.

Une étape importante sera dès lors franchie.

Je ne crois pas qu’il soit nécessaire de réunir les Ministres des Affaires Étrangères uniquement pour leur remettre le rapport. Ce serait leur demander un déplacement inutile. Si cela rencontre votre approbation, je me propose donc de vous envoyer directement le document en vous priant de le faire étudier par vos Gouvernements respectifs.

Je propose que le rapport soit publié au moment où il vous sera remis. Il est évident qu’il est très difficile et d’ailleurs inutile de conserver un caractère secret à un pareil document qui circulera dans les différentes Administrations de nos différents pays. Plutôt que de courir le risque de certaines indiscrétions partielles, je pense qu’il vaut mieux procéder à une large publication volontaire.

Il me semble qu’il faudrait donner aux Gouvernements un délai de 4 à 5 semaines pour procéder à l’étude du rapport. Ce délai écoulé, je crois qu’il serait utile qu’une conférence ait lieu afin d’examiner quelle est l’étape suivante qui pourrait être franchie. Cette réunion ministérielle devrait être tenue vers le 20 mai3. Ceci me paraît la date ultime, étant donné qu’il y aura aux Pays-Bas des élections dans la première quinzaine de juin.

Je vous serais reconnaissant de vouloir bien me faire savoir ce que vous pensez de ces différentes suggestions et si je puis prendre les dispositions nécessaires pour les mettre en œuvre.

Veuillez croire, mon cher Collègue, à mes sentiments les meilleurs et les plus dévoués.

P. H. Spaak


1 Per il seguito vedi D. 159.


2 Vedi D. 166.


3 Si tenne, in realtà, il 29-30 maggio: vedi D. 178.

155

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

L. 1406. Bruxelles, 19 marzo 1956.

Caro Magistrati,

a proposito della visita che S.E. il Ministro Martino farà nei primi di maggio a Bruxelles1, ho già avuto come sai alcuni scambi di vedute col Ministro Spaak per quanto riguarda gli argomenti che potranno essere discussi.

Per meglio precisare le cose ho anche pregato de Strobel di avere al riguardo una conversazione col Capo Gabinetto del Ministro Spaak, signor Robert Rothschild. Da tali contatti confidenziali sono sorte le seguenti indicazioni:

Anzitutto appare evidente, dati gli eccellenti rapporti personali che intercorrono tra i due Ministri, che non sarà necessario legare le loro conversazioni ad un rigido ordine del giorno, giacché essi vorranno probabilmente passare in rassegna tutti gli sviluppi di maggiore attualità della politica internazionale.

Tuttavia un esame più approfondito potrà essere utilmente dedicato ai seguenti argomenti:

1) Evoluzione del rilancio europeo in tutti i suoi settori (va tenuto conto a tale riguardo che, presumibilmente, l’incontro dei Ministri avrà luogo poco dopo la presentazione da parte di Spaak del rapporto che gli è stato confidato dai Ministri della Conferenza di Messina in materia di Euratom e di mercato comune).

2) Esame della situazione dell’Alleanza atlantica, con particolare riguardo alla necessità di una più approfondita consultazione politica tra le grandi potenze e gli altri alleati in seno al Consiglio Atlantico (concetto a cui, come è noto, Spaak tiene in modo specialissimo) ed agli sviluppi della cooperazione atlantica ai settori economico e culturale, secondo le idee espresse dal Presidente Gronchi e dal Ministro Martino negli Stati Uniti in favore di una vera «Comunità atlantica».

3) Sviluppi dell’attività dell’O.N.U., tenendo particolarmente presente la recente ammissione dell’Italia in tale Organismo ed i problemi sui quali il nostro paese sarà chiamato a prendere posizione. A tale proposito è probabile che da parte belga si accennerà ad alcune questioni che stanno loro molto a cuore: per esempio, la stretta collaborazione fra i paesi dell’Europa Occidentale in seno all’O.N.U. e la possibilità dell’adozione di una loro politica comune in materia coloniale, con speciale riguardo al Congo Belga.

4) Come ho menzionato più sopra, rassegna dei principali problemi politici di attualità (rapporti tra Est ed Ovest, conflitto arabo-israeliano, crisi di Cipro, ecc.).

Da parte belga ci è stato infine detto che sul piano specifico delle relazioni bilaterali tra l’Italia ed il Belgio non sembra che esistano problemi in sospeso di tale importanza da meritare un esame a livello Ministri. Noi abbiamo tuttavia voluto ricordare che ci sono le note questioni attinenti alla sicurezza dei minatori italiani in Belgio.

È forse anche utile segnalarti che tutte le questioni economiche, sia multilaterali che bilaterali, sono di esclusiva competenza del sig. Larock, Ministro per il Commercio Estero.

Ti sarei grato di farmi sapere se da parte di S.E. vi siano eventualmente delle osservazioni su quanto precede e di farmi anche conoscere, se del caso, se non vi siano per avventura altri argomenti che da parte nostra si desidera inserire nei colloqui.

Con i più cordiali saluti, credimi, caro Massimo

Tuo aff.mo

Michele Scammacca


1 Vedi DD. 163 e 173.

156

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI

L. 0538. Parigi, 19 marzo 1956.

Caro Alberto,

quando ci siamo visti a Roma, ci eravamo trovati d’accordo sull’opportunità di dare alla visita del Presidente della Repubblica a Parigi anche un contenuto di «conversazione politica».

Il mio accenno è stato accolto con molta soddisfazione da parte francese: Massigli mi ha informato ieri che il Presidente della Repubblica ha dato la sua adesione. La procedura non è ancora fissata nei suoi ultimi dettagli, ma, in sostanza, è prevista in questo modo: i due Ministri degli Esteri – probabilmente con intervento anche del Presidente del Consiglio – si incontreranno prima della colazione intima dell’ultimo giorno: la conversazione sarà continuata durante la colazione ed eventualmente anche dopo.

Con Massigli abbiamo anche parlato degli argomenti di questa conversazione. E senza naturalmente escludere niente, lasciando quindi posto non solo ad eventuali desideri nostri e francesi, ma anche ad «improvvisazioni dell’ultimo momento», siamo rimasti d’accordo che tre argomenti vanno senza dubbio trattati:

1) Politica atlantica e messa in applicazione dell’art. 2. Su questo punto, sostanzialmente, non c’è una grande differenza fra le idee italiane e le idee francesi. Si tratterebbe sopratutto di vedere che cosa possiamo fare insieme – e naturalmente in collaborazione con altri – perché queste nostre idee abbiano una realizzazione pratica. Evidentemente la sede per spingere tutto questo è la Comunità atlantica: ma Massigli pensa – ed io sono della sua stessa opinione – che non basta parlarne periodicamente nelle riunioni atlantiche o discuterne fra i rappresentanti: bisogna spingere anche al di fuori e con altri mezzi. Per esempio noi l’abbiamo fatto con il viaggio del Presidente della Repubblica negli Stati Uniti. Sarebbe quindi utile, credo, non soltanto una confrontazione delle nostre idee, ma anche una confrontazione e, in certi limiti, una coordinazione delle nostre possibilità.

2) Problemi del Medio Oriente. L’urgenza di questi problemi è tale che non c’è bisogno di commenti.

3) Integrazione europea e Euratom. Questo pure è un argomento su cui bisogna cominciare ad avere una franca spiegazione coi francesi al di fuori delle nebbie delle differenti istanze che si occupano, in teoria, di questo affare.

Sul mercato comune, come tu sai, non c’è assolutamente niente da fare qui. L’Euratom sarebbe una possibilità: ma io intravvedo un gravissimo pericolo: questo, è la divisione del campo europeistico in varie scuole: c’è chi la vuol fare in una certa maniera o niente, e così via. Bisognerebbe cercare di portare questo argomento un po’ sul terreno della realtà.

Questo per quello che riguarda, diciamo così, Presidenza della Repubblica. Ma per quello che mi concerne, io sono piuttosto dell’opinione che l’aspetto politico di questa visita dovrebbe essere anche maggiormente accentuato. Noi siamo, come ti ho già detto, in debito coi francesi di una visita del Ministro degli Esteri (Bidault) e di una visita del Presidente del Consiglio (Mendès-France). Il Presidente della Repubblica francese, a quanto mi risulta, ha intenzione di restituire la sua visita presto. Non bisogna quindi esagerare e mi sembra che sarebbe fuori posto introdurre fra questi due avvenimenti una visita ufficiale del Ministro degli Esteri o del Presidente del Consiglio o di tutti e due. D’altra parte è bene, credo, che continuiamo a mantenere i contatti anche con i francesi. Ora mi sembra che prima della conversazione in presenza dei due Presidenti della Repubblica si potrebbero avere una o due prolungate conversazioni del Ministro Martino con il Ministro Pineau1. In questa maniera si potrebbero trattare tutti gli argomenti che possono essere utili e si otterrebbe, nel campo della politica estera, l’incontro. Ti prego di farmi sapere al più presto le vostre idee su questo argomento.

Ti prego di credermi

Tuo aff.mo

P. Quaroni


1 Vedi DD. 170 e 172.

157

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

Appunto. Roma, 20 marzo 1956.

Dal 13 al 16 marzo corrente ha avuto luogo a Bruxelles la Sessione straordinaria dell’Assemblea Comune della C.E.C.A., il cui ordine del giorno era consacrato all’esame dei progressi finora compiuti dal «rilancio europeo» ai termini ed in continuazione delle decisioni prese nel dicembre 1954 e maggio 1955 dalla stessa Assemblea.

Di particolare rilievo è stato, anzitutto, l’intervento del Ministro Spaak il quale ha fatto una relazione ampia ed esauriente – sulla linea di quella da lui presentata poco tempo prima agli altri cinque Ministri degli Esteri riuniti a Bruxelles1 – circa lo stato di avanzamento dei lavori del Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina, del quale egli stesso è Presidente.

All’esposizione Spaak ha fatto seguire un accenno, abbastanza chiaro, circa l’opportunità che l’Assemblea Comune non concludesse i suoi lavori dettando norme troppo rigide per l’attuazione della integrazione economica europea, affinché non si producesse l’inconveniente, già apparso nel caso della nota risoluzione Monnet, che l’elasticità di negoziato dei sei Governi, quando essi si riuniranno per la redazione del Trattato, sia troppo ridotta e non permetta quindi di raggiungere ragionevoli soluzioni di compromesso.

La discussione dell’Assemblea è stata ampia e numerosi sono stati gli interventi, sia come espressione del pensiero e dei desideri dei gruppi politici, sia come espressione dei singoli interessi nazionali.

Mercato comune.

Circa il mercato comune le conclusioni raggiunte dall’Assemblea sono raccolte in una risoluzione approvata a larga maggioranza da tutti i gruppi (allegata in copia)2. Essa riafferma la necessità dell’istituzione del mercato comune, progressiva e irreversibile, accompagnata dalla parallela armonizzazione delle politiche economica, sociale, monetaria e fiscale dei paesi membri. Per quanto riguarda le istituzioni, si limita saggiamente a sottolineare che esse debbono essere dotate di poteri sufficienti per tradurre in atto, sotto un controllo democratico, i principii che sono alla base del mercato comune.

Si può dire in sostanza che la risoluzione concernente il mercato comune ha tenuto conto largamente e elasticamente dei risultati raggiunti finora dai lavori di Bruxelles, delle incertezze che colà ancora permangono e del monito di prudenza contenuto nel discorso di Spaak.

Il gruppo socialista peraltro non ha ritenuto sufficienti i termini della risoluzione comune concordati con gli altri gruppi ed ha emanato, alla fine dei lavori, un comunicato-stampa nel quale si sottolineano in maniera più spiccata alcuni principii:

a) necessità di armonizzazione delle politiche economica, finanziaria e fiscale;

b) responsabilità comune dei paesi membri per le ripercussioni sociali del mercato comune;

c) necessità che l’Autorità, che presiede al mercato comune, sia fornita di poteri sufficienti ed impegnata a realizzare una politica di progresso sociale, che non è una automatica conseguenza dell’istituzione del mercato comune stesso;

d) necessità che il nuovo organismo sia dotato di effettivi poteri.

Integrazione dell’energia nucleare.

In questo argomento, nonostante gli sforzi fatti e gli innumerevoli tentativi di raggiungere un compromesso, i due principali gruppi, democristiano e socialista, non sono riusciti a mettersi d’accordo sui principii cui dovrebbe informarsi l’integrazione nel settore dell’energia atomica.

I punti principali di dissidio sono stati i seguenti:

1) Il gruppo democristiano ha sostenuto che l’impiego della energia atomica a fini militari dovrebbe avvenire solo sotto forma comunitaria tra gli Stati firmatari, in virtù di una decisione presa all’unanimità.

Il gruppo socialista ha invece ricordato che uno degli obiettivi socialisti è il disarmo generale controllato, ha ritenuto che l’utilizzazione dell’energia atomica in seno alla Comunità europea da costituirsi debba essere esclusivamente indirizzata a fini pacifici, con l’unica riserva – peraltro di scarso valore pratico – che ciò non debba pregiudicare l’esecuzione degli impegni internazionali attualmente in vigore.

2) Il secondo punto di dissidio è rappresentato dal problema della proprietà dei combustibili nucleari: i socialisti ritengono che debba essere esclusivamente della Comunità europea e «disapprovano l’abbandono agli interessi privati di un settore in cui l’interesse collettivo è preponderante». I democristiani, pur senza farne cenno espresso, hanno ritenuto che i poteri della Comunità debbano essere essenzialmente di controllo sulla destinazione ed uso dei combustibili nucleari, ma che parte importante debba essere fatta, nello sviluppo dell’energia nucleare, all’iniziativa privata. I due gruppi, constatato il disaccordo, hanno consacrato le loro rispettive posizioni in due dichiarazioni, allegate in copia2, e nessuna risoluzione è stata votata dall’Assemblea.


1 L’11 e 12 febbraio, vedi D. 132.


2 Gli allegati non si pubblicano.

158

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 1593/9121. Londra, 22 marzo 1956.

Oggetto: Europa. Atteggiamento inglese nei confronti dell’europeismo.

Ho letto con molto interesse il rapporto dell’Ambasciatore Quaroni (n. 344/231 del 23 febbraio 1956)2 sull’evoluzione dell’europeismo francese e sulle cause politiche che lo determinano e lo regolano. Penso che possa essere di qualche utilità riassumere ancora una volta e definire più dettagliatamente quella che è la posizione britannica riguardo a questo problema.

Come l’europeismo francese ha le sue radici nella storia francese e nella tradizionale esigenza di trovare delle garanzie verso la Germania, così per comprendere e valutare rettamente la posizione britannica occorre egualmente richiamarsi ad una politica secolare e ad una mentalità qui profondamente radicata.

È da tener presente innanzitutto che lo sviluppo storico della Gran Bretagna si differenzia sensibilmente da quello dei paesi continentali per le seguenti ragioni.

1. La dominazione romana vi è durata per un periodo relativamente breve e non vi ha potuto lasciare tracce profonde. Nel continente invece, malgrado tutti gli eventi successivi, l’Impero ha lasciato un substrato unitario che è durato per secoli anche dopo la sua scomparsa, e per lungo tempo gli stessi capi degli Stati che si andavano costituendo hanno continuato – uniti anche dal comune vincolo religioso cattolico – a considerarsi come parti di un tutto. La Germania non aveva fatto parte dell’Impero Romano, ma ne aveva a tal punto sentito l’attrazione che pretese assumerne l’eredità politica. L’Inghilterra non fece mai parte del Sacro Romano Impero di nazione germanica.

2. Le stesse lotte per l’egemonia continentale possono ricondursi ad una inconscia aspirazione a ricostituire l’unità dell’Europa; ma ad un certo momento esse si confusero con le lotte di religione; la Chiesa cattolica era allora il nemico numero uno dell’Inghilterra che vedeva in Francia e Spagna, alternativamente o congiuntamente, un pericolo costante per la propria sicurezza. Data da allora l’inizio di una politica continentale inglese diretta ad impedire l’affermarsi di una potenza egemonica sul continente, mentre la frattura con il Vaticano aveva estraniato questo paese dal mondo cattolico e dai valori universali che questo rappresentava.

3. Lo sviluppo delle comunicazioni e i progressi della scienza, anche nel campo militare, non erano giunti, sino al secolo scorso, al punto da dare alla Gran Bretagna la sensazione che la sua insularità potesse essere seriamente minacciata dal continente. L’orgoglioso tentativo della «Invincible Armada» e i piani napoleonici di invasione erano stati sventati senza uno sforzo eccessivo: l’Europa, con i conflitti che l’avevano dilaniata dal XVI secolo in poi, appariva agli inglesi come un complesso di Stati e di nazionalità destinati ad essere divisi da continui contrasti e che pertanto mai avrebbero potuto giungere ad associarsi in forme durevoli di unione. Sia perché un simile stato di cose corrispondeva agli stessi interessi britannici, sia in virtù di tale giudizio eminentemente scettico sulle possibilità di processi unitari più o meno parziali sul continente, questa opinione pubblica è tuttora influenzata da un misto di diffidenza e di scetticismo – che è appunto una eredità dei secoli passati – nei riguardi di qualsiasi tendenza all’integrazione che si manifesti in Europa.

4. Limitandosi pertanto a combattere, soprattutto con un abile giuoco di alleanze, i tentativi di supremazia – e quindi di unione, sia pure con la forza – continentale l’Inghilterra ha cercato una propria forma di universalità spingendosi «beyond the seas» e costituendo il più vasto impero coloniale del mondo moderno. Abbandonata ogni anche modesta rivendicazione territoriale sul continente, la sua politica nei confronti dell’Europa mirò più a proteggersi le spalle che a mantenervi conquiste o a cercarvi egemonie.

Accanto a queste premesse storiche più o meno presenti consciamente alle menti degli inglesi, influiscono negativamente, nei confronti dei progetti di unione europea, anche fattori di ordine costituzionale per cui ogni diminuzione o limitazione dell’assoluta sovranità delle istituzioni britanniche fondamentali – la Corona e il Parlamento – è male accetta all’inglese medio.

Questo è, riassunto per sommi capi, lo sfondo storico e psicologico su cui bisogna vedere e considerare l’atteggiamento britannico sul quale naturalmente influiscono anche fattori politici ed economici attuali e contingenti. In realtà la politica britannica verso l’Europa in questo dopoguerra è stata, e più ancora è apparsa, ambigua perché ha cercato di conciliare tutta una serie di esigenze contrastanti.

Dopo l’ultima guerra l’Inghilterra ha ancor più pienamente compreso quanto le sia necessario un antemurale che la difenda dalle offese della maggiore potenza militare continentale. Con le nuove micidiali armi è fin troppo ovvio l’interesse britannico di avere la linea difensiva del mondo libero spostata il più ad oriente possibile. A questo motivo della sicurezza e delle esigenze militari – che ha un peso determinante – si è ispirata la politica britannica di questo dopoguerra col Patto di Dunkerque, l’accessione al Patto atlantico, l’appoggio del riarmo tedesco, l’appoggio alla C.E.D. e finalmente la creazione dell’U.E.O.

Ma per quanto importanti siano le esigenze di sicurezza per l’Inghilterra, essa non osa e forse non può spingersi sino a far propri i progetti di unione europea. Da un lato vi è anche qui quella che può definirsi la vischiosità della politica estera britannica, che per secoli ha mirato ad evitare che si formasse in Europa un blocco continentale suscettibile di turbare l’equilibrio di potenza, cardine della politica britannica. Una mentalità così profondamente radicata non può mutare completamente da un anno all’altro, anche se le premesse su cui si basava sono mutate. Dall’altro vi è l’esigenza di mantenere una propria autonomia politica, dato che questo paese è anche il centro del Commonwealth e dell’Impero e sotto questo aspetto si differenzia da ogni altro Stato europeo. Da ciò deriva quello che è l’atteggiamento lineare e fondamentale inglese: collaborazione sul piano interstatale ma non associazione a quei progetti europeistici che abbiano anche lontanamente un contenuto sopranazionale.

In sostanza gli inglesi dicono agli europei: non è vero che noi vogliamo tenerci lontani dalla collaborazione con voi, solo ve la vogliamo dare in certe forme, più consone alla nostra mentalità e ai nostri interessi. Noi anche siamo buoni europei: abbiamo favorito il sorgere dell’O.E.C.E. e dell’E.P.U.; siamo il paese che a costo di notevolissimi sacrifici finanziari mantiene le maggiori forze corazzate in Europa; non ci potete chiedere di più. Cosa sarebbe oggi, essi continuano, la difesa dell’Europa senza le truppe americane, britanniche e canadesi? E quando sono in vena di maggiore franchezza, osservano che essi non hanno fiducia in legami politici più profondi e impegnativi di una alleanza con paesi la cui struttura politica è debole perché minacciata dagli estremismi di sinistra e di destra. Alla osservazione che una loro partecipazione più intensa ed attiva all’edificio politico europeo potrebbe recare un contributo positivo non indifferente, gli inglesi rispondono che gli europei debbono prima di tutto mettere a posto le loro case con le loro forze senza contare sull’aiuto esterno per risolvere i loro mali di carattere sociale. (Forse non c’è nulla nei paesi continentali che impressioni più sfavorevolmente l’inglese medio – sia laburista che conservatore – dei contrasti tra ricchezza degli uni e povertà degli altri che ancora esistono in molti paesi europei).

L’apporto che danno alla difesa e al benessere economico dell’Europa sembra ai britannici di maggior valore che non i per loro nebulosi progetti di federazione europea nei confronti dei quali si aggiunge, a quelli già ricordati, un altro motivo di diffidenza: quello verso le costituzioni rigide e scritte.

Questo è il pensiero dell’inglese medio che si ripercuote, con diverse sfumature, sull’atteggiamento dei due maggiori partiti. Atteggiamento nel quale si riflette da un lato un senso orgoglioso della solidità del proprio edificio politico, che superò anche la prova durissima dell’ultima guerra – mentre gli europei proprio da quella esperienza trassero la convinzione che gli Stati nazionali non sono più sufficienti alle esigenze dei nostri tempi; dall’altro, una forse inconscia sfiducia nella funzione di primo piano che l’Inghilterra potrebbe svolgere nei confronti di una Europa unita e nell’influenza che in ogni campo vi potrebbe esercitare.

In realtà gli inglesi non si sentono né così deboli da dover più strettamente unirsi agli Stati europei, né così forti da assumere risolutamente una funzione di guida in una federazione europea e nello stesso tempo continuare a svolgere la loro funzione politica nel mondo. È sui suoi legami politici ed economici con l’Asia, è su una politica di incoraggiamento e di appoggio, per unire a sé più saldamente i popoli di colore, politica soprattutto attiva, oggi, nell’Africa, che la Gran Bretagna fonda la sua azione per mantenere la propria posizione nel mondo. Solo da una politica lungimirante in Asia e in Africa, si pensa qui, quale praticata nell’attuale fase di sviluppo del Commonwealth, possono venire alla Gran Bretagna reali benefici di ordine politico ed economico.

Vi è anche un altro elemento che condiziona le relazioni tra la Gran Bretagna ed i paesi continentali, ed esso è dato dai rapporti della Gran Bretagna con gli Stati Uniti. In primo luogo Londra tende a mantenere con Washington rapporti più intimi che qualsiasi altro paese. Gli inglesi non vogliono fondersi nell’Europa per timore che, in tale eventualità, gli americani possano più facilmente soppiantare l’influenza inglese, con la loro, nel resto del mondo.

Non mi sembra il caso di ricordare la storia delle varie fasi della politica britannica verso l’Europa in questo dopoguerra. Chi volesse studiarla potrebbe rifarsi all’ottimo ed obiettivo studio redatto dal «Royal Institute of International Affairs» recentemente pubblicato sotto il titolo «Britain in Western Europe»3. Ciò che mi preme di mettere in luce è la situazione attuale e le prospettive della futura politica europea della Gran Bretagna. Dopo il fallimento della C.E.D., sostenuta, senza simpatia ma per puro calcolo politico, come formula per assicurare il necessario riarmo tedesco, si è giunti, attraverso l’intervento determinante della diplomazia inglese, alla creazione dell’U.E.O., che è un compromesso tra l’atlanticismo e l’europeismo, con il quale i paesi continentali abbandonarono in pratica – per il momento almeno – il loro federalismo (malgrado il noto Preambolo) e la Gran Bretagna, per parte sua, accettò che – per quel che riguarda il mantenimento delle forze armate sul continente – il principio dell’assoluta sovranità nazionale venisse limitato.

In sostanza gli inglesi si sentono tanto più incoraggiati nel loro atteggiamento in quanto ritengono che i fatti abbiano dimostrato che, sul piano politico-militare, i paesi della «piccola Europa» da soli sono stati incapaci di realizzare alcunché di concreto. Quel poco che si è fatto con l’U.E.O. appare invece dovuto unicamente all’opera del Governo britannico.

Questo l’atteggiamento britannico, queste le sue cause, queste le sue prospettive.

Che cosa quindi, c’è da chiedersi, possono fare i paesi europei di fronte all’atteggiamento inglese? Dimostrare innanzitutto con i fatti che in certi settori le istituzioni di carattere sopranazionale sono utili ed efficaci. Con l’unica sinora realizzata, la C.E.C.A., la Gran Bretagna ha istituito dei rapporti di associazione. Ora sono sul tappeto l’Euratom e il Mercato Comune europeo. Verso la prima l’atteggiamento inglese ha subito una evoluzione in senso positivo; nei confronti della seconda permane un atteggiamento più che riservato e dettato almeno in parte da motivi economici di cui non si può disconoscere la serietà dal punto di vista inglese. Né del resto – se quello che si è esposto nel presente rapporto è l’atteggiamento largamente prevalente – mancano in Inghilterra delle correnti di opinione che ritengono essere fondamentale interesse del loro paese di uscire da questa politica che cerca una componente tra diverse esigenze per assumere un ruolo ed una funzione più decisamente europee.

In questo senso è orientata la stampa liberal-indipendente, il «Manchester Guardian», l’«Economist», l’«Observer» – pubblicazioni di notevole livello, ma che si dirigono più ad una «élite» che a larghi strati dell’opinione pubblica. La pattuglia liberale in Parlamento, così come alcuni deputati dei due partiti (vi è stato anche un federalista laburista, il Mckay), è orientata in senso europeistico. Vi sono, qua e là, dei fermenti spirituali e politici che potranno svilupparsi: ma vi è ancora un ben lungo cammino da compiere.

Se i paesi continentali vogliono contribuire all’evoluzione dell’atteggiamento inglese attuale per portare la Gran Bretagna ad aumentare i suoi legami col continente, l’unica formula che essi possano seguire con qualche speranza di successo è quella di realizzare gradualmente – a sei – delle istituzioni specializzate o dei progetti di cooperazione intereuropei che in pratica si dimostrino utili ed efficaci. Solo l’esperienza può far subire una evoluzione alla politica britannica. Questa evoluzione deve però essere vista come un obiettivo, per quanto è dato prevedere, non immediato: e si commetterebbe, a mio avviso, un grave errore di valutazione se si ritenesse che la politica britannica, a scadenza relativamente breve, potrebbe sostanzialmente mutare.


1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Bonn, Parigi e Washington.


2 Vedi D. 147.


3 Royal Institute of International Affairs, Britain in Western Europe: WEU and the Atlantic Alliance: a report by a Chatham House study group, London, 1956.

159

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,ALLE AMBASCIATE A BONN, BRUXELLES, L’AJA,LUSSEMBURGO E PARIGI

T. 3117/c. Roma, 30 marzo 1956, ore 23.

Per Bonn l’Aja Lussemburgo e Parigi: L’Ambasciatore a Bruxelles comunica in data 29 marzo1 quanto segue:

«Spaak mi prega far sapere a V.E. di aver ricevuto oggi da parte del Governo francese pressante richiesta di affrettare i tempi per conclusione lavori Comitato Messina. Tale premura deriva da impressione Mollet e Pineau che note correnti avversarie in Francia vanno riprendendo loro attività, e dal conseguente desiderio di prevenirle. Per non contraddire buona volontà francese e per facilitare compito Mollet e Pineau, Spaak si proporrebbe di inviare direttamente ai «Ministri di Messina» sotto forma di avanprogetto il rapporto che è attualmente in elaborazione per metterli in grado di studiarlo; e contemporaneamente comunicarlo ai Capi delle Delegazioni che potrebbero riunirsi a Bruxelles il 18, 19 e 20 aprile p.v.2 per mettere a punto il rapporto definitivo, tenendo conto delle osservazioni eventuali dei Ministri interessati.

La riunione dei Ministri pertanto, potrebbe essere convocata a Parigi per il 6 e 7 maggio, subito dopo il Consiglio atlantico. In essa i sei Ministri potrebbero approvare il rapporto conclusivo e prendere le decisioni sui due trattati (Euratom e Mercato Comune). In tal modo si guadagnerebbero circa tre settimane sulla data in un primo tempo proposta da Spaak, tenendo conto del fatto che Mollet e Pineau torneranno da Mosca il 25 aprile e che le elezioni politiche olandesi si svolgeranno il 13 giugno.

Spaak ha aggiunto che tale nuovo «timing» aveva l’inconveniente di coincidere con le date previste per il viaggio di V.E. a Bruxelles e che ne era assai spiacente; proporrebbe pertanto che la visita di V.E. abbia luogo verso fine maggio o anche ai primi di giugno se ciò convenga a V.E.».

È stato risposto all’Ambasciatore a Bruxelles quanto segue:

Per tutti: S.E. il Ministro, in considerazione delle premure esercitate dal Governo francese e di quanto fatto presente dal Ministro Spaak, è ben lieto di dare il suo assenso alla convocazione di una riunione dei Ministri dei paesi C.E.C.A. a Parigi il 6 e 7 maggio per discutere il rapporto finale del Comitato Intergovernativo e prendere le relative decisioni.

Ai primi della settimana entrante, e qualora tutti gli altri Governi si dichiarino d’accordo sulla proposta del Ministro Spaak, verrà comunicata a V.E. la data cui potrebbe essere rinviata la visita ufficiale di S.E. il Ministro costì.

Per Bonn l’Aja Lussemburgo e Parigi: Pregasi comunicare nostra accettazione proposta Spaak a codesto Governo riferendo circa sue reazioni3.


1 Con fonogramma 1619 del 29 marzo, facendo riferimento alla lettera di Spaak di cui al D. 154.


2 Vedi D. 166.


3 Per il seguito vedi D. 169.

160

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 627/4271. Parigi, 2 aprile 1956.

Oggetto: Contrasti su Euratom in seno al Governo francese.

Spaak è venuto a Parigi martedì scorso2, quasi alla chetichella, per discutere di Euratom con Pineau. La visita è passata quasi inosservata alla stampa; e al Quai d’Orsay si mostrano molto riservati su questa iniziativa del Ministro belga: si limitano a precisare che egli è venuto per esaminare con Pineau la possibilità di accelerare la procedura per la costituzione di Euratom e sondare, nello stesso tempo, le intenzioni francesi nei riguardi dei principali punti controversi dello statuto della futura comunità atomica europea.

Sotto questo aspetto, si può dire, però, che Spaak non avrebbe potuto scegliere per raggiungere con Pineau l’auspicata «chiarificazione» momento meno propizio, in quanto la posizione francese sul progetto di Euratom non solo non è stata definita ma forma, proprio in questi giorni, oggetto di seri contrasti in seno allo stesso Governo.

Stando alle informazioni che abbiamo potuto raccogliere, in via confidenziale, al Gabinetto di Pineau, Mollet non è rimasto per nulla soddisfatto delle tesi sostenute dalla Delegazione francese all’ultima riunione dei Ministri degli Esteri a Bruxelles sulla questione del diritto o meno dei singoli paesi a costruire armi atomiche. Il Presidente del Consiglio francese ha trovato queste tesi troppo poco pacifiste e, comunque, poco consone alle esigenze della propaganda interna di un Governo a direzione socialista. Pare che Mollet abbia in proposito sondato l’umore degli altri leaders del partito socialista e abbia riscontrato una generale disapprovazione verso l’insistenza con cui la Delegazione francese a Bruxelles ha difeso il principio del riarmo atomico dei singoli paesi. Bisognerebbe anche tener conto, secondo il presidente del Consiglio, dell’aperta simpatia che mostrano verso il programma pacifista di Monnet, Lecourt e gli altri leaders dell’M.R.P., il cui appoggio è necessario per far passare in Parlamento un qualsiasi progetto di integrazione europea.

Al punto di vista di Mollet si sono decisamente opposti Chaban-Delmas, Mendès-France (naturalmente!) e il Ministro della Difesa Nazionale Bourgès-Maunoury, i quali sostengono che la Francia non deve per nessuna ragione rinunciare al suo diritto di fabbricare armi atomiche, dal momento che le si aprono concrete prospettive di realizzare, secondo i piani del Commissariato per l’energia atomica, un proprio programma militare nucleare. D’altra parte, fanno presente i Ministri «militaristi», e primo fra tutti Mendès-France, bisogna considerare che la fondazione di una comunità atomica europea impostata su principi rigorosamente pacifisti, implicherebbe l’assoluta uguaglianza delle posizioni tra Francia e Germania per quanto concerne il disarmo atomico, e sarebbe dunque contraria agli accordi di Parigi, che hanno invece espressamente vincolato a questa forma di disarmo la sola Germania. Mendès-France ha fatto chiaramente capire che egli non sottoscriverebbe mai un progetto su Euratom che rimettesse in discussione il Protocollo II dell’U.E.O., al quale deve considerarsi condizionato il consenso francese al riarmo della Germania.

La tesi di Mendès-France e Chaban-Delmas, che è quella dei militari e del Commissariato per l’energia atomica, avrebbe conquistato anche Pineau, il quale, però, la difenderebbe con maggiore «souplesse»: il Ministro degli Esteri si sforzerebbe di dimostrare ai suoi amici socialisti che la rinuncia a fabbricare armi atomiche non concerne le sole bombe ma anche le armi tattiche che, da qui a qualche anno, finiranno per rimpiazzare buona parte degli armamenti convenzionali: vincolarsi al disarmo atomico significherebbe dunque per la Francia avviarsi verso una situazione di disarmo completo, prima ancora che questo venga concordato e applicato sul piano internazionale.

La visita di Spaak ha offerto se non altro lo spunto a Pineau di porre decisamente sul tappeto il problema, rimasto finora insoluto per il contrasto fra Mollet e i suoi Ministri, della posizione che dovrà assumere la Francia alla prossima riunione dei Ministri degli Esteri dei paesi C.E.C.A. E Mollet, subito dopo la partenza del Premier belga, ha convocato d’urgenza una Conferenza interministeriale per trovare una soluzione che permetta di conciliare le tesi opposte e di fissare precise direttive alla Delegazione francese a Bruxelles. Alla Conferenza hanno partecipato, oltre il Presidente del Consiglio, Pineau, Mendès-France, Chaban-Delmas, Bourgès-Maunoury, Mitterrand, Guille, che è il nuovo Segretario di Stato alla Presidenza incaricato della ricerca scientifica e dell’energia atomica, il Generale Ely, Gaillard, l’Alto Commissario per l’Energia Atomica Perrin, e vari esperti: sono state tenute alcune sedute, ma non è stata presa alcuna decisione in quanto (almeno questa è la giustificazione ufficiale) i Ministri che partecipano alla Conferenza desiderano prima conoscere il rapporto finale del Comitato Intergovernativo di Bruxelles.

Pineau ha cercato, nella Conferenza, di trovare una base d’accordo tra le tesi in contrasto sulla formula, discussa a Bruxelles, di limitare il disarmo atomico dei singoli Stati al periodo che sarebbe, più o meno, necessario alla Francia (la quale potrà disporre di un quantitativo sufficiente di esplosivo nucleare a partire dal 1959) per perfezionare i procedimenti tecnici e per costruire l’attrezzatura occorrente per la fabbricazione delle armi atomiche. Tuttavia, nei termini proposti da Spaak (per cui, dopo il periodo di divieto, il diritto di ciascun paese a costruire le armi nucleari dovrebbe essere subordinato al consenso di due altri membri di Euratom), la formula incontra qui l’opposizione del Commissariato, dei militari e dei ministri che sostengono il loro punto di vista; Pineau, perciò, per superare questa opposizione, ha anche prospettato la soluzione più generica cui egli stesso aveva accennato alla riunione dei Ministri degli Esteri del febbraio scorso: i paesi membri di Euratom (tranne la Germania vincolata al disarmo atomico dagli Accordi di Parigi)3 devono impegnarsi per un periodo di 3-4 anni a non costruire armi atomiche, nella speranza che nel frattempo si raggiungano dei risultati concreti nella soluzione del problema del disarmo generale; trascorso questo «periodo di prova» senza che la speranza si realizzi, i paesi stessi saranno completamente liberi di perseguire i propri programmi militari nucleari.

Come si vede, con quest’ultima formula Pineau, collegando il disarmo nucleare dei paesi membri di Euratom soltanto alla soluzione del problema del disarmo generale, ha cercato di appiccicare un’etichetta pacifista a una soluzione che consentirebbe al Commissariato per l’energia atomica di proseguire indisturbato nella realizzazione del suo programma militare. Mollet, però, stando sempre alle informazioni dateci al Gabinetto di Pineau, non è rimasto, dal canto suo, molto entusiasta di questa tesi, e ha insistito per una formula ancor più pacifista.

Come stanno le cose, fanno candidamente osservare allo stesso Gabinetto del Ministro degli Esteri, alla Conferenza interministeriale occorre concordare un programma che riesca a conciliare questi tre principi: 1) impiego esclusivamente pacifico dell’energia atomica nell’ambito dell’intera comunità atomica europea; 2) diritto incondizionato della Francia a fabbricare per proprio conto armi atomiche; 3) difesa ad oltranza della «differenza delle posizioni», sancita dagli accordi di Parigi, tra Francia e Germania nel campo atomico militare. Il che è quanto dire che un problema analogo alla quadratura del circolo si presenta per la scelta definitiva della politica che la Francia dovrà seguire su Euratom.

Probabilmente la Conferenza interministeriale si concluderà con un accordo, non sulle tesi relative ad Euratom, ma sulla opportunità di evitare, almeno per il momento, una crisi ministeriale e una frattura del Fronte Repubblicano proprio a causa di Euratom; e non è escluso che tutti i ministri presenti alla Conferenza sottoscrivano la solita «dichiarazione di principio» che accontenti tutti e nessuno.

Considerando, però, la natura del contrasto e gli uomini che vi sono impegnati, i Governi degli altri paesi interessati avranno sempre il diritto di chiedersi fino a che punto la posizione che la Delegazione francese assumerà alla prossima riunione su Euratom rispecchierà, non dico l’opinione della maggioranza del suo Parlamento (che sarebbe pretendere troppo!), ma il punto di vista concorde del suo stesso Governo.


1 Diretto per conoscenza alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E. a Parigi, e alle Ambasciate a Bonn e Bruxelles.


2 Il 27 marzo.


3 Si riferisce alla «Dichiarazione del Cancelliere della Repubblica Federale, Londra 3 ottobre 1954», incorporata nel «Protocollo n. 3 sul controllo degli armamenti», firmato a Parigi il 23 ottobre 1954 nel quadro dei Protocolli di Parigi sull’accessione della Repubblica Federale di Germania e dell’Italia all’Unione Europea Occidentale, con la quale il Governo della Repubblica Federale Tedesca si era impegnato a non produrre sul territorio del paese armi atomiche, batteriologiche e chimiche.

161

L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 5741/73. Bad Godesberg, 5 aprile 1956, ore 15,45 (perv. ore 18,45).

Oggetto: Maggior aiuto ai sei paesi del Comitato di Messina.

Questa Ambasciata degli Stati Uniti ha comunicato a questo Ministro degli Esteri che il Governo americano fornirà maggior aiuto in campo atomico ai sei paesi Messina se si uniranno in Euratom che se rimarranno isolati.

Passo americano, che si presume fatto anche nelle cinque capitali, ha destato vivo interesse. Esso risponde bensì a già conosciuto punto di vista americano, che però fino ad ora era stato manifestato con prudenza e riservatezza. Attuale intervento è invece del tutto chiaro e concreto e si ritiene possa avere notevole influenza nel fare superare le perplessità finora sentite verso Euratom, in particolare negli ambienti industriali, anche perché in essi era diffusa la speranza di ottenere direttamente e bilateralmente sufficiente uranio con invio dagli Stati Uniti.

Quanto questione negoziato ripartizione 20 tonnellate messe a disposizione dagli Stati Uniti (vedi telespresso ministeriale 44/04548)1, si considera che il passo americano ne renda meno urgente inizio e che questi dovrebbe seguire alla conferenza dei Ministri, che si confida abbia luogo il 6 e il 7 maggio (vedi mio telegramma n. 72 del 4 corrente)2.

Poiché a quel momento dovrebbe esistere un documento approvato dai Ministri che dia avvio a Euratom, nostri negoziatori – e cioè presumibilmente Delegazione presieduta da Spaak – si troverebbero in migliore e più solida posizione.

Si è d’accordo che la questione venga intanto messa a punto collegialmente a Bruxelles.


1 Non pubblicato.


2 T. 5674/72 del 4 aprile da Bonn, non pubblicato. Sulla questione della data di convocazione della conferenza vedi D. 169.

162

IL CAPO DELL’UFFICIO IV

DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE, LEGAZIONIE UFFICI CENTRALI

Telespr. 44/055791. Roma, 7 aprile 1956.

Oggetto: Sessione straordinaria dell’Assemblea comune della C.E.C.A. a Bruxelles.

Come noto, dal giorno 13 al 16 marzo u.s. si è tenuta a Bruxelles la sessione straordinaria dell’Assemblea comune della C.E.C.A. per esaminare lo stato di avanzamento dei lavori del Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina in materia di «rilancio europeo».

Si trascrive, per opportuna conoscenza, un appunto interno redatto dal funzionario di questo Ministero che ha assistito ai lavori dell’Assemblea:

[…]2.

Sullo stesso argomento, in data 20 marzo, l’Ambasciata d’Italia in Bruxelles ha riferito quanto segue:

«Martedì 13 corrente è stata inaugurata dal Presidente On. Pella, nella sede del Senato belga, la sessione straordinaria dell’Assemblea comune della C.E.C.A. Nel suo discorso inaugurale il Presidente ha sottolineato che la sessione è stata tenuta a Bruxelles, anziché a Strasburgo, per un complesso di motivi. In primo luogo, è sembrato opportuno tenere le riunioni nelle capitali dei sei paesi della C.E.C.A. al fine di “rafforzare i legami tra l’Assemblea comune e i Parlamenti nazionali cui incombe la responsabilità politica di realizzare l’idea europea”. Bruxelles sarebbe stata scelta come sede di questa prima sessione straordinaria, sia perché essa è “terra di libertà democratiche”, sia perché essa è sede del Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina, presieduta da questo Ministro degli Esteri Signor Spaak. Il Presidente Pella ha rilevato, tra l’altro, che la riunione di Bruxelles costerebbe 200.000 franchi belgi di meno che una riunione normale a Strasburgo, controbattendo in tal modo le insinuazioni di un certo settore di questa stampa che sosteneva da tempo che gli spostamenti dell’Assemblea costavano cifre ingiustificatamente elevate ai contribuenti dei vari paesi.

Ha preso quindi la parola il Ministro Spaak che ha trattato l’argomento del Mercato Comune e dell’Euratom. Il discorso del Ministro è sembrato riflettere le difficoltà politiche in cui oggi si dibatte il rilancio europeo: ostilità della Francia al Mercato Comune, riserve della Germania verso l’Euratom, difficoltà di fondere o di separare i due problemi. Il signor Spaak ha fatto il punto dei progressi realizzati dal Comitato Intergovernativo della riunione di Messina. Egli ha annunciato che il 25 aprile verrà distribuito il rapporto della Commissione incaricata di studiare il Mercato Comune e l’Euratom. Tale rapporto si presenterà sotto forma di raccomandazioni e contemplerà i seguenti problemi: struttura del Mercato Comune, soppressione dei diritti doganali, regolamentazione delle tariffe, agricoltura, pieno utilizzo delle risorse europee, trasporti, energia classica e istituzioni. Il Ministro ha tenuto a sottolineare che si trattava di “raccomandazioni” e non di un progetto di trattato. “Ulteriori studi saranno necessari prima di arrivare a tale stadio”, ha dichiarato il Signor Spaak.

Il Ministro degli Affari Esteri è stato assai più breve nel trattare la questione dell’Euratom che non nell’esporre i problemi relativi al Mercato Comune. Egli si è limitato, difatti, a commentare sommariamente i lavori del Comitato da lui presieduto, e non ha avanzato alcuna idea nuova in argomento. Il problema principale, ha affermato il Ministro, è quello di riguadagnare il notevole ritardo dell’Europa in tale campo. Per fare ciò è necessario denaro e preparazione tecnica, e pertanto una certa organicità di ricerca e di insegnamento, oltre che la creazione di officine di separazione isotopica. Il problema più spinoso, ha rilevato il signor Spaak, consiste nel determinare il metodo di rifornimento dell’uranio ai paesi interessati.

Il discorso del signor Spaak, come egli stesso ha dichiarato all’inizio, è stato “lungo, noioso, e non sempre chiaro”.

Il giorno seguente l’Assemblea ha discusso il rapporto del signor van der Goes Naters (Paesi Bassi), sull’integrazione economica dell’Europa, rapporto che consiste principalmente nel refutare le critiche che vengono mosse all’integrazione stessa, dimostrando viceversa il generale vantaggio che ne ricaverebbero tutti gli Stati partecipanti. La discussione, cui hanno partecipato i Rappresentanti del Belgio, Germania, Paesi Bassi, Francia e Lussemburgo, ha servito più che altro a mettere in rilievo le difficoltà dell’abbinamento delle questioni del Mercato Comune e dell’Euratom, ed in particolare le divergenze tra il punto di vista tedesco, secondo il quale la creazione di un Mercato Comune dovrebbe precedere l’integrazione in materia atomica, e quella francese più restia ad accettare i principi della libera circolazione delle merci, mano d’opera e capitali.

Giovedì mattina l’Assemblea ha discusso il rapporto presentato dal signor Margue (Lussemburgo), sullo stato di previsione delle spese dell’Assemblea comune. Il bilancio preventivo ammonta quest’anno a 63.330.500 franchi belgi, più 12 milioni di credito supplementare. Il signor Margue ha insistito sulla impossibilità di ridurre tale bilancio, a meno che l’Assemblea non intenda eliminare i rendiconti analitici, il che porterebbe ad una economia di un milione di franchi belgi. Su questo ultimo punto hanno parlato diversi deputati, tra cui l’On. Caron.

Adottato il bilancio (con il rendiconto analitico) e dopo qualche altro intervento sul rapporto del Mercato Comune, l’Assemblea ha iniziato la discussione del secondo rapporto sul problema europeo dell’energia nucleare e classica. Secondo il relatore, signor Wigny (Belgio), le iniziative comuni che sembrano costituire un minimo indispensabile di cooperazione europea sarebbero quattro, e cioè: 1) un mercato comune europeo; 2) la costituzione di imprese comuni (ricerche e sfruttamento) nei settori in cui il costo, le difficoltà o l’aleatorietà dei loro compiti lo renda opportuno; 3) esercizio in comune di alcune funzioni (informazioni, statistiche, coordinamento, ecc.); 4) costituzione di un organo internazionale a poteri limitati ma reali, incaricato di dirigere, sorvegliare e controllare le imprese comuni e coordinare le altre. Tale organo sarebbe autonomo dalla C.E.C.A., mentre l’Assemblea e la Corte di Giustizia potrebbero essere le stesse.

Per quanto riguarda l’energia classica, il signor Wigny suggerisce la creazione di un ufficio internazionale dell’energia con funzioni di informazione nonché di eventuali imprese comuni.

Venerdì mattina è continuata la discussione del rapporto sulla integrazione economica. Il Deputato francese signor Vanrullen, in particolare, chiede che nella creazione del Mercato Comune sia tenuto conto delle “suscettibilità francesi”.

Nella seduta pomeridiana il signor Dehousse (Belgio) ha dato lettura ad una dichiarazione del gruppo socialista dell’Assemblea con cui questo stabilisce alcuni punti fondamentali che dovrebbero orientare la costituzione dell’Euratom. Tali punti si possono riassumere nell’utilizzo dell’energia atomica a soli fini pacifici e la consegna in proprietà alla Comunità europea dei combustibili nucleari attraverso le loro trasformazioni.

Il gruppo democristiano ha dato lettura a sua volta a una dichiarazione in cui viene affermato, viceversa, l’opportunità di salvaguardare i diritti dell’iniziativa privata. Il gruppo liberale ha aderito a questa tesi.

Dopo breve dibattito, su proposta del Presidente On. Pella, è stata approvata una risoluzione redatta dai tre gruppi parlamentari della C.E.C.A. e relativa al Mercato Comune. Tale risoluzione, indirizzata ai Governi dei vari Stati membri, termina invitando i Governi stessi a concludere d’urgenza un accordo sulla base dei principi e delle considerazioni che si sono andate delineando nel corso di questa sessione.

In una conferenza stampa concessa dopo la chiusura della Conferenza, il Presidente Pella ha sottolineato i risultati positivi raggiunti a Bruxelles ed ha minimizzato la divergenza d’impostazione di qualche settore del problema atomico tra socialisti e democristiani. Il Presidente ha anzi voluto rilevare che tale divergenza è una riprova della fisionomia sempre più parlamentare che sta assumendo l’Assemblea della C.E.C.A.

Secondo le impressioni generali che è stato possibile raccogliere in questi ambienti politici belgi, questa sessione straordinaria dell’Assemblea della C.E.C.A. avrebbe avuto il merito principale di affrontare realisticamente degli obiettivi pratici. La letteratura e l’accademia europeistiche, difatti, avrebbero ceduto il passo a ben ponderati interventi che, nel tener conto dei legittimi interessi nazionali, hanno riportato gli obiettivi immediati dell’europeismo nei limiti della realtà e di una possibile futura attuazione.

Il punto su cui si è rivelata maggiore divergenza tra le varie correnti politiche dell’Assemblea è stato quello della nazionalizzazione o meno dei combustibili nucleari: il conflitto tra socialismo e liberismo si è pertanto esteso anche a tale campo con conseguenze, per il momento, difficilmente prevedibili.

A proposito dei combustibili nucleari, questi ambienti politici fanno rilevare che il Belgio possiede le più importanti miniere d’uranio dell’Europa e fanno intendere chiaramente che lo sfruttamento di tali miniere da parte di una organizzazione europea non potrebbe avvenire senza adeguato compenso per il Belgio stesso.

In complesso, malgrado le riserve e le obiezioni sollevate da diversi deputati, sia nei confronti dei progetti del Mercato Comune, sia dell’Euratom, la sessione si è chiusa su di un tono di cauto ottimismo. Per un singolare paradosso, forse il più pessimista è stato lo stesso Ministro Spaak, generalmente considerato quale uno dei principali e più entusiastici animatori dell’idea europeistica. Pessimismo tuttavia in gran parte dovuto, a quanto si dice, più a preoccupazioni per il deterioramento della situazione generale, che a sfiducia nei progressi concreti delle organizzazioni europee.

In occasione di una cerimonia belgo-francese che ha avuto luogo domenica ad Anversa, il Ministro degli Esteri di Francia, signor Pineau, parlando della collaborazione europea, ha dichiarato che la prudenza della Francia in materia era dovuta unicamente alla sua preoccupazione di evitare gli scacchi subiti in altre occasioni e non potrebbe essere spiegata altrimenti. Egli ha aggiunto essere sua convinzione che l’Europa riunita deve prendere la direzione morale di tutta una parte del mondo».

Sempre sullo stesso argomento, in data 22 marzo, l’Ambasciata d’Italia in Lussemburgo ha riferito quanto segue:

«La sessione straordinaria dell’Assemblea comune che si è riunita a Bruxelles fra il 12 e il 17 marzo ha avuto un carattere particolare: per la prima volta l’Assemblea del carbone e acciaio si è occupata di tutto meno che di carbone e acciaio. Questo fatto è stato interpretato differentemente a seconda dei sentimenti di ciascuno: alcuni hanno trovato in ciò una affermazione politica di rilievo, nel senso che ormai l’Assemblea della C.E.C.A. si è, di fatto, imposta – al di là delle sue limitate competenze – come l’Assemblea politica europea. Altri hanno detto semplicemente che la sessione è stata una pura perdita di tempo.

In realtà gran costrutto questa sessione straordinaria non l’ha avuto. Convocata per un momento non adatto – è difficile del resto, prevedere, a mesi di distanza, gli alterni sviluppi della questione europea – non ha potuto dare un suo parere definitivo sui lavori del “rilancio”, non ancora ultimati, né offrire quell’appoggio politico che le nuove mete dell’unificazione europea necessiterebbero così grandemente.

Spaak nel suo esposto sulla situazione dei lavori del “rilancio” – esposto che, necessariamente, egli ha dovuto fare in suo nome personale, dato che i Governi non hanno ancora approvato nemmeno un rigo dei rapporti in elaborazione – ha pregato vivamente i Delegati parlamentari di non perdersi in critiche di sistemi ancora non ben definiti, ma di dare il loro appoggio politico a questo tentativo di ripresa dell’idea europea, “fallito il quale non vi sarebbero più speranze per l’unificazione europea”. Il tono di pessimismo, quasi un po’ tragico, che egli ha dato al suo discorso (tono che egli ha del resto ripreso in una conferenza tenuta recentemente a Lussemburgo) doveva essere di sprone e di monito per una Assemblea piuttosto inerte.

L’effetto non è stato completamente quello desiderato: l’Assemblea ha votato una mozione unanime alquanto generica sul Mercato Comune, per cui sembrano esistere ancora considerevoli lacune nei lavori di Bruxelles e non trascurabili divergenze di opinioni fra i Governi, mentre si è divisa sulla questione dell’Euratom per la quale, invece, sembrano – o per lo meno sembravano – esistere maggiori possibilità di rapido accordo. Per l’Euratom sono riapparse a Bruxelles le note divergenze di vedute fra i socialisti da una parte e gli altri partiti dall’altra; e ciascuno è restato sulle proprie posizioni. Inoltre si sono confermate certe resistenze belghe ai poteri che dovrebbero essere attribuiti alla Comunità sul materiale fissionabile. Wigny, relatore per l’Euratom, è stato relativamente moderato in Assemblea, ma in una conversazione con me, dando libero corso ai suoi sentimenti di opposizione al Governo socialista-liberale, si è espresso in termini molto energici e negativi nei riguardi dei sacrifici che si esigerebbero dal Belgio per il suo uranio del Congo.

Nell’insieme il dibattito sui problemi dell’integrazione – pur avendo presentato qualche aspetto esteriore di solennità data la sede, il Senato belga, ove per la prima volta l’Assemblea ha tenuto le adunanze – non ha avuto, a mio avviso, quel peso politico e quell’importanza, che nel momento attuale sarebbero stati particolarmente necessari.

Ciò sembrami confermare che, malgrado la evidente buona volontà dei Governi, malgrado i lodevoli sforzi dei tecnici, malgrado l’iniziativa presa da Monnet, fanno ancora difetto, al rilancio europeo, la spinta politica dei Parlamenti ed il convincimento della opinione pubblica che sono indispensabili per arrivare a buon porto. Se si vuole riuscire, sarebbe necessario predisporre nei mesi prossimi un vasto lavoro di preparazione delle opinioni pubbliche e dei Parlamenti dei sei paesi, senza di che, come del resto lo stesso Spaak ha dichiarato, vi è il grave pericolo che l’idea europea finisca per naufragare definitivamente».


1 Diretto alla Presidenza del Consiglio, ai Ministeri del Bilancio, Industria e Commercio, Agricoltura e Foreste e Commercio Estero, al Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Berna, Bruxelles, Copenaghen, L’Aja, Lussemburgo, Londra, Oslo, Parigi, Vienna e Washington, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E e presso la N.A.T.O., a Parigi, e presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, alle Legazioni a Dublino, Lisbona e Stoccolma e alle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari Economici.


2 Seguiva il testo della comunicazione citata, qui pubblicata al D. 157.

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L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 1756/80. Bruxelles, 9 aprile 1956.

Oggetto: Visita di S.E. il Ministro nel Belgio.

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 11/3614/8 del 29 marzo u.s.1.

A seguito di quanto è stato richiesto da codesto Ministero con il telespresso in riferimento, si allega un documentato appunto che nella prima parte espone gli sviluppi principali della politica estera e interna del Belgio nell’attuale periodo; nella seconda parte esso prende in esame i rapporti italo-belgi nel campo politico, economico, culturale e di emigrazione.

Si allega, altresì, un progetto di discorso1 che S.E. il Ministro dovrebbe pronunciare di fronte alla collettività italiana in occasione della sua visita a Bruxelles2.

Per quanto concerne i brindisi che saranno scambiati con i belgi, si fa presente che il Ministro Spaak non ha l’abitudine di predisporre dei testi scritti e usa, invece, improvvisare brevi parole alla fine dei pranzi ufficiali. Poiché il predetto Ministro è attualmente assente da Bruxelles, si fa riserva di comunicare ulteriormente a codesto Ministero quali potrebbero essere gli argomenti che Spaak intenderà di menzionare nel corso del suo brindisi.

Allegato

APPUNTO PER S.E. IL MINISTRO

IN OCCASIONE DELLA SUA VISITA IN BELGIO

Bruxelles, 9 aprile 1956.

I. POLITICA ESTERA DEL BELGIO

a) Aspetti multilaterali ed integrazione europea.

Presupposti della politica estera del Belgio sono, da un lato, l’accettazione vigilante (e diffidente) della coesistenza pacifica, dall’altro, l’esigenza di una sempre più efficace collaborazione sia nel quadro europeo sia in quello dell’Alleanza atlantica. Su tali basi si sviluppa l’azione personale del Ministro degli Esteri Spaak, il quale esercita un ruolo decisivo nella determinazione della linea di condotta del Belgio nelle questioni internazionali e gode, non solo nell’interno del paese, di prestigio e autorità incontestabili.

L’attività in favore della integrazione europea risponde ai fondamentali interessi nazionali: l’amara esperienza delle passate invasioni spinge il Belgio a seguire con particolare entusiasmo questa nuova strada. D’altra parte lo stesso sviluppo economico del paese (oltre il 45% della produzione globale è esportata – circa il 70% dell’esportazione è diretta ai paesi O.E.C.E.) rafforza la validità di tale indirizzo. La missione europeistica che il Belgio sente di dover svolgere è inoltre connessa a considerazioni di ordine generale: l’influenza ed il peso dell’Europa sono in declino; le Nazioni europee, piccole o grandi che siano, possono conservare il posto sinora occupato nel mondo a condizione che si dirigano decisamente sulla via della integrazione economica. Spaak ha espresso più volte il convincimento che la realizzazione del Mercato Comune e dell’Euratom è essenzialmente questione di volontà politica: quando una siffatta volontà si sarà affermata, non vi sarà alcun problema di carattere tecnico che non possa essere risolto.

Tali premesse spingono il Belgio a partecipare sempre con particolare fervore all’attività dei grandi organismi internazionali. Esso auspica che il N.A.T.O., cardine del sistema occidentale, rappresenti un vero Consiglio politico nel quale la solidarietà dev’essere operante in tutti i settori e non soltanto «al nord di un certo parallelo». Riconosce inoltre la necessità della collaborazione militare in seno all’U.E.O. La C.E.C.A. poi deve conservare un grado di elasticità e di potenziale sviluppo verso forme di più ampia collaborazione. Attribuisce infine carattere marcatamente funzionale all’O.E.C.E. e al Consiglio d’Europa, ove punti di vista e interessi anche divergenti dei paesi membri possono trovare un luogo di incontro e di conciliazione.

Il Benelux, primo in ordine di tempo degli organismi associativi in Europa, costituisce l’esempio di una lenta, ma continua realizzazione a tappe successive di una unione economica: può essere qui ricordato che fu appunto il documento preparato da Spaak, Beyen e Bech che servì di base ai lavori della Conferenza di Messina.

Nel quadro della politica internazionale di più vasto raggio, si inserisce la costante presenza del Belgio nei principali dibattiti all’O.N.U., dove esso auspica tuttavia – e da tempo – una maggiore armonizzazione dell’attività dei paesi atlantici.

Il Governo belga manifesta attualmente la sua ansietà per la corsa agli armamenti nel Medio Oriente e, in particolare, per la tensione arabo-israeliana; è disposto a partecipare a qualsiasi iniziativa volta a superare la crisi.

Merita ancora di essere segnalato che Spaak si è pronunciato recentemente al Senato in termini di maggior favore per il riconoscimento della Cina di Pechino, pur ribadendo la necessità di un previo accordo con Stati Uniti in sede N.A.T.O.

b) Aspetti bilaterali e problemi specifici.

Il Belgio ha in corso attualmente tre negoziati di un certo rilievo, che riguardano suoi interessi specifici: 1) accordo di frontiera belgo-tedesco (la questione, che prevede anche delle modestissime rettifiche territoriali, è in via di soluzione); 2) canalizzazione della Mosella (benché paese non rivierasco, il Belgio vuole ottenere di essere associato, in quanto membro dell’U.E.B.L., alle trattative franco-tedesche); 3) piano «Delta» olandese concernente le vie d’acqua della Zelanda (i colloqui belgo-olandesi intesi a salvaguardare gli interessi del porto di Anversa e della navigazione sulla Schelda si svolgono in un clima di reciproca fiducia).

Nel campo delle relazioni del Belgio con i principali alleati occidentali merita di essere segnalata una certa contrarietà verso la Francia, sopratutto dopo il fallimento della C.E.D., a causa delle difficoltà che la situazione politica di questo paese determina nello sviluppo dei piani integrativi. Le relazioni con la Germania invece sono improntate ad assoluta normalità con tendenza ad ulteriori favorevoli sviluppi (è interessante notare che in Belgio, almeno nelle sfere responsabili, non si rileva ancora eccessivo il timore o sospetto di fronte alla spettacolare rinascita tedesca); quelle con Gran Bretagna e Stati Uniti sono in genere eccellenti.

Il partito socialista tende ad esercitare sulla politica estera una diretta influenza più che altro dottrinaria, peraltro moderata dallo stesso Spaak; a tale impostazione, per esempio, può ricondursi sia una certa simpatia per la Jugoslavia (che Spaak visita ufficialmente in questi giorni); sia la recente tensione con la Spagna, conseguente all’astensione belga sul voto per l’ingresso di quel paese all’O.N.U.

Gli ingenti interessi belgi nel Congo e le sue posizioni colonialiste hanno notevole importanza nella politica estera di questo paese e contribuiscono ad avvicinare l’atteggiamento belga a quello della Francia e dell’Inghilterra, specialmente al Consiglio di tutela dell’O.N.U.

II. POLITICA INTERNA DEL BELGIO

Il Gabinetto presieduto dal socialista van Acker, costituito il 23.4.1954 a seguito delle elezioni politiche dell’11 aprile, è composto da una coalizione socialista-liberale (9 socialisti, fra i quali, oltre Spaak, il Ministro del Commercio Estero Larock, e 7 liberali, di cui la figura più eminente è il Ministro dell’Economia Rey).

La Camera dei Rappresentanti annovera 212 seggi (97 socialcristiani; 86 socialisti; 25 liberali e 4 comunisti).

Il Senato annovera 175 seggi (79 socialcristiani; 72 socialisti; 22 liberali e 2 comunisti).

Le prossime elezioni avranno luogo fra due anni circa.

La vita politica in questo paese è caratterizzata da una elevata coscienza democratica, dalla pratica irrilevanza del partito comunista e dalla ristrettezza del numero dei partiti, i quali si alternano al potere, in ciò avvicinandosi molto più al sistema inglese che a quello continentale.

La politica estera del Governo raccoglie ampi suffragi nel Parlamento e il consenso di una vasta maggioranza dell’opinione pubblica, non sussistendo tra partiti al potere ed opposizione fondamentali divergenze di vedute in questo campo. In politica interna contrasti esistono, ma assumono ben raramente tinte drammatiche. La fase di grande prosperità economica che da parecchi anni il Belgio attraversa giova all’azione del Governo. Il diffuso benessere, al quale partecipano in larga misura le classi operaie, il riassorbimento della disoccupazione, l’aumento dei salari proporzionale al rialzo dei prezzi (contenuto entro limiti ristretti), la riduzione del passivo del bilancio hanno contribuito a dare un tono di tranquillità generale alla vita del paese. La stessa opposizione, dopo le vivaci polemiche dello scorso anno per la questione scolastica (iniziativa del Governo social-liberale per ridurre i finanziamenti alle scuole cattoliche), preferisce attualmente concentrare la sua azione in una misurata critica dell’opera del Governo nei settori militare e sociale, onde precostituire sin d’ora le migliori posizioni in vista delle elezioni del 1958.

In complesso, i socialisti al potere hanno seguito finora una politica estremamente moderata anche nel campo economico, mantenendo intatto il sistema capitalistico prevalente e non compiendo passi sostanziali sulla via del dirigismo. La presenza dei ministri liberali al Governo ha contribuito all’affermazione di tale indirizzo ed ha costituito una garanzia per le classi medie contro un eccessivo interventismo statale.

III. RAPPORTI ITALO-BELGI

a) Rapporti politici.

È lecito asserire che tra Italia e Belgio non vi sono problemi di ordine politico in sospeso o in contrasto. Anzi, la concordanza di vedute tra i due Governi e l’ottima collaborazione da tempo in atto sono suscettibili di produrre le più favorevoli ripercussioni anche sul piano dei rapporti multilaterali e, in particolare, nel settore dell’integrazione europea. La convergenza delle posizioni ufficialmente assunte dai due paesi in seno agli organismi di collaborazione atlantica ed europea inducono a considerare i vantaggi che se ne possono trarre, e ciò altresì allo scopo di contribuire alla soluzione di divergenze tra altri Stati ai quali siano legati da identiche finalità. Quanto precede può acquistare maggiormente valore in un momento, come l’attuale, in cui la politica sovietica allarga il suo raggio d’azione, mentre sorgono purtroppo serie discordanze tra alleati atlantici; dovrebbe perciò accrescersi vieppiù la necessità che nel campo occidentale si concordi una comune linea di condotta. Sembra apparire quindi, oltre che legittimo, vantaggioso per l’intera comunità occidentale che Stati, quali l’Italia e il Belgio – ciascuno secondo le proprie responsabilità ed il riacquistato peso nel campo internazionale – assumano fra le altre potenze funzione di guida nei riguardi dei massimi alleati. Idea, questa, molto cara a Spaak e che incontra anche il pensiero di S.E. il Ministro Martino.

Conviene infine accennare alla circostanza che – sebbene non ci sia stata finora rivolta una esplicita richiesta al riguardo – il Belgio attende dall’Italia un atteggiamento, se non favorevole, almeno non nettamente contrario in sede O.N.U. negli sviluppi della questione coloniale (Congo belga ed amministrazione fiduciaria del Ruanda-Urundi).

b) Rapporti economico-finanziari.

Gli scambi commerciali italo-belgi sono regolati dagli accordi commerciali conclusi a Bruxelles il 10 luglio 1954; non essendo stati mai denunciati, essi continueranno a rimanere in vigore fino al 10 luglio 1957.

Secondo le statistiche ufficiali belghe, nel 1955, il valore delle esportazioni italiane si è elevato a 2.188 milioni di franchi belgi, con un miglioramento, rispetto al 1954, di 291 milioni; al contrario, le esportazioni belghe, ammontate nel 1955 a 3.064 milioni di franchi, hanno registrato una diminuzione di 133 milioni sul totale dell’anno precedente.

A sua volta la bilancia complessiva dei pagamenti italo-belgi (secondo i dati dell’Ufficio italiano dei cambi) ha presentato nel 1955 un saldo debitore per l’Italia di 1.391 milioni di franchi, dovuto in gran parte al disavanzo della bilancia commerciale.

Le nostre esportazioni avrebbero potuto raggiungere cifre considerevolmente superiori ove non fosse esistito, nel campo delle derrate agricole, un «calendario» belga delle importazioni. Infatti, il «calendario» praticamente ci impedisce di fornire al mercato belga frutta e legumi primaverili ed estivi.

Negli altri settori dell’economia belga esistono buone possibilità di collocamento per prodotti dell’industria meccanica, tessile, varia e chimica. Anche l’artigianato potrebbe affermarsi maggiormente.

In sostanza, può prevedersi che l’anno in corso potrà segnare un ulteriore progresso della nostra esportazione in questo paese.

Parecchie aziende italiane hanno impiantato delle fabbriche di notevole importanza che figurano come aziende belghe pur essendo la maggioranza del capitale in mani italiane: la Fiat, la Montecatini, la ditta Piaggio-Vespa, la Martini e Rossi. Anche il settore bancario italiano è direttamente rappresentato dal «Banco di Roma (Belgique)», mentre le Assicurazioni Generali di Trieste svolgono grande attività sia in Belgio sia nel Congo.

Il movimento turistico belga verso l’Italia, che costituisce un importante correttivo allo squilibrio della nostra bilancia dei pagamenti con questo paese, ha segnato nel 1955 un ulteriore progresso con 340.120 viaggiatori rispetto a 329.000 nel 1954. L’apporto di divise da parte del turismo belga è stato nel 1955 di oltre 267 milioni di franchi belgi.

Per quanto riguarda il Congo, accanto ad una esportazione che accenna a raggiungere sempre migliori posizioni, è da tener presente l’esistenza laggiù di alcune imprese italiane, fra cui principale è la «Société d’Entreprises de Construction en Afrique Centrale», organizzata dal gruppo Guglielmone-Astaldi. Queste aziende esplicano la loro opera nel campo delle costruzioni e delle installazioni elettriche e industriali.

Gli ambienti economici belgi stanno dimostrando un vivo interessamento non soltanto per lo sviluppo dei rapporti commerciali fra i due paesi, ma anche e sopratutto per le possibilità di proficui investimenti che si offrono al capitale belga in Italia, in relazione all’attività della Cassa per il Mezzogiorno ed in particolare all’attuazione del Piano Vanoni. Tale interessamento, cui ha giovato l’azione svolta da questa Ambasciata per la diffusione della conoscenza degli scopi e delle finalità dello «Schema decennale di sviluppo», ha già provocato interessanti iniziative da parte dei principali gruppi bancari belgi e si è ora concretato con l’invio di una importante missione economica ufficiale diretta verso il Mezzogiorno e la Sicilia, presieduta dal Direttore Generale del Commercio Estero, signor de Cunchy.

c) Rapporti culturali.

I rapporti culturali fra il Belgio e l’Italia sono regolati da un accordo concluso nel 1948 (uno tra i primi nel dopoguerra) e la cui esecuzione viene ogni anno controllata e rivista da una apposita Commissione mista.

I risultati più notevoli raggiunti in applicazione di detto accordo sono i seguenti:

1) Istituzione di Lettorati italiani nel Belgio presso le Università Bruxelles, di Lovanio e di Gand, mentre in Italia funziona un Lettorato di lingua fiamminga presso l’Università di Padova.

2) Scambi di professori tra le Università dei due paesi (6 italiani e 6 belgi ogni anno).

3) Concessione di borse di studio per laureati ed artisti (7 borse annuali e 5 borse estive sulla base della reciprocità).

4) Scambi periodici di complessi musicali o di singoli artisti.

5) Recentemente è stata concordata l’equipollenza dei titoli di studio rilasciati rispettivamente dalle scuole secondarie riconosciute dai due paesi.

6) Da quest’anno la lingua italiana è stata ufficialmente introdotta nelle scuole secondarie belghe.

7) Scambio di importanti esposizioni artistiche tra l’Italia ed il Belgio.

8) Ricostruzione a cura del Governo italiano, con un contributo belga, dell’antichissimo Collegio fiammingo Jean Jacobs di Bologna.

Istituto Italiano di Cultura. Il nostro Istituto di Cultura è riuscito in questi ultimi anni ad assumere una posizione di primissimo piano negli ambienti intellettuali di Bruxelles; esso svolge precipuamente la sua attività attraverso corsi di lingua italiana, di conversazione, di letteratura, di storia e storia dell’arte. È frequentato da oltre 400 allievi regolarmente iscritti, mentre almeno un migliaio di simpatizzanti segue le sue manifestazioni artistiche e letterarie.

L’Istituto assicura altresì l’insegnamento dell’italiano presso i Conservatori musicali di Anversa, Gand e Mons e presso vari altri istituti secondari e superiori della capitale. Quest’anno viene istituita ad Anversa una sezione distaccata dell’Istituto, che avrà lo scopo di curare la divulgazione della nostra lingua e della nostra cultura nelle regioni di lingua fiamminga.

Presso l’Istituto è a disposizione del pubblico una biblioteca italiana di oltre 6.000 volumi.

L’attività dell’Istituto si manifesta altresì attraverso concerti, conferenze e proiezioni di documentari artistici o turistici che hanno luogo in una grande sala appositamente attrezzata; i dirigenti dell’Istituto provvedono altresì all’organizzazione di manifestazioni teatrali e di concerti di artisti italiani nel Belgio.

Collegio d’Europa a Bruges. Fondato nel 1949, si propone di completare la preparazione di giovani laureati «d’élite» con una «formazione europea». Esso mira a fornire i quadri alle istituzioni europee e contemporaneamente offre ai giovani la possibilità di svolgere più facilmente le loro attività professionali nei vari paesi della Comunità europea. L’iniziativa è particolarmente seguita da Spaak.

Dalla sua istituzione ad oggi è sempre stata assicurata, a cura del nostro Governo, la presenza di borsisti italiani (5 ogni anno).

In conclusione è lecito affermare che l’interesse belga per la cultura italiana si dimostra in ogni settore vivissimo. Tale disposizione favorevole promette indubbiamente la possibilità di un ancor più vasto sviluppo della nostra attività culturale.

d) Rapporti migratori.

Il Belgio, nel 1946 e negli anni successivi, per dare un maggior sviluppo alla sua produzione industriale, si è trovato nella necessità di dover far ricorso alla manodopera straniera ed in particolare a quella italiana.

Fu così che la collettività italiana, che prima dell’ultima guerra contava qui solo 30.000 connazionali, ha superato oggi le 160.000 unità, sopratutto per l’immigrazione dei minatori e delle loro famiglie.

Si riportano i dati statistici dell’emigrazione italiana in Belgio al 31 dicembre 1955:

operai minatori 47.161

famiglie: donne 15.820

bambini 25.569

siderurgici 10.000

edilizia 3.000

cavatori di pietra 3.000

diversi (mosaicisti, alberghieri) alcune migliaia

vecchia emigrazione

(artigiani, commercianti, ecc.) 30.000

Rimesse degli emigranti: la bilancia dei pagamenti tra i due paesi è stata, in questi ultimi anni, considerevolmente favorita dal trasferimento in Italia dei risparmi salariali e degli assegni familiari. L’andamento del gettito delle rimesse emigrati, infatti, ha superato i 13 miliardi di lire nel 1953, e negli anni successivi, pur avendo subito una leggera contrazione (11 miliardi e mezzo nel 1954 e 10 miliardi e mezzo nel 1955), ha servito, comunque, a coprire intorno alla metà del passivo della nostra bilancia commerciale con il Belgio.

Accordi: il 23 giugno 1946 è stato stipulato il primo Protocollo di emigrazione, che prevedeva il trasferimento in Belgio di 50.000 minatori. Nel 1954 si è manifestata la necessità di coordinare le disposizioni esistenti nel precedente protocollo e negli accordi aggiuntivi del 1947 e 1948, di aggiornarle ed integrarle con nuove disposizioni tendenti a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei nostri minatori. Si è addivenuto così alla stipulazione di un nuovo Protocollo, con annesso contratto di lavoro, firmato a Roma il 5 marzo 1954.

Per quanto riguarda le assicurazioni sociali, la Convenzione italo-belga del 30 aprile 1948 ha portato sensibili vantaggi, specie in relazione al regime delle pensioni e all’equivalenza del lavoro prestato nei due paesi.

Pur non potendo in sede di accordi internazionali risolvere integralmente tutte le questioni connesse ad un così imponente trasferimento di manodopera, specie per quanto si riferisce al settore tanto difficile delle miniere, si può affermare che si sono raggiunti in tutti questi anni risultati effettivi per migliorare le condizioni dei nostri emigrati.

Problemi generali: due problemi importanti, tuttavia, attendono ancora una più adeguata soluzione:

a) alloggi: circa 13.000 famiglie italiane sono già sistemate in nuovi alloggi in muratura, mentre altre 2.000 famiglie sono tuttora ricoverate in baracche. Tuttavia con l’attuazione del programma governativo per la bonifica edilizia si hanno buoni affidamenti che entro il 1957 esse pure potranno essere trasferite in alloggi in muratura.

b) la sicurezza: notevoli risultati sono stati conseguiti specie nel campo della formazione professionale dei minatori, che nei primi anni era quasi inesistente. Tale delicata questione è stata attentamente vagliata nel 1954 da una Commissione internazionale d’inchiesta che ebbe a formulare delle raccomandazioni, successivamente adottate dal Governo belga. Essa verrà ora ripresa dalla Commissione mista italo-belga, convocata in questi giorni a Roma in seguito alla sciagura mineraria dello charbonnage du Levant et Produits e alla conseguente sospensione della nostra emigrazione, nell’intento di ricercare e adottare ulteriori misure di sicurezza3.

Altri problemi non ancora risolti sono il riconoscimento della silicosi come malattia professionale del minatore; il riconoscimento, ai fini della pensione dei minatori, del periodo di lavoro prestato nelle solfare in Italia e l’assistenza medico-farmaceutica dei familiari in Italia.

Conclusioni: nelle relazioni bilaterali tra i due paesi il settore dell’emigrazione è certamente tra i più importanti. In linea generale si può dire che i nostri operai hanno trovato in Belgio condizioni di salari e di vita soddisfacenti e, dal punto di vista morale, stima e simpatia sia da parte delle Autorità sia nella popolazione del paese.

Non mancano, naturalmente, gli aspetti meno favorevoli e che creano speciali problemi e talora difficoltà fra i due paesi; più grave, fra questi, l’incidenza delle disgrazie mortali, sia individuali che collettive.


1 Non pubblicato.


2 Vedi D. 173.


3 Nel corso dei primi anni ’50 si erano verificati nelle miniere belghe numerosi incidenti che avevano portato alla morte di minatori italiani. A seguito di ciò il Governo italiano aveva sospeso l’emigrazione di minatori verso il Belgio. Alcuni mesi dopo la redazione di questo documento, l’8 agosto 1956, si sarebbe verificata la tragedia di Marcinelle con oltre duecento vittime, più della metà italiane.

164

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. riservato 0710. Parigi, 10 aprile 1956.

Oggetto: Conversazioni italo-francesi.

Signor Ministro,

risolta la parte formale delle conversazioni in occasione del viaggio del Presidente della Repubblica, mi permetto sottoporre a V.E. alcune considerazioni in merito al loro contenuto.

Ritengo in primo luogo che, dato il carattere di queste conversazioni, sarebbe forse più opportuno non includervi esplicitamente il così detto contenzioso franco-italiano. Per quello che concerne la questione più importante, ossia la sorte dei nostri connazionali in Africa del Nord, come riferisco con rapporto a parte, il meccanismo per i negoziati è già a punto: l’emigrazione, come conseguenza delle difficoltà cogli algerini sta riprendendo da sé. Per il resto si tratta soltanto di cose per cui noi siamo richiedenti: questo non toglie che nel corso dei contatti che si avranno, non si possa anche far menzione delle varie questioni che ci interessano; ma, ripeto, non mi sembra sia il caso di farne oggetto convenuto in anticipo delle conversazioni a più alto livello. Così pure mi è sembrato non sia il caso di stabilire un vero e proprio ordine del giorno, ma di limitarsi ad accennare alle questioni di cui avremmo voluto parlare, e questo allo scopo di non legare eccessivamente i due Capi di Stato. Così, nella mia conversazione con Massigli1 ho accennato a tre punti: articolo 2 del Patto atlantico, Medio Oriente, rilancio europeo ed Euratom: pensavo, per mio conto, che sarebbe stato bene aggiungervi anche disarmo – anche nei suoi rapporti colla riunificazione tedesca – e situazione russa e rapporti Est-Ovest (a quest’ultimo riguardo si può tenere presente, ed eventualmente riparlare, della recente iniziativa francese tendente a coordinare e sviluppare l’attività culturale occidentale oltre cortina). Con ciò, avremmo, più o meno, coperto tutto il campo possibile degli argomenti principali.

Naturalmente questo è puramente un mio suggerimento: possiamo aggiungervi tutto quello che vogliamo e precisare quello che vogliamo. Osservo solo ad ogni buon conto che sarebbe forse poco cortese verso il Presidente Coty sollevare in sua presenza delle questioni senza averlo precedentemente avvertito: egli non ama aver l’aria di non essere informato e bisogna dargli il tempo di prepararsi.

Nel sottoporre al Governo italiano l’opportunità che la visita del Presidente della Repubblica includesse anche delle conversazioni politiche, mi sono ispirato all’idea che, dopo tutto quello che è accaduto nel mondo, un nuovo contatto diretto tra Italia e Francia era forse opportuno. Con questo suggerimento avevo in vista molto l’aspetto esterno e psicologico – aspetto molto importante quando si tratta dei nostri rapporti con la Francia – perché per quello che concerne la parte sostanziale, sarebbe difficile attendersene molto.

Come ho già avuto occasione di riferire a V.E. a più riprese, la Francia sta attraversando una crisi assai grave, crisi che durerà forse ancora per qualche anno, e le cui ripercussioni sia sulla politica interna che estera di questo paese sono difficilmente prevedibili.

La crisi francese potrebbe essere definita la crisi di un paese che vede crollare tutto quello su cui aveva creduto di avere edificato solidamente la sua grandezza: essa è presa da una forma di mania di persecuzione un po’ nei riguardi di tutti; considera tutti responsabili di questo suo crollo. È risentita contro l’America, contro l’Inghilterra: nei riguardi della Germania tutta l’ostilità secolare sta continuamente riaffiorando: nei riguardi della Russia, c’è una specie di strana altalena fra odio e attrazione. Nel complesso – se non sopravvengono complicazioni impreviste – il solo paese nei riguardi del quale non ci sono psicosi è il nostro.

Non penso ci sia molto da profittare da questo complesso di sentimenti versol’Italia ai fini nostri: la Francia, è stato sempre un paese che ha piuttosto preso che dato; questa sua naturale tendenza è ora più forte che mai. Questa situazione nostra speciale – senza esagerare niente s’intende – ci può permettere, penso, di esercitare sulla Francia una modesta funzione più che nell’interesse nostro in quello della collettività di cui facciamo parte. Noi siamo i soli che, purché lo si faccia con garbo, possiamo dare ai francesi qualche consiglio senza offendere. Se – cosa che non si può escludere – le relazioni fra la Francia ed alcuni dei maggiori alleati dovessero diventare più critiche, noi possiamo costituire un trait d’union intorno a cui un giorno si potrà ricostruire. È una posizione che mi sembra sia il caso di non trascurare.

Nei mesi a cui andiamo incontro la politica francese può mettere tutta la Comunità atlantica a delle prove molto dure. Si può pensare della Francia quello che si vuole, bisogna ammettere che per la sua posizione geografica, essa è essenziale alla Comunità atlantica nella sua posizione di difesa del continente europeo. Se questa crisi dovesse aggravarsi, noi possiamo contribuire un poco a che non si arrivi al peggio.

Noi che abbiamo avute ed abbiamo tante difficoltà interne analoghe a quelle francesi, possiamo capire questo paese meglio degli inglesi e degli americani, e possiamo aiutare gli altri a capirlo.

Vorrei fare anche un’altra premessa. Guy Mollet ha, se non i giorni, le settimane contate: la posizione del suo successore non sarà certo molto più solida. Se il Signor Presidente della Repubblica e V.E. avessero il tempo di avere, con i principali Ministri del Governo, delle conversazioni altrettanto dettagliate come le avranno con Pineau e con Guy Mollet, sentirebbero, su tutte le questioni, interne od estere, delle opinioni completamente differenti da quelle dei nostri due interlocutori. Lo stesso avverrebbe se le conversazioni si potessero estendere ai possibili futuri presidenti del Consiglio. Qui tutti hanno dell’influenza, e nessuno ha un’influenza decisiva: è un paese dove la direzione collegiale è stata applicata, ed a fondo, da molto e molto tempo. Quello che ci verrà detto, non lo possiamo considerare come una politica francese su cui possiamo basarci: consideriamolo soltanto come l’opinione personale di alcuni francesi influenti. È un paese dove si è instaurato il regime di assemblea: quello che il Governo francese dice, promette o firma, non ha nessun valore fino a che non è stato ratificato dal Parlamento, e sono ben poche le cose che il Parlamento francese è in grado di ratificare. La Francia può facilmente non fare e non far fare: è molto più difficile farle fare qualche cosa.

Potrà essere interessante per noi, sulle varie questioni di cui si parlerà, sentire cosa hanno da dirci i francesi: in genere i francesi sono molto bene informati, non perché fanno parte dei consigli superiori, ma perché i loro sistemi di raccogliere e vagliare le informazioni, specialmente quelle provenienti da fonti non diplomatiche, sono certo migliori dei nostri. Fanno anche loro delle grandi sciocchezze, ma sono bene informati.

Passando ai possibili argomenti per quanto riguarda l’articolo 2, come ho già riferito a V.E., l’impostazione di massima data alla questione dal Presidente della Repubblica nel suo discorso davanti al Congresso americano, corrisponde sostanzialmente al pensiero, direi, generalmente diffuso qui in Francia: le idee più precise espresse in materia da Mollet e Pineau sono una sottospecie personale di un punto di vista, che non è egualmente da tutti condiviso.

Per quello che riguarda la democratizzazione della politica della Comunità atlantica, i francesi sono divisi. In quanto ufficialmente fanno parte dei tre grandi, essi sono piuttosto in favore del direttorio: e per appoggiare la tesi dello statu quo di fronte a noi essi si serviranno, come hanno già fatto in passato, di un argomento che non è senza valore. Di tutte queste cose, non si può discutere a quindici: se si discute a quindici, il risultato sarà che delle cose serie, magari informally, se ne parlerà solo fra inglesi ed americani come è la loro tendenza naturale; l’unica maniera di far sentire ad altissimo livello una voce non anglosassone è che ci sia la sola Francia; la quale, naturalmente, è a nostra disposizione per tutte le questioni che ci possono interessare: vedi la risoluzione di Santa Margherita2 di cui, sia detto fra di noi, siamo stati sempre noi i primi a dimenticarci. E si noti che questa osservazione francese, in sé, ha anche molto di vero.

Se si trattasse solamente di farci entrare noi, i francesi si lascerebbero convincere, a mala voglia, ad appoggiarci, ma c’è la Germania.

Quando invece i francesi, e questo accade abitualmente spesso, sono o si sentono fuori delle decisioni supreme, allora diventano anche loro favorevoli alla democratizzazione.

In questo momento essi sono piuttosto favorevoli a questa democratizzazione, perché pensano che la maggioranza dei membri della Comunità sia più vicina degli americani alle loro idee, e che quindi in una sede larga avrebbero una maggiore chance di far valere questo punto di vista, ma possono cambiare.

Quanto alla parte economica dell’art. 2, apparentemente, la posizione francese è molto simile alla nostra: in fatto essa non lo è. Come ho già riferito, i francesi non hanno zone sottosviluppate, per cui siano interessati ad avere sussidi. Quando i francesi propongono il coordinamento dell’azione economica comune, essi vorrebbero sopratutto evitare che gli Stati Uniti – che sono poi loro la fonte quasi unica di questo aiuto economico – li diano come e a chi vogliono. I francesi, ossessionati come sono dal loro problema algerino, vorrebbero che questa organizzazione economica collettiva chiudesse od aprisse il rubinetto degli aiuti secondo che il paese si comporti bene o male nei riguardi della Francia.

Inoltre si preparano, fin da adesso, a sostenere la tesi che la guerra che essi fanno o faranno in Algeria è nell’interesse comune, nella speranza di farsela pagare dagli americani, come hanno fatto per la guerra d’Indocina.

Quindi, sull’art. 2, se vogliamo mantenere un certo accordo con i francesi, bisogna che restiamo piuttosto nel vago; se precisiamo troppo, rischiamo di trovare troppe divergenze. E, se mi è permesso esprimere la mia idea, credo sarebbe bene che parlassimo più di procedura che di sostanza: che cosa cioè possiamo fare per spingere verso la realizzazione di queste nostre concezioni dell’art. 2.

L’aspetto più propriamente politico, la partecipazione di tutti alle decisioni politiche della Comunità atlantica, è un obbiettivo praticamente irraggiungibile: si potranno trovare degli accorgimenti per salvaguardare la forma: in pratica, non si può togliere al più forte il diritto di decidere lui; viceversa, la parte economica dell’art. 2, in qualche forma non ancora esattamente prevedibile, questa la si realizzerà: siccome però la politica economica della Comunità atlantica, in parole povere, significa che l’America deve tirare fuori degli altri soldi a titolo civile e non militare, il problema è come convincere l’America che è interesse suo e della sua politica il farlo. Gli americani ci arriveranno: ma sappiamo qui, per lunga esperienza, che la formazione delle idee presso di loro è lenta. Potrebbe essere utile che con i francesi scambiassimo delle vedute sul miglior modo di lavorare per convincere gli americani, e come, eventualmente, possiamo collaborare, tenendo presente che per arrivare a questo scopo il N.A.T.O. è una delle vie, ma non l’unica.

Per quello che concerne il disarmo, connesso col problema delle relazioni Est-Ovest e col problema della Germania, conosciamo le idee del Governo francese attuale: il che non vuol dire affatto che saranno anche le idee del prossimo Governo francese.

In sé, del problema di cosa debba precedere riarmo, sicurezza o riunificazione della Germania, temo che i nostri figli ne discuteranno ancora. Comunque, è impossibile non discuterne con i francesi; ma tenendo conto, ripeto, che queste idee francesi di oggi non sono necessariamente le idee francesi di domani, mi permetterei di consigliare di discutere con loro sotto lo stesso punto di vista sotto il quale essi ce le hanno presentate: ossia non tanto come una questione di sostanza, quanto come una questione di presentazione. Noi, sia pure in forma molto condizionale, già alla N.A.T.O., abbiamo ammessa l’eventualità che un giorno possa convenire di discutere, prima che di altri problemi, della riunificazione della Germania; sempre piuttosto a titolo di presentazione. Dal punto di vista della propaganda, si può dire quello che si vuole, senza che questo comporti impegni precisi.

Non mi sembra sarebbe il caso però di evitare di parlare anche del disarmo in sé, in quanto fatto concreto, e della nostra partecipazione alle trattative.

Come ho riferito, i francesi ci hanno già invitati a far loro conoscere, se lo abbiamo, il nostro punto di vista e se abbiamo qualche punto che ci sta particolarmente a cuore: e questo, nella misura in cui è possibile farlo, potrebbe essere intanto una prima entrata in materia.

Per quanto riguarda la nostra partecipazione alle trattative, mi sembra che bisogna che noi teniamo conto di un dato di fatto: un nostro ingresso individuale al Comitato di Londra, oggi, è fuori questione: a titolo individuale, ad un certo momento, sarà soltanto la Cina ad entrarci, forse; noi ci possiamo entrare soltanto insieme a molti altri Stati, ossia, se la conferenza diventerà generale o quasi. Il che non è probabilmente per domani.

Quindi – se mi è permesso esprimere la mia opinione – piuttosto che continuare a chiedere che ci prendano dentro, per sentirci sempre rispondere di no, mi sembra sarebbe molto più dignitoso dichiarare anche pubblicamente, se è necessario e utile, che l’Italia non accetterà nessuna clausola di disarmo che venga decisa senza una partecipazione sua alle discussioni che essa consideri adeguata. È una presa di posizione che può, mi sembra, dare soddisfazione all’interno a certe istanze nazionaliste. E, in pratica, non ci impegna a gran che.

Di fatto, tutti sanno che abbiamo ben poco da disarmare.

Un argomento molto più delicato è la questione del Medio Oriente. In primo luogo bisogna che ci aspettiamo qualche leggera lagnanza francese: sembra che, specie negli ultimi tempi, i capi fellagha si riuniscano in Italia per discutere dei loro affari: qui si riconosce che noi li informiamo correntemente di tutti questi movimenti: mi è stato riconosciuto che noi non possiamo impedire loro l’ingresso in Italia: che se non si riuniscono in Italia si riunirebbero altrove: comunque, penso che ce ne parleranno: bisogna che prepariamo le nostre risposte. Noi, parlando di Africa del Nord, potremo largheggiare in complimenti sulla elevatura di idee mostrata dai francesi nei riguardi della Tunisia e del Marocco; è superfluo però che aggiunga che sarà bene che ci asteniamo dall’esprimere delle speranze analoghe in materia di Algeria se non vogliamo gettare su questa visita un secchio di acqua gelata. La migliore cosa, su quest’ultimo argomento, sarà quella di stare a sentire i francesi e di dir loro quanto l’Italia tutta prende parte alle loro difficoltà.

Per quello che riguarda il Levante, ci sono delle critiche francesi alla politica inglese ed americana che possiamo anche far nostre: quello che sarà difficile sarà seguire i francesi quando ci domanderanno di condividere le loro amicizie e le loro inimicizie. È quindi un argomento su cui dovremmo sopratutto sentire quello che loro hanno da dirci, le loro informazioni, le loro intenzioni per la conferenza a tre, e la maniera con cui il filo informativo sarà mantenuto vivo da parte nostra. Comunque, per giustificare il nostro diritto ad essere sentiti sulle questioni di Estremo Oriente, sarebbe bene che venissimo qui con un certo bagaglio di informazioni fresche e, se possibile, originali, sulla situazione sul luogo: non credo invece sia affatto necessario precisare la nostra politica, per ora almeno, al di là delle frasi generiche, come mantenimento della pace, etc.

Naturalmente non è possibile per noi non sollevare la questione della nostra partecipazione al policy shaping per il Medio Oriente. Però, se mi è permesso esprimere un’opinione, invece di ripetere i soliti argomenti, e rinnovare le solite richieste, mi sembra sarebbe preferibile anche in questo caso dire che noi non siamo disposti a seguire una politica alla cui formazione non abbiamo preso parte, tanto più che non siamo affatto convinti che questa politica sia la migliore. Né possiamo seguire ad occhi chiusi quello che fanno gli altri perché si tratta di cose troppo vicine a casa nostra. Ci hanno invitato alla Conferenza degli Ambasciatori sul traffico delle armi: ma il traffico delle armi è una forma di estrinsecazione di una politica che è decisa al di fuori di noi: se questo stato di cose non cambia, ed al più presto, noi saremo obbligati ad uscire dal Comitato e a riprendere la nostra libertà d’azione.

A differenza di quello che ho detto per il disarmo, riterrei necessario che una dichiarazione di questo genere, se desideriamo farla, venisse fatta invece nel più assoluto segreto: la situazione in Medio Oriente è già tanto esplosiva per se stessa, che non vale veramente la pena di complicarla ancora con delle prese di posizioni nostre che Dio sa come sarebbero interpretate. Né d’altra parte ci impegniamo così a niente di concreto.

Nel complesso, in tutto questo affare, la mia opinione molto definita è che dovremo evitare di precisare molto quella che è o potrebbe essere la nostra politica: è una zona, specie con i francesi, in cui ad ogni passo si rischia di urtare un detonatore. A noi importa molto più, mi sembra, a questo stadio, sapere quello che i francesi e gli altri, hanno l’intenzione o la velleità di fare, piuttosto che suggerire noi qualche cosa da fare.

Nella trattazione di tutti questi argomenti, anche se non se ne dovesse fare oggetto di una discussione apposita, si parlerà forzatamente della situazione russa, delle supposizioni che si possono fare sulla politica russa: non credo sarà materialmente possibile andare molto al di là di uno scambio di informazioni. Anche su questo argomento bisognerà tener conto che i francesi sono molto bene informati. Si potrà essere o non essere d’accordo con le interpretazioni che i nostri interlocutori daranno degli avvenimenti e con certe loro speranze – non del resto da tutti condivise nemmeno dai francesi. Ma sarebbe bene che da parte nostra si venisse qui, anche su questo argomento, con una certa preparazione preliminare.

Per ultimo si parlerà della integrazione europea, del Mercato Comune e dell’Euratom. Su questo argomento, nella misura del possibile, sarà bene che noi diciamo con molta chiarezza ai francesi se e fino a che punto per noi sta il dilemma: o Mercato Comune o niente – tenendo naturalmente presente che non c’è persona al mondo che possa far mandare giù al Parlamento francese anche solo un inizio di Mercato Comune. E gli sviluppi economici e finanziari della situazione in Africa del Nord sono, se mai, di natura a diminuire le vaghe tendenze liberaleggianti dei francesi piuttosto che da incoraggiarle.

Anche per l’Euratom sarebbe bene che noi ripetessimo qui ai francesi dei vari progetti Bruxelles, Monnet e O.E.C.E. cos’è, sopratutto, che noi non siamo disposti ad accettare: in maniera che sia ben chiaro, fin da adesso, al di sopra di tutte le ideologie, quali sono i punti che noi, nell’interesse delle nostre prospettive atomiche nazionali, riteniamo inaccettabili.

Per la parte francese troveremo naturalmente sia il Ministro degli Esteri che il Presidente del Consiglio pieni di buona volontà: probabilmente sia l’uno che l’altro ci spiegheranno quali sono le loro idee, che sono molto simili anche se non identiche: Guy Mollet è tutto per Monnet, Pineau un po’ meno: V.E. avrà certamente, durante il corso della visita, occasione di scambiare due parole sull’argomento con altri Ministri del Gabinetto: durante la visita a Saclay potrà anche sentire la campana Commissariato: questo basterà, penso, per darle un’idea della disparità di vedute che regna sull’argomento: potrà quindi farsi un’idea delle chances che tutto questo ha di passare davanti al Parlamento francese.

Un altro argomento che conviene toccare sarà quello della Commissione mista per lo sviluppo delle relazioni economiche italo-francesi, sopratutto per la parte che concerne eventuali investimenti francesi nel Mezzogiorno. Da parte francese, qualche tempo addietro, si aveva l’intenzione di fare qualche cosa, appunto in occasione della visita: adesso però Sébilleau è a Roma ed è quindi costà che si potranno avere maggiori informazioni3.

La prego di credere, Signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.

P. Quaroni


1 Vedi D. 156.


2 Vedi D. 117, nota 2.


3 Per i resoconti delle conversazioni vedi DD. 170 e 172. Sull’argomento vedi anche DD. 165 e 168.

165

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. riservata 593 segr. pol. Roma, 13 aprile 1956.

Caro Ambasciatore,

rispondo alla tua lettera di questi ultimi giorni relativa ai prossimi incontri di Parigi e al loro contenuto1. Faccio ciò dopo aver avuto ancora una lunga conversazione con l’amico Mario Luciolli.

Circa le ore previste e desiderate per le conversazioni stesse, il nostro Ufficio del Cerimoniale ti sarà preciso. Debbo soltanto dirti che tanto il Presidente della Repubblica, quanto il nostro Ministro sono lieti che da parte francese sia stata accettata l’idea di avere un tempo maggiormente sviluppato per opportuni scambi di idee e di impressioni.

Siamo perfettamente d’accordo con te nel ritenere che il cosiddetto contenzioso franco-italiano dovrebbe essere escluso. In proposito abbiamo appreso con interesse come la tua Ambasciata sia già in diretto contatto con il Quai d’Orsay in merito al problema degli italiani in Tunisia e nel Nord Africa francese in generale e mi sembra che le tue ultime considerazioni sulla materia siano del più alto interesse politico e molto «realiste». Viceversa, tutti gli argomenti di carattere politico indicati nel tuo rapporto n. 0710 del 10 aprile potranno offrire motivo per gli incontri previsti2.

Da parte nostra si cercherà di venire a Parigi forniti di informazioni «fresche» e di prima mano, secondo quanto tu opportunamente suggerisci: allo scopo potrà servire, specie per la situazione del Medio Oriente e del Mediterraneo, la riunione, qui indetta, di tutti i nostri Capi Missione della zona arabo-israeliana, i quali, come conosci, saranno a Roma proprio nei giorni immediatamente precedenti la partenza per Parigi del Presidente della Repubblica.

In tema atlantico, il Presidente della Repubblica ha – come ebbe a dimostrare durante il suo recente viaggio americano – idee ben sviluppate, sopratutto in tema di applicazione del famoso articolo 2, nonché nei riguardi della necessità di una maggiore coesione politica dell’Alleanza e quindi sarà in condizioni di esporre direttamente agli amici francesi i suoi intendimenti. Aggiungi che, fortunatamente, proprio in questi giorni, ha avuto luogo in Senato il dibattito sulla politica estera, dibattito scialbo e incolore ma che comunque ci ha fornito una ottima opportunità per definire parecchie idee, le quali verranno esposte proprio oggi, nella sua risposta al Senato stesso, dal nostro Ministro.

Per tutta la parte relativa all’integrazione europea con Mercato Comune e Euratom, l’incontro di Parigi sarà preceduto dai contatti che avremo in questi prossimi giorni a Strasburgo, dove il Ministro, nella sua qualità di presidente di turno del Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa, potrà prendere diretti contatti con i suoi colleghi proprio su quelle materie.

Tutto sommato, i Rappresentanti italiani dovrebbero giungere a Parigi con un notevole bagaglio di impressioni e di informazioni. Ci siamo espressi anche con Fouques-Duparc perché, pur restando ferma la opportunità di non compilare una vera e propria agenda, le previste conversazioni possano avviarsi sui temi su indicati e da tempo, del resto, ripetutamente accennati.

Adesso mi permetterai di dirti quanto siano apparsi interessanti i tuoi ultimi rapporti relativi a tutta la situazione francese, con particolare riguardo al «decisivo» problema dell’Algeria: sei riuscito, come sempre – e vorrei dire più di sempre – a darci una fotografia chiara e inequivoca di quale sia lo stato d’animo attuale del paese amico e quanto profondamente incidano sulla sua vita politica gli avvenimenti che stiamo vivendo.

Sarà lietissimo di rivederti al momento del Consiglio atlantico e per intanto ti invio i miei più cordiali e memori saluti.

Tuo aff.mo

Massimo Magistrati


1 Non rinvenuto.


2 Vedi D. 164.

166

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

Appunto1.

[RIUNIONE CONCLUSIVA DEL COMITATO INTERGOVERNATIVOPER IL RILANCIO EUROPEO]

[Bruxelles, 18, 19, 20, 21 aprile 1956]

Nelle ore antimeridiane di sabato 21 aprile il Comitato Intergovernativo creato dalla Conferenza di Messina ha concluso a Bruxelles i suoi lavori sul «rilancio europeo».

I sei Capi Delegazioni, sotto la presidenza di Spaak, hanno approvato il testo finale del Rapporto che viene sottoposto ai Ministri degli Affari Esteri dei sei paesi membri della C.E.C.A., e sul quale essi dovranno pronunciarsi nella loro prossima riunione, che si terrà in Italia presumibilmente il 29-30 maggio2.

Si è chiusa così la prima fase – durata quasi un anno – del «rilancio europeo», che era stato messo in moto nella Conferenza di Messina.

Il Rapporto dei sei Capi Delegazioni e del loro coordinatore politico costituisce la risposta ai vari punti che a Messina erano stati proposti allo studio degli esperti.

Il Rapporto indica dunque:

come possa giungersi alla istituzione di un mercato comune europeo;

quale forma e quali poteri possa avere una organizzazione comune per lo sviluppo pacifico dell’energia nucleare;

quali misure urgenti possano prendersi nel campo dell’energia classica, dei trasporti, delle costruzioni aeronautiche e delle poste e telecomunicazioni, per sviluppare questi settori mediante una più efficace collaborazione europea.

È detto esplicitamente nella introduzione del Rapporto che le soluzioni proposte dai Capi Delegazioni non impegnano per ora in alcun modo i rispettivi Governi. Tuttavia i Capi Delegazioni raccomandano ai loro Ministri che tali soluzioni siano prese per base nella negoziazione dei trattati da sottoporre ai Parlamenti.

2. Grazie agli sforzi compiuti da Spaak, e alla buona volontà dimostrata dai Capi Delegazioni, è stato possibile presentare ai Ministri un Rapporto unanime e privo di qualsiasi riserva. Sarebbe però inutile nascondersi che questo felice risultato è dovuto sia al fatto che i Capi Delegazioni non impegnavano i Governi, sia sopratutto a quello che le più gravi difficoltà sono state superate rinviandole anziché risolvendole. Ciò nonostante, poiché il Rapporto verrà reso pubblico e largamente diffuso, non è da sottovalutare l’importanza politica del fatto che esso non manifesti – se non agli iniziati – alcuna divergenza di vedute fra i Capi delle sei Delegazioni nazionali.

Va anche aggiunto che il Rapporto si presenta felicemente, tanto dal punto di vista tecnico che da quello redazionale. Per la prima volta nel dopoguerra uno studio sulla unificazione economica dell’Europa abbraccia l’intero terreno dell’economia, suggerisce una posizione di compromesso fra tesi assai diverse, propone soluzioni realistiche quanto audaci a problemi di estrema complessità.

In particolare per quanto riguarda il Mercato Comune, che è lo spauracchio di molta parte dell’opinione pubblica e non solo in Francia, è probabile che il Rapporto convinca i lettori in buona fede che questo grande esperimento non è tecnicamente irrealizzabile.

3. Le ultime e più gravi divergenze, non risolte se non dialetticamente e con un implicito rinvio ai Governi, si sono avute in materia di Euratom. Esse sono principalmente tre, in ordine decrescente di importanza.

In materia di possibile utilizzo militare dell’energia atomica e di sue conseguenze sul sistema di Euratom, non è stato possibile giungere ad un compromesso: e la formula transattiva di Spaak (secondo la quale, dopo qualche anno di sospensiva, ogni paese membro – salvo la Germania – potrebbe fabbricare armi atomiche col consenso di almeno altri due dei sei paesi, e purché tali fabbricazioni non sfuggissero al controllo comune) non appare più nel Rapporto. Al suo posto i Capi Delegazioni dichiarano che l’argomento è di carattere essenzialmente politico, e pertanto fuori della loro competenza. Essi richiamano tuttavia l’attenzione sulle importanti conseguenze tecniche che un riarmo atomico avrebbe sul sistema di Euratom; e confidano che possa trovarsi in futuro una soluzione che mantenga l’efficacia del sistema, e in particolare del controllo di sicurezza.

Era questa l’unica formula concepibile data la difficoltà di ammettere da parte francese che la produzione militare atomica sia controllata dalla Comunità, e la dichiarata ostilità tedesca a qualsiasi accordo che riconfermi la discriminazione in materia di armi nucleari, che la Germania ha dovuto subire col Trattato di Parigi.

Su questo punto l’Ambasciatore Ophuels non ha certo avuto peli sulla lingua.

4. La seconda notevole divergenza si è verificata in materia di libertà o meno di acquistare, in caso di penuria o di pre-penuria, combustibili nucleari fuori dell’ambito della Comunità.

I tedeschi volevano che tale libertà fosse la più estesa possibile, e rifiutavano di ammettere che tali acquisti all’estero debbano essere effettuati attraverso la Commissione atomica europea. Si tratta qui di una posizione anticomunitaria, mirante a scardinare il monopolio di vendite e acquisti di combustibili nucleari che vorrebbe affidarsi ad Euratom: il che rende evidentemente difficile a Spaak ottenere che venga consentito a Euratom un diritto di opzione sui minerali del Congo. La formula che appare nel Rapporto rinvia a ulteriori decisioni la definizione delle misure che permetterebbero alla Comunità di controllare gli acquisti fatti direttamente all’estero dai paesi membri.

La terza divergenza riguarda la messa in comune dei segreti di fabbrica: anche su questo argomento la tesi comunitaria francese si è scontrata con quella privatistica tedesca.

In conclusione, l’atteggiamento distaccato dei tedeschi nei confronti di Euratom si è accentuato. Se ad esso si aggiungono le difficoltà che il Governo francese prova nel giungere ad una decisione, e la campagna parlamentare e di stampa che già ha avuto inizio in Francia, è doveroso riconoscere che la sorte finale di Euratom è tuttora alquanto dubbia, e che lo diventerà probabilmente sempre più col passare del tempo.

5. La discussione dei capitoli concernenti il Mercato Comune non ha messo alla luce divergenze di comparabile gravità. Il Rapporto è ispirato a una salutare prudenza e gradualità: tutto è stato fatto per alleviare i timori francesi, dimostrando loro che il rivolgimento causato dalla integrazione economica europea sarà, non solo diluito nel tempo, ma compensato da misure di salvaguardia, concorsi mutui e correttivi di vario genere. Il testo del Rapporto non esclude, nei casi più delicati, varie possibili interpretazioni; e pertanto esso cela sicuramente notevoli arrière-pensées francesi. L’esperimento di costituire un mercato comune in una zona altamente industrializzata come quella dell’Europa Occidentale presenta tali incognite, che non sarebbe onesto illudersi della possibilità di prevedere tutte le ripercussioni e di avere risposta a tutte le difficoltà. Ma è anche possibile che un tale esperimento si dimostrerebbe, alla prova dei fatti, come un’operazione meno difficile di quanto le prospettive all’inizio di essa possano far temere. Tanto maggiori sembrano poter essere le probabilità di successo di una simile operazione quanto più essa verrà presentata all’opinione pubblica come una serie di graduali misure tecniche intese ad intensificare la cooperazione economica su una vasta zona dell’Europa.

6. Il Rapporto verrà inviato ai Ministri con una lettera ufficiale di Spaak3; subito dopo esso verrà diffuso in forma stampata, nell’intento di aprire immediatamente la pubblica discussione sulle soluzioni da esso proposte.

Nella loro riunione di fine maggio i Ministri, qualora non decidano di rinviare il Rapporto agli esperti per un supplemento di istruttoria, dovranno decidere se e quando convocare la conferenza o le conferenze per la redazione dei trattati: tenendo presente che, il Rapporto essendo soltanto una base comune di discussione, tutte le questioni sono in realtà aperte.

Sarebbe intenzione di Spaak – a quanto sembra – di proporre la convocazione di un’unica conferenza la quale preparasse il testo di due diversi trattati (Mercato Comune e Euratom), nonché di altri accordi parziali su argomenti di minore rilievo.


1 Il documento, datato Roma 24 aprile, fu trasmesso da Ducci (Telespr. 44/6820/c. del 27 aprile) agli stessi destinatari di cui al D. 69 con l’aggiunta del Ministero dell’Agricoltura e Foreste e ad eccezione della Confederazione Generale dell’Industria Italiana e del Centro Italiano Ricerche Nucleari.


2 Vedi D. 178: «Rapport des Chefs de Délégation aux Ministères des Affaires Etrangères (Rapporto Spaak)», datato Bruxelles 21 aprile 1956, prot. n. Mae 120 f/56, in: http/aei.pitt.edu/996/1/Spaak_report_french.pdf.


3 Del 26 aprile, con la quale, a proposito dell’utilizzo militare dell’energia atomica, Spaak proponeva che gli Stati membri sospendessero per un periodo determinato la fabbricazione di armi nucleari strategiche e tattiche, subordinando la possibilità di interruzione della sospensiva alla decisione unanime del Consiglio. Dopo tale periodo la fabbricazione di armi atomiche sarebbe stata possibile con il consenso di almeno due degli Stati membri.

167

IL CAPO DELLA DELEGAZIONEPRESSO IL COMITATO INTERGOVERNATIVO DI BRUXELLES, BENVENUTI

Bruxelles, 20 aprile 1956.

DÉCLARATION DU CHEF DE LA DÉLÉGATION ITALIENNE

SUR LA PARTIE RELATIVE AU MARCHÉ COMMUNDU RAPPORT AUX MINISTRES DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES1

Le chef de la délégation italienne désire réaffirmer son accord sur les lignes générales du présent Rapport et est d’accord pour le recommander comme base dans les négociations du traité instituant un marché commun.

En même temps, il tient à rappeler qu’un programme décennal de développement économique est en cours de réalisation en Italie. La réussite de ce programme, déjà reconnu d’intérêt européen, pose et pourrait poser, dans le futur, des problèmes économiques spéciaux.

Le Gouvernement italien est convaincu de la nécessité de réaliser les objectifs du programme dans un cadre de coopération et d’unité économique européenne.

Les deux objectifs ne sont pas divergents: ils se complètent réciproquement.

Il est évident que la création d’une communauté européenne ne peut être mise en cause par la réalisation d’un programme de développement d’un État membre; d’autre part, il est nécessaire que les efforts économiques de l’Italie ne soient pas entravés ou mis en difficulté par la construction européenne.

En effet, on a reconnu plusieures fois – et le Rapport même le souligne – qu’un développement des régions les moins favorisées est une nécessité fondamentale pour le succès du marché commun et pour la réussite de l’entreprise européenne dans son ensemble.

Le Rapport rappelle aussi que l’expérience historique démontre que la mise en communication, par la création d’un marché commun, de régions ou de pays à développement économique inégal n’assura pas automatiquement un progrès plus rapide des régions ou des pays initialement moins favorisés et donc un rapprochement de leurs niveaux.

Le chef de la délégation italienne, en tenant compte des considérations émises plus haut, désire porter à la connaissance du Comité Intergouvernemental que le Gouvernement italien se réserve de présenter, au cours des négociations pour la rédaction du traité instituant le marché commun, des formules qui pourront tenir compte de l’effort économique en cours en Italie.


1 Presentata nel corso della riunione conclusiva del Comitato Intergovernativo di Bruxelles, vedi D. 166.

168

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI

Appunto 44/06573/922. Roma, 21 aprile 1956.

L’Ambasciatore a Parigi, nel riferire circa gli argomenti che potrebbero formare oggetto di conversazione in occasione della prossima visita a Parigi del Presidente della Repubblica, sottolinea la necessità di avere con i francesi la spiegazione più franca possibile in materia di integrazione europea: Mercato Comune ed Euratom1.

L’Ambasciatore segnala che sarebbe opportuno dire con molta chiarezza ai francesi se e fino a che punto noi intendiamo fare del collegamento fra l’istituzione dell’Euratom e quella del Mercato Comune una «conditio sine qua non» per la realizzazione del programma di Messina. Aggiunge che, a suo parere, «non c’è persona al mondo che possa far mandar giù al Parlamento francese anche solo un inizio di Mercato Comune».

Il problema posto in questi termini appare a prima vista insolubile o, meglio, offrire un’unica soluzione: se si intende veramente fare qualche cosa in materia di integrazione europea, non c’è che da mettere a «bagnomaria» il progetto di Mercato Comune e concentrarsi esclusivamente sulla realizzazione rapida di Euratom.

Gli ultimi sviluppi dei lavori del Comitato Intergovernativo di Bruxelles2 hanno peraltro messo in rilievo, più chiaramente di quanto non apparisse all’inizio, che le difficoltà di realizzare Euratom non sono poi così lievi e che il dissidio che si è delineato al riguardo verte su delicati problemi di fondo. Mentre da principio infatti si era creduto – e sia il Comitato Monnet che il Movimento federalista europeo si erano cullati in questa convinzione – che Euratom potesse passare abbastanza facilmente, in quanto non si trovava a dover cozzare contro gruppi di interessi precostituiti, appare ora chiaro che le difficoltà da superare per Euratom trovano origine in quegli stessi motivi psicologici e politici che fecero a suo tempo fallire la ratifica della C.E.D. al Parlamento francese. Il diritto di costruire le armi atomiche, gli atteggiamenti dello Stato Maggiore francese, il desiderio francese di continuare – anzi consolidare – in Euratom, la situazione, per ora teorica, di superiorità in materia atomica militare nei confronti della Germania, la convinzione del Commissariato per l’energia nucleare di compiere un sacrificio senza compenso mettendo a disposizione degli altri lo know how già raggiunto e il torio di cui l’Impero francese è ricco, sono tutti motivi destinati a far presa sugli stessi gruppi che a suo tempo fecero fallire, obbedendo alla passione più che alla ragione, la ratifica della C.E.D. A ciò si aggiunge il dissidio particolarmente fra francesi e tedeschi circa la maggiore o minore libertà da concedere all’iniziativa privata nello sfruttamento dell’energia nucleare.

Una cosa comunque appare certa: più il tempo passa e più le accennate divergenze in materia di Euratom rischiano di incancrenirsi e di rendere difficile una soluzione di compromesso. I tentativi fatti finora in sede di Comitato Intergovernativo e di conferenze dei sei Ministri degli Esteri non hanno portato a risultati apprezzabili.

Di fronte alla situazione sopra brevemente delineata viene fatto di domandarsi se il dilemma posto dall’Ambasciatore in Parigi conservi tuttora la sua validità o se esso non debba essere posto in maniera più ampia e cioè che, giunti al punto in cui siamo, si tratti piuttosto di sapere se la volontà politica espressa dai Ministri a Messina è tuttora valida o se, viceversa, da parte del Governo francese non ci si appresti ancora una volta ad abbandonare i progetti d’integrazione europea.

La posizione del Governo italiano rimane immutata ed è stata espressa ancora recentemente dal Ministro degli Affari Esteri nel suo discorso al Senato: «al fine della unità meglio e più dell’Euratom potrà servire il Mercato Comune. È l’integrazione generale, o, come si dice, orizzontale, dell’economia che, assai meglio di quella per settori, potrà condurre all’unificazione dell’Europa»3.

Sembrerebbe giunto il momento di chiarire ai francesi che in effetti noi vediamo nella realizzazione soltanto di Euratom o, in generale, di una nuova integrazione di settore, piuttosto una minaccia di arresto del processo di integrazione europea che non un progresso.

L’esperienza C.E.C.A. ha dimostrato ormai abbondantemente che l’integrazione per settore trova dei limiti invalicabili, se non è rapidamente accompagnata da una integrazione generale che comprenda l’armonizzazione fiscale, finanziaria, economica e sociale. La realizzazione quindi di una nuova integrazione per settore potrebbe avere – oltre evidentemente ai risultati economici e tecnici scontati – come solo risultato politico di fornire agli anti-europeisti un alibi per tacitare per qualche anno i fautori dell’unità europea, mentre invece non farebbe che gettare allo sbaraglio un nuovo organo, che si troverebbe presto di fronte alle difficoltà che già sta sperimentando la C.E.C.A.

Se si vuole quindi parlare con assoluta chiarezza al Governo francese sarebbe forse il caso di porlo di fronte un dilemma più logicamente fondato: opporsi alla realizzazione del Mercato Comune significa in pratica opporsi ad un qualunque progresso sulla via dell’unità europea.

Nella situazione attuale la realizzazione del solo Euratom si potrebbe conseguire o con gravi e in parte ingiustificati sacrifici da parte tedesca, oppure con una battaglia davanti al Parlamento francese che minaccia di divenire altrettanto acerba e incerta come quella per la C.E.D.; eventualità entrambe suscettibili di provocare conseguenze negative, agli effetti della politica di unità europea, maggiori degli effetti positivi che ci si ripromettono dall’istituzione di Euratom.

Se è vero quanto sopra, c’è da domandarsi se non sia più conveniente affrontare la battaglia al Parlamento francese per tutto il Mercato Comune, che rappresenterebbe indubbiamente un passo più serio e completo sulla via della integrazione europea. Se la battaglia sarà perduta, ne deriveranno gli stessi effetti negativi che si avrebbero in caso di fallimento del progetto Euratom; ma se il Governo francese riuscirà a vincerla – e gli ostacoli non sembrano ormai essere maggiori per il Mercato Comune che per Euratom – avremmo ottenuto un risultato degno di questo nome.

Se da parte francese si ritenesse di poter compiere tale sforzo, indubbiamente rilevante, per continuare sulla via tracciata a Messina, si potrebbe da parte nostra assicurare fin d’ora ai francesi la massima comprensione nelle questioni particolari che più stanno a cuore ad alcuni gruppi della sua opinione pubblica e del suo Parlamento, nei limiti peraltro che ci sono consentiti dai conti che noi, a nostra volta, dobbiamo fare con la nostra opinione pubblica e con i nostri interessi.


1 Vedi D. 164.


2 Vedi D. 166.


3 Discorso di Gaetano Martino al Senato del 13 aprile 1956, in Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, II Legislatura, Discussioni, CCCLXXXVII Seduta, 13 aprile 1956, pp. 15811-15826.

169

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

Appunto. Roma, 24 aprile 1956.

Ducci riferisce che, dopo la partenza di V.E. da Strasburgo, pare vi sia stato ancora – a quanto gli è stato detto a Bruxelles – un altro tentativo francese di ripristinare al 6-7 maggio la data della riunione dei sei Ministri degli Esteri di Messina.

Pineau deve averne parlato a Brentano: ma senza risultato.

Si pensava d’altronde, negli ambienti di Bruxelles, che il Governo tedesco ormai preferisca, prima di prendere impegni in materia di unificazione europea, che i francesi abbiano compiuto il viaggio di Mosca.

La data del 29-30 maggio sembra dunque per ora quella generalmente accolta per la riunione dei sei Ministri degli Esteri da tenersi in Italia.

Esponenti del Segretariato della Conferenza di Bruxelles hanno tuttavia avvicinato Ducci per dirgli che a loro avviso Roma o altra grande città italiana non si sarebbe prestata, in quella data, per essere sede della riunione ministeriale. A loro parere, il dibattito politico e giornalistico che seguirà all’esito delle elezioni potrebbe togliere rilievo alla Conferenza europea. Inoltre in tale epoca sarebbero da temere difficoltà logistiche e di alloggio.

Il Segretariato suggeriva che la scelta italiana cadesse su una località turistica del Nord Italia, possibilmente sui laghi, come Pallanza o Cernobbio.

Per quanto riguarda la data sembra difficile fissarla in giorni diversi dal 29-30 maggio. Il 31 è il Corpus Domini, il 2 giugno la Festa della Repubblica.

Circa la sede, qualora V.E. non continui a ritenere Roma la migliore soluzione, si potrebbe pensare – piuttosto che a una località dei laghi – a Venezia1. Sembrerebbe infatti opportuno che la Conferenza ministeriale, cui si annette il valore di una svolta decisiva nell’opera di edificazione dell’Europa, abbia luogo in località non troppo appartata e che anzi sottolinei col suo quadro storico l’importanza della riunione.


1 Vedi D. 178.

170

INCONTRO ITALO-FRANCESE

Appunto1.

APPUNTO SULLA CONVERSAZIONE TRA IL MINISTRO ON. MARTINO

E IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DI FRANCIA, PINEAU

(Parigi, Quai d’Orsay – 25 Aprile 1956)

Nel pomeriggio del 25 aprile 1956, e secondo il programma previsto, ha avuto luogo al Quai d’Orsay una esauriente conversazione tra i Ministri degli Affari Esteri d’Italia e di Francia sulla base di una agenda che era stata in precedenza preparata ed approvata.

Da parte italiana sono stati presenti alla conversazione stessa l’Ambasciatore d’Italia a Parigi, Quaroni (nella sua prima parte), il Capo di Gabinetto di Palazzo Chigi, Migone, ed il Direttore Generale degli Affari Politici, Magistrati, mentre da parte francese, assistevano il Segretario di Stato al Ministero degli Esteri, Maurice Faure, e l’Ambasciatore di Francia a Roma, Fouques-Duparc.

Il primo degli argomenti toccati si riferiva alla situazione esistente nel Medio Oriente con particolare riguardo al conflitto fra i Paesi arabi e lo Stato di Israele. Da parte italiana è stato fatto presente come la recente iniziativa francese, che non ha poi trovato sviluppo, di promuovere una vera e propria conferenza fra i tre Stati firmatari della Dichiarazione del 1950, avesse trovato da parte degli organi responsabili italiani e dello stesso Presidente della Repubblica, una dichiarata avversione in quanto che una esclusione dell’Italia, paese eminentemente mediterraneo e direttamente interessato alle vicende del Medio Oriente, non sarebbe stata affatto comprensibile. In risposta, il Ministro Pineau ha esposto i motivi che avevano a suo tempo convinto il Governo francese della necessità di avanzare quella iniziativa e cioè, sopratutto, l’opportunità che sia impedito all’Unione Sovietica di approfittare dell’attuale situazione per assumere, senza alcun controllo e singolarmente, posizioni nella questione del Medio Oriente tali da farla apparire, eventualmente, in funzione di mediatrice. Una conferenza dei tre paesi firmatari della Tripartita del 1950 avrebbe avuto appunto il vantaggio di porre apertamente in discussione una eventuale partecipazione della Russia, e entro quali limiti, alle discussioni per il Medio Oriente. Comunque, in vista del poco entusiasmo mostrato in merito dai Governi di Washington e di Londra, la questione appare sorpassata e ora sembra maggiormente opportuno attendere i risultati della missione del Segretario Generale delle Nazioni Unite. Da parte italiana si è ripetuta comunque la richiesta che nel prossimo futuro qualsiasi iniziativa dovesse essere presa da parte alleata dovrebbe portare a preventive consultazioni con l’Italia ed in tale senso il Ministro Pineau ha dato piena assicurazione. Il Ministro Martino, infine, ha fornito alcuni elementi informativi sulla base delle notizie in questi giorni portate a Roma dai Rappresentanti diplomatici italiani residenti in quel settore.

In merito alla situazione dell’Italia in seno alle Nazioni Unite ed alla possibilità della presentazione di una candidatura italiana al posto che il Belgio lascerà vacante nel prossimo novembre in seno al Consiglio di Sicurezza, il Ministro Martino ha riassunto tutte le tesi che militano a favore della candidatura stessa, insistendo particolarmente sul fatto che la rotazione fino ad oggi in uso tra i Paesi del Benelux ed i Paesi scandinavi per il posto al quale si è sopra accennato, non aveva più alcuna ragione di sussistere dopo l’ingresso nell’O.N.U. di altri paesi europei occidentali, primo tra i quali, per importanza politica, geografica e demografica, l’Italia. Le eventuali assicurazioni, quindi, che risultano già date da qualche Governo europeo, quale sopratutto quello del Regno Unito, alla Svezia non dovrebbero più valere dato che esse si riferivano, «rebus sic stantibus», al periodo antecedente alle nuove ammissioni. La circostanza infine che i Paesi scandinavi, e particolarmente la Svezia, si erano fino ad oggi avvantaggiati del fatto che il posto di Segretario Generale dell’Organizzazione è stato sempre, e lo è tuttora, dato ad un cittadino scandinavo, doveva far comprendere come, con l’assegnazione oggi alla Svezia stessa anche del posto nel Consiglio di Sicurezza, avrebbe dato a quel paese una posizione di preminenza non certo giustificata. Le assicurazioni ora date all’Italia, e specialmente da Londra, per una iniziativa intesa a provocare un aumento nel numero dei posti del Consiglio di Sicurezza, non poteva certamente essere, dall’Italia stessa, ritenuta sufficiente in quanto che un approfondito studio delle procedure esistenti in seno all’O.N.U. aveva portato alla conclusione che sarebbero necessari almeno due anni di tempo – e ammesso che si potesse raggiungere una maggioranza degli Stati sulla questione – prima che si potesse ottenere una applicazione delle eventuali nuove regole statutarie.

Il Ministro Pineau si è dimostrato convinto delle tesi italiane e ha dichiarato che effettivamente si dovrebbe pensare fin da ora ad un aumento nel numero dei posti del Consiglio di Sicurezza, indicando al Governo di Stoccolma come una tale riforma dovesse risultare favorevole alla richiesta svedese nel senso che uno dei due nuovi posti dovrebbe essere riservato alla Svezia a seguito di intese fra tutti i paesi dell’Europa Occidentale. Oggi, viceversa, il posto lasciato vacante dal Belgio dovrebbe essere dato all’Italia ed in tale senso il Governo di Parigi – in vista della richiesta all’On. Martino – si adopererà anche presso quello di Londra. Una decisione, infatti, franco-inglese sull’argomento costituirebbe senza dubbio un elemento di grande importanza, per non dire decisivo, per l’atteggiamento definitivo che il cosidetto «gruppo europeo» dovrà prendere sull’argomento prima della prossima Assemblea di novembre.

Circa le discussioni attualmente in corso, specialmente in seno alla Sottocommissione di Londra delle Nazioni Unite, in merito alle misure per un disarmo o limitazione degli armamenti, il Ministro Pineau ha esposto, in riassunto, i «piani» che sono stati colà presentati dai principali paesi e che dovrebbero ora costituire la base per il rapporto finale della Sottocommissione stessa. Come è noto, da parte americana si insiste per l’applicazione preventiva e pregiudiziale di una serie di «controlli internazionali» destinati particolarmente a costituire la prova della buona fede da parte degli Stati interessati, mentre da parte sovietica si continua a sostenere una tesi che vorrebbe essere «di fondo» e secondo la quale le intese dovrebbero, fin da ora, indicare, sopratutto, le limitazioni negli effettivi e negli armamenti. Da parte francese (Piano Moch), si cerca di raggiungere un sistema mediano suddiviso, per le pratiche applicazioni, in fasi successive nelle quali, pur partendo dalle iniziative americane in tema di controlli, si dovrebbe passare progressivamente a talune riduzioni, anche se queste non potrebbero forse essere, almeno in un primo momento, altro che simboliche.

L’esposizione del Ministro Pineau ha portato ad una interessante discussione in merito agli stretti legami esistenti, e che dovrebbero essere definiti di «interdipendenza», tra i problemi del disarmo, della sicurezza internazionale e della riunificazione della Germania. E ciò perché da parte francese si è data la chiara impressione che il Governo di Parigi, sospinto anche da necessità di opinione pubblica, desiderosa oggi sopratutto di vedere enunciate e definite misure di carattere distensivo, consideri l’opportunità, effettivamente, non più di immaginare una perfetta interdipendenza ed una perfetta concomitanza e parallelismo tra i tre problemi suindicati, ma invece di far compiere sopratutto qualche progresso, anche se formale e di propaganda, a quello del disarmo. I russi, a loro volta, sostanzialmente sempre più contrari ad una effettiva riunificazione tedesca, almeno sulle basi dell’attuale discussione, insistono particolarmente sulla necessità che siano innanzitutto enunciate le misure atte a creare il sistema per la sicurezza internazionale.

Il Ministro Martino ha, sull’argomento, posto in rilievo quanto sarebbe pericoloso, ai fini dell’unità e della difesa dell’Occidente, dare al Governo ed all’opinione pubblica della Germania l’impressione che oramai il problema della riunificazione tedesca viene ad essere praticamente accantonato dagli alleati e sganciato dagli altri due. Una tale sensazione potrebbe addirittura provocare il rischio di un orientamento tedesco inteso a facilitare il raggiungimento della riunificazione a mezzo di diretti contatti con il Governo sovietico con conseguente grave crisi della Alleanza atlantica. Per tali motivi – ha aggiunto l’On. Martino – sarebbe assolutamente necessario che apparisse in forma chiara ed ufficiale, e non soltanto per la via di riservati canali diplomatici, come non si potrebbe mai passare ad una seconda fase della discussione sul disarmo e sulla sicurezza senza che venisse ribadito il concetto della «pregiudizialità» del problema della riunificazione. In tale senso occorrerebbe fin da ora dare precise assicurazioni al Governo di Bonn per evitare speculazioni ed interpretazioni del tipo di quelle che, con indubbio grave nocumento, sorsero al momento della pubblicazione della nota intervista del Presidente Mollet.

Il Ministro Pineau si è dichiarato conscio di tali pericoli ma ha mostrato di ritenere come, checché si faccia e checché si dica, i russi saranno sempre contrari alla riunificazione della Germania e sarebbe pericoloso, in vista di tale opposizione, rompere anche le trattative per il disarmo o dichiarare il loro fallimento, con inevitabili conseguenze in seno alle opinioni pubbliche e con sicuro vantaggio della propaganda sovietica. Naturalmente sarà necessario trovare il punto di equilibrio nel senso che anche l’annuncio, domani, di dirette e non impossibili conversazioni russo-tedesche sull’argomento potrebbe condurre a gravi sbandamenti delle stesse opinioni pubbliche. Su richiesta dell’On. Martino, il Ministro Pineau lo ha comunque autorizzato a confermare al Governo di Bonn come da parte francese non si intenda affatto «gettare a mare» il problema della riunificazione, ritenuto sempre intimamente legato a quelli del disarmo e della sicurezza. E ha infine aggiunto che quanto aveva fatto presente l’On. Martino in merito alla necessità di una pubblica presa di posizione dei Governi alleati, a conclusione delle attuali trattative di Londra sul disarmo, sulla impossibilità di ulteriori sviluppi senza una contemporanea trattativa sulla riunificazione tedesca, dovrebbe essere preso in favorevole considerazione.

Sempre sulla questione del disarmo e sulle eventuali proposte alleate in merito, da parte italiana si è fatto presente come, oltre il sistema di informazioni a favore dell’Italia attualmente in corso a Londra, non potrebbe non essere necessario che il Governo italiano – secondo quanto del resto era già stato più volte assicurato – venisse ad un certo momento messo in grado di dire la sua parola ed esporre i suoi intendimenti, perché altrimenti nessun Parlamento italiano potrebbe domani accettare ed avallare limitazioni e condizioni, alla cui preparazione ed alla cui enunciazione l’Italia fosse stata tenuta completamente estranea.

Circa la prossima riunione, da ambo le parti considerata di alto interesse e di grande importanza, del Consiglio atlantico al livello Ministri, prevista per il 4 maggio, il Ministro Pineau ha dichiarato che il Governo francese è pienamente convinto della necessità, tanto opportunamente fatta presente dall’Italia, di una sempre maggiore evoluzione, in senso civile ed economico, dei concetti che sono alla base dell’Alleanza: oggi, infatti, mentre si vanno facendo meno probabili e possibili le eventualità di un conflitto armato, si vanno producendo invece e preannunciando nuovi sviluppi su terreni e in settori fino ad oggi poco considerati dall’Alleanza stessa. E, in merito alle possibili applicazioni ed alle nuove interpretazioni da dare alle norme contemplate nell’art. 2 del Patto, egli ha annunciato che la Delegazione francese presenterà, nel corso della prossima riunione, un vero e proprio piano inteso a permettere lo studio e l’applicazione di norme, di carattere particolarmente economico, destinate ad aumentare la sfera d’azione della N.A.T.O. ed a neutralizzare, in sostanza, le iniziative che, fino ad oggi, per la verità, con poca spesa, i sovietici vanno prendendo sopratutto nei riguardi dei paesi del continente asiatico allo scopo principale di minacciare talune fonti di potenza delle alleanze dei paesi contrari all’influenza di Mosca e creare, comunque, una atmosfera ostile all’Occidente.

Nella compilazione di tale piano, che verrà fatto circolare due giorni prima della riunione atlantica, il Governo francese si è inspirato alla necessità che, anche per motivi tattici, la N.A.T.O., in questa sua nuova sfera di attività civile ed economica, non appaia clamorosamente in primo piano e ciò per evitare facili speculazioni di propaganda e interpretazioni nocive. In altre parole sarebbe opportuno che, pur restando ed anzi creando nella N.A.T.O. una volontà ed una decisione comune in merito all’applicazione di piani economici, questi venissero effettuati a mezzo e sotto l’egida delle Nazioni Unite, organo supremo della solidarietà internazionale.

Da parte italiana è stata sollevata l’obiezione che, con un tale sistema, i paesi della N.A.T.O. correrebbero il rischio di sostenere tutto l’aggravio finanziario necessario per poi vedere elementi ad essa estranei o addirittura ostili, quali l’Unione Sovietica ed i suoi alleati, prendersi il merito degli aiuti a questo o a quel paese, sotto l’egida e sotto il nome delle Nazioni Unite, sulle cui decisioni finali molto essi potrebbero esercitare influenze in questa o quella direzione, con risultati, in definitiva, assolutamente contrari a quelli ai quali deve tendere la nuova propugnata evoluzione dell’Alleanza atlantica.

Il Ministro Pineau ha riconosciuto l’importanza di tale obiezione, aggiungendo però che, comunque, il peso dell’Alleanza atlantica e delle comuni decisioni e dei comuni indirizzi in essa presi, costituirebbe l’elemento essenziale e decisivo anche in sede di Nazioni Unite, ma non ha precisato come ciò potrebbe e dovrebbe avvenire.

Circa i problemi attualmente sul tappeto in merito al processo di integrazione europea con particolare riguardo al progetto dell’Euratom ed alle conversazioni di Bruxelles per la creazione di un Mercato Comune tra i sei paesi oggi già facenti parte della C.E.C.A., il Ministro Pineau ha ritenuto opportuno illuminare pienamente il suo collega italiano sulle gravi difficoltà politiche che si registrano in Francia nei riguardi di future approvazioni parlamentari di quei progetti stessi. Egli, per quanto sia stato tra i pochi convinti rappresentanti socialisti che a suo tempo votarono a favore della C.E.D., perché da lui ritenuta elemento essenziale per l’integrazione dell’Europa Occidentale, non poteva disconoscere che, almeno nella situazione attuale (e tale previsione è stata confermata, nel corso della conversazione, dal Segretario di Stato Faure), mai si sarebbe trovata una maggioranza parlamentare per accettare progetti destinati a favorire soluzioni di carattere sopranazionale del tipo della C.E.C.A. Attualmente nella Camera francese vi sono 200 deputati comunisti che comunque, e per motivi di dichiarata assoluta opposizione al Governo, voterebbero sempre contro ed a essi non potrebbero non aggiungersi molti altri deputati di differenti settori. Circa l’Euratom si vanno poi incontrando notevoli difficoltà sia in merito, sopratutto, alla questione del libero uso dell’energia atomica per scopi civili – difficoltà che concernono anche la posizione speciale della Germania a seguito delle note limitazioni previste dagli Accordi di Parigi per l’U.E.O. – sia per il fatto che non pochi ambienti francesi politici, militari ed industriali vedrebbero con occhio migliore una impostazione di quel problema, con carattere di internazionalità, in sede, ad esempio, dell’O.E.C.E. e sulla base di intese regionali del tipo di quelle già del resto previste ed autorizzate, oltre che dall’O.E.C.E., dallo stesso G.A.T.T. Altrettanto deve dirsi per la questione del Mercato Comune e su tale argomento il Governo francese non può dichiararsi d’accordo con l’avviamento e con le idee sostenute sopratutto dal Ministro degli Esteri belga Spaak, il quale vorrebbe invece, senza tener conto delle difficoltà degli altri paesi, spingere troppo avanti il problema della integrazione europea su basi politiche inspirate a concetti di sopranazionalità.

Da parte italiana è stato obbiettato come gli atteggiamenti dell’opinione pubblica e parlamentare francese quali indicati dal Ministro Pineau siano destinati ad apparire oggi per lo meno strani dato che appare indubbio come la Francia non potrebbe non sostanzialmente avvantaggiarsi della possibilità che taluni suoi attuali gravi problemi, a cominciare da quello dell’Algeria, potrebbero essere domani risolti con molta maggiore facilità e nel suo interesse se si potesse raggiungere una forma di effettiva integrazione fra i sei paesi dell’Europa Occidentale. A tale obiezione è stato risposto che, comunque, la situazione in Francia è quella che è ed occorre quindi non farsi troppe illusioni in merito. Comunque – ha aggiunto il Ministro Pineau – sarebbe oramai opportuno, in vista anche della presentazione, avvenuta in questi giorni, del rapporto conclusivo degli esperti di Bruxelles sui lavori fino ad oggi compiuti, che i sei Ministri degli Affari Esteri dei paesi interessati avessero al più presto un primo scambio di idee fra loro: allo scopo, da parte francese si insiste perché, immediatamente dopo la chiusura della prossima Conferenza atlantica, e cioè nella giornata del 6 maggio, tale incontro e tale prima discussione possano aver luogo, in previsione anche della futura riunione che comunque dovrà tenersi alla fine di maggio, e sulla cui effettuazione tutti si sono mostrati d’accordo.

Sempre sull’argomento, da parte italiana è stato fatto presente come, qualora non dovessero essere registrati, nei prossimi tempi, ulteriori progressi nel processo dell’integrazione economica, e quindi politica, dell’Europa Occidentale, anche la C.E.C.A., rimasta fino ad oggi l’unico effettivo esempio di una tale integrazione, sarebbe destinata a decadere e forse a perire. Sarebbe infatti strano che soltanto il carbone e l’acciaio dovessero rimanere elementi per l’integrazione delle sorgenti di energia mentre, ad esempio, la nuova grande forza costituita dall’energia atomica sarebbe esclusa dal processo integrativo. A questa osservazione è stato risposto da parte francese insistendo sul fatto che le eventuali intese regionali da costituirsi per l’energia atomica, per i trasporti e per le facilitazioni doganali, dovrebbero in sostanza costituire le basi effettive per una maggiore integrazione economica fra i paesi interessati senza portare a rischi gravi, e forse questa volta addirittura mortali, per l’idea dell’unificazione europea quale quello a suo tempo costituito dal clamoroso fallimento della C.E.D.

Al termine della conversazione sono stati poi toccati alcuni pochi argomenti concernenti interessi diretti italo-francesi, quali i lavori della Commissione mista per lo sviluppo delle relazioni economiche fra i due paesi, con particolare riguardo all’eventualità di investimenti francesi nel Mezzogiorno d’Italia, il ripristino della ferrovia Cuneo-Nizza, la possibilità di aiuti idrici francesi a bacini per lavori di elettrificazione in Piemonte, e la possibilità, infine, di sfruttamento, a favore dell’Italia, di aliquote di produzione del manganese nelle nuove miniere del Gabon. Su tutti questi problemi sono stati indicati i «desiderata» italiani e si è indicata la volontà da ambo le parti di raggiungere favorevoli soluzioni. Da parte italiana, infine, è stata indicata la soddisfazione del Governo di Roma nel vedere mantenuto, da parte francese, l’impegno a suo tempo preso di avanzare in sede parlamentare – cosa effettivamente avvenuta in questi giorni – il progetto per il tunnel del Monte Bianco, già da tempo ratificato dal Parlamento italiano.

Nell’occasione si è messo in rilievo con soddisfazione da ambedue le parti come ben pochi siano oggi i problemi bilaterali italo-francesi: segno, questo, delle ottime relazioni esistenti tra i due paesi2.


1 Il documento, redatto da Magistrati, è datato Parigi 26 aprile.


2 Per il seguito delle conversazioni vedi D. 172.

171

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 44/06821/59. Roma, 26 aprile 1956.

Caro Pietro,

all’atto della partenza del Presidente Gronchi mi è stato chiesto un appunto sulla questione dell’integrazione europea1, in relazione anche a un tuo recente rapporto2. Ho redatto quindi la Nota che ti invio qui allegata in copia per il caso che tu non ne avessi avuto già conoscenza.

Le conclusioni cui noi perveniamo non sono del tutto conformi alle tue. Superfluo dire che il tuo apprezzamento della situazione costì è da noi tenuto nel massimo conto. Ma l’andamento delle discussioni a Bruxelles, e una serena e attenta valutazione di tutte le circostanze, ci hanno condotto a pensare in maniera leggermente diversa.

Non appena il Rapporto Spaak verrà pubblicato (è questione di pochi giorni) te ne invieremo una copia. Vedrai che il diavolo del Mercato Comune non è poi così brutto come molti francesi lo dipingono; mentre invece le difficoltà da superare in materia di Euratom sono tuttora notevoli.

Non è nostra intenzione (né credo lo sia di Spaak e degli olandesi) chiedere che non si faccia Euratom, se non si decida contemporaneamente di fare il Mercato Comune. Ma il proposito di Spaak, che sembra essere di chiedere ai suoi colleghi nella riunione di fine maggio di convocare una conferenza che rediga il testo sia dell’uno che dell’altro trattato, ci trova consenzienti. Questo ci appare infatti un minimo: successivamente, chi vivrà, vedrà ciò che i Parlamenti saranno disposti a fare.

Credimi, con l’abituale devota amicizia

Tuo aff.mo

Cattani


1 Vedi D. 168.


2 Vedi D. 164.

172

INCONTRO ITALO-FRANCESEPARIGI 26-27 APRILE

Verbali1.

RIUNIONE DEL 26 APRILE ALL’ELISEO (ore 10)

Presenti: Il Presidente della Repubblica francese, Coty; il Presidente della Repubblica italiana, Gronchi; il Ministro degli Esteri francese, Pineau; il Ministro degli Esteri italiano, Martino; l’Ambasciatore di Francia a Roma, Fouques-Duparc e l’Ambasciatore d’Italia a Parigi, Quaroni.

1) Articolo 2 del Patto atlantico.

Presidente Gronchi: Su invito del Presidente Coty, inizia le conversazioni esponendo la necessità di intensificare la parte economica e sociale del Patto atlantico.

Presidente Coty: Sottolinea la necessità di dare un contenuto al Patto atlantico e si rallegra del primo passo fatto da Foster Dulles in seguito alle sue conversazioni col Presidente Gronchi.

Pineau: Annuncia che la Francia presenterà il 4 maggio un suo piano. Esso prevede il mantenimento di tutti i gruppi esistenti (N.A.T.O., O.T.A.S.2, Patto di Colombo, Patto di Varsavia, etc.), ma propone di creare presso le Nazioni Unite un organismo che tenga la contabilità degli aiuti che, sotto qualsiasi forma, anche unilaterale, ogni paese dà o riceve: questo organo, che dovrebbe essere collegato con una banca, dovrebbe fare una specie di compensazione, segnalando particolarmente i paesi che hanno avuto molto e quelli che non hanno avuto niente.

Sottolinea che ognuno dovrebbe restare libero di dare e di fare quello che vuole: il sistema permetterebbe di fare i conti reali e impedirebbe ai russi di dare poco e di fare intorno a questo poco una propaganda sproporzionata.

Questo organismo dovrebbe avere anche la facoltà di comperare e vendere, sopratutto allo scopo di regolare il mercato delle materie prime: dovrebbe anche essere autorizzato a vendere in perdita. Sono previste anche delle operazioni triangolari: A dà della materia prima a B che la lavora e la passa a C, nel qual caso il lavoro sarebbe contabilizzato a B come suo contributo all’opera di assistenza: questo allo scopo di alleviare la disoccupazione dove è necessario.

Martino: Non vede la necessità di abbandonare l’idea di una cooperazione economica in seno al N.A.T.O. L’U.R.S.S. può rifiutare di mettere in questa contabilità il suo aiuto volontario. L’atmosfera delle Nazioni Unite si presta ad infinite complicazioni. L’U.R.S.S. sostiene si debba aiutare la Birmania, gli Stati Uniti invece appoggiano il Pakistan. La maggioranza va alla Birmania e la Russia fa la sua propaganda con i mezzi americani. Siamo in periodo di competizione: il primo problema urgente è coordinare l’azione occidentale nel campo economico: per questo non c’è sede più adatta del N.A.T.O.

I nostri rappresentanti nel M.O. sono stati unanimi su di un punto: quello che è capitale per questi paesi non sono i colossali investimenti, è la possibilità di vendere i loro prodotti, e si tratta spesso di paesi a monoculture. Attualmente in molti casi non è possibile comperare questa produzione dato lo scarto fra i loro prezzi e quelli di mercato: questo problema si può affrontare nel N.A.T.O.: non alle N.U. dove ci troviamo di fronte paesi con sistema economico differente per cui non esistono le nostre difficoltà.

Pineau: Osserva che è necessario tener conto che, se noi vogliamo aiutare questi paesi sotto etichetta N.A.T.O., essi lo rifiuteranno. Nehru glielo ha detto in forma molto esplicita. Non condivide le preoccupazioni del Ministro Martino perché non prevede che vi sia voto. La sua agenzia deve sopratutto fare della contabilità, deve avere solo un organismo direttivo appoggiato all’O.N.U. o ad una banca.

Presidente Gronchi: Fino al giorno in cui non sarà possibile un accordo generale, la competizione esiste, è una legge fatale. Ci sono in giuoco forze politiche, ideologiche, necessità di espansione che si nascondono sotto forme differenti. Per questo è stato necessario organizzare la difesa militare ed occorre ancora mantenerla. Ora siamo in regime di coesistenza competitiva. Come all’interno di un singolo paese è inevitabile la concorrenza demagogica di organizzazioni sindacali in competizione, così lo è questa surenchère nel mondo ed è inevitabile anche alle Nazioni Unite.

L’importante è conservare l’iniziativa. Ho capito le osservazioni di Pineau e le condivido: possiamo adoperare l’O.E.C.E., dove non ci sono posizioni politiche, ma ci vuole una sede dove noi possiamo discutere e coordinare le nostre azioni.

È d’accordo che l’errore politico americano è quello di porre delle condizioni al loro aiuto. Però il progetto francese è del futuro, non è attuale.

Martino: Riaffermando che il problema fondamentale è quello degli acquisti, osserva, ad esempio, che noi comperiamo cotone in Pakistan e non in Egitto a causa dell’alto costo egiziano. Si potrebbe immaginare una cooperazione per l’acquisto del cotone del Vicino Oriente per cui la N.A.T.O. paghi all’Italia la differenza fra il prezzo di mercato ed il prezzo egiziano: in queste forme l’aiuto N.A.T.O. andrebbe solo all’Italia, l’Egitto beneficerebbe solo del fatto che l’Italia gli acquisti il cotone.

È un esempio, se ne possono citare altri: si possono usare come mezzo tutti gli organi esistenti: non ci vogliono nuovi organismi, quello che importa è la coordinazione.

Presidente Gronchi: Osserva che, in tema di coesistenza competitiva, bisogna tener anche conto delle debolezze economiche reali della Russia: abbiamo quindi ancora davanti a noi una serie di anni relativamente favorevoli. Egli ritiene che una competizione au grand jour sarebbe più favorevole all’Occidente che non il sistema attuale, che permette alla Russia di fare delle promesse che poi non può tenere.

Ha molti dubbi sulla bontà delle proposte francesi: alle N.U. finirebbe per esserci un arbitraggio su di un fondo di cui la Russia avrebbe dato il 10% e gli Stati Uniti il 40%: però in qualsiasi discussione la Russia avrebbe dalla parte sua molti dei membri delle Nazioni Unite e rischiamo quindi di dare alla Russia una piattaforma estremamente favorevole.

Presidente Coty: Osserva, che, a suo avviso, si sta un po’ discutendo insieme di due problemi differenti.

Presidente Gronchi: È d’accordo. Si tratta in realtà di due impostazioni di cui una non esclude l’altra. Bisognerebbe fare due proposte distinte.

Per la consultazione ritiene che debba essere fatta in seno al N.A.T.O.: proponiamo un piccolo comitato di esperti e questa nostra proposta non esclude affatto la proposta francese: noi siamo d’accordo che essa sia studiata e che venga presentata alle N.U. come una proposta collettiva del N.A.T.O.

Martino: Questo piccolo comitato di esperti potrebbe esaminare tante questioni pratiche. In tutti questi paesi esiste una forte simpatia per l’Italia: noi non facciamo paura: ci sono stati chiesti degli aiuti industriali, per esempio, per la siderurgia in India – come abbiamo fatto in Venezuela. Noi non abbiamo i mezzi per far tutto. Questo comitato potrebbe appunto studiare i mezzi per appoggiarci.

Presidente Gronchi: Noi non abbiamo intenzione di tenere tutto questo per noi: come appunto per il caso del Venezuela, stiamo trattando per la contribuzione di molti altri paesi, per esempio la Francia.

Pineau: È d’accordo in principio. Si tratta allora di separare le due questioni: collaborazione al N.A.T.O., collaborazione alle N.U.

Martino: Ripete che noi proponiamo al N.A.T.O. un piccolo comitato di esperti: chiede alla Francia di appoggiarlo.

Pineau: Promette di appoggiarlo: chiede se l’Italia appoggerà la proposta francese per le Nazioni Unite.

Martino: Risponde affermativamente.

2) Nazioni Unite.

Circa l’entrata dell’Italia al Consiglio di Sicurezza, Pineau ripete le sue proposte del giorno precedente: adesso l’Italia; la Svezia entrerà appena deciso l’allargamento del Consiglio di Sicurezza.

Il Presidente Gronchi ringrazia Pineau per la comprensione e l’appoggio del Governo francese.

3) Medio Oriente.

Presidente Gronchi: Spiega a lungo la particolare situazione di prestigio e di amicizia che vi gode l’Italia e gli interessi italiani nel settore. L’Italia non può che considerare anacronistica la Dichiarazione tripartita.

È giusto che la questione arabo-israeliana sia demandata alle Nazioni Unite e l’Italia farà tutto il suo possibile per appoggiare l’azione di pacificazione che l’O.N.U. svolge: ma non può ammettere che, per quello che riguarda gli sviluppi della politica occidentale nel Medio Oriente, l’Italia venga tenuta in una posizione secondaria. Di questa sua posizione di prestigio nel Medio Oriente l’Italia si è sempre servita con la massima lealtà verso i suoi alleati e intende continuare.

Pineau: Ringrazia a nome del Governo francese per l’atteggiamento amichevole tenuto dall’Italia nell’attuale crisi dell’Africa del Nord. Poi spiega che scopo della convocazione da lui fatta era appunto quello di constatare che la Dichiarazione tripartita era superata, che bisognava allargare il dibattito, facendo appello alla collaborazione di altri paesi, fra cui l’Italia.

La politica francese nel Medio Oriente è ispirata ad un concetto base: evitare che il conflitto franco-algerino diventi un conflitto franco-arabo. La posizione assunta dagli anglo-americani è la seguente: noi abbiamo degli interessi petroliferi troppo grandi in questa zona: per questo noi non possiamo inimicarci gli arabi: dovete essere voi francesi quindi ad aiutare Israele. È questo il problema che egli intende porre alla riunione a tre: è necessario aiutare anche Israele, ma la Francia si rifiuta di portare essa sola il peso. Il Governo francese ritiene che Israele deve essere mantenuto nella sua posizione, ma questo deve avvenire per accordo internazionale.

Presidente Gronchi: Informa i francesi del viaggio dell’On. Folchi al Cairo, e aggiunge che Nasser ha chiesto di venire in Italia: la visita avrà luogo forse in giugno. È a disposizione dei francesi se essi hanno qualche punto su cui interessasse sentire Nasser: li terrà poi informati delle nostre conversazioni. Ritiene del resto che sia molto importante che su questo argomento del Medio Oriente continuiamo a restare in consultazione.

Pineau: Ringrazia: ha avuto personalmente una buona impressione di Nasser: naturalmente egli è, in parte, prigioniero della sua politica interna: in ogni modo in vari casi quello che ha promesso ha fatto. È d’accordo per la consultazione, che è del resto molto facile per il tramite diplomatico.

La seduta è tolta alle ore 11,20.

RIUNIONE DEL 27 APRILE ALL’ELISEO (ore 12)

Presenti: Il Presidente della Repubblica francese, Coty; il Presidente della Repubblica italiana, Gronchi; il Presidente del Consiglio dei Ministri francese, Guy Mollet; il Ministro degli Esteri francese, Pineau; il Ministro degli Esteri italiano, Martino; l’Ambasciatore di Francia a Roma, Fouques-Duparc, e l’Ambasciatore d’Italia a Parigi, Quaroni.

Il Presidente Gronchi: A conclusione delle discussioni del 26 ritorna sull’argomento della posizione e del prestigio dell’Italia in Medio Oriente. L’Italia non intende, nel momento attuale, fare una sua politica: ci sono già troppi che fanno della politica in Medio Oriente ed il nostro interesse è solo il mantenimento della pace.

Vorrebbe invece approfondire le questioni economiche: perché non è possibile un accordo sulle acque del Giordano? Cosa vuole realmente la Siria? I nostri rappresentanti cercheranno di indagare. Ritorna sull’opportunità di aiutare l’Italia per delle grosse iniziative industriali. Vedremo anche quali di queste possono essere una politica. Se questo nostro indagare non porta a dei risultati pratici, poco male. Comunque se ne riparlerà in sede di consultazioni.

4) Integrazione europea.

Il Presidente Gronchi: vorrebbe conoscere quali ne sono, secondo il Governo francese, le possibilità effettive.

Pineau: Il Governo francese non vuole ripetere l’esperienza C.E.D. Purtroppo l’Euratom si riconnette sotto certi suoi aspetti alla C.E.D. e all’Europa a sei che suscitò tali reazioni al Parlamento francese.

Il Rapporto Spaak è molto inabile: è fatto male e redatto male. Rileva sopratutto che è stata soppressa ogni menzione della questione dell’uso esclusivamente pacifico dell’energia atomica: non parla poi dei rapporti fra l’Euratom e l’O.E.C.E.: questo è un punto a cui gli inglesi sono sensibili: e contro gli inglesi pare difficile fare qualche cosa.

L’idea sua era che si dovesse dire che l’Euratom si occupa solo dell’aspetto utilizzazione pacifica dell’energia nucleare. Se un altro paese vuol fare delle ricerche nucleari militari, le faccia al di fuori dell’organizzazione, con materiale fissile che si procura altrove. Questo vale, naturalmente, per Italia e Francia e non per quei paesi – come la Germania – che si sono interdetti l’uso dell’energia atomica ai fini militari.

L’Euratom, come dal progetto Spaak, non passerà davanti al Parlamento francese: ma è realizzabile solo come accordo regionale nel quadro dell’art. 14 dell’O.E.C.E.

Guy Mollet: La ratifica dell’Euratom è difficile in Germania dove i liberali sono contrari, tutti, a qualsiasi progetto di organizzazione europea. Difficile è la situazione della C.D.U. scoraggiata dai francesi. I socialisti sono «ralliés» all’Euratom a due condizioni:

1) integrazione istituzionale reale, proprietà del materiale fissile garantita e controllata dall’organismo sopranazionale: nessun membro deve comperare delle materie fissili.

Questo, di per sé, esclude un sistema legato all’O.E.C.E. dove vi è diritto di veto.

2) Utilizzazione dell’energia nucleare ai fini esclusivamente pacifici.

C’è qualche difficoltà in Olanda, che la vuole collegata al Mercato Comune, e così pure l’Italia. In Francia sono contro: i comunisti, i poujadisti, un certo numero di conservatori contrari ad ogni progetto di collaborazione europea. Essi si basano su di un nazionalismo atomico. La Francia ha due anni di anticipo su tutto il resto dell’Europa: perché fermarsi alla soglia delle realizzazioni?

Questo lascerebbe ancora una maggioranza, se tutto il resto del Parlamento fosse in favore.

Nel partito socialista la maggioranza è favorevole all’Euratom – c’è però una minoranza contraria e molto attiva – e questa maggioranza tiene fermamente all’interdizione dell’uso militare, ed è sospettosa dei disegni degli ex-cedisti.

Una parte dei moderati e dei radicali, che erano contro la C.E.D., sono adesso sostanzialmente contro l’Euratom; si trincerano dietro l’impossibilità di accettare l’interdizione della fabbricazione di armi atomiche.

Per avere la maggioranza alla Camera bisognerebbe riuscire a conciliare questi due punti di vista contraddittori. Nel complesso preferisce il Rapporto Spaak: riconosce alcune critiche di Pineau: il problema delle armi viene però affrontato in una lettera personale di accompagno a Spaak3, in cui si propone che in una prima tappa di 4 o 5 anni ci si limiti ai «fini pacifici» (il che esclude esplosioni non controllate, ma non studi ed esperimenti per motori). In un secondo tempo, se non si è raggiunta una formula di disarmo nucleare generale, si può decidere di liberare questo o quel paese dal divieto di costruire armi atomiche.

Questa formula può forse passare: bisogna intanto cercare di convincere il paese che si tratta di una cosa del tutto differente dalla C.E.D. e cercare di avere l’associazione di altri paesi; questo, magari nel quadro dell’O.E.C.E. Bisogna però far presto: se non si riesce prima di luglio, non si riesce più: l’opposizione aumenta. Comunque è estremamente difficile.

Pineau: Ha letto con attenzione l’art. 14 dell’O.E.C.E.: crede che sarebbe possibile farci entrare il Piano Spaak senza opposizione: è comunque un problema che dovrebbe essere studiato.

Martino: Chiede quali sono le chances di approvazione della mozione Monnet: ci sono delle difficoltà anche in Italia: alcuni sono per una soluzione liberale, altri per soluzioni più socialiste, alcuni sono per gli scopi pacifici, altri sono contro.

Comunque il punto di vista italiano è che la relance europea non è un problema economico ma un problema politico: l’Euratom è soltanto un mezzo: l’Italia è contro l’integrazione per settore; è meglio il Mercato Comune.

Mollet: Teoricamente la mozione Monnet è accettata e firmata dai Presidenti dei gruppi dei quattro partiti che formano la maggioranza. Di fatto è stato commesso un grande errore psicologico nel chiamarla mozione Monnet. Questo non è affatto vero: è un lavoro di compromesso. E ritiene difficile che sia votata.

Comunque al Parlamento francese, per l’Euratom c’è qualche chance, per il Mercato Comune non ce n’è nessuna: la commissione ad hoc ha fatto un ottimo lavoro, ma psicologicamente è stato un errore: ha voluto andare troppo avanti.

Il Governo francese è per il Mercato Comune. Lo dimostra il fatto che ha consentito a nuove liberazioni: ma molto gradualmente. I prezzi di costo francesi non sono concorrenziali: il carico fiscale e sociale, ed anche le imposte indirette sono incorporate nei prezzi di costo. Non ci può essere Mercato Comune senza prima una parificazione del carico fiscale e sociale. Per questo è meglio procedere per tappe e le integrazioni per settori sono le tappe. Precisa che i sindacati cristiani e socialisti (F.O.) sono per l’Europa attraverso istituzioni tipo C.E.C.A.

Martino: Osserva che l’Italia ha le stesse difficoltà e pure è pronta ad affrontare il Mercato Comune.

Mollet: Felicita il Governo italiano. Comunque è solo dopo che sarà risolto il problema dell’Africa del Nord, con tutte le sue incidenze economiche, che si potrà cominciare ad esaminare più a fondo il problema del Mercato Comune.

Il Presidente Coty: Mostra un calcolo che ha fatto per dimostrare che non c’è maggioranza in Parlamento; è bene che il Governo francese non prometta niente.

Il Presidente Gronchi: Ringrazia delle informazioni fornite: ricorda che è solo attraverso un’integrazione della Germania all’Europa che si può dare una seria garanzia all’opinione pubblica. Viste le difficoltà che incontrano i progetti attuali di «relance» si domanda: perché non cercare di riattivare il Consiglio d’Europa?

Mollet: Il Presidente Gronchi ha ragione e l’opinione pubblica vi sarebbe favorevole. Che i sei paesi prendano l’iniziativa di accrescere i poteri del Consiglio d’Europa.

Gli inglesi oggi sono meno sfavorevoli degli scandinavi; questi sono per l’O.E.C.E., contro il Consiglio d’Europa, a causa dell’unanimità.

Il Presidente Gronchi: E i Governi?

Mollet: È stato sempre difficile far prendere sul serio dai Governi il Consiglio d’Europa. I Ministri degli Esteri vengono a Strasburgo con il desiderio di andarsene via al più presto, portando con loro dei dossiers non preparati da loro e che non hanno letto.

Il Presidente Gronchi: Si è lasciato Strasburgo perdere prestigio fino a diventare una tribuna vuota.

Il Presidente Coty: È una degradazione della funzione.

Mollet: Il Consiglio dei Ministri è scomparso, l’Assemblea è diventata un forum che ha avuto importanza come Chambre de gestation. È da lei che sono usciti tutti i progetti, dalla C.E.C.A. in poi. Ha creato l’unica realizzazione europea comune: la rappresentanza europea per la questione dei rifugiati.

Il Presidente Gronchi: Propone un’azione comune franco-italiana per stimolarne i Governi.

Il Presidente Coty: È d’accordo: bisogna divulgare il Consiglio d’Europa e le sue istituzioni. Tra i parlamentari: moltiplicare i contatti fra quelli che non vanno a Strasburgo. Prospetta l’opportunità di creare un fondo comune per la propaganda e per questa manovra comune.

Tutti si dichiarano d’accordo su questa proposta: occorre cercare di persuadere la Gran Bretagna ed i Paesi scandinavi: viene ugualmente deciso di mantenersi in stretto contatto per questa azione.

5) Riunificazione della Germania.

Il Presidente Gronchi: Desidererebbe conoscere il pensiero francese sulla riunificazione tedesca.

Mollet: Si domanda se da parte tedesca ci sia stato realmente un malinteso o la volontà di intendere male.

Si riferisce alla risoluzione 87 dell’Assemblea del Consiglio d’Europa, da essa passata al Consiglio dei Ministri. Non solo, ma l’Assemblea ha dato mandato al suo Presidente di telegrafare a Ginevra questa risoluzione. Essa porta la firma, fra altri, di Von Brentano: tutti i tedeschi l’hanno votata. Ora questa tesi dell’Assemblea del Consiglio d’Europa è la tesi del Governo francese.

Martino: La riunificazione è parte della sicurezza e il disarmo è parte della sicurezza. I tre problemi sono interdipendenti e ne formano in realtà uno solo. Non si può parlare di disarmo senza sicurezza e non si può parlare di sicurezza se non è eliminato un grave pericolo per la pace, che è costituito appunto dalla non riunificazione della Germania.

L’ordine adottato a Ginevra «riunificazione, sicurezza, disarmo» fu un errore: si doveva trattare tutto insieme, come era stato deciso dal Consiglio atlantico.

Tenuto conto che era stato riconosciuto che la Germania riunificata avrebbe potuto rivedere la sua politica, aveva proposto di presentare tre forme possibili di disarmo secondo che la Germania riunificata avesse aderito alla N.A.T.O., o al Patto di Varsavia o, invece, avesse scelto la neutralità.

Premesso questo, è impossibile accettare la tesi sovietica di lasciar cadere il problema della riunificazione. Non si può far progressi veri in nessuna direzione senza avere ristabilita la fiducia e, per ristabilire la fiducia, bisogna eliminare i problemi più urgenti e pericolosi.

Pineau: Si dichiara d’accordo sull’interdipendenza. Non bisogna dimenticare, però, che si tratta di problemi che vengono sotto la competenza di organismi differenti. Il disarmo è competenza dell’O.N.U.; la sicurezza e la riunificazione della Germania lo sono del N.A.T.O. Non si poteva sollevare la questione della riunificazione della Germania in un piano destinato alla Commissione dell’O.N.U. che non può trattare questo problema.

Il legame fra di essi è incontestabile: ogni piano sulla via del disarmo è un passo verso l’unificazione della Germania: ma sono problemi trattati in sedi differenti; bisogna tenerne conto. Per questo bisogna prevedere tre tappe:

1) qualche primo progresso sulla via del disarmo;

2) tappe più sostanziali condizionate, queste, alla soluzione di certe questioni, fra cui la riunificazione;

3) tappe risolutive.

La nostra opinione pubblica si attende qualche primo passo effettivo sulla via del disarmo: e questo è necessario comunque per creare un certo clima: se noi subordiniamo anche queste prime tappe, forse più che altro simboliche, alla riunificazione della Germania, sul piano della propaganda diamo ai russi un’arma terribile. La riunificazione della Germania è qualche cosa che l’opinione francese ammette solo «par raison».

Per questo consideriamo ancora buone le nostre tesi.

Il Presidente Coty: Non ci debbono essere dei «préalables» né in un senso né in altri.

Martino: Noi italiani, per noi, non vogliamo dei «préalables»: ma bisogna tener conto dell’opinione pubblica tedesca: e in Germania permane il malinteso.

Il Presidente Coty: Noi francesi non siamo senza «reproches»: è questo che ha provocato nuovi malintesi fra Francia e Germania.

Il Presidente Gronchi: Ricorda la conversazione che ebbe a Roma con Dulles: nessun préalable, solo una successione cronologica. Dulles trovò interessanti le sue idee: sono sostanzialmente le stesse dei francesi.

Martino: Ricorda di aver proposto al N.A.T.O. di fissare una data per le elezioni libere in tutta la Germania, dopo aver fissato le formule per la sicurezza e per il disarmo. Ringrazia i francesi per le esaurienti spiegazioni fornite. Constata che sostanzialmente i nostri punti di vista sono molto vicini e domanda se possiamo informare Bonn e Washington dei chiarimenti forniti a Parigi.

Mollet: È d’accordo e ringrazia. Non bisogna fornire ai russi un pretesto facile per mantenere lo statu quo: bisogna sbloccare la situazione. Siamo noi francesi e non gli americani i veri difensori della riunificazione.

Il Presidente Coty: Ricorda che all’opinione pubblica francese bisogna parlare più di elezioni pubbliche che di riunificazione.

Il Presidente Gronchi: Raccomanda ai francesi in genere la questione degli italiani in Tunisia; da parte francese vengono date assicurazioni.


1 Inviati da Quaroni agli ambasciatori a Washington, Bonn e Londra in data 4 maggio (rispettivamente con L. riservata 0881, L. riservata 0882, L. riservata 0883), con l’indicazione «di considerarne il contenuto come strettamente confidenziale» in quanto non ancora approvati. Per il colloquio di Martino con Pineau vedi D. 170.


2 Sic. Si intenda O.T.A.S.E.


3 Sic. Si intenda di Spaak. Vedi D. 166, nota 3.

173

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SEGNI

T. segreto 8256/1071. Bruxelles, 8 maggio 1956, ore 16,59 (perv. ore 19,40).

Riparto ora per L’Aja a termine conversazioni con Governo belga. Atmosfera molto cordiale che ha confermato come effettivamente esistano, tra noi e Belgio, molti punti sostanziali di contatto e collaborazione tanto su problema dell’integrazione europea quanto in merito riadattamento politica Paesi atlantici. Comunicato finale che trasmetto via Ansa contiene appunto chiari accenni a linea comune seguita in questi ultimi anni e che per ultimo trova nuova affermazione in prossima Conferenza Venezia2.

Ciò detto aggiungo che anche Spaak non nasconde suo scetticismo circa attuale effettiva possibilità che il Governo francese possa in attuali condizioni fare varare da Parlamento progetto Euratom e Mercato Comune. Occorre comunque non provocare clamorose fratture e facilitare quindi continuazione conversazioni future.

Spaak mi ha dato piena assicurazione appoggio Belgio ad eventuale candidatura italiana a posti Consiglio Sicurezza Nazioni Unite prossima Assemblea.

Abbiamo anche toccato, pur senza entrare in particolari tecnici, delicato problema condizione mano d’opera italiana in Belgio nel settore minerario. Spaak ha rinnovato intenzione Governo Bruxelles favorire soluzione che tenga conto interessi nostri lavoratori nel quadro possibilità parlamentari belghe.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Vedi D. 178.

174

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. riservato 0913. Parigi, 8 maggio 1956.

Oggetto: Viaggio in Francia del Presidente della Repubblica.

Signor Ministro,

facendo, a circa una settimana di distanza, il bilancio complessivo del viaggio compiuto in Francia dal Presidente della Repubblica1, si deve in primo luogo constatare che esso è stato un grande successo personale. Debbo dire che, per lo meno da quando sono qui in Francia, non c’è stata nessuna personalità italiana la quale abbia avuto qui un successo, personale, e generale, comparabile.

Il terreno gli era favorevole in partenza: l’uomo della strada – e qui, come ho detto più volte, quando si dice uomo della strada bisogna includerci anche numerosi passati e futuri Presidenti del Consiglio – ha, da tempo, fatto una distinzione fra una democrazia cristiana prevalentemente filotedesca, per ragioni confessionali e vaticane, ed il Presidente Gronchi filofrancese: in altre parole, egli era già segnato in partenza come «ami de la France»: i contatti personali nei vari ambienti, il tono non consueto dei suoi discorsi, hanno fatto il resto.

In questo paese c’è sempre una certa tendenza a personalizzare i paesi: fino a qualche anno fa, per i francesi l’Italia era De Gasperi, adesso l’Italia è Gronchi: con una piccola «nuance» di maggior simpatia personale che mi è stata definita così da una personalità politica francese: «Monsieur De Gasperi aimait Monsieur Schuman, Monsieur Gronchi aime la France».

Il rapporto personale stabilito con Coty è stato eccellente: e questo ha la sua importanza: il Presidente della Repubblica ha qui un’influenza personale superiore a quello che generalmente si ritiene: e comunque, a meno di avvenimenti imprevedibili, è una persona destinata ad assicurare per cinque anni un minimo di permanenza alla situazione francese.

Si è quindi ottenuto quello che era desiderabile e possibile: un certo riscaldamento generico dei rapporti italo-francesi. Riscaldamento che può avere una sua importanza in un momento in cui la Francia si sente ed è isolata, ed in circostanze che non permettono di escludere, da parte francese, sia all’interno che all’estero, nessuna sciocchezza. Se un giorno le cose dovessero mettersi male fra la Francia ed i suoi alleati, noi potremmo avere la nostra modesta funzione di «trait d’union»: naturalmente, come ho detto in un mio precedente rapporto2, si tratta di una funzione del tutto disinteressata perché non c’è molto da attendersi, in cambio, dalla Francia.

Passando ai singoli problemi trattati, debbo anzitutto rilevare che, in tutti gli ambienti qui, ha fatto particolare impressione la frase pronunciata dal Presidente Gronchi nel suo discorso al Quai d’Orsay:

«Il est d’intérêt vital pour nos deux Pays que l’on parvienne à rétablir et à maintenir la paix dans la Méditerranée, du Maroc au Moyen-Orient; une sincère entente entre nous sur ce point peut, plus qu’aucune autre peut-être, contribuer à la réalisation de résultats concrets, si grandes que soient les difficultés, si délicate que soit la situation dans certains secteurs».

Essa è stata interpretata qui come una promessa nostra di essere accanto alla Francia nel settore più delicato, l’Algeria: in pratica, essa implica due punti: che noi non aiutiamo con armi o con danari, magari anche solo chiudendo gli occhi, i ribelli algerini: e che, qualora la questione algerina venga portata alle Nazioni Unite, noi votiamo dalla parte della Francia.

Un impegno in cui non c’è niente di nuovo, in realtà: non vedo infatti come, il giorno in cui la questione algerina fosse nuovamente portata alle Nazioni Unite, noi, membri dell’Alleanza atlantica, potremmo votare contro la Francia fintanto che non lo faranno anche Inghilterra e Stati Uniti, od anche semplicemente ad astenersi. Comunque va tenuto presente che, in caso, dopo il discorso del Quai d’Orsay, la violenta reazione francese non sarebbe in generale contro l’Italia ma contro la persona del Presidente Gronchi.

Non vorrei essere frainteso: se un giorno il reale interesse italiano ci dovesse portare a votare contro la Francia, non sarei certo io, per un desiderio di vita facile, nella mia qualità di ambasciatore in Francia, a consigliare di non farlo. Mi limito a segnalare a V.E. che adesso qui si considera questo impegno come preso personalmente, od almeno avallato personalmente dal Presidente delle Repubblica.

Da parte francese, è da considerare come valido l’impegno di appoggiarci al Consiglio di Sicurezza: non che questo basti perché noi riusciamo: voglio dire solo che se non intervengono fra noi ed i francesi incidenti gravi, dovremmo poter contare che essi sosterranno l’opportunità di dare a noi una certa preferenza sulla Svezia.

L’impegno di appoggiare reciprocamente i nostri piani in materia di articolo 2 si è esaurito nel corso di questa sessione. Con la creazione dei tre saggi il problema ha cambiato di impostazione: quello che si potrà fare dopo dipenderà dalle decisioni dei tre saggi e dalla misura in cui queste decisioni saranno approvate dagli altri: può essere pure che quando i saggi avranno emesso il loro verdetto, i francesi si saranno già dimenticati che ci fu un giorno un piano Pineau: ne hanno fatti tanti, ne sono stati fatti tanti di piani che nessuno ricorda più.

Per quello che riguarda il rilancio europeo ed in particolare l’Euratom ed il Mercato Comune, vorrei sperare che dopo le franche parole del Presidente Coty, di Guy Mollet e di Pineau, non ci sia più nessuno da noi che si faccia delle illusioni sulle possibilità che uno di questi due progetti passi davanti al Parlamento francese. Non è certo per voler favorire le idee francesi che esprimo questa speranza: è solo perché non vorrei che come abbiamo fatto per la C.E.D., tratti in inganno da qualche francese, illuso o in mala fede, eccitassimo noi stessi, e la nostra opinione pubblica, per delle iniziative che, a meno che sia possibile realizzarle a cinque – cosa per me assai dubbia – non possono finire che in clamorosi insuccessi.

Il progetto di rilanciare il Consiglio d’Europa può avere invece qualche cosa di buono in sé. Il Consiglio d’Europa non riuscirà certo a fare molto di positivo: può però servire a tenere in caldo l’idea europea in attesa che delle circostanze favorevoli – come potrebbe essere per esempio il crollo dell’impero francese – facciano cambiare qui gli umori.

Per il resto, va tenuto presente che ogni impegno assunto da e con il Governo francese è un impegno scritto sull’acqua. V.E. ha avuto, de visu, la possibilità di rendersi conto di quale armonia regni all’interno del Gabinetto francese: in pratica, tutto quello di cui si è discusso lo è stato con degli interlocutori simpatici, intelligenti, informati, ma che non hanno la possibilità di far prevalere le loro opinioni. Fra qualche mese certo, forse fra qualche settimana, le persone non saranno più le stesse, i problemi non saranno più gli stessi o saranno visti sotto un punto di vista differente.

Resta naturalmente, fintanto che la si vuole alimentare, questa generica atmosfera simpatica la quale può permetterci di riprendere la discussione, di questi o di altri problemi, con altri interlocutori, con eguale profitto sostanziale.

Resta anche che, nel corso di tutta la conversazione, si è molto insistito, dalle due parti, sull’opportunità di restare in contatto: e questa opportunità è stata validata dal fatto che, a detta dei francesi almeno, le nostre comunicazioni fatte a Bonn hanno molto facilitato il processo – temporaneo – di chiarificazione dei malintesi franco-tedeschi.

Ora, secondo me, queste consultazioni hanno anche la loro piccola importanza.

Nostra ambizione resta, sempre, suppongo, quella di avvicinarsi alla situazione di Grande. Ora, per arrivarci, bisogna cominciare coll’abituare i Grandi a parlare con noi di tutte le questioni, e dimostrare con i fatti che parlare con noi può anche servire a qualche cosa.

La Francia, quali che possano essere i crolli del suo impero, resterà fra i Grandi per molto tempo ancora: ma essa, essendo l’anello più debole della maglia, resta la fessura attraverso la quale più facilmente possiamo sapere cosa si agita fra i Grandi e farci arrivare le nostre idee. È solo a questo scopo che ritengo che le consultazioni con la Francia possono avere una qualche importanza.

Per mantenere vive queste conversazioni, questi contatti, bisogna che il materiale ci venga fornito da codesto Ministero.

Questo non è il primo incontro italo-francese a cui mi è dato di prendere parte e sempre si è parlato di consultazioni: quello che però accade generalmente è che questi incontri suscitano da noi un certo interesse, prima, una certa soddisfazione quando sono andati bene; ma cadono poi nel dimenticatoio con una rapidità veramente sorprendente.

La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio.

P. Quaroni


1 Vedi D. 172.


2 Vedi D. 164.

175

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SEGNI,E AL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SARAGAT

T. 8378/361. L’Aja, 10 maggio 1956, ore 10,55 (perv. ore 12,40).

Oggetto: Viaggio Ministro Martino in Olanda.

Dopo colazione offerta dalla Regina Giuliana d’Olanda si sono concluse conversazioni italo-olandesi di cui comunicato che viene trasmesso via Ansa.

Anche qui ho trovato rinnovate affermazioni circa necessità procedere su cammino integrazione europea ma identici dubbi – già riscontrati a Bruxelles – circa possibilità effettive francesi in tale settore.

In merito eventuale candidatura italiana a Consiglio Sicurezza Ministro degli Affari Esteri Beyen – che peraltro non è personalmente competente essendo tale materia affidata a suo collega Luns attualmente in visita privata in Italia – si è riservato studiare questione ed ha particolarmente insistito su necessità, patrocinata, accrescimento fino a 15 numero seggi Consiglio stesso.

Ho incontrato vive cordialità e simpatia. Conto essere domani sera giovedì 10 corrente a Roma.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a L’Aja.

176

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. 44/8589/c.1. Roma, 28 maggio 1956.

Oggetto: Atteggiamento del Governo degli Stati Uniti verso Euratom. Memorandum americano.

L’Incaricato d’Affari di questa Ambasciata degli Stati Uniti a Roma ha rimesso in data odierna a questo Ministero il qui unito Memorandum nel quale si conferma la posizione favorevole del Governo americano nei confronti di Euratom e del progetto di Mercato Comune europeo.

Dal testo del Memorandum, che è stato consegnato contemporaneamente ai Ministri degli Esteri dei sei paesi C.E.C.A., si rileva, in particolare, come il Governo degli Stati Uniti pur dichiarandosi favorevole alla costituzione di una organizzazione atomica europea, fa, tuttavia, presente l’opportunità che questa sia dotata di effettivi poteri di decisione ed abbia sopratutto una sufficiente autorità in materia di approvvigionamenti di combustibile nucleare.

Una qualsiasi deroga che consentisse agli Stati membri di procurarsi tale combustibile mediante accordi separati, sarebbe contraria, a parere di quel Governo, al principio base di Euratom, da intendersi come una vera e proprio comunità atomica a sei.

Per quanto concerne quest’ultimo punto, è noto che la posizione della Delegazione italiana a Bruxelles è stata sempre conforme all’avviso ora espresso dal Governo americano.

Allegato

MEMORANDUM

The Government of the United States of America supports the European effort to create an integrated nuclear community. The creation of such a community could constitute a possible decisive contribution toward the revival of a general integration movement which, by helping tie Germany organically to the West, would be a major step toward the increased strength and unity of the Atlantic community. The submergence of Franco-German rivalry, through the creation of an intimate common interest in the field of nuclear developments, will materially contribute to increasing the strength and unity of the Atlantic community. An integrated organization, armed with the necessary control powers, would provide the best system of safeguards and guarantees against diversion of nuclear materials in the one major area of the world where nuclear development is likely in the near future. It can be safely concluded that a common program, merging the considerable scientific and industrial potential of the six countries, offers the best chance of the rapid development of a nuclear industry in Continental Western Europe.

The totality of all these objectives can only be achieved through the exercise of governmental powers, by a six-country common organization, in the field of nuclear energy. Moreover, in view of safeguard requirements, the Government of the United States of America could enter into direct relations with such a multinational organization only when that organization has effective common authority and responsibility and is thus able to undertake commitments like those now undertaken by national governments.

While recognizing that a major objective of the six-nations is the achievement of a position of competence in the nuclear field from which they can compete with the United States of America and United Kingdom on a basis of equality without fear that their common program would be vulnerable to action from outside, the Government of the United States of America regards the pursuit of this objective, as long as safeguarded by institutions with common authority and responsibility, as being a constructive contribution to the collective strength of partners in the Atlantic community.

Should the Foreign Ministers meeting at Venice take the decision to proceed with the organization of such a Euratom, the Government of the United States of America would be prepared, in response to European initiative, to begin early concrete discussions with representatives of the six-country group relative to the nature and substance of the future relationship between the Government of the United States of America and the integrated community.

If Euratom is to meet the test of common authority and responsibility, and not to develop into a mere coordinating agency, it would have to have a degree of authority over fuel which, if not actual ownership, would be equivalent thereto. Moreover, should the Euratom organization permit, under certain circumstances, member states to make separate arrangements to procure fuel outside Euratom channels, such provisions would appear to derogate the basic concept of Euratom which is a six-nation atomic community. Failure to meet the tests of common authority and responsibility might raise problems with respect to the future ability of the Government of the United States of America to undertake substantial cooperation with Euratom.

Although the Government of the United States of America has not yet completed study of the common market report it is sympathetic to the desire of the six countries to establish a common market. However, the Government of the United States of America hopes that approval of a treaty for Euratom would not be held up until the doubtless lengthy and complex negotiations for common market are concluded.


1 Diretto alla presidenza del Consiglio dei Ministri, ai Ministeri del Bilancio, Difesa, Industria e Commercio e Lavori Pubblici, al Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Berna, Bruxelles, Copenaghen, L’Aja, Lussemburgo, Londra, Oslo, Vienna e Washington, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E.e presso la N.A.T.O., a Parigi, presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, e presso le Nazioni Unite, a New York, e alle Legazioni a Dublino, Lisbona e Stoccolma.

177

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1. Roma, [29 maggio 1956].

Oggetto: Conferenza di Venezia.

I problemi principali che si pongono all’esame dei sei Ministri nella Conferenza del 29-30 maggio corrente sono i seguenti:

1. Esame del rapporto redatto dal Comitato Intergovernativo2 e presa di posizione sulle conclusioni dello stesso. Su questo particolare argomento è stato preparato un progetto di intervento di apertura, e il progetto di un eventuale ulteriore intervento per il caso che gli altri Ministri facciano qualche riserva tecnica sul rapporto.

Per opportuna notizia e per quanto le segnalazioni delle nostre Rappresentanze in materia siano state relativamente scarse, si riassumono qui di seguito le previsioni, largamente approssimate, circa l’atteggiamento che potrebbero assumere le altre Delegazioni.

Delegazione belga: è logico aspettarsi che Spaak, padre nobile del rapporto, ne prenderà le difese, ove necessario, e comunque proporrà che i Ministri decidano che esso sia adottato come direttiva per i negoziati della Conferenza Intergovernativa, che dovrebbe procedere alla stesura del trattato o dei trattati relativi all’istituzione di Euratom e del Mercato Comune.

Delegazione lussemburghese: è da presumere che Bech, per ragioni di solidarietà coll’atteggiamento belga, non si discosterà molto dalla linea seguita da Spaak. È peraltro da tener presente che la fede europeistica di Bech non è condivisa nella stessa misura dai suoi colleghi di Gabinetto e che il Lussemburgo vede nell’attuazione del Mercato Comune alcuni pericoli per la propria economia, sui quali Bech potrebbe avanzare particolari riserve.

Delegazione olandese: Beyen continua ad essere un convinto europeista ed è da ritenere che approverà in linea di massima il rapporto, pur avanzando alcune riserve su particolari soluzioni in esso adottate circa l’istituzione del Mercato Comune (ad esempio tariffa verso i paesi terzi). Si può comunque prevedere che Beyen si voglia attenere ad una linea di cautela, sia per evitare le delusioni che a suo tempo il fallimento della C.E.D. provocò in Olanda, sia perché le elezioni politiche in Olanda sono imminenti e molto probabilmente Beyen non sarà nuovamente Ministro degli Esteri.

Delegazione tedesca: l’Ambasciatore a Bonn segnala che la situazione in quella capitale è estremamente fluida e che diversi elementi, in parte contrastanti, connessi con il più ampio quadro della politica generale tedesca, vengono dibattuti in quei circoli dirigenti. Non è improbabile che l’atteggiamento di Hallstein possa essere, per quanto concerne il rapporto di Bruxelles, analogo a quello, abbastanza sorprendente, da lui tenuto a Parigi nella riunione del 6 maggio3.

Delegazione francese: anche l’atteggiamento francese è estremamente incerto. Sono note le difficoltà che incontrano i progetti di integrazione sia negli ambienti governativi, sia nel Parlamento, e la parziale mobilitazione, già in corso, dell’opinione pubblica sia contro l’Euratom che contro il Mercato Comune. Si ha l’impressione tuttavia che nelle ultime settimane la situazione abbia segnato un leggero miglioramento. È difficile comunque arrischiare una previsione sull’atteggiamento che prenderà Pineau: è possibile tuttavia che egli, pur infiorando il suo intervento di numerose riserve di carattere fondamentale, possa alla fine dare un’approvazione di massima al rapporto stesso, accettando che esso serva di base ai lavori della Conferenza Intergovernativa.

2. Dopo l’esame del rapporto cui si è accennato dianzi, la prima conclusione cui i Ministri potrebbero giungere sarebbe quella di decidere se l’analisi dei problemi e le conclusioni contenute nel rapporto siano sufficienti a permettere la convocazione di una Conferenza Intergovernativa – prevista dalla risoluzione di Messina4 – incaricata di stendere uno o due trattati per l’istituzione di Euratom e del Mercato Comune.

Ove tale decisione fosse raggiunta, il secondo passo potrebbe essere quello di stabilire la data della conferenza stessa.

Anche avuto riguardo alle pressioni da parte dell’ambiente europeistico italiano, apparirebbe senz’altro opportuno che la data stessa fosse la più vicina possibile. Non va peraltro dimenticato che le imminenti vacanze estive potrebbero costituire un ostacolo all’auspicata rapidità e che d’altra parte Spaak, in un recente colloquio con l’Ambasciatore Scammacca, ha segnalato che, ove i francesi aderissero alla convocazione della Conferenza, non sarebbe opportuno «brusquer» la situazione e, entro limiti ragionevoli, sarebbe consigliabile rimettersi a quelli che saranno i desideri francesi in tale argomento.

3. Un’ulteriore decisione da prendere sarebbe quella di determinare se e in quale misura il rapporto debba essere considerato come direttiva alla Conferenza per la redazione dei trattati. La riunione a Parigi del 6 maggio e le brevi considerazioni esposte al paragrafo 1 del presente appunto ci danno un’idea abbastanza chiara delle difficoltà che tale problema presenta. D’altra parte sarebbe veramente una cattiva decisione se i Ministri decidessero di lasciar perdere il frutto dei lavori di un anno e di convocare la Conferenza, per così dire, con «partenza da zero».

La formula adottata nel separato documento, contenente il progetto di intervento italiano, rappresenta una formula media di compromesso, che sembra avere buone probabilità di essere accolta da tutti. Essa tende a che la Conferenza decida che le conclusioni del rapporto di Bruxelles, completate dalle prese di posizione delle singole Delegazioni e dalle eventuali riserve iscritte al processo verbale della Conferenza stessa, costituiscano la base dei lavori della Conferenza Intergovernativa o, nella peggiore delle ipotesi, l’orientamento di massima per il negoziato.

La formula avrebbe il vantaggio di una notevole elasticità e significherebbe, in sostanza, che le diverse riserve e difficoltà dei singoli paesi potrebbero formare oggetto di un normale negoziato in seno alla Conferenza Intergovernativa, mentre i punti sui quali a Bruxelles è stato raggiunto un accordo verrebbero a costituire la sostanza da tradurre in articoli di trattato.

4. Si porrà ulteriormente il problema se si debbano convocare una o due conferenze – una per Euratom ed una per il Mercato Comune – o una sola conferenza incaricata di redigere uno o due trattati e correlativamente verrà a porsi il problema del cosiddetto «legame» tra Mercato Comune ed Euratom.

La risoluzione di Messina parla di «una o più conferenze» ma, data la tesi sempre sostenuta dal Governo italiano circa la necessità di un «legame» fra Mercato Comune ed Euratom, sembra prudente insistere perché una sola conferenza sia convocata. Per evitare che la nostra insistenza – condivisa d’altra parte da altri quattro Governi – per mantenere un legame stretto fra le due Comunità possa urtare troppo le esitazioni francesi, si potrebbe accettare che un’unica conferenza proceda parallelamente alla redazione di due trattati. Tale soluzione avrebbe il vantaggio di rinviare la decisione circa il «legame», a più tardi. Infatti, man mano che i lavori di stesura dei due trattati procederanno, vi sarà entro certi limiti modo di influire perché essi avanzino se non alla pari, almeno non troppo distanziati l’uno dall’altro e sarà possibile inoltre, dopo la firma di entrambi i trattati, decidere, a seconda dell’evoluzione della congiuntura politica, sia interna che internazionale, se essi debbano essere presentati alla ratifica parlamentare congiuntamente o successivamente.

In tal modo ci sarebbe consentita la massima elasticità possibile e d’altra parte in favore della soluzione proposta si possono invocare alcuni argomenti che, se anche non essenziali, possono avere un certo peso di fronte agli altri Ministri.

Data appunto la delicatezza del problema del «legame», il fatto stesso di dare il via a due conferenze separate rischierebbe di rendere molto più difficile una decisione in un momento ulteriore, sia a coloro che sono in favore del «legame», sia a quelli che lo avversano.

Inoltre, in quasi tutti i paesi non vi è larga disponibilità di alti funzionari particolarmente qualificati nei problemi di integrazione europea che faranno oggetto del negoziato intergovernativo: si aggiungerebbero quindi le difficoltà materiali di costituire due Delegazioni separate.

Infine il sistema della conferenza unica permetterebbe ai Governi di avere continuamente una visione di assieme dei problemi connessi all’integrazione e di rendere più facile eventuali negoziati necessari fra le diverse tesi, data la maggiore possibilità di trovare contropartite da negoziare.

Vi è inoltre una serie di problemi minori sui quali i Ministri potrebbero esser chiamati a discutere.

5. Il problema del cosiddetto invito, previsto nella risoluzione di Messina, ai paesi terzi, di partecipare alla Conferenza. «I Ministri degli Affari Esteri decideranno a suo tempo circa gli inviti, da indirizzare eventualmente ad altri Stati, a partecipare alla o alle conferenze».

Tre sono a questo proposito i quesiti: se indirizzare l’invito ed in tal caso a chi ed in quale forma.

Nonostante la scarsa collaborazione offerta dai paesi terzi durante i lavori di Bruxelles, sembra difficile per ovvie ragioni di politica generale non estendere l’invito ai paesi terzi, dopo il cenno contenuto nella risoluzione di Messina e le ripetute assicurazioni fornite in varie sedi internazionali. I paesi a cui si potrebbe indirizzare l’invito sono quelli membri dell’O.E.C.E. Circa la forma molti dubbi e perplessità si affacciano alla mente. Il precedente maggiore in materia è quello della dichiarazione Schuman del 1950, che stabiliva le linee direttive del futuro Trattato C.E.C.A. (Mercato Comune, poteri sopranazionali), e invitava gli Stati dell’Europa libera ad intervenire alla Conferenza soltanto se erano disposti ad accettare le condizioni contenute nella dichiarazione. Non sembra che, nell’attuale congiuntura politica, l’invito potrebbe essere così rigidamente formulato. D’altra parte, con ogni probabilità, l’invito diretto ai singoli Governi per le normali vie diplomatiche rischierebbe di condurci ad una serie di trattative e di scambi di vedute che potrebbero ritardare l’inizio della Conferenza. Si pensi per esempio al caso in cui la Svizzera o il Regno Unito rispondessero all’invito manifestando un certo interesse, ma chiedendo di avere preventivamente degli scambi di vedute per chiarire diversi punti del rapporto.

Sembrerebbe forse preferibile procedere ad una comunicazione in sede O.E.C.E., di carattere piuttosto vago, allegando ad essa il rapporto di Bruxelles ed il verbale della riunione di Venezia5 ed indicando che tali documenti costituiranno la base dei lavori della Conferenza Intergovernativa. Tale seconda soluzione avrebbe anche il vantaggio di tranquillizzare le Organizzazioni internazionali europee circa i timori di concorrenza, che già si fecero luce al momento dell’entrata in funzione della C.E.C.A. L’invito potrebbe inoltre offrire senz’altro ai membri dell’O.E.C.E. la possibilità di farsi rappresentare da osservatori. Comunque il Ministro Spaak ha informato l’Ambasciatore Scammacca di avere delle idee in proposito che intende comunicare all’On. Ministro direttamente a Venezia.

6. Partecipazione delle Organizzazioni internazionali alla Conferenza. Sembra logico ed opportuno che i sei Ministri decidano senz’altro, sia per le ragioni suaccennate, sia in considerazione della collaborazione da esse prestata ai lavori di Bruxelles, che le Organizzazioni internazionali europee (O.E.C.E.-C.E.C.A.-C.M.T.-Consiglio d’Europa) siano invitate a mandare un loro osservatore.

7. È possibile che nella discussione a Venezia venga avanzata la proposta che la Conferenza Intergovernativa sia dotata di un «coordinatore» politico, analogamente a quanto fu deciso a Messina per il Comitato Intergovernativo di Bruxelles.

Per il passato, nonostante alcuni disaccordi in materia di tattica verso i paesi terzi, possiamo dichiararci soddisfatti dell’opera svolta da Spaak a Bruxelles: parecchie volte si è dovuto al suo intervento ed alle sue capacità di sintesi se si sono superati gli scogli sui quali sembrava dovessero arenarsi i lavori del Comitato di esperti.

8. Organizzazione della Conferenza: tenendo conto delle precedenti esperienze C.E.C.A. e C.E.D. e del sistema adottato dal Comitato Intergovernativo di Bruxelles, il sistema più pratico di organizzazione della Conferenza potrebbe essere delineato come segue. La trattativa intergovernativa dovrebbe far capo, come prassi costante, ai Ministri degli Affari Esteri. Questi dovrebbero riservarsi la possibilità di riunirsi regolarmente, accompagnati se necessario dai Ministri tecnici competenti, per esaminare lo stato di avanzamento dei lavori della Conferenza e decidere al loro livello i problemi sui quali le Delegazioni non fossero riuscite a raggiungere un accordo. Al di sotto dei Ministri vi dovrebbe essere un Comitato permanente composto dei Capi delle Delegazioni nazionali. In seno a questo Comitato dovrebbero avvenire i negoziati.

9. Sede: circa il luogo in cui la Conferenza potrà aver sede, vi è da considerare che, per quanto ci riguarda, Parigi è il luogo che presenta maggiori possibilità logistiche. Vi è da domandarsi peraltro se i tedeschi accetterebbero tale proposta. In linea subordinata sembra che un compromesso potrebbe avvenire per Bruxelles o, eventualmente, Lussemburgo.


1 Il documento non è datato. Viene inserito al 29 maggio in quanto preparatorio della Conferenza di Venezia.


2 Vedi D. 166.


3 Non è stata rinvenuta documentazione su questa riunione. Vedi I.S.P.I., «Annuario di politica internazionale», 1956, pp. 367 e 587.


4 Vedi Appendice documentaria, D. 1, Annexe X.


5 Vedi D. 178.

178

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI

Appunto1.

CONFERENZA DI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERIDEI PAESI MEMBRI DELLA C.E.C.A.

(Venezia 29-30 maggio 1956)

I Ministri degli Affari Esteri dei sei paesi membri della C.E.C.A., riuniti a Venezia il 29-30 maggio 1956 sotto la presidenza di Pineau, avevano al loro ordine del giorno due argomenti principali: l’esame del Rapporto Spaak; e l’eventuale convocazione di una conferenza per redigere i trattati sul Mercato Comune e su Euratom.

2. I sei Ministri hanno esposto il parere dei loro rispettivi Governi sul Rapporto Spaak, senza scendere in dettagli tecnici, ma limitandosi a indicare i punti principali sui quali i rispettivi Governi enunciavano delle riserve.

Mercato Comune. A nome della Francia, il Ministro Pineau ha sollevato due importanti questioni. Egli ha ricordato che gli esperti di Bruxelles non avevano affrontato il problema della posizione che sarebbe stata fatta ai territori di oltremare dei paesi membri del Mercato Comune. Ha domandato quindi che venissero studiati i modi con cui tali territori, o alcuno di essi (compresi anche eventualmente i paesi d’oltremare legati da particolari accordi ai paesi metropolitani) potessero essere inclusi nel Mercato Comune. I Ministri belga e olandese non hanno sollevato obiezioni, in linea di massima, alla formulazione data dai francesi al problema. Questa è stata tuttavia da essi stessi corretta in corso di Conferenza, alla fine della quale si è convenuto che l’esame della questione sarebbe stato fatto anzitutto in sede nazionale, e portato quindi ai Ministri per la discussione.

Nei riguardi del ritmo dell’attuazione del Mercato Comune, Pineau ha ribadito la tesi di cui si era fatta portavoce a Bruxelles la Delegazione francese. Egli ha chiesto che alla prima tappa dello sviluppo del Mercato Comune (fissata in quattro anni dal Rapporto Spaak) non venisse dato un termine rigido e prestabilito. Il trattato avrebbe dovuto indicarne gli obiettivi – una certa percentuale di riduzioni doganali e di contingenti, la messa in moto delle istituzioni ed in particolare dei fondi di investimenti e di riadattamento, l’armonizzazione delle legislazioni sociali in alcuni settori – ; prima di passare alla seconda tappa, i Ministri avrebbero dovuto constatare che gli obiettivi della prima tappa erano stati raggiunti. Pineau ha ricordato che in alcuni ambienti francesi era stato richiesto che i Parlamenti tornassero ad essere investiti della questione al termine di ogni tappa. Con la procedura da lui proposta ciò si sarebbe evitato, sostituendo all’accordo dei Parlamenti l’accordo dei Governi.

La proposta francese, che equivale a rendere arbitro degli sviluppi del Mercato Comune ogni singolo Governo (e in particolare quello francese, nel caso in cui esso ritenesse di non aver ricevuto sufficiente soddisfazione in materia di correzione delle cosiddette distorsioni sociali), ha lasciato piuttosto freddi gli altri Ministri. Spaak ha accennato alle due principali obiezioni che essa solleva: la necessità di sottoporre al G.A.T.T. un programma precisamente definito, e l’opportunità di non esporre i Governi alle inevitabili pressioni dei gruppi di interessi. La proposta francese – che costituisce senza dubbio una delle maggiori incognite del futuro negoziato – è stata rinviata, come tutte le altre riserve avanzate dai singoli Ministri, alla futura Conferenza di Bruxelles.

Un altro punto su cui si sono delineate divergenti prese di posizione tra i vari Ministri è quello dell’armonizzazione delle politiche monetarie, finanziarie e commerciali. I francesi sono per conservare ai Governi in questo campo una libertà di azione quanto più larga possibile; tedeschi e olandesi si sono dichiarati a favore di uno stretto e costante coordinamento. Anche il Ministro Martino ha messo in rilievo che sarebbe inconcepibile una totale libertà di azione che pregiudicherebbe inevitabilmente lo sviluppo del Mercato Comune. La formula del Rapporto Spaak, secondo la quale il coordinamento delle politiche economiche è affidato al Consiglio di Ministri, poteva ritenersi accettabile purché fosse ben chiaro che si trattava di una responsabilità comune che non sarebbe possibile eludere.

Beyen ha ricapitolato le ben note riserve olandesi sul livello della tariffa esterna (in particolare in materia di prodotti semilavorati) e sull’armonizzazione della legislazione sociale. Ha anche espresso qualche dubbio sulla possibile applicazione del sistema della ponderazione dei voti nelle istituzioni comuni: dubbi condivisi dal Ministro Bech, il quale ha anche insistito sulla situazione particolare dell’agricoltura lussemburghese.

Dal canto suo, il Ministro Martino ha messo in rilievo l’importanza che l’Italia attribuisce alla necessità di evitare che il Mercato Comune fra i sei paesi assuma carattere autarchico e fortemente discriminatorio; e ha rilevato l’importanza che è da attribuire al negoziato tariffario che avrà luogo a suo tempo con i maggiori paesi terzi. Il Ministro Martino ha sollevato qualche riserva sull’eccessiva prudenza che il Comitato di Bruxelles ha dimostrato in materia di libertà di movimento delle persone, facendo rilevare che la congiuntura sta rapidamente mutando sul mercato della mano d’opera in cui si fanno sempre più frequenti i casi di penuria. Egli ha infine espresso una riserva generale sul rapporto per quanto riguarda le provvidenze necessarie ad assicurare all’Italia la possibilità di condurre a termine il proprio piano di sviluppo contemporaneamente alla progressiva instaurazione del Mercato Comune.

Euratom. La più importante questione lasciata in sospeso dal Rapporto Spaak era, come noto, quella dell’impiego a fini militari dell’energia nucleare. Si è accennato in proposito da parte dei Ministri la proposta di compromesso contenuta in una lettera diretta da Spaak ai suoi colleghi2, proposta che era stata ventilata nel corso dei lavori di Bruxelles, ma non introdotta nel rapporto. I Ministri hanno convenuto di discutere fra loro la questione nel corso di una delle riunioni che essi dovranno tenere nel quadro della futura Conferenza.

Da parte francese sono state presentate alcune osservazioni sull’opportunità di dare a Euratom i mezzi finanziari necessari per adempiere al proprio mandato, nonché di precisare più accuratamente il sistema di ripartizione dei minerali e dei combustibili in caso di penuria. I tedeschi hanno chiesto che il sistema dei controlli sia limitato allo stretto necessario. Spaak ha annunciato che in breve egli inizierà le conversazioni con il Governo degli Stati Uniti per le modifiche da apportare all’accordo belga-americano di collaborazione atomica, e in particolare per la ripartizione del minerale del Congo dopo il 1960.

I Ministri non hanno discusso dell’opportunità di aprire le conversazioni con gli Stati Uniti per la collaborazione che questi potrebbero dare a Euratom, come era stato suggerito dagli americani stessi in un passo compiuto nelle sei capitali (vedi telespresso ministeriale 44/8589 del 28/5/1956)3.

A tale proposito è da rilevare che mentre l’Ambasciata degli Stati Uniti a Roma ha svolto il passo consegnando un memorandum, nelle altre capitali la comunicazione è stata fatta oralmente. Sembra comunque che vi sia da parte di qualche Governo una certa perplessità circa l’apertura delle conversazioni con gli americani, e in particolare circa la discussione della persona che dovrebbe con essi trattare a nome del gruppo dei sei paesi.

3. Nel mettere a verbale le osservazioni di cui più sopra è fatto cenno e altre di minore importanza, i sei Ministri si sono dichiarati unanimi, a nome dei loro Governi, nell’approvare in linea generale il rapporto Spaak e nell’accettarlo come «base di discussione» per la redazione dei trattati. Tale accettazione è stata più o meno sfumata secondo i vari Ministri: per l’italiano, il belga e l’olandese essa intendeva significare che le soluzioni indicate nel rapporto non dovevano essere rimesse in discussione là dove gli esperti si erano trovati unanimemente d’accordo; il francese e il tedesco hanno invece indicato che i loro Governi preferivano riservarsi una più ampia libertà di azione nel futuro negoziato. Tale ambiguità, d’altronde inevitabile, fa sì che in pratica tutte le questioni potranno venire riaperte – anche se non lo saranno in effetti – nella futura Conferenza.

4. In virtù di questa impostazione, veniva resa più facile per i Ministri la decisione di procedere alla convocazione a una data ravvicinata della Conferenza per la redazione dei trattati. Su proposta di Pineau è stato chiesto a Spaak di dirigere i lavori della Conferenza, la cui sede è stata fissata a Bruxelles. Spaak ha proposto per l’inizio delle riunioni la data del 18 giugno: essa era stata accettata dalla maggioranza dei Ministri, ma è stata poi ritardata al 26 giugno4 su richiesta tedesca. Senza nessuna difficoltà è prevalsa l’idea che la Conferenza debba essere unica, sia per il Mercato Comune che per Euratom; si è tuttavia deciso che verranno preparati due trattati distinti, anche se i negoziati per l’un e per l’altro verranno diretti dalle stesse persone. La questione se i due trattati dovranno essere presentati contemporaneamente o meno ai Parlamenti non è stata discussa; su di essi si pronunceranno i Ministri a tempo opportuno, ma la sensazione prevalente è che non vi saranno obiezioni gravi a una presentazione separata.

Per quanto non sia molto chiaro come Spaak voglia organizzare i lavori della futura Conferenza, è certo che egli si augura di poterli condurre con la massima rapidità. I lavori avranno una sosta durante il mese di agosto, per riprendere poi a pieno regime in autunno.

5. Molto dibattuta è stata la questione dell’invito da rivolgere ai paesi terzi a partecipare ai lavori per la redazione dei trattati. A fonte5 di una posizione francese, intesa a dare quanto meno l’impressione che l’invito veniva rivolto con la formula più ampia possibile, si è contrapposta una fortissima (e sorprendente) posizione tedesca tendente a evitare il rischio che i paesi terzi chiedano di partecipare alle trattative, o quanto meno di inviare osservatori alla Conferenza. La formula che è stata alla fine concordata, dopo una riunione ristretta ai soli Ministri è stata la seguente:

- i trattati avranno le conseguenti clausole per l’adesione di altri paesi, anche non europei (v. Nord Africa francese), sarà anche prevista la possibilità di accordi di associazione fra i paesi terzi e le Comunità;

- i Ministri hanno riconfermato il loro desiderio di vedere altri paesi aggiungersi ai loro per raggiungere gli obiettivi proposti dal Rapporto Spaak: tale partecipazione dovrebbe avvenire su un piano di eguaglianza, e cioè con gli stessi diritti ma anche con gli stessi obblighi (accettazione del Rapporto Spaak come base di discussione);

- l’O.E.C.E. e le altre organizzazioni europee verranno tenute costantemente al corrente, a cura del Presidente Spaak, del progresso dei negoziati;

- qualora nel corso dei lavori alcuni paesi terzi rendessero nota la loro volontà di aderire ai trattati, o di concordare forme di associazione, i Ministri deciderebbero circa lo status da fare loro nei negoziati (partecipazione o invio di osservatori).

Come si vede, si è voluto sopratutto garantirsi contro la eventualità che la partecipazione degli altri paesi potesse rimettere in questione gli accordi di massima raggiunti fra i Sei e quindi prolungare e rendere più difficili i negoziati; e d’altra parte si è voluto evitare che la presenza di osservatori togliesse alle trattative il carattere di confidenzialità che esse devono contenere.

6. Al termine della Conferenza i Ministri hanno approvato il comunicato finale, che è stato diramato alla stampa e del quale si allega copia6.

7. In definitiva, la Conferenza di Venezia ha valso a porre termine alla fase dei lavori tecnici, condotti sotto la responsabilità degli esperti e quindi non impegnativa per i Governi. La decisione di convocare immediatamente una Conferenza, col compito di redigere i trattati, obbliga ormai i Governi a prendere posizione. È anche vero tuttavia che le difficoltà di fondo rivelate dalle riunioni di Bruxelles devono tuttora essere superate (e non potranno essere senza numerose decisioni a livello politico). Resta quindi ancora da dimostrare quanto sia fondato l’ottimismo di Spaak circa una rapida conclusione della nuova fase che si aprirà il 26 giugno a Bruxelles. Il merito sostanziale della Conferenza di Venezia è comunque che questa fase si sia finalmente aperta, a un anno di distanza dalla Conferenza di Messina in cui fu deciso il «rilancio europeo».


1 Trasmesso da Ducci alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Berna, Bruxelles, Copenaghen, L’Aja, Lussemburgo, Londra, Oslo, Parigi, Stoccolma, Vienna e Washington, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E. e presso la N.A.T.O., a Parigi, presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, e presso le Nazioni Unite, a New York, alle Legazioni a Dublino e Lisbona e, per conoscenza, alle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari Economici (Telespr. 44/08963 del 5 giugno) con le istruzioni a tutte le rappresentanze, ad esclusione di quelle nei paesi C.E.C.A., di riferire sulle reazioni di Governi e opinioni pubbliche alle decisioni di Venezia, «con particolare riguardo alla formula adottata per la partecipazione dei paesi terzi alla Conferenza di Bruxelles». Per il verbale della Conferenza vedi Appendice documentaria, D. 4.


2 Vedi D. 166, nota 3.


3 Vedi D. 176.


4 Vedi D. 184.


5 Sic. Si intenda: a fronte.


6 Vedi Appendice documentaria, D. 4, Annexe IV.

179

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,ALLE AMBASCIATE A BONN, BRUXELLES, L’AJA,LUSSEMBURGO E PARIGI

Telespr. 44/092931. Roma, 11 giugno 1956.

Oggetto: Conferenza di Bruxelles per Mercato Comune ed Euratom.

A seguito del telespresso n. 08963 del 5 corrente2 con il quale è stato trasmesso un appunto sulle conclusioni della Conferenza di Venezia dei sei Ministri degli Esteri dei paesi C.E.C.A., si portano a conoscenza di codeste Rappresentanze le notizie in possesso di questo Ministero circa la prossima Conferenza Intergovernativa di Bruxelles per la redazione dei trattati concernenti il Mercato Comune ed Euratom.

a) La Conferenza di Bruxelles avrà inizio il 26 giugno al livello dei Capi Delegazione. Essa convocherà due Comitati di esperti, uno per il Mercato Comune e l’altro per Euratom, e probabilmente anche un Gruppo di lavoro incaricato di esaminare il problema relativo all’estensione del Mercato Comune ai territori d’oltremare.

I predetti Comitati si riuniranno fino al 13 luglio, dopo di che la Conferenza verrà sospesa e riprenderà i suoi lavori ai primi di settembre. Una riunione dei Ministri degli Esteri non è prevista prima della fine di settembre. La speranza del Ministro Spaak è di portare a termine la Conferenza nel mese di novembre.

b) In merito alla nomina dei Capi Delegazione, risulta che i francesi sono divisi circa l’opportunità di riconfermare l’On. Gaillard o viceversa di nominare il Sottosegretario di Stato agli Esteri Maurice Faure. Anche i tedeschi non hanno ancora deciso se riconfermare l’Ambasciatore a Bruxelles Ophuels o nominare il Dr. Carstens, Direttore Generale al Ministero degli Esteri.

c) L’idea dell’estensione del Mercato Comune ai territori d’oltremare risale al Ministro Spaak. La proposta comporta tuttavia vari problemi: piena partecipazione di Tunisia e Marocco (Algeria?) anche alle istituzioni della Comunità; libera circolazione della mano d’opera nord-africana; concorrenza ai prodotti italiani ecc. Risulta che da parte belga si sarebbe d’accordo per inserire il Congo nel Mercato Comune.

d) Circa le prossime trattative belgo-americane, annunciate dal Ministro Spaak, per il rinnovo dell’Accordo di cooperazione atomica, da parte belga si spera di ottenere maggiori vantaggi di quelli assicurati da Eisenhower con la sua offerta a tutti i paesi liberi.

Le Rappresentanze in indirizzo sono pregate di voler fornire a questo Ministero le informazioni raccolte presso i rispettivi Governi in merito ai vari problemi relativi alla prossima Conferenza di Bruxelles.


1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Londra e Washington.


2 Vedi D. 178, nota 1.

180

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV,AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

Telespr. 44/09574/c.1. Roma, 14 giugno 1956.

Oggetto: Mercato Comune e Euratom. Conferenza di Venezia. Commenti belgi e olandesi.

Per opportuna conoscenza si trascrive quanto riferito dall’Ambasciata d’Italia in Bruxelles e L’Aja sull’argomento in oggetto.

L’Ambasciata d’Italia in Bruxelles in data 4 giugno 1956:

«Questi ambienti responsabili e la stampa in generale hanno accolto con favore le decisioni prese alla Conferenza di Venezia. Si attribuisce molta importanza agli accordi dei sei Ministri di prendere il Rapporto Spaak quale base dei futuri negoziati ad alto livello diplomatico e di tenere a Bruxelles la conferenza che dovrà portare alla realizzazione dei trattati per il Mercato Comune e l’Euratom. I giornali progovernativi colgono l’occasione per porre in luce il ruolo che il Ministro degli Esteri ha svolto e continua a svolgere in favore dell’integrazione europea dalla quale il Belgio trarrà sicuramente notevoli vantaggi, dato il continuo incremento delle sue esportazioni nell’area europea.

Ci si rende perfettamente conto della necessità di venire incontro, per quanto possibile, alle richieste della Francia, tenendo fermo tuttavia il postulato di una stretta interdipendenza tra Mercato Comune e Euratom. Si sottolinea l’urgenza che l’Europa Occidentale non frapponga ulteriori indugi alla realizzazione del programma delineato nel Rapporto Spaak. Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna hanno conseguito risultati considerevoli nello sfruttamento a scopo pacifico dell’energia nucleare, mentre i paesi della piccola Europa si trovano in una impasse dal punto di vista energetico e soltanto unendo i loro sforzi e mettendo in comune le loro risorse possono risolvere i problemi di grande dimensione connessi agli sviluppi della tecnica ed alle accresciute esigenze produttive.

Il comunicato, come pure le dichiarazioni del Ministro Pineau, hanno sollevato comunque alcune perplessità delle quali, come era da prevedere, si è resa interprete la destra conservatrice. Il problema capitale del Mercato Comune, si osserva, presenta oggi ulteriori difficoltà da superare. La questione dell’eventuale inclusione dei territori e paesi di oltremare costituisce infatti un nuovo «préalable» suscettibile di creare complicazioni: basti pensare agli Stati associati alla Francia uniti alla metropoli in una zona commerciale protezionistica. Per quanto concerne il passaggio dalla prima fase di quattro anni alla seconda fase del Mercato Comune, la formula di elasticità introdotta, a quanto sembra, dal Ministro degli Esteri francese potrebbe comportare il rischio di ipotecare in partenza il Mercato Comune e di accettare l’Euratom senza aver ottenuto sufficienti assicurazioni circa la concomitante realizzazione di una unione doganale europea. Si sottolinea poi che i Ministri degli Esteri non sono stati ancora in grado di prendere posizione circa il problema della eventuale utilizzazione militare dell’energia nucleare, problema lasciato in sospeso nel rapporto dagli esperti.

L’opinione pubblica si rivolge alla Francia con malcelato sospetto e si chiede sino a qual punto si possa contare su di essa affinché possa verificarsi sul piano europeo quel progresso lento, ma graduale verso una unione economica, evoluzione in atto fra i paesi del Benelux».

L’Ambasciata d’Italia in L’Aja con telespresso n. 947/510 del 5 giugno 1956:

«La stampa olandese nel suo complesso ha registrato con sobri commenti e moderata soddisfazione i risultati della Conferenza di Venezia. Non ci si attendeva evidentemente decisioni spettacolari, ma d’altra parte riaffiora sempre in questa opinione, allorché si tratta delle iniziative europee, il ricorso delle delusioni passate.

A tale circostanza deve quindi ascriversi il fatto che i commenti più estesi siano stati sopratutto di critica, anche perché provenienti dalla stampa indipendente e d’opposizione».

E con telespresso n. 952/514 del 5/6/1956:

«Aggiungo ora che le prime impressioni raccolte presso gli uffici di questo Ministero Esteri sono invece di soddisfazione, nel senso che si ritiene aver fatto quanto di concreto era fattibile nelle circostanze attuali.

Segnalo qui di seguito alcuni commenti, che ci sono stati fatti dall’Ufficio competente sulla scorta della relazione da esso redatta della Conferenza.

L’atteggiamento francese ha in un certo senso piacevolmente sorpreso gli olandesi, specie per quanto riguarda l’accettazione in blocco del rapporto Spaak, tanto per Euratom che per il Mercato Comune. La proposta di inclusione dei territori oltremare non è riuscita nuova agli olandesi, che ricordano come da parte francese accenni in proposito fossero stati fatti allorché si discuteva della C.P.E. La questione tocca direttamente anche l’Olanda, ma non si pensa qui che ponga insormontabili problemi per i possedimenti olandesi. Si è piuttosto perplessi circa l’intenzione francese di comprendere Marocco e Tunisia nella prospettata inclusione dei territori oltremare.

Dove l’atteggiamento francese contrasta di più con le vedute olandesi è nei riguardi delle riserve fatte circa le tappe di realizzazione del Mercato Comune e circa l’intenzione di salvaguardare l’attuale dirigismo francese nei limiti dalla cosiddetta libertà economica nazionale. Su questi punti gli olandesi non nascondono le proprie esitazioni, che dicono condivise da Spaak.

Comprensibili sono anche qui apparse le riserve germaniche e si è preso nota sopratutto di quella relativa ai trasporti e all’importanza politica ivi connessa, anche se per l’Olanda tale materia, si dice, ha interesse esclusivamente economico.

Circa gl’interventi italiani, molto opportuni sono apparsi agli olandesi quelli relativi alla necessità di accettare il rapporto nel suo insieme, senza stralciare alcuna parte e quelli concernenti la necessità di salvaguardare i rapporti con i terzi paesi e la Gran Bretagna in particolare. Si è pure presa debita nota delle nostre vedute sulla necessità di tenere particolarmente in conto i problemi della mobilità della mano d’opera e degli investimenti ed infine è stata notata l’obiettiva impostazione del problema delle esigenze militari.

Nell’insieme si considera che la Conferenza ha avuto una indiscutibile importanza politica e risultati costruttivi.

Ho creduto utile di riferire queste opinioni degli Uffici, che potrò meglio valutare in seguito alla luce delle comunicazioni che perverranno nel frattempo da codesto Ministero. Segnalo da ultimo che ci è stata espressa la più viva e spontanea soddisfazione per il trattamento usato alle Delegazioni convenute, per l’impeccabile organizzazione e per l’opportunità offerta ad alcuni partecipanti nuovi al nostro paese, di ammirare, come già a Messina, non soltanto i nostri tesori storici, ma anche molte realizzazioni ignorate».


1 Diretto alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Lussemburgo, Londra, Parigi e Washington e alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E. e presso la N.A.T.O., a Parigi, e presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo. Il documento reca una firma illeggibile.

181

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, UFFICIO I

Appunto segreto1.

VERBALE DELLA RIUNIONE MINISTERIALE PREPARATORIA

DELLA VISITA DEL CANCELLIERE ADENAUER

16 giugno ore 10,30

Partecipano alla riunione, che è presieduta dal Segretario Generale:

per il Gabinetto: il Capo di Gabinetto Min. Migone;

per la Stampa: il Capo del Servizio Min. Giustiniani;

per il Cerimoniale: il Capo del Servizio Min. Roberti;

per la D.G. del Personale: il Direttore Gen. Amb. Ghigi;

per la D.G. Affari Politici: il Direttore Generale Ambasciatore Magistrati, il Vice Direttore Generale Bombassei e i Segretari Riccardi e Franzì;

per la D.G. Affari Economici: il Direttore Generale Amb. Cattani, il Direttore Generale Aggiunto Carrobio ed il Vice Direttore Generale Ducci;

per la D.G. dell’Emigrazione: il Direttore Generale Amb. Mascia;

per la D.G. Relazioni Culturali: il Direttore Generale Min. Conti;

per la D.G. della Somalia: il Direttore Generale Ministro Fracassi.

È presente, per la Presidenza del Consiglio, il Min. Canali.

Il Segretario Generale fa presente che, non essendovi sul piano dei rapporti bilaterali questioni di importanza tale da formare oggetto di colloquio tra S.E. Segni e S.E. Adenauer, le conversazioni verteranno sui problemi di politica generale, mentre scambi di idee sugli sviluppi degli argomenti particolari trattati nell’incontro di Bonn del febbraio u.s.1 potranno aver luogo al livello dei funzionari componenti le due Delegazioni.

Dato che la preparazione della visita è stata affidata alla D.G. Affari Politici, il Segretario Generale invita l’Amb. Magistrati a prendere la parola.

L’Amb. Magistrati concorda sulla impostazione data dal Segretario Generale e sottolinea che la visita viene restituita da Adenauer dopo soli pochi mesi in quanto si ritiene opportuno da ambo le parti avere frequenti contatti fra i maggiori Rappresentanti dei rispettivi Governi. S.E. Segni accennò ad Adenauer alla opportunità di averlo presto nostro ospite in Italia e questi accettò già nel febbraio u.s.

L’incontro può pertanto essere considerato un seguito delle conversazioni di Bonn nel quale, alla luce dei più recenti avvenimenti, potranno essere esaminati i seguenti problemi:

1. Riunificazione tedesca. È noto che Adenauer desidera avere periodiche rinnovate assicurazioni che il problema è sempre presente in campo internazionale e che non è diminuito l’interesse dei paesi alleati alla ricerca di una soluzione che possa essere soddisfacente per la Germania.

Questo interesse degli occidentali, accresciutosi dopo l’insuccesso dei lavori dell’ultima sessione del Sottocomitato per il disarmo e dopo l’accenno fatto al problema nella lettera di Bulganin al Cancelliere Federale, è stato da Adenauer posto al centro dei suoi colloqui di Washington e riconfermato dagli americani come risulta dal comunicato finale dei predetti colloqui.

Nell’incontro di Roma è pertanto probabile che Adenauer esprima il desiderio che vi sia una dichiarazione, anche da parte nostra, di solidarietà alla sua politica in tema di riunificazione.

2. Disarmo. Esso ha preso un nuovo aspetto in conseguenza della nuova tattica sovietica.

Gran parte dei colloqui di Roma sarà assorbita da uno scambio di idee su tale argomento sia per i suoi riflessi sul problema della unificazione tedesca sia perché in seguito alle lettere di Bulganin occorre concordare l’atteggiamento occidentale di fronte alla nuova tattica sovietica.

L’Italia è stata il primo paese a sostenere che l’esame delle lettere di Bulganin avvenga in sede N.A.T.O. ed in effetti tale esame, in adesione anche ad analoga proposta americana, ha già avuto inizio.

Il Segretario Generale rileva a questo punto che la mossa sovietica costituisce un evidente tentativo per disgregare l’Alleanza atlantica e porre in imbarazzo i Governi dei paesi alleati di fronte alle opinioni pubbliche. Egli attira poi l’attenzione sul pericolo di una limitazione dei nostri armamenti, inquantoché non disponiamo di armi atomiche, e, data la posizione di Tito, ci troviamo ad avere sul fianco destro del nostro schieramento difensivo una particolare situazione che non presenta eguali negli altri paesi dell’Alleanza atlantica.

L’Amb. Magistrati concorda con l’opinione espressa dal Segretario Generale ed aggiunge che comunque il livello dei nostri armamenti è al di sotto di quello previsto dall’U.E.O.

L’Amb. Magistrati continua la sua esposizione elencando gli altri argomenti che potranno essere oggetto di esame nel corso dei colloqui a vario livello:

3. Problema della Saar. Dopo l’Accordo franco-tedesco si dovrebbe ritenere praticamente risolto il problema, di cui appare superfluo sottolineare l’importanza ai fini del rafforzamento dello schieramento occidentale e del rilancio europeo. Sarà quindi interessante avere da Adenauer dettagli sugli accordi di Lussemburgo.

4. Art. 2 del Patto atlantico. Da parte tedesca sarà sicuramente mostrato interesse a conoscere gli ultimi sviluppi della situazione e in particolare il risultato delle prossime conversazioni di Parigi. Da parte nostra si dovrà pertanto provvedere ad informare Adenauer al riguardo.

5. Rapporti Est-Ovest. Sull’argomento vi è stata una ampia discussione alla quale hanno partecipato quasi tutti i presenti, in relazione sia all’invito formulato al Parlamento italiano dai sovietici, sia all’invito del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Esteri, di cui dà notizia il Segretario Generale, formulato ufficialmente il giorno precedente dall’Incaricato d’Affari sovietico. Nei colloqui con Adenauer, si dovrà opportunamente illustrare il senso del viaggio in Russia dei nostri parlamentari e chiarire il nostro atteggiamento circa l’invito ai maggiori Rappresentanti del Governo italiano.

6. Medio Oriente. L’Amb. Magistrati fa presente che in sostanza di tratterà di avere coi tedeschi uno scambio di impressioni su un piano generale.

7. Scambi commerciali e questioni finanziarie. L’Amb. Cattani rileva che, come già detto dal Segretario Generale, non vi sono sul piano bilaterale questioni di importanza tale da essere oggetto di conversazione a così alto livello. Fra gli argomenti di minore importanza che potranno essere esaminati nei colloqui fra funzionari egli elenca:

- i marchi di fabbrica;

- la convenzione consolare, di commercio e navigazione (potrà essere colta l’occasione per far presente al Governo tedesco che da parte nostra si è pronti a dare inizio ai negoziati relativi);

- la fornitura di armi alla Germania;

- la questione della via di comunicazione diretta tra Venezia e Monaco;

- la cessione di Villa Massimo (che è collegata a questioni di carattere culturale).

8. Problemi culturali. Il Min. Conti fa presente che non è necessario porre fra gli argomenti dei colloqui di Roma l’accordo culturale recentemente concluso tra Germania ed Italia, il quale funziona in modo soddisfacente.

9. Emigrazione italiana in Germania. L’Amb. Mascia fa un’ampia illustrazione dell’Accordo ed espone in dettaglio i motivi per i quali esso non ha praticamente funzionato. L’Amb. Cattani inquadra successivamente il problema nei suoi aspetti tecnici ed economici.

Dato che l’interesse all’Accordo è fondamentalmente tedesco, viene deciso che da parte nostra non si faccia cenno alla questione ma si attenda eventualmente che i tedeschi si facciano parte attiva per un eventuale esame della situazione.

Per quanto concerne l’atteggiamento della stampa tedesca sulla situazione in Alto Adige, l’Amb. Magistrati fa presente che in questi ultimi mesi vi è stato un notevole miglioramento. Non sembra peraltro necessario trattare questo argomento con i tedeschi salvo che, qualora esso venga sollevato da Adenauer, per esprimere il nostro riconoscimento dell’azione svolta dal Governo tedesco.

Per le questioni di politica generale che saranno trattate nel corso dei colloqui fra Ministri, è stato deciso che le Direzioni Generali appronteranno gli elementi informativi da utilizzare per la redazione della traccia di conversazione e i relativi appunti illustrativi.

Per quanto concerne le questioni italo-tedesche, che saranno oggetto di esame al livello funzionari, si è convenuto sulla opportunità che ogni Direzione Generale prepari un elenco dei predetti argomenti da servire da progetto di ordine del giorno da comunicare ai tedeschi.

Vi è stato infine un esame del progetto di programma predisposto dal Cerimoniale. Il Min. Roberti, sulla base di suggerimenti espressi nel corso della riunione, ne curerà la definitiva stesura3.


1 Il documento non è datato.


2 Vedi DD. 126 e 135.


3 La visita ebbe luogo dal 1° al 4 luglio, vedi D. 186.

182

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 1169/754. Parigi, 19 giugno 1956.

Oggetto: Conferenza di Bruxelles per Mercato Comune ed Euratom.

Riferimento: Telespresso di codesto Ministero n. 44/09293 dell’11 giugno 19561.

Al Quai d’Orsay hanno confermato che il Presidente della Delegazione francese alla Conferenza di Bruxelles sull’integrazione europea sarà Maurice Faure. Il Vice Presidente sarà Marjolin, che sarà coadiuvato da Vedel; Gaillard farà parte della Delegazione come Consigliere politico; Guillaumat e Wormser saranno i Presidenti dei due gruppi di Delegati che parteciperanno rispettivamente ai lavori su Euratom e sul Mercato Comune. Poco probabile sembra, invece, la partecipazione di Armand.

Al Quai hanno tenuto a sottolineare che con la designazione a Capo Delegazione del Segretario di Stato per gli Affari Esteri, il Governo francese intende dare un particolare rilievo all’importanza della Conferenza.

Stando alle precisazioni fatteci al Gabinetto di Pineau, Mollet è personalmente deciso a realizzare un accordo su Euratom e ha preso una ferma posizione al riguardo in seno al Consiglio dei Ministri per superare le riserve dei Ministri dissidenti. Pare, anzi, che in una delle recenti riunioni del Consiglio, lo stesso Mollet abbia fatto presente, piuttosto bruscamente, a Chaban-Delmas che nella dichiarazione di investitura era stato chiaramente formulato il programma governativo sull’integrazione atomica europea e che, accettando di partecipare al Governo, tutti i Ministri si sono implicitamente impegnati a rispettare questo programma. Naturalmente, avrebbe ammesso Mollet, l’adesione di principio a Euratom non esclude che i vari membri del Gabinetto esprimano e difendano il loro punto di vista circa le caratteristiche che l’organizzazione euratomica dovrà avere o gli impegni che essa dovrà implicare per essere compatibile con gli interessi della Francia e la volontà della maggioranza del Parlamento.

Allo stesso Gabinetto di Pineau ritengono che, con un po’ di buona volontà da parte di tutte le Delegazioni, è possibile raggiungere a Bruxelles un accordo completo e definitivo su Euratom entro novembre: in ogni caso, la Delegazione francese darà in proposito prova del massimo spirito di collaborazione.

Permangono, invece, qui, le note riserve circa la possibilità di raggiungere nello stesso tempo un accordo sul Mercato Comune: al Quai insistono nel solito argomento che le relative trattative non possono procedere con lo stesso ritmo di quelle su Euratom, e sarebbe un errore legare troppo strettamente le due questioni in quanto si verrebbe a ritardare la realizzazione della Comunità atomica europea. L’attuazione del Mercato Comune non può avvenire che per tappe graduali, secondo i criteri esposti da Pineau a Venezia. Entro il mese di novembre, fanno rilevare al Quai, sarà al massimo possibile preparare a Bruxelles un accordo su i primi obiettivi da perseguire sulla via della libertà degli scambi e dell’armonizzazione degli oneri sociali e fiscali che gravano sulle economie dei sei paesi; e sarà, comunque, necessario sottoporre un tale accordo all’esame del Parlamento francese, per accertarne le reazioni prima di passare alle tappe successive.

Circa l’estensione del Mercato Comune ai territori d’oltremare, mi riservo di riferire con telespresso a parte.


1 Vedi D. 179.

183

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., COSMELLI,ALLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI,UFFICI IV E VII

Telespr. 2838/21231. Parigi, 21 giugno 1956.

Oggetto: Comitato speciale per l’energia nucleare. Missione a Washington.

Riferimento: Telespresso di questa Rappresentanza n. 2360/1739 del 25 maggio u.s.2.

Si fa riferimento al punto 3 del suindicato telespresso. Il Signor Huet, Capo della Segreteria del Comitato speciale, reduce da Washington dove si è recato con Colonna, Segretario Generale aggiunto dell’O.E.C.E., in missione non ufficiale, ha riferito ai Capi Delegazione sui risultati del suo viaggio. Una più completa relazione scritta farà seguito prossimamente.

Huet ha iniziato la sua conversazione ricordando che due erano gli scopi della missione:

1) informare le Autorità americane sui lavori in corso all’O.E.C.E. nel settore della collaborazione europea nucleare;

2) ottenere informazioni dalle Autorità competenti americane sulle condizioni dell’offerta di uranio del Presidente Eisenhower, secondo le sue dichiarazioni del 22 febbraio 1956.

A questo scopo la missione ha avuto colloqui presso il Dipartimento di Stato, la International Cooperation Administration (I.C.A.) e la Commissione per l’energia atomica, incontrando Murphy e Smith del Dipartimento, Hollister, Fitzgerald e Van Dyke dell’I.C.A., Libbye, Vogel e Eisenberg della Commissione E.A.

È impressione di Huet che gli incontri avuti siano stati fruttuosi e che le informazioni ottenute siano state utili e complete, compatibilmente con lo stato di fluidità della situazione per l’azione dei fattori politici, economici e tecnici in continua evoluzione.

I due inviati dell’O.E.C.E. nei loro colloqui hanno innanzi tutto fornito un dettagliato resoconto degli attuali studi del Comitato speciale per l’energia nucleare e delle proposte sulle quali il Comitato dovrà decidere nella prossima sessione (28-30 giugno corr.) e che, se approvate dal Comitato, saranno presentante alla sessione di luglio del Consiglio dei Ministri O.E.C.E.3. Queste proposte sono:

a) organizzazione di un sistema di controllo di sicurezza;

b) creazione di un’impresa di separazione chimica dei combustibili irradiati;

c) decisioni per iniziative comuni nel campo di reattori di ricerca e dei prototipi di reattori;

d) alcuni provvedimenti riguardanti la legislazione, l’insegnamento e la normalizzazione.

L’istituzione di un Comitato direttivo per l’energia nucleare invece, dipenderà dal raggiungimento o meno di un accordo su questioni di fondo, e cioè sui primi compiti dell’organizzazione nucleare dell’O.E.C.E.

Colonna e Huet hanno inoltre sottolineato agli americani come le decisioni dell’O.E.C.E. terranno conto dei risultati che saranno ottenuti sia in sede Euratom che presso le Nazioni Unite alla prossima Assemblea di settembre-ottobre che discuterà l’Agenzia Atomica Internazionale.

Per quanto riguarda le informazioni ottenute, Huet ha esposto quanto segue:

a) Condizioni dell’offerta Eisenhower: l’uranio sarà ceduto in base, se così può dirsi, alla formula «credito globale per progetti determinati» (da approvarsi di volta in volta dalla Commissione americana per l’energia atomica); la sua concentrazione massima sarà del 20% (per piccole quantità per reattori di ricerca la concentrazione potrà arrivare al 90%); l’U.235 sarà sotto forma di esafluoruro, trattato dall’industria americana o anche da quella europea nella misura che quest’ultima sarà in grado di farlo; prezzo $ 25 il grammo; i sottoprodotti dell’uranio ceduto saranno trattati sotto controllo americano; figura giuridica: vendita, ma con tali riserve, da divenire un contratto sui generis.

b) Condizioni dell’offerta che interessano direttamente l’attività O.E.C.E.: l’offerta può essere fatta bilateralmente e per progetti determinati, oppure multilateralmente. La legge lascia in questo all’amministrazione U.S.A. libertà di azione: può quindi trattare, con accordi bilaterali o multilaterali, con paesi singoli o con gruppi di paesi. Soltanto quando il Comitato direttivo sarà istituito e il suo mandato precisato, potrà vedersi il ruolo che potrà svolgere nelle negoziazioni dei paesi membri. A questo riguardo la missione O.E.C.E. ha ritenuto di chiarire un malinteso esistente, sembra, da parte americana, nel senso di interporre l’O.E.C.E. tra i paesi membri e i paesi terzi, secondo la formula C.E.C.A. Non è questa la formula prevista; poteri del Comitato direttivo limitati, forma di azione comune non ancora ben definita, desiderio di non intaccare le sovranità nazionali inducono a escludere che l’organizzazione O.E.C.E. nel settore nucleare possa agire con propria individualità nei confronti dei paesi terzi.

Gli inviati dell’O.E.C.E. hanno ritenuto opportuno porre alle Autorità competenti americane dei quesiti.

Il progetto O.E.C.E. di controllo di sicurezza è ritenuto soddisfacente? E vi è la possibilità di riconoscere un sistema europeo di controllo suscettibile di potersi sostituire al controllo previsto negli accordi bilaterali? La risposta è stata piuttosto sfumata e non impegnativa. Mentre, da un punto di vista teorico, è riconosciuto che il sistema di controllo O.E.C.E. è in armonia con quello previsto per l’A.A.I., e anzi, in alcuni aspetti ancora più stretto (e d’altra parte un controllo totale non è prescritto dalla legislazione americana), si desidera tuttavia riservare un «placit» ufficiale a dopo l’istituzione del Comitato direttivo e alla constatazione delle disposizioni che esso adotterà in concreto per il funzionamento del controllo. Comunque nulla si oppone all’entrata in funzione di un sistema O.E.C.E. di controllo anche prima che giungano a conclusione i lavori in altre sedi (in particolare i lavori per l’Agenzia internazionale).

Infine, Huet ha ricordato che, durante i vari contatti avuti, i due inviati dell’O.E.C.E. hanno chiarito quali dovrebbero essere le funzioni del Comitato direttivo per l’energia nucleare previsto dall’O.E.C.E. Si tratterebbe sopratutto di creare un organo che avrebbe il compito di coordinare i programmi e le politiche nucleari dei paesi O.E.C.E., senza tuttavia sostituirsi a quelli che possono essere le politiche e gli interessi nazionali dei singoli paesi componenti. Al Comitato direttivo dovrebbero partecipare separatamente i sei paesi che faranno parte dell’Euratom, ed inoltre un rappresentante dello stesso Euratom. Ciò dovrebbe garantire uno stretto contatto tra le due iniziative, non incompatibili, ma parallele.


1 Diretto per conoscenza ai Ministeri del Bilancio, Industria e Commercio e Commercio Estero, al Comitato Nazionale delle Ricerche Nucleari e alle Ambasciate a Washington, Londra, Parigi, Bonn e Bruxelles.


2 Non pubblicato. Il riferimento è per tutti tranne Washington, Londra, Bonn e Bruxelles.


3 Vedi D. 187.

184

IL CAPO DELLA DELEGAZIONEPRESSO IL COMITATO INTERGOVERNATIVO DI BRUXELLES, BENVENUTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 12934/1391. Bruxelles, 27 giugno 1956, ore 17 (perv. ore 18,15).

Oggetto: Lavori Conferenza Bruxelles.

Capi delle Delegazioni Conferenza Bruxelles hanno concordato ieri programma ed organizzazione lavori. Sono stati istituiti Comitati per Mercato Comune, presieduto da tedesco von der Groeben e per Euratom, presieduto da francese Guillaumot, nonché Comitato per redazione e coordinamento testi alla cui presidenza è stato chiamato Ducci. Lavori verranno sospesi 21 luglio e ripresi 4 settembre. Capi delle Delegazioni si riuniranno 10 luglio. È prevista per seconda metà settembre riunione Ministri per discutere utilizzazioni militari energia nucleare e problema territori oltremare (che non verrà quindi per ora affrontato da esperti).


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.

185

IL CAPO DELL’UFFICIO IVDELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 13029/1411. Bruxelles, 28 giugno 1956, ore 17,08 (perv. ore 17,50).

Oggetto: Lavori Gruppo Mercato Comune.

Oggi Gruppo Mercato Comune, iniziando lavori ha stabilito continuare lavori fino giovedì 28 e riprenderli martedì 10 ore 17, continuando fino giovedì 12 solo mattinata.

Sospensione lavori settimana ventura dovuta richiesta Delegazione francese per dibattito politica estera che avrà luogo 5-6 luglio a Camera francese su problema Euratom e Mercato Comune.

Da discussione, iniziatasi su meccanismo abolizione dazi e restrizioni quantitative e rimasta di carattere generale, non sono emersi problemi particolare importanza, salvo richiesta francese inserire in meccanismo tappa per abolizione barriere predette anche tappa armonizzazione oneri sociali. È stato deciso riprendere in esame, probabilmente martedì 10, su esposto questionario francese in vista eventuale creazione Sottogruppo tecnico per esame comparativo situazione di fatto sei paesi.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.

186

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

Appunto riservatissimo1.

I

APPUNTO SULLE CONVERSAZIONI POLITICHE ITALO-TEDESCHE AVVENUTE A ROMATRA IL 1° ED IL 4 LUGLIO 1956 IN OCCASIONE DELLA VISITA DEL CANCELLIEREDELLA REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA, ADENAUER, E DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, VON BRENTANO, AL GOVERNO ITALIANO

Nel corso delle conversazioni, avvenute in parte alla Presidenza del Consiglio ed in parte nella sede del Ministero degli Affari Esteri a Palazzo Chigi ed alle quali hanno partecipato da un lato il Presidente del Consiglio On. Segni, il Vice Presidente On. Saragat, il Ministro degli Affari Esteri On. Martino con alcuni dei principali loro collaboratori, e dall’altro il Cancelliere Adenauer, il Ministro von Brentano con alcuni dei principali dirigenti del Ministero degli Esteri di Bonn, sono stati toccati i seguenti argomenti:

1) Problema della riunificazione tedesca e dei rapporti fra Est ed Ovest.

Da parte tedesca (Adenauer) si è posto innanzi tutto in rilievo come il problema della riunificazione sia da una parte sempre più in Germania di interesse e di significato nazionali e dall’altra costituisca una questione di grande importanza internazionale. Evidentemente l’attuale stato di cose non può durare indefinitamente senza che si creino per la Germania Occidentale, con un accrescimento della pressione e dell’influenza sovietica, grossi pericoli, che potrebbero avere gravi ripercussioni anche in Francia e in Italia. Una mancata soluzione del problema porterebbe gradatamente ad uno spostamento dell’equilibrio europeo ed al tempo stesso condurrebbe gli Stati Uniti verso uno stato d’animo di delusione con conseguenze atte a rinforzare quanti in America appaiono propensi a ritirarsi dalla trattazione dei problemi dell’Europa. Occorre non dimenticare che i russi si trovano praticamente sulla linea dell’Elba ed appaiono decisi a rimanervi mentre viceversa difficile è prevedere fino a quando gli occidentali potranno contare su un effettivo aiuto americano. I popoli europei non possono quindi non avere un vivo interesse alla riunificazione ed in tale direzione occorre operare.

I russi evidentemente nutrono progetti molto lontani nel tempo. Non per nulla Kruscev ha detto recentemente al Presidente del Consiglio di Francia, Signor Mollet, e questi lo ha ripetuto, al Lussemburgo, al Cancelliere Adenauer, che da parte sovietica addirittura si preferisce avere in mano 20 milioni di tedeschi che vedere una Germania riunificata anche se in posizione di neutralità.

Ciò detto, occorre al tempo stesso non perdere di vista come la Russia sia attualmente in posizione interna ed internazionale non facile sia a causa di gravi problemi economici, sia per evidenti conflitti tra le forze che dirigono il paese, sia infine per i dubbi che non possono non esistere nei confronti degli sviluppi e delle pretese della Cina di Pechino. I lavori del recente Congresso di Mosca hanno ampiamente dimostrato l’esistenza di una tensione interna. Sarebbe quindi molto ingenuo un atteggiamento di paesi europei occidentali che, dopo aver compiuto grandi sforzi per la creazione di una serie di organizzazioni internazionali protettive ed integrative, quali la N.A.T.O., la C.E.C.A., l’U.E.O., ecc., decidessero un giorno di rinunciare alla politica fino ad oggi seguita soltanto perché convinti che l’Unione Sovietica pretende di avere cambiato faccia. La verità è che la Russia non vuole l’unione dei paesi occidentali e farà di tutto per raggiungere una loro divisione ed una loro disgregazione. Naturalmente è non facile ed alquanto pesante mantenere i paesi dell’Occidente in un eterno stato di difesa, ma questa è oggi la strada necessaria. Nella Repubblica Federale, del resto, ci si rende conto di tutto ciò e proprio in queste ultime settimane il Bundestag ha approvato con 80 voti di maggioranza la politica del Governo, il quale nutre fiducia di poter vincere le elezioni che avranno luogo nel prossimo anno 1957 nel territorio federale.

Da parte italiana (Ministro Martino) si concorda nel pensiero che il problema della riunificazione sia di carattere internazionale, per non dire addirittura, per certe sue rifrazioni su tutti i principali paesi europei, sopranazionale e destinato ad avere influenza decisiva ai fini della vera pace in Europa e nel mondo. In Italia si è sempre giustamente sostenuto la tesi che è impossibile parlare di effettiva e profonda distensione senza il raggiungimento di soluzioni nei problemi esistenti, primo tra i quali deve essere considerato quello della riunificazione tedesca. A Roma quindi si è convinti della necessità di iniziare qualche movimento e qualche azione nei confronti delle opinioni pubbliche di tutto l’Occidente che appaiono oggi non poco turbate dall’assenza di qualsiasi iniziativa. Questa immobilità è destinata a far credere a parecchi che in realtà il problema della divisione della Germania abbia perduto la sua primitiva per non dire decisiva importanza: e tutto ciò è molto pericoloso.

Recentemente, ad esempio, a Nuova Delhi gli italiani sono stati non poco colpiti nel constatare come il Primo Ministro indiano, Signor Nehru, abbia dato prova di scarso interesse per la riunificazione tedesca indicando come, in fondo, attualmente anche la Corea e l’Indocina siano divise, senza che per questo debbano rinnovarsi gravi crisi internazionali. Evidentemente in Asia non ci si rende conto di cosa rappresenti in Europa la mancata riunificazione tedesca. Circa questo problema occorre meditare sul fatto che tutte le volte che si è tentato di convincere i sovietici del loro dovere di accettare l’effettuazione di elezioni libere in Germania, essi si sono limitati a rispondere che oggi esistono due Germanie e che quindi, innanzi tutto, i due Governi tedeschi devono mettersi d’accordo tra loro: affermazione che, del resto, appare anche nella recente lettera di Bulganin sul disarmo allorché vi si dichiara che non è colpa della Russia se oggi esistono due Germanie. Spetterebbe, cioè – dicono i russi – a quei due popoli tedeschi di prendere accordi tra di loro ed un tale concetto esercita una certa suggestione nei confronti di talune opinioni pubbliche. In tali condizioni occorrerebbe apertamente dichiarare come l’autodecisione spetti non ai Governi ma ai popoli e conviene quindi studiare i mezzi per dare ai popoli stessi il mezzo per esercitare quel diritto. Se ciò è esatto, si potrebbe pensare alle Nazioni Unite, le quali hanno proprio, quale base solenne della loro azione, il riconoscimento dell’autodecisione. Si potrebbe, cioè, chiedere alle Nazioni Unite di farsi promotrici dell’organizzazione di un plebiscito nelle due Germanie per conoscere dall’intero popolo tedesco se esso voglia effettivamente la riunificazione del paese attraverso libere elezioni. Con una tale iniziativa l’Unione Sovietica sarebbe messa quanto meno in difficoltà dato che anche essa pretende di essere paladina del diritto di autodecisione: diritto che inoltre si trova, del resto, anche a base della politica dei «cinque punti» patrocinata dal Primo Ministro indiano Nehru. Il Governo di Mosca, in altre parole, non potrebbe assumere un atteggiamento contrario all’iniziativa stessa perché altrimenti negherebbe le sue asserzioni fino ad oggi ripetute, ed inoltre perderebbe l’appoggio dei paesi afro-asiatici di Bandung che dell’autodecisione hanno fatto una forte arma di propaganda contro il cosiddetto imperialismo coloniale.

Ciò detto – si è concluso da parte italiana – troverebbe oggi il Governo Federale Tedesco utile e producente una tale iniziativa dato anche che esso conosce, meglio di ogni altro, lo spirito attualmente esistente nella Germania Orientale? Naturalmente se vi fossero dubbi sul successo dell’iniziativa stessa questa potrebbe subire le opportune modifiche.

Da parte tedesca (Cancelliere Adenauer e Ministro von Brentano) si è risposto che certamente un plebiscito del tipo di quello proposto darebbe, in seno alle popolazioni della Germania Orientale, risultati favorevoli. Occorre, innanzi tutto, ricordare come l’art. 107 della Carta delle Nazioni Unite imponga alle maggiori potenze vincitrici la responsabilità di trattare e risolvere le questioni della Germania e come i quattro Stati vincitori abbiano assunto direttamente l’impegno di risolvere il problema tedesco. Sarebbe quindi un errore permettere che quei paesi si liberassero di colpo da tali impegni e da tali responsabilità. Occorre inoltre non perdere di vista il fatto che nel 1956 avremo le elezioni americane mentre nel 1957 si svolgeranno quelle della Repubblica Federale, elezioni queste ultime che, come appare da più sintomi, sembrano aver creato nel Governo di Mosca l’illusione di veder giungere al potere elementi dell’opposizione tedesca capaci di dare un diverso avviamento alla politica di Bonn. Tutto ciò porta a ritenere maggiormente opportuno il rimanere nelle posizioni attuali senza improvvise e grandi iniziative che potrebbero condurre a squilibri ed impostazioni non desiderate.

Il noto insistente accenno sovietico, giustamente ricordato da parte italiana, all’esistenza di due Governi tedeschi non è genuino e non è sincero perché in realtà i russi hanno chiaramente indicato tanto nelle loro conversazioni con gli inglesi a Londra quanto in quelle con i francesi a Mosca che essi non sarebbero disposti ad accettare senz’altro e riconoscere un accordo tra le due Germanie ma soltanto lo svolgimento di negoziati: e ciò perché, secondo Mosca, quei due Governi in realtà non sarebbero competenti a decidere delle loro sorti.

Naturalmente quell’immobilismo, di cui si è fatto parola da parte italiana, non può essere eterno, e per tale ragione il Governo tedesco sta preparando una nota, da dirigersi ai quattro paesi responsabili, in merito alla necessità di una risoluzione del problema della riunificazione. Quanto all’eventuale azione ed all’eventuale intervento delle Nazioni Unite, l’Ambasciatore tedesco von Eckardt, fino ad ora Osservatore del Governo di Bonn a New York, ha provveduto alla compilazione di un largo studio inteso a considerare le possibilità e le varie forme per un inserimento del problema tedesco nel quadro dell’attività delle Nazioni Unite. Ma, in realtà, occorre ripetere come sia opportuno non creare nuove situazioni che potrebbero portare al disinteresse e sopratutto alla liberazione dei quattro paesi vincitori dai loro impegni e dalle loro responsabilità nei confronti del problema tedesco. Altro punto, infine, da chiarire prima di qualsiasi iniziativa, è l’incidenza del problema della Germania da [sic] quello della sicurezza.

In conclusione, da parte tedesca si è grati verso il Governo italiano per le idee da esso esposte, ma lo si prega per il momento di soprassedere nei riguardi di iniziative verso le Nazioni Unite. Naturalmente il Governo di Bonn si consulterà, nel prossimo avvenire, innanzi tutto con quello di Roma in merito agli sviluppi della situazione.

Circa, sempre, le responsabilità delle quattro potenze è bene inoltre ricordare come esse mantengano tuttora nel territorio tedesco, con l’esistenza e l’attività di loro speciali missioni, una certa autorità ed una certa influenza e ciò si verifica sopratutto nella situazione esistente a Berlino. Del resto, una tale posizione è stata rievocata ed affermata anche nel corso delle recenti Conferenze di Ginevra. Pare inoltre utile ricordare come sarebbe ben controproducente per il Governo di Bonn prendere contatto con quello di Pankow dato che può calcolarsi ancora oggi che per lo meno 300 mila profughi, in buona parte in giovane età, si trasferiscono annualmente da Est ad Ovest per trovare riparo e libertà nel territorio della Repubblica Federale. Guai se si desse a quelle popolazioni l’impressione che tutto ciò è stato inutile. I russi, si ripete, sperano di vedere formarsi una maggioranza socialista al Bundestag nelle prossime elezioni proprio per cercare di influenzarle in tale campo, ma le prospettive del Governo sono per un rinnovato suo successo.

Tutto ciò non toglie che, proprio ai fini anche di fornire buoni elementi alle opinioni pubbliche in Germania ed in tutta l’Europa Occidentale, ci si debba incamminare verso qualche realizzazione. Molto utile, a tale scopo, deve apparire la proposta avanzata proprio poche settimane or sono da un deputato democristiano di Berlino, il quale ha proposto che sia colà organizzata una libera elezione che potrebbe servire quale «test case» per tutta la Germania. In quel caso i russi non potrebbero certo pretendere che quelle elezioni comprometterebbero [sic] la sicurezza nell’Europa Centrale. In conclusione, quindi, l’atteggiamento di riserva tedesco di fronte alla proposta iniziativa italiana non vuol dire che nel 1957 o anche prima non possano prendersi opportune misure per rompere l’immobilismo: ma occorre una grande preparazione. Si ritornerà comunque su questo problema.

Da parte italiana (Presidente Segni) si conferma che verrà mantenuto uno stretto contatto con il Governo di Bonn proprio allo scopo che non debbano verificarsi iniziative che possano risultare poco adatte. La visita del Cancelliere Adenauer al Governo di Roma, che segue, dopo pochi mesi, quella fatta dal Governo italiano a Bonn nello scorso febbraio2, sta appunto a dimostrare lo stretto collegamento esistente tra i due Governi nei confronti degli importanti avvenimenti che si vanno verificando e di cui le ultime battute sono state la lettera di Bulganin sul disarmo e gli avvenimenti verificatisi a Poznan3. Su questi ultimi fatti siamo ora in attesa di conoscere le notizie e le impressioni che verranno riferite dagli espositori italiani a quella Fiera, i quali devono avere assistito di persona allo svolgimento degli avvenimenti. In tali condizioni sarà opportuno anche mantenere un contatto in merito alle iniziative sovietiche per l’intensificazione di viaggi e scambi turistici, scientifici, artistici, ecc.

Da parte tedesca (Cancelliere Adenauer) si riferisce un significativo episodio relativo ai metodi ed ai mezzi usati dai sovietici per propagandare i pretesi risultati della loro economia. Proprio in questi giorni è stato riferito che le statistiche riportate in taluni volumi ufficiali sovietici sono state riscontrate come ben poco esatte e la conseguenza è stata che quei libri, in occasione di incontri tra competenti, sono stati accuratamente ritirati. Del resto lo stesso Malenkov ebbe a dire a Mosca che talune idee di Kruscev in merito agli sviluppi di certe branche dell’economia appartengono al campo della pura fantasia.

2) Viaggio del Presidente Adenauer negli Stati Uniti.

Da parte tedesca (Adenauer), nel ricordare come il viaggio del Cancelliere avesse un particolare carattere accademico in quanto che esso doveva sopratutto consistere in visite ad Università americane, si è aggiunto come esso abbia però dato luogo ad interessanti contatti. Da essi è apparso in modo chiaro come gli ambienti dirigenti e responsabili americani siano tuttora propensi a mantenere uno stretto contatto con l’Europa Occidentale e come in America gli sviluppi degli atteggiamenti sovietici siano considerati con circospezione non apparendo essi definitivi. Il Cancelliere Adenauer, che ha avuto occasione di parlare dinanzi a vaste Assemblee in vari Stati americani e che ha avuto relazioni dirette con importanti elementi della vita politica e del giornalismo americano, a cominciare da Harriman e da Sulzberger, ha tratto l’impressione che su quella valutazione ed in generale su tutta la politica nei confronti dell’Unione Sovietica, concordino tanto i repubblicani quanto i democratici. Circa il Presidente Eisenhower, le sue condizioni attuali di salute appaiono effettivamente in fase di grande miglioria ed una prova si è avuta anche nel constatare la serenità e la fiducia della Signora Eisenhower.

Circa le elezioni si può dire che molta attenzione viene dedicata alla figura del Vice Presidente Nixon, il quale, pur in giovane età, possiede indubbie qualità di chiarezza e di decisione. Interessante, a tale proposito, è stata la dichiarazione da lui fatta in questi giorni a Manilla, intesa a porre in rilievo la poca simpatia americana per taluni atteggiamenti dei paesi cosidetti «neutralisti». Non si deve infine credere ai pretesi dissensi che esisterebbero tra il Presidente Eisenhower ed il Segretario di Stato Foster Dulles.

Da parte italiana (Vice Presidente Saragat) nel riprendere l’argomento degli atteggiamenti degli Stati neutralisti e particolarmente della Jugoslavia, si fa presente come, secondo informazioni anche di recente e direttamente ricevute, il Maresciallo Tito sarebbe fermo nelle sue posizioni. In realtà, e ciò è stato detto allo stesso Tito, se la Russia sparisse la Jugoslavia resterebbe, ma se gli Stati Uniti dovessero cadere, la Jugoslavia ne seguirebbe la sorte.

3) Attività del Comitato dei Tre Ministri della N.A.T.O.

Da parte italiana (Ministro Martino) sono state date le opportune notizie relative all’attività. ed al programma di lavoro del Comitato dei Tre Ministri incaricati dal Consiglio Atlantico di provvedere al riadattamento dell’Alleanza nei settori non militari e, da parte tedesca, è stato consegnato un primo documento contenente alcune idee in merito ai futuri sviluppi di un tale avviamento4.

4) Ci si è trovati infine d’accordo sull’opportunità di dare sviluppo e precisione al comunicato conclusivo5 della visita, con particolare riguardo ai temi dell’integrazione europea, dei lavori per un accordo generale sul disarmo capace di dare effettive garanzie di sicurezza attraverso l’instaurazione di efficaci controlli, ed infine sul fatto che la riunificazione della Germania costituisce una premessa necessaria per una distensione duratura e per una vera pace in Europa e nel mondo e che di conseguenza la politica delle Nazioni Occidentali nei confronti dell’Unione Sovietica deve essere costantemente rivolta a tale scopo.

Si è poi passati alla discussione degli importanti argomenti di carattere economico.

II

APPUNTO SULLE CONVERSAZIONI DI CARATTERE ECONOMICO ITALO-TEDESCHEAVVENUTE A ROMA FRA IL 1° ED IL 4 LUGLIO 1956IN OCCASIONE DELLA VISITA DEL CANCELLIEREDELLA REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA, ADENAUERE DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, VON BRENTANO, AL GOVERNO ITALIANO

Parallelamente alle discussioni di natura politica che si sono svolte a Roma in occasione della visita del Cancelliere e del Ministro degli Esteri della Repubblica Federale Tedesca, hanno avuto luogo delle conversazioni di carattere economico i cui risultati sono stati concordati nel Protocollo Confidenziale che si allega. Si ritiene opportuno dare qui di seguito un breve riassunto di tali conversazioni:

1. Contributo italiano al riarmo tedesco.

Da parte italiana è stato ribadito il vivo interesse che si annette alla più larga possibile partecipazione dell’industria italiana al riarmo tedesco. Sono stata ricordate le precedenti conversazioni già avute in proposito ad alto livello e si è riaffermata la nostra aspettativa di ottenere non solo parità con gli altri fornitori, ma un trattamento di particolare favore in vista delle esigenze dell’economia italiana. Da parte tedesca è stato annunciato che è stata adottata la decisione di procedere agli acquisti di armi senza passare attraverso organi internazionali e ciò per economia di tempo e sono stati già redatti dei piani di acquisto nel quadro dei quali si è tenuto conto delle esigenze e delle possibilità dell’industria italiana, non solo nel campo dell’equipaggiamento aereo ma in ogni genere di equipaggiamento militare.

Da parte nostra si è infine proposto di portare in qualche modo la questione sul piano politico mediante una dichiarazione di una Autorità politica (Cancelliere, Ministro degli Esteri) che contenga un’assicurazione nel senso che nessuna discriminazione verrà operata in danno dell’Italia in tema di forniture militari.

(Assicurazioni più precise sono state date, in colloquio riservato, dal Ministro von Brentano a S.E. il Ministro Martino).

2. Trattato di amicizia, commercio e navigazione.

Si è dato atto alla Delegazione tedesca che le Autorità italiane hanno già terminato l’esame del progetto di Trattato di amicizia, commercio e navigazione sottoposto da parte tedesca e si è rimasti d’accordo di iniziare al più presto i negoziati fra due Delegazioni ad hoc, lasciando tuttavia aperta la questione della sede di tali trattative6.

3. Accordo di traffico aereo.

Quanto all’Accordo di traffico aereo si è deciso di fissare l’inizio delle trattative al 24 settembre p.v.

4. Cooperazione economica italo-tedesca ed investimenti tedeschi in Italia.

Da parte tedesca si è dichiarato che il Governo germanico non frappone alcun ostacolo agli investimenti all’estero, ma si è aggiunto che di fatto esistono difficoltà derivanti dalle condizioni del mercato tedesco dei capitali e dalle misure che il Governo tedesco è stato costretto a prendere per evitare minacce di inflazione. Si è dichiarato peraltro da parte tedesca che quel Governo vede con particolare favore gli investimenti in Italia, che esso ritiene un importante elemento della collaborazione economica fra i due paesi. Si è comunque sottolineato da parte tedesca che l’industria tedesca già in una certa misura partecipa a tale corrente di investimenti avvalendosi della Exportkreditversicherung.

Si è espressa inoltre la convinzione che tale corrente aumenterà di volume a mano mano che l’industria tedesca prenderà coscienza delle possibilità italiane e delle facilitazioni esistenti in Germania e in Italia. Si è deciso quindi di costituire un Comitato italo-tedesco di cooperazione economica che si comporrà oltre che di Rappresentanti dei Governi dei due paesi anche di personalità del mondo economico (vedansi in proposito i par. 2, 3 e 4 dell’annesso Protocollo Confidenziale).

5. Contenzioso finanziario italo-tedesco.

È stato sollevato da parte nostra il complesso di questioni che vanno sotto il nome di contenzioso italo-tedesco e che sorgono dall’interpretazione dell’art. 77 par. 4 del Trattato di Pace tra l’Italia e gli Alleati.

Si è data conoscenza agli interlocutori tedeschi che in data 5 luglio corrente anno sarebbe stato firmato un Accordo tra l’Italia e i tre Alleati Occidentali relativo alla questione dei vecchi marchi di fabbrica tedeschi in Italia.

Come è noto, si è sempre molto insistito da parte germanica per giungere ad un regolamento della questione dei vecchi marchi di fabbrica tedeschi in Italia, facendo di ciò una condizione per la soddisfazione delle nostre richieste di carattere finanziario. Ma fino ad ora non si era potuto entrare in conversazioni con i tedeschi perché non avevamo facoltà di disposizione in tale materia.

Si è quindi discusso sull’opportunità di affidare la trattazione di tale complesso di questioni ad una speciale Sottocommissione del Comitato misto di cooperazione economica o piuttosto di creare un Comitato intergovernativo ad hoc: si è deciso, tenuto conto della delicatezza delle questioni, di procedere alla nomina di una Commissione ad hoc.

Da parte tedesca si è sottolineato come una soluzione soddisfacente della questione dei vecchi marchi tedeschi in Italia sia altamente desiderabile in funzione della cooperazione economica italo-tedesca perché il problema tocca direttamente gli interessi dei commercianti e industriali.

Per quanto concerne le rivendicazioni italiane si è tenuto a sottolineare, da parte tedesca, come un ostacolo ad una soddisfazione integrale di tali richieste sia costituito dall’art. 5 par. 4 dell’Accordo di Londra sui debiti tedeschi, il quale, come noto, rinvia alle stipulazioni dei vari Trattati di Pace, circa la sorte dei crediti verso la Germania o verso cittadini tedeschi di Stati che erano alleati alla Germania al settembre 1939 e dei cittadini di questi Stati.

Tale articolo, secondo i tedeschi, costituisce una garanzia, tanto per la Germania quanto per i suoi creditori, che non verrà sollevato nella sua interezza il problema delle riparazioni tedesche.

Da parte nostra si è osservato che il contenuto dell’art. 5 dell’Accordo di Londra non era in questione, ma si trattava per noi soltanto di interpretare secondo giustizia ed equità la reale portata ed i limiti dell’art. 77 par. 4 del Trattato di Pace. Da parte nostra si è inoltre vivamente insistito perché la questione dei marchi e delle proprietà tedesche in Italia e quella delle rivendicazioni italiane, in base all’art. 77 par. 4, siano trattate congiuntamente.

Da parte tedesca si è opposto: 1) che la questione dei marchi è già matura per una discussione; 2) che tale problema è stato sempre trattato separatamente e 3) che esso è di fondamentale importanza, per l’industria tedesca nonché per le relazioni economiche tra i due paesi, mentre le rivendicazioni italiane avrebbero un carattere morale ed umanitario più che giuridico.

Di fronte alle vive insistenze tedesche e anche tenuto conto del fatto non sono state risolte con gli Alleati le questioni dei beni tedeschi in Italia, si è giunti ad una soluzione di compromesso tra la tesi tedesca e quella italiana, soluzione consacrata nel secondo alinea del par. 7 del Protocollo Confidenziale il quale stipula che la Commissione mista «ad hoc» potrà iniziare i suoi lavori con l’esame delle questioni connesse con i marchi di fabbrica tedeschi e che su tale questione, e non appena possibile, sulle altre, dovrà proporre ai Governi le soluzioni che riterrà più appropriate.

È risultato comunque chiaro dalla discussione che qualunque sia per essere l’ordine dei lavori della Commissione «ad hoc» non vi è alcun impegno da parte nostra ad adottare soluzioni separate delle varie questioni.

Ciò è stato del resto esplicitamente riconosciuto da parte della Delegazione tedesca la quale ha dichiarato di non avere l’intenzione di consacrare un impegno da parte italiana di dare corso ad un regolamento del problema dei marchi di fabbrica isolandolo dal complesso delle varie questioni.

Infine, nelle conversazioni a livello Ministri che si sono svolte alla fine dei negoziati è stato assicurato come l’insieme delle questioni della cooperazione economica italo-tedesca venga seguito con la massima attenzione del Governo Federale, il quale avrebbe allo studio altre iniziative in nostro favore oltre quelle esposte nel Protocollo confidenziale.

P.S.: Si acclude il testo del Protocollo confidenziale firmato il 4 luglio dai Ministri degli Esteri.

Allegato

Roma, 4 luglio 1956.

PROTOCOLLO CONFIDENZIALE

In occasione della visita a Roma del Cancelliere della Repubblica Federale di Germania dott. Adenauer e del Ministro degli Affari Esteri dott. von Brentano, i due Governi hanno esaminato in ogni loro aspetto tutte le questioni di mutuo interesse attinenti alla cooperazione economica europea ed in particolare hanno approfondito l’esame dell’insieme dei rapporti economici italo-tedeschi.

Essi hanno riconosciuto che una più stretta collaborazione economica è non solo interesse dei due paesi ma interesse generale dell’Europa e che tale cooperazione rappresenta un forte contributo agli sforzi per una integrazione economica dell’Europa.

1) I due Governi hanno pertanto convenuto di costituire un Comitato italo-tedesco di cooperazione economica, nel quale dovranno essere chiamati, oltre a rappresentanti dei Governi dei due paesi, anche personalità del mondo economico.

Il Comitato avrà per mandato di trattare tutte le questioni della cooperazione economica tra il Governo Federale e l’Italia con particolare riguardo ai piani italiani di sviluppo.

Compito principale del Comitato sarà quello di incoraggiare ogni iniziativa privata e di promuovere ogni possibile forma di collaborazione tra le due economie, ed a questo scopo esso assicurerà un reciproco costante scambio di informazioni e sottoporrà proposte ai due Governi.

Il Comitato potrà valersi della collaborazione delle persone che esso giudicherà le meglio qualificate in vista dell’espletamento dei suoi compiti.

I due Governi potranno di comune accordo investire il Comitato, eventualmente in seguito a sua proposta, di ogni altro compito utile ai fini della collaborazione economica tra i due paesi.

2) I due Governi hanno di nuovo sottolineato che i piani di sviluppo italiani costituiscono un problema di interesse non soltanto italiano ma di interesse generale europeo.

Il Governo Federale si adopererà pertanto per la più larga possibile collaborazione dell’economia tedesca al programma di sviluppo italiano.

A questo fine il Governo federale si è dichiarato pronto a mettere a disposizione i mezzi necessari perché un certo numero di giovani apprendisti italiani possa completare in Germania la sua istruzione professionale, e a finanziare la creazione, nel Mezzogiorno d’Italia, di due officine-scuola destinate a favorire l’istruzione professionale. Il Governo Federale metterà inoltre a disposizione fondi per la preparazione e l’elaborazione di progetti nel quadro dei piani italiani di sviluppo economico.

3) I due Governi hanno riconosciuto ancora una volta la importanza dell’impiego di manodopera italiana in Germania nell’interesse delle due economie che considerano un ulteriore passo verso la realizzazione del Mercato Comune in Europa anche nel campo della libera mobilità della mano d’opera.

4) Basandosi sul principio della libera concorrenza che ispira la loro politica economica, i due Governi annettono particolare importanza a una attività comune della economia europea su terzi mercati. Essi accorderanno pertanto il loro appoggio particolare agli sforzi che verranno fatti in tal senso.

5) I due Governi si sono dichiarati d’accordo di iniziare prossimamente negoziati per la sollecita conclusione del Trattato di Amicizia, Commercio e Navigazione il cui progetto era stato consegnato al Presidente del Consiglio e al Ministero degli Affari Esteri italiani in occasione della loro visita a Bonn nel febbraio u.s.

6) I due Governi hanno stabilito che il 24 settembre p.v. avranno inizio in Roma i negoziati per la conclusione di un Accordo di traffico aereo tra i due paesi.

7) Il Governo italiano ha comunicato che il 5 luglio p.v. esso firmerà un Accordo con i Governi del Regno Unito, degli Stati Uniti d’America e della Francia in merito ai marchi di fabbrica tedeschi e che quanto prima esso conta di raggiungere intese con gli stessi Governi in merito ai beni tedeschi in Italia.

In vista di quanto precede è stato convenuto che le questioni di cui sopra nonché quelle di cui alla Nota Verbale n. 42/04880/168 diretta dal Ministero degli Affari Esteri italiano all’Ambasciata germanica in Roma in data 25 marzo 1956 vengano esaminate nel settembre p.v. da una apposita Commissione mista. Questa potrà iniziare i suoi lavori con l’esame delle questioni connesse con i marchi di fabbrica tedeschi e su tale questione, e – non appena possibile – sulle altre ad esse demandate, dovrà proporre ai due Governi le soluzioni che riterrà più appropriate.

Il Governo italiano ha infine assicurato che, nel frattempo, esso non prenderà l’iniziativa di alcuna misura che possa pregiudicare la posizione attuale dei beni tedeschi in Italia.

Fatto a Roma in quattro esemplari di cui due in lingua italiana e due in lingua tedesca e entrambi i testi facendo fede.

Per il Governodella Repubblica Federaledi GermaniaF.to Von Brentano

Per il Governodella Repubblica ItalianaF.to Martino


1 La prima parte del presente documento è datata Roma, 5 luglio; la seconda Roma, 6 luglio.


2 Vedi DD. 126 e 135


3 Il 28 giugno 1956 a Poznan, in Polonia, si erano verificati sanguinosi moti operai in opposizione al Governo comunista.


4 Ci si riferisce al Comitato dei tre saggi (Halvard Lange per la Norvegia, Lester B. Pearson per il Canada e Gaetano Martino per l’Italia) che avrebbe dovuto studiare i possibili sviluppi dell’Alleanza atlantica sul piano della collaborazione politica.


5 Ed. in «Relazioni Internazionali», a. XX (1956), n. 28, p. 866.


6 Vedi D. 135, nota 4.

187

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., COSMELLI,ALLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI,UFFICI IV E VII

Telespr. 2994/2241. Parigi, 2 luglio 1956.

Oggetto: Comitato Speciale Energia Nucleare. Terza sessione.

Riferimento: Telespresso di questa Rappresentanza n. 2699/2007 del 15 giugno u.s.2.

1) La terza sessione del Comitato Speciale Energia Nucleare si è svolta, come preannunciato, nei giorni 28 e 29 giugno u.s.

Scopo della sessione era di mettere a punto le proposte in materia di Energia Nucleare da sottoporre all’approvazione dei Ministri alla sessione del 17 e 18 luglio corr.3.

I lavori del Comitato sono stati presieduti dal Delegato greco, NICOLAIDES. Erano presenti, tra gli altri, CISLER, Presidente della Detroit Edison Co. e della Conferenza Internazionale per l’Utilizzazione Pacifica dell’Energia Nucleare; ROTHSCHILD, Capo di Gabinetto di Spaak; GUILLAUMAT e GOLDSCHMIT, rispettivamente Amministratore generale Delegato al Commissariato francese per l’Energia Atomica, e Direttore al medesimo Commissariato; HOW, Segretario del Dipartimento britannico dell’Energia Atomica; BRYN, Segretario di Stato al Ministero degli Esteri norvegese; ESCHAUZIER, Direttore degli Affari Politici al Ministero degli Esteri olandese; ULRICH, per il Portogallo, Presidente di quella Commissione dell’Energia Nucleare; BENNETT, Presidente della «Atomic Energy of Canada, Ltd.» e BABBITT del «National Canadian Research Council».

L’Italia è stata rappresentata dal Vice Direttore Generale degli Affari Economici DUCCI all’apertura della sessione, e dal Consigliere MANFREDI. Ha partecipato ai lavori anche l’Ing. TRIGONA, inviato dal Comitato Nazionale Ricerche Nucleari.

2) L’ordine del giorno prevedeva l’esame dei singoli rapporti o commenti preparati dai vari gruppi di lavoro sulle questioni di energia nucleare che il Comitato Speciale aveva ricevuto mandato di studiare.

Ricapitolandole, tali questioni sono: imprese comuni, controllo di sicurezza, commercio dei materiali nucleari, coordinamento delle legislazioni compresi i problemi dell’assicurazione; cooperazione nel campo dell’insegnamento, normalizzazione, creazione di un Comitato direttivo permanente dell’energia nucleare.

Doveva inoltre essere esaminato il progetto di rapporto riassuntivo che, sulla base dei risultati degli studi di cui sopra, il Comitato Speciale presenterà al Consiglio Ministeriale O.E.C.E. del 17/18 luglio corrente.

3) Il rapporto del Gruppo di lavoro n. 1 (imprese comuni) è stato approvato nel suo insieme.

Dai commenti e dalle dichiarazioni di vari paesi è risultato un generale interesse per la rapida messa allo studio di un impianto di separazione chimica dei materiali irradiati. A questo i 6 paesi di Messina aggiungono, come è noto, l’impianto di separazione isotopica dell’uranio, al quale anche la Svizzera e la Danimarca si sono dichiarate interessate. I Sei hanno fatto conoscere che nulla si opponeva a che altri paesi si unissero a loro. Anche per le centrali elettriche nucleari, per i reattori prototipi e i reattori sperimentali ad alto flusso un certo numero di paesi ha manifestato un interesse di principio, ma anche un generale consenso che questi ultimi progetti sollevano più serie difficoltà d’ordine giuridico, politico e sopratutto finanziario.

La Germania si è genericamente dichiarata «pronta a partecipare alle imprese comuni» senza peraltro indicare preferenze, né formulare proposte.

Poiché da parte di molti rappresentanti era stato fatto presente che una rapida ed efficace realizzazione di impianti comuni è condizionata dall’assistenza tecnica dei paesi più progrediti, il Regno Unito ha dichiarato d’essere disposto a fornire assistenza per la produzione di acqua pesante.

Il Canadà ha chiesto che sia esplicitamente prevista la possibilità dei paesi associati (Canadà e Stati Uniti) di partecipare a imprese comuni. Non che il Canadà abbia già deciso tale partecipazione ma, con approccio pragmatistico, il Governo canadese desidera riservarsi la possibilità di intervenire, qualora ciò dovesse essere di beneficio al Canadà stesso e agli altri paesi.

In conclusione, (e a questo riguardo si richiama il telegramma n. 215 in data 30 giugno)4, accogliendo una proposta svizzera si è convenuto di sottoporre all’approvazione del Consiglio Ministeriale un progetto di decisione che invita i paesi interessati a determinate imprese comuni – siano essi Membri o Associati – a formare «gruppi di studio» aventi il compito di precisare il quadro giuridico e finanziario di ciascuna di tali imprese.

Questi gruppi riguarderanno la separazione isotopica, la separazione chimica, l’acqua pesante e le centrali elettriche nucleari. Rimarranno invece per ora esclusi i reattori prototipi e di ricerca per i quali presupponendo essi la creazione di un centro comune di studio e di ricerche con conseguenti maggiori problemi d’ordine giuridico, finanziario, scientifico-tecnico e programmatico, sono necessari studi preliminari più approfonditi.

I sei paesi di Bruxelles hanno condiviso tale opinione e, in merito all’eventuale istituzione del centro comune di ricerche, hanno formulato una riserva generica per salvaguardare l’analogo progetto previsto in Euratom.

4) L’esame del rapporto sul controllo di sicurezza ha dato luogo a un dibattito acceso, a volte anche aspro. Si sono affrontati due punti di vista opposti: quello del gruppo dei Sei e quello degli altri paesi.

I Sei hanno sostenuto che il sistema di controllo proposto all’approvazione dei Ministri non sarebbe in pratica efficiente, perché parziale e limitato agli impieghi civili. È vero che il mandato ricevuto dal gruppo di lavoro n. 2 era limitato, e precisamente così formulato: «studiare le modalità tecniche d’un controllo di sicurezza avente per oggetto d’impedire le diversioni delle materie fissili: 1) che saranno messe in opera nelle imprese comuni o che saranno ottenute dalle precedenti; 2) che saranno ottenute dai paesi membri dell’Organizzazione nel quadro di accordi generali o bilaterali comportanti l’applicazione di questo controllo; 3) che i paesi membri giudicheranno opportuno sottoporre al controllo», ma è anche vero che lo studio in questa e in altre sedi ha dimostrato che il controllo, per essere efficace, deve essere «sans fissures», e cioè comprendere ogni materiale nucleare dalla sua origine fino alla fine della sua vita. Tale controllo non deve arrestarsi neppure davanti alla dichiarazione di un paese membro che un determinato materiale nucleare è di interesse per un proprio programma militare, così come invece avviene nel progetto di controllo O.E.C.E.

L’altro punto di vista è stato che il controllo O.E.C.E. è in armonia (e anzi in qualche punto ancora più stretto) con le disposizioni del progetto di statuto dell’Agenzia Atomica Internazionale, approvato dagli stessi americani. E poiché il meglio è nemico del bene, è stato osservato, non si dovrebbe rinunciare a mettere intanto alla prova quello che per il momento è il massimo che si possa ottenere. D’altra parte, ha osservato il rappresentante del Regno Unito, un controllo che si arresti di fronte ai programmi militari, non è del tutto negativo, in quanto rivela per lo meno 1’esistenza di tali programmi e ne impedisce pertanto la clandestinità.

Constatata l’impossibilità di un’approvazione unanime del progetto di rapporto, il Comitato ha, dopo lunghe discussioni, raggiunto una soluzione di compromesso, deliberando di presentare ai Ministri il rapporto con l’aggiunta di una riserva dei Sei, di cui si unisce il testo (all. 1)5 e che figurerà nella nota di copertura.

La discussione ha avuto il merito di mettere in chiaro alcuni principi di massima da tutti accettati:

1) il principio stesso che un controllo deve esistere;

2) che il controllo ha il preciso scopo di impedire la diversione a fini militari, e quindi non deve essere un pretesto per spionaggio economico e industriale;

3) che gli ispettori incaricati del controllo debbono sempre (e non possono) essere accompagnati da rappresentanti dello Stato ispezionato;

4) che deve esistere un organo giurisdizionale internazionale cui ricorrere contro abusi degli ispettori o dinieghi dei paesi all’opera degli ispettori stessi.

Infine il rappresentante tedesco, osservando che nel controllo previsto alcune clausole (che peraltro non ha saputo precisare) potrebbero essere in contrasto con norme costituzionali della Repubblica Federale, ha chiesto l’inscrizione a verbale di una riserva generale.

5) In materia di scambi dei materiali e attrezzature nucleari, il Comitato ha esaminato un progetto di decisione (all. 2)6 di cui sarà parte integrante una lista di materiali e attrezzature tuttora in corso di elaborazione.

Il progetto comprende due ordini di impegni: il primo (paragrafo 1 a 6) consiste nell’adozione di uno «standstill» assai vasto, comprendente non solo le restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione, il commercio di Stato e i diritti doganali, ma anche l’applicazione dei regolamenti in vigore al momento dell’adozione della decisione e la non applicabilità della clausola «bilancia dei pagamenti», qualora un paese ricorra a tale clausola per derogare agli obblighi del Codice della liberazione.

Si è provveduto alla salvaguardia degli interessi d’Euratom facendo includere, nonostante alcune vivaci opposizioni, nel paragrafo 3 del progetto di decisione anche i motivi d’interesse regionale oltre che nazionale, e le ragioni di sicurezza, tra quelli che possono giustificare una deroga allo standstill.

Come comunicato con il già citato telegramma, la lista dei materiali nucleari (doc. NE (56) 20 trasmesso con telespresso n. 2991/2238 del 30 giugno u.s.)2 deve ancora formare oggetto d’accordo che si tenterà di raggiungere nei prossimi giorni.

Essa infatti presenta, rispetto ai precedenti progetti, richieste di modifiche e soppressioni, sopratutto da parte francese, che non appaiono giustificabili.

Il secondo impegno (paragrafo 7) riguarda le misure di liberazione che dovranno essere messe allo studio, avendo come obiettivo la massima liberazione possibile degli scambi inter-europei dei prodotti interessanti l’industria dell’energia nucleare.

Sarà compito del Gruppo di lavoro misto: Comitato Direzione Scambi e Comitato che prenderà la successione dell’attuale Comitato Speciale Energia Nucleare, di presentare al Consiglio, nel termine di 4 mesi, concrete proposte sull’argomento.

6) Il rapporto sulle possibilità di armonizzare le legislazioni, presentato al Comitato Speciale dal Gruppo di lavoro incaricato di tale studio, considerava quattro campi fondamentali: il controllo di sicurezza, la protezione della sanità pubblica, la legislazione mineraria e la legislazione sui brevetti. Inoltre al Sottocomitato Assicurazioni del Comitato Misto Scambi e Pagamenti era stato affidato il compito di studiare i problemi dell’assicurazione dei rischi nucleari.

Il Comitato Speciale è stato d’opinione che il mandato ricevuto dai Ministri era eccessivamente vasto e portava quindi a una dispersione di sforzi nella ricerca di obiettivi non tutti di attuale interesse. Ha convenuto pertanto di omettere interamente la trattazione delle legislazioni minerarie come tali, inserendo tuttavia i loro aspetti sanitari, quando esistano, negli studi riguardanti la protezione della sanità pubblica.

Per quanto riguarda i brevetti, è stata riconosciuta l’opportunità di segnalare ai competenti organismi internazionali i problemi particolari che pone lo sfruttamento pacifico in comune dell’energia nucleare, perché ne tengano conto per proporre ai paesi firmatari le conseguenti modifiche alle convenzioni esistenti.

Il Comitato Speciale ha convenuto di proporre ai Ministri di affidare l’ulteriore azione in tutta questa complessa materia al Comitato direttivo permanente.

Per quanto riguarda l’assicurazione dei rischi, sarà proposto ai Ministri di confermare il mandato per la continuazione degli studi già intrapresi al Sottocomitato Assicurazioni in collegamento con il detto Comitato direttivo. Nelle poche settimane a disposizione il terreno ha potuto appena essere sfiorato. Occorre che in questo campo i problemi – di estrema difficoltà e complessità – siano vigorosamente e alacremente affrontati, poiché la soluzione di essi condiziona l’effettivo sviluppo civile dello sfruttamento dell’energia nucleare.

7) Per la cooperazione nel campo dell’insegnamento, è stato affidato al Segretariato l’incarico di predisporre per il Consiglio ministeriale una raccomandazione ai paesi membri perché: sia assicurato un maggiore sviluppo dell’insegnamento delle nuove materie; siano promossi i centri di ricerca nazionali; sia incoraggiato lo scambio di studenti e di specialisti.

8) Per la normalizzazione, il rapporto del Gruppo di lavoro misto: Comitato Speciale o Sottocomitato Normalizzazione dell’Agenzia Europea della Produttività, non ha dato luogo ad alcuna osservazione. Il lavoro sarà proseguito dal Sottocomitato Normalizzazione e dal Comitato direttivo permanente, con la raccomandazione di procedere in istretto contatto con gli enti internazionali di normalizzazione (I.S.O. e C.E.I.) e con la Società Europea di Energia Nucleare.

9) L’ultimo argomento all’ordine del giorno prevedeva l’esame dei compiti e dei poteri del più volte nominato Comitato direttivo permanente dell’energia nucleare. Su questo argomento si è nuovamente verificato il contrasto di posizioni tra i Sei, preoccupati di salvaguardare il progetto Euratom dalla possibilità di impegni O.E.C.E. in contrasto con esso, e gli altri paesi.

La posizione di punta per i Sei è stata assunta dal rappresentante dei Paesi Bassi, il quale si è domandato se era opportuna la presentazione ai Ministri delle proposte in esame, al presente stadio dei lavori. Ha osservato che il sistema di controllo e l’organismo che lo dovrebbe applicare superano il quadro dell’O.E.C.E.; la stessa regola dell’unanimità è infranta, e si domanda pertanto se rientri nella competenza costituzionale del Comitato Speciale, il quale non è se non un Comitato del Consiglio dell’O.E.C.E., di presentare proposte quali quelle di cui si tratta. In ogni caso, egli ha soggiunto, il documento predisposto dal Segretariato in merito all’istituzione del Comitato direttivo permanente, potrebbe al massimo essere considerato un documento per informazione dei Ministri, i quali potrebbero far conoscere se ritengono si debba procedere o meno secondo lo schema in esso tracciato.

Ne derivava che il Comitato speciale doveva rimanere in vita al di là del termine originariamente previsto, e non doveva pertanto rimettere al progettato Comitato direttivo il suo mandato.

Il Delegato belga è intervenuto a sua volta in appoggio delle dichiarazioni del collega dei Paesi Bassi, attenuandone tuttavia la portata o meglio precisandole. Egli ha osservato come si fossero ormai chiaramente delineati due ordini di compiti: uno di carattere per così dire operazionale, per l’esecuzione delle deliberazioni già approvate (quali: gruppi di studio per imprese comuni, standstill e liberazione degli scambi, armonizzazione delle legislazioni ecc.); l’altro di carattere istituzionale (studio delle interferenze con le legislazioni interne, regola della maggioranza o dell’unanimità ecc.).

Mentre i primi potevano essere fin d’ora affidati a un Comitato permanente operativo, gli altri invece avrebbero dovuto formare oggetto di un rinnovato mandato dei Ministri al Comitato Speciale.

Contro tali dichiarazioni hanno preso posizione tutti i paesi non partecipi di Euratom, i quali hanno osservato che non vi era motivo di ritornare sulla temporaneità del Comitato Speciale e del suo mandato quale deciso dai Ministri nella sessione dello scorso febbraio. Era stato allora specificamente previsto dai Ministri che il Comitato Speciale sarebbe stato un organo puramente transitorio che, tra l’altro, avrebbe dovuto presentare nel termine di tre mesi proposte per l’istituzione di un Comitato direttivo dell’energia nucleare.

Di fronte all’irrigidimento dei due punti di vista, il nostro rappresentante ha avanzato il suggerimento di istituire un Comitato permanente operazionale secondo la proposta belga e nello stesso tempo, desiderando la maggioranza rispettare integralmente la decisione di febbraio, di affidare a un gruppo di studio del Consiglio l’approfondimento dei problemi istituzionali, in considerazione anche dei loro aspetti politici.

La proposta aveva il merito di sbloccare la situazione. Si poteva così riprendere la conversazione e raggiungere una soluzione intermedia secondo i seguenti termini:

1) istituzione di un Comitato di direzione dell’energia nucleare, allo stesso livello dei due Comitati di direzione già esistenti in O.E.C.E.;

2) netta divisione dei compiti di questo Comitato in due ordini: a) compiti puramente operativi per l’esecuzione delle decisioni approvate all’unanimità come sopra definite, e b) compiti di studio delle questioni istituzionali tuttora aperte.

Il progetto di risoluzione per i Ministri seguirà pertanto le predette linee e, accogliendo una insistente richiesta di alcuni paesi, raccomanderà anche l’istituzione di una procedura di collegamento del Comitato di direzione dell’energia nucleare con l’Euratom.


1 Diretto per conoscenza ai Ministeri del Bilancio, Industria e Commercio, Commercio Estero e Pubblica Istruzione, al Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, e a tutte le Rappresentanze diplomatiche presso i paesi dell’O.E.C.E.


2 Non pubblicato.


3 La riunione del Consiglio dei Ministri ebbe luogo a Parigi dal 17 al 19 luglio. Un commento sui risultati di tale incontro e il testo delle risoluzioni approvate, sono editi in «Relazioni internazionali», a. XX (1956), n. 30, pp. 919 e 934-937.


4 T. 13205/215, con il quale Cosmelli aveva annunciato l’invio del presente documento e comunicato le prime informazioni sui lavori del Comitato in oggetto.


5 Il testo dell’allegato era: «Le rapport du Groupe de Travail n. 2 sur le Contrôle de Sécurité répondant au mandat qui lui fut donné par le Comité Spécial, les Délégations des six des [sic] Pays membres de la Conférence Intergouvernementale de Bruxelles sont prêtes à accepter les règles et modalités du contrôle proposé. Toutefois, elles jugent que l’étendue du contrôle envisagé par le Groupe de Travail n’étant que partielle ne correspond pas à toute l’efficacité désirée».


6 Documento NE (56)16 Annexe, non pubblicato.

188

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., COSMELLI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 14365/253. Parigi, 12 luglio 1956, ore 22,30 (perv. 23,30).

Oggetto: Lavori sessione Comitato Speciale Energia Nucleare.

Mio telegramma 2151.

Progetto decisione in materia energia nucleare trasmesso con telespresso 2377 del 7 corrente2 ha subito modifiche di dettaglio seguito discussione in riunione Capi delle Delegazioni dell’altro ieri e di oggi. Tali modifiche non rispondono a obiezioni di principio sollevate da Delegato belga e francese.

Valery in particolare, quando due giorni or sono documento fu portato per la prima volta esame Capi delle Delegazioni, sottolineando parlava a titolo assolutamente personale, non avendo istruzioni suggerì in termini molto precisi di dare al documento, troppo lungo, complicato e minuzioso, carattere di breve dichiarazione di principi da tutti accettati e cioè: che sarà messa subito allo studio la realizzazione di imprese comuni; che esisterà un sistema di controllo di sicurezza; che proseguimento lavori è affidato ad un apposito Comitato di direzione.

Secondo Delegato francese un documento così compilato avrebbe lasciato sufficiente elasticità per sviluppi futuri a seconda esigenze che del resto non possono esser fin d’ora tutte previste in un campo ancora praticamente inesplorato, ed avrebbe evitato possibilità critiche parlamentari e dell’opinione pubblica.

Segretariato non ha creduto tener conto di tali obiezioni e suggerimenti.

In corso di discussione si è delineato un notevole contrasto, anche di tono, tra alcuni rappresentanti Euratom, vedi belga e francese, e paesi al di fuori 6 e sopratutto ,Svizzera quale paese che si è qualificato «terzo».

Segretariato ha mostrato propensione evidente per intuibili ragioni verso tesi quest’ultimi.

Rappresentanti Germania e Olanda si sono astenuti come me da interventi.

Discussione per quanto lunga e minuziosa si è mostrata alquanto astratta dato che approvazione da parte 6 dipende da lavori in corso a Bruxelles e Parlamento francese. D’altra parte è convinzione fra molti che prossimo Consiglio non potrà non (dico non) prendere decisioni in materia.


1 Vedi D. 187, nota 4.


2 Non pubblicato.

189

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 14461/161-1621. Bruxelles, 14 luglio 1956, ore 9,40 (perv. ore 10,15).

Oggetto: Lavori Comitato Euratom.

Comitato Euratom ha concordato alcuni emendamenti, corredati da dichiarazioni esplicative, che Ministri 6 paesi dovrebbero proporre nel corso discussione progetto decisione Consiglio O.E.C.E. C (56) 158. Essi saranno messi a punto tra Delegati 6 paesi a Parigi in riunione prevista che avrà luogo martedì venturo2, alla luce nuovo testo progetto di decisione discusso da Rappresentanti permanenti O.E.C.E. Testo emendamenti verrà da me portato Parigi lunedì.

Comitato ha quindi raggiunto compromesso circa presidenza sindacati di studi per impianti separazione isotopica (francese) e per impianti separazione chimica (tedesca), che ho approvato con abituale riserva per avvenire.

Sul fondo del trattato è continuata discussione fra le Delegazioni tedesca e le altre circa il regime di monopolio degli approvvigionamenti da parte Euratom. Punti di vista si sono alquanto ravvicinati, anche perché è apparso a tutti opportunità cautelarsi contro rischio che sistema divenga autarchico, mettendo industrie europee fuori concorrenza mondiale. Si tratta conciliare necessità evitare tale pericolo con incentivi che devono assicurarsi a miniere nonché ad impianti raffinazione e separazione Euratom. Delegazione tedesca è stata richiesta preparare documenti in tal senso; questione verrà ridiscussa in settembre. Comitato Euratom tornerà riunirsi da giovedì 19 mattina a venerdì 20 pomeriggio a Parigi. Francesi hanno chiesto che Comitato continui suoi lavori anche durante sospensione estiva appellandosi a opportunità che trattato sia pronto al più presto per sfruttare successo ottenuto all’Assemblea. Tedeschi si sono opposti richiamandosi a parallelismo che intendono conservare con negoziati Mercato Comune. Faure chiederà quindi a Spaak convocare capi delle Delegazioni intorno al 24 per decidere questione.

Comitato redazione da me presieduto ha terminato revisione avanprogetto trattato Mercato Comune, salvo capitolo su agricoltura che verrà redatto inizio settembre.

Comitato Mercato Comune, sui cui lavori riferirà verbalmente Bobba, ha proseguito prima lettura testo capitolo su dogane e contingentamenti, e costituito due gruppi che lavoreranno in estate per questione carichi sociali nei diversi paesi e per tariffe esterne.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Il 17 luglio.

190

IL CAPO DELL’UFFICIO COOPERAZIONE EUROPEADELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, FALCHI

Appunto. Roma, 14 luglio 1956.

MISSIONE DELL’U.E.O. IN ITALIA

La visita che i quattro principali funzionari della U.E.O. hanno effettuato a Roma allo scopo di prendere contatto con S.E. il Ministro, presidente di turno, nonché con i vari Ministeri interessati alle attività dell’U.E.O., è senza dubbio riuscita utile, tanto per fissare qualche idea sulle possibilità o meno di dare un contenuto politico all’Organizzazione quanto per chiarire alcune questioni tecniche.

Per quanto concerne il problema politico dell’avvenire dell’U.E.O., S.E. il Ministro ha fornito le seguenti indicazioni:

1) l’Italia è interessata a dare all’U.E.O. una sua propria fisionomia; non è quindi possibile continuare il sistema delle brevi riunioni conviviali dei Ministri degli Affari Esteri dell’U.E.O. la sera prima delle riunioni N.A.T.O. Un regolare Consiglio dei Ministri andrebbe invece tenuto nel prossimo mese di ottobre a Strasburgo quando vi avrà luogo la sessione dell’Assemblea U.E.O.;

2) in seno alle riunioni del Consiglio U.E.O. dovrebbe effettuarsi una consultazione politica tra i paesi membri, per permettere che si formi un pensiero europeo, anche su problemi extra-europei, alla vigilia di conferenze mondiali come quelle dei vari organismi delle Nazioni Unite, a cominciare dalla sua Assemblea Generale.

Su questa falsariga e tenendo presente il calendario delle principali riunioni internazionali del 2° semestre 1956, il Segretario Generale dell’U.E.O. ha sbozzato il seguente eventuale programma:

a) presentazione del rapporto sulle possibilità di sviluppi politici dell’U.E.O. – da compilarsi secondo il mandato ricevuto dal Consiglio dei Ministri il 3 maggio u.s. – entro i primi di settembre. Nel rapporto verrebbero indicate le impressioni colte presso i singoli paesi membri: perplessità inglese a dare un contenuto politico all’U.E.O, prima che sia condotto a termine il rilancio politico-economico del N.A.T.O.; desiderio belga di discutere i problemi dell’Euratom e del Mercato Comune anche in sede U.E.O. per approfittare della presenza britannica; proposta italiana di esaminare congiuntamente l’agenda dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ecc.;

b) rapido scambio di commenti tra le capitali U.E.O. sul contenuto del rapporto onde fissare l’ordine del giorno della riunione del Consiglio a livello Ministri;

c) comunque riunione a Strasburgo verso la metà di ottobre, con o senza disamina dell’agenda delle N.U.;

d) ove la proposta italiana fosse accettata, ulteriore consultazione per i normali canali diplomatici fino al 12 novembre, data di inizio della sessione dell’Assemblea Generale delle N.U. o, se necessario, riunione a New York tra i paesi U.E.O., pochi giorni prima dell’apertura della sessione stessa.

2. Il problema dei rapporti tra il Consiglio e l’Assemblea è stato ampiamente trattato nella conversazione che la missione ha avuto con S.E. Badini Confalonieri, attualmente membro della Commissione degli Affari Generali della Assemblea U.E.O. e fino a poco tempo fa presidente della Commissione per le questioni della difesa e degli armamenti.

L’On. Sottosegretario ha fatto presente quanto sia utile per l’U.E.O. l’esistenza di una propria Assemblea giacché i parlamentari che la compongono sono, nei riguardi degli elettori, i migliori propagandisti delle idee ventilate nell’Unione e, nei rispettivi Parlamenti nazionali, elementi sicuramente utili nel caso (e se ne presenterà presto l’occasione) che si debba procedere alla ratifica di qualche Convenzione d’ordine tecnico stipulata nel quadro dell’U.E.O. I parlamentari vanno quindi informati il più largamente possibile sulle attività svolte dall’Organizzazione nei suoi vari settori.

L’On. Badini Confalonieri ha però riconosciuto che ciò va fatto con particolare prudenza nel campo dei problemi della difesa dove si rischia facilmente di toccare argomenti coperti dal segreto militare. L’Ambasciatore Goffin ne ha preso atto con compiacimento dato qualche attrito verificatosi in proposito tra Consiglio ed Assemblea; del resto anche dai contatti avuti con altri parlamentari (On. Montini e Cerulli Irelli) egli ha tratto l’impressione che non è da parte italiana che dovrebbero essere sollevate difficoltà in proposito.

3. Con il Sottosegretario Del Bo è stata tenuta una conversazione sui possibili sviluppi delle attività del Comitato sociale dell’U.E.O. In modo particolare l’On. Del Bo ha pregato l’Ambasciatore Goffin di fare esaminare a detto Comitato la possibilità di stabilire, tra i sette paesi, un piano per la qualificazione professionale dei lavoratori italiani che potrebbero trovare lavoro in un altro paese U.E.O.. Va infatti ricordato che attualmente la domanda, da parte dei paesi europei, di lavoratori italiani qualificati è superiore alle nostre possibilità di offerta.

Il Segretario Generale dell’U.E.O. ha promesso di effettuare in proposito, congiuntamente col funzionario italiano che dirige il Comitato sociale, qualche sondaggio presso gli altri Stati membri onde raccoglierne, in via confidenziale le prime reazioni di fronte ad un’idea del genere.

4. Il Ministro della Difesa ha effettuato un giro di orizzonte sulle possibilità attuali di procedere sul cammino dell’integrazione europea. Egli ha ribadito le sue note idee sulla necessità di pervenire alla costituzione di un potere sopranazionale, ma ha aggiunto che pel momento bisogna accontentarsi di soluzioni di ripiego, tra le quali quella dell’U.E.O., la cui più interessante caratteristica è data dalla presenza della Gran Bretagna, da sola, accanto ai sei paesi della «piccola Europa».

Successivamente la conversazione è stata portata sulla questione della fissazione o meno di un «plafond» per le forze di difesa comune mantenute sotto comando nazionale. In proposito, il Ministro ha riaffermato la nota tesi italiana secondo la quale non vi è ragione di interpretare estensivamente il testo del Protocollo U.E.O. sulle forze, testo che prevede la necessità di fissare un «plafond» solo per le forze di difesa interna e di polizia.

5. Questo concetto è stato ribadito dal Capo di Stato Maggiore della Difesa e pertanto la predetta questione – nella quale l’Italia ha preso una posizione diversa da quella assunta dagli altri Stati membri – dovrà continuare ad essere trattata, probabilmente insieme alla N.A.T.O., onde pervenire ad un chiarimento di tutta la materia e ad una perfetta armonizzazione tra i Protocolli U.E.O. e la Risoluzione atlantica per la messa in atto della Sezione IV dell’Atto finale della Conferenza di Londra.

Sembra invece avviata ad una prossima conclusione la questione della nostra partecipazione al finanziamento delle prove del missile SS10 in sede C.P.A. nel quadro della nuova delimitazione delle competenze tra il C.P.A. ed il Finabel.

Sembra infatti che, in relazione al documento approvato su nostra iniziativa dai Capi di Stato Maggiore dell’Esercito riuniti nel Finabel, non convenga ulteriormente insistere nel nostro rifiuto a partecipare a detto finanziamento. Infatti è stata riconosciuta la necessità di una stretta collaborazione tra militari, tecnici ed industriali per lo studio, i progetti e la realizzazione del prototipi di armi non convenzionali; e per questa collaborazione il C.P.A. si presenta come la sede più adatta.

6. Col Sottosegretario Buizza del Ministero dell’Industria e del Commercio, il Segretario Generale Aggiunto dell’U.E.O. per il C.P.A. ha illustrato i possibili sviluppi del Comitato Permanente Armamenti. Da parte del predetto Ministero è stato manifestato interesse a seguire più da vicino, attraverso propri rappresentanti, l’attività svolta dai singoli gruppi di lavoro costituiti o costituendi per l’esame di questo o di quel dato tipo di arma.

Dal canto suo, il Direttore dell’Agenzia Controllo Armamenti si è accordato circa le fabbriche che potrà visitare nel prossimo ottobre. È infatti noto che pel momento (dato che non sono stati ancora risolti vari problemi tecnico-giuridici, tra i quali quello dell’istanza giurisdizionale da costituirsi a salvaguardia degli interessi privati che potrebbero essere lesi dai controlli) le ditte private non possono essere ancora visitate senza il previo consenso delle autorità nazionali competenti.

191

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 1319/872. Parigi, 16 luglio 1956.

Oggetto: Mercato Comune. Parere favorevole del Consiglio Economico.

Il Consiglio Economico ha emesso parere favorevole all’istituzione del Mercato Comune europeo con 99 voti contro 35 (quelli dei rappresentanti della «Confédération Générale du Travail», della «Confédération Générale des Cadres» e di alcuni settori industriali) e 18 astensioni.

Nella risoluzione votata dal Consiglio vengono tracciati i criteri che la Delegazione francese a Bruxelles dovrebbe seguire per la difesa degli interessi fondamentali della Francia, e formulate alcune proposte per assicurare un più efficiente funzionamento del Mercato Comune.

In particolare la risoluzione insiste sull’opportunità di uno stretto parallelismo (da realizzarsi attraverso un sistema automatico) tra eliminazione delle misure restrittive degli scambi ed abbassamento delle barriere doganali, da una parte, ed armonizzazione degli oneri sociali fiscali, dall’altra; propone l’istituzione di un consiglio economico e sociale europeo e di un istituto di statistica, destinato anche allo studio delle congiunture economiche; riafferma la necessità di estendere il Mercato Comune ai territori francesi d’oltremare, con il rispetto, però, di alcune condizioni che tengano particolarmente conto dei legami politici ed economici di questi territori con la Francia e della loro arretrata struttura economica (una «clause de sous-développement» dovrebbe assicurare che l’inserimento dei T.O.M. nel mercato europeo avvenga senza gravi squilibri).

Una delle questioni più discusse al Consiglio, in seno di commissione, è stata quella del fondo europeo d’investimenti. Alcuni consiglieri hanno sostenuto la tesi di valorizzare al massimo questo fondo per promuovere lo sviluppo delle regioni economicamente arretrate dei paesi membri ed evitare la concentrazione dei capitali nelle regioni che hanno già raggiunto un alto livello di industrializzazione; ma i rappresentanti della «Confédération Générale des Cadres» e delle più importanti organizzazioni padronali hanno obiettato che questa tesi, nella sua attuazione pratica, potrebbe tradursi in una forma troppo spinta di dirigismo in quanto finirebbe per sostituire l’intervento concordato dei Governi alla iniziativa privata in settori che a questa dovrebbero essere normalmente riservati. Il Consiglio ha finito per approvare una formula più elastica: il fondo europeo deve costituire un fondo di riconversione, nel senso più largo dell’espressione, ed il suo statuto deve permettere a ciascun Stato membro di partecipare efficacemente alla realizzazione di piani comuni; ma i contributi governativi devono gradualmente diminuire in relazione all’apporto di capitali privati.

Netta posizione, invece, contro il programma di Bruxelles per il Mercato Comune ha preso la Camera di Commercio di Parigi con una recente risoluzione nella quale viene, tra l’altro, affermato che: «il rapporto che serve attualmente di base all’elaborazione del trattato del Mercato Comune rivela squilibri e lacune gravi; in particolare, il rapporto prevede in materia di liberazione progressiva degli scambi ed abbassamento delle tariffe doganali, degli obblighi precisi da eseguirsi secondo tappe fisse, mentre l’esecuzione dei principi d’armonizzazione delle legislazioni sociali e fiscali è, per contro, subordinata all’iniziativa di una commissione dai poteri superstatali senza alcun piano stabilito in anticipo».

192

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

T. 7803/c.1. Roma, 17 luglio 1956, ore 2.

Dichiarazione Governo sovietico2 per proporre convocazione Conferenza intesa a creare organizzazione regionale europea per cooperazione in sfruttamento pacifico energia nucleare appare, ad un primo esame, inspirata soprattutto a soliti scopi propagandistici e – dopo esito favorevole dibattito Parlamento francese – inizio nuova manovra contro sforzi per collaborazione europea.

Essa ripete in sostanza proposta già avanzata da U.R.S.S. a Ginevra Sessione E.C.E. primavera scorsa; proposta che occidentali concordemente ottennero di accantonare rinviandone studio a prossimo anno quando sarà noto esito trattative per creazione Agenzia Atomica Internazionale.

Per quanto non (dico non) sembri situazione sia da allora mutata e pertanto motivi politici e di principio, che ispirarono predetta azione occidentale a Ginevra, appaiano tuttora validi, riterremmo – prima che Governi occidentali si pronuncino – opportuno promuovere consultazione in sede N.A.T.O., preceduta da scambio idee fra rappresentanti sei paesi Euratom, più direttamente interessati da nuova iniziativa russa.

Sarà gradito conoscere urgenza reazioni codesti ambienti a dichiarazione sovietica e loro pensiero circa procedura di consultazione reciproca3.


1 Diretto alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Lussemburgo, Londra, Parigi, Ottawa, Lisbona, Oslo, Copenaghen e Washington e alle Rappresentanze presso la N.A.T.O. e presso l’O.E.C.E. a Parigi.


2 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XX (1956), n. 29, pp. 900-901.


3 La questione fu discussa a Bruxelles nella riunione dei Capi Delegazione del 26 luglio, vedi D. 198.

193

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. riservato 1328. Parigi, 17 luglio 1956.

Oggetto: Euratom.

Signor Ministro,

credo che la valutazione più esatta del voto della Camera francese sia il dire che l’Euratom non è impossibile.

Perché questa non impossibilità possa diventare una realtà, ci vogliono alcune cose.

Prima condizione è che il progetto di Euratom venga presentato ed appoggiato alla Camera da Guy Mollet. E questo non solo perché Guy Mollet è un europeo onesto, ma soprattutto attivo come difficilmente ne troveremo un altro (non va dimenticato che è stato il solo a fare veramente qualche cosa per far passare la C.E.D.: ci ha anche rischiato la sua posizione di segretario del partito).

V.E. ricorda certo che nelle conversazioni che ebbero luogo qui durante la visita del Presidente della Repubblica1, Guy Mollet – appoggiato, cifre alla mano, dal Presidente Coty – ci spiegò come una maggioranza per l’Euratom alla Camera francese ci sarebbe potuta essere, se si fosse trovata una formula accettabile e per quelli che vogliono l’uso esclusivamente pacifico dell’energia atomica e per quelli invece che non vogliono rinunciare agli armamenti nucleari: la formula è stata trovata.

In realtà, si tratta di una questione puramente teorica: è vero che la Francia è separata da una spesa di ormai solo più 40 miliardi dalla possibilità di far scoppiare, a titolo sperimentale, una bombetta atomica nel Tanezrouft – ammesso che, per quell’epoca, esso sia ancora francese. Ma questo non significherebbe che la Francia avrebbe degli armamenti atomici, così come avere qualche ottimo prototipo di aeroplano non significa avere una aviazione: però è l’amor proprio della Francia che è in giuoco.

In realtà, se la comunità Euratom avrà quegli sviluppi che si sperano, ad un certo momento dovrà porsi, non teoricamente ma seriamente, il problema: un programma di armamenti atomici – preciso, non la costruzione di prototipi, ma un vero programma di armamenti atomici – rientra nelle possibilità finanziarie reali dell’Europa a sei? Se la risposta sarà positiva, allora non ci saranno clausole che potranno impedire a questa comunità di darsi degli armamenti atomici. Se la risposta sarà negativa, bisognerà ricercare delle comunità ancora più vaste e fare del pacifismo atomico.

Perché la questione è ancora dubbia: è certo ormai che nessuno dei paesi europei ha i mezzi finanziari per darsi degli armamenti atomici – intendo degli armamenti atomici di cui le due potenze principali debbano tener conto –, né ancor meno l’attrezzatura industriale necessaria per produrli: ma non è ancora detto che questo sia realmente possibile nemmeno a sei.

Comunque, la questione essendo puramente teorica – e forse perché è puramente teorica –, era di quelle che potevano far naufragare il progetto di Euratom davanti al Parlamento francese: ed è un grande successo che una formula sia stata trovata.

Ora un Presidente del Consiglio, socialista e segretario del Partito socialista, ha la possibilità di far trangugiare ai suoi deputati una formula, equivoca quanto si vuole ma che non è comunque la rinuncia agli armamenti atomici: un Presidente del Consiglio non socialista non ci riuscirebbe; e non sembra oggi molto probabile che il successore di Mollet sia un socialista.

È ovvio che mantenere in vita il Governo Mollet è un affare interno francese, e non un affare estero. Però, nella misura in cui si è interessati a che vada in porto l’Euratom, bisognerebbe sollecitarne la redazione in modo che il trattato sia pronto al massimo all’inizio di ottobre.

Non è affatto sicuro che l’attuale Governo francese duri fino ad ottobre, nonostante le vacanze parlamentari: ma è praticamente da escludere che esso possa durare molto dopo la rentrée di ottobre. Bisognerebbe quindi che, alla rentrée, il Governo francese possa subito presentarlo all’Assemblea e cercare di farlo ratificare prima di essere rovesciato. Bisognerà tener conto che le condizioni poste dal Parlamento francese e di cui al mio rapporto n. ris. 346/233 del 23/2 u.s.2 sono delle condizioni tassative.

Essenziale è che non ci sia nessun collegamento con la C.E.C.A. Qui sotto si nasconde quell’allergia di cui soffre, e acutamente, il Parlamento francese nei riguardi di Monnet e che si estende a tutti gli organi della C.E.C.A. e particolarmente all’Assemblea, dove si trovano alcune personalità – fra cui anche qualcuna italiana – che i francesi considerano succubi di Monnet e, come tali, partecipi di questa allergia.

Non meno essenziale, evidentemente, è anche la cosiddetta «rinuncia spontanea» della Germania a fabbricare delle armi atomiche, rinuncia che in qualche forma bisognerà confermare. Mi rendo però perfettamente conto che qui si tratta di un punto particolarmente ostico all’altra parte.

Mi si potrà dire: è il solito ricatto francese. È vero, non sarò certo io, che sono a contatto quotidianamente con la realtà francese, a negarlo: ma abbiamo a che fare con un paese dove gli europeisti veri – non quelli verbali – sono ben pochi, e dove qualsiasi proposta europea, per essere accettata dal Parlamento, deve essere infarcita di vantaggi, di privilegi, di vittorie, sia reali che apparenti, per la Francia. Che i francesi non vogliano vedere, non vogliano capire, è esattissimo: ma, in politica, anche l’ignoranza, anche l’incomprensione sono purtroppo delle realtà di cui bisogna tener conto. Ora delle due cose l’una: o noi riteniamo che sia possibile – e nel nostro interesse – fare l’Europa a cinque, anziché a sei, e adottare nei riguardi della Francia la politica delle sedie vuote: e allora lasciamo la Francia cuocere nel suo brodo ed aspettiamo che i fatti la rinsaviscano; o noi invece riteniamo indispensabile la presenza della Francia – e temo che lo sia – e allora bisogna che passiamo per le forche caudine della Francia. È un po’ come quando, all’interno, si deve fare un governo di coalizione: se si vuole riuscire, bisogna accettare i termini di chi è necessario per avere il numero dei voti.

Resta la questione del Mercato Comune.

Credo sia superfluo che ripeta che oggi il Mercato Comune non ha la minima «chance» di passare davanti al Parlamento francese, anche annacquato, anche diluito al massimo. Si può, anzi si deve, continuare a parlarne ed a discuterne, ma volere stabilire qualsiasi forma di connessione o anche di solo parallelismo coll’Euratom, significa soltanto voler distruggere le «chances» che l’Euratom ha di passare davanti al Parlamento francese.

Personalmente, sono convinto che l’Euratom sia utile per noi, indipendentemente dal fatto che esso rappresenti o no una «relance» europea. Ma questo è un punto comunque opinabile. Esaminiamolo invece dal punto di vista europeo.

Certo se si considera che la sola maniera di fare l’Europa sono le agenzie specializzate, le autorità sopranazionali, in una parola le formule C.E.C.A. o C.E.D., allora l’Euratom non è un rilancio europeo. Ma se, viceversa, si pensa che questa difficile Europa bisogna cercare di farla come si può e dove si può, allora, mi sembra, sarebbe difficile negare che una cooperazione, comunque organizzata e limitata, seria nel campo atomico, costituirebbe un cemento europeo: e, soprattutto, non vedo come si possa negare che un insuccesso dell’Euratom sarebbe un colpo forse fatale alle idee stesse dell’Europa.

Quindi, dal punto di vista europeo, per quanto limitato, l’Euratom è un passo avanti, e non vedo bene la ragione di prenderlo sotto gamba solo perché è poco. Certo, dal punto di vista europeo, il Mercato Comune sarebbe ben più importante: certo, sarebbe molto meglio poter fare e l’Euratom e il Mercato Comune: ma sarebbe saggio rifiutare un Euratom, anche ridotto, perché non si può fare anche il Mercato Comune? Tanto più che non vedo, nelle condizioni poste dai francesi per l’Euratom, nessuna condizione, suscettibile di durare, che sia veramente pregiudizievole per noi.

Del resto, anche sul Mercato Comune l’ultima parola non è detta. Il Consiglio Economico francese ha finito, con molti se e ma, per pronunciarsi in favore3: non è decisivo, ma non è nemmeno un fattore negativo.

Anche qui bisognerebbe procedere – parlo sempre della Francia s’intende – gradualmente. Preparare il terreno, preparare un dibattito al Parlamento ed arrivare, più o meno come lo si è fatto per l’Euratom, a mettere un po’ più in chiaro a quali condizioni il Parlamento francese potrebbe accettare il Mercato Comune: si vedrà poi se queste condizioni sono accettabili per noi.

Questo paese vive da tre secoli nel più stretto protezionismo ed ha l’illusione di trovarcisi benissimo; quindi non se la sente di esporsi, anche moderatamente, alla libera concorrenza: ha paura di morirne: bisogna convincerlo, poco per volta, che non ne morrebbe.

Poi ci sono tante incognite nell’avvenire. Quale sarà la reazione francese alla perdita dell’impero? È proprio necessario poi basare il Mercato Comune sulla concorrenza? Pinay potrebbe – senza pronunciare la parola che è tabù – orientarlo verso delle forme cartellistiche che qui sarebbero accettate subito. Oppure – il che forse è più possibile – se dovesse continuare lo slittamento europeo verso il socialismo, un Guy Mollet potrebbe orientarlo verso una pianificazione sopranazionale, che è poi il cartello visto da sinistra. Quindi, se si continua a parlarne, se si insiste, se si incoraggia in Francia la volontà anche per il Mercato Comune può essere che qualche cosa, in avvenire, lo si possa fare.

In altre parole, mentre fare adesso l’Euratom solo, non esclude che in avvenire si possa fare anche, in qualche forma e misura, il Mercato Comune, non fare adesso l’Euratom solo non rende certo più facile di fare domani il Mercato Comune.

Mi permetto di insistere su questo punto perché, se quanto mi viene riferito è esatto, soprattutto da parte tedesca, a Bruxelles, si sarebbe restii a far lavorare in fretta la Commissione Euratom se non si fa lavorare con la stessa fretta la Commissione Mercato Comune. Ora, se questa tendenza prevale, delle due l’una: o il trattato Euratom non sarà pronto per ottobre, e allora si perde la possibilità che esso sia ratificato dal Parlamento francese; oppure si sottolinea comunque un collegamento fra le due questioni, il che equivale a far respingere l’Euratom dal Parlamento francese. Se questo significa che i tedeschi non vogliono l’Euratom, allora non c’è nulla da fare. Ma se questo è soltanto una incocciatura tedesca o, peggio ancora, la speranza che, messa colle spalle al muro, la Francia finirebbe per cedere, allora bisognerebbe cercare di persuadere i tedeschi a recedere da questo loro atteggiamento, o, per lo meno, non incoraggiarli appoggiandoli anche noi.

Non dico che, in principio, i tedeschi abbiano torto ed i francesi abbiano ragione: è solo che, opponendo ad una intransigenza, anche irragionevole, un’altra intransigenza, anche ragionevole, non si fa un passo avanti4.

La prego di credere, Signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.

Quaroni


1 Sulla visita di Gronchi a Parigi vedi DD. 156, 172 e 174.


2 Vedi D. 148.


3 Vedi D. 191.


4 Per i commenti di Grazzi su quanto esposto nel presente documento vedi D. 199.

194

IL CAPO DELL’UFFICIO IVDELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA

Appunto1. Roma, 18 luglio 1956.

È venuto a vedermi il Signor Eiswaldt dell’Ambasciata di Germania che mi ha consegnato un appunto2 concernente la proposta di risoluzione presentata dal Governo tedesco al Comitato dei delegati dei Ministri del Consiglio d’Europa circa i progetti di integrazione europea – Euratom e Mercato Comune (decisioni 89 e 90 dell’Assemblea Consultiva).

Il punto centrale della proposta tedesca consiste nell’affermazione che la Comunità atomica deve far parte del Mercato Comune generale, il più ampio possibile, e che quest’ultimo rappresenta un «préalable» dell’integrazione atomica.

Il Signor Eiswaldt mi ha chiesto, su istruzioni del suo Governo, che cosa ne pensassi e se fossimo disposti ad appoggiare la risoluzione predetta alla riunione del Comitato di Ministri che avrà luogo in settembre a Strasburgo.

Gli ho risposto che le nostre idee sul particolare problema in discussione a Strasburgo non erano ancora fissate definitivamente e che non lo sarebbero state fino a pochi giorni prima della seduta, anche per poter tenere conto della continua evoluzione dei lavori di Bruxelles.

Ho aggiunto che, a mio parere, in linea di principio il Governo italiano ritiene che debba essere assicurata la istituzione sia della Comunità atomica che del Mercato Comune; ma quanto alla tattica da seguire a tale scopo vi sono delle perplessità circa l’opportunità di costringere il Governo e l’opinione pubblica francese in una alternativa troppo rigida, in quanto si potrebbero provocare risultati contrari ai nostri desideri, tanto più quando tali discussioni avvengano in sedi internazionali come il Consiglio d’Europa, presso le quali non si debbono prendere decisioni, ma soltanto esprimere indirizzi politici di carattere generale. Atteggiamento analogo era stato tenuto dal Governo e dai Parlamentari italiani in occasione delle analoghe discussioni che si sono avute presso l’Assemblea Comune della C.E.C.A. e, sotto aspetti diversi, all’O.E.C.E.

Mi sembrava quindi più prudente, proprio ai fini che sia da parte italiana che tedesca si perseguono, non porre apertamente il problema del cosiddetto «junktim» fra Mercato Comune e Euratom, finché l’evoluzione dei lavori di Bruxelles e l’iter dei relativi trattati non lo rendessero assolutamente necessario.

Alla domanda di Eiswaldt se ritenessi di suggerire proposte di emendamento del progetto tedesco di risoluzione, ho risposto che la questione mi sembrava ancora prematura e che una decisione in proposito non si sarebbe potuta prevedere che nei giorni precedenti la riunione di Strasburgo.

Ove tale eventualità si fosse verificata, non avrei mancato di mettermi di nuovo in contatto con lui.

Allego copia dell’appunto lasciatomi da Eiswaldt.

Allegato

Appunto. Roma, 17 luglio 1956.

L’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa ha il 26 ottobre 1955 approvato le Decisioni n. 89 relativa ad una Organizzazione europea per l’Energia Atomica e n. 90 relativa all’istituzione di un Mercato Comune.

La Repubblica Federale ha, in merito, alla 40 Sessione degli Incaricati dei Ministri del Consiglio d’Europa il 14 Giugno 1956 presentato lo schema di una Decisione comune del Comitato dei Ministri con tendenza di forte raccomandazione. Per mancanza di tempo, la risoluzione al riguardo venne rinviata alla sessione in settembre dagli Incaricati dei Ministri.

Interesserebbe conoscere, se il Governo italiano sia in linea di massima disposto ad accettare il testo dello schema tedesco o quali eventuali modifiche esso desideri. Il Governo Federale non persiste rigidamente nelle sue proposte, bensì è volentieri disposto a prendere in considerazione proposte di modifiche od anche nuove proposte. Ritiene tuttavia indispensabile che – nel segno della Conferenza d’integrazione di Bruxelles e dei nuovi sforzi per costituire un’unità europea – alle decisioni dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa segua presto una unanime risposta positiva.

Nello schema tedesco si precisa che un Mercato Comune più ampio possibile dovrebbe essere premessa e parte integrante di una Organizzazione Europea dell’Energia Atomica. Tale Junctim3 sembra al Governo Federale indispensabile.

Esso ritiene inoltre importante che la proposta tedesca venga al più presto possibile messa a discussione.


1 Trasmesso da Ducci alla Rappresentanza presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo e per conoscenza alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Lussemburgo, Parigi e Washington e alla Direzione Generale degli Affari Politici con Telespr. 44/12231/c. del 2 agosto.


2 Vedi Allegato.


3 Sic.

195

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., COSMELLI,ALLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO VII

Telespr. 3346/25201. Parigi, 20 luglio 1956.

Oggetto: Relazioni tra l’O.E.C.E. ed il progetto di Mercato Comune dei sei paesi.

Riferimento: Telegramma di questa Rappresentanza n. 255 del 13 luglio u.s. Telespresso di questa Rappresentanza n. 446/321 del 2/2/562.

Si trasmette in allegato copia della lettera confidenziale n. 613 in data 12 corrente, che il Segretario Generale ha inviato a tutti i Capi Delegazione e che contiene la proposta di intraprendere uno studio sulle possibilità di istituire un sistema multilaterale di associazione tra i sei paesi di Messina e gli altri paesi membri dell’O.E.C.E.

Tale lettera, che fa seguito ad una precedente del 31 gennaio sempre sul collegamento O.E.C.E.-Conferenza di Messina, è stata discussa in via preliminare tra i Capi delle Delegazioni dei sei paesi (v. telegramma citato in riferimento) e successivamente alla sessione ministeriale del Consiglio, per quanto non fosse formalmente inclusa nell’ordine del giorno3. Si fa pertanto riserva di trattare l’argomento riferendo sulla sessione medesima.

Allegato

IL SEGRETARIO GENERALE DELL’O.E.C.E., SERGENT,AI CAPI DELLE DELEGAZIONI

L. confidenziale rs-613. Parigi, 12 luglio 1956.

Monsieur le Délégué,

Par lettre RS-380 que je vous ai adressée le 31 janvier dernier (dont copie est ci-jointe)4, j’ai souligné la nécessité d’une étroite coordination entre les activités de l’O.E.C.E., et les travaux qui se poursuivent en conformité des Résolutions de la Conférence de Messine, notamment en ce qui concerne le projet de marché commun ou d’union douanière.

2) Plusieurs allusions ont été faites à ce problème en cours de discussion lors de la session ministérielle du Conseil en février; en particulier, M. Beyen a dit: «le problème des relations entre le marché commun des Six et les autres Pays Membres de l’O.E.C.E. est un problème qui intéresse autant les uns que les autres et les représentants des Six seront heureux de pouvoir l’examiner au sein de cette Organisation, dont les Membres ont prouvé qu’ils veulent et savent collaborer».

3) Depuis cette époque, les pays qui ont participé à la Conférence de Messine ont progressé dans leurs travaux. Le Rapport des Chefs de Délégation a été soumis en avril aux Ministres des Affaires Etrangères, qui l’ont examiné en mai, à la Conférence de Venise. À la suite de cette Conférence, la rédaction de deux traités a été entreprise à Bruxelles, l’un pour l’Euratom et l’autre pour le marché commun.

4) À la Conférence de Venise, il a été convenu que l’O.E.C.E, de même que certaines autres organisations internationales, serait régulièrement informée du progrès de ces travaux. On ne peut que se féliciter de cette suggestion; des arrangements pratiques doivent être élaborés, afin de permettre à l’O.E.C.E. d’en tirer plein avantage. Ces arrangements devraient s’appliquer aussi bien à l’énergie atomique qu’aux questions d’échanges5.

5) En ce qui concerne le marché commun, les arrangements en question seraient un premier pas vers la coordination, dont j’ai souligné la nécessité dans ma lettre du 31 janvier, entre les mesures envisagées par les Six pays qui ont participé à la Conférence de Messine, et celles qui pourront être entreprises ou poursuivies à l’O.E.C.E. selon les lignes de la politique engagée par cette Organisation.

6) Il faut bien reconnaître toutefois que l’ajustement de la politique commerciale des pays membres de l’O.E.C.E. aux conditions créées par l’établissement d’une union douanière parmi six d’entre eux soulève des problèmes qui dépassent ceux d’une simple procédure d’information.

7) Le Rapport des Chefs de Délégation de Bruxelles fait allusion aux problèmes des relations entre le marché commun et les autres pays européens dans les termes suivants:

«Il va de soi que l’entrée dans le marché commun et dans l’ensemble des droits et obligations qui y sont liés, sera ouverte à tous les pays qui en acceptent les règles. À défaut, il conviendra de chercher, par des négociations entreprises le plus tôt possible, quelle forme d’association particulièrement étroite pourra être développée avec certains pays européens qui croiraient ne pas pouvoir devenir membres de l’union douanière».

8) Sans doute est-il possible d’imaginer des formes variées «d’association particulièrement étroite» entre le marché commun et les autres pays européens. Le rapport présente une suggestion définie dans les termes ci-après:

«…s’il existe entre les pays du continent des raisons économiques et techniques décisives de choisir la formule de l’union douanière, elles n’excluent pas la possibilité d’y superposer une zone de libre-échange avec tel autre pays auquel les distances, les frais de transport, de chargement et de déchargement, permettraient, sans risque de détournement de trafic, de garder un tarif distinct à l’égard des pays tiers».

9) Je crois savoir que jusqu’ici aucun des autres pays membres de l’O.E.C.E. n’a fait connaître son intention de se joindre à l’union douanière ni accepter l’invitation des six pays à participer à la rédaction du traité sur la base du rapport des Chefs de Délégation. Il ne semble pas non plus qu’aucune négociation ait encore été entreprise avec aucun des autres pays membres de l’O.E.C.E. en vue d’établir une «association» spéciale avec le marché commun.

10) Il me paraît qu’une «association particulièrement étroite» entre le marché commun et d’autres pays pris individuellement, si elle était établie selon des méthodes en quelque sorte bilatérales, pourrait présenter de sérieux dangers, non seulement pour le travail de l’O.E.C.E. en tant que telle, mais aussi pour le régime général des échanges et des paiements en Europe. Dans ma précédente lettre, j’ai attiré l’attention sur les questions qui se posent du fait que, dans ses étapes de formation, l’union douanière comporterait un traitement différencié parmi les membres de l’O.E.C.E. Si, en outre, les Six d’une part et les autres pays pris individuellement, venaient à conclure entre eux des arrangements spéciaux et non coordonnés, la situation s’en trouverait encore aggravée. Il deviendrait très difficile de maintenir en vigueur l’Union Européenne de Paiements et le Code de Libération des Echanges. La constitution de l’union douanière se trouverait elle-même compromise par la disparition de ces systèmes.

11) Aussi je me permets de suggérer que soit examinée la possibilité d’établir une association plus étroite entre l’union douanière et les pays européens qui n’y participeront pas. Cet examen pourrait faire appel à l’idée d’une zone de libre échange, qui est suggérée dans l’extrait du rapport des Chefs de Délégation cité au paragraphe 8 ci-dessus, ainsi qu’à toute autre forme de système multilatéral susceptible d’associer l’union douanière projetée avec les autres pays européens.

12) Une entreprise de cette nature ne soulève pas seulement des questions de politique générale; elle présente aussi des aspects éminemment techniques. Ce serait sans doute faire preuve de vues bien peu réalistes que d’attendre des décisions de principe dans l’état actuel des choses, avant examen approfondi du problème technique, avant même que les propositions relatives à l’union douanière aient elles-mêmes pris une forme plus définitive.

13) Mais, compte tenu de la complexité des questions à résoudre, j’estime qu’il n’est pas trop tôt pour en entreprendre l’étude préliminaire. Il faudra aussi prévoir un cadre administratif pour la conduite de ces études.

14) La mise en route des travaux suggérés ci-dessus ne devrait en aucun cas porter préjudice aux progrès qui restent à accomplir au sein de l’O.E.C.E. en vue de promouvoir la liberté des échanges, ni en particulier à la mise en œuvre des propositions contenues dans le rapport du Comité de Direction des Echanges (C(56)167). De tels progrès ne peuvent que servir le propos des pays qui ont participé à la Conférence de Messine et aider à une association, quelle qu’elle soit, entre eux-mêmes et un groupe plus étendu; plus il aura été possible d’écarter ou d’abaisser les obstacles au commerce avant l’établissement du marché commun, plus la transition du présent état de choses s’on trouvera facilitée.

Veuillez agréer, Monsieur le Délégué, les assurances de ma haute considération.

René Sergent


1 Diretto per conoscenza alla Direzione Generale degli Affari Politici, ai Ministeri del Bilancio e dell’Industria e Commercio e alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Lussemburgo, Parigi e Washington.


2 Con il T. 14412/255 Cosmelli aveva comunicato che, nella riunione dei Capi Delegazione dei sei paesi di Bruxelles, convocata da Sergent il 13 luglio per esaminare la questione oggetto del presente documento, era stata registrata la disponibilità britannica a studiare la possibilità dell’istituzione di una zona di libero scambio e ipotizzata la costituzione di un Comitato speciale di coordinamento in ambito O.E.C.E. Il telespresso citato, non pubblicato, trasmetteva la lettera di Sergent del 31 gennaio, ugualmente relativa ai problemi delle relazioni tra l’ O.E.C.E. e i progetti di Bruxelles.


3 Vedi D. 187, nota 3.


4 Non pubblicato, ma vedi nota 2.


5 Nota del testo: «Pour l’Énergie Nucléaire, voir: par. 26 du document C(56)164 du Rapport du Comité Spécial; par. 22 du document C(56)168 révisé (projet de Résolution)».

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IL CAPO DELL’UFFICIO IVDELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 15262/1711. Bruxelles, 21 luglio 1956, ore 20,25 (perv. ore 21).

Oggetto: Mercato Comune.

Gruppo Mercato Comune ha concluso lavori non (dico non) raggiungendo accordo per mandato a Gruppo costi produzioni. Punto centrale disaccordo è rimasta consueta questione disparità carichi sociali, in particolare salari maschili femminili, durata lavoro, durata ferie retribuite.

Nonostante proposta compromesso italiana avesse raccolto accordo quattro Delegazioni, Delegazione francese non ha ritenuto accettarla. Questione è stata deferita Capi delle Delegazioni riunione 26 corrente2.

Suggerirei provvedere che Purpura partecipi Consiglio C.E.C.A. Lussemburgo per poi continuare Bruxelles, in vista delicato aspetto politico questione e conseguenze sia economiche, sia – immediate – su tale punto opinioni pubbliche e settori interessati, che decisione Capi delle Delegazioni potrebbe comportare. Gorini riferirà direttamente portando documenti. Gruppo Mercato Comune riconvocato 4 settembre.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Vedi D. 198.

197

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTI E AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

Telespr. 44/118371. Roma, 24 luglio 1956.

Oggetto: Conferenza intergovernativa di Bruxelles per Euratom e Mercato Comune.

Per opportuna informazione, si trascrive quanto il Prof. Ippolito della Delegazione italiana alla Conferenza intergovernativa di Bruxelles, ha riferito circa l’inizio dei lavori del Gruppo «Euratom»:

«Il 3-4 c.m. si è riunito per la prima volta a Bruxelles il “Gruppo Euratom” della Conferenza in oggetto, sotto la presidenza del rappresentante francese Guillaumat. Da parte italiana presenziava alla riunione soltanto il sottoscritto.

Risolte talune questioni procedurali, concernenti la supplenza eventuale del Presidente da parte del Rappresentante francese Renou e la traduzione in tedesco o dal tedesco degli interventi, il gruppo ha iniziato l’esame del documento Eur 1 (rev.) datato 26 giugno 1956, dal titolo “Progetto di articoli per la redazione del trattato istituente la Comunità atomica europea”.

Una prima discussione si svolge intorno all’art. 1. Il Delegato francese non è favorevole alla parola “comunità” che figura in detto articolo; il Delegato tedesco propone di lasciare in sospeso il nome da dare all’organizzazione finché non si saprà meglio di che cosa si tratti. Inoltre il Delegato francese (Noel) fa presente che la forma data al progetto di trattato ricorda troppo lo schema del trattato della C.E.D., che non fu troppo gradito in molti paesi.

Notevole un ulteriore intervento del Delegato tedesco, che tende esplicitamente a legare Euratom al Mercato Comune; questa nota echeggerà sempre in tutti i successivi interventi tedeschi.

Chiusa così una discussione preliminare e generale, il Presidente propone di soprassedere all’esame dettagliato del Titolo I e passare invece subito all’esame del Titolo II.

Sugli articoli II, 1, 2, e 3, alcune Delegazioni esprimono l’avviso che essi siano redatti in forma meno perentoria; i tedeschi – evidentemente a scopo dilatorio – tirano fuori la proposta di una Università europea, sulla quale presenteranno prossimamente un appunto. I francesi sostengono fortemente la necessità di un bilancio comune, per le ricerche; bilancio che deve essere in proporzione ai singoli bilanci nazionali. Su questo punto chi scrive ha richiamato l’attenzione dell’Ambasciatore Cattani in una lettera riservata in pari data2.

Per la istituzione del Centro di Ricerche di Euratom, varie Delegazioni fanno presente la opportunità che i singoli paesi presentino i loro programmi statali e privati. Sull’argomento chi scrive non ha ritenuto di dover prendere la parola perché l’Italia non ha né programmi né bilancio nucleare.

Dal modo come si è sviluppata la discussione nella prima giornata si è avuto l’impressione che i tedeschi vorrebbero molto allontanarsi dal contenuto del rapporto Spaak, cui invece il Presidente si è richiamato di continuo.

In definitiva vengono approvati, in prima lettura, ancora gli artt. II, 4 (da spezzare in due), e 5. Sulla questione del bilancio di Euratom la Delegazione francese si riserva di far pervenire una “nota”.

Sulla questione dei brevetti (art. II da 6 a 9), si è avuta un’ampia esposizione, da parte dei francesi e dei tedeschi, sui rispettivi orientamenti nel rapporto tra Stato e privati. Le posizioni sono già note. Si riscontra inoltre una diversità tra il testo degli articoli ed il rapporto Spaak e si inviterà pertanto il Comitato di redazione di attenersi a quest’ultimo.

Interessante la presa di posizione tedesca sulla utilizzazione civile di brevetti di interesse militare, dalla quale non vorrebbero rimanere esclusi.

Essendo stata rimandata la discussione del Cap. 2 (art. II da 11 a 14) si passa, in data 4 corrente, all’esame preliminare del Cap. 3 (art. II, 15 e 11, 16). Le Delegazioni belga e francese ritengono gli articoli troppo blandi.

Tutta la discussione in proposito viene però aggiornata per tenere conto di quanto frattempo avrà deciso su questo argomento l’O.E.C.E. I tedeschi anche su questo argomento hanno tenuto a ribadire lo stretto legame con il Mercato Comune.

La seduta del 4 luglio dovrebbe essere dedicata al Cap. 4 (artt. II, 18 a 28).

La presidenza è assunta da Renou, ma Guillaumat, prima di partire fa un’importante dichiarazione sull’importanza che la Delegazione francese attribuisce a questo Capitolo: occorrerà tenere conto che tra pochi anni già metà dell’energia elettrica sarà prodotta in Europa con combustibili nucleari; gli investimenti francesi per le miniere di uranio sono finora stati dell’ordine di 12 miliardi di franchi e il prezzo di costo di un Kg. di uranio metallico oscilla tra gli 11-12.000 franchi, compreso in tale prezzo l’ammortizzo degli impianti. Guillaumat propone la costituzione di un “gruppo di lavoro” che studi i problemi tecnici di questo settore e che specialmente accerti i bilanci e le possibilità dei paesi della Comunità. Dopo la dichiarazione Guillaumat vi è stata una netta presa di posizione tedesca contro il rapporto Spaak su questi punti. In sostanza i tedeschi dichiarano che per quanto concerne l’utilizzazione dei minerali e dei combustibili nucleari essi sono favorevoli alla massima sicurezza e ad un controllo strettissimo, anche sugli usi militari, con sanzioni. Per quanto invece concerne i combustibili nucleari essi sono contrari a ogni monopolio della Comunità: l’Agenzia europea dovrebbe limitarsi al ruolo di intermediaria tra i compratori e i venditori, senza esercitare alcun monopolio.

Il proseguimento della discussione è stato evidentemente influenzato da questa così netta presa di posizione tedesca. Per converso tutte le altre Delegazioni, compresa l’italiana, si sono dichiarate fedeli ai principi esposti nel rapporto Spaak. Dopo lunga discussione è prevalso il concetto, sostenuto anche da chi scrive, che il problema riveste un’importanza tale da non poter essere discusso nel Gruppo Euratom, ma dovrà essere portato all’esame dei Capi di Delegazione. Il che avverrà martedì prossimo 10 luglio3, e ai Capi di Delegazione il Presidente Guillaumat farà un ampio resoconto della questione. Dal canto suo la Delegazione tedesca farà pervenire una nota scritta illustrante il suo punto di vista.

È necessario sottolineare l’importanza dell’argomento trattato e la necessità che i rappresentanti italiani ricevano in proposito, per il proseguimento della discussione, istruzioni precise».


1 Diretto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai Ministeri del Bilancio, Difesa, Agricoltura e Foreste, Industria e Commercio e Commercio Estero, alla Banca d’Italia, al Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, allo Svi.Mez., alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Lussemburgo, Londra, Parigi e Washington, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E. e presso la N.A.T.O, a Parigi, e presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, e per conoscenza alle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari Economici.


2 Non rivenuto.


3 Non è stata rinvenuta documentazione su tale incontro. La questione venne ampiamente trattata nella riunione dei Capi Delegazione il 26 luglio, vedi D. 198.

198

IL CAPO DELL’UFFICIO IVDELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

Appunto1.

Il 26 luglio si è riunito a Bruxelles il Comitato dei Capi Delegazione della Conferenza intergovernativa per il Mercato Comune e Euratom. Da parte italiana era presente l’On. Benvenuti accompagnato da Bobba.

1) Al primo punto all’ordine del giorno era prevista una esposizione del Capo della Delegazione francese, Segretario di Stato Faure, sul recente dibattito all’Assemblea Nazionale francese circa le trattative per Euratom. L’esposto di Faure si è rivelato di particolare importanza, sopratutto nei suoi aspetti politici, e ha dato un quadro abbastanza completo della situazione francese nei confronti dei lavori della Conferenza di Bruxelles.

Dopo aver sottolineato che gli impegni presi dal Governo francese durante il dibattito e nella risoluzione approvata dall’Assemblea non sono in alcun punto in contrasto con il rapporto Spaak, a suo tempo approvato dai Ministri degli Esteri a Venezia, Faure ha segnalato alcuni elementi della situazione francese che appaiono agli occhi del Governo francese degni di particolare rilievo. Il Presidente del gruppo parlamentare repubblicano-sociale, nell’annunciare il voto in maggioranza favorevole del suo gruppo, ha sottolineato che tale voto valeva impegno morale a ratificare il trattato Euratom, quando esso sarà presentato all’Assemblea; nelle ultime settimane l’Associazione delle organizzazioni agricole, che comprende tutti i produttori agricoli francesi, ha votato unanimemente una risoluzione favorevole all’istituzione del Mercato Comune; il Consiglio dell’Economia francese infine si è espresso in favore del Mercato Comune con voto a larga maggioranza. È vero che il dibattito all’Assemblea francese ha avuto per oggetto soltanto il problema Euratom, in quanto di esso le mozioni e interpellanze di iniziativa parlamentare avevano richiesto la discussione: il Governo peraltro ha confermato durante il dibattito che i negoziati di Bruxelles si svolgono anche sull’istituzione del Mercato Comune. Faure ha concluso affermando che l’impressione ritratta dal Governo francese dai discorsi dei vari parlamentari è che questi sono stati in materia di Mercato Comune «meno reticenti di quanto il Governo si aspettasse». Egli ha quindi sottolineato l’importanza che i negoziati di Bruxelles vengano accelerati al massimo, in modo che i trattati (Euratom e Mercato Comune) possano essere presentati ai Parlamenti prima della fine dell’anno. La congiuntura parlamentare francese, che appare ora favorevole, potrebbe nuovamente deteriorarsi, in quanto vi è da attendersi che le opposizioni antieuropeistiche intensificheranno la loro azione, quanto più vedranno accrescersi le prospettive favorevoli alla realizzazione dei progetti di integrazione economica.

Su due punti il Governo. francese ritiene di dover attirare l’attenzione degli altri cinque Governi.

La questione istituzionale e in particolare il voto espresso dall’Assemblea francese che non vi sia comunità di istituzioni con la C.E.C.A. Faure ha spiegato che si tratta di una richiesta «passionale e non razionale» frutto delle precedenti polemiche interne francesi: non tenerne conto però significherebbe rendere più difficile la ratifica dei trattati da parte del Parlamento francese.

Circa il secondo punto Faure ha presentato ufficialmente la proposta di soluzione del Governo francese circa il cosiddetto problema militare in relazione allo sviluppo di armi atomiche. Essa si riassume come segue:

I sei Governi rinunciano per quattro anni ad ogni esplosione atomica non controllata, il che significa l’impegno a non costruire bombe atomiche, ma la libertà di continuare le ricerche e di dar luogo ad applicazioni militari, quali per esempio sottomarini, aerei atomici, ecc. Questa sospensione quadriennale va interpretata come l’espressione del desiderio che si realizzino finalmente, in sede internazionale, accordi sul disarmo, in particolare sul disarmo atomico.

Allo scadere dei quattro anni la Francia si impegna:

I) a consultare gli altri cinque Governi se decide di passare alla fabbricazione di bombe atomiche;

II) a sottomettere al controllo di Euratom anche l’uranio impiegato per usi militari. Le modalità di tale controllo dovranno essere concordate e si dovrà anche tenere conto delle particolari necessità relative al segreto militare;

III) a comunicare eventuali nuovi risultati delle ricerche scientifiche che fossero ottenuti durante gli studi per le applicazioni militari e che possano trovare applicazione anche nel campo civile.

2) Sentiti i rapporti dei Presidenti dei Gruppi Mercato Comune e Euratom, i Capi Delegazione hanno deciso, allo scopo di accelerare i lavori alla ripresa di settembre, le seguenti misure:

i due Comitati si riuniranno tutte le settimane dal lunedì al mercoledì compreso, i Capi Delegazione tutti i giovedì. I Capi Delegazione inizieranno subito l’esame dei problemi istituzionali – a loro riservati – in modo da dare ai due gruppi maggiori elementi per decidere le questioni direttamente o indirettamente connesse con la soluzione istituzionale. Per i primi di settembre le Delegazioni che intendano proporre soluzioni diverse da quelle delineate nel rapporto Spaak dovranno presentare una nota scritta per spiegare la loro posizione e le nuove soluzioni proposte. I due gruppi di lavoro, terminata nella prima settimana di settembre la prima lettura dei progetti di trattato, passeranno alla seconda lettura nella quale dovranno essere conclusi tutti i negoziati e gli accordi possibili al loro livello: a tale scopo le Delegazioni dovranno presentare emendamenti scritti ai progetti di trattato preparati dal Comitato di redazione.

Per quanto concerne Euratom le Delegazioni si sono impegnate a presentare entro il 20-25 agosto i documenti sui diversi problemi dell’organizzazione delle ricerche in comune e entro i primi giorni di settembre i documenti sul problema degli approvvigionamenti.

3) Il Comitato dei Capi Delegazione ha infine provveduto all’approvazione definitiva dello statuto per un sindacato di studi per la costruzione dell’officina europea di separazione isotopica dell’uranio, nominato Presidente del Comitato Esecutivo il Sig. Goldschmidt francese e Vice Presidente il Sig. Pretsch, tedesco. È stata inoltre decisa la creazione di: un gruppo di studio per la costruzione di una fabbrica di separazione chimica: Presidente del gruppo è stato nominato il tedesco Sig. Pollandt; un gruppo di studio dei bisogni e risorse in minerali e combustibili nucleari, la cui Presidenza è stata affidata al Sig. Kramer olandese e i cui lavori dovranno terminare entro il 30 settembre p.v.; un gruppo di lavoro per il calcolo delle tariffe verso i paesi terzi.

4) Per quanto concerne invece la questione, delicata e di difficile soluzione, dell’esame delle distorsioni provocate dalla differenza dei carichi sociali gravanti sulle industrie dei sei paesi, dopo lunga discussione è stato riconosciuto che il problema ha bisogno di ulteriore approfondimento da parte dei Capi Delegazione e che in particolare la Delegazione francese deve far conoscere esattamente quale sia il suo pensiero, chiarendo se le soluzioni proposte dal rapporto Spaak le sembrano o meno sufficienti e, in caso negativo, quali altre soluzioni ritenga di proporre. La questione sarà quindi messa all’ordine del giorno nella riunione dei Capi Delegazione del 6 settembre p.v.

5) Nella stessa riunione i Capi Delegazione hanno esaminato la proposta italiana di consultazione circa la risposta da dare alla recente dichiarazione sovietica in materia di cooperazione regionale europea nel settore dell’energia nucleare.

Le conclusioni in proposito, meno complete di quanto ci si potesse attendere, in quanto alcuni delegati non avevano avuto istruzioni sufficientemente chiare dai rispettivi Governi, possono riassumersi come segue.

Il principio della consultazione è stato accolto, con l’intesa che nessun Governo darà risposta unilaterale prima che la consultazione sia avvenuta. In linea generale è stato ritenuto che la consultazione dovrebbe avere per scopo la definizione di un atteggiamento comune, di tracciare le linee principali della risposta al Governo russo, esaminando il problema nel più ampio quadro dell’offensiva economico-politica del blocco sovietico.

L’atteggiamento comune dei Sei servirà poi per la consultazione in sede N.A.T.O.

I Capi Delegazione discuteranno il problema di fondo nella riunione del 6 settembre2.


1 Il documento, datato Roma 28 luglio, fu trasmesso (Telespr. 44/12462 del 7 agosto) alla Presidenza del Consiglio, ai Ministeri del Bilancio, Finanze, Tesoro, Difesa, Lavori Pubblici, Agricoltura e Foreste, Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, Industria e Commercio, Lavoro e Previdenza Sociale e Commercio Estero, al Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, allo Svi.Mez. e alla Banca d’Italia, alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Lussemburgo, Londra, Parigi e Washington, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E. e presso la N.A.T.O., a Parigi e presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, e per conoscenza alle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari Economici.


2 In vista di tale riunione, il Governo italiano preparò un documento di lavoro, come proposta di schema di risposta comune dei Sei alla Dichiarazione sovietica del 12 luglio, per il quale vedi D. 205, Allegato.

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L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 14021/18301. Bonn, 1° agosto 1956.

Oggetto: La Germania, l’Euratom e il Mercato Comune.

Il rapporto n. 1328 dell’Ambasciatore a Parigi sull’Euratom2 (rapporto che ho potuto leggere solo al mio rientro dal periodo di congedo) contiene delle considerazioni così interessanti, tanto in loro stesse quanto più specialmente in relazione alla Germania, che desidero aggiungervi per mia parte talune osservazioni.

Ho ripetutamente riferito (e per ultimo in una lettera all’Ambasciatore Cattani)3 in merito all’atteggiamento tedesco nei riguardi dell’Euratom e del Mercato Comune: non credo perciò utile riprendere in pieno la questione, ma soltanto limitarmi (e proprio per appoggiare da questo osservatorio le conclusioni alle quali giunge il collega di Parigi) a qualche precisazione ulteriore.

Allorché si parla di atteggiamenti o di desideri tedeschi occorre, più che non in altri paesi, fare una distinzione ben netta fra volontà e intendimenti del Governo e desideri dei circoli e degli ambienti interessati, per quanto si imponga del resto una sotto-distinzione anche circa le direttive del Governo stesso. Infatti, non v’è dubbio che il Cancelliere è ancora sinceramente europeista, e che a lui che si deve se la Germania, a Messina come a Bruxelles, sia giunta al punto ov’è pervenuta. I motivi per cui egli è europeista, si possono riassumere in uno solo: la preoccupazione che egli ha di quello che potrebbe essere la Germania abbandonata a sé stessa, e non ancorata all’Occidente, una Germania per così dire «germanizzata» e non «europeizzata».

Ma già i suoi Ministri non pensano come lui, o per lo meno non si trovano più al suo diapason. Sia per motivi elettorali, sia per ragioni di prestigio, sia per ragioni tecniche, i Ministri tedeschi sono ormai indietro della mano. Nel primo ordine di motivi (elettorali) stanno alla base le preoccupazioni per gli interessi agricoli: nel secondo, (di prestigio) quelle che si ispirano agli ambienti industriali e scientifici per quanto riguarda l’Euratom: nel terzo, (tecniche) le preoccupazioni di Erhard circa la necessità che il Mercato Comune, qualunque sia la sua intensità. non costituisca una zona di preferenza a danno o ad esclusione del mondo esteriore.

Questo, lo stato d’animo dei Ministri competenti. Ma sono soprattutto gli ambienti interessati – economici e scientifici – a elevare le loro opposizioni, o quanto meno a svolgere azione di freno. Per quanto concerne la parte economica, gli industriali non temono la concorrenza degli altri partners alla stessa stregua di quanto invece la temono gli agricoltori: gli industriali sono soprattutto preoccupati di perdere i mercati esteriori al Mercato Comune, senza poter guadagnare in quest’ultimo una espansione di molto superiore a quella che vi hanno già raggiunta.

Riluttanze di studiosi e di industriali poi si sommano allorché si tratta di Euratom. Essi sanno benissimo che se fosse lasciata a sé stessa, la Germania, per le sue possibilità e per le sue doti, prenderebbe la «leadership» e batterebbe ampiamente tutti i concorrenti europei: e se si acconciano a sopportare l’Euratom qual è previsto attualmente, ciò è dovuto a due motivi: uno, perché esso consente di aggirare o di oscurare l’umiliante discriminazione imposta dal Trattato di Parigi, e l’altro perché mettendo in comune le risorse dei Sei, la Germania sarà meglio in grado di fronteggiare quelle delle tre nazioni atomiche più grandi, e soprattutto di prendere la testa della combinazione, rafforzando anche le possibilità tedesche di rifornirsi delle materie prime indispensabili.

Tra tali diverse tendenze – quella favorevole del Cancelliere, quella meno favorevole dei suoi Ministri e quella sfavorevole degli ambienti interessati o di buona parte di essi – si è formata, come sempre avviene, una media che è la risultante di forze opposte, e che si sta lentamente stabilizzando, dopo le esitazioni e gli ondeggiamenti che non hanno per altro ancora cessato di prodursi. Il Cancelliere ha – come sempre – finito coll’imporre la sua volontà, ma questa volta, non in maniera così completa e assoluta come in altri settori; e tale volontà, per motivi di politica interna ed elettorale connessi con la situazione generale, potrebbe per l’avvenire essere meno decisa, oltre che meno decisiva.

Concordo perciò col collega Quaroni su questi tre punti: che bisogna affrettarsi (per non esporsi anche in Germania agli stessi pericoli di retrogressione che egli prevede per la Francia): che è meglio accontentarsi di accostamenti progressivi, senza voler raggiungere definitive soluzioni di insieme che anche in Germania sarebbero improbabili (perché l’opinione tedesca è in conclusione fredda pel Mercato Comune e poco calda per l’Euratom): che è opportuno evitare di porre uno «junctim»4 netto fra i due termini del rilancio europeo (perché se la Francia, non volendo il Mercato Comune, abbandonasse anche quel poco che è disposta a fare per l’Euratom, è probabile che in Germania se ne approfitterebbe per sostenere che tutta la politica filo-francese e filo-europeista del Cancelliere non è riuscita, e in tal modo si rischierebbe di non far più, non solo l’Europa a sei, ma neppure quella a cinque).

Tale «junctim», che i tedeschi pongono ancora a Bruxelles fra Mercato Comune e Euratom, è da essi sostenuto in buona oppure in mala fede? È cioè avanzato, in altre parole, nell’illusione di forzare la mano alla Francia, oppure nella speranza segreta di provocare un fiasco generale?

A questa domanda in certo senso del resto superflua, è difficile dare una risposta precisa. Probabilmente, si tratta di un miscuglio di buona e di cattiva fede, in relazione ai momenti, alle occasioni e alle persone che di volta in volta sostengono tale tesi: miscuglio in cui entrano anche la metodicità tedesca oltre che il desiderio di compensare i danni dell’uno e dell’altro settore con i vantaggi di questo o di quello, nonché l’aspettativa di mettere un’altra volta, dopo la C.E.D., i francesi con le spalle al muro. Ma sta di fatto, da un lato che questo «junctim» c’è, e dall’altro che, proprio come all’epoca della C.E.D., esso rischia di far tutto perdere per eccesso d’ambizione. Il che appunto dovrebbe consigliare, ammaestrati come siamo da quell’esperienza, a procedere con cautela in modo da far sì che, a piccoli passi, i francesi vengano a trovarsi prigionieri del giuoco iniziato, evitando di sostenere noi i tedeschi in una posizione che – sia essa assunta in buona o in mala fede – rischia di compromettere tutto e definitivamente5.


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Parigi.


2 Vedi D. 193.


3 Non rinvenuto.


4 Sic.


5 Per il seguito vedi D. 209.

200

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 1402/9351. Parigi, 3 agosto 1956.

Oggetto: Accordo di cooperazione atomica franco-americano. Commenti del Commissariato per l’energia atomica al voto dell’Assemblea Nazionale su Euratom ed alle riunioni dell’ultimo Consiglio nazionale O.E.C.E.

Riferimento: Telespresso di codesto Ministero n. 44/11074 del 10 luglio 19562.

Abbiamo pregato Renou di volerci dare ulteriori chiarimenti circa la portata dell’accordo di cooperazione franco-americano in relazione alle osservazioni fatte da codesto Ministero con il telespresso in riferimento.

Renou ci ha preliminarmente precisato che quando, nella conversazione precedente, aveva accennato ad «accordi tipo stipulati dagli Stati Uniti con una trentina di paesi», intendeva riferirsi agli accordi conclusi dagli americani prima dell’applicazione del nuovo programma di assistenza lanciato da Eisenhower, ed implicanti la cessione di 6 kg di uranio arricchito, da utilizzare solo nei reattori sperimentali. Inoltre il nostro interlocutore aveva voluto particolarmente sottolineare, quando aveva parlato del riconoscimento americano della posizione raggiunta dalla Francia in campo nucleare, come il recente accordo offrisse alla stessa Francia più di quanto Strauss, malgrado l’«attivismo» da lui spiegato a Washington, fosse, almeno fino a quel momento, riuscito a conseguire per la Germania (la quale rappresenta sempre per i francesi il termine fondamentale, se non unico, di paragone).

Per quanto riguarda il quantitativo di uranio arricchito ceduto dagli Stati Uniti, Renou ha tenuto a sottolineare che l’accordo franco-americano fissa un limite massimo di 40 kg, e non di mezza tonnellata, come invece prevedono gli accordi conclusi dagli stessi Stati Uniti con la Svizzera, l’Australia ed i Paesi Bassi, unicamente perché il Governo francese non ha voluto chiedere di più: mai, però, nel corso delle trattative, gli americani hanno dato l’impressione che avrebbero opposto un rifiuto ad una maggiore richiesta francese.

È da escludere, pertanto, nella maniera più categorica, che gli Stati Uniti abbiano voluto riservare alla Francia, rispetto alla Svizzera, l’Australia e la Olanda, un trattamento discriminatorio (il che, del resto, ci è stato confermato da questa Ambasciata americana).

Renou ci ha esposto le ragioni che hanno indotto il Commissariato a chiedere un quantitativo di combustibile arricchito relativamente modesto:

1) Tale quantitativo è ritenuto sufficiente per il funzionamento dei reattori sperimentali ad uranio arricchito che il Commissariato stesso si propone di costruire: non vi è, perciò, nessuna ragione che la Francia sostenga dei rilevanti oneri finanziari, per l’acquisto di un quantitativo maggiore di combustibile dagli Stati Uniti, quando è già in corso la realizzazione di un importante programma atomico francese, basato sulla utilizzazione dell’uranio naturale, nel centro di Marcoule.

2) In ogni caso, secondo il sistema instaurato dall’accordo franco-americano, il quantitativo di 40 kg è soltanto il massimo che la Francia può ottenere pro tempore (in nessun momento, cioè, il combustibile ceduto dagli americani deve superare questo «plafond»); ma nulla esclude che, rinviando man mano l’uranio già «lavorato» in America ed ottenendone la graduale sostituzione con altro combustibile arricchito, la Francia possa finire per conseguire, nel decennio dell’accordo, un quantitativo complessivo pari alla mezza tonnellata.

3) L’opinione del Commissariato è che, per un paese come la Francia, che sta già predisponendo la sua infrastruttura atomica e che vuole, per quanto è possibile, procedere da sé sulla via del progresso tecnico ed industriale, l’aiuto americano deve soltanto servire a sviluppare la tecnica dei reattori per la soluzione del problema economico della produzione dell’energia atomica, ma non può implicare dei vantaggi economici diretti ed immediati, anche perché non potrebbe concretarsi, in un primo tempo, in un aumento rilevante della produzione dell’energia elettrica: il Commissariato, infatti, ha calcolato che, in relazione al tempo necessario per mettere a punto l’attrezzatura idonea e data la lentezza con cui viene consumato il combustibile nucleare arricchito, l’utilizzazione, in media, di due tonnellate di uranio arricchito ogni cinque anni permetterebbe soltanto di realizzare, da qui a dieci anni, una produzione di elettricità di appena l’1% della produzione nazionale.

4) Naturalmente, tutte queste considerazioni sono valide se ci si basa (come fa il Commissariato) sul presupposto che la Francia vuole, da un canto perseguire il suo programma atomico nazionale, impostato sulla reazione dell’uranio nazionale e la contemporanea produzione del plutonio, indipendentemente dall’aiuto americano; e, dall’altro, si ripromette con questo aiuto di arrivare da sola alla costruzione di reattori di potenza ad uranio arricchito, senza acquistarli direttamente dagli Stati Uniti (come probabilmente intendono fare la Svizzera, l’Australia e la Olanda).

5) Il Commissariato ha limitato la sua richiesta di uranio arricchito anche per contenere entro limiti modesti l’incidenza del controllo americano sul programma atomico francese. Se è vero, infatti, che l’accordo di cooperazione non fa della Francia un satellite atomico degli Stati Uniti, come vanno affermando Dehème e compagni, è pure vero che l’impiego contemporaneo di mezza tonnellata di uranio arricchito, allargando il campo degli errori e degli storni possibili nella «comptabilité-matière», aumenterebbe notevolmente la difficoltà di assicurare agli Stati Uniti il controllo su tutti i sottoprodotti del loro combustibile e di evitare, nello stesso tempo, ogni loro interferenza nei procedimenti di impiego del materiale francese o, comunque, di provenienza non americana.

6) Non si può scartare a priori la possibilità che l’«Electricité de France», quando entrerà in funzione – secondo il programma previsto – la sua centrale di uranio arricchito nel 1961, si rivolga all’United States Atomic Energy Commission per ottenere dei quantitativi maggiori di combustibile, necessari per il funzionamento della centrale stessa.

Per concludere, Renou non ritiene, sebbene il Commissariato non abbia precisi elementi al riguardo, che l’offerta di forti quantitativi di uranio arricchito, come quelli ottenuti dalla Svizzera, dall’Australia e dalla Olanda, sia espressamente condizionata dagli americani all’impegno dei paesi beneficiari di acquistare o di far costruire negli Stati Uniti dei reattori nucleari; tuttavia, è evidente che una decisione del genere, da parte dei paesi stessi, è l’unica che possa tecnicamente, e quindi finanziariamente, giustificare l’offerta stessa.

Nel corso della conversazione, abbiamo chiesto a Renou quali sono le impressioni del Commissariato sul recente voto dell’Assemblea Nazionale su Euratom. La risposta è stata che il risultato del dibattito alla Camera può considerarsi molto soddisfacente: in primo luogo, perché l’ordine del giorno governativo, approvato dall’Assemblea, da un canto garantisce lo sviluppo atomico del programma nazionale e lascia aperta la strada per la fabbricazione delle armi atomiche senza pregiudicare lo svolgimento delle relative ricerche, e, dall’altro, offre alla Delegazione francese a Bruxelles la necessaria libertà di manovra per collaborare sinceramente ed efficacemente all’obbiettivo comune di realizzare al più presto possibile l’accordo definitivo su Euratom (anche Renou è del parere che le possibilità di una ratifica parlamentare del trattato istitutivo di Euratom sono tanto maggiori quanto prima si raggiunge l’accordo); in secondo luogo, perché si è potuto raggiungere in Francia, sia pure attraverso un compromesso, una unità di indirizzo nella politica di cooperazione atomica europea, che certamente faciliterà il compito della stessa Delegazione francese, la cui azione a Bruxelles aveva finora risentito dei contrasti di tendenza esistenti fra le varie correnti politiche e in seno alla stessa maggioranza governativa. Al Commissariato tengono a mettere in rilievo il contributo dato da Perrin, con la sua relazione alla Camera, al successo del programma governativo; sottolineano che la procedura, imposta da Mollet, di chiamare i tecnici alla tribuna parlamentare era l’unica che potesse consentire al Parlamento di pronunciarsi con una certa conoscenza di causa. Renou ci ha accennato in proposito ad un episodio significativo, che confermerebbe come l’iniziativa di Mollet non sia stata dettata da ragioni di opportunità politica ma dalla necessità di informare il Parlamento e lo stesso Governo degli aspetti teorici fondamentali della questione: dopo i discorsi di Perrin e di Armand, quando nei «passi perduti» la maggior parte dei deputati presenti riconosceva ai due tecnici il merito di aver chiarito in termini precisi e convincenti problemi che fino allora apparivano incomprensibili, Félix Gaillard si è lasciato scappare, riferendosi ai due discorsi, che «tutto questo, ormai, lo sapevamo da un pezzo»; ma Mollet ha subito replicato: «Voi personalmente lo sapevate, ma tutti noi certamente no».

Per quanto riguarda l’ultima riunione ministeriale dell’O.E.C.E. al Commissariato si ritiene che essa ha aperto delle prospettive concrete per un coordinamento tra le forme di cooperazione prospettate nella stessa O.E.C.E. e Euratom; ma ha anche riaffermato la coesione del blocco dei Sei nelle questioni la cui soluzione potrebbe avere ripercussioni più o meno dirette sui programmi previsti per Euratom.

Renou ha anche precisato che la riserva francese di limitare il controllo di sicurezza sulle imprese comuni ai paesi che effettivamente partecipano a queste ultime, rispecchia esattamente il punto di vista del Commissariato: anzi, si può dire che questa riserva costituisce uno dei suoi «punti fermi» in materia di controllo.


1 Diretto per conoscenza alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E. a Parigi.


2 Non pubblicato.

201

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI,CARROBIO DI CARROBIO,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD UFFICI CENTRALI

Telespr. 44/12347/c.1. Roma, 4 agosto 1956.

Oggetto: Conferenza intergovernativa di Bruxelles. Programma di lavoro del Comitato interministeriale di coordinamento.

Riferimento: Telespr. min.le n. 44/9918 del 18 giugno 19562.

Questo Ministero ha provveduto a diramare – fra gli altri – i documenti «Mar. Com. 17» (vedi telespresso n. 44/12101 del 31 luglio scorso)2 e «Eur. 1 (rév.)» (vedi telespresso n. 44/10680 del 2 luglio scorso2: di quest’ultimo documento è stata fatta una diramazione ristretta ed un unico esemplare. Si fa riserva di completarla non appena perverranno le altre copie, richieste a Bruxelles).

Come è noto, tali documenti contengono i progetti di articoli dei trattati per il Mercato Comune, e, rispettivamente, Euratom, redatti sulla base del rapporto Spaak.

Nel corso delle ultime riunioni di Bruxelles fra i Capi Delegazione3, è stato deciso quanto segue:

1) le Delegazioni che hanno obiezioni di fondo contro la accettazione di qualcuna delle soluzioni prospettate nel rapporto Spaak, sono tenute a presentare al Segretariato della Conferenza – entro il 1° settembre prossimo – note scritte, illustranti tali obiezioni ed i motivi sui quali queste sono basate, nonché quali altre soluzioni le Delegazioni propongono e gli argomenti in appoggio a tali soluzioni.

Allo scopo di predisporre, da parte italiana, quanto necessario al riguardo, occorre che le eventuali note delle Amministrazioni interessate pervengano a questo Ministero entro il 20 agosto corrente, affinché possano essere esaminate dal Comitato interministeriale di coordinamento presieduto dal Sottosegretario On. Badini Confalonieri, nel corso di riunioni che avranno luogo a fine agosto, in date che lo scrivente si riserva di comunicare.

2) È stato inoltre deciso, dai Capi Delegazione, che le eventuali proposte di emendamenti ai due progetti di trattato, dovranno essere presentate dalle Delegazioni in occasione della seconda lettura dei progetti stessi, che avrà luogo a partire dai primi del settembre prossimo.

Tali progetti di emendamenti si riferiscono evidentemente a soli problemi di dettaglio, migliore redazione, soluzioni di problemi di minore importanza non previste o insufficientemente chiarite dal rapporto Spaak, ecc. ecc.

Eventuali suggerimenti al riguardo da parte delle Amministrazioni interessate, dovranno pervenire a questo Ministero entro il 25 agosto corrente, già redatte sotto forma di proposte di emendamenti ai singoli progetti di articoli, con breve spiegazione che illustri la differenza fra i progetti di articoli dei citati documenti «Eur. 1 (rév.)» e «Mar. Com. 17» e gli emendamenti proposti.

Fa eccezione, per ora, a quanto qui sopra indicato sotto 2, il Capitolo 3 del documento «Mar. Com. 17» (riguardante l’agricoltura) che non è stato ancora redatto (e figura «per memoria» nel citato documento).

Le Amministrazioni e gli Enti in indirizzo sono pregati di inviare le note, di cui ai numeri 1 e 2 qui sopra, a questo Ministero e per conoscenza agli altri Enti ed Amministrazioni, affinché i rispettivi rappresentanti ne abbiano conoscenza prima delle riunioni del Comitato interministeriale di coordinamento e siano pronti a discuterle in tale sede.


1 Diretto alla Presidenza del Consiglio, ai Ministeri del Bilancio, Finanze, Lavori Pubblici, Tesoro, Difesa, Agricoltura e Foreste, Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, Industria e Commercio, Lavoro e Previdenza Sociale e Commercio Estero, al Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, allo Svi.Mez., alla Banca d’Italia e alle Direzioni Generali degli Affari Politici e dell’Emigrazione.


2 Non pubblicato.


3 Vedi D. 198.

202

IL CAPO DELL’UFFICIO IVDELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, BOBBA,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTI E AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

Telespr. 44/124191. Roma, 4 agosto 1956.

Oggetto: Conferenza intergovernativa di Bruxelles per Euratom e Mercato Comune. Mercato Comune europeo: atteggiamento del Governo britannico.

A seguito di precedenti segnalazioni sull’argomento, si trascrive quanto l’Ambasciata d’Italia in Londra ha ulteriormente riferito – con rapporto in data 26 luglio scorso – circa l’atteggiamento del Governo britannico nei confronti del progetto di Mercato Comune europeo:

«Il Cancelliere dello Scacchiere ha ieri schematicamente riassunto in Parlamento i risultati dei recenti lavori del Consiglio dei Ministri dell’O.E.C.E.2 ed ha risposto ad alcune interrogazioni rivoltegli dai deputati Edwards, Healy, McAdden e Bowen e relative all’atteggiamento britannico nei confronti delle varie iniziative per una integrazione economica europea.

Nel render note le recenti decisioni di Parigi, Macmillan ha tenuto a precisare che, per quanto riguarda lo studio che verrà iniziato dall’O.E.C.E. circa una possibile forma associativa – da attuarsi mediante la creazione di una zona di libero scambio – tra la progettata unione doganale a sei e gli altri paesi O.E.C.E.3, nessun impegno era stato preso da parte dei paesi partecipanti con la linea d’azione che si intende ora perseguire in questo campo. Il Cancelliere ha peraltro aggiunto che, a suo parere, non riteneva che i futuri lavori fossero per tal motivo meno importanti.

Al termine delle dichiarazioni è stato richiesto al Cancelliere se gli studi iniziati dall’O.E.C.E. dovevano essere interpretati nel senso che il Governo britannico aveva già abbandonato definitivamente l’idea di una possibile partecipazione diretta alla progettata unione doganale europea e se si era tenuto conto delle due mozioni presentate al Parlamento relative al Mercato Comune.

Le due mozioni accennate, molto simili tra di loro benché presentate l’una dalla parte laburista e l’altra da quella conservatrice, richiedono ambedue che il Governo britannico aderisca in linea di massima alla creazione di un Mercato Comune europeo ed accetti l’invito a partecipare ai negoziati che hanno luogo tra i sei paesi interessati.

Il Cancelliere si è limitato a dare assicurazione che la posizione del Governo era del tutto aperta: gli studi intrapresi avrebbero reso possibile conoscere su quali linee avrebbe potuto basarsi un’utile cooperazione. Egli poi, sottolineando le note difficoltà cui dovrebbe far fronte la Gran Bretagna per conciliare i tradizionali interessi che la legano al Commonwealth con le nuove possibilità offerte da un Mercato Comune europeo, ha dichiarato che, pur non essendo in grado di affermare che tali problemi possano venire in futuro risolti, il Governo intende considerare la questione con “open mind”.

Il Cancelliere dello Scacchiere ha inoltre fatto presente, nel corso delle interrogazioni, che per quanto riguardava il secondo progetto allo studio all’O.E.C.E., diretto, come noto, ad attuare una riduzione delle tariffe doganali da parte dei paesi membri, esso rimaneva quale seconda possibile alternativa per risolvere il problema della partecipazione britannica all’integrazione europea. Tale soluzione sarebbe da certi ambienti qui – specialmente da parte dei tecnici – ritenuta come più conveniente e sopratutto meno impegnativa per il Regno Unito.

Resta peraltro il fatto che Macmillan, pur senza assumere un netto atteggiamento nei riguardi dei problemi di fondo, si è espresso in termini che lasciano aperta qualsiasi possibilità agli sviluppi futuri della politica britannica nei riguardi dell’integrazione economica europea. Si tratta, in sostanza, di una conferma di quella maggiore elasticità che avevo già segnalato».


1 Diretto agli stessi destinatari di cui al D. 198, nota 1.


2 Vedi D. 187, nota 3.


3 Vedi D. 195.

203

IL CONSIGLIERE DELLA RAPPRESENTANZAPRESSO L’O.E.C.E., MACCOTTA,ALLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI,UFFICI IV E VII

Telespr. riservato 3710/28051. Parigi, 17 agosto 1956.

Oggetto: Proposte sovietiche di accordi europei di cooperazione economica e per l’energia atomica: richiesta britannica di discussione in sede O.E.C.E.

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 44/11711 del 2 c.m2.

La Delegazione britannica ha inviato alle Missioni Permanenti presso l’O.E.C.E. dei paesi membri del N.A.T.O. una lettera confidenziale in data 15 corrente, di cui allego copia. In essa si propone che vi sia una discussione in sede O.E.C.E. della proposta fatta dall’Unione Sovietica alla Commissione Economica Europea di Ginevra per un accordo europeo di cooperazione economica, nonché della recente dichiarazione russa sulla convocazione di una conferenza per l’istituzione di un organismo regionale europeo per gli usi pacifici dell’energia atomica3.

La lettera si riferisce ad analogo suggerimento avanzato in data 14 corrente al Consiglio Atlantico dalla Delegazione britannica, aggiungendo peraltro che da parte del Regno Unito si ritiene opportuna una discussione anche in sede O.E.C.E., ove pertanto l’argomento verrà sollevato dopo le vacanze.

A titolo informativo, aggiungo che alcuni giorni or sono il Segretariato Generale dell’O.E.C.E. aveva trasmesso a tutte le Delegazioni il testo delle proposte formulate a Ginevra dalla Delegazione sovietica, così come esso era stato comunicato dalla Delegazione dell’U.R.S.S. al Segretariato della C.E.E.

Prego codesto Ministero di voler cortesemente fornire ogni utile indicazione sull’atteggiamento che dovrà assumersi da parte nostra quando la questione verrà sollevata al Consiglio o, più probabilmente, in una riunione ufficiosa di Capi Delegazione4.

Allegato

L. confidenziale. Parigi, 15 agosto 1956.

Dear Ambassador Cosmelli,

You will doubtless be aware of the suggestion made yesterday by Sir Christopher Steel at the Council of the North Atlantic Treaty Organization that there should be an exchange of views on the proposal made by the U.S.S.R. in the E.C.E. for an all-European Agreement on Economic Co-operation and the recent Russian statement advocating the convening of a conference of European countries to discuss the establishment of an all-European Regional Organization for the Peaceful Uses of Atomic Energy. He also expressed the hope that Governments would prefer to await this discussion before sending their views on these two matters to the Executive Secretary of the E.C.E.

In the absence of Sir Hugh Ellis-Rees, I am writing to you and the representatives of other Member countries of the Organization for European Economic Co-operation who are members of the North Atlantic Treaty Organization, as well as those of Canada and the United States, to say that the United Kingdom Delegation considers that it would be great value if, similarly, there was a prior discussion in the Organization for European Economic Co-operation and that they will, therefore, raise these matters there after the recess.

I am also putting this view to the representatives of the Member countries of the Organization for European Economic Co-operation, who are not members of the North Atlantic Treaty Organization, but without of course mentioning the discussion in that body.

Yours sincerely

G. Lanchin


1 Il documento era diretto per conoscenza alla Direzione Generale degli Affari Politici, al Ministero del Bilancio, all’Ambasciata a Londra e alle Rappresentanze presso le Nazioni Unite a New York, la N.A.T.O. a Parigi e le Organizzazioni Internazionali a Ginevra.


2 Non pubblicato.


3 Vedi D. 192.


4 Per il seguito vedi D. 205, nota 4 e D. 208, nota 2.

204

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI,CARROBIO DI CARROBIO,ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., A PARIGI

T. 9273/294. Roma, 20 agosto 1956, ore 24.

Suo 2701.

Autorizzasi e designasi dottor Giuseppe Ferlesch Direttore Generale Piani Scambi Mincomes. Suo sostituto Fracassi di codesta Delegazione.

Con costituzione Gruppo speciale zona libero scambio, in considerazione anche fatto che Presidenza è stata affidata a Snoy, riterremmo che, almeno primo momento, problema collegamento O.E.C.E.-Conferenza Bruxelles sia risolto per quanto concerne Mercato Comune. Comunque, ove maggior parte membri insistesse perché risoluzione Consiglio 21 luglio – documento L/(56) 197 – sia messa in esecuzione nonostante sua formulazione in senso facoltativo, dovremmo riservare nostra posizione finché sei Capi Delegazione ne abbiano discusso a Bruxelles.

In conclusione vedremmo collegamento O.E.C.E.-Bruxelles articolato su due «canali»: gruppo libero scambio per problemi Mercato Comune; gruppo collegamento energia nucleare cui composizione procedura e funzionamento potranno essere costì discussi e decisi dopo esame Capi Delegazione Bruxelles di cui telespresso questo Ministero n. 44/12773 del 13 agosto corrente2.


1 T. 16922/270 del 7 agosto, con il quale Cosmelli aveva richiesto la conferma dell’adesione italiana ai lavori del Gruppo speciale per la zona di libero scambio e l’indicazione dei nominativi dei Rappresentanti designati.


2 Non pubblicato.

205

L’AMBASCIATA A PARIGIAL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI DI FRANCIA

Promemoria riservato 14721. Parigi, 21 agosto 1956.

AIDE-MÉMOIRE

Lors des discussions préliminaires qui ont eu lieu à la Conférence de Bruxelles le 26 juillet dernier entre les six pays engagés dans les travaux pour la rédaction du traité définitif sur l’Euratom2, les chefs de délégation sont convenus de se consulter, au cours de la prochaine réunion du 6 septembre 1956, sur la réponse à donner au Gouvernement soviétique au sujet de sa proposition de créer une organisation économique européenne pour l’exploitation pacifique de l’énergie atomique3.

En vue de cette prochaine réunion, le Gouvernement italien a préparé le document de travail ci-joint, qui représente un schéma des points pouvant inspirer la réponse commune à la Déclaration soviétique du 12 juillet 1956.

Ce document est soumis à l’examen préalable des Ministres des Affaires Étrangères des cinq autres pays adhérant au projet Euratom. Si son contenu obtient l’accord de principe de ces pays, le Gouvernement italien propose de tenir le 4 ou le 5 septembre, à Bruxelles, une réunion de fonctionnaires chargés de rédiger le texte définitif du document à soumettre à l’approbation finale des chefs de délégation le 6 septembre 1956.

La proposition d’une réunion préalable de fonctionnaires aurait aussi pour but d’alléger le programme des travaux, déjà assez chargé, des chefs de délégation.

Le Gouvernement italien désirerait connaître, dès que possible, si le Gouvernement français approuve en principe le contenu du document et s’il est d’accord sur la procédure à suivre.

Le Gouvernement italien se réserve, d’autre part, de promouvoir, dès que l’attitude commune des six Gouvernements sera définie, une consultation des délégués permanents au sein de l’O.T.A.N., en soumettant à ces derniers le document commun approuvé par les chefs de délégation dans la réunion de Bruxelles du 6 septembre 19564.

Allegato

DOCUMENT DE TRAVAIL

1) L’intérêt des pays de l’Europe occidentale, dans le domaine de l’exploitation pacifique de l’énergie nucléaire, se résume dans la nécessité d’une coopération approfondie entre les pays ayant atteint un haut développement industriel et technique.

L’Europe occidentale a un besoin urgent de créer d’autres sources d’énergie pour satisfaire les exigences toujours croissantes de sa propre industrie, devant lesquelles, bientôt, elle ne pourra plus faire face avec ses sources traditionnelles, ni avec les développements de ces dernières qui sont assez limitées.

L’énergie atomique offre, à ce sujet, son importante contribution mais, pour que l’Europe puisse en bénéficier, il faudrait – pour ne pas rester en arrière devant les rapides progrès techniques de chaque jour – disposer non seulement de moyens d’étude, d’information, de recherche et d’expérimentation, mais – surtout – organiser la production sur une échelle tellement étendue et avec des frais d’installation si élevés, qu’aucun des pays intéressés n’aurait la possibilité d’affronter avec ses propres moyens. Pour les pays de l’Europe occidentale, l’intégration technique et financière représentent une base indispensable en vue d’un réel progrès dans l’exploitation de l’énergie nucléaire.

2) Le genre de collaboration que la Déclaration soviétique offre maintenant est limité, au contraire, à l’échange d’informations qui n’apparaît pas, en vérité, suffisant pour assurer à l’Europe occidentale les possibilités et les ressources nécessaires sus-indiquées. D’autant plus que, dans le domaine limité des échanges d’informations, d’autres organisations qui existent déjà – telles que le C.E.R.N. – ou en voie de réalisation – telles que l’Agence Internationale pour l’Énergie Atomique – semblent offrir de satisfaisantes possibilités de coopération sur le plan européen et mondial. Étant donné qu’à cette Agence Internationale adhèrent aussi les pays de l’Europe orientale, l’organisme que le Gouvernement soviétique proposerait d’instituer n’offrirait par la suite aucun avantage pratique.

3) Les pays de l’Europe occidentale – par l’intermédiaire des organismes qu’ils sont en train de créer dans le domaine des emplois pacifiques de l’énergie nucléaire (Euratom et Comité Nucléaire au sein de l’O.E.C.E.) – ont constamment en vue l’institution d’un système sévère de contrôle qui empêche toutes «déviations» vers des emplois militaires occultes des produits et sous-produits du processus d’exploitation de l’énergie nucléaire. L’Europe occidentale veut, de cette manière, éviter fermement qu’une partie plus ou moins grande des combustibles nucléaires puisse échapper à un contrôle constant et être utilisée pour une destination autre que celle décidée par les Gouvernements et les opinions publiques.

La Déclaration soviétique, en même temps qu’elle affirme le principe pacifique auquel devrait obéir l’organisation proposée pour l’exploitation de l’énergie nucléaire, met de sérieuses limitations aux possibilités effectives d’exercer un contrôle quelconque, affirmant à nouveau le principe de la non-ingérence dans les affaires intérieures des États membres et du respect rigoureux des souverainetés nationales.

4) D’autre part, l’engagement à ne pas utiliser l’énergie nucléaire que pour des fins pacifiques – but sans aucun doute poursuivi par tous les pays civilisés – s’intègre dans le cadre du désarmement international et c’est, par conséquent, parmi les problèmes du désarmement qu’il doit être plus opportunément discuté et résolu.

5) En principe, on peut ajouter que l’Euratom n’apportera rien de nouveau, en matière d’applications militaires de l’énergie nucléaire, dans les pactes internationaux déjà existant et n’introduit, par conséquent, aucun élément de tension dans la situation internationale.

6) Si la Déclaration soviétique entend critiquer le système de concentration dans les mains d’un organisme supranational du pouvoir de disposer des minéraux et des combustibles nucléaires, elle condamne implicitement un système qui trouve de larges applications parmi les Pays de l’Europe orientale. Si, au contraire, la Déclaration soviétique entend condamner non pas le principe mais l’intention – qu’elle semble vouloir attribuer aux pays adhérant à une Communauté dotée d’organismes supranationaux – de vouloir se servir de ces pouvoirs à des fins non-amicales, il apparaît logique de faire remarquer, étant donné que les organismes supranationaux émanent des Gouvernements des Pays membres, que le soupçon au sujet d’activités et destinations non-amicales de la part de ces Gouvernements ne serait pas dissipé par l’entrée en fonction d’une organisation dans le genre de celle souhaitée par la Déclaration soviétique.

7) La Déclaration soviétique appelle, en outre, l’attention sur la possibilité que de gros monopoles puissent – au moyen de l’Euratom – prévaloir. On peut, au contraire, affirmer qu’une telle possibilité aurait plus de chance d’aboutir dans le cas où l’Euratom ne se ferait pas. La même doctrine politique dominant en Europe orientale affirme que le danger de la domination des monopoles est d’autant plus grande lorsqu’un marché est plus restreint et le Gouvernement plus directement soumis à la pression des monopolisateurs. Dans un marché plus étendu, et particulièrement dans un marché plurinational, les différents monopoles nationaux – s’ils existent – seront plus probablement contraints à lutter dans un régime de concurrence; tandis que, dans de semblables conditions, la formation de super-monopoles sur des bases géographiques élargies est plus difficile et improbable.


1 Il documento di lavoro, allegato al presente promemoria, era stato trasmesso da Carrobio di Carrobio alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Lussemburgo e Parigi (Telespr. riservato urgente 44/12747/c. dell’11 agosto) con le istruzioni di sottoporlo ai Ministeri degli Esteri dei rispettivi paesi di accreditamento. Per la risposta da Bruxelles vedi D. 207. Con il T. 19572/228 del 3 settembre Grazzi comunicò l’accoglimento della proposta da parte del Governo Federale, Venturini (T. 18340/421 del 22 agosto) segnalò che il Governo lussemburghese si sarebbe uniformato alle decisioni degli altri paesi, mentre non è stata rinvenuta una risposta da L’Aja.


2 Vedi D. 198.


3 Vedi D. 192.


4 Per la risposta vedi D. 208. La riunione si tenne in realtà il 13 settembre (T. 20604/303 di quello stesso giorno, con cui Cosmelli ne riassumeva i contenuti) e non approdò ad un documento comune. A seguito della discussione, si convenne che ciascun paese avrebbe dato al Segretario Generale C.E.E. una propria risposta, ispirata ad una attitudine comune negli argomenti generali, senza escludere controproposte su punti particolari, per mettere alla prova le reali intenzioni sovietiche.

206

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Telespr. 44/132251. Roma, 22 agosto 1956.

Oggetto: Conferenza intergovernativa di Bruxelles per Euratom e Mercato Comune. Standstill Agreement. Protocollo circa le misure conservative in previsione dell’istituzione dell’ Euratom.

Per opportuna informazione e documentazione, si trasmette in allegato copia del testo definitivo del «Protocollo» relativo alle misure conservative da adottare in previsione dell’istituzione dell’ Euratom (doc. MAE 2037/56 gd), redatto a seguito della riunione di esperti, tenutasi a Parigi il 7 febbraio 1956 e promossa dalla Conferenza intergovernativa di Bruxelles.

Si richiama l’attenzione delle Autorità interessate sulla data di inizio della validità del Protocollo in questione (29 luglio 1956).

Allegato

Bruxelles, le 26 juillet 1956.

ARRANGEMENT2RELATIF AUX MESURES CONSERVATOIRES

À PRENDRE EN PRÉVISION DE L’INSTITUTION DE L’EURATOM

Les Gouvernements de la République fédérale d’Allemagne, du Royaume de Belgique, de la République française, de la République italienne, du Grand-Duché de Luxembourg et du Royaume des Pays-Bas,

Considérant les décisions prises de commun accord par les six Gouvernements à la Conférence de Messine, les l er et 2 juin 19553, ainsi qu’à la Conférence de Bruxelles les 11 et 12 février 19564, en vue de la création de l’Euratom,

Considérant qu’il importe de faciliter les négociations à mener en vue de la conclusion d’un traité conforme aux décisions précitées et la mise en vigueur de ce dernier, en évitant que les pays intéressés n’instituent avant la mise en vigueur dudit traité des mesures qui aillent à l’encontre des objectifs à réaliser par ce traité,

Sont convenus de ce qui suit:

1. Les Gouvernements signataires s’abstiendront de toute initiative et de toute mesure tendant à:

a) en ce qui concerne les produits et équipements intéressant les applications pacifiques de l’énergie nucléaire et destinés à cet usage, et notamment ceux qui sont visés dans la liste figurant en annexe,

- augmenter les droits de douane ou taxes d’effet équivalent existants ainsi qu’à établir de nouveaux droits ou taxes de cette nature,

- réduire les contingents existants ou établir de nouvelles restrictions quantitatives, tant à l’importation qu’à l’exportation,

- instituer des mesures discriminatoires ayant directement pour but ou pour effet de modifier les courants normaux des échanges;

b) instituer des réglementations, ou modifier les réglementations existantes concernant:

- la sécurité des personnes que leur activité expose à des risques relevant des applications de l’énergie nucléaire,

- la protection des populations contre les dangers résultant des radiations,

- l’assurance des risques résultant des activités dans le domaine nucléaire,

- les inventions, brevetées ou non, dans leurs applications au développement pacifique de l’énergie nucléaire.

2. S’il apparaît à un Gouvernement que l’institution de mesures ou de réglementations visées au paragraphe 1 ci-dessus est indispensable et urgente dans son pays, ce Gouvernement en informera le Secrétaire Général de la Conférence Intergouvernementale pour le Marché Commun et l’Euratom, qui notifiera cette information aux autres Gouvernements en vue de l’examen en commun desdites mesures ou réglementations.

3. Au terme de cet examen, qui devra être achevé dans le délai d’un mois à dater de la notification précitée, un rapport sera adressé aux Gouvernements en ce qui concerne la nécessité de faire en sorte que les mesures ou réglementations envisagées ne portent pas préjudice à une harmonisation de l’action des Gouvernements.

4. Le présent Arrangement entrera en vigueur, pour une durée d’un an, trois jours après la date à laquelle le Président de la Conférence Intergouvernementale pour le Marché Commun et l’Euratom aura notifié aux Ministres des Affaires étrangères que l’accord des six Gouvernements a été obtenu. Il pourra être prolongé, pour une autre période d’un an, par tacite reconduction. Toutefois, il cessera d’être en vigueur à la date de l’entrée en vigueur du traité instituant l’Euratom.

Annexe

LISTE

DES PRODUITS ET ÉQUIPEMENTSVISÉS AU PARAGRAPHE 1 DE L’ARRANGEMENT

1. Matières fissiles, notamment:

a) l’uranium naturel,

b) l’uranium enrichi en isotopes 233 ou 235,

c) le plutonium,

d) toute matière enrichie par l’une des précédentes.

2. Uranium métal, thorium métal.

3. Métaux, alliages et composés contenant de l’uranium ou du thorium, à l’exclusion des:

I) alliages ne contenant pas d’uranium et contenant en poids moins de 1,5 % de thorium

II) médicaments.

4. Minerais bruts ou traités, y compris les résidus et déchets, contenant en poids 0,05 % ou plus d’uranium, de thorium ou d’une combinaison de ces corps, notamment:

a) monazite ou autres minerais contenant du thorium,

b) carnotite, pechblende ou autres minerais contenant de l’uranium.

5. Deutérium et composés, mélanges et solutions contenant du deutérium, y compris l’eau lourde et la paraffine lourde, dans lesquels le rapport du nombre des atomes de deutérium à celui des atomes d’hydrogène dépasse 1/5000.

6. Zirconium métal; alliages contenant en poids plus de 50% de zirconium; composés dans lesquels le rapport du poids de hafnium au poids de zirconium est inférieur à 1/500; et produits entièrement fabriqués avec ces corps.

7. Béryllium métal, à l’exclusion des fenêtres pour tubes à rayons X pour la médecine; béryl, à l’exclusion de la qualité pierre précieuse, et minerais; alliages contenant en poids plus de 50% de béryllium; et oxydes et composés.

8. Equipement spécialement conçu pour séparer les isotopes d’uranium et destiné à cet usage.

9. Instruments de détection des radiations conçus ou susceptibles d’être adaptés pour la détection et la mesure des radiations nucléaires telles que particules alpha et bêta, radiations gamma, neutrons et protons et leurs parties:

a) amplificateurs d’impulsions pour mesures nucléaires, y compris les amplificateurs linéaires, préamplificateurs et amplificateurs distribués;

b) sélecteurs de coïncidence pour compteur Geiger-Müller ou compteur proportionnel;

c) électroscopes et électromètres, y compris les dosimètres;

d) équipements non dénommés ailleurs pour le contrôle médical contre les risques de radiation, à l’exclusion des pellicules photographiques et des appareils qui les contiennent;

e) tubes de compteur Geiger-Müller et compteurs proportionnels;

f) instruments susceptibles de mesurer un courant de moins de 1 micro-microampère;

g) chambres d’ionisation;

h) équipement de mesure de l’ionisation pour la surveillance radioactive des terrains et des sites d’usine;

i) compteurs de neutrons contenant du bore, du trifluorure de bore ou de l’hydrogène;

j) tubes photomultiplicateurs d’une sensibilité photocathodique de 10 microampères ou plus par lumen et d’une amplification moyenne supérieure à 105; et appareils multiplicateurs d’électrons activés par des ions positifs;

k) dispositifs de coupure par compteur Geiger-Müller;

1) résistances de 1.000 mégohms ou plus;

m) échelles et débitmètres pour la détection des radiations;

n) compteurs à scintillation comportant un tube photomultiplicateur;

o) substances luminescentes pour compteur à scintillation: monocristaux et substances luminescentes pour instruments de détection des radiations d’un volume de plus de 16 cm3 (l pouce)3;

p) tubes électromètres, pour courants d’entrée de moins de 1 micro-microampère.

10. Graphite artificiel sous forme de blocs ou barres d’une teneur en bore égale ou inférieure à 1 partie par million.

11. Fluor.

12. Séparateurs d’ions électromagnétiques, y compris les spectrographes de masse et les spectromètres de masse pour tout usage.


1 Diretto agli stessi destinatari di cui al D. 197, con l’aggiunta del Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale. Il documento reca una firma illeggibile.


2 Nota del testo: «L’arrangement, approuvé par les six gouvernements, entrera en vigueur à la date du 29 juillet 1956».


3 Vedi Appendice documentaria, D. 1.


4 Ibid., D. 3.

207

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 19201/214. Bruxelles, 31 agosto 1956, ore 20,10(perv. ore 23).

Oggetto: Euratom.

Mio telegramma n. 205 del 25 corrente1.

Spaak mi comunica:

1) ha trovato assai valide e interessanti le idee contenute nel documento lavoro da noi proposto2;

2) è d’accordo che documento anzidetto serva di base per discussione nella prossima riunione Delegazione per progetto Euratom a Bruxelles;

3) propone pertanto che si proceda ad un primo scambio di vedute a due su tale testo fra i Delegati belgi e Delegati italiani (da parte belga ne sono stati incaricati Rothschild e Hupperts) allo scopo di esaminarlo più a fondo e nei vari aspetti; dopo di che la Delegazione italiana lo presenterebbe alla riunione plenaria del 6 settembre nella quale interverranno i Capi delle Delegazioni3. La Delegazione belga appoggerà la proposta italiana.


1 T. 18681/205, con il quale Scammacca del Murgo aveva comunicato di aver eseguito le istruzioni di cui al Telespr. 44/12747 (vedi D. 205, nota 1) riservandosi ulteriori notizie in proposito.


2 Vedi D. 205, Allegato.


3 Vedi D. 205, nota 4 e 198, nota 2.

208

IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI DI FRANCIAALL’AMBASCIATA A PARIGI

Nota1. Parigi, 3 settembre 1956.

Le Ministère des Affaires Étrangères présente ses compliments à l’Ambassade d’Italie et a l’honneur d’accuser réception de l’aide-mémoire daté du 21 Août 19562 par lequel l’Ambassade lui fait part de la position du Gouvernement de la République Italienne, tant en ce qui concerne la procédure susceptible d’être suivie pour l’élaboration de la réponse occidentale à la déclaration soviétique du 12 Juillet 1956 visant la coopération européenne dans le domaine atomique, que sur le fond même de cette réponse.

Le Ministère a pris connaissance avec intérêt des propositions contenues dans l’aide-mémoire et le document de travail qui lui était annexé.

Il lui paraît que ces suggestions sont de nature à constituer la base des délibérations des chefs de délégation à la Conférence de Bruxelles du 6 Septembre 1956; dans cet esprit, sans avoir d’objection de principe à l’encontre d’une réunion préalable de fonctionnaires, il considère que les problèmes soulevés par la déclaration soviétique ont fait l’objet à présent d’un examen suffisamment approfondi pour que le soin de confier aux experts, à l’occasion de cette session, l’étude de certains points particuliers, soit peut-être laissé à la discrétion des chefs de délégation si le besoin en apparaissait au cours de leurs travaux.

Le Ministère des Affaires Étrangères saisit cette occasion pour renouveler à l’Ambassade d’Italie les assurances de sa haute considération.


1 Ritrasmesso a Roma con Telespr. riservato 1519/1018 del 4 settembre da Quaroni, il quale ne aveva anticipato il contenuto con T. 19681/614 in pari data.


2 Vedi D. 205. Carrobio di Carrobio inviò alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E. e contestualmente a quella presso la N.A.T.O., a Parigi, le seguenti istruzioni (T. 10204/305-210 dell’8 settembre): «Per consultazione circa dichiarazione sovietica su cooperazione europea energia nucleare pregasi coordinare azione con Rappresentanza presso N.A.T.O. Istruzioni circa idee Governo italiano sono già in possesso codesta Delegazione (Telespresso 44/13751). Per quanto concerne proposta russa accordo cooperazione economica, Ambasciatore Cattani porterà costì istruzioni».

209

L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 19919/233. Bad Godesberg, 6 settembre 1956, ore 20,50 (perv. ore 24).

Oggetto: Euratom e Mercato Comune.

Mio telespresso 1830 del 1° agosto1.

In vista ripresa negoziati Bruxelles su punti sostanziali elaborazione trattati Euratom e Mercato Comune, Auswärtiges Amt ha oggi richiamato nostra attenzione su questioni che, dopo discussione avvenuta in Assemblea francese, Governo Federale dovrà porre come condizioni ferme per firma trattati da parte tedesca:

eliminazione sistema monopolistico della Comunità atomica per acquisti materiale fissionabile, accettandosi invece da parte tedesca qualsivoglia controllo che abbia effettiva ragione d’essere su materiale predetto esistente in ciascun paese membro;

mantenimento di un concreto Junctim2 fra Euratom e Mercato Comune, anche se quest’ultimo debba realizzarsi lentamente come previsto.

Da parte tedesca ci è stato precisato che Delegazione Bruxelles avrà istruzioni prendere in considerazione ogni proposta di compromesso, anche se sostanziali varianti rispetto a richieste e prese di posizione tedesche, purché però non si intacchino i due principî predetti, cui affermazione condiziona appoggio a Governo Federale da parte opinione pubblica e ambienti industriali più interessati.


1 Vedi D. 199.


2 Sic.

210

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI,CARROBIO DI CARROBIO,ALL’AMBASCIATA A BONN

T. 10405/158. Roma, 13 settembre 1956, ore 22.

Oggetto: Euratom e Mercato Comune.

Suo 2331.

Si è preso nota delle due condizioni che Auswärtiges Amt intende porre a firma trattati in corso elaborazione a Bruxelles. Per quanto esse non costituiscano una novità rispetto a precedente atteggiamento tedesco, esse sono per la prima volta precisate autorevolmente, né di esse Delegazione tedesca a Bruxelles ha finora fatto menzione in termini così espliciti. Ambasciatore Ophuels ha anzi rifiutato proposta fatta giovedì scorso2 da Faure che ciascuna Delegazione indichi per iscritto sue obiezioni a rapporto Spaak.

Per quanto concerne concreto Junctim3 fra Euratom e Mercato Comune, si osserva da parte nostra che mantenimento tale pregiudiziale in senso assoluto rischia, nell’attuale situazione politica francese, di impedire ratifica anche del solo Euratom, o quanto meno di rinviare a calende greche approvazione ambedue trattati. Seguente linea di condotta ci sembrerebbe più opportuna: far procedere ambedue trattative a Bruxelles di pari passo; non (dico non) sollevare obiezioni a che primo dei due trattati ad essere pronto (evidentemente Euratom) venga sottoposto a Parlamento; ottenere ratifica Euratom da parte Parlamento francese, segnando così un punto all’attivo della causa europea. Ottenuto questo, altri Parlamenti potrebbero anche ritardare approvazione da parte loro fintantoché trattative per Mercato Comune non siano soddisfacentemente concluse.

Circa monopolio acquisti e vendite da parte Euratom, abbiamo chiesto fin da luglio ai tedeschi di far conoscere in modo preciso loro controproposte.

Siamo tuttora in attesa di risposta senza la quale lavori non potranno avanzare. È per questo che Faure ha chiesto che tutte questioni controverse siano sottoposte prossima riunione Ministri, la quale dovrebbe tenersi Parigi fra 10-15 ottobre anziché a fine settembre4.


1 Vedi D. 209.


2 Il 6 settembre.


3 Sic.


4 Tenutasi poi il 20-21 ottobre, vedi D. 223.

211

IL CAPO DELLA DELEGAZIONEPRESSO IL COMITATO INTERGOVERNATIVO DI BRUXELLES, BENVENUTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 20641-20652/228-2291. Bruxelles, 14 settembre 1956, ore 11 (perv. ore 16).

228. In Comitato Capo della Delegazione Faure ha presentato oggi richiesta protocollo speciale per la Francia, da allegare trattato Mercato Comune, basato su accettazione mantenimento, finché necessario, tasse compensatorie e aiuto esportazione. Richiesta motivata da differenza persistente fra prezzi francesi e internazionali e conseguente deficit cronico bilancio pagamenti che verrebbe aggravato da entrata in funzione Mercato Comune2.

Ritengo opportuno e urgente esaminare se sia il caso che da parte nostra venga presentato documento che esponga particolare situazione italiana e proposte misure speciali. In caso positivo ciò dovrebbe avvenire, almeno sotto forma di annunzio con riserva proposta dettagli, in riunione Capi delle Delegazioni giovedì 20 corrente3.

229. Nella riunione di ieri sera Spaak ha rinnovato pressante invito a ciascuna Delegazione di esporre per seduta 20 corr. propri punti di vista circa eventuali insoddisfazioni o dissensi in merito rapporto Bruxelles. È mia convinzione essere necessaria autorizzazione da parte di codesto Ministero.

Pur ritenendo che nostro documento di risposta non debba assumere carattere ritorsione o polemica minacciosa posizione francese, mi sembra tuttavia che dopo ultima presa posizione Faure nostro silenzio potrebbe prestarsi ad essere interpretato erroneamente come integrale accettazione rapporto Spaak con conseguente indebolimento nostra posizione, specie in vista prossimi negoziati livello Ministri.

A parte note considerazioni circa incidenze negative nostro costo con riferimento capitolo 2 sezione 1ª pagina 60 rapporto Bruxelles, propongo inoltre che nostra risposta tocchi anche argomenti seguenti:

1) Riferimento ultimo periodo pagina 18 rapporto mettere in evidenza insufficiente considerazione del problema dei piani regionali di sviluppo e di conseguenti provvedimenti da adottarsi nel quadro comune dell’integrazione economica europea.

2) Segnali inattendibilità del principio primo pagina 24 rapporto con cui si pretende separare politica economica generale da applicazione delle specifiche disposizioni del trattato.

3) Rilevi assoluta insufficienza poteri Commissione Europea nonché stesso Consiglio dei Ministri nazionali per coordinare economia generale sei paesi.

Bobba sta procedendo redazione proposte concrete circa quest’ultimo.

Rientrando Italia lunedì4 da missione Vienna prenderò subito contatto con codesto Ministero Esteri5.


1 La prima parte del presente documento (T. 228), partita alle ore 11, pervenne alle ore 12,50 mentre la seconda (T. 229), partita alle ore 11,59, pervenne alle ore 16.


2 Su questo argomento Benvenuti inviò una dettagliata relazione a Martino, vedi D. 215, Allegato.


3 Vedi D. 213.


4 Il 17 settembre.


5 Per le decisioni di Martino in proposito vedi D. 221.

212

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. 44/145291. Roma, 14 settembre 1956.

Oggetto: Conferenza intergovernativa di Bruxelles per Euratom e Mercato Comune.

Per opportuna informazione, si trascrive quanto l’Ambasciata d’Italia in Londra ha riferito circa un recente incontro Spaak-Macmillan, durante il quale sono stati discussi argomenti riguardanti la Conferenza di Bruxelles per il Mercato Comune e l’Euratom:

«Spaak è giunto a Londra il 3 settembre corrente, accompagnato dal barone Snoy, Segretario Generale del Ministero degli Affari Economici, e dal Ministro Hupperts del Ministero degli Esteri, e ha avuto, il giorno successivo, dei colloqui con Macmillan e Selwyn Lloyd.

La visita era prevista da tempo, poiché il Cancelliere dello Scacchiere aveva invitato Spaak – nella sua qualità di Presidente del Gruppo di lavoro dei Sei – in occasione dell’ultimo Consiglio ministeriale dell’O.E.C.E. Scopo principale dell’incontro era uno scambio di idee sul problema dell’integrazione europea in generale e sul progetto, esaminato in via preliminare in giugno dai Ministri all’O.E.C.E., di una zona di libero scambio in Europa2.

Il Ministro degli Esteri belga e i suoi collaboratori, stando a quanto abbiamo appreso da questa Ambasciata del Belgio, hanno tratto un’impressione incoraggiante dai loro contatti con gli inglesi. Al termine delle conversazioni, uno dei funzionari che affiancavano Macmillan ha commentato, rivolgendosi a Hupperts: “Se un anno fa ci aveste detto che oggi ci saremmo espressi nei termini in cui ci siamo espressi, vi avremmo trattato da visionari”.

In sostanza, da parte britannica sarebbe stato manifestato un orientamento sensibilmente più positivo, rispetto al passato, nei riguardi della possibilità di realizzare una qualche forma di associazione ai piani d’integrazione dei Sei di Messina. Secondo i belgi, tale progresso da loro constatato nell’atteggiamento inglese sarebbe dovuto essenzialmente a due ordini di motivi e cioè:

1) alla convinzione, che finalmente si sarebbe fatta strada nell’animo di Eden e dei suoi collaboratori al Governo, che è necessario non perdere tempo nel rafforzare i legami e le basi di collaborazione e di solidarietà della Germania Occidentale con l’Occidente e con l’Europa in particolare, ad evitare pericolosi slittamenti della politica tedesca – convinzione che sarebbe fondata anche sulla coscienza dell’indispensabilità della stretta cooperazione britannica nel senso suddetto. Macmillan avrebbe esplicitamente accennato a tale preoccupazione;

2) all’impressione, subentrata a un prolungato scetticismo, che il Mercato Comune e l’Euratom diverranno, a non lontana scadenza, una realtà. Lo stesso atteggiamento francese, che costituiva uno dei maggiori motivi dello scetticismo inglese, appare qui oggi positivo.

Sul piano tecnico, da parte britannica, a proposito del problema delle tariffe doganali, si sarebbe manifestata una netta preferenza per un “approach” per categorie, anziché globali. Il che consentirebbe – osservo – quei temperamenti e quelle eccezioni in favore dei prodotti agricoli, che, come ho segnalato in precedenti rapporti, starebbero particolarmente a cuore agli inglesi a causa degli impegni col Commonwealth.

Un’altra preoccupazione espressa da Macmillan nei riguardi dei piani dei Sei è quella concernente il problema istituzionale, preoccupazione che non ci giunge nuova, del resto.

Nel complesso, ripeto, i belgi hanno ricavato dal contatto delle impressioni incoraggianti e delle utili indicazioni. E, di riflesso, essi ritengono oggi che l’iniziativa britannica nell’O.E.C.E., relativa ad un’area di libero scambio, fosse e sia sincera, ispirata cioè da propositi costruttivi, e non dilatori o peggio, nei riguardi dell’integrazione europea».

Sullo stesso argomento, la Rappresentanza italiana presso l’O.E.C.E. ha telegrafato3 quanto segue:

«Circa incontro Macmillan-Spaak a Londra 4 corrente apprendo da fonte qualificata quanto segue:

a) Spaak ha insistito perché il piano elaborato a Bruxelles formi la base delle discussioni per la zona di libero scambio, accentuando però che tale base, specialmente per quanto riguarda il calendario di realizzazione del Mercato Comune, doveva considerarsi come immutabile. Macmillan ha reagito negativamente affermando che la trattativa avrebbe perduto ogni carattere di trattativa e che questa impostazione assumeva un carattere di dictat, che era inammissibile. Il mio informatore mi riferiva la sua impressione che Spaak si sia spinto troppo ed abbia veramente esagerato. Macmillan comunque ha fatto intendere che senza sconvolgere le basi concordate per il Mercato Comune doveva abbordarsi la nuova trattativa in uno spirito di una certa elasticità.

b) Per quanto riguarda le eventuali deroghe Spaak ha decisamente puntato su degli organi a carattere piuttosto sopranazionali. Macmillan ha ribadito la diffidenza e la poca simpatia per organismi a carattere sopranazionale, spiegando che questa prevenzione era basata sull’esperienza che un organo sopranazionale, anche in materia tecnica, decida per motivi estranei al merito della questione sottoposta. Ha ammesso che nella fattispecie trattandosi di deroghe ad obblighi già accettati il metodo presentava inconvenienti minori, ma tuttavia vi era in questa direzione una pregiudiziale difficilmente eliminabile. Si è accennato peraltro alla possibilità di organi giudicanti senza qualifiche e poteri sopranazionali.

c) È stata anche toccata questione distorsione traffici. Macmillan ha detto che Gran Bretagna aveva lunga esperienza in materia, dato che preferenze imperiali avevano creato problemi analoghi ed in genere si era riusciti a sormontarli.

È in corso di preparazione da parte del Segretariato un documento che dovrebbe delineare programma lavoro Comitato di coordinamento presieduto da barone Snoy. Sarà pronto probabilmente a giorni».


1 Diretto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai Ministeri del Bilancio, Finanze, Tesoro, Difesa, Lavori Pubblici, Agricoltura e Foreste, Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, Industria e Commercio, Lavoro e Previdenza Sociale e Commercio Estero, al Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, allo Svi.Mez. e alla Banca d’Italia, alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Berna, Bonn, Bruxelles, Copenaghen, L’Aja, Londra, Lussemburgo, Oslo, Parigi, Stoccolma, Vienna e Washington, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E. e presso la N.A.T.O., a Parigi, presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo, e presso l’O.N.U., a New York, alla Delegazione permanente presso le istituzioni specializzate delle N.U., alle Legazioni a Dublino e Lisbona e, per conoscenza, alle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari Economici.


2 Vedi D. 202.


3 T. 20053/293 dell’8 settembre.

213

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO IL COMITATO INTERGOVERNATIVO DI BRUXELLES, BENVENUTI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 21398/239. Bruxelles, 21 settembre 1956, ore 17,12 (perv. ore 17,30).

Oggetto: Mercato Comune.

Seduta odierna Capi di Delegazione è stata dedicata esame nota francese M.A.E. 2791 su questione da sottoporre decisione riunioni Ministri 8-9 ottobre2. Su primo punto sembra possibile trovare soluzione evitando principio unanimità per passaggio seconda tappa, su base constatazione obiettiva adempimento da parte tutti Stati obbligazioni prima tappa. In caso Consiglio raggiunga maggioranza qualificata, sarebbe ammesso ricorso Corte per definitivo giudizio mandati da parte paesi rimasti in minoranza.

Su secondo punto non è stato possibile raggiungere accordo, nonostante proposta belga che cercava venire incontro alle massime esigenze francesi. Su terzo punto francesi non hanno ribadito intransigentemente loro tesi circa tasso importazione e aiuti esportazione. Sola concessione che francesi sembrerebbero accogliere concerne autorità incaricata constatare situazione di fatto relativa riacquistato equilibrio bilancia normale pagamenti e susseguente automatica obbligatoria rinunzia regime speciale bilancia, su questo punto discussione ha fatto apparire che non esistono gravi obiezioni da parte altre Delegazioni per quanto riguarda piena osservanza trattato.

Quinto punto rinviato, come proposto da francesi, al Consiglio dei Ministri.

Su sesto punto Delegazione francese ha precisato che non intende riservarsi unilateralmente fissare date entrata in vigore trattato ma è disposta discuterle al momento conclusivo.

Giovedì 27 Spaak presenterà documento riassuntivo maggiori divergenze tuttora esistenti da sottoporre Consiglio dei Ministri [e] verrà iniziata discussione Euratom.

Provvedo entro lunedì prossimo3 far depositare Segretariato Conferenza documento contenente riserve italiane già esposte mio intervento stamane.


1 Non rinvenuto. Per il commento di Benvenuti sulle richieste di cui alla Nota francese vedi D. 215, Allegato. Le stesse richieste vennero discusse nella riunione dei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. svoltasi a Parigi nei giorni 20-21 ottobre (vedi D. 223).


2 Poi rinviata, vedi D. 220.


3 Il 24 settembre.

214

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., COSMELLI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 037. Parigi, 22 settembre 1956.

Oggetto: Collegamento O.E.C.E.-Euratom.

Conformemente alle istruzioni di cui al telespresso ministeriale n. 44/14314 dell’11 corrente1, preoccupandomi che istruzioni analoghe fossero pervenute ad altre Delegazioni Bruxelles, mi ero consultato con colleghi, giungendo alla constatazione che essi avevano ricevuto istruzioni alquanto difformi o lacunose. È stato tuttavia possibile fissare una attitudine comune almeno per questione più urgente e precisamente per Comitato di collegamento, e sono stato incaricato di esporre deliberazione tanto ad esecutivo quanto a Consiglio.

Conoscendo tendenze ed umori prevalenti, ho presentato decisione Bruxelles come scelta tra due alternative prospettate da Segretariato stesso. Ne è seguita lunga discussione, ed infine Comitato esecutivo, malgrado riserve fatte da Delegazioni britannica, svizzera e svedese, finiva per raccomandare al Consiglio l’accettazione del Comitato duplice, lasciando impregiudicata la composizione della rappresentanza diretta O.E.C.E.

Per quanto riguardava rappresentanze Euratom, non avevano in realtà preferenze specifiche potendo oscillare tra tre e cinque; rappresentanza O.E.C.E. non poteva essere d’altra parte plenaria, eventualmente maggiore di quella Euratom ed accennava infine all’idea di due Commissioni di cinque e cinque, sugli otto originariamente prospettati nella decisione del Consiglio del luglio scorso2 con aggiunta dei Paesi Bassi e della Danimarca, come ne era stato espresso il desiderio.

Avevo anche accennato come ovvio che in sostanza Rappresentanti Bruxelles si impersonassero in coloro che avevano negoziato a Bruxelles e non già in Rappresentanti permanenti dei medesimi in O.E.C.E., naturalmente senza impegno specifico e con libertà di apprezzamento da parte Governi Euratom: anche in questo riprendendo concetti espressi da varie parti.

Senonché, Presidente Ellis-Rees, rientrato da congedo, in conversazione privata con me e poi in Consiglio di ieri ha sollevato una questione formale nel senso che decisione luglio Consiglio Ministri prevedeva un Gruppo di lavoro del Consiglio stesso, e pur non essendo per ragioni pratiche del tutto alieno dall’accettare magari i due Gruppi, chiedeva come nostra concezione dei due Comitati si inquadrasse in deliberazione Consiglio e quale fosse posizione Rappresentanti Euratom che sarebbero venuti a Parigi.

Ne è seguita un’ampia discussione, in cui ho dovuto chiarire che secondo nostre istruzioni era evidente che Rappresentanti Euratom3 e non come O.E.C.E., e che nostre istruzioni, del resto sommarie, non ci consentivano di seguire il Presidente nelle sue conclusioni.

Mentre veniva riconfermata da varie Delegazioni la preferenza per il Gruppo unico, anche con richiamo alla deliberazione del Consiglio del luglio scorso, mentre Svizzera si dichiarava disposta ad accettare anche Gruppo doppio purché si assicurasse un rapido inizio del lavoro di collegamento, dalla lunga e più volte vivace discussione che si è impegnata sono emerse difficoltà assai serie dal punto di vista e procedurale e sostanziale, tanto per quanto riguarda la composizione che il lavoro di due Commissioni.

I miei colleghi, salvo la Delegazione francese il cui Capo è ancora in congedo, hanno tratto, insieme con me, dalla discussione di questi giorni, la conclusione che la costituzione di due Gruppi presenta seri inconvenienti dal punto di vista pratico e psicologico e che sarebbe preferibile tornare alla interpretazione più ovvia della deliberazione del luglio, cioè un Comitato di lavoro dell’O.E.C.E., il cui numero sarebbe portato da otto a dieci, con l’inclusione, come già accennato, dei Paesi Bassi e della Danimarca e dove i paesi Euratom sarebbero piuttosto rappresentati dagli uomini di Bruxelles, appunto qualificati a parlare di quanto si è fatto o si intende fare in quadro Euratom, con l’intesa che naturalmente i Governi possono anche farsi rappresentare da altri.

Avendo io detto a nome di tutti che non potevamo accettare le interpretazioni del Presidente e che avremmo potuto soltanto riferire ai nostri Governi, veniva infine proposto di rinviare la discussione a venerdì venturo4, alla prossima riunione, cioè, del Consiglio, nella speranza che nel frattempo tutti avrebbero riflettuto sui vari problemi sollevati e sulle possibili soluzioni.

Ho già detto sopra che i Capi delle Delegazioni degli altri paesi Euratom sono personalmente favorevoli alla soluzione della Commissione unica ed io mi associo, per parte mia, al loro apprezzamento, ritenendo anche che all’atto pratico questa formula non dovrebbe presentare inconvenienti, formula che del resto, mi sembra, è stata adottata nel caso del Mercato Comune.

Debbo anche dire che, dal punto di vista politico e psicologico, questo inizio di discussione di collegamento tra O.E.C.E. ed Euratom si è svolto in un’atmosfera tutt’altro che facile ed ho l’impressione che, qualunque siano le nostre reali intenzioni, non ci convenga in nessun caso, dal punto di vista formale, accentuare antagonismi e rivalità tra il nascente Euratom e l’esistente O.E.C.E.

È anche quello che io stesso ed i miei colleghi abbiamo del resto cercato di fare nel corso della lunga discussione di questi giorni, tutt’altro che facile e tutt’altro che priva di punte polemiche alquanto amare.

Penso con la maggioranza dei miei colleghi che, se nella prossima seduta del Consiglio potessimo annunciare la nostra adesione alla formula, sia pure riveduta, sopra accennata, questo lavoro di collegamento potrebbe iniziarsi sotto luce e auspici assai migliori di quanto, francamente, sarebbe ora lecito prevedere a giudicare dalle discussioni dei giorni scorsi.

Giusta le intese telefoniche prese con il collega Ducci a Bruxelles, ho anche fatto intendere nel corso della discussione, e mi ha servito ad attutire alcune reazioni vivaci e aperte inquietudini dei miei interlocutori, che da parte di Euratom, senza poter ancora precisare una data, si prevedeva tuttavia che il Comitato di collegamento potesse riunirsi nella prima quindicina di ottobre, non escludendo neppure la coincidenza con il Comitato di direzione dell’energia nucleare, convocato per il 5. Ma, ripeto, non vi sono impegni salvo una possibilità lata di data. Aggiungo naturalmente che, se venerdì 28 fosse ancora possibile annunciare una data di convocazione, questo servirebbe ulteriormente a calmare gli spiriti e a normalizzare la situazione.


1 Non rinvenuto.


2 Vedi D. 187, nota 3.


3 Sic. Si intenda: avrebbero agito come tali.


4 Il 28 settembre.

215

IL CAPO DELLA DELEGAZIONEPRESSO IL COMITATO INTERGOVERNATIVO DI BRUXELLES, BENVENUTI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

L. Roma, 23 settembre 1956.

Caro Ministro,

ti avevo promesso la brevità e invece ... dettando la tastiera della macchina da scrivere ha volato un po’ per conto suo.

Spero almeno d’esser stato «leggibile». Mi permetterei di richiamare particolarmente la tua attenzione sulle pagine 8-101.

Non ho parlato di Euratom perché il documento tedesco sarà discusso nella seduta del 27 a Bruxelles.

Se tu ritenessi necessaria una riunione di delegazione, sotto la tua presidenza, (prima della Conferenza del giorno 8 a Parigi)2 essa dovrebbe venire convocata dopo il 27.

Credimi con sempre grata amicizia

Tuo aff.mo dev.mo

Benvenuti

Allegato

DELEGAZIONE ITALIANA ALLA CONFERENZA INTERGOVERNATIVA DI BRUXELLES

NOTA DEL CAPO DELEGAZIONE AL SIGNOR MINISTRO RELATIVA ALLE RICHIESTE FRANCESIIN MATERIA DI MERCATO COMUNE

(con richiamo ai due telegrammi del 13 e 14 settembre)3.

I) Nelle quattro pagine che la nota francese dedica al Mercato Comune vengono presentate alcune richieste che feriscono profondamente il sistema configurato nel rapporto di Bruxelles. Si tratta di richieste che tendono a rimettere al giudizio esclusivo ed unilaterale della Francia le possibilità di sviluppo del Mercato Comune:

a) la Francia chiede che dopo la prima tappa quadriennale il Mercato Comune proceda alla seconda tappa soltanto attraverso una decisione del Consiglio dei Ministri presa all’unanimità. Una simile richiesta, se accettata, creerebbe durante i primi quattro anni una situazione di dichiarata reversibilità del sistema;

b) la Francia chiede che il regime speciale che dovrebbe venirle concesso con un apposito protocollo, continui indefinitivamente sino a quando la Francia stessa non giudichi risanata la situazione della bilancia dei pagamenti correnti. Il ritorno della Francia al «diritto comune» avverrebbe quindi in epoca indeterminata, da decidersi dalla Francia stessa al di fuori di ogni controllo comunitario.

Dalla discussione si è riportata l’impressione che gli stessi Delegati francesi si rendano conto della inammissibilità di inserire in un trattato multilaterale delle clausole potestative che toglierebbero agli altri paesi partecipanti ogni ragionevole possibilità di prevedere gli sviluppi futuri.

Ed infatti i francesi già hanno dimostrato in argomento una certa flessibilità. Già si comincia ad intravvedere circa il primo punto che la seconda tappa potrebbe venire decisa sulla base della constatazione obiettiva della realizzazione integrale degli obiettivi fissati per la prima tappa; constatazione che dovrebbe venire fatta da organi comunitari (Commissione e Consiglio dei Ministri) con ricorso eventuale alla Corte. E circa il secondo punto i Delegati francesi non sembrano alieni dal riconoscere che il determinarsi di situazioni tali da non giustificare ulteriormente un trattamento speciale per la Francia (per esempio riequilibrio della bilancia dei pagamenti) potrebbe venire sottratta ad un giudizio arbitrario ed unilaterale della Francia stessa.

2) Vi è poi un’altra richiesta francese che, ad avviso dello scrivente, ferisce essa pure profondamente il concetto del Mercato Comune.

Si tratta della richiesta di poter invocare le clausole di salvaguardia anche dopo il periodo transitorio e cioè anche quando il Mercato Comune dovrebbe finalmente essere un fatto compiuto senza passi indietro. È chiaro che tale richiesta in realtà mette in forse il termine finale di 10-12 o di 15 anni da stabilire per la realizzazione definitiva del Mercato Comune.

Tuttavia, i francesi sottolineano come tale possibilità, a differenza delle precedenti, giocherebbe non solo a favore della Francia ma anche a favore di tutti gli altri paesi partecipanti.

Le due richieste di cui al punto 1) sono state dal complesso delle Delegazioni ritenute inammissibili; minor reazione forse c’è stata sul punto 2).

3) Vi è poi la richiesta francese di ottenere un aggiornamento della messa in vigore del trattato qualora lo sforzo militare attualmente in corso in Algeria continui a pesare sull’economia francese.

Qui però i Delegati francesi hanno subito messo in luce il carattere non «potestativo» della richiesta. La Francia si riserva soltanto al momento della firma del trattato, di indicare la data per la quale potrà impegnarsi a mettere in vigore il trattato stesso, lasciando in tal caso liberi gli altri paesi di scegliere fra la messa in vigore del trattato «a cinque» e l’attesa sino alla data dell’ingresso francese.

4) A mio avviso tale ultima richiesta francese non è la più grave né la più ingiustificata. Si può comprendere che un paese che si trova di fronte alle terribili incognite di una guerra che gli costa un miliardo al giorno si riservi, oggi come oggi, di vedere cosa sarà successo al momento in cui dovrà firmare.

La richiesta di cui al punto 2) potrebbe, se mai, essere limitata nel tempo e si ridurrebbe in fondo ad una coda del periodo transitorio oltre i 12 o 15 anni.

Rigorosamente inammissibili invece a mio avviso, le due richieste di cui al precedente punto 1). E qualora le prospettive di una radicale «assouplissement» di tali pretese non avessero sviluppo o non fossero avallate dal Governo di Parigi, ci potremmo trovare di fronte ad una situazione di rottura.

5) Venendo ora alle richieste di natura più particolarmente economica, una ve n’è che le altre Delegazioni con la Delegazione italiana in testa, han sempre respinto fin dal primo momento, e che appare del tutto insensata. La richiesta fa perno sul concetto di «carico salariale globale»: formula che comprende sia il salario base che il costo (per l’imprenditore) dei carichi sociali. Secondo i francesi, lungo tutto il periodo transitorio i sei paesi dovrebbero impegnarsi a condurre una politica sociale e salariale tale da far sì che l’armonizzazione dei regimi sociali dei livelli salariali conduca alla fine del periodo transitorio e in tutti i sei Stati a un livello di «carichi globali equivalenti».

Non occorre insistere sulla assurdità di tale concetto; se esso dovesse venire applicato, in Italia, per esempio, dovremmo stabilire in materia di carichi sociali, un regime preferenziale per la Lucania ove i salari sono bassi ed un regime di sfavore in Piemonte o in Lombardia dove i salari sono più alti: ciò al fine di raggiungere il livello globale equivalente fra le due regioni! La verità si è che sotto questa formula inapplicabile si nasconde la precisa volontà francese di spingere gli altri paesi al forzoso rialzo del costo della mano d’opera.

La Francia, in sostanza, non si pone il problema di diminuire i propri costi ma quello di forzarci ad aumentare i nostri sino al livello dei suoi: il che in un paese a carichi sociali alti come l’Italia implicherebbe un intervento legislativo (al rialzo) sui salari base regolati sin qui dalle sole convenzioni sindacali. Come ho detto contro tale formula francese (che la Francia non aveva tanto espressamente ed apertamente presentato in seno al Comitato degli esperti) tutte le Delegazioni si sono mostrate e mantenute unanimi.

6) Ma inoltre la Francia ha ripreso in termini molto energici le tre questioni già da essa poste nella fase precedente ed inserite (a sua richiesta) nel rapporto, in termini generali.

Si tratta delle richieste seguenti:

a) che si addivenga entro i primi due anni alla «egualizzazione» dei salari maschili e femminili (i primi quattro anni oggi la Francia vorrebbe ridurli a due);

b) che il regime dei congedi pagati sia armonizzato in tutta la comunità entro il termine della prima tappa (quattro anni);

c) che nello stesso termine sia armonizzata la durata settimanale del lavoro al di là della quale devono venire versati gli «straordinari».

Per parte nostra, sentite le Amministrazioni interessate, non abbiamo ritenuto di sollevare fondamentali eccezioni circa tali punti: e d’altronde, le prime due richieste francesi (egualizzazione dei salari maschili e femminili e durata dei congedi pagati) se rettamente formulate in base al testo delle convenzioni internazionali ratificate o in corso di ratifica, sembrano essere di non grave portata economica.

V’è invece la questione della durata settimanale del lavoro che è di molto notevole portata. Ma prima che scadano i quattro anni, ossia il termine ultimo entro il quale la Francia chiede che si addivenga alla «armonizzazione», il problema sarà discusso (nell’anno 1958) alla conferenza del B.I.T.: e ciò permetterà probabilmente di adottare un regime uniforme per un numero di paesi molto più largo dei «Sei», e con minore svantaggio per i paesi che devono adeguarsi.

Occorrerà, sembra, tenere fermo che l’armonizzazione o adeguamento può riguardare soltanto la struttura, non il valore economico globale della settimana di lavoro. In altre parole si può concepire di arrivare a pagare lo straordinario dopo lo stesso orario normale convenuto per tutti i paesi. Ma non necessariamente di pagarlo con la stessa maggiorazione.

In altre parole bisogna evitare di ricadere nel tranello del salario globale unificato e parificato.

Di fronte a tali richieste, molto ferme sono state le reazioni belghe, tedesche ed olandesi: tuttavia dai sondaggi di corridoio ho tratto l’impressione che nessuna Delegazione considera questi punti come veri punti di rottura.

Si potrebbe anche pensare che tali richieste francesi siano un’arma di negoziato per ottenere contropartite sugli altri punti.

Sta però il fatto che nel pomeriggio del giorno 20 il Signor Faure ha dichiarato che l’abbandono eventuale da parte francese del concetto (da tutti ripudiato) di «carico salariale globale» avrà come corrispettivo un irrigidimento francese sugli altri tre punti di cui a questo paragrafo.

7) E vengo alle due richieste completamente nuove (e contrastanti col rapporto) contenute nel paragrafo 3 del documento francese. Ossia:

a) la Francia chiede che il processo di riduzione dei diritti di dogana lasci intatto l’attuale particolare sistema francese di tasse speciali sull’importazione. E questo a tempo indeterminato, secondo l’originaria richiesta francese, o determinabile con apposita procedura in un tempo successivo, secondo la possibile posizione di ripiegamento di cui ho accennato più sopra.

b) La Francia chiede di essere autorizzata a mantenere le sue misure di aiuto all’esportazione.

La Delegazione francese dichiara nettamente che tali misure devono essere concepite come concessioni alla sola Francia non estensibili a nessun altro paese.

La motivazione di tali richieste è sul documento scritto la seguente:

«Data la disparità esistente fra i prezzi francesi ed i prezzi stranieri, il Governo francese considera come indispensabile che un accordo sia realizzato su tali punti, salvo rivederli il giorno in cui fosse scomparsa la disparità dei prezzi e per conseguenza, la bilancia francese dei pagamenti correnti segnasse delle notevoli eccedenze».

8) Un tal modo di presentare la questione ha dato immediatamente luogo alla polemica. Non mancai di far rilevare al Delegato francese che sarebbe impossibile per noi motivare, nei confronti della nostra opinione pubblica, la richiesta della Francia sul fatto della «disparità dei prezzi». In altre parole noi non possiamo tenere agli italiani e particolarmente ai produttori un discorso di questo genere: «La Francia entrerà nel Mercato Comune soltanto se e quando la parificazione generale dei prezzi (che gli altri paesi dovrebbero aiutare rialzando i loro costi ...) avrà messo la Francia al riparo da ogni possibilità di concorrenza estera!».

È chiaro al contrario che la tendenza generale alla parificazione dei prezzi sarà, se mai, la conseguenza della instaurazione del Mercato Comune e non già la condizione preventiva perché esso possa essere instaurato.

Al che il Signor Marjolin nella seduta del giorno 20 rispose ammettendo che l’obbiezione è giusta in linea generale: ma non per la Francia. «Ogni conoscitore italiano della situazione francese – ha detto Marjolin – sa che il franco è sopravalutato, fenomeno unico fra i sei paesi che quindi giustifica delle misure speciali».

Ribattei allora che una tale presentazione della richiesta francese equivaleva a dichiarare che attraverso le tasse ed i premi la Francia in realtà vuol correggere il suo cambio; ed il Signor Marjolin rispose ammettendo che tale doveva essere difatti per tutti, salvo che per l’opinione ufficiale francese, l’esatta presentazione della richiesta.

Intervennero a questo punto gli olandesi osservando che la variabilità della percentuale di tasse sulle importazioni dava luogo ad un sistema discriminatorio per paese e per prodotti e non ad una costante correzione del cambio; ed il Signor Marjolin rispose che in realtà la Francia adotta il sistema dei cambi multipli.

Ed ecco gli olandesi ribattere di non poter accettare un tale sistema discriminatorio, e che se mai i francesi avrebbero dovuto stabilire un plafond massimo per la loro tassa sull’importazione, ed applicarla uniformemente a tutti i paesi e prodotti.

Su questi punti la risposta francese è stata negativa salvo eventualmente un certo impegno a non spostare troppo l’attuale 15%.

9) Questa era la situazione al momento in cui il dialogo, anzi il battibecco, si è interrotto il giorno 20.

Mi consenta il Signor Ministro alcune osservazioni riassuntive:

a) La mia impressione è che la Delegazione francese è composta da sinceri europeisti. Sinceri anche nell’ammettere apertamente il carattere eccezionale ed eccessivo delle richieste che essi sono delegati a rappresentare. Ritengo abbia ragione il Ministro Spaak quando afferma che non è prevedibile, almeno sin che duri l’attuale situazione parlamentare, che gli altri cinque paesi possano trovare dinnanzi a sé un Governo francese ed una Delegazione francese disposte a collaborare sul piano europeo più di quanto non lo facciano oggi Guy Mollet, Faure o Marjolin.

b) Sono convinto che la Delegazione francese non è convinta della gran parte delle richieste che presenta. Quindi è assai probabile che essa in certo senso collabori con altri cinque paesi a ricondurre il suo Governo su posizioni ragionevoli specie per quanto concerne l’inammissibile carattere di «unilateralità» e di «arbitrio» che presentano talune richieste qui sopra illustrate.

c) Sono invece altrettanto convinto che la Delegazione francese, ed in particolare il Signor Marjolin sono veramente e personalmente convinti della impossibilità per la Francia di entrare nel Mercato Comune senza una correzione di cambio. E poiché contro il noto parere dello stesso Marjolin il Governo francese non vuole per ragioni politiche svalutare il franco, ecco che Marjolin consiglia egli stesso il suo Governo di tener duro e di non mollare su tali sue richieste di «correzione». (Marjolin sembra talora quasi sottilmente compiacersi delle difficoltà nelle quali la mancata accettazione dei suoi punti di vista ha messo il Governo francese).

10) Una decisione definitiva sulle richieste francesi non potrà naturalmente venire presa dal Governo se non dopo che siano stati acquisiti i pareri delle varie competenti Amministrazioni, ed in particolare dei nostri esperti in materia monetaria e in materia di scambi. Mi pare spetti ai tecnici di dire la loro parola come elemento di primo piano per il finale giudizio politico.

Mi limito a porre qui due interrogativi.

a) Sarebbe interessante esaminare più da vicino quali sarebbero gli effetti, sugli scambi fra la Francia e gli altri paesi della comunità, di una eventuale svalutazione del franco: effetti che andrebbero raffrontati con gli effetti prodotti sugli stessi scambi, dall’attuale sistema (che la Francia vorrebbe consolidare) e che potremmo chiamare «cambi multipli».

Non v’è dubbio che l’attuale sistema adottato dalla Francia permette una serie di manovre discriminatorie: e non v’è dubbio altresì che tutte le industrie francesi che consumano materie prime in forte proporzione, si avvantaggiano notevolmente del fatto che il franco è sopravalutato per l’acquisto di tali materie prime ed è invece sottovalutato per il consumatore francese che vuole acquistare merci estere che fanno concorrenza alle merci francesi.

Per contro, la svalutazione del franco colpirebbe per esempio tutte quelle nostre esportazioni invisibili che non sono colpite dalle tasse sulla importazione ed anzitutto il turismo.

L’esame di tali complessi elementi (ho citato i primi che mi sono venuti alla mente) permetterebbe di stabilire un bilancio fra i due diversi regimi monetari francesi, l’attuale e quello auspicato dal Signor Marjolin.

Gli esperti coi quali ho parlato esprimono una netta preferenza per una franca svalutazione della moneta: tuttavia pesando il pro e il contro, potremmo meglio pesare anche la portata reale delle attuali richieste francesi.

b) L’entrata della Francia nel Mercato Comune anche in regime di tasse d’importazione, implica in ogni caso l’impegno alla riduzione doganale e all’allargamento dei contingenti.

Un Delegato beneluxiano, molto esperto, diceva l’altro giorno: «La Francia si impegna ad abolire al cento per cento la sua protezione doganale, ma nel contempo ci annuncia che mantiene un 15% supplementare. Perché non accettare il 100 e tollerare il 15?». E aggiungeva: «Con l’allargamento dei contingenti, si verificherà qualcosa di simile alla situazione che si è verificata all’O.E.C.E. Chi mai ha pensato di respingere il progresso lento delle liberazioni francesi per il solo fatto che esse sono accompagnate da una tassa sull’importazione?».

Si tratta naturalmente di opinioni, anzi di prime impressioni che sarebbe assurdo per oro colato4: la questione di fondo è troppo grave nei suoi aspetti tecnici per poter essere pregiudicata prima di essere approfondita.

Aggiungo tuttavia in linea di constatazione che le Delegazioni nel loro complesso non sembrano ferme su posizioni di assoluta intransigenza per quanto riguarda le nuove e certamente gravi richieste francesi.

11) Da molte parti invece è stato sollevato il problema delle contropartite, da far pesare sul tavolo dei prossimi e certamente impegnativi negoziati.

E questo mi sembra veramente il problema più importante anche per noi, oserei dire sopratutto per noi.

Mi consenta il Signor Ministro, alcune considerazioni in argomento.

a) Mi pare che non si debba consentire che la Francia finisca per essere considerata, al tavolo della Conferenza, come l’unico caso speciale esistente nei sei paesi.

Di fronte al fatto che è stato espressamente sollevato il «caso francese», deve venir gettato nel dibattito, ben documentato e ben delineato in tutti i suoi vari aspetti, il caso speciale italiano.

La nostra particolare situazione è stata naturalmente sempre segnalata e tenuta viva nella considerazione delle altre Delegazioni, anche in tutto il corso della Conferenza a livello esperti, che si è chiusa con la presentazione del rapporto di Bruxelles. Il frutto, cospicuo per verità, è rappresentato dal capitolo dedicato al fondo di investimenti ed in genere dalla considerazione in cui è stato tenuto il problema generale delle zone depresse. Allora però la Francia non aveva mai accennato ad esigere un protocollo speciale.

Oggi, di fronte al fatto nuovo, mi sembra che non dovremmo più mantenerci in posizione reticente.

Se il caso francese merita un protocollo speciale, il caso italiano ne meriterebbe due!

Questa – aggiungo subito – vuol essere soltanto una impostazione «negoziale». Personalmente credo che non si debba arrivare ad un protocollo speciale per l’Italia: ma si deve senz’altro affermare che se la Francia soffre di una distorsione generale di ordine monetario, noi soffriamo di un certo numero di distorsioni strutturali complessivamente almeno altrettanto gravi.

I rimedi potranno essere diversi: ma se si ammette la necessità di rimedi per il caso speciale francese, si devono ammettere per il caso speciale italiano.

Per parte nostra dovremmo fare del nostro meglio perché, ripeto, non attraverso protocolli speciali, ma attraverso disposizioni di ordine generale, il caso italiano possa trovare il suo posto nel futuro trattato.

b) La prima ripercussione che il «caso speciale» italiano dovrebbe avere nelle disposizioni del trattato, riguarda il «Fondo di investimenti».

Si tratta di stabilire chiaramente che il Fondo deve concedere un regime di priorità per i paesi che stanno affrontando il problema delle zone depresse; che il regime dei prestiti, specialmente degli «interessi», non può essere dominato da criteri bancari; e che il Fondo deve funzionare immediatamente sino dall’inizio della prima tappa.

Nel pensiero della Delegazione italiana questa richiesta non può avere il carattere di contropartita da presentare e da abbandonare lungo i negoziati: ma ha una sua ragion d’essere autonoma e non soggetta a sostanziali transazioni.

c) Su di un secondo punto sembra più che mai impossibile una transazione.

Di fronte alla richiesta francese di fruire per un periodo x di una situazione privilegiata, dev’essere chiaramente risolto il problema del passaggio alla seconda tappa ed alle tappe successive: passaggi da operarsi col massimo di automatismo, in base al criterio della più assoluta «irreversibilità».

Qualora si dovesse accettare anche dopo la firma del trattato il famoso 15% di aggravio «speciale» sull’esportazione verso la Francia, più che mai sarebbe necessaria la ricerca di ampie garanzie al fine di assicurare la realizzazione progressiva e dei ribassi doganali e delle liberazioni contingentali.

d) Inoltre l’Italia non potrà che associarsi alla resistenza degli altri quattro paesi di fronte alla richiesta francese di clausole che permetterebbero alla Francia, unilateralmente ed arbitrariamente, di determinare lo sviluppo o l’arresto del Mercato Comune. Tale principio, tradotto in richieste positive, significherà una serie di proposte intese al rafforzamento del pallido e debole sistema istituzionale previsto dal trattato.

e) E vi sono infine problemi importanti che il rapporto di Bruxelles ha messo piuttosto in secondo piano, almeno per quanto riguarda il parallelismo e la concomitanza rispetto alle progressive realizzazioni negli altri settori. Voglio particolarmente alludere alla liberazione dei capitali ed alla liberazione dei servizi.

Le considerazioni di cui sopra mi sembra possano indicare talune note importanti nell’ampia gamma di argomenti che il Ministro degli Esteri potrà portare nel prossimo negoziato a livello Ministri. E si tratta di prese di posizione tutte in piena armonia con lo spirito di un trattato di integrazione economica.

II) Ed infine mi si consenta una osservazione di carattere politico più generale.

I Delegati francesi, che io considero, ripeto, dei sinceri europeisti, commettono tuttavia, a mio avviso, un grave errore. Quello di seguire il Governo francese nella falsa tattica di far trangugiare l’Euratom e il Mercato Comune alla sua opinione pubblica, cercando accuratamente di nascondere che si tratta di tappe fondamentali verso la creazione di una Europa federata.

Con questo sotterfugio che, oltre tutto non inganna nessuno degli anti-europeisti francesi, l’azione della Francia e dei suoi Delegati perde ogni slancio e ogni possibilità di urto e di irradiazione nei confronti degli indecisi e degli incerti.

La Conferenza del giorno 8 d’ottobre si riunirà in un momento nel quale gli eventi internazionali stanno dimostrando come la solidarietà del mondo libero e dell’Europa in particolare, abbia bisogno di basi ben più salde e di premesse nuove: se la Conferenza riuscirà a ricondurre il Governo francese su di una posizione più coraggiosa, più aperta, più dinamica, in materia di unificazione europea, essa avrà anche di gran lunga facilitato il superamento di quelle stesse difficoltà psicologiche delle quali i Delegati della Francia alla Conferenza di Bruxelles sembrano tanto vivamente preoccupati.

Il Capo Delegazione rivolge viva preghiera all’On. Ministro di voler impartirgli le necessarie istruzioni in merito agli argomenti trattati in questa nota e di voler indicare essenzialmente la direttiva, la linea politica generale alla quale dovranno ispirarsi i lavori successivi della Delegazione5.

Creda, Signor Ministro, alla mia più cordiale deferenza

Suo aff.mo dev.mo

Benvenuti


1 Vedi Allegato, punto 10.


2 Poi rinviata al 20-21 ottobre, vedi D. 223.


3 Riferimento errato: i telegrammi sono entrambi del 14 settembre, vedi D. 211.


4 Sic. Si intenda: prendere per oro colato.


5 Non è stata rinvenuta la risposta di Martino; sull’argomento vedi D. 221.

216

L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 22179/249. Bad Godesberg, 30 settembre 1956, ore 15,30 (perv. ore 19,40).

Oggetto: Incontro Adenauer-Mollet1.

Attiro attenzione su comunicato incontro Adenauer-Mollet, integralmente inviato questa notte Roma da Agenzia telegrafica.

Incontro ha posto fine ultime controversie tecniche per questione Saar.

Ma sua importanza va al di là definitivo avvicinamento franco-tedesco.

Adehnauer, dopo seconda Conferenza Londra e dopo esserne uscito ulteriormente aggiornato in quanto questione Suez presentava per Germania difficoltà particolari, ha fatto brusca modificazione rotta, quale già si intravedeva da discorso da lui tenuto Bruxelles alle grandi Conferenze cattoliche (mio telespresso 2290 del 4 corrente)2.

Infatti, con quella rapida decisione che gli è particolare, Cancelliere Federale ha spostato suo orientamento da – se così può dirsi – «europeista in europeo».

Già urtato per temuta nuova strategia americana e forse scoraggiato da dimostrato scarso appoggio statunitense allorché sono in gioco interessi prevalentemente europei, egli deve avere temuto che rinnovata solidarietà franco-inglese, oltre che indebolire grandemente N.A.T.O., possa portare ad una sorta di direttorio a due dal quale Germania resterebbe esclusa, e quindi diminuita o quanto meno più isolata nei riguardi tanto Stati Uniti quanto Europa stessa. Al contrario, inserimento in predetta solidarietà non può che rafforzare posizione tedesca in ambedue direzioni.

Di più, richiamandosi antica aspirazione tedesca avvicinarsi quanto più possibile Gran Bretagna della quale aspirazione aveva dato prova occasione premio conferito Churchill in Aquisgrana (vedere mio telegramma n. 121 del 10 maggio u.s.)2 egli ha afferrato … di maggior interessamento inglese nei riguardi Europa continentale, e sviluppato sue direttive politiche in conseguenza.

Riferisco più ampiamente con rapporto.

Per ora desidero porre in luce seguenti elementi:

1. avvicinamento tedesco a tesi Gran Bretagna e Francia su futuri sviluppi questione Canale di Suez e in genere ad allineamento due paesi;

2. sminuire fiducia tedesca che appoggio americano sia carta principale se non unica a favore Germania;

3. tendenza a che costruzione europea, che può essere concepita al di fuori autorità supernazionali, possa e forse addirittura debba essere fine a se stessa3.


1 L’incontro ebbe luogo il 29 settembre 1956.


2 Non pubblicato.


3 Con T. 22590/252 del 5 ottobre Scammacca riferiva quanto segue: «Ambasciatore di Germania reduce da incontro Adenauer-Mollet mi ha detto: 1) per quanto concerne “junction” vi è stata notevole attenuazione nella posizione della Francia. Mollet ha assicurato Adenauer che qualora accordi Euratom giungessero a conclusione e ottenessero approvazione del Parlamento, la Francia non pretenderebbe che fossero applicati prima che siano stati a loro volta conclusi e approvati anche accordi circa Mercato Comune; 2) circa estensione Euratom a impieghi di carattere militare, Mollet in linea di principio si è dichiarato d’accordo sul concetto che questi debbano essere sottoposti a controllo, analogamente a impieghi civili; 3) circa “monopolio” materie fissili perdurano in Germania note forti obiezioni da parte ambienti industriali, in contrasto con importanti settori politici e parlamentari. In via personale, Ambasciatore ha espresso opinione che anche se su questo punto non si riuscisse a raggiungere una formula di compromesso e si dovesse registrare una “impasse” nella prossima riunione di Parigi, “non tutto il male verrebbe per nuocere” in quanto che ciò obbligherebbe circoli responsabili tedeschi a maggiore riflessione ed a modificare proprio atteggiamento per evitare fratture; 4) questione del così detto “nuovo rilancio europeo” è stata discussa solo genericamente e si è convenuto ritornarvi nel nuovo incontro che Adenauer avrà a Parigi con Mollet verso la fine del corrente mese».

217

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 5013/30661. Londra, 2 ottobre 1956.

Oggetto: Conversazioni anglo-francesi di Parigi.

A seguito e complemento di quanto ho segnalato telegraficamente in merito alle recenti conversazioni di Parigi fra i Primi Ministri e i Ministri degli Esteri britannici e francesi, comunico le informazioni avute oggi dal competente Sottosegretario al Foreign Office circa l’esame, svoltosi in tal occasione, delle possibilità di una qualche forma di associazione fra il Regno Unito e i processi di integrazione economica europea attualmente in corso.

È da rilevare che l’argomento è stato toccato – a differenza da quanto si era verificato in procedenti contatti – da Eden, di sua iniziativa. Il «Premier» britannico ha sottolineato la crescente considerazione rivolta dal suo Governo ai progetti integrativi dei Sei e ha notato come la proposta di uno studio sulla realizzabilità di un’area di libero scambio fatta dalla Delegazione inglese al Consiglio dell’O.E.C.E. rappresentava una prova di tale interesse e del desiderio di giungere, ove l’esame di tutti gli elementi del problema conducesse a conclusioni positive, a decisioni concrete. Naturalmente, egli ha osservato, la Gran Bretagna doveva tener conto fondamentalmente dei suoi legami ed impegni nel quadro del Commonwealth, ma non era detto che ciò rappresentasse un ostacolo poiché in realtà era perfettamente concepibile che le differenti esigenze fossero armonizzabili. Essa era comunque cosciente, sul piano politico, della necessità di compiere ogni ragionevole sforzo possibile per intensificare e rendere più stretta, anche sul terreno economico, la propria collaborazione con gli amici e alleati del continente. A questo fine – a parte lo studio già intrapreso in sede O.E.C.E. – si erano iniziate delle consultazioni con i Governi dei paesi del Commonwealth, che si sperava dessero un ulteriore incentivo ai propositi costruttivi che ispiravano il Governo di Londra.

Mollet – a quanto ci è stato detto – non sarebbe apparso, sulle prime, molto chiaramente informato sulla questione dell’area di libero scambio, e si sarebbe espresso in termini piuttosto scettici circa le possibilità concrete di iniziative che si svolgessero nell’orbita dell’O.E.C.E., organizzazione che egli avrebbe mostrato di considerare come di molto limitato raggio d’azione. Eden si sarebbe pertanto adoperato a illustrargli i fini dello studio in corso, ponendo in rilievo come esso, nelle intenzioni britanniche, mirasse sinceramente alla realizzazione di concrete e fattive intese e non – come in diversi ambienti si era mostrato di pensare – a intralciare o insabbiare l’azione dei Sei.

Mollet, infine, avrebbe sottolineato l’importanza dell’atteggiamento britannico in tema di integrazione economica europea relativamente agli orientamenti dell’opinione pubblica e particolarmente parlamentare francese. L’attesa, da parte francese – egli ha detto – è tale, che resipiscenze o ulteriori esitazioni o riluttanze inglesi nei confronti dell’auspicata più stretta collaborazione col continente, potrebbero avere un’influenza gravemente negativa in Francia, provocando una vera e propria battuta d’arresto nell’indirizzo europeistico. Il Primo Ministro francese avrebbe pertanto insistito sull’urgenza di decisioni positive da parte britannica.

Eden si sarebbe, nel rispondere, dichiarato perfettamente cosciente di tali aspetti politico-psicologici della situazione, confermando i sinceri e costruttivi propositi del proprio Governo.

Nel darci le suesposte notizie, al Foreign Office ci è stato fatto presente che i due Primi Ministri e i due Ministri degli Esteri hanno parlato dell’argomento quasi sempre fra loro soli. Non era quindi da escludersi che la discussione fosse stata più approfondita ed estesa: i suaccennati rappresentavano comunque i punti essenziali, così come erano stati trattati2.


1 Diretto per conoscenza all’Ambasciata a Parigi.


2 Riferendo sullo stesso argomento Quaroni (Telespr. ris. 1641/1092, pari data, diretto per conoscenza alle Ambasciate a Londra e Bonn) comunicò la soddisfazione di massima degli ambienti francesi aggiungendo tuttavia: «Nel valutare questo risveglio dell’interesse francese per la costruzione di una Europa con partecipazione inglese, si può anche concludere che è stata la crisi di Suez ad imprimere alla politica francese una direzione non solo filobritannica ma anche più decisamente europeistica … Tuttavia, bisogna anche considerare che la posizione inglese finisce per rafforzare le note riserve francesi circa il Mercato Comune, sebbene queste riserve siano basate su presupposti che escluderebbero anche la tesi liberistica ormai – pare – prevalente, almeno nei riguardi dell’Europa Occidentale, negli ambienti responsabili inglesi. Senza assumere, perciò, dirette responsabilità e continuando anzi a professare la loro fede europeistica, i francesi potrebbero anche sfruttare la prospettiva di una Europa a sette per ritardare od ostacolare la realizzazione del Mercato Comune a sei».

218

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALL’AMBASCIATA A BRUXELLES

T. 11364/205. Roma, 3 ottobre 1956, ore 18.

Con telegramma a me diretto1 Presidente Spaak, nell’attirare attenzione su prossimo dibattito Assemblea Consultiva Consiglio d’Europa circa Euratom e Mercato Comune, prospetta necessità fare proprio rapporto in tale occasione ed opportunità che altri Ministri non intervengano sull’argomento scopo evitare eventuale risalto difficoltà ancora esistenti.

Prego V.E. comunicare Presidente Spaak che concordo e che da parte mia mi asterrò intervenire in dibattito.


1 Non presente nella raccolta telegrafica.

219

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. riservato 1646. Parigi, 3 ottobre 1956.

Signor Ministro,

le dichiarazioni di Dulles prima dell’inizio della seconda Conferenza di Londra1 hanno fatto cadere come un castello di carte tutta la costruzione che il Governo aveva fabbricato o permesso che si fabbricasse intorno alla nota proposta dell’Associazione degli utenti. Ne è conseguito uno stato di confusione e di incertezza nell’opinione pubblica e politica, fino in alto, fino al livello dei Ministri – quelli che non sono dentro alle segrete cose, che sono poi la maggioranza – da cui il paese non riesce ancora ad uscire.

Ne emerge soltanto la convinzione – generalmente diffusa questa in tutti gli ambienti – che l’azione militare, l’azione di forza non ci sarà più. Chi la voleva, grida all’abbandono; chi la temeva, ora che il pericolo è o sembra passato, si dà piuttosto l’aria di rimpiangere che si sia perduta un’occasione di mostrare la forza della Francia. La critica nei riguardi del Governo è generale: gli si rimprovera di aver fatto la voce grossa senza essere poi in grado di dar seguito alle minacce pronunciate. E quando il Governo, come si poteva prevedere, cerca di difendersi trincerandosi dietro defezioni americane, inglesi o magari italiane, gli si rimprovera di non aver saputo apprezzare prima ed a tempo la situazione internazionale, e quindi le reali possibilità della Francia.

Ma tutto questo in sordina, molto in sordina, perché il pensiero praticamente unanime delle direzioni di tutti i partiti è che una crisi governativa è attualmente fuori questione, che non c’è ancora una formula politica che possa sostituirsi all’attuale, e che quindi bisogna sostanzialmente risparmiare il Governo.

In questa generale perplessità, anche l’incontro Eden-Mollet 2 – l’incontro con Adenauer in realtà si è limitato alla questione della Sarre – non ha portato nessun elemento veramente nuovo.

Al Quai d’Orsay, come V.E. ha visto, si è stati al riguardo piuttosto vaghi: ma non meno vaga è stata la stampa, e – in base ad informazioni che ho ragione di ritenere esatte – Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, nel riferirne al Consiglio dei Ministri, sono stati assai poco precisi, al punto anzi da sollevare critiche e reazioni.

È stato detto, e fatto circolare con molta insistenza, che è necessario pazientare fino alle elezioni americane: una volta superata questa data, accadranno molte cose nuove: si cerca, comunque, con ogni mezzo – e senza molto successo – di accreditare la convinzione che Francia ed Inghilterra non hanno nessuna intenzione di cedere, che anche l’uso della forza non è escluso, che Nasser si sbaglia se crede di aver vinta la partita, ecc. ecc. Ci pensa e ci crede veramente il Governo francese, o si tratta di voci messe in giro per superare una scadenza spiacevole? È difficile dirlo.

Nel complesso, sarei piuttosto portato a ritenere che, in questo incontro anglo-francese, non ci sia stato molto di realmente sostanziale: gli inglesi hanno dato ai francesi la soddisfazione, almeno apparente, di riconoscere alcuni loro torti, in Medio Oriente ed in Africa: ed hanno dato delle promesse generiche di non farlo più – le hanno date tante volte. Non è nemmeno da escludere che con questo viaggio gli inglesi abbiano voluto soltanto evitare un possibile scoppio di malcontento francese per gli abbandoni inglesi prima e durante la seconda Conferenza di Londra.

Per quello che riguarda l’Europa, sarei anche piuttosto portato a credere che non ci sia niente di preciso; che continui, lentamente, una certa evoluzione inglese che si notava già da qualche tempo; e che si possa, forse, oggi, cominciare a pensare che certe manifestazioni inglesi non rispondevano ad un desiderio di mettere dei bastoni fra le ruote ad Euratom o al Mercato Comune, ma che erano un primo sintomo di un mutamento di animus.

È il Governo francese sincero nell’annunciare questa «relance» europea, basata su di un avvicinamento dell’Inghilterra e su di un’evoluzione del pensiero generico, non come un orientamento generale, ma come il preludio imminente a grandi cose? O non cerca soltanto di sviare in altre direzioni l’attenzione dall’insuccesso di Suez, e allo stesso tempo precostituire, su questa base europea, una nuova possibile formula di governo? Difficile a dire anche questo: sull’«onestà» europea di Mollet e di Pineau, non ho dubbio alcuno: è più dubbio se realmente pensino a nuove grandi cose adesso: ed è ancora più dubbio cosa il paese – ed il Parlamento – sia realmente disposto ad accettare.

La dominante delle reazioni francesi – se si prende opinione pubblica e opinione politica in senso lato – è un’ondata di antiamericanismo di una profondità e di una violenza che non ha mai avuto l’eguale: e che abbraccia indistintamente tutti i partiti: reazione così generale e profonda che veramente non so se e come sarà possibile superarla.

Di antiamericanismo qui ce n’è sempre stato, e molto, ma con un orientamento ben definito: reazione ad una politica americana che sembrava voler spingere la Francia in una guerra contro la Russia a fianco della Germania: per questo stesso limitato nei suoi fini e nella sua zona di diffusione. Adesso è un’altra cosa: è l’America che, al momento del bisogno, abbandona l’alleato: reazione tanto più grave in quanto non realmente giustificata.

Precisare, in questo quadro così confuso ancora, le reazioni nei nostri riguardi, non è facile. Perché Pineau ha proprio preso di mira l’Italia? Forse perché, per un complesso di ragioni, non poteva sfogarsi con l’Inghilterra o con l’America: non è bello, anche se è comprensibile ed umano. Ha probabilmente giuocato anche un certo elemento personale suo che è del resto antecedente alle vicissitudini di oggi. Dato il nervosismo del momento e le abitudini di qui, la reazione stampa è stata più che moderata: i giornali si sono limitati a riportare le «supposte» dichiarazioni di Pineau: salvo un paio di giornali, la grande maggioranza ha riportato la versione assai più blanda dell’A.F.P.: i commentari di redazione l’hanno generalmente lasciata cadere. Che il «Figaro», giornale certo non di opposizione, abbia pubblicato con tanto rilievo la sua intervista-precisazione3, è di per se stesso un sintomo definitivamente amichevole: però, anche questa intervista non è stata oggetto di commento negli editoriali. Molto evidentemente, c’è stata volontà di non marcare l’incidente, se così lo si può chiamare.

Eguale atteggiamento ho notato negli ambienti politici (debbo fare la riserva che, in questo momento, i problemi della rentrée parlamentare dominano su qualsiasi altra considerazione). Dovrei dire che, nel complesso, ho notato – nella constatazione dispiaciuta che i nostri punti di vista non coincidono – uno sforzo abbastanza onesto da parte di molti di comprendere il nostro punto di vista, e molte riserve sull’opportunità da parte di Pineau di prendere così apertamente a partito l’Italia: anche questo fa parte di una critica generale a tutta la sua azione diplomatica ma, con tutta franchezza, dovrei piuttosto dire che, a tutt’oggi, la reazione prevalente è quella di dare piuttosto poca importanza a quello che noi abbiamo fatto o a quello che potremo fare.

Al Quai d’Orsay – a livello funzionari – la nota prevalente è quella di trattare tutto questo come «malintesi» e, dovrei dire, molta buona volontà per cercare di circoscriverli e di appianarli.

Vorrei però aggiungere che è troppo presto per esprimere un giudizio più preciso, e più ancora per sottomettere a V.E. eventuali proposte.

Il colpo di Suez per la Francia è stato ed è ancora estremamente duro. È estremamente duro, per un paese dell’orgoglio e della tradizione di questo, il dover constatare che non ha i mezzi per rimettere alla ragione un tirannello locale come Nasser. Che per quella che in altri tempi sarebbe stata una piccola operazione di polizia, la Francia ha bisogno di domandare a destra ed a sinistra degli aiuti che le vengono in pratica negati. E dietro a Suez si delinea sempre più lo spettro della perdita dell’Africa del Nord e del resto dell’Impero. È forse la prima volta, dal 1945 in poi, che la Francia comincia a dubitare di avere perduto la seconda guerra mondiale. Mettiamoci nei panni della Francia, e sarà facile renderci conto che il colpo è grave assai: e che bisognerebbe avere molta indulgenza per certe sue reazioni, e forse avere ancora molta pazienza.

L’opinione pubblica e politica francese comincia appena, ripeto, ad incassare il colpo: quale sarà la reazione finale di questo paese è impossibile prevedere: non so come rendere a V.E. la stravaganza della reazione e dei piani che si sentono avanzare da persone normalmente assai ragionevoli.

C’è sicuramente oggi una certa reazione «europea» anche e sopratutto in ambienti che fino a ieri erano notoriamente contro: ma è una reazione europea che è, rabbiosamente quasi, antiamericana: si reclama l’Europa per poter mettere alla porta l’America e gli americani, ossia una strada su cui non è molto facile per tutti seguirla. Può essere che questa reazione europea si concreti e si decanti: occorre certo in genere incoraggiarla quale che essa sia: sarebbe però prematuro contarci sopra più in là di un certo punto. Mi riprometto comunque, appena possibile, di tornare sull’argomento.

Se questa «relance» europea prenderà forza, come spero, in questa ripresa di politica europea, che è stata per lunghi anni il solo vero comune denominatore dei rapporti italo-francesi, si troverà il mezzo più naturale e più efficace per superare le altre divergenze.

Il Governo francese voleva la guerra – in qualche modo ci pensa ancora. Ma voleva che questa guerra fosse come una crociata fatta dalla Francia con gli applausi e con gli aiuti di tutti gli altri. Il Governo italiano ha ritenuto – e V.E. sa quanto personalmente ero d’accordo su questo – di mettere bene in chiaro che non approvava l’uso della forza: questo è all’origine della reazione Pineau: la questione dei pedaggi è piuttosto un falso scopo. D’altra parte, si trattava di una cosa troppo seria e vitale per noi perché potessimo subordinare la nostra linea di condotta al timore di una divergenza, anche seria, fra noi e la Francia. È una situazione che va seguita attentamente senza sottovalutarla, ma anche senza sopravalutarla. Anche nelle migliori amicizie, qualche volta una buona litigata serve a chiarificare l’atmosfera.

La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio.

[Quaroni]


1 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XX (1956), n. 39, pp. 1176-1177. Dal 19 al 21 settembre i Delegati dei diciotto paesi che avevano predisposto un piano per la soluzione della controversia del Canale di Suez si erano riuniti a Londra a seguito del rifiuto del piano da parte dell’Egitto e per gettare le basi di una Associazione degli utenti del Canale.


2 Del 26-27 dicembre 1956. Vedi D. 217.


3 «Relazioni internazionali» cit., p. 1200. Con tale intervista, pubblicata su «Le Figaro» del 29-30 settembre, Martino aveva replicato alle dichiarazioni di Pineau relative alle difficoltà create dalla posizione assunta da parte italiana alla Conferenza di Londra.

220

L’AMBASCIATA A PARIGI

Appunto1. Parigi, 8 ottobre 1956.

François-Poncet mi ha precisato che la riunione dei Sei per il Mercato Comune e Euratom, che avrebbe dovuto aver luogo il 10 e l’11 alla Celle-Saint-Cloud, è stata rinviata per permettere a Pineau e a Spaak, impegnati nella riunione del Consiglio di Sicurezza a New York, di parteciparvi.

I Ministri degli Esteri francese e belga, secondo una comunicazione fatta dall’Ambasciata francese a Washington al Quai d’Orsay, sono propensi a tenere una riunione il 15 ed il 16. Ma vi è la difficoltà di assicurare per questa data la partecipazione tedesca, dato che von Brentano è malato e Hallstein deve partire il 12 per l’India.

È stata fatta una «démarche» a Bonn perché Hallstein sposti di qualche giorno la sua partenza per l’India e partecipi il 15 prossimo alla riunione a Parigi sull’integrazione europea.

La risposta tedesca è stata negativa e la questione è ancora in sospeso.

La comunicazione ufficiale sarà fatta a Roma dalla Presidenza del Comitato Intergovernativo della Conferenza di Bruxelles. Però François-Poncet ha ricevuto istruzioni di comunicare tempestivamente a questa Ambasciata lo «schedule» proposto per la riunione2.


1 Il documento reca una firma illeggibile.


2 Tenutasi poi nei giorni 20 e 21 ottobre, vedi D. 223.

221

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALLE AMBASCIATE A BRUXELLES, PARIGI, BONN,L’AJA E LUSSEMBURGO

T. urgente 12032/c. Roma, 16 ottobre 1956, part. ore 1,15 del 17.

Per Bonn, Lussemburgo, L’Aja, Parigi: Ho telegrafato a Bruxelles quanto segue:

Per tutti: Delegazione italiana Conferenza Mercato Comune ha più volte richiamato attenzione altri Governi partecipanti su necessità per nostro paese ottenere sufficienti garanzie che nostro sforzo sviluppo Mezzogiorno non (dico non) sia reso più difficile da stabilimento Mercato Comune, ma che anzi regole trattato e istituzioni da esso create, provvedano istrumenti e misure atti a consentirci portare a termine opera intrapresa contemporaneamente a partecipazione a Mercato Comune. Su questo argomento Delegazione italiana ha precisato anche recentemente nostro punto di vista con speciale Memorandum n. Ch. Del. 421, che è a conoscenza codesto Governo. Concetti in esso ribaditi erano stati d’altronde accettati in rapporto Spaak dell’aprile scorso: vedi pagina 18 testo francese, in fine.

Non (dico non) è nostra intenzione chiedere regime speciale per Italia. Ma, anche per motivi di presentazione rispetto a richiesta francese di regime privilegiato, desideriamo che situazione particolare italiana nonché suo piano di sviluppo già riconosciuto d’interesse europeo in varie istanze internazionali, venga fatto oggetto di speciale menzione nel trattato. Tale menzione, che potrebbe trovar luogo in dichiarazione congiunta degli altri Governi da allegarsi al trattato, dovrà garantirci che tutti i mezzi e procedure previsti dal trattato saranno impiegati per facilitare a Governo italiano compimento sua opera, e per evitare insorgere pericolose tensioni nella bilancia pagamenti, nel mercato capitali e in quello della manodopera ecc. Fondo investimenti e fondo riadattamento dovranno in particolare essere utilizzati allo scopo prevenire formarsi di tali situazioni critiche.

On. Benvenuti espose tali concetti a Spaak, sottolineando che chiediamo assai meno che Francia (cui richieste stiamo esaminando con benevola comprensione) e comunque sempre nell’ambito del sistema.

Difficilmente opinione pubblica italiana potrebbe ammettere che trattato largheggiando verso la Francia, non menzioni caso italiano che è meno legato a contingenze particolari.

Prego quindi V.E. intervenire d’urgenza presso Ministro Spaak perché voglia, nel riferire prossima riunione Parigi come Presidente Conferenza Bruxelles su problemi in sospeso (punto 3 ordine del giorno), far stato di questa richiesta italiana che in mia vece On. Badini avrà successivamente l’onore di illustrare. Prego anche mettere al corrente Ophuels di quanto precede.

Per Bonn, L’Aja, Lussemburgo, Parigi: Prego V.E. rendere noto costà che desideriamo sollevare questione predetta nella riunione Ministri e che ci attendiamo una favorevole accoglienza di massima2.


1 Del 26 settembre, non pubblicato.


2 Vedi D. 223.

222

L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Appunto1. Bonn-Bad Godesberg, 16 ottobre 1956.

Dal febbraio (visita italiana a Bonn) e dal luglio (visita tedesca a Roma)2 si possono notare in Germania nuovi fatti ed elementi che richiedono conveniente considerazione.

1. La situazione economica della Germania ha continuato ed aumentato il suo ritmo di espansione all’interno ed all’estero; la posizione politica si è ulteriormente rafforzata, sia in relazione al decadimento che la crisi di Suez ha reso palese nell’Alleanza atlantica e nella posizione mondiale della Gran Bretagna e della Francia, sia in connessione al sostanziale avvicinamento tra la Francia e la Germania stessa.

2. Ambedue questi fattori hanno contribuito a sviluppare ed assodare, tanto nella popolazione tedesca quanto negli intendimenti del Cancelliere, un maggiore spirito di consapevolezza del peso specifico della Nazione e pertanto un’accentuata tendenza verso l’autonomia e l’importanza che quest’ultima desidera vieppiù acquistare in relazione allo svolgersi degli eventi tanto specificamente occidentali quanto mondiali in genere.

3. Al contempo, molte manifestazioni americane (malattia del Presidente; periodo elettorale; manifestazioni non sempre felici del Segretario di Stato; crisi di Suez e dei rapporti fra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna; nuova strategia americana e pericolo di ritorno ad una concezione periferica; ecc.) hanno indebolito la posizione che Washington aveva a Bonn, in quanto hanno scosso l’esclusiva fiducia che il Cancelliere aveva sin qui riposta negli Stati Uniti, e nell’appoggio che questi potevano conferire all’Europa in generale e alla Germania in particolare.

4. Da ciò, una duplice conseguenza. In primo luogo, un raffreddamento – più tattico però che strategico – nelle relazioni con gli Stati Uniti, nel senso di una maggiore elasticità – per non dire autonomia – della politica di Bonn nei riguardi di Washington; in secondo luogo, una modificazione nel concetto che questo Governo si fa del rilancio europeo allo scopo di tener conto delle tendenze dominanti nelle opinioni francese ed inglese.

5. Infatti, ora il Governo tedesco punta pel presente sul sostanziale avvicinamento con la Francia e pel futuro sullo sperato avvicinamento con la Gran Bretagna. Per percorrere una tale strada, il Governo tedesco ha ritenuto di dover allontanarsi molto dal concetto sostanziale della supernazionalità, e di favorire nel futuro raggruppamento che esso si augura (direttorio politico nell’U.E.O.) un fronte comune tedesco-franco-britannico. Allo stato delle cose, potrebbe addirittura dirsi che il Cancelliere auspichi la formazione di tre circoli concentrici: quello della tre grandi potenze, iscritto a sua volta nel concerto europeo – esteso forse anche ai Paesi scandinavi – e quest’ultimo inserito in quello più vasto dell’Alleanza occidentale, presentando i tre circoli concentrici una diversa intensità di colorazione.

In tali condizioni sembra siano da prendersi in esame le seguenti considerazioni:

1. La nostra politica di incondizionato appoggio ed apporto a quella tedesca potrebbe venir maggiormente sfumata, per non continuare in una parte che rischia di non conseguire assicurazione o contropartita.

2. Talune nostre visioni europeistiche potrebbero anche essere modificate, per quanto concerne almeno il concetto supernazionale al quale noi (malgrado adeguamenti tattici) le abbiamo sostanzialmente fin qui sottoposte. Ma ciò, a patto che da parte tedesca ci venisse assicurato, con opportune garanzie, che nessuna esclusività di rapporti abbiano ad intercorrere tra la Germania ed altre potenze europee, i quali dovrebbero essere uguali; in sostanza ed in apparenza, con quelli che intercorrono con l’Italia. Donde, impegno reciproco di informazione previa, se non di consultazione, su tutte le questioni che possono presentare riflessi di carattere europeo, di carattere atlantico e di indebolimento o di rafforzamento dell’Alleanza occidentale.

3. I rapporti con l’Italia dovrebbero essere ulteriormente sviluppati (anche per fornire a ciascuno dei due paesi un contrappeso di sicurezza, o di controassicurazione, nei rispetti dei rapporti che ciascuno di essi potrebbe avere con i restanti paesi europei). Nella fiducia che il Comitato di cooperazione economica tra l’Italia e la Germania abbia larghe possibilità di sviluppo (il che è da ritenere dopo la sua brillante partenza a seguito della venuta qui dell’On. Ferrari Aggradi) occorrerebbe che le relazioni economiche italo-tedesche ricevessero un ulteriore impulso attraverso il programma di riarmo, il quale sta attraversando in questo momento in Germania un secondo periodo di confusione. In tal campo dovrebbe nuovamente venirci assicurato che l’Italia verrà tenuta nella considerazione che le spetta, con cifre più precise e sopratutto più impegnative che non quelle forniteci a Roma. In secondo luogo, è desiderabile che si dia piena e rapida applicazione agli accordi culturali, e pertanto che vengano gettate le basi del progettato «Istituto di Studi italiani in Germania» previsto in occasione della visita del febbraio scorso.

Ma sopratutto occorre che un maggiore scambio di vedute politiche abbia luogo per i normali tramiti tra i due Governi. Un particolare desiderio che in tale direzione venisse espresso dall’On. Presidente della Repubblica, avrebbe qui una eco utile, oltre che favorevole.

4. Di fronte alla stasi dei rapporti tedesco-sovietici dopo il recente scambio di note fra Germania ed alleati (alle quali Mosca non ha fin oggi risposto) potrebbe risollevarsi, se ancora in tempo, la questione della riunificazione tedesca da portarsi alle Nazioni Unite. L’Italia potrebbe in tal maniera cercare di assicurarsi un diretto interessamento nelle questioni tedesche, e di far sì che da parte della Germania le vengano riconosciute possibilità di appoggio e di azione. Potrebbe anche venir esaminata con i tedeschi l’opportunità del ristabilimento di relazioni diplomatiche da parte della Germania con i paesi satelliti, e venir gettate le basi, per il caso in cui tale ripresa delle relazioni avesse luogo, di un coordinamento in vari campi, compreso quello economico, della politica nei riguardi di detti paesi.

5. Infine, potrebbe venir esaminata la riforma dell’U.E.O. ai fini desiderati dal Cancelliere (nel senso di dare a questo organismo una più larga possibilità di decisioni politiche e di azione di sorveglianza e di propulsione in tutte le questioni politiche concernenti l’Europa). Proposte eventualmente concordate tra i due paesi, le quali venissero presentate in quel consesso, eviterebbero la possibilità di isolamento dell’Italia e fin dal primo momento la porrebbero colà in posizione di primo piano.

6. In considerazione di taluni alleggerimenti della politica del Cancelliere nei riguardi dell’opposizione interna (forse. davanti al fatto di un certo indebolimento che egli avverte della propria posizione), ed in previsione di un eventuale Gabinetto di coalizione che potrebbe uscire dalle prossime elezioni, sembra opportuno che da parte nostra si tenga conto:

a) della possibilità di un progressivo affermarsi di altre personalità e di taluni gruppi nella direzione degli affari in Germania;

b) della convenienza di non basare la nostra posizione politica qui sul Cancelliere soltanto;

c) della opportunità, anche per non urtare gli eventuali «delfini» ed i partiti concorrenti, di allargare la cerchia dei contatti ad altri esponenti, ad altri gruppi ed altre persone. Sarebbe mia cura di far sì che l’On. Presidente potesse incontrare autorevoli esponenti delle varie correnti e dei vari partiti maggiori e minori, nonché rappresentanti delle forze sociali, in special modo sindacali, della Germania.


1 Trasmesso a Roma con Telespr. segreto 16693/2444, pari data.


2 Vedi DD. 135 e 186.

223

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1.

RELAZIONE SULLA RIUNIONE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRIDEGLI AFFARI ESTERI DEI SEI PAESI MEMBRI DELLA CONFERENZA DI BRUXELLESSUL MERCATO COMUNE E EURATOM

Il 20-21 ottobre corrente si sono riuniti a Parigi, sotto la Presidenza di Bech, i sei Ministri degli Affari Esteri di Messina, per la discussione di diversi problemi sorti durante i lavori della Conferenza di Bruxelles, incaricata di redigere i trattati istitutivi del Mercato Comune e di Euratom.

La Delegazione italiana era guidata dall’On. Ministro degli Affari Esteri Martino nella prima parte della Conferenza, e dall’On. Sottosegretario Badini Confalonieri nella seconda parte. Erano presenti i Ministri Pineau, Brentano, Spaak e Luns.

Nei giorni immediatamente precedenti alla Conferenza i tedeschi avevano esercitato forti pressioni perché alla riunione fossero presenti anche i Ministri dell’Economia e dell’Energia Nucleare. Da parte degli altri Governi veniva risposto negativamente, a causa di difficoltà organizzative. Non senza qualche sorpresa da parte dei convenuti si vedevano quindi, pochi minuti dopo la riunione, fare il loro ingresso nella Sala dell’Orologio al Quai d’Orsay i Ministri Erhard e Strauss, che si univano alla Delegazione tedesca in qualità di «esperti».

I seguenti argomenti hanno formato oggetto di discussione.

1. Rapporto del coordinatore Ministro Spaak sullo stato di avanzamento dei lavori della Conferenza, e in particolare sui problemi richiedenti una decisione dei Ministri.

a) Si trattava anzitutto di numerose richieste francesi relative al trattato per il Mercato Comune; alcune relative a principî da introdurre nel trattato, altre aventi tratto ad uno statuto speciale per la Francia, per tener conto della situazione particolare nella quale la Francia si trova attualmente, sia a causa della guerra in Algeria che per il cronico deficit della bilancia dei pagamenti.

Modalità di passaggio dalla prima alla seconda tappa. Il Governo francese aveva chiesto fin dalla riunione di Venezia dello scorso maggio2 che al sistema automatico previsto dal rapporto di Bruxelles (per cui il passaggio dalla prima alla seconda tappa avverrebbe dopo quattro anni dall’entrata in vigore del trattato) fosse sostituita una serie di obiettivi, designati nel trattato; solo dopo che il Consiglio dei Ministri avesse constatato all’unanimità che tali obiettivi erano raggiunti, avrebbe avuto luogo il passaggio alla seconda tappa.

Nel presentare la questione il Presidente Spaak proponeva un sistema di compromesso secondo il quale la tappa doveva restare fissata a quattro anni, ma il passaggio alla seconda sarebbe avvenuto con decisione a maggioranza del Consiglio, su rapporto della Commissione Europea. La lunga e in parte confusa discussione metteva in luce la ostinazione della Francia per la propria tesi, motivata (come è stato più o meno chiaramente ammesso durante la discussione) dall’intenzione francese di valersi del diritto di veto non tanto per arrestare il processo di integrazione, ove l’esperienza dei primi quattro anni non sembrasse soddisfacente, quanto per conservare in mano un mezzo di pressione per costringere gli altri Governi membri – e in particolare la Germania – ad adottare quelle misure di armonizzazione dei carichi sociali, che erano state poste dai francesi, in un primo tempo, come un préalable alla firma del trattato. Con tale sistema il Governo francese veniva a spostare il préalable dal periodo antecedente alla firma del trattato al termine del primo periodo di funzionamento di esso.

La discussione su questo punto era particolarmente accanita, e portava anche ad una sospensione della seduta, nel corso della quale era possibile a Pineau raggiungere telefonicamente il Presidente Mollet, che si trovava a Besançon. Su autorizzazione di Mollet un accordo di principio veniva raggiunto sulle basi seguenti:

- fissazione della prima tappa a quattro anni;

- elencazione nel trattato degli obiettivi da raggiungere entro la prima tappa;

- constatazione da parte del Consiglio, all’unanimità, che alla fine della prima tappa tali obiettivi erano stati raggiunti;

- ove l’unanimità non fosse raggiunta, l’esame verrebbe ripreso nel periodo successivo; dopo due anni sarebbe stata sufficiente la maggioranza qualificata per constatare l’avvenuto raggiungimento degli obiettivi; ma in tal caso i Governi minoritari, che non intendessero sottomettersi alle decisioni della maggioranza, avrebbero diritto di adire una speciale procedura di arbitrato sulla constatazione contrastata; se anche tale procedura fosse loro sfavorevole, il passaggio alla seconda tappa sarebbe finalmente avvenuto.

Come si vede, era veramente in gioco l’eventuale diritto della Francia (o di un altro Stato minoritario) di vedersi confermato nel trattato stesso il diritto alla secessione, dopo un primo periodo di 4/6 anni. Le idee dei francesi in materia erano ben ferme, sin dall’epoca della Conferenza della C.P.E. nel 1954: ritenendosi da parte loro che solo la minaccia di una rottura del Mercato Comune potesse efficacemente garantirli. La Delegazione francese rinunciava con molta fatica a queste pretese e solo dopo che gli altri Ministri avevano opposto una resistenza unanime (salvo qualche oscillazione di Spaak, forse dovuta a motivi tattici). Ciò può valere anche a spiegare la forte reazione francese al mancato accordo da parte tedesca sul punto seguente e cioè sull’armonizzazione dei carichi sociali.

Da parte francese era stato richiesto che fra gli obiettivi della prima tappa dovesse annoverarsi l’armonizzazione nei sei paesi – a livello francese – della durata dei congedi pagati, della parificazione fra salari maschili e femminili, e infine della durata delle ore di lavoro settimanale dopo le quali deve essere corrisposto il trattamento per ore straordinarie nonché del tasso di aumento percentuale di tale trattamento.

Raggiunto l’accordo sui primi due punti, in quanto per il primo l’armonizzazione è già di fatto avvenuta e per il secondo sono stati accolti i principî contenuti nella convenzione n. 100 sottoscritta presso il B.I.T. di Ginevra, la Delegazione tedesca ha dichiarato di non poter accogliere il principio della terza armonizzazione in quanto ciò significherebbe un rapido aumento dei costi di produzione in Germania, particolarmente nell’agricoltura.

Diverse formule di compromesso sono state affacciate a questo proposito, ma la Delegazione tedesca non ha creduto o potuto andare oltre la promessa di sottoporre nuovamente il problema al Governo tedesco. Brentano rendeva noto che i sindacati operai tedeschi avevano pochi giorni prima presentato la richiesta di ridurre la settimana lavorativa a 40 ore; e il Governo tedesco, che l’aveva rifiutata, non si sentiva di accettarla ora implicitamente dando il suo accordo alla proposta di compromesso di Spaak (far cadere i normali aumenti salariali dei primi quattro anni del Mercato Comune sul trattamento delle ore di lavoro al di là della quarantunesima ora). Su tale impasse della Conferenza la Delegazione francese ritirava l’accettazione della formula di compromesso, sul problema del passaggio alla seconda tappa, per quanto tale formula tenesse conto larghissimamente dei desiderata francesi. Dopo una lunga seduta ristretta tenuta dai Ministri per tentare un accordo sui due problemi, la Conferenza veniva rinviata a data da destinarsi.

Clausola di salvaguardia in caso di difficoltà della bilancia dei pagamenti. I Ministri avevano nel frattempo discusso altri problemi. La Delegazione francese aveva richiesto che fosse previsto che, in caso di grave crisi o minaccia di crisi della bilancia dei pagamenti, ove misure urgenti fossero necessarie, uno Stato membro potesse prendere d’urgenza e di propria iniziativa delle misure di salvaguardia, con riserva di approvazione a posteriori da parte del Consiglio dei Ministri. Una soluzione di compromesso si era delineata nel senso di accogliere la proposta francese, con l’obbligo di notifica contemporanea alle istituzioni della Comunità, le quali dovrebbero deciderne definitivamente a maggioranza qualificata; in caso di non avvenuta ratifica dalle misure, queste cesserebbero automaticamente.

Richiesta francese di mantenere l’attuale regime di aiuti alla esportazione e tasse all’importazione. Come noto, il Governo francese mantiene attualmente in vigore un sistema di aiuti all’esportazione e tasse all’importazione, per riaggiustare indirettamente il livello del cambio del franco non corrispondente alla reale situazione del mercato. Una lunga discussione ha avuto luogo fra i Ministri sul problema e le proposte italiane, tendenti a dare al problema una soluzione realistica e ad istituire un sistema per l’evoluzione progressiva di tale regime, hanno trovato buona eco fra i Ministri. La soluzione di compromesso che si era delineata consisteva nei seguenti principi:

- la Francia è autorizzata a mantenere il regime di tasse ed aiuti alle seguenti condizioni:

i) esame periodico del regime in consultazione con le istituzioni della Comunità;

ii) il plafond attuale non potrà essere superato;

iii) il regime dovrà cessare in applicazione di criterî obiettivi la cui realizzazione sarà constatata dal Consiglio dei Ministri con decisione a maggioranza;

iiii) gli esperti sono stati incaricati di precisare i criterî (situazione economica globale della Francia, bilancia generale dei pagamenti, riserve monetarie) atti a stabilire metodi e ritmo della eliminazione progressiva del regime speciale.

Come appare chiaramente da quanto detto sopra, non era in realtà stata raggiunta una soluzione completa del problema, ma soltanto l’accordo su alcuni principî. Sembra tuttavia lecito sperare che nel corso dei lavori degli esperti di Bruxelles una soluzione soddisfacente potrà essere trovata.

Situazione italiana. Da parte italiana è stato segnalato che la situazione economica italiana, in relazione particolarmente ad alcune zone sottosviluppate, fa nascere dubbi circa i rischi che l’istituzione del Mercato Comune può comportare per l’economia italiana. In seguito all’intervento dell’On. Ministro Martino (all. 1)3 i Ministri manifestavano il loro accordo di principio sulla proposta da lui fatta, incaricando gli esperti di mettere a punto il testo relativo.

La proposta italiana è che al trattato venga annessa una dichiarazione comune degli altri cinque Governi (all. 2)4, la quale riconosca: che l’eliminazione degli squilibri di struttura dell’economia italiana e il relativo piano decennale di sviluppo sono di interesse comune dei sei paesi; che le istituzioni della Comunità dovranno mettere in opera tutti i mezzi e le procedure consentiti dal trattato per facilitare il Governo italiano in tale suo compito, particolarmente mediante un impiego adeguato dei Fondi di investimento e di riadattamento; che tutti i mezzi dovranno esser messi in atto per evitare tensioni pericolose nell’economia italiana che potrebbero obbligare il Governo italiano a chiedere di ritardare l’applicazione del trattato; e che infine nel caso di crisi della bilancia dei pagamenti italiana non dovranno essere chieste al Governo italiano misure che possano compromettere la realizzazione del programma di espansione economica e di aumento del livello di vita della popolazione.

Euratom - Approvvigionamenti. Una lunga e piuttosto complessa discussione si svolgeva fra i Ministri sul problema del sistema di approvvigionamenti in materie prime e materiali fissili, da parte di Euratom.

La Delegazione tedesca aveva da tempo fatto conoscere la sua opposizione al principio del monopolio degli approvvigionamenti affidato a Euratom, chiedendo che qualche formula di maggior liberismo fosse introdotta nel trattato. Le altre cinque Delegazioni, con sfumature diverse, si erano pronunciate per il monopolio, per far sì che Euratom realizzasse l’uguaglianza degli Stati membri nell’accesso alle risorse disponibili di queste nuove fonti energetiche, sottolineando che parlare di liberismo su tale argomento, nell’attuale configurazione del mercato dei materiali nucleari non fosse realistico. Anche su questo problema un principio di compromesso si stava più o meno profilando, benché peraltro alcuni punti fossero rimasti nel vago. I Ministri anzitutto riconoscevano che il sistema previsto dal rapporto di Bruxelles non intende costituire un vero e proprio monopolio, ma un sistema di rapporti giuridici del tutto sui generis fra Euratom e utilizzatori. Si poteva ammettere che l’Agenzia di approvvigionamenti di Euratom disponga della priorità di acquisto su tutti i materiali della Comunità e costituisca l’intermediario esclusivo cui dovranno far capo gli utilizzatori per i loro approvvigionamenti. A tale sistema, due sole eccezioni: in caso di penuria, ove l’organizzazione non possa fornire il materiale richiesto, l’utilizzatore può rivolgersi ai paesi terzi e approfittare delle offerte che riuscisse a procurarsi. Quanto al modo di procurarsi le offerte e di procedere all’acquisto, nessun compromesso peraltro veniva raggiunto. La seconda eccezione riguarda i prezzi, per il caso in cui quelli offerti da Euratom siano fortemente superiori a quelli prevalenti sul mercato mondiale. La discussione non veniva approfondita su questo punto; ma si veniva a sapere che i francesi sarebbero stati disposti a sovvenzionare sul bilancio dello Stato le miniere francesi, i cui costi di produzione fossero superiori a quelli mondiali.

Nella proposta tedesca l’accettazione del monopolio degli approvvigionamenti era tuttavia subordinata alla rivedibilità del sistema a breve termine (3 anni). Francesi e belgi insistevano invece per un periodo iniziale di 10 anni, e nessun accordo veniva raggiunto.

Impiego dell’energia atomica a fini militari. Su questo argomento non vi era una discussione vera e propria, avendo Brentano dichiarato che il Governo tedesco non intendeva rimettere in questione l’impegno preso col Trattato di Parigi. La questione dei controlli sui materiali impiegati a fini militari non veniva toccata. Una lunga e confusa discussione aveva invece luogo sullo scambio di conoscenze derivanti dalle ricerche in materia militare: i tedeschi richiedendo che queste fossero messe a disposizione della Comunità, sia pure con una procedura speciale diretta a tutelare il segreto militare. Veniva raggiunta la conclusione provvisoria che il sistema di scambio delle conoscenze dovesse essere lo stesso nel campo civile (che per la verità ha carattere piuttosto restrittivo) e nel campo militare.

Estensione del Mercato Comune ai territori d’oltre mare. Su questo argomento l’anticipata chiusura della Conferenza non ha permesso che avesse luogo la prevista presentazione orale della proposta franco-belga.

Varie. I Ministri dovevano procedere alla nomina dei Tre Saggi che, secondo la proposta del Comitato Monnet, dovranno studiare un programma di urgenza per lo sviluppo dell’energia nucleare. Un accordo era stato raggiunto fra le Delegazioni per la nomina di Armand (francese) Etzel (tedesco) e Giordani. Non vi era tuttavia il tempo di fare ratificare tale accordo.

Dopo la discussione in seduta ristretta, di cui si è parlato più sopra, la Conferenza si è chiusa col comunicato stampa che qui di seguito si riporta:

«I sei Ministri degli Affari Esteri della C.E.C.A. riuniti a Parigi il 20 e il 21 ottobre 1956 hanno ascoltato un rapporto del Presidente Spaak sullo stato di avanzamento dei lavori della Conferenza intergovernativa di Bruxelles che procede alla redazione dei due trattati di Euratom e del Mercato Comune.

Dopo una lunga discussione, essi hanno constatato che, sebbene su numerosi punti l’accordo fosse raggiunto, esistono delle divergenze che esigono la consultazione dei loro rispettivi Governi.

Essi hanno chiesto ai loro esperti di proseguire nei loro studi su un certo numero di questioni ed hanno deciso di riunirsi nei termini più brevi».


1 Il documento, datato Roma 24 ottobre, venne trasmesso da Ducci (Telespr. 44/16725 del 27 ottobre) agli stessi destinatari di cui al D. 212 con l’aggiunta, per conoscenza, del Servizio Nazioni Unite. Per il verbale della Conferenza vedi Appendice documentaria, D. 5.


2 Vedi D. 178.


3 Vedi Appendice documentaria, D. 5.


4 Ibid., Annexe III.

224

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BADINI CONFALONIERI,ALLE AMBASCIATE A BONN, BRUXELLES, L’AJA,LUSSEMBURGO E PARIGI

T. 12382/c. Roma, 25 ottobre 1956, ore 18,50.

V.E. avrà letto sulla stampa comunicato finale della recente riunione Parigi sei Ministri Affari Esteri. Appunto riassuntivo su di essa le viene inviato prossimo corriere1. Conferenza ha raggiunto soluzioni su diversi punti di notevole importanza; ma divergenze insorte a proposito richieste francesi circa modalità passaggio da prima a seconda tappa Mercato Comune (sulle quali sembrava essersi trovato accordo con rinuncia francese a diritto di veto) e circa armonizzazione in materia ore di lavoro straordinarie (sulla quale tedeschi si sono impuntati affermando di non poter ammettere fin da ora settimana 40 ore che è stata recentemente rifiutata a loro sindacati) possono avere ingenerato in opinione pubblica forte dubbi circa volontà sei Governi procedere seriamente su via integrazione europea. Ciò tanto più in quanto è generalmente noto che posizione tedesca in materia monopolio Euratom su approvvigionamenti, benché si sia notevolmente ravvicinata quella dei francesi, non è tuttora da questi ultimi considerata totalmente accettabile.

Nonostante tutto questo, e benché francesi ritengano – pur avendo ottenuto soddisfazione anche alla richiesta di un regime di privilegio per tasse di compensazione e aiuti alla esportazione – di aver già ceduto abbastanza sulla loro lunga lista di condizioni, Governo italiano ritiene che divergenze suddette non costituiscano problemi di tale portata politica da impedire sollecita ripresa lavori Ministri e che offrano tuttora possibilità di compromessi ragionevoli.

Ci auguriamo quindi che prossimi incontri Brentano e Pineau a Lussemburgo2 Adenauer e Mollet3 a Parigi possano portare ad avvicinamento posizioni e gradiremmo esser tenuti dettagliatamente al corrente su eventuali sviluppi. Riteniamo inoltre che Presidente Bech dovrebbe iniziare quanto prima passi necessari per fissare data nuova riunione ministeriale al fine evitare che incertezza ingeneri false impressioni nella opinione pubblica.

Ove, nel corso conversazioni franco-tedesche di cui sopra, qualche singolo punto non potesse essere completamente chiarito, ordine giorno prossima riunione Ministri potrebbe essere modificato in conseguenza, rimettendo a successiva riunione discussione questioni non ancora «mature».

Da parte nostra abbiamo fatto ogni sforzo per renderci conto e accogliere richieste altrui e contenere nostre richieste limiti massima ragionevolezza, che è stata d’altronde riconosciuta da tutti: abbiamo perciò ogni motivo per attenderci dagli altri prove di buona volontà. V.E., nel rendere noto a codesto Governo quanto precede, vorrà informarci e riferire rapidamente a questo Ministero circa prospettive che sembrino delinearsi costì per ripresa trattative e circa quanto si ritenga utile fare per superare difficoltà che si sono manifestate Parigi4.


1 Vedi D. 223.


2 Su questo incontro Venturini comunicò (T. 24653/507 del 27 ottobre) l’avvenuta firma dell’accordo per la Saar e per il Canale della Mosella ed il rinvio dell’esame delle questioni rimaste in sospeso circa il Mercato Comune e l’Euratom alle programmate conversazioni di Adenauer con Mollet.


3 Vedi DD. 228 e 229.


4 Per il seguito da Parigi vedi D. 226. Grazzi comunicò (T. 24768/271 del 29 ottobre) le buone disposizioni tedesche per il superamento delle divergenze con la Francia; Bobba riferì da Bruxelles (T. 24487/272 del 26 ottobre) circa le posizioni tendenzialmente positive dei Delegati al Comitato Intergovernativo suggerendo la sollecita convocazione di una riunione dei Ministri degli Affari Esteri, mentre Venturini (T. 24563/506 del 26 ottobre) riportò l’opinione di Bech sull’inopportunità di convocare tale riunione prima delle conversazioni franco-tedesche. Non è stata rinvenuta una risposta telegrafica da L’Aja.

225

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 1739/11671. Parigi, 25 ottobre 1956.

Oggetto: Conferenza di Parigi sul Mercato Comune ed Euratom.

Marjolin, avvicinato allo scopo di avere le sue impressioni sulle discussioni svoltesi nei giorni scorsi a Parigi per il Mercato Comune e l’Euratom2, ha lasciato trasparire una certa soddisfazione per i progressi compiuti e ha affermato di nutrire buone speranze sul proseguimento dei lavori degli esperti.

Secondo lui l’irrigidimento dei tedeschi sulla questione delle ore supplementari era dovuto in gran parte alla composizione stessa della Delegazione germanica: Brentano, chiuso tra Erhard da un lato e Strauss dall’altro, non poteva avere abbastanza autorità per imporre un’attitudine più «souple». È impensabile, però, secondo Marjolin, che, su questa questione – per sormontare la quale il progetto di trattato prevede del resto delle misure scappatorie – i tedeschi continuino a mantenere un atteggiamento così rigido.

Si è quindi, qui, fiduciosi sul risultato dei prossimi contatti franco-tedeschi che avranno luogo fra giorni al Lussemburgo3, nonché su quello dei colloqui che Guy Mollet e Pineau avranno con Adenauer durante la sua prossima visita ufficiale a Parigi4.

Si ritiene inoltre che una certa e non improbabile azione dei sindacati tedeschi potrà anche influire in senso favorevole sull’atteggiamento di quella Delegazione.

D’altra parte Marjolin ha tenuto a sottolineare il fatto che la concessione fatta dai francesi, in tema di Mercato Comune, e in base alla quale essi hanno accettato il principio della maggioranza invece di quello dell’unanimità per procedere alla seconda tappa, è, di fatto, una «concession majeure» che però – a suo avviso – non aumenta i rischi di ratifica del trattato stesso da parte del Parlamento francese.

Secondo il nostro interlocutore, e ove le previste prossime discussioni coi franco-tedeschi riescano a rimuovere l’ostacolo sul quale si sono fermate le ultime conversazioni di Parigi, è quindi pensabile che i lavori sui progetti dei due trattati possano riprendere al più presto. Pertanto, poiché la maggior parte dei Ministri interessati sarà assente dall’Europa per buona parte del mese di novembre onde partecipare ai lavori dell’Assemblea delle Nazioni Unite, Marjolin – a titolo puramente personale – ha espresso la speranza che i rispettivi Sottosegretari si possano riunire quanto prima a Bruxelles, magari sotto la presidenza di Spaak, il quale pare non si rechi a New York per i lavori delle Nazioni Unite: nuove direttive quindi potrebbero essere messe a punto per i Capi di Delegazioni permanenti e questi ultimi potrebbero così riprendere non solo il lavoro interrotto, ma anche abbordare quei problemi che ancora debbono essere approfonditi, quale quello dell’estensione del Mercato Comune al settore agricolo ed ai territori d’oltre mare.

Marjolin ritiene infine che sia possibile sormontare anche le difficoltà avanzate sul progetto di trattato Euratom. Sulla questione della proprietà delle materie fissili però (non quella dei minerali allo stato grezzo ma di quelli arricchiti) l’opinione francese è ferma sul principio che essa debba essere riservata al nuovo ente: solo in tale maniera è infatti possibile esercitare un assoluto controllo, e del resto questo atteggiamento corrisponde alle idee americane in materia, con le quali pertanto è di interesse comune armonizzarsi.

Sul punto specifico del segreto militare e delle informazioni scambiate tra i vari Governi sugli ultimi ritrovati scientifici, Marjolin ha espresso il parere che le perplessità manifestate da alcuni Ministri erano dovute al fatto che essi non erano perfettamente informati del lavoro fatto dagli esperti a Bruxelles, il progetto dei quali, per il momento, non comportava che l’impegno di comunicarsi solamente i progressi e le innovazioni scientifiche brevettate.

Marjolin ha comunque promesso di tenerci al corrente del risultato delle prossime conversazioni franco-tedesche.


1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Bonn, Londra, Washington, Bruxelles, L’Aja e Lussemburgo e alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E. a Parigi.


2 Vedi D. 223.


3 Vedi D. 224, nota 2.


4 Vedi DD. 228 e 229.

226

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 25213/775. Parigi, 31 ottobre 1956, ore 13 (perv. ore 12,30 del 1° novembre).

Oggetto: Euratom e Mercato Comune.

Ho accennato a Joxe iniziativa cui al telegramma di V.E. n. 12568/c.1: l’ha trovata interessante e si è riservato di parlarmene la settimana prossima.

Circa la prossima visita Adenauer a Parigi2 ha tenuto a precisarmi che è sopratutto prima visita ufficiale che Cancelliere fa a Parigi, dove è venuto molte volte ma mai per visitare Governo francese. Si parlerà certo anche dell’Euratom e del Mercato Comune ma non soltanto e nemmeno principalmente di questo.

Mi ha detto comunque che per la fine della settimana era indetta Quai d’Orsay riunione per precisare posizione francese su questi argomenti appunto in vista conversazioni con Adenauer; mi ha dato appuntamento per lunedì 5 per mettermi al corrente conclusioni.

Joxe, sempre pieno buone intenzioni ed ancora fresco del posto, spera sempre riuscire precisare pensiero suo Governo prima qualche riunione internazionale di una certa importanza; fin qui invariabilmente si è urtato di fronte incapacità Governo francese precisare suo pensiero altrimenti che nel corso stesso delle riunioni internazionali – il che fra l’altro rende molto difficile in pratica quella consultazione preventiva che noi così giustamente desideriamo – ; dubito quindi che sarà realmente in grado prima venuta Adenauer esprimermi punto di vista esatto Governo francese.

Mi ha comunque osservato che non è probabile che si faranno dei progressi notevoli. Differenze che separano Germania da Francia sia per Euratom che per il Mercato Comune, non provengono da interessi contrastanti ma da differente impostazione generale politica interna ed economica: è contrasto fra economia tendenzialmente dirigistica e socialisteggiante Francia ed economia ferocemente liberale e molto di destra della Germania. Per Sarre Adenauer era riuscito imporre tedeschi accettazione concessioni anche molto gravose: riteneva assai difficile potesse invece imporre suo punto di vista Erhard ed altri su questi problemi e che sarebbe stato quindi molto reticente impegnarsi. Non escludeva pertanto – a titolo personale – che sarebbe stato necessario forse attendere fino a prossime elezioni che avrebbero probabilmente reso necessario Governo coalizione cattolici socialisti e per conseguenza modificato indirizzo generale politica sociale economica Germania.

A suo avviso personale, riunione Presidenti del Consiglio era consigliabile se dopo incontro franco-tedesco probabilità accordo fossero diventate maggiori: altrimenti non vedeva quale utilità pratica avrebbe portato riunione Presidenti del Consiglio per constatare che non c’era accordo fra i Sei come era già stato fatto Conferenza Parigi del 21.

Per quanto riguarda particolarmente questo paese, tengo a far presente a V.E. che Presidente del Consiglio, al pari Ministro degli Esteri, è personalmente fautore entusiasta sia Euratom che Mercato Comune, a certe condizioni si intende, ma che non è praticamente in grado fare accettare suo punto di vista a tutti i suoi Ministri, ed ancora meno a Parlamento.

Per quanto riguarda Parlamento francese, permettomi confermare che per quello che concerne Mercato Comune è molto ma molto poco probabile che esso accetti schema accettato da francesi senza ancora qualche aggiunta sostanziale a favore Francia.

Per cui se Presidente del Consiglio francese è onesto non può che ripetere che a meno di certe condizioni – che già tutti conosciamo – non può assumersi responsabilità affrontare dibattito già per sé difficilissimo di fronte Parlamento francese. Né autorità pressione personale altri Presidenti Consiglio può fargli cambiare opinione: all’interno non può fare più di quello che ha fatto: nessun altro Presidente Consiglio può fare più di lui.

Se viceversa è disonesto può imitare esempio molti suoi illustri predecessori, ossia accettare e firmare sapendo che Parlamento non ratificherà e sapendo che non farà niente per farlo ratificare.

Eccetto che per Euratom, a condizioni che si conoscono, Francia è in questo momento meno che mai matura per realizzazioni concrete Europa e non è certo di umore lasciarsi forzare la mano3.


1 Del 29 ottobre, con il quale Martino aveva richiesto alle Ambasciate a Parigi, Bonn, Bruxelles, L’Aja e Lussemburgo di sondare i rispettivi Governi di accreditamento circa la proposta da lui avanzata nel discorso pronunciato all’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa il 18 ottobre: « … iniziativa intesa promuovere una riunione dei Primi Ministri dei paesi di Messina per un esame dei modi più idonei ad affrettare lavoro degli organismi tecnici. Tale iniziativa politica, diretta a rafforzare volontà dei singoli Governi per raggiungimento accordo circa Mercato Comune ed Euratom, sembrami acquistare ancora maggiore valore in considerazione dibattito avvenuto domenica 21 a Parigi in seno Consiglio dei Ministri dei sei paesi …». Per il testo del discorso di Martino vedi «Relazioni internazionali», a. XX (1956), n. 44, pp. 1353-1354. La riunione dei Capi di Governo ebbe poi luogo a Parigi dal 19 al 20 febbraio 1957, vedi Appendice documentaria, D. 8.


2 Vedi DD. 228 e 229.


3 Per la risposta di Martino vedi D. 227.

227

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALL’AMBASCIATA A PARIGI

T. segreto 12773/611. Roma, 2 novembre 1956, ore 18,30.

Suo 7751.

Ho preso buona nota delle considerazioni contenute in telegramma riferimento in parte già a conoscenza di questo Ministero. Dato che eventuale riunione a livello Primi Ministri rappresenta iniziativa volta anche a superare note resistenze e difficoltà esistenti in taluni settori opinione pubblica e in determinati circoli politici francesi, ella vorrà riprendere suoi contatti costì sulla base istruzioni impartitele tenendo presente quanto precede2.


1 Vedi D. 226.


2 Con T. 26528/818 del 9 novembre Quaroni comunicò di aver sottoposto la proposta a Pineau che, mentre aveva mostrato di essere d’accordo per una sollecita riunione dei sei Ministri degli Esteri, «… non vedeva invece affatto ragione fare questa riunione a livello Presidenti del Consiglio: essi sono sempre molto occupati e non c’era decisione che non potessero prendere soli Ministri Esteri. Ha finito dicendomi che ci avrebbe pensato: comunque proposta non gli è certo piaciuta».

228

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 26226/3721. Parigi, 8 novembre 1956, ore 9,45 (perv. stessa ora).

Oggetto: Euratom e Mercato Comune.

Marjolin mi ha messo oggi al corrente degli scambi di idee avvenuti fra esperti francesi e tedeschi in materia Euratom e Mercato Comune e delle conclusioni cui sono arrivati accettate da Adenauer e Mollet. Per Euratom principio della priorità di acquisto e del monopolio di approvvigionamento è accolto con le due seguenti riserve: gli Stati membri potranno approvvigionarsi direttamente all’estero a) in caso penuria; b) se Agenzia pratica condizioni o prezzi abusivi.

Il sistema di approvvigionamento sarà oggetto riesamine periodiche. Sono prevedute procedure di accertamento per le eccezioni di cui sopra, che tralascio per brevità e che mi sembrano soddisfacenti.

Per Mercato Comune: fermi restando gli accordi già intervenuti a Parigi tra Ministri per quanto concerne armonizzazione durata congedi pagati e salari maschili e femminili, rimanenti difficoltà che data occasione alla sospensione della riunione dei Ministri del 21 ottobre scorso2 verranno risolte con l’inserzione del seguente testo: «parti contraenti convengono necessità promuovere miglioramento condizioni vita e lavoro della mano d’opera permettendo loro egualizzazione nel progresso. Esse stimano che tale evoluzione risulterà tanto dal funzionamento stesso del Mercato Comune che favorirà armonizzazione dei sistemi sociali quanto dalle procedure quanto dal presente trattato e dall’avvicinamento delle rispettive legislazioni». Inoltre nello statuto speciale previsto per la Francia verrà inserita seguente disposizione: «I paesi membri ritengono che la realizzazione del Mercato Comune produrrà alla fine prima tappa una situazione in cui la base al di là della quale sono rimunerate le ore supplementari e il tasso medio di maggiorazione per queste ore nell’industria corrisponderanno a quello attualmente esistente in Francia».

In caso non realizzazione della condizione di cui sopra alla fine della prima tappa la Commissione Europea sarà tenuta accordare una clausola di salvaguardia dei settori industriali colpiti in Francia dalla ineguaglianza nel modo rimunerazione ore supplementari salvo aumento medio livello salari negli stessi settori altri paesi ecceda aumenti intervenuti in Francia di una percentuale fissata dalla Commissione con approvazione del Consiglio.

Sul problema delle tasse all’importazione e degli aiuti artificiosi all’esportazione sono state convenute dichiarazioni principio e delle procedure di esame nonché limiti di tasso massimo in maniera che mi sembra abbastanza soddisfacente. Li ometto per brevità ma ne porterò io stesso i testi domani.

Intese raggiunte e che ho sopra riassunto verranno sottoposte prossima riunione Capi Delegazioni per esame e possibile accoglimento anche da parte altri paesi membri3.

Esse mi sembrano risolvano soddisfacentemente punti rimasti in sospeso il 21 ottobre scorso.


1 Trasmesso tramite la Rappresentanza presso l’O.E.C.E. a Parigi.


2 Vedi D. 223.


3 Vedi D. 230.

229

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERIE AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

Telespr. urgente 0231. Parigi, 8 novembre 1956.

Oggetto: Incontro Mollet-Adenauer2.

Incontro Mollet-Adenauer, svoltosi atmosfera particolare cordialità, ha riaffermato «entente» politica due Governi dopo definizione contenzioso franco-tedesco. Mollet e Adenauer si sono trovati pienamente d’accordo in condannare brutale repressione libertà ungherese .ed auspicare effettiva solidarietà non soltanto entro potenze europee occidentali ma tra tutti paesi Alleanza atlantica e mondo libero, ed hanno espresso volontà di «non risparmiare sforzi» per fare realizzare questa solidarietà: al riguardo hanno sottolineato opportunità che tra paesi interessati abbiano luogo periodici incontri a livello ministeriale. Allegato comunicato finale3, che fa esplicito riferimento a questi punti, riflette effettivamente, secondo precisazioni Quai d’Orsay, spirito che ha improntato conversazioni e loro risultato. Conclusioni abbastanza soddisfacenti sono state raggiunte circa superamento divergenze Euratom e Mercato Comune. Delegazioni esperti francesi e tedeschi hanno al riguardo concordato proposte comuni che due Capi Governo hanno approvato, per soluzione questioni rimaste in sospeso. È stato altresì convenuto che testo proposto venga notificato ufficialmente altri quattro Governi interessati. Riassumo punti essenziali, che ci sono stati esposti oralmente al Quai d’Orsay:

1) Euratom. Entrambe parti sono concordi accettare la priorità d’acquisto per Euratom dei materiali combustibili nucleari, ferma restando facoltà per paesi membri di approvvigionarsi direttamente da terzi paesi in caso penuria e in caso prezzi abusivi praticati Agenzia europea approvvigionamento: circa primo caso proposte fanno semplice accenno a necessità «procedura istituzionale» per autorizzare ricorso all’approvvigionamento diretto da paesi terzi; per il secondo caso è stato convenuto che organismo europeo dovrà preventivamente decidere se prezzi fissati Agenzia siano o meno abusivi. Non è determinato da proposte periodo iniziale prova per sistema approvvigionamento.

2) Mercato Comune. Entrambe parti riconoscono principio che Mercato Comune dovrà implicare livellamento oneri sociali. Viene riconosciuto alla Francia diritto a clausola salvaguardia nel caso che entro prima fase altri paesi non si saranno allineati su ordinamento francese ore supplementari. Clausola salvaguardia tuttavia non opererà se aumento salari negli altri paesi supererà percentuale fissata da Commissione Europea come sufficiente assicurare livellamento complessivo oneri sociali (è stata così implicitamente richiamata nota formula compromesso Spaak).

Circa regime aiuti esportazione e tasse importazione Francia dovrà periodicamente informare Commissione Europea di tutte le misure che intenderà intraprendere per attenuare regime stesso. Francia stessa è disposta ammettere che clausole salvaguardia possono essere concesse industria altri paesi per compensarle degli svantaggi risultanti applicazione francese del regime predetto.

Su proposta Commissione Europea, Consiglio dei Ministri potrà decidere a maggioranza qualificata sospensione regimi aiuti esportazione e tassa importazione nel caso che paesi membri avranno raggiunto equilibrio bilancio pagamenti e avranno sufficiente disponibilità divise.

Se verrà raggiunto accordo generale su proposte franco-tedesche sopra specificate, Governi francese e tedesco aderiranno a soluzione compromesso discussa nella ultima Conferenza a sei4 circa passaggio da prima a seconda tappa Mercato Comune.


1 Diretto alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Lussemburgo e Londra e alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi.


2 L’incontro ebbe luogo il 6 novembre 1956.


3 Non pubblicato.


4 Vedi D. 223.

230

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1.

CONFERENZA DI BRUXELLES SUL MERCATO COMUNE ED EURATOM

Riunione dei Capi Delegazione – 16 novembre 1956

Per la prima volta dopo la riunione dei Ministri degli Esteri del 20 e 21 ottobre u.s.2, sono tornati a riunirsi a Bruxelles, il 16 novembre, i Capi Delegazione della Conferenza Intergovernativa per il Mercato Comune ed Euratom. Presiedeva il barone Snoy, in sostituzione del Ministro Spaak, recatosi a New York.

Si riassumono brevemente gli argomenti trattati.

I. Territori d’oltre mare. Il Delegato francese, Robert Marjolin, ha illustrato – anche a nome della Delegazione belga – un documento congiunto contenente le proposte di massima per la inclusione dei territori di oltre mare nel Mercato Comune.

Marjolin ha affermato esplicitamente che la Francia non potrebbe entrare a far parte di un Mercato Comune europeo, senza che i suoi territori di oltre mare vi siano in qualche modo associati. E ciò sia per ovvie ragioni politiche, sia per ragioni tecniche (necessità di mantenere l’unità commerciale dell’Unione francese, e difficile giustapposizione di due unioni doganali di cui la Francia verrebbe a far parte).

Data la differenza di statuto giuridico e di struttura economica dei vari territori di oltre mare, la formula proposta dai franco-belgi è di una associazione progressivamente più intima, con obiettivo finale di una integrazione completa dopo che il Mercato Comune continentale sarà stato del tutto stabilito.

Nel campo commerciale la procedura proposta prevede che i sei paesi europei applichino alle importazioni in provenienza dai T.O.M. le regole che valgono nei confronti degli altri paesi della Comunità; mentre i T.O.M. dovrebbero progressivamente abolire le discriminazioni esistenti nelle importazioni dalle metropoli e dagli altri paesi membri.

Mentre i T.O.M. verrebbero aperti agli investimenti e capitali privati i franco-belgi chiedono che si instauri fin dall’inizio una politica comune di investimenti pubblici, attraverso uno speciale fondo di investimenti (o una sezione dell’analogo Fondo europeo). Il fabbisogno annuo di investimenti pubblici, da finanziare in tal modo, ammonterebbe, secondo la richiesta franco-belga, a un miliardo di unità di conto U.E.P.

I Capi Delegazione hanno convenuto che il problema dell’associazione dei T.O.M., prima di essere rimesso a uno speciale gruppo di esperti, verrà ulteriormente dibattuto nelle sue linee generali.

II. Mercato Comune. I punti di dissidio che la Conferenza di Parigi del 20-21 ottobre non era riuscita a superare hanno fatto poi oggetto di discussioni franco-tedesche, i cui risultati sono stati accolti il 6 novembre da Mollet e Adenauer3. I Capi Delegazione hanno espresso il loro parere sulle relative proposte.

a) La formula di compromesso per il passaggio dalla I alla II tappa, concessa ai francesi dalla Conferenza di Parigi è stata riconfermata. Si è concordato che gli obiettivi della prima tappa il cui effettivo raggiungimento dovrà essere constatato dal Consiglio dei Ministri (all’unanimità al termine del IV e V anno, a maggioranza qualificata al termine del VI anno, e infine da un organo arbitrale) dovranno essere precisamente indicati nel trattato.

b) Le formule per le ferie annuali e i giorni festivi, nonché per l’eguaglianza dei salari maschili e femminili sono stati riconfermati.

c) È stata accettata la formula franco-tedesca circa la durata del lavoro e la remunerazione delle ore supplementari. Essa consiste in una dichiarazione di principio secondo la quale, se al termine dei primi quattro anni la situazione negli altri paesi non si sarà equiparata a quella francese, i settori dell’industria francese che ne fossero colpiti avrebbero diritto all’applicazione di una clausola di salvaguardia. È stato chiarito che l’equiparazione in questo campo non costituisce uno degli obiettivi generali da cui dipende il passaggio alla seconda tappa.

d) Vivaci obiezioni sono state sollevate da parte olandese alla concessione alla Francia di un regime speciale che le consentirebbe di conservare il sistema della tassa di compensazione all’importazione e degli aiuti alla esportazione finché la bilancia dei pagamenti francesi non abbia cessato di essere deficitaria almeno per un anno e le riserve valutarie non abbiano raggiunto un livello soddisfacente.

Il Delegato olandese ha obiettato sia alla scelta di questi criteri (che in sé e per sé potrebbero essere invocati da tutti gli Stati membri) per mettere termine al regime speciale per la Francia, sia alla procedura istituzionale prevista.

La reazione francese è stata energicamente negativa: Marjolin ha messo in rilievo che l’attuale sistema francese è un surrogato di fatto della svalutazione, e che il Governo francese non può per ovvi motivi accettare che la svalutazione di diritto le sia imposta da un termine prefissato o da una decisione maggioritaria. Anche con l’attuale livello effettivo di cambio (cambio ufficiale più tassa di compensazione) la bilancia dei pagamenti francese è fortemente deficitaria: c’è se mai da augurarsi che il Governo francese non sia costretto ad aumentare ulteriormente il livello della tassa compensativa. Riferendosi ad analoghe obiezioni espresse da parte inglese in sede di trattativa per la zona di libero scambio europeo, Marjolin ha formalmente dichiarato che la Francia non potrebbe aderire neanche a questa, se non le venisse riconosciuto il regime speciale richiesto.

Migliore accoglienza hanno trovato alcune proposte del Delegato italiano On. Benvenuti: sulle raccomandazioni che la Commissione Europea dovrebbe poter fare al Governo francese sulla tassa di compensazione sui prodotti di nuova liberazione; su possibili riduzioni del livello della tassa in caso di parziali miglioramenti della situazione valutaria; e infine sulla opportunità che la Delegazione francese, qualora abbia soddisfazione per il regime speciale, non insista su alcune sue posizioni unilaterali nella trattativa sul regime generale da stabilirsi per i sei paesi membri. Di tali proposte italiane verrà tenuto conto nella redazione degli articoli del protocollo speciale per la Francia; ma prima di passare alla redazione di esso, gli olandesi hanno chiesto una ulteriore discussione di massima sulla base di un memorandum che si sono riservati di presentare.

III. Richieste italiane. I Capi Delegazione si sono messi d’accordo per discutere il 22 novembre4 il testo del progetto di dichiarazione congiunta, presentato a Parigi dal Ministro Martino, che dovrà essere annesso al trattato, e le direttive al Comitato Mercato Comune circa le altre richieste italiane contenute nel Memorandum dello scorso settembre.

IV. Euratom. È stata discussa la formula di compromesso franco-tedesco circa il sistema di approvvigionamenti di Euratom: della quale sono state constatate le numerose lacune che necessitano di ulteriore approfondimento della questione. Circa la durata del sistema di monopolio della distribuzione delle materie nucleari da parte di Euratom è stata proposta da parte belga la seguente soluzione di compromesso: per i primi sette anni dall’entrata in vigore del trattato il sistema non potrà essere modificato che all’unanimità; successivamente il sistema potrà essere confermato in tutto o in parte dal Consiglio dei Ministri alla maggioranza semplice. Tedeschi e francesi si sono riservati di consultare i loro Governi.

V. I Capi Delegazioni hanno proceduto alla nomina di Tre Saggi incaricati di presentare entro due mesi un rapporto sulla quantità di energia atomica che potrà essere prodotta nella Comunità entro un breve numero di anni e sui mezzi tecnici e finanziari necessari.

Si tratta, come si ricorderà, dell’accoglimento della proposta fatta a suo tempo dal Comitato di Azione per gli Stati Uniti di Europa, presieduto da Monnet. Sono stati nominati i Signori Armand, Etzel e Giordani.

VI. Il Delegato francese, in vista delle difficoltà che ha già incontrato il Sindacato di Studi per l’impianto di separazione isotopica dell’uranio data la non ancora ottenuta collaborazione dell’industria tedesca e olandese, ha proposto che i sei Governi prendano una decisione politica circa la necessità di addivenire nel più breve tempo alla costruzione di tale impianto.

La questione, che solleva importanti problemi di ordine tecnico e finanziario, sarà discussa in una successiva riunione dei Capi Delegazione.

VII. È stato anche trattato il problema del coordinamento fra il lavoro della Conferenza di Bruxelles in materia di Euratom e i lavori dell’O.E.C.E. (Comitato Direttivo nucleare). Si è concordato che i sei Governi si consulteranno per il tramite delle sei Delegazioni a Bruxelles circa l’atteggiamento comune da tenere in relazione alle proposte dell’O.E.C.E. Entro gli stretti limiti del possibile, tale atteggiamento dovrà essere rispettato dalle Delegazioni O.E.C.E. dei sei paesi. In linea di principio i Delegati a Euratom e all’O.E.C.E. dovranno essere le stesse persone.


1 Il documento, non datato, fu trasmesso da Ducci (Telespr. 44/18232 del 24 novembre) agli stessi destinatari di cui al D. 212, con l’aggiunta del Servizio Nazioni Unite.


2 Vedi D. 223.


3 Vedi DD. 228 e 229.


4 Vedi D. 232.

231

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 5819/35551. Londra, 19 novembre 1956.

Oggetto: Mercato Comune e atteggiamento britannico. Agricoltura.

Com’è noto a codesto Ministero, il Governo britannico nell’esprimere la propria favorevole disposizione a studiare qualche forma di associazione al Mercato Comune progettato dai Sei di Messina, ha, attraverso ripetute dichiarazioni dei suoi Rappresentanti più qualificati, manifestato l’intenzione di escludere l’agricoltura dalla «free trade area» da esso concepita. Anche nel discorso del Trono col quale il 6 u.s. è stata riaperta la sessione parlamentare, la Regina ha fatto un esplicito accenno ai prodotti alimentari («food-stuff») escludendoli dal Mercato Comune.

L’argomento delle preferenze imperiali (che questo paese intende salvaguardare a favore dei propri prodotti industriali) aveva dapprima dato l’impressione che i generi agricoli che si intendesse proteggere fossero quelli caratteristici originari dal Commonwealth: grano, lana, carne, taluni prodotti caseari largamente importati dall’Australia e Nuova Zelanda, vini (in crescente produzione in Nuova Zelanda e Sud Africa). Come noto, le frutta sud-africane non si trovano qui in concorrenza con quelle di provenienza continentale data la diversa stagione di produzione.

Questa Ambasciata aveva quindi diretto la propria azione ad indurre queste Autorità competenti a meglio precisare i prodotti agricoli che esse intendevano effettivamente escludere dal Mercato Comune. Nel corso di tali indagini, e di miei colloqui con Sir Edward Boyle (prima che si dimettesse dalla Tesoreria) e col Presidente del Board of Trade, è risultato invece che, a parte i sopra elencati prodotti, si intende qui proteggere anche l’agricoltura metropolitana. Gli argomenti addotti sono: che l’esperienza dell’ultima guerra ha insegnato che la Gran Bretagna non potrebbe fare sicuro e permanente affidamento sulle importazioni di prodotti agricoli dall’estero in casi di emergenza e che quindi essa deve mantenere in vita una agricoltura nazionale. Che, sia per questo motivo, sia per ragioni di bilancia di pagamenti e di equilibrio economico interno, la Gran Bretagna, se non nella misura dei contributi americani negli Stati Uniti, sussidia in forme varie la propria agricoltura, anche ortofrutticola, e non potrebbe lasciarla deperire.

Il Signor Thorneycroft mi ha poi detto che in verità nessun paese continentale è ancora disposto a consentire la libera importazione di prodotti agricoli; che si parla di calendari, di contingenti, di aggiustamenti di tariffe. Entro questo quadro, ha soggiunto, da parte britannica si è disposti a trattare; ma questo non è «free trade» nel senso che comunemente viene dato a questa espressione.

Dobbiamo quindi prepararci ad una non facile discussione con i Rappresentanti inglesi, il giorno in cui si dovesse venire a trattare l’associazione britannica al Mercato Comune. E a questo riguardo vorrei richiamare l’attenzione di codesto superiore Ministero sul fatto che, a parte il problema di sostanza, anche la procedura per un tale negoziato non sarà per noi di poca importanza. L’Inghilterra, come noto, è spinta a cercare una associazione col gruppo di Messina sopratutto dal timore della concorrenza germanica e della creazione di una cintura doganale comune continentale. Sono queste preoccupazioni che la spingono, riluttante, a farsi avanti sia pure con molta prudenza. Converrebbe quindi a noi – intendo dire ai Sei – di scegliere il momento più conveniente per trattare con Londra, e trattare, almeno, le linee fondamentali di una eventuale associazione, prima che questa avvenga e non dopo che questa abbia avuto luogo. Ciò perché nel secondo caso riuscirebbe troppo facile agli inglesi impostare la propria partecipazione su di una base di «one way only», ossia assicurandosene i vantaggi e sottraendosi agli inevitabili sacrifici che la creazione di un Mercato Comune europeo comporta per tutti. Nel primo caso essi invece continuerebbero a trovarsi di fronte al rischio di non partecipare e li troveremmo più maneggevoli. Sarebbe quindi, secondo me, ancora nel nostro interesse, anziché pressarli, continuare a lasciarli cuocere nel loro brodo e intanto proseguire per conto nostro (i Sei). Come ho detto sino dallo scorso anno sarebbero stati gli inglesi a farsi innanzi: essi hanno infatti, negli ultimi tempi, già compiuto un notevole cammino, ma nel nostro interesse (sopratutto nell’interesse della nostra agricoltura) ne debbono pur compiere uno più lungo.

Da parte di alcuni Deputati laburisti ci è stato detto che le preoccupazioni del Governo in materia agricola apparivano loro eccessive: ciò deriva però anche dal fatto che i laburisti hanno meno riguardi politici dei conservatori verso i proprietari agricoli; ma non conviene trascurare il fatto che in materia di Mercato Comune proprio i laburisti hanno invece obbiezioni di altra natura.


1 Diretto per conoscenza alla Rappresentanza presso l’O.E.C.E., a Parigi.

232

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV

Appunto1.

CONFERENZA INTERGOVERNATIVA DI BRUXELLESSUL MERCATO COMUNE ED EURATOM

[Riunione dei Capi Delegazione – 22 novembre 1956]

La riunione del Comitato dei Capi Delegazione tenutasi il 22 novembre 1956 a Bruxelles ha trattato i seguenti argomenti:

1. Partecipazione dei paesi e dei territori d’oltremare al Mercato Comune.

La Delegazione italiana è intervenuta nel senso indicato dal Ministero e cioè essa si è dichiarata favorevole alla loro inclusione nel Mercato Comune, anche per motivi di politica generale, ed ha ammesso, in linea di principio, l’opportunità che per il loro sviluppo sia creato un fondo di investimenti. Ha peraltro insistito sulla necessità che tale partecipazione non porti pregiudizio allo sviluppo dell’economia dei sei paesi ed in particolare ha sottolineato le particolari esigenze italiane per quanto riguarda i prodotti agricoli ed alcune materie prime nonché i problemi che potrebbero nascere dalla creazione di un fondo di investimenti per detti territori nei confronti del fondo di investimenti «europeo», accennando per inciso, per quanto concerne l’Italia, al piano Vanoni. La Delegazione italiana ha infine posto in rilievo l’assoluta necessità di un migliore equilibrio fra «diritti e doveri». Tale equità fra oneri, rischi e vantaggi potenziali non sembra essere garantita dalle proposte franco-belghe.

Anche da parte delle altre Delegazioni sono state avanzate riserve notevoli sul documento franco-belga e sulle dichiarazioni della Delegazione francese (doc. 56 - doc. 59). La Delegazione olandese si è mostrata alquanto restia ad ammettere il principio della partecipazione dei territori di oltremare nel Mercato Comune. Da parte tedesca è stata poi avanzata l’ipotesi che sarebbe forse opportuno studiare la possibilità di includere nel trattato soltanto i principi generali relativi a detta partecipazione, riservandoci di giungere ad accordi più precisi circa la realizzazione pratica di tale partecipazione nel quadro delle istituzioni del Mercato Comune (Consiglio dei Ministri, Commissioni europee).

Questo primo scambio di vedute sarà seguito da una nuova discussione nella prossima seduta dei Capi Delegazione del 29 corr.

2. Situazione particolare dell’Italia.

I Capi Delegazione hanno deciso di modificare la redazione dell’ultimo alinea di progetto di dichiarazione congiunta su cui era stato raggiunto un accordo di principio in occasione della Conferenza di Parigi del 20-21 ottobre u.s.2. Si acclude il documento approvato.

Per quanto concerne i punti menzionati nella Nota a suo tempo presentata dalla Delegazione italiana (doc. 42)3 è stato deciso che essi saranno ripresi in considerazione ulteriormente, quando il Comitato dei Capi Delegazione esaminerà le diverse questioni relative al Mercato Comune.

3. Questioni istituzionali.

In base alle istruzioni ricevute, la Delegazione ha insistito per attribuire maggiori poteri alla Commissione Europea ed ha presentato due proposte di emendamenti del doc. n. 50 (Nota del Presidente sul sistema istituzionale).

La Delegazione ha inoltre insistito, in via generica, sulla opportunità di attribuire all’Assemblea poteri maggiori.

Circa la ponderazione dei voti si è aperta una lunga discussione: non è stato possibile raggiungere un accordo, sopratutto per l’atteggiamento della Delegazione francese. In occasione della prossima riunione dei Capi Delegazione verrà presentato dal Presidente un progetto sulla procedura di voto in seno al Consiglio di cui è possibile anticipare le linee generali. La maggioranza non potrà essere raggiunta senza il voto di quattro paesi: o i tre grandi (Francia, Italia, Germania) più il Lussemburgo, o due grandi più il Belgio e l’Olanda. Peraltro, in alcuni casi particolari, il Benelux verrebbe considerato un unico spazio doganale per cui il suo voto dovrebbe corrispondere ad un voto «grande», il che vuole dire che la maggioranza è ottenibile soltanto con l’ accordo di tre su quattro. Si è pure fatto cenno alla possibilità di graduare la ponderazione in prima ed in seconda lettura.

Allegato

Bruxelles, le 22 novembre 1956.

IV. Situation particulière de l’Italie.

Le Président rappelle que le projet de déclaration conjointe des Ministres des Affaires Étrangères (doc. MAE 446) soumis par M. Martino, avait fait l’objet d’un accord de principe lors de la Conférence de Paris des 20 et 21 octobre 1956, sous réserve des problèmes techniques qu’il pouvait poser et de sa rédaction définitive.

Après discussion, les Chefs de délégation conviennent de modifier comme suit la rédaction du dernier alinéa du projet de déclaration conjointe (doc. MAE 446):

«Reconnaissent en particulier que, dans le cas d’application de l’article 59, il faudra veiller à ce que les mesures demandées au Gouvernement italien sauvegardent l’aboutissement de son programme d’expansion économique et de relèvement du niveau de vie de la population».

Les Chefs de délégation sont d’accord pour constater que le projet, ainsi amendé, correspond aux intentions exprimées par les Ministres des Affaires Étrangères. Ils conviennent, en outre, que les points mentionnés dans le document Ch. Del. 42 (note présentée par la délégation italienne sur les questions à soumettre aux Ministres des Affaires Étrangères) seront pris en considération ultérieurement, à l’occasion de l’examen par le Comité des Chefs de délégation des différentes matières relatives au marché commun.


1 Trasmesso con Telespr. 44/19112 del 12 dicembre agli stessi destinatari di cui al D. 212 con l’aggiunta, per conoscenza, del Servizio Nazioni Unite e della Direzione Generale Emigrazione.


2 Vedi D. 223.


3 Del 26 settembre, non pubblicato ma vedi D. 221.

233

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALL’AMBASCIATA A LONDRA

T. riservato urgentissimo Roma, 27 novembre 1956, ore 19,40.precedenza assoluta 14160/299.

Oggetto: Consiglio Ministri U.E.O.

Suo 36261.

Concordo circa Consiglio Ministri U.E.O. 10 dicembre mattino2.

Ordine del giorno dovrebbe peraltro essere alleggerito delle questioni tecniche non sufficientemente elaborate onde permettere Ministri dedicarsi prevalentemente ampio dibattito problemi politici sul tappeto.

Riunione U.E.O. ci sembra infatti occasione propizia per cominciare ad affrontare, come preparazione successiva seduta N.A.T.O., problema ristabilimento solidarietà europea tanto in funzione europeistica come base ricostruzione fronte atlantico. Questa rivalorizzazione U.E.O. del resto sembra corrispondere esigenza vivamente sentita in questo speciale momento da tutti paesi membri.

Segue telespresso3.


1 Non rinvenuto.


2 Vedi DD. 238 e 239.


3 Il presente documento venne ritrasmesso da Martino alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Lussemburgo e Parigi (T. 14161/c. del 27 novembre) con la richiesta per Bonn di segnalare l’atteggiamento di von Brentano sulla questione. Con T. 28512/307 del 29 novembre Grazzi comunicò il pieno accordo del Ministro degli esteri tedesco sulla proposta italiana.

234

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

R. riservato 1920/12881. Parigi, 27 novembre 1956.

Oggetto: Rapporti franco-tedeschi.

La Germania, l’ho già accennato in un mio precedente rapporto, è l’unico paese che gode, oggi, in Francia di una certa popolarità: l’atmosfera idilliaca che sembra caratterizzare gli attuali rapporti franco-tedeschi non è certo contaminata dal generale risentimento verso i paesi stranieri che i recenti avvenimenti hanno qui provocato.

Per spiegare questo riavvicinamento franco-tedesco, si potrebbe anche ricorrere al .principio bismarckiano che quanto più la Francia è esposta nei settori extra-europei, tanto più essa sente il bisogno di accostarsi alla Germania; e si potrebbe aggiungere che l’eliminazione del contenzioso franco-tedesco, risolvendo i problemi della Sarre e del Canale della Mosella in maniera nel complesso soddisfacente per entrambe le parti, ha liberato i francesi di certi complessi di «revanchisme» che avrebbero loro impedito di cercare la solidarietà tedesca.

Tuttavia, l’intesa franco-tedesca di oggi non è soltanto per i francesi il frutto di un calcolo politico ma ha anche una base emotiva, che è in certo senso una forma particolare della reazione all’isolamento politico e diplomatico in cui è venuta a trovarsi la Francia per effetto della crisi di Suez. L’accordo sulla Sarre e sulla Mosella, eliminando due pesanti pregiudiziali dei rapporti franco-tedeschi, ha soltanto posto, per così dire, le condizioni obbiettive perché questo particolare clima a favore della Germania venisse creato da altri determinanti fattori.

1) Il primo di questi fattori è lo stesso atteggiamento del Governo tedesco nel corso della crisi di Suez. La Repubblica Federale doveva anch’essa orientarsi tra l’esigenza della solidarietà occidentale e l’esigenza di non compromettere la politica che aveva finora seguita con l’Egitto e con la quale era riuscita, oltre che a gettare le basi per una proficua penetrazione economica tedesca, ad impedire il riconoscimento egiziano del Governo di Pankow. Bonn ha ritenuto di poter soddisfare entrambe le esigenze, evitando ogni attivismo diplomatico, limitandosi a fare nella questione di Suez il minimo possibile (per esempio: partecipazione alla Conferenza di Londra ed adesione alla tesi dei Diciotto) e niente di più. È vero che nel perseguire questa tattica, Bonn ha avuto la ventura – ci si passi l’espressione – di sfuggire, non essendo membro dell’O.N.U., alle votazioni impegnative all’Assemblea Generale sull’intervento militare franco-inglese nella zona del Canale. La conclusione, tuttavia, è che questa passività tedesca nella questione di Suez, se da un canto non ha provocato reazioni particolari in Egitto, non è dispiaciuta ai francesi, proprio perché è stata accoppiata ad una politica centrata, in altri settori e per vie diverse di quella dell’appoggio contro Nasser, sulla valorizzazione dell’amicizia franco-tedesca. Il segreto del successo della politica tedesca verso la Francia, in altre parole, è stato che, senza per nulla impegnarsi o pronunciarsi sulla questione di Suez, ha rilanciato la solidarietà franco-tedesca come fattore essenziale della costruzione europea in un momento in cui la stessa crisi di Suez sembrava rimettere in discussione la solidarietà occidentale in generale. In fondo, Adenauer aveva un preciso interesse a fare sanzionare al più presto possibile da un trattato formale il ritorno della Sarre alla Germania, che apre la prospettiva di un massiccio voto democristiano nel territorio alle prossime elezioni per il Bundestag. Ma il fatto che il Cancelliere abbia sacrificato, in piena crisi di Suez, certe posizioni su cui sembravano irrigidirsi funzionari ed esperti della Auswärtiges Amt (più o meno convinti che il tempo lavorava contro la Francia) alla necessità delle soluzioni politiche concordate con Mollet e, quindi, alla necessità dell’alleanza franco-tedesca, è stato qui interpretato come una conferma di una decisa tendenza tedesca a fare della funzione equilibratrice della Francia uno dei fattori fondamentali del sistema europeo ed occidentale. Il fatto, inoltre, che, nonostante le forti critiche della stampa tedesca e dell’opposizione all’intervento franco-inglese nel Canale, il Cancelliere sia venuto a Parigi proprio all’indomani di questo intervento per riaffermare la sua volontà di collaborare strettamente con la Francia sui problemi fondamentali che interessano l’Occidente e particolarmente l’Europa ha impressionato molto favorevolmente un’opinione pubblica, come questa, resa ipersensibile da un vero e proprio complesso dell’isolamento.

2) D’altra parte, la crisi di Suez e la recente politica sovietica, se da un canto hanno fatto svanire gli eccessivi entusiasmi francesi verso un programma di apertura all’Est o, comunque, di distensione spinta, dall’altro hanno riacutizzato in Francia il bisogno della solidarietà occidentale e risvegliato l’interesse per l’integrazione europea: cioè, hanno provocato un vero e proprio rilancio della politica di Adenauer. Questa politica, che la maggior parte della stampa francese e lo stesso Quai d’Orsay definivano anacronistica soltanto alcuni mesi addietro, quando Pineau lanciava a Washington la formula del dialogo con i sovietici come «scommessa senza rischio», riacquista oggi, proprio per la sua stessa coerenza ed intransigenza, un fondamento logico, direi quasi, cartesiano. La linea che il Cancelliere ha seguito nei riguardi dei problemi essenziali dell’Europa Occidentale e della Germania appare oggi a molti francesi come la conclusione chiara ed evidente di premesse che i fatti recenti hanno pienamente confermato.

Ma è sopratutto la particolare forma che oggi ha assunto la politica europea del Cancelliere che piace ai francesi. Si è, ormai, molto scritto e discusso sulle ragioni che avrebbero influito sulla nuova «Europäische Anschaung» di Adenauer e non ritengo necessario, almeno in questa sede, ritornare sull’argomento: è un fatto, però, che in questa concezione i francesi amano rilevare un colorito antiamericano che si armonizza perfettamente con il loro stato di animo nei riguardi di Washington. L’idea di una Europa autonoma, distinta anche se non opposta agli Stati Uniti nel quadro del sistema occidentale, e sopratutto capace di liberarsi dal «ruolo subalterno» (l’espressione ricorre continuamente nella stampa francese) in cui l’esistenza dei due blocchi l’ha confinata, è l’ultima gradita sorpresa che il Cancelliere ha offerto ai francesi e che ha contribuito decisamente a consolidare qui il suo prestigio, con favorevoli ripercussioni per i rapporti franco-tedeschi in generale.

Può sembrare paradossale che si sia formata in Francia questa generale atmosfera di simpatia per Adenauer proprio nel momento in cui si ha da qui l’impressione che la sua posizione nella stessa Germania Occidentale abbia subito qualche contraccolpo e che la situazione interna del suo paese gli stia in parte sfuggendo di mano. È un fatto, tuttavia, questo, non insolito nella storia delle relazioni fra i due paesi: il termometro della popolarità di uno statista tedesco sovente funziona in senso del tutto opposto dai due lati del Reno. Accadde anche a Stresemann quello che oggi pare stia accadendo ad Adenauer: quanto più la temperatura sale in Francia, tanto più scende in Germania2.

Quaroni


1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Bonn, Londra e Washington.


2 Con telespresso 029 del 13 novembre 1956, concernente la crisi di Suez, Quaroni scriveva, fra l’altro: «Si pone naturalmente il problema delle linee sulle quali si potrà orientare la politica francese, ammesso che entro breve tempo si possa arginare la furia delle acque scatenate dai moderni “apprentis sorciers”: rimanere evidentemente fedeli all’Alleanza atlantica – ci è stato ripetuto in questi giorni al Quai d’Orsay – , ciò che in realtà significa mantenere una politica di assicurazione presso una delle due sole potenze atomiche esistenti, ma, ed entro questo quadro generale, cercare nello stesso tempo di mettere in efficienza un organo europeo di consultazione che possa aiutare a mantenere la solidarietà occidentale e contemporaneamente permettere, attraverso dei più facili scambi di idee, di evitare i “faux pas” fatti nel passato e che vengono oggi più facilmente riconosciuti. “Se tale organo fosse già stato in funzione”, ha avuto infatti occasione di dire, nel corso di una conversazione, il Direttore degli Affari d’Europa al Quai, “l’opinione dell’Italia o della Germania avrebbe probabilmente impresso un differente corso all’azione franco-inglese!”. (Cosa su cui ho qualche dubbio perché il Governo francese, anche senza una consultazione specifica, sapeva perfettamente cosa ne pensavano il Governo italiano e quello tedesco e questo non gli ha impedito di lanciarsi nella sua avventura). Comunque è da notare: a) che l’attuale ritorno di fiamma europeistico ha obbiettivi ben più modesti di quelli precedenti, contentandosi per ora di giungere alla messa su piede di un organo consultivo; b) che il quadro in cui questa consultazione potrebbe avvenire è – ad avviso dei nostri interlocutori – quello, già esistente, dell’U.E.O. È sintomatico altresì che questa tesi di rivalorizzazione dell’U.E.O. finora sostenuta dai tedeschi (v. mio telespresso n. 1724/1154 del 24 ottobre u.s.) venga ripresa oggi dai francesi dopo la visita-lampo fatta i giorni scorsi a Parigi dal Cancelliere Adenauer. A sua volta il Cancelliere – e questo è un altro passo verso una migliore consultazione europea – ha avuto l’occasione, durante la sua breve permanenza a Parigi, di seguire da vicino la libera discussione dei Ministri francesi su tutta la situazione mondiale. Non è certo il caso di prendere troppo alla lettera siffatti propositi che pur ci sono stati ripetuti a vari livelli: sarei anzi un po’ incline a considerarli come promesse di marinaio, anche perché è indubbio che nel fondo del loro animo quello che i francesi oggi desiderano è la possibilità di costituire un fronte un po’ colonialista che resista alle pretese della gente di colore. L’U.E.O. è forse preferita al N.A.T.O. perché si pensa più facile portare a questa solidarietà i paesi dell’Europa Centrale e la Gran Bretagna, che non gli Stati Uniti e gli scandinavi».

235

IL CANCELLIERE DELLO SCACCHIEREDEL REGNO UNITO, MACMILLAN,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

[Londra, 30 novembre 1956]1.

MESSAGE FROM THE CHANCELLOR OF THE EXCHEQUERTO HIS EXCELLENCY THE ITALIAN MINISTER FOR FOREIGN AFFAIRS

As Your Excellency will see from the accompanying records of statements made in the House of Commons on November 26 by the President of the Board of Trade and by me, Her Majesty’s Government have decided as a matter of policy to seek to negotiate a partial free trade area in Europe among the countries of O.E.E.C. in association with the Customs Union now being worked out in the discussions in Brussels.

We have been following with great interest the work of working party No.17 in O.E.E.C. under the Chairmanship of Baron Snoy. We look forward to receiving the report of that working party by the end of December, and I hope that in the New Year we shall be able to meet in O.E.E.C. and decide together what are the next steps. I sincerely hope that when we meet Your Excellency will be able to express your willingness to join with us in this endeavour, with all the immense material and political benefits to Europe that I am sure will flow from it.

I realise that some countries in O.E.C.E. may be disappointed by our basic condition that, as far as the United Kingdom is concerned, the proposals for a free trade area cannot be extended to raw or manufactured foodstuffs or to drink and tobacco (i.e. category 1 in the O.E.E.C. nomenclature). It is only right to emphasize that for us it is essential that these items should be excluded. If they were not excluded we should not be able to proceed. This does not mean that we shall in future – and we have no reason to be ashamed of our past record – be unwilling to cooperate in any practical measures for promoting greater trade in agricultural products whether in Europe or in the world as a whole. But that is fundamentally different from the prescriptive freedom of trade which would be established within a free trade area for industrial goods.

It is clear from the discussions that have taken place already in working party No. 17 that it will be of the greatest possible convenience for there to be the maximum conformity between the rules worked out for the elimination of tariffs and quotas in the customs union and the free trade area. I feel sure that in the negotiations with your colleagues of the Messina Group you will have this point very much in mind. Your Excellency will no doubt agree that it would be unfortunate if, in certain matters crucial to the relationship between the Customs Union and the free trade area, you were to decide on procedures which could not be applied within the free trade area or were not acceptable to its members and which might therefore hinder the operation or, in extreme form, frustrate the creation of a free trade area.

Among the questions which arise in connection with your negotiations within the Messina Group – and which will be of great importance in the free trade area also – is the problem of whether non-European dependent overseas territories, or extra-European territories with some form of customs union with European powers, should be associated with the free trade area, and what form this associations should take. This is a question which seems to be both different in kind from other questions affecting the free trade area and of peculiar complexity. It appears to me that there would be great advantage in examining it before your negotiations reach too advanced a stage. We must not, however, by raising a matter of such complexity in O.E.E.C. working party No. 17 as a matter of urgency, delay the report of the working party. I therefore suggest that, in the first place, there should be discussions between officials of all the governments negotiating in Brussels and of the United Kingdom to consider how this question could best be handled both in the Customs Union and in the free trade area. At the same time, we must remember that this question is of concern to all members of O.E.E.C. If this proposal is acceptable to Your Excellency, I suggest that our officials should meet as quickly as possible with a view to reporting to us and all other members of O.E.E.C. by the middle of January. Thus we should, when we come to consider these questions together at the O.E.E.C. Council in the New Year, have at least a preliminary view of what is desirable and possible, and our discussions in the Council will be better informed.

I have sent a message in similar terms to Monsieur Spaak, and to our colleagues in France, Germany, the Netherlands and Luxembourg.

So that we may avoid any danger of misunderstanding at this crucial stage of our work, I am sending a copy of this message to our O.E.E.C. colleagues who are not taking part in your negotiations in Brussels2.

Harold Macmillan


1 Consegnato a Martino dall’Ambasciatore di Gran Bretagna a Roma il 1° dicembre.


2 Per la risposta vedi D. 243.

236

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. 1944. Parigi, 3 dicembre 1956.

Signor Ministro,

ho già riferito a V.E. che, a vari livelli, ci è stato ripetuto al Quai d’Orsay che la Francia ritiene necessario riesaminare, con alcune potenze, in primo luogo con noi, la situazione medio-orientale, e la politica da seguire. La prima fase di questo esame dovrà esser a tre, ci è stato detto, perché c’è della biancheria sporca da lavare in famiglia: sappiamo già, più o meno, di che cosa si tratta.

Non credo ci sia ancora un pensiero nettamente formulato: si è solo d’accordo sulla necessità di questa consultazione: necessità accettata da tutto il Quai d’Orsay, funzionari1, Pineau continua, come è sua abitudine a lavorare indipendente, un po’ nella stratosfera, quindi non so ancora cosa ne pensi: ma non ha grande importanza: conta poco nel Governo, meno ancora nel partito e nel Parlamento; comunque non è eterno.

In forma più larga, connesso con tutta la politica atlantica ed europea, questo problema è studiato e dibattuto in quei circoli politici che si occupano ed influenzano la politica estera francese. Non c’è nessuno che si nasconda che gli avvenimenti di questi ultimi mesi hanno dato qualche brusco scossone al complesso atlantico ed a quello europeo: e si è d’accordo, in larga misura ed almeno a parole, sulla necessità di fare qualche cosa per rincollare i cocci rotti2.

Anche in questi circoli, sulla necessità di una «consultazione» sono tutti d’accordo: c’è molto meno accordo sulla lista dei chiamati a consulto e sul quadro in cui – in caso – la consultazione potrebbe svolgersi.

Uomini politici e funzionari sono d’accordo tutti nel ritenere come poco adatta la sede N.A.T.O. Si osserva che i Paesi scandinavi, forse anche il Benelux, che già obbiettarono, per ragioni di responsabilità geografiche, alla inclusione dell’Italia, e più ancora a quella della Grecia e della Turchia, non seguirebbero una impostazione politica che porterebbe, in un modo o nell’altro, ad estendere la competenza N.A.T.O. a tutto il mondo orientale. Si osserva, anche, che non se ne può parlare di fronte alla Grecia «visto che essa è ormai dall’altra parte».

I fautori della «relance» europea suggeriscono, come quadro, l’U.E.O. o i Sei, senza far molta differenza fra le due formule: uno degli effetti, abbastanza duraturo credo, dell’operazione Egitto, è stato quello di smontare, qui, il mito Inghilterra.

Ma anche il quadro Europa a sei o sette che sia trova delle obiezioni in tutti quelli – e non sono pochi – che, oltre alle possibili riserve del Benelux, ritengono sia necessario chiamare a consiglio anche la Spagna e la Turchia. C’è accordo per così dire unanime, sull’opportunità di discutere di chi chiamare a consulto, con i Tre prima, e poi, subito dopo, con noi soli.

Che cosa ne uscirà di tutte queste discussioni è difficile dire: la situazione interna francese è troppo fluida; un crollo improvviso in Algeria, o del Governo francese, possono spostare radicalmente i termini della questione.

Comunque di tutto questo si parla molto, specialmente nel settore politico; e mi se ne parla. Vorrei quindi permettermi di sottoporre a V.E. alcune mie considerazioni, ma sopratutto chiederle di farmi conoscere, sia pure in linea generale, le sue direttive; siamo nel periodo di gestazione: è forse possibile ancora – entro certi limiti s’intende – cercare di indirizzare in una piuttosto che in un’altra direzione: dopo tutto, fra quelli che ne discutono ci sono tutti i possibili Ministri degli Esteri dei prossimi anni.

1) Quale è la sede che noi preferiamo per questo scambio di idee? A questo riguardo, vorrei solo fare osservare che, quale sia la sede a cui noi daremo la preferenza, è molto raccomandabile, per non dire necessario che questa consultazione sia segreta. Speriamo che Fornari sia buon profeta quando lascia intravvedere la possibilità di una caduta di Nasser: comunque credo assai poco probabile che i prossimi mesi passino senza crisi interne in tutti i paesi del Medio Oriente, fino al lontano Pakistan – eccezion fatta della Turchia. E mi sembra assai poco probabile che avremo a che fare con dei Governi pro-occidentali, almeno nel senso che si dà a questa parola a Parigi ed a Londra. Ora se noi lasciamo trapelare che esiste un organo, quale che esso sia, che si occupa di coordinare la politica di un certo numero di paesi, che hanno tutti la disgrazia di avere la pelle bianca, di fronte agli Stati del Medio Oriente, la frittata è già bella che fatta, e li abbiamo tutti coalizzati contro di noi. Se il mondo occidentale vuole avere e fare una politica medio-orientale che abbia qualche chance di successo, bisognerebbe riuscire a mettersi d’accordo per fare una politica di apparente disaccordo. Il concerto delle Potenze – bianche – è stato e resta l’inimico n. 1 di tutto questo mondo. Sarebbe naturalmente un’altra cosa se questo concerto avesse anche la forza dalla parte sua.

2) Si è parlato molto, in questi ultimi mesi, di rottura della solidità atlantica ed europea. In realtà, nella comunità atlantica c’è stata un’ottima cooperazione nel campo militare: politicamente c’è stata la coscienza, comune, della necessità di difendersi dalla Russia, anche se c’è stata e c’è divergenza sul modo di farlo: ma una solidarietà di interessi non è mai esistita e non c’è stata perché c’erano, in molti settori-chiave, dei contrasti, profondi, gravi, radicali di interessi. Forse uno degli errori della comunità atlantica è stato appunto il chiudere gli occhi di fronte alla profondità del divario tra americani, francesi ed inglesi, sulla politica medio-orientale, o se si vuole meglio, coloniale, e di cui altre divergenze, anche sulla politica russa, non erano che una conseguenza. L’affare d’Egitto ha avuto almeno il merito di mettere in piena luce quello che per tanti anni ci si era quasi ostinati a non vedere. Non si tratta quindi di ricostituire una solidarietà atlantica: si tratta di farla là dove non c’è mai stata.

Quando ci si richiama alla solidarietà atlantica, in realtà si richiede l’appoggio solidale di tutta la comunità atlantica in difesa dei propri interessi: oggi lo fanno i francesi e gli inglesi, ma lo abbiamo fatto anche noi per Trieste, gli americani per la Cina e così via. Ora, così, una solidarietà atlantica non la si avrà mai: la solidarietà atlantica non può essere un lenzuolo che ognuno tira dalla parte sua.

Siamo tutti d’accordo nel dire che possiamo vincere la guerra fredda solo se riusciamo ad ottenere che i paesi cosiddetti di colore, dal Marocco al Giappone, restino al di qua della cortina di ferro, anche se pro tempore, su posizioni di neutralità.

Francia ed Inghilterra, sia pure con gravi contrasti di interessi e profonde differenze di metodo fra di loro, sostengono la tesi che, a questo scopo, è opportuno mantenere e rafforzare quelle posizioni coloniali o semicoloniali che ancora sono in mano di alcune potenze europee. Gli americani invece sono del parere che sono queste posizioni coloniali a spingere questi popoli nelle braccia della Russia e che è necessario abbandonarle proprio nell’interesse della comunità atlantica.

Questo conflitto – e le lotte di interessi reali o presunti che si celano dietro queste enunciazioni di principio – esiste: qualche volta è latente e contenuto, qualche volta scoppia. Ma non ci potrà mai essere vera solidarietà atlantica fino a che esso esiste. È solo discutibile se ci sia vantaggio a discutere di questo conflitto a quindici piuttosto che a tre: discussione del resto un po’ platonica perché intanto, di fatto, si continuerà a discutere ed a bisticciarsi a tre.

In realtà è anche ozioso discutere chi dei due abbia ragione. In verità, la stessa tesi anglo-francese andrebbe piuttosto formulata così: si può ancora fare qualche cosa per fermare lo sfasciamento degli imperi europei, e con quali forze? Un esame del problema così impostato, se fatto su basi realistiche e non ideologiche, darebbe, temo, dei risultati poco incoraggianti anche se si ammette che, comunque, la forza da usare per questi «redressement» non sarebbe la forza inglese o francese, che non esiste, ma quella americana.

Tanto che mi sono domandato molte volte se la politica – e la speranza – della Russia non sia proprio quella di impelagare la forza americana, oltre a quella francese ed inglese, nel vespaio medio-orientale, per obbligare così l’America a scoprire altri settori, fra cui l’Europa. Lo temevamo per l’Estremo Oriente: mi pare strano che non lo temiamo per l’Oriente Medio.

Tutte queste considerazioni a parte, sempre se vogliamo restare nell’ambito della realtà, questo conflitto non potrà essere attenuato o risolto che nella misura in cui Francia ed Inghilterra, spostatesi su posizioni, diciamo più elastiche, si avvicineranno alla tesi americana: del resto, anche all’interno di questi due paesi non c’è affatto unanimità sull’argomento. Cosa accadrà in Inghilterra non mi sento di dirlo: sulla situazione francese ho già riferito col mio rapporto n. ris. 1868 del 19 novembre3.

D’altra parte è impossibile arrivare ad una soluzione realistica, concordata, appoggiata dagli attori principali, dei problemi concreti, quali il Canale di Suez o la posizione di Israele, se non ci si è prima messi d’accordo su che politica d’insieme si vuole o si può fare in tutta questa zona: se non c’è accordo, in altre parole, sul problema generale.

Ora se le nostre preferenze sono per le tesi governative di oggi anglo-francesi, si potrebbe tentare di fare qualche cosa per frenare lo slittamento francese verso posizioni di abbandono: mentre se siamo invece piuttosto per la tesi americana, si potrebbe invece di cercare di favorire l’evoluzione verso formule governative più ragionevoli.

Avverto che di queste due azioni la prima è possibile sì, ma difficile, la seconda sarebbe molto più facile: la quasi unanimità che ha sorretto Mollet nella sua politica egiziana ed algerina non è che apparente: la realtà del Parlamento francese è molto simile a quella del Parlamento inglese, più i comunisti.

3) Rilancio europeo. È vero che in questo momento in Francia si parla di Europa come non lo si è mai fatto: non sono però del tutto sicuro che, parlando di Europa, in Italia ed in Francia si intenda la stessa cosa.

Euratom e Mercato Comune hanno di colpo perduto molto del loro interesse. (Mi riferisco con questo solo agli ambienti politici e parlamentari). Al punto che se i testi fossero pronti, oggi, essi passerebbero in Parlamento senza difficoltà. Essi si sono in parte convinti che non essendoci, praticamente, abbandono di sovranità, il Parlamento può, quando vuole, fermare sia l’una che l’altra cosa in corso di esecuzione. Ma sopratutto sono, come d’un tratto, venuti alla conclusione che si tratta di questioni in larga misura superate; che quello che sarebbe necessario oggi è l’unificazione politica. Allo stadio attuale si rifugge da formulazioni costituzionali: si pensa che sarebbe necessario prima di ogni altra cosa, cercare di «dégager» una politica europea comune: e che una volta d’accordo su questa politica comune, sarebbe molto più facile articolarne, se e in quanto necessario, gli organi.

Anche qui predomina la questione coloniale. Lo sforzo economico e militare – si dice – necessario per restare in Africa e metterla in valore è troppo grosso per le sole spalle francesi: diventerebbe facilmente sopportabile se distribuito sull’Europa, anche solo a sei. Cominciano a rendersi conto che, per avere questo concorso di danaro e di sangue, bisogna aprire le porte del loro impero e sono disposti a farlo purché, in una prima fase almeno, venga rispettato il «leadership politico» francese nelle sue vecchie colonie. Mi è stato detto fra l’altro, per esempio, che si sarebbe anche disposti ad aprire largamente l’accesso ai concorsi per l’amministrazione coloniale ai non francesi.

Siamo noi interessati e disposti a marciare su questa strada? Nel caso nostro, per ragioni evidenti, non si conta molto su di un contributo in danaro; si conta invece, e molto, sul nostro contributo in soldati.

Il motto di questa ondata di entusiasmo europeo potrebbe essere per la Francia «los von America» tanto che la vecchia guardia antieuropea ha spostato le sue batterie e cerca già di dimostrare che l’Europa non è in grado di risolvere nessuno dei problemi francesi. E una delle ragioni non ultime della simpatia di cui gode qui oggi la Germania è la convinzione che Adenauer si sia convertito a questo tipo di Europa.

Posizione in sé molto discutibile. Tutti noi, di fatto, abbiamo addossato all’America il compito di difenderci dai russi: dei paesi che non sono in grado di difendersi, si giri la cosa come si vuole, hanno cessato di essere indipendenti. Lo sviluppo delle armi nuove ha, se possibile, ancora accentuata questa debolezza militare degli Stati europei. Francia ed Inghilterra hanno dovuto abbandonare a mezzo la spedizione d’Egitto perché non avevano i mezzi loro per opporsi ad un intervento, anche indiretto, dei russi: l’Europa, anche ammesso che ne avesse realmente la volontà, non poteva intervenire lei sola in Ungheria perché non aveva mezzi suoi per affrontare la Russia. La realtà, spiacevole, è che il Patto atlantico dal punto di vista militare è l’America: ed il punto di vista militare è quello solo che conta: quando le cose sembrano calme possiamo anche dimenticarcene: poi intervengono dei richiami bruschi alla realtà.

Ora i sei o sette paesi di questa possibile Europa hanno tutti degli eserciti che, ai fini di una guerra con la Russia, sono molto più di parata che di sostanza: il giorno dopo l’unione, di fronte alla Russia, essi restano altrettanto impotenti. La differenza è che mentre separati nessuno di noi ha la possibilità di darsi delle forze armate adeguate ai tempi moderni, insieme, dopo parecchi anni di lavoro serio e tenace, e di sforzo finanziario adeguato, potremmo riuscirci.

La Russia comunista non vuole una Europa unita ed armata: cercherà di ostacolarla quanto le è possibile sul piano interno: se non ci riesce, dieci minuti prima del successo, ci imporrebbe con la forza di rinunciarci: a meno che l’America non ci copra. Perché l’Europa unita possa essere indipendente militarmente – e non c’è indipendenza se non c’è indipendenza militare – è necessario che l’America la copra fino a che essa non è uscita dalla zona pericolosa. L’ America vuole, o piuttosto vorrebbe che noi fossimo forti: ma lo vorrà anche se noi ci mettiamo a strillare, prima ancora di cominciare, che vogliamo diventare forti contro l’America? O non evolverà piuttosto, in questo caso, verso quell’accordo diretto con la Russia, a cui ha accennato Brosio in alcuni suoi rapporti, e che costituisce una possibilità che noi facciamo, tutti, molto male a sottovalutare?

La Francia è incapace, politicamente, psicologicamente, moralmente, di fare lo sforzo finanziario che sarebbe necessario per compiere la parte sua in questo riarmo dell’Europa unita. La Francia ha buttato 3.800 miliardi nella guerra d’Indocina: continua a buttare un miliardo e mezzo al giorno in Algeria: ma quelli che protestano contro queste spese vogliono costruire case ed aumentare salari, non fabbricare bombe atomiche, missili ed aeroplani supersonici. Politicamente, parlamentarmente parlando, la Francia, in una Europa unificata, sarebbe quella stessa che è, a se stante: ed è un’illusione pensare che l’Europa possa, dal di fuori, imporle di fare quello che essa non vuole, o non può fare, dal di dentro. Tanto più poi che, se guardiamo alla realtà, non alle parole, è molto dubbio che gli altri paesi dell’Europa siano, più della Francia, disposti a fare la politica militare che sarebbe necessaria ed a pagarla.

Per cui quali che siano i moventi, le illusioni di oggi, questa Europa fatta in funzione anti-americana non può finire altro che in una Europa neutralista. Quando la terza forza è, militarmente parlando una debolezza, la politica di terza forza non può essere altra politica che quella della neutralità disarmata.

Tutto questo molti francesi, di quelli che gridano Europa Europa, non lo vogliono vedere, accecati dalla passione del loro impero, e dai loro risentimenti. Ce ne sono invece, pochi ma forse i più importanti, che lo vedono e spingono lo stesso, perché questo è quello che vogliono.

Non ci lasciamo ingannare da questo apparente «redressement» dello spirito nazionale della Francia: è il redressement di una piccola minoranza, un rigurgito del passato, non è una reazione del presente: la si segue fintanto che si spera che l’operazione sia semplice, rapida, facile. Il pericolo di questa politica militare, in Africa ed in Medio Oriente, in cui questa minoranza è riuscita a cacciare la Francia servendosi – ironia della sorte – di un governo socialista, è che essa può provocare delle pericolose reazioni interne: e quanto più la tensione dura tanto più la reazione può essere violenta. Oggi il successore di Mollet potrebbe ancora essere Pflimlin o Pleven, domani sarà Mendès-France, dopodomani Dio sa chi.

Sotto la sua apparenza atlantica la Francia è neutralista. Di veramente atlantici, nel senso in cui diciamo di esserlo noi, qui non c’è che l’M.R.P. (e anche questo con qualche zona di ombra), un partito che è in piena decadenza. Negli altri partiti, anche – starei quasi per dire sopratutto – fra i gaullisti, se si fa eccezione per qualche personalità senza vera influenza politica, la tela di fondo vera è neutralista. E mi pare che il quadro negli altri paesi non sia molto più incoraggiante: il successo di Bevan in Inghilterra, i successi dei socialisti in Germania mi sembrano un po’ marcare l’indirizzo dei tempi.

So bene quanto il Governo italiano sia devoto all’idea europea: ma accettiamo noi questa Europa a sfondo coloniale? Accettiamo noi questa Europa antiamericana che non può essere – ripeto – che un’Europa neutralista?

Se sì, non abbiamo, che a lasciare che gli eventi seguano il loro corso; se no, sarebbe forse opportuno che lo diciamo subito e chiaramente, adesso. A titolo personale l’ho già detto, ma bisognerebbe che potessi dirlo anche a nome del Governo italiano. Non credo che una posizione nostra, netta e precisa, possa arrestare questo slittamento progressivo della Francia su posizioni neutralistiche: è bene però che la Francia sappia, senza equivoci, che non è su questa strada che potrà uscire dal suo isolamento4.

La prego di credere, Signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.

[Quaroni]


1 Sic. Si intenda: necessità accettata da tutto il Quai d’Orsay, funzionari, e Pineau continua, come è sua abitudine, a lavorare indipendente, un po’ nella stratosfera, … .


2 Ci si riferisce agli eventi di Suez e di Ungheria, che avevano creato incertezze e divisioni all’interno dell’Alleanza occidentale.


3 Non pubblicato.


4 Alle considerazioni svolte da Quaroni rispose dall’osservatorio statunitense l’Ambasciatore Brosio con rapporto dell’11 dicembre (ritrasmesso con Telespr. 11/153/c. del 5 gennaio 1957 alle Ambasciate a Bonn, Londra e Parigi), concordando con lui e sottolineando con forza come «l’Europa non si potesse fare, né difendere senza gli Stati Uniti, ossia non nel quadro del Patto atlantico, con il rischio che i legami confederativi si risolvessero in una politica comune di soli pesi e non di vantaggi» e che occorresse parlare ai francesi per distoglierli dalla «china della neutralità europea».

237

IL PRESIDENTE DELLA CONFEDERAZIONE GENERALEDELL’INDUSTRIA ITALIANA, DE MICHELI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

L. Roma, 4 dicembre 1956.

Signor Ministro,

l’approssimarsi dell’epoca nella quale la Conferenza di Bruxelles avrà presumibilmente condotto a termine la stesura dello schema di Trattato per l’istituzione del Mercato Comune Europeo mi induce a pregarla di voler esaminare la opportunità di consentire alle categorie interessate l’esame dello schema stesso, non appena ne sarà completata la redazione.

È ben vero che la Confederazione ha potuto seguire attraverso la partecipazione del Vice Segretario Generale Dott. Franco Mattei i lavori della Commissione interministeriale costituita presso il Ministero degli Affari Esteri per il collegamento tra la Delegazione del Governo italiano alla Conferenza di Bruxelles e le Amministrazioni statali interessate. Ritengo, però, ella sia a conoscenza che, nonostante lo zelo e il sacrificio personale posto dai componenti tale Delegazione nell’assolvere il loro compito, le discussioni di detta Commissione sono risultate di fatto frammentarie e non così profonde, come sarebbe stato desiderabile. Ciò soprattutto in dipendenza del fatto che il ritmo impresso dalla Conferenza di Bruxelles all’esame dei vari argomenti, ha imposto alle Commissione di discutere su testi che in alcuni casi non si aveva nemmeno sott’occhio e che mai è stato possibile sottoporre a valutazioni preliminari.

Inoltre, il carattere di riservatezza imposto ai lavori della Commissione in parola e anche ai pochi testi distribuiti in seduta non ha consentito di far portare su questi, in sede industriale, quell’esame collegiale al quale aspirano gli esponenti delle categorie interessate.

Ma tutte queste considerazioni sono superate, a mio avviso, da quella che un trattato del genere non può venire proficuamente esaminato che avendone presente il testo nel suo insieme, essendo basilare, ai fini di una valutazione responsabile, la constatazione dell’armonia della costruzione generale e dell’equilibrio fra le soluzioni adottate nelle singole parti. Ora, né il rapporto Spaak né l’articolazione di questo fatta dal Segretariato della Conferenza di Bruxelles nel luglio scorso rispondono più allo scopo, essendo tali documenti in larga parte superati dai risultati delle trattative svoltesi successivamente alla loro compilazione.

In relazione a quanto sopra, la prego di voler valutare l’opportunità di suggerire al Comitato dei Capi Delegazione della Conferenza di Bruxelles di prevedere una battuta di attesa nel suo lavoro, una volta che detto Comitato sia pervenuto alla stesura di un testo completo e prima ancora che tale testo venga rimesso ai Ministri degli Esteri dei rispettivi paesi per la definitiva approvazione.

Questa battuta di arresto dovrebbe consentire un sia pur sollecito, ma approfondito esame del testo in questione in sede nazionale: le eventuali osservazioni, frutto di tale esame, potrebbero formare oggetto di negoziato finale tra i Capi Delegazione, salvo a lasciare ad una trattativa politica tra i Ministri degli Esteri le questioni di maggior rilievo sulle quali non fosse raggiunta un’intesa.

Mi rendo conto che la richiesta da me rivoltale può urtare contro opportunità di carattere politico che, nel momento attuale, premono per la sollecita firma del trattato, ma la importanza rivestita dalle clausole di quest’ultimo per la vita economica di ciascuno dei 6 paesi mi sembra consigliare questo esame preliminare.

Nel ringraziarla per la cortese attenzione che vorrà riservare a quanto sopra, desidero informarla che in senso analogo ho interessato anche il Ministro Cortese.

La prego gradire, Signor Ministro, i miei migliori deferenti saluti1.

A. de Micheli


1 Con L. 44/19529/608 del 21 dicembre, inviata in copia al Ministro dell’Industria e Commercio (L. 44/19530/416 in pari data), Martino rispose sottolineando l’approfondimento svolto dal Comitato interministeriale su tutti i princìpi informatori del trattato ed escludendo la possibilità di riaprire la discussione sui punti già da esso accettati. Vedi anche D. 242.

238

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SEGNI

T. 29578/9061. Parigi, 10 dicembre 1956, ore 21,45 (perv. ore 22).

Oggetto: Lavori Consiglio Ministri U.E.O.

In due successive sedute Consiglio Ministri Unione Europa Occidentale ha oggi preso in riesame alcune questioni di carattere tecnico e ha discusso al tempo stesso problemi concernenti avvenire ed attività istituzione. In merito fissazione livelli per cosiddette forze difesa comune siamo riusciti, dopo lunghissima e complessa discussione, far rinviare decisione ottenendo nuovo studio in merito da parte Comitato di Londra. Nostro Ministro Difesa aveva fatto ripetutamente presente come da parte nostra non fosse oggi conveniente una fissazione di livelli per forze di quella natura ossia nazionali.

Nell’esprimere nostri intendimenti in merito maggiore consistenza politica U.E.O. e necessità affiancare ad attività Consiglio Ministri quella di un’Assemblea maggiormente efficiente, ho avanzato progetto concreto e completo per creazione di un’Assemblea sulla base di una elezione col voto diretto, universale e segreto.

Tale progetto ha incontrato un’approvazione di massima da parte miei colleghi del Belgio, d’Olanda e di Francia i quali però, nel ricordare precedenti costituiti da lavori antica Assemblea ad hoc, hanno indicato come iniziativa vada approfondita ed attentamente studiata. È stato così deciso che nostro progetto formi ora oggetto di un accurato esame da parte Segretariato cui rapporto sarà, insieme con le osservazioni che verranno presentate da parte dei singoli Governi, discusso nel corso prossima riunione Consiglio dei Ministri2.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.


2 Sull’argomento vedi D. 239. Il successivo Consiglio dei Ministri dell’U.E.O. ebbe luogo a Londra il 26 febbraio 1957, vedi D. 299.

239

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

Appunto riservatissimo1.

APPUNTO SULLA RIUNIONE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELL’U.E.O.(Parigi, Quai d’Orsay, 10 dicembre 1956)

Come di consueto, la sessione del Consiglio dei Ministri della N.A.T.O. è stata preceduta da una riunione del Consiglio dei Ministri dell’U.E.O. svoltasi nella giornata di lunedì 10 dicembre. Il presidente di turno era il Ministro degli Esteri dei Paesi Bassi ed assistevano tutti i Ministri degli Esteri degli altri sei Stati membri.

La riunione è stata particolarmente interessante perché, su richiesta italiana, l’agenda era stata sfoltita di alcune questioni tecniche meno urgenti, in modo da permettere ai Ministri di dedicarsi più diffusamente ad un dibattito sui problemi politici del momento. Ci era sembrato infatti che questa riunione, avendo luogo alla vigilia di una delle più importanti sedute della N.A.T.O., fosse un’occasione propizia per affrontare il problema del ristabilimento e dello sviluppo della solidarietà europea, tanto in funzione europeistica quanto come base per il rafforzamento del fronte atlantico.

La seduta antimeridiana è stata dedicata interamente agli affari correnti. Si è proceduto anzitutto alla firma del Protocollo relativo all’adesione dell’Italia e della Germania a due Convenzioni nel campo sociale, rispettivamente per facilitare il movimento dei lavoratori e lo scambio degli studenti-impiegati.

Indi è stata approvata la nomina del nuovo Segretario Generale Aggiunto nella persona del Ministro Plenipotenziario, Signor Heinrich Boex, di nazionalità germanica, attualmente Capo della Sezione per la Saar a Bonn.

Per quanto riguarda la questione dei rapporti con l’Assemblea dell’U.E.O., è stata approvata la risposta da inviare all’Assemblea stessa circa la sua richiesta di ricevere maggiori informazioni in materia di difesa. In sostanza è stato deciso di tener conto, nel modo più comprensivo possibile, delle esigenze parlamentari – pur con le necessarie limitazioni imposte da ragioni di sicurezza – onde mettere l’Assemblea in condizione di svolgere utilmente i suoi dibattiti sulle questioni militari.

Dopo aver preso conoscenza del rapporto che i Rappresentanti Permanenti dei sette Governi presso la N.A.T.O. debbono presentare ogni anno al Consiglio dell’U.E.O. in occasione della revisione annuale, i Ministri hanno affrontato la spinosa questione tecnico-giuridica dei livelli delle forze di «difesa comune». Su questo punto, sul quale la posizione italiana era – con la sola eccezione parziale della Germania – in contrasto con quella degli altri membri, si è svolto un serrato e vivace dibattito che si è chiuso con il rinvio della questione all’esame dei Rappresentanti Permanenti per l’elaborazione di una soluzione di compromesso.

La seduta pomeridiana è stata invece dedicata all’argomento «consultazioni politiche». Essa si è aperta con una breve, ma interessante discussione sugli aspetti politici dei piani strategici di difesa occidentale. La questione era già stata dibattuta nella riunione ministeriale del 15 settembre per iniziativa del Governo Federale di Germania, preoccupato dell’eventuale revisione da parte americana dei piani difensivi occidentali, nonché della diminuzione già avvenuta di forze inglesi sul continente. La discussione non è stata molto estesa, dato che l’elaborazione tecnica della materia da parte degli organi militari della N.A.T.O., (cui la questione era stata rimandata) non era ancora terminata e che d’altra parte la questione figurava anche all’ordine del giorno della successiva riunione della N.A.T.O. Tuttavia il dibattito ha dato modo al Ministro von Brentano di attirare l’attenzione dei suoi colleghi sulla delicata situazione che si verrebbe a creare per la Repubblica Federale se la popolazione della Germania Orientale seguisse l’esempio ungherese.

Successivamente il Ministro Martino ha affrontato il tema della funzione dell’U.E.O. nella presente situazione internazionale. Egli ha accennato anzitutto all’attività svolta dall’U.E.O. in questi primi due anni, rilevando che essa si era concentrata principalmente su quella dell’Agenzia per il Controllo degli Armamenti mentre l’Unione era stata costituita anche quale mezzo per promuovere l’unità e per incoraggiare l’integrazione progressiva dell’Europa. E così, dopo aver riaffermato la necessità di procedere speditamente sulla via dell’integrazione economica, associandovi la Gran Bretagna attraverso la zona di libero scambio, ha dichiarato che questa integrazione dovrà essere completata da una associazione politica, per la quale egli ha avanzato due suggerimenti.

Il primo è di dare maggiore autorità all’Assemblea dell’U.E.O. che dovrebbe essere eletta direttamente e a suffragio segreto dai popoli dei sette paesi membri ed avere il potere di formulare norme legislative ed emettere raccomandazioni che diverrebbero esecutive soltanto dopo l’approvazione dei singoli Parlamenti nazionali. Il secondo suggerimento si riferisce alla competenza del Consiglio che dovrebbe diventare la sede di una consultazione politica costante ed effettiva in base a quanto previsto dal punto 3° dell’art. 8 del Trattato di Bruxelles modificato. Il Ministro ha infine sottolineato che un simile rafforzamento della comunità europea, lungi dal presentarsi in antitesi alla comunità atlantica, servirebbe invece a potenziarla. A tale proposito ha citato alcuni brani del messaggio col quale il Presidente Eisenhower concedeva, nel marzo 1955, la garanzia degli Stati Uniti all’Unione e dal quale appare chiaramente che essi hanno collegato la continuazione della loro partecipazione militare alla N.A.T.O. allo stabilimento in Europa di una solida unità politica.

A questa proposta di valorizzazione dell’U.E.O. quale nucleo centrale dell’Alleanza atlantica, si sono dichiarati particolarmente favorevoli i Ministri Pineau, Spaak e Lloyd. Il Ministro francese per parte sua ha suggerito di servirsi dell’U.E.O. come cornice per un’associazione più stretta della Gran Bretagna all’Europa a sei, specie per quanto riguarda l’Euratom ed il Mercato Comune.

Il Ministro Spaak ha fatto presente che mentre l’estensione della competenza politica del Consiglio dipende unicamente dalla volontà dei singoli Governi, più complicata si presenta l’elezione a suffragio universale e diretto di un Parlamento europeo. Egli si è dichiarato personalmente favorevole in linea di massima, pur senza dimenticare però tutte le difficoltà che la questione aveva incontrato a suo tempo. Per quanto riguarda poi la proposta del Ministro Pineau, egli ha detto che sperava che i progetti di trattato per l’Euratom e per il mercato a sei fossero pronti alla fine di gennaio; e che quindi si proponeva di recarsi a Londra ai primi dell’anno per avere uno scambio di idee al riguardo col Governo inglese.

Il Ministro Lloyd, nell’osservare che le proposte italiane richiedevano uno studio complementare, ha fatto presente che, come prossimo presidente di turno, egli sarà lieto di riunire i suoi colleghi a Londra durante il primo trimestre del 1957, per un esame preliminare della questione. Quanto alla proposta francese, egli ha informato che il Governo britannico sta preparando un progetto concreto per l’organizzazione della zona di libero scambio che intende presentare entro gennaio all’O.E.C.E.: egli sarebbe stato quindi ben lieto di parlarne prima col Ministro Spaak.

Dopo altri interventi del Presidente e dei Ministri Spaak e Pineau, il Ministro Martino ha presentato un progetto scritto per la costituzione della nuova Assemblea. E, a conclusione del dibattito, il Consiglio ha deciso:

1) di invitare il Segretario Generale a mettere a disposizione delle varie Rappresentanze gli studi fatti dalla Assemblea ad hoc sulla questione di una Assemblea parlamentare eletta a suffragio universale diretto;

2) di chiedere ai Governi di mandare al Segretario Generale i loro commenti scritti sulle due proposte del Ministro Martino nonché su quella del Ministro Pineau;

3) di domandare al Segretario Generale di preparare un rapporto sulla questione;

4) di tenere una nuova riunione nello spazio di tre mesi per riesaminare la questione dello sviluppo dell’U.E.O.

Come si vede, la previsione circa l’effetto che la recente crisi avrebbe avuto sulle principali potenze europee, nel senso di convincerle della necessità di una maggiore solidarietà, si è dimostrata esatta, almeno in questa fase iniziale. Le parole pronunciate da Pineau e da Selwyn Lloyd sono significative al riguardo. Potrebbe forse sorprendere invece il silenzio mantenuto dal Ministro von Brentano, benché le ripetute dichiarazioni fatte recentemente dal Cancelliere Adenauer, nonché l’esplicito accenno contenuto nel comunicato emanato dopo la recente visita a Bonn dal Presidente Gronchi non possono lasciare dubbio sull’interesse tedesco alla valorizzazione dell’U.E.O.

Occorrerà ora naturalmente attendere i successivi sviluppi, anche perché non possiamo nasconderci che non tutti gli Stati – vedasi per esempio la Francia – concepiscono in egual modo questa valorizzazione. Comunque, per quanto riguarda l’aspetto economico, la prossima visita del Signor Spaak a Londra avrà una importanza decisiva; sopratutto se gli schemi dei protocolli per l’Euratom e il Mercato Comune potranno esser pronti per la fine di gennaio, in tempo utile cioè per esser presentati al Parlamento tedesco.

Per quanto riguarda poi l’aspetto politico, la risoluzione adottata dal Consiglio ha avuto una ripercussione immediata nelle sedute della N.A.T.O. Infatti, durante l’esame del rapporto del Comitato dei Tre, il Segretario di Stato americano ha detto esplicitamente che la necessità di una maggiore consultazione politica in sede atlantica non doveva in alcun modo far diminuire gli sforzi per promuovere una maggiore consultazione e integrazione nel quadro europeo: concetto al quale ha immediatamente aderito il Segretario di Stato britannico. Il che è una ulteriore riprova della giustezza della tesi italiana secondo la quale un potenziamento dell’U.E.O. non rischia in alcun modo di creare una dissonanza o, peggio ancora una antitesi con la N.A.T.O., ed è anzi destinato. a contribuire al suo rafforzamento.

Si allega il testo dell’intervento del Ministro Martino, nonché il progetto da lui presentato per la costituzione della nuova Assemblea2.

Allegato

U.E.O.

INTERVENTO DI S.E. IL MINISTRO

Questa riunione, dopo due anni dalla istituzione dell’U.E.O, ed alla vigilia di una sessione del Consiglio Atlantico che sarà certamente fra le più importanti, mi sembra particolarmente adatta per fare il punto della situazione nei riguardi della nostra Unione e per procedere ad uno scambio di idee, da un angolo visuale europeo, sul delicato momento politico che attraversiamo.

Tutti noi ricordiamo il vivo senso di soddisfazione con cui fu accolta l’iniziativa inglese di costituire, dopo il fallimento della C.E.D., una nuova associazione tra i paesi dell’Europa Occidentale e di partecipare ad essa; e ricordiamo le molte speranze che accompagnarono la firma dei Protocolli.

Mi sia lecito però di dire che queste speranze non si sono purtroppo realizzate. Fra i risultati positivi dobbiamo annoverare certamente la soluzione del problema della Sarre al cui raggiungimento l’Unione ha dato un notevole contributo. Ma, dopo di allora, l’attività dell’Unione si è concentrata principalmente su quella dell’Agenzia per il Controllo degli Armamenti, attività che ha per il momento tutte le caratteristiche di una esercitazione tecnica tra alleati, del resto di difficile attuazione come lo dimostrano le molteplici difficoltà giuridiche che tuttora incontra.

Io non disconosco certo la necessità dell’istituzione della Agenzia e l’importanza che essa potrà avere nel futuro. Ma la crisi attuale ha dimostrato che il problema urgente per l’Europa non è di controllare il livello dei suoi armamenti, bensì di aumentarli in quantità e migliorarli in qualità. Purtroppo dobbiamo constatare che la Repubblica Federale di Germania non ha potuto ancora portare all’organizzazione difensiva occidentale quel valido contributo che attendevamo. A ciò si aggiunga che anche gli altri paesi, per una ragione o per l’altra, sono ben lungi dal disporre in Europa dei contingenti di forze previsti dal Protocollo II.

A parte ciò, gli scopi dell’U.E.O. non possono e non debbono esaurirsi in queste sia pure importanti questioni di carattere militare; l’U.E.O. è stata infatti costituita anche quale mezzo per promuovere l’unità e per incoraggiare l’integrazione progressiva dell’Europa.

Viceversa l’Unione non solo non è apparsa la sede adatta per la trattazione dei problemi integrativi del momento giacché essi sono promossi nel campo economico, ma non è riuscita neanche a prendere quota come sede di consultazione politica tra i sette Stati membri.

Ciò che sopratutto ha lasciato in ombra l’U.E.O., fin dal suo nascere, è stata la presenza troppo vicina della N.A.T.O., quasi che la consultazione politica in sede atlantica rendesse l’altra del tutto superflua.

2) Non voglio dilungarmi sul passato per dimostrare come questo sia stato un errore, benché debba ricordare che l’Italia ha insistito fin dal primo momento perché i problemi politici fossero trattati anche in sede U.E.O. Ma mi permetto di affermare, in vista di quanto è avvenuto ultimamente e di quanto può riservarci l’avvenire, che i popoli liberi europei o almeno il nucleo centrale di questi popoli deve agire di concerto in un mondo in cui, purtroppo, l’Europa sembra diventare sempre più piccola e avere sempre minor peso nella politica internazionale.

La crisi attuale ci permette quindi di trarre alcuni insegnamenti positivi. Il primo è che bisogna ormai cercare di superare con ogni possibile buona volontà le ultime difficoltà tecniche e procedere sulla via dell’integrazione economica, onde raggiungere più speditamente le mete dell’Euratom e del Mercato Comune. A queste mete possiamo ormai sperare di associare in una forma che si va precisando nei lavori per la zona di libero scambio anche la Gran Bretagna; ed è questo certo uno dei risultati più significativi e confortanti di quest’ultimo periodo.

Il secondo è che l’integrazione economica non basta; è indispensabile che essa sia completata da una vera associazione politica. A questo proposito noi ci domandiamo se non sia venuto il momento di dare maggiore autorità e più effettivi poteri all’Assemblea dell’U.E.O.

Noi riteniamo infatti che potrebbe essere dato un importante contributo all’unità effettiva dell’Europa Occidentale se l’Assemblea fosse eletta direttamente dai popoli dei nostri paesi e se le fosse attribuito il potere di formulare norme ed emettere raccomandazioni, che dovrebbero naturalmente diventare esecutive dopo l’approvazione dei singoli Parlamenti nazionali.

In tal modo si faciliterà su un piano parlamentare internazionale la realizzazione degli scopi della nostra organizzazione che devono continuare ad ispirare i suoi sforzi per l’avvenire.

3) Questa collaborazione parlamentare offrirà anche maggiori possibilità di sviluppo all’attività del Consiglio di cui la base dovrebbe consistere in una consultazione politica costante ed efficace. A questo proposito permettetemi che vi ricordi tra l’altro il punto 3 dell’Articolo 8 del Trattato di Bruxelles modificato: «à la demande de l’une d’entre elles, le Conseil sera immédiatement convoqué en vue de permettre aux Hautes Parties Contractantes de se concerter sur toute situation pouvant constituer une menace contre la paix, en quelque endroit qu’elle se produise ou mettant en danger la stabilité économique».

A questo punto, vorrei essere particolarmente esplicito: può questa più chiara differenziazione fra gli scambi di idee europei ed atlantici voler sottolineare un benché minimo distacco tra le due politiche? La mia risposta è decisamente negativa. Queste consultazioni europee non vanno solo interpretate sotto l’aspetto della convenienza, del resto perfettamente evidente, di esaminare i problemi internazionali anche dal nostro punto di vista, al di qua dell’Atlantico, ma pure sotto quello del dovere che sentiamo di mettere a tono tra di noi le nostre idee onde offrire il contributo di una associazione di alleati efficienti e concordi anziché di un insieme di entità dissonanti, ciò che corrisponderebbe in definitiva, come qualcuno ha affermato, ad una somma di debolezza.

La stretta collaborazione tra i nostri paesi, che deve essere assicurata attraverso l’U.E.O., non solo non è vista con alcuna diffidenza da parte degli Stati Uniti, ma viene anzi considerata come un mezzo per consolidare il Patto Atlantico. Ciò è esplicitamente confermato nel messaggio del Presidente Eisenhower nel marzo dell’anno scorso relativo alla garanzia concessa dagli Stati Uniti all’U.E.O.

In particolare vorrei. ricordarvi che in questo messaggio si legge: «The success of the Atlantic Alliance will be determined in large measure by the degree of practical cooperation realized among the European nations themselves. The Western European Union and the arrangements agreed upon in Paris are designed to ensure this cooperation and thereby to provide a durable basis for consolidating the Atlantic relationship as a whole»; e più oltre: «The United States calls attention to the fact that for it to cease to be a party to the North Atlantic Treaty would appear quite contrary to our security interests when there is established on the continent of Europe the solid core of unity which the Paris Agreements will provide».

Gli Stati Uniti hanno dunque voluto collegare il mantenimento della loro partecipazione alla N.A.T.O. proprio allo stabilimento in Europa di questo «solid core of unity» che gli accordi di Parigi avrebbero dovuto costituire; ciò che all’atto pratico invece non è ancora avvenuto.

Eccoci quindi ricondotti al tema centrale delle nostre preoccupazioni: la necessità di creare tra i nostri sette Stati una comunità politica composta di oltre 200 milioni di uomini, dotati di un elevato patrimonio tecnico e spirituale, che costituisca il nucleo centrale di una più forte alleanza atlantica.


1 Il documento non è datato.


2 All’appunto era allegato solo il primo documento citato; sulla questione delle competenze dell’Assemblea vedi DD. 238 e 250.

240

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

Appunto riservato1.

APPUNTO SULLA RIUNIONE DEL COMITATO DEI MINISTRIDEL CONSIGLIO D’EUROPA

(Parigi, Château de la Muette, 15-16 dicembre 1956)

La «settimana della politica multilaterale»2 si è chiusa a Parigi con una riunione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, il cui Presidente in esercizio è il Ministro degli Esteri del Lussemburgo, Bech.

Dopo che i principali problemi politici internazionali erano già stati oggetto di attento esame da parte dell’U.E.O. ed ancor più della N.A.T.O., i Ministri dagli Affari Esteri non potevano, in sede di Consiglio d’Europa, che attenersi alle grandi linee già precedentemente tracciate, tanto più che esse si presentavano perfettamente accettabili da parte dei tre Stati che seguono una politica più o meno «neutrale» e che sono presenti nel Consiglio e non invece nelle altre predette Organizzazioni: l’Austria, la Svezia e l’Irlanda.

È stata pertanto adottata una risoluzione, presentata da Spaak, nella quale si ripetono all’incirca vari concetti già messi a punto nella riunione atlantica. Per quanto concerne il Medio Oriente: appoggio totale alle forze di polizia delle Nazioni Unite, stabilimento di un regime che garantisca il funzionamento stabile ed efficace del Canale di Suez e stabilimento di un regolamento di pace giusta e duratura tra Israele e gli Stati arabi. Per quanto concerne l’Europa Orientale: proclamazione del diritto di quelle Nazioni di scegliere il proprio Governo attraverso libere elezioni e di decidere da sole il proprio regime politico nel rispetto assoluto dei diritti dell’uomo e al di fuori di qualsiasi ingerenza esterna. Per quanto riguarda infine in particolare l’Ungheria: appoggio totale alla risoluzione del 12 dicembre dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiede all’U.R.S.S. di ritirare le sue forze armate dall’Ungheria in presenza di osservatori delle N.U. e di permettere il ristabilimento dell’indipendenza politica in quel paese.

Il Comitato dei Ministri è poi passato a trattare varie questioni tecniche. A questo proposito vanno ricordati:

1) l’incarico dato al Segretario Generale del Consiglio di prendere contatto col Segretario Generale della O.E.C.E. per esaminare il problema delle rispettive competenze delle due Organizzazioni e delle misure che potrebbero essere prese per instaurare una collaborazione più efficace;

2) la firma della Convenzione sull’equivalenza dei periodi di studi universitari, ciò che faciliterà notevolmente gli studenti (specialmente quelli di lingue vive e poi quelli di scienze teoriche ad applicate) nel compimento di periodi di studio presso Università straniere;

3) l’esposizione dell’ex-Presidente dell’Assemblea Nazionale francese Schneiter il quale, nella sua attuale qualità di Rappresentante Speciale per i rifugiati nazionali e gli eccedenti di popolazione in Europa, ha fatto cenno al problema dei profughi dei paesi dell’Europa Orientale nonché ad alcune pratiche iniziative quali quella della costruzione di abitazioni per gli operai italiani che si trovano a Metz, Nancy, Tolosa e Chambery.

Particolarmente animato è stato infine il dibattito relativo alla nomina del nuovo Segretario Generale. Da parte italiana si è validamente sostenuta la candidatura dell’Ambasciatore Mascia e lo stesso hanno fatto gli olandesi per l’Ambasciatore van Karnebeek. Senonché, nello stesso ambito del Comitato dei Ministri e prima ancora di prendere contatto – nel Comitato Misto – con i parlamentari dell’Assemblea Consultiva, si aveva chiaro sentore del fatto che la recente nomina di una personalità politica quale il Ministro Spaak al posto di Segretario Generale della N.A.T.O. non migliorava di certo la possibilità di riuscita per dei funzionari di carriera candidati all’analogo posto del Consiglio d’Europa.

Come previsto, infatti, nella successiva riunione del Comitato Misto veniva nettamente ribadito il concetto di non far occupare il posto di Segretario Generale ad un funzionario, per affidarlo invece a persona politicamente nota nella speranza di dare in tal modo all’attività del Consiglio un tono più vivace e maggiore mordente.

La questione è stata quindi rinviata alla prossima riunione primaverile del Comitato dei Ministri e frattanto, allo scopo di facilitare le candidature politiche, si provvederà probabilmente alla revisione della clausola del regolamento che interdice la designazione di un candidato che sia membro dell’Assemblea Consultiva o di un Parlamento nazionale o che lo sia stato negli ultimi due anni.

Confrontando i più o meno ampi dibattiti che si sono svolti in tema di politica generale nelle riunioni dell’U.E.O., della N.A.T.O. e del Consiglio d’Europa, e tenendo presente sopratutto quanto è stato affermato all’U.E.O. circa la necessità di trasformarla in sede di una effettiva e frequente consultazione politica europea, v’è da domandarsi quale possa essere in definitiva il peculiare ruolo del Consiglio d’Europa nel quadro dell’attuale indubbio risveglio europeo.

La risposta è insita in un intervento pronunciato al Consiglio d’Europa dal Ministro On. Martino, il quale ha, tra l’altro, posto in rilievo come il concetto dell’«Europa Occidentale» superi i limiti del nocciolo centrale dell’Alleanza atlantica rappresentato dall’U.E.O. nonché quelli di tutta la «parte europea» del Patto atlantico, per estendersi ad altri paesi, che sono estranei all’alleanza militare difensiva e che l’Italia si augura di vedere via via più numerosi per l’avvenire. E ciò allo scopo di concludere sulla necessità di valersi anche di quest’altro centro di consultazioni costanti e regolari, rappresentato appunto dal Consiglio d’Europa, per tutte le questioni di carattere non militare nelle quali è bene che un’Europa sempre più vasta si presenti con una politica comune.


1 Il documento è datato Roma, 18 dicembre.


2 Dal 10 al 16 dicembre si svolsero a Parigi le riunioni del Consiglio dei Ministri dell’U.E.O. (vedi DD. 238 e 239), del Consiglio Atlantico (11-14 dicembre) e del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

241

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 30762/331. Bruxelles, 24 dicembre 1956, ore 19,45(perv. ore 22).

Oggetto: Riunione sei Ministri Esteri. Mercato Comune ed Euratom.

Telegramma di V.E. 269 del 23 corrente1.

Spaak ringrazia l’E.V. Avendo ricevuto già adesione maggior parte Stati partecipanti, egli ritiene riunione Bruxelles potrà avere luogo come si prevede 26 e 27 gennaio prossimo2. Mi ha pregato informare V.E. che a suo avviso la procedura da seguirsi dovrebbe essere la seguente:

1) risolvere nella prossima riunione dei 6 Ministri degli Esteri tutti punti rimasti sospesi;

2) egli provvederà nei 3 o 4 giorni immediatamente successivi fare stendere testo definitivo dei due trattati Mercato Comune ed Euratom;

3) conta pertanto potere nei primi febbraio dare comunicazione ufficiale di tale testo ai Governi e di lasciare ad essi tre settimane tempo per eventuale necessario coordinamento interno, dopodiché si potrà procedere alla firma;

4) quest’ultima potrebbe avere luogo alla fine di febbraio e subito dopo ciascun Governo solleciterà ratifica parlamentare.

A proposito firma, Spaak fa sapere a V.E. in via confidenziale essere suo intendimento proporre che avvenga a Roma; e ciò per deferente pensiero verso l’Italia e tenuto presente validità contributo personale che V.E. ha dato al successo di questa grande opera politica. Poiché idea nacque a Messina, Spaak vorrebbe che i nuovi trattati prendano il nome da Roma. Egli desidera essere (manca) con cortese urgenza se V.E. è d’accordo su tale proposta (della quale non ha ancora fatto parola agli altri Governi) affinché egli possa fin da ora farla prevalere3.


1 T. 15328/269 del 22 dicembre, con il quale Cattani aveva informato che Martino approvava la proposta di riunire i sei Ministri degli Esteri a Bruxelles nei giorni 26 e 27 gennaio 1957.


2 Vedi DD. 271, 272 e 273. Per il verbale della Conferenza vedi Appendice documentaria, D. 6.


3 Con il T. 15464/270 del 29 dicembre, Carrobio di Carrobio comunicò: «S.E. il Ministro è d’accordo circa scelta Roma quale luogo della firma Trattati Mercato Comune ed Euratom e prega V.E. ringraziare a suo nome Spaak dell’iniziativa».

242

IL MINISTRO DELL’INDUSTRIA E DEL COMMERCIO, CORTESE,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

L. 16875. Roma, 28 dicembre 1956.

Caro Martino,

ho esaminato le lettere della Confederazione Generale dell’Industria, a noi dirette1, con le quali si chiede una battuta d’arresto, dopo la stesura del testo definitivo del Trattato per il Mercato Comune e prima ancora che tale testo venga rimesso ai Ministri degli Esteri dei sei paesi, al fine di permetterne un più approfondito esame in sede nazionale. Le eventuali osservazioni dovrebbero – secondo la Confindustria – formare oggetto di negoziato finale tra i Capi di Delegazione.

Sul piano tecnico ritengo giuste le preoccupazioni manifestate; mi rendo conto, tuttavia, che la situazione politica generale richiede soluzioni sollecite che mal si conciliano con un riesame capillare dei singoli articoli, esame che, a sua volta, potrebbe determinare la messa sotto naftalina dell’intero accordo.

Peraltro, gli eventi degli ultimi mesi hanno creato nei sei paesi uno stato d’animo particolarmente favorevole alla costituzione della Comunità, presupposto di ulteriori intese politiche. La stessa Francia, che in principio si è fatta quasi trascinare, imponendo concessioni più ampie di quanto l’economia italiana non potesse sopportare, sembra ormai pienamente convinta della necessità di una definitiva intesa.

Soprattutto ritengo sia necessaria una sollecita ratifica per trattare su nuove basi con il Regno Unito, che ha proposto, come ben sai, una forma di associazione su misura. Se si accedesse alla richiesta dell’Inghilterra si verrebbe a conservarle una situazione di privilegio sia per quanto concerne l’approvvigionamento delle materie prime che per lo sbocco dei prodotti finiti, situazione in aperto contrasto con lo spirito e l’essenza del trattato.

Infatti, l’Inghilterra mette; bontà sua, in comune le sue risorse produttive, esuberanti rispetto ai suoi fabbisogni, ma pretende di conservare il monopolio del commercio con i suoi territori di oltremare; essa vorrebbe cioè godere tutti i benefici connessi ad un allargamento del mercato, senza quelle contropartite e quei pesi che gravano invece – ed in misura non indifferente – sugli altri paesi.

Ricordo, infine, del progetto inglese, l’esclusione dal libero scambio di tutto il settore agricolo e delle industrie alimentari nonché di alcuni fattori della produzione (capitale, lavoro e servizi) per concludere che, mentre il trattato per il Mercato Comune fra i sei paesi potrà essere definito fra breve, l’associazione con l’Inghilterra richiederà trattative lunghe su basi diverse dalle attuali, onde l’opportunità di porre al più presto il Regno Unito di fronte al fatto compiuto dell’avvenuta istituzione della Comunità Economica.

Per quanto riguarda quest’ultima fase dei lavori di Bruxelles, desidero manifestarti il mio pensiero sulle concessioni massime che possono essere fatte alla Francia nell’ambito del Mercato Comune.

Ciò che ti scrivo deriva unicamente dall’esame dei documenti trasmessimi dal tuo Ministero, in quanto l’argomento è stato finora trattato solo in sede «Capi di Delegazione» e quindi senza l’intervento dei miei funzionari, i quali hanno partecipato esclusivamente a riunioni di Gruppi di lavoro. Temo quindi che la mia documentazione possa essere incompleta e ti sarò grato se vorrai farmi avere eventuali ulteriori elementi e notizie che valgano ad integrarla.

Il progetto di processo verbale Ch. Dél. 60 in data 21 novembre indica le grandi linee del regime speciale che sarebbe accordato alla Francia per quanto concerne gli aiuti alla esportazione e le tasse compensative alla importazione.

Il punto 4 a pag. 6 prevede che il Consiglio dei Ministri dei sei paesi potrà decidere a maggioranza qualificata la soppressione del sistema delle tasse e degli aiuti in questione solo dopo che la bilancia dei pagamenti correnti si sia equilibrata nel corso di un anno e che le riserve monetarie abbiano raggiunto un livello soddisfacente. La soppressione dovrà avvenire in modo da non pregiudicare l’equilibrio di cui sopra e potrà quindi essere progressiva.

La clausola riportata si fonda evidentemente sul presupposto che l’esistenza di un saldo passivo nella bilancia dei pagamenti correnti, anche se molto limitato, costituisca un fattore di squilibrio tale da esigere il ricorso a tasse compensative alla importazione e ad aiuti alla esportazione.

Gli esperti discuteranno sulla definizione di tale bilancia: è necessario però a mio avviso che già nel trattato, o in un protocollo aggiunto, sia messo in rilievo che nel valutare la situazione francese, oltre alla bilancia dei pagamenti correnti, si debbano considerare tutte le partite straordinarie e cioè gli aiuti e le commesse O.S. e sopratutto il movimento dei capitali, allo scopo di tener conto di tutte quelle situazioni – ed in primo luogo dell’indebitamento esterno – che influiscono sulla situazione generale del paese, anche se non influenzano direttamente ed immediatamente la bilancia dei pagamenti correnti.

Per il caso che la Delegazione italiana si fosse già dichiarata d’accordo sulla sostanza della richiesta francese, si potrebbe forse domandare una identica facoltà per l’Italia; considerare cioè come «tassa» una aliquota dei diritti doganali sulle importazioni, con facoltà di continuare ad applicare tale tassa, insieme agli aiuti alla esportazione, fino a quando la nostra bilancia dei pagamenti correnti risulti passiva. La richiesta potrebbe avere soli fini tattici per consentirci di rivedere la nostra posizione.

Infine, considerata la particolare situazione iniziale della Francia le si possono concedere talune facoltà particolari, da estinguersi però in ogni caso nel periodo transitorio.

Ogni riferimento a circostanze successive a tale periodo, che comporti la revoca sia pure parziale della liberalizzazione o la reintroduzione di tasse alla importazione e di aiuti alla esportazione, se può essere invocato da uno dei sei paesi, deve poterlo essere anche dagli altri: la deroga dovrebbe sempre formare oggetto di «concessione», rilasciata dagli Organi Comunitari. È superfluo che io ti illustri le ragioni, a te peraltro ben note, di carattere politico ed economico che sono alla base di questa mia richiesta.

In attesa di conoscere il tuo pensiero in proposito e con viva cordialità, credimi

Tuo aff.mo

G. Cortese


1 Vedi D. 237.

243

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL CANCELLIERE DELLO SCACCHIEREDEL REGNO UNITO, MACMILLAN

Messaggio1. Roma, 5 gennaio 1957.

J’ai l’honneur d’accuser réception de votre communication en date du 30 novembre2 relative à l’établissement d’une zone de libre échange partielle en Europe entre les pays membres de l’O.E.C.E. en liaison avec l’union douanière qui fait actuellement l’objet des négociations de la Conférence de Bruxelles.

Votre communication a retenu toute mon attention. Elle a été examinée par le Comité des Chefs de délégation de la Conférence de Bruxelles au cours de la séance que ce dernier a tenue le 6 décembre 1956.

En ce qui concerne l’association éventuelle des territoires d’outre-mer au marché commun, le Comité des Chefs de délégation de la Conférence de Bruxelles vient d’instituer un groupe d’experts chargé de procéder à une étude préliminaire des questions que soulèverait cette association. Le rapport de ce groupe doit être remis cette semaine au Comité des Chefs de délégation, qui en saisira les Ministres des Affaires Étrangères. Il me paraît donc que les conversations entre fonctionnaires du Gouvernement britannique et des Gouvernement participant aux négociations de Bruxelles, que votre communication suggère, pourraient utilement intervenir lorsque les Chefs de délégation auront pu examiner ce rapport. Il me paraît certain que l’entrevue proposée pourra avoir lieu avant la mi-janvier.

En ce qui concerne les autres questions soulevées par votre communication, la réunion officieuse, qui a eu lieu le 7 décembre 1956 entre les Chefs de délégation et certains délégués du Groupe n. 17 de l’O.E.C.E., aura sans doute permis d’en clarifier certaines. D’autres questions ont déjà été discutées au sein du Groupe n. 17 de l’O.E.C.E., en particulier celle de l’agriculture. Le délégué italien à ce Groupe a exposé la position du Gouvernement italien à ce sujet; je pense qu’elle vous est désormais connue.

Gaetano Martino


1 Trasmesso da Carrobio di Carrobio, con il Telespr. 44/134/c., alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Lussemburgo e Parigi e per conoscenza ai Ministeri del Bilancio, Tesoro, Agricoltura e Foreste, Industria e Commercio e Commercio Estero, e alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Berna, Copenaghen, Karachi, New Delhi, Oslo, Ottawa, Pretoria, Vienna e Washington, alle Legazioni a Berlino, Canberra, Colombo, Lisbona e Wellington, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E. e presso la N.A.T.O., a Parigi, al Servizio Nazioni Unite, alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici e dell’Emigrazione. Con tale telespresso veniva comunicato che un messaggio di analogo tenore era stato inviato al Cancelliere dello Scacchiere dai Governi degli altri cinque paesi partecipanti alla Conferenza di Bruxelles.


2 Risponde al D. 235.

244

L’INCARICATO D’AFFARI A LUSSEMBURGO, BOLASCO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 358/11. Lussemburgo, 7 gennaio 1957, ore 9,58(perv. ore 10,30).

Oggetto: Riunione Capi Delegazioni.

Venerdì e sabato1 gruppo Capi delle Delegazioni Bruxelles ha trattato problemi seguenti:

1) approvato definitivamente capitolo fondo europeo formazione professionale e mobilità lavoratori, che rappresenta completo accoglimento nostre richieste;

2) approvato articoli riguardanti armonizzazione legislazioni ed eliminazione distorsioni concorrenza ed in particolare disposizione atta ad evitare conformemente richiesta categorie italiane interessate che da disparità regimi fiscali derivino situazioni concorrenziali sfavorevoli;

3) proseguito esame punti controversi circa ponderazione posti Consiglio di Amministrazione Fondo investimenti, anche in relazione rispettivi apporti capitali. Accordo non (dico non) raggiunto in seguito nostre riserve. Qualora da parte italiana si voglia ottenere parità con la Francia e Germania occorrerebbe che nostro apporto capitale fosse modificato sensibilmente;

4) proseguito esame problemi agricoltura sui quali non (dico non) è stato possibile raggiungere l’accordo per intransigenza francese, soprattutto su problema durata regime prezzi minimi. Esame riprenderà 17 corrente;

5) scambio di vedute su problema associazione territori oltremare ha permesso intravedere possibilità soluzioni che tengano conto interesse diversi paesi membri. Abbiamo insistito perché partecipazione finanziaria avvenga sotto forma prestito e messa allo studio con altre Delegazioni formula che dia maggior garanzia circa vantaggi che altri paesi dovrebbero ricevere da associazione. Delegazione francese non (dico non) sembrerebbe contraria prendere in considerazione tali nuove proposte. Discussione dovrebbe concludersi in riunione iniziatasi 17 corr.2;

6) dibattito problema organi istituzionali e bilancio Euratom. Circa bilancio è stato escluso che almeno nei primi anni possa procedersi prevalentemente3 diretto (tipo C.E.C.A.) su industria energetica. È stato proposto che contributo statale italiano per bilancio ricerche piazza investimenti sia minore che quello Francia e Germania, ma superiore Benelux. Ponderazione voti in materia decisione finanziaria seguirebbe stesso criterio, mentre per questione politica nostro voto equivarrebbe a quello dei due altri grandi paesi. Ho riservato posizione italiana. Francesi hanno dovuto mostrarsi meno intransigenti per impianto separazione isotopica, e sembrano disposti accettare che trattato indichi solo «favorevoli disposizioni» degli Stati membri alla costruzione tale impianto. Infine discussa proposta francese autorizzare adesione Israele a sindacato studio separazione isotopica. Si è riconosciuto, nonostante pressione francese, che questione presenta delicati aspetti politici e che dovrà venire esaminata dai Ministri Esteri;

7) Spaak ha confermato che si recherà a Londra lunedì 14 per scambio di vedute con i Ministri britannici4 sui problemi posti dal noto memorandum Macmillan5, ad esclusione peraltro problema T.O.M. circa il quale accordo fra di noi verrà ridiscusso solo dopo visita Londra.


1 Il 4 e 5 gennaio.


2 Vedi D. 260.


3 Sic. Si intenda: prelevamento.


4 Vedi D. 255.


5 Vedi D. 235.

245

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

L. riservata 0024. Parigi, 8 gennaio 1957.

Carissimo,

ti ringrazio molto per la lettera1 cui mi hai cortesemente informato sia della visita di Pineau, sia delle vostre decisioni concernenti l’Algeria. Mi immagino quante siano state le difficoltà per questa seconda cosa: come erano felici i tempi in cui non avevamo bisogno di prendere delle decisioni di questo genere!

Comunque, scherzi a parte, tengo a confermarti che la sensibilità francese per tutto quello che riguarda l’Algeria è sempre fortissima. Quale che fosse il nostro atteggiamento nella questione di Suez, non aveva importanza ai fini dei rapporti italo-francesi, perché c’era per lo meno un largo settore dell’opinione pubblica che era contrario. Ma per quello che riguarda l’Algeria le cose sono differenti. Il numero delle persone le quali ritengono che sia inevitabile, e magari anche politico, arrivare ad una soluzione liberale della questione algerina è grande e cresce. Ma anche i più progressisti se la prenderanno terribilmente a male con i paesi che voteranno contro la Francia all’O.N.U.

La soluzione dell’astensione è una soluzione che qui è ammessa. Come verrà presa, dipende anche molto da quello che scriverà il Rappresentante francese all’O.N.U. circa l’azione che noi avremmo potuto svolgere nelle coulisses per evitare un voto contrario alla Francia e per sostenere la tesi che si tratta di una questione interna francese.

Qui c’è un’indubbia evoluzione di fatto nella questione algerina. Un voto contrario delle Nazioni Unite non faciliterà certo questa evoluzione, che è, come tu comprendi facilmente, lenta e non facile; ma questa è una questione che è un po’ al di fuori delle nostre possibilità.

Invece il voto nostro – e il voto degli altri europei – può avere un’importanza molto forte sull’atteggiamento del Parlamento francese al dibattito per l’Euratom.

Il dibattito non sarà facile (a proposito, visto che tu sei sempre così cortese nell’informarmi, mi interesserebbe sapere che cosa ha detto al Ministro Maurice Faure): c’è naturalmente l’opposizione accanita dei comunisti e quella più subdola ma non meno pericolosa dei mendesisti. Ma soprattutto si sta preparando un’offensiva massiccia dei tre generali: De Gaulle, Weygand e Juin, offensiva che per il prestigio di cui godono qui le «stellette», non deve essere sottovalutata. Le chances di riuscita ci sono: a differenza della C.E.D., questa volta i tecnici (atomici) sono d’accordo e questo è importante. Più importante ancora è che il Governo questa volta è veramente deciso a manovrare e a lottare. Comunque la lotta sarà serrata e lo scarto di voti non enorme. Uno degli argomenti forti in favore dell’Euratom in particolare e dell’Europa in generale, è la questione della solidarietà europea in Africa: ve l’ho segnalato non molto tempo addietro2. Un voto o un atteggiamento non favorevole da parte dei compagni di Europa nella questione algerina sarebbe un argomento molto efficace in mano agli avversari dell’Europa e potrebbe fare pencolare la bilancia in favore degli oppositori.

Questo tengo in ogni modo a che voi lo sappiate.

Mi domando anzi fino a qual punto sarebbe bene noi lo facessimo rilevare in tempo sia ai nostri colleghi europei sia anche agli americani. Come ti ripeto non è soltanto il voto (astensione) che conta, quanto tutta l’azione di coulisses che può essere svolta3.

Credimi, molto cordialmente

Tuo

P. Quaroni


1 Non rinvenuta.


2 Con il telespresso urgente 059 del 31 dicembre 1956, Quaroni aveva riassunto le comunicazioni fatte alla radio sul bilancio della politica estera per il 1956 da Pineau, il quale aveva dichiarato in merito all’unificazione europea: «i gravi avvenimenti degli ultimi mesi hanno rafforzato convincimento Governo francese che, per fronteggiare eventuali nuove minacce in Africa, Medio Oriente ed Europa Orientale e per rispondere ad esigenze economiche dell’ora, è necessario realizzare unificazione europea. “Forse si tratta per Francia di una questione di vita o di morte; comunque è una questione di indipendenza nazionale”. Se paesi Europa Occidentale non uniscono loro sforzi saranno prima o poi assorbiti da uno dei due blocchi che mirano a dividersi il mondo senza peraltro garantire la pace. Pineau ha concluso che Francia continuerà nel 1957 politica di “presenza internazionale” che ha condotto quest’anno.» Vedi anche D. 236.


3 Per la risposta vedi D. 248.

246

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALLE AMBASCIATE A WASHINGTON, BRUXELLES, BONN, PARIGI, L’AJA E LUSSEMBURGO

T. riservato 347/c.-348/c. Roma, 9 gennaio 1957, ore 19.

Per Washington: Suo telegramma n.161.

Questa Ambasciata U.S.A. ci ha consegnato il 7 sera copia Memorandum che Incaricato Affari rimetterà oggi al Presidente del Consiglio2. In tale Memorandum Governo Stati Uniti richiamando suo costante atteggiamento inteso non interferire menomamente negoziati Mercato Comune ed Euratom, per i quali viene confermato vivo favorevole interessamento, ribadisce suoi timori che conclusione in attuale momento accordi bilaterali cooperazione atomica paesi Euratom possono creare difficoltà a conclusione Trattato. Documento prosegue citando richieste stipulazione accordi bilaterali avanzate da Italia e Germania, laddove Francia avrebbe ritirato sua analoga richiesta appunto per non intralciare Euratom (risulta invece a questo Ministero che Governo francese ha receduto primitiva richiesta per motivi prestigio e politica interna particolarmente per non soggiacere minuziosi controlli statunitensi). Governo Stati Uniti non è in grado assumere responsabilità decidere circa possibili effetti negativi accordi bilaterali su Euratom e prega Presidente Consiglio esaminare opportunità consultazioni con altri cinque paesi Euratom prima di continuare trattative. Presidente Consiglio, pur esprimendo Incaricato Affari sorpresa Governo italiano per contenuto Memorandum, lo assicurerà circa consultazione con altri cinque paesi Euratom. V.E. potrà esprimersi analogamente con Dipartimento Stato.

Per tutti eccetto Washington: Trascrivesi testo telegramma odierno diretto Ambasciatore Washington: (riprodurre telegramma diretto Washington).

Per tutti: Passo analogo a quello fatto a Roma è stato compiuto da Ambasciata U.S.A. Bonn mentre Governo Parigi è stato informato da stessi americani.

Ambasciata Bruxelles vorrà pregare On. Benvenuti compiere opportuni ulteriori passi presso altri cinque Capi Delegazione, sotto forma di comunicazione verbale intesa a provocare – senza esplicitamente richiederle – eventuali prese di posizione, riferendo d’urgenza3. Altre Ambasciate e particolarmente Bonn e Parigi sono pregate segnalare urgenza quanto potrà risultare circa pensiero rispettivi Governi4. Ambasciate predette vorranno comunque tenere presente confermare rispettivi Governi che resta fermo intendimento Governo italiano procedere firma accordo bilaterale in periodo intercorrente tra firma Trattato Euratom e sua ratifica; e che d’altra parte accordi bilaterali per reattori potenza hanno soltanto scopo, come quelli già conclusi tra altri paesi Euratom e U.S.A., colmare grave deficienza fonti energia e non già ostacolare felice conclusione Trattato Euratom, al quale Governo italiano è sommamente interessato.

Telegrafato Washington, Bruxelles, Bonn, Parigi, Aja, Lussemburgo.


1 Con T. segreto 440/16 dell’8 gennaio, l’Ambasciatore Brosio, informato del passo svolto dall’Incaricato d’Affari statunitense a Roma, chiedeva, per norma di linguaggio, informazioni sul tenore della risposta del Governo italiano.


2 Vedi D. 247.


3 Per il seguito vedi D. 254.


4 Con T. segreto 785/9 dell’11 gennaio Grazzi rispose che il Ministero degli Esteri tedesco condivideva le argomentazioni del Governo italiano. Da parte sua, il 14 gennaio, Quaroni riferì la disponibilità del Presidente Mollet a far esaminare la questione con disposizioni più favorevoli all’Italia (T. segreto 950/22) e, in pari data, presentò una nota sulla questione al Quai d’Orsay (D. 253).

247

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI,ALL’AMBASCIATA A WASHINGTON

T. riservato 389/14. Roma, 10 gennaio 1957, ore 16,55.

Presidente Consiglio ha ricevuto ieri Incaricato Affari U.S.A. al quale ha fatto presenti considerazioni già preannunciate a V.E., assicurando d’altra parte che Governo italiano, il quale sempre ha proceduto in materia in piena collaborazione con altri partners Conferenza Bruxelles, provvedeva ora compiere consultazione cui opportunità è stata manifestata da Governo U.S.A. in noto Memorandum1.

Corso stesso colloquio, che è stato improntato cordialità, Presidente Consiglio ha approfittato per illustrare a Jernegan particolari caratteristiche nostro programma nucleare indicando che non ci era possibile contentarci di quantitativo simbolico uranio arricchito e precisando che quantitativo duemila chili è da considerare indispensabile per assicurare realizzazione minima nostro programma.

Jernegan, il quale ha dimostrato interesse, si è riservato riferire codesto Governo.


1 Vedi D. 246.

248

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. riservata 49 segr. pol. Roma, 10 gennaio 1957.

Carissimo,

grazie per la tua n. 0024 dell’8 gennaio1.

Qualche parola circa la visita, in certo modo inattesa, di Maurice Faure al nostro Ministro.

La conversazione ha avuto per argomento quasi completamente i Trattati sul Mercato Comune e per l’Euratom, questioni molto care al cuore del Segretario di Stato francese.

Egli, nel confermare come il Governo di Parigi farà di tutto per ottenere sollecitamente la ratifica parlamentare dei due Trattati, ha voluto ricordare come esistano attualmente ancora importanti resistenze tedesche e olandesi, (e di ciò abbiamo del resto dirette notizie), dovute soprattutto alla famosa questione dei territori d’oltremare, dato che Bonn e L’Aja temono di dover assumere impegni che, in definitiva, andrebbero a vantaggio di terre francesi senza ottenere alcuna effettiva contropartita. Per placare le nostre perplessità e apprensioni in merito, il Signor Faure ha dichiarato apertamente come in Francia ci si rende conto della situazione speciale italiana, costituita dalla esistenza, nel territorio nazionale, di zone destinate ad assorbire fondi importanti per la loro messa in valore. Per tali motivi difficilmente il Governo italiano potrebbe impegnare altri mezzi per lo sviluppo dei territori d’oltremare.

Faure ha insistito perché non si perda altro tempo, ma ha aggiunto che non è del tutto da escludere un breve rinvio dell’incontro dei sei Ministri degli Esteri, fino ad oggi previsto per il 27 corrente a Bruxelles2.

Nel corso della conversazione stessa si è fatto anche qualche accenno all’Algeria, dato che il nostro Ministro era rimasto piuttosto sorpreso dal tono estremamente drastico usato nelle sue dichiarazioni dal Ministro Pineau, al momento della sua partenza da Parigi per New York.

Da parte francese è stato precisato che la Francia, allorché si decise ad accettare l’inclusione dell’argomento «Algeria» nell’ordine del giorno delle Nazioni Unite, non intese con questo ammettere a priori una discussione di fondo, ma desiderava invece – come desidera tuttora – battere una strada diretta ad ottenere una dichiarazione di «incompetenza» da parte dell’Organizzazione di New York. L’atteggiamento del Signor Pineau quindi non doveva essere considerato quale contradittorio.

Sempre in tema di Algeria, debbo aggiungere, per tua conoscenza che una argomentazione francese che appare aver colpito favorevolmente alcuni nostri uomini politici è quella che, comunque, occorrerà evitare una vera e propria tragedia in terra algerina. Un annuncio, infatti, di un ritiro francese da quella zona comporterebbe un sanguinoso e tremendo attacco alle posizioni del milione e mezzo di francesi colà residenti, i quali evidentemente resisterebbero e si difenderebbero con la creazione di una vera e propria guerra civile che potrebbe avere gravi conseguenze per tutta la pace nel Mediterraneo.

Ieri l’On. Piccioni, accompagnato da Cavalletti, è ripartito per New York e certamente colà la nostra Delegazione potrà prendere utili contatti con quella francese.

Credimi sempre

Magistrati


1 Vedi D. 245.


2 Vedi D. 271.

249

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI,ALLE AMBASCIATE A BRUXELLES E PARIGI

T. riservato 413. Roma, 21 gennaio 1957, ore 17,15.

Per Parigi: Questa Ambasciata Olanda ha intrattenuto questo Ministero circa preoccupazioni che, in relazione imminente dibattito Camera francese su Mercato Comune e Euratom, si nutrono all’Aja, per sfavorevoli ripercussioni che potrebbero aversi sul piano parlamentare anche negli altri paesi per eventuali limitazioni che potrebbero venire a vincolare Governo francese nel corso discussioni finali Bruxelles.

Pregasi V.E. volere, mettendosi eventualmente in contatto con codesto Ambasciatore Paesi Bassi per aver più ampie notizie circa suo passo, attirare nei modi che riterrà più opportuni attenzione Quai d’Orsay su delicata situazione che verrebbe a crearsi qualora azione Governo francese in discussioni finali Bruxelles fosse vincolata a seguito risultati dibattito1.

Per Bruxelles: Per Delegazione Conferenza Intergovernativa. Trascrivesi per opportuna informazione seguente telegramma diretto oggi ad Ambasciatore Parigi:

(riprodurre telegramma diretto Parigi).


1 Con T. 951/21 del 14 gennaio Quaroni riferì sull’esecuzione delle istruzioni, illustrando i risultati dei contatti presi con l’Ambasciata dei Paesi Bassi ed esprimendo i propri dubbi in merito all’opportunità di appoggiare il passo olandese al Quai d’Orsay.

250

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI

Appunto riservato1. Roma, [ante 11 gennaio 1957].

U.E.O.

L’Ambasciata a Londra ha fatto sapere che sarebbe intenzione del Governo inglese convocare una riunione del Consiglio dei Ministri entro il mese di febbraio2. Se ne potrebbe chiedere conferma al Ministro Lloyd e al tempo stesso illustrargli il nostro qui unito progetto3 per rendere più frequente la consultazione politica in seno all’U.E.O. stabilendo quattro riunioni annuali del Consiglio dei Ministri, una per trimestre, in coincidenza con la rotazione della Presidenza.

Per quanto riguarda la seconda proposta italiana, e cioè quella relativa all’Assemblea eletta a suffragio diretto, la questione deve essere discussa fra i Rappresentanti Permanenti a Londra in base alle osservazioni che perverranno dai vari Governi.

Per quanto riguarda infine la proposta francese avanzata nell’ultima riunione U.E.O.4 – ove gli inglesi ne dovessero parlare – andrebbe tenuto presente quanto segue: Pineau ha suggerito di utilizzare l’U.E.O. come quadro di un’associazione più stretta del Regno Unito all’opera intrapresa dall’Europa a sei in ciò che concerne particolarmente il Mercato Comune e l’Euratom.

Ora, pur ritenendo che tale suggerimento meriti ogni attenzione, in quanto dettato dal desiderio di promuovere una partecipazione sempre più effettiva e concreta della Gran Bretagna al processo di integrazione europea, non si può tuttavia non esprimere talune perplessità. Appare infatti opportuno rilevare anzitutto che l’U.E.O. è già, su di un piano generale, una sede di possibile discussione di problemi comuni (e quindi anche di quelli attualmente dibattuti a Bruxelles) nonché di collaborazione reciproca dei paesi partecipanti: la misura di tale discussione e dei suoi utili risultati trova limiti soltanto nella volontà dei partecipanti stessi a farvi ricorso e nel desiderio effettivo di pervenire a concreti risultati.

L’utilizzazione, peraltro, della sede U.E.O. per la specifica discussione con l’Inghilterra (e con essa sola, ovviamente) delle forme associative in corso di elaborazione a Bruxelles fra i sei paesi C.E.C.A., porterebbe al risultato di escludere automaticamente da tale colloquio gli altri paesi facenti parte dell’O.E.C.E. e che siano eventualmente interessati a partecipare in qualche modo a tali forme associative.

Non sembra che questa limitazione rientri nell’interesse e nei desideri dei Sei di Bruxelles e neanche della stessa Inghilterra, la quale ha scelto appunto la sede O.E.C.E. per proporre la creazione di una «zona di libero scambio» tra i Sei ed altri paesi, che è attualmente in discussione da parte degli esperti dei quindici paesi e che verrà dibattuta dal Consiglio dei Ministri dell’O.E.C.E. nel prossimo febbraio5. Altrettanto dicasi per la cooperazione atomica europea, la quale forma oggetto di esame comune in sede O.E.C.E.

Allegato

PROGETTO DI S.E. IL MINISTRO MARTINO PER PIÙ FREQUENTI CONSULTAZIONI POLITICHE IN SENO ALL’U.E.O.

Il Governo italiano ritiene che la consultazione politica in seno all’U.E.O. debba avvenire con maggiore regolarità e frequenza e cioè che vada stabilito un certo numero di riunioni obbligatorie a prescindere da quelle che possono essere convocate in base all’art. 8, punto 3 del Trattato di Bruxelles modificato o comunque per trattare una specifica questione.

Si rileva che l’anno scorso hanno avuto luogo soltanto tre riunioni del Consiglio dei Ministri dell’U.E.O.: quelle di maggio e di dicembre prima della riunione atlantica e quella di settembre ad iniziativa tedesca, per trattare la questione delle incidenze politiche dei piani strategici per la difesa occidentale. In altri termini, se non fosse sorto uno specifico problema, si sarebbero avute due sole riunioni, ciò che sembra essere decisamente poco.

L’obbligatorietà e la periodicità della riunione e cioè il fatto che essa debba essere tenuta, anche indipendentemente da quella atlantica ed anche se non vi sia uno specifico problema da trattare, favoriscono la formazione della consuetudine di procedere, tra europei, a scambi di idee su qualsiasi problema internazionale.

D’altra parte, il Governo italiano si rende perfettamente conto di quanto riesca più semplice e pratico convocare una sessione ministeriale del Consiglio U.E.O. quando i 7 Ministri degli Affari Esteri si trovano già riuniti in una città per partecipare alla riunione di un’altra più vasta Organizzazione internazionale.

Allo scopo quindi di contemperare le su esposte esigenze e tenendo presente che il turno di presidenza dell’U.E.O. dura tre mesi e che l’Unione è stata creata da una parte per rafforzare la sicurezza e dall’altra per promuovere l’unità ed incoraggiare l’integrazione progressiva dell’Europa, si propone di tenere annualmente quattro riunioni obbligatorie così distribuite:

- durante il 1° trimestre: una riunione verso febbraio;

- durante il 2° trimestre: una riunione verso aprile o maggio accanto al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa;

- durante il 3° trimestre: una riunione, a seconda di come sembri più opportuno, a luglio o a settembre;

- durante il 4° trimestre: una riunione a dicembre accanto al Consiglio Atlantico.

La riunione tenuta nel corso del 2° trimestre si svolgerebbe quindi a Strasburgo ciò che sembra perfettamente logico giacché in quell’epoca non solo vi hanno luogo la sessione primaverile del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, ma vi si tengono anche le sessioni delle Assemblee tanto del Consiglio d’Europa quanto dell’ U.E.O. Ciò faciliterebbe gli auspicabili maggiori contatti tra il Consiglio e l’Assemblea U.E.O., permettendo a qualche Ministro degli Esteri (oltre quello che è tenuto a presentare il rapporto del Consiglio nella veste di Presidente in esercizio) di presenziare ai dibattiti dell’Assemblea U.E.O.

La riunione tenuta nel 4° trimestre si svolgerebbe, invece, a Parigi, in occasione della sessione atlantica per la cosiddetta revisione annuale.

Le riunioni, infine, del 1° e del 3° trimestre dovrebbero essere tenute a turno nella capitale del paese U.E.O. che esercita la presidenza, esclusa Parigi dove essa vi ha luogo in tutti i mesi di dicembre. Tale proposta viene avanzata allo scopo di rendere possibilmente più popolari le attività svolte dall’U.E.O.


1 Il documento è privo di data. Presumibilmente è da ricondurre alla riunione ministeriale dell’11 gennaio (D. 251), convocata in vista dei colloqui Martino-Selwyn Lloyd che si sarebbero tenuti il 17 gennaio (D. 256).


2 La riunione si tenne il 26 febbraio: vedi D. 299.


3 Vedi Allegato.


4 Vedi 239.


5 Il 12 ed il 13: vedi D. 287.

251

[LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI]

Verbale riservato. Roma, 11 gennaio 1957, ore 17.

RIUNIONE PER LA VISITA DEL MINISTRO BRITANNICO SELWYN LLOYDPRESIEDUTA DA MARTINO1

Il Ministro Martino dà inizio alla riunione pregando l’Ambasciatore Cattani di illustrare il primo punto dell’agenda.

I. Mercato Comune. Area di libero scambio.

L’AMBASCIATORE CATTANI mette in rilievo come da parte del Governo britannico si abbia seriamente l’intenzione di prospettare questo problema alle istanze politiche del paese. Si è proceduto con decisione e in profondità per vincere le notevoli difficoltà esistenti.

Non c’è dubbio che in sede di applicazione potranno sorgere difficoltà circa la possibilità di fare coincidere il Mercato Comune con l’Area di libero scambio. Essendo ormai troppo tardi per riprendere la cosa all’origine, verrà tenuto conto di tale convenienza nell’apposito Gruppo di lavoro in sede O.E.C.E.

Di fronte agli interlocutori inglesi, si potrà quindi mostrare da parte nostra soddisfazione nel vedere l’interesse con cui il Governo britannico si è avviato su questa strada, e dichiararci sicuri che tale intendimento non potrà essere ostacolato seriamente da difficoltà di carattere tecnico. Si potrebbe anche auspicare che queste difficoltà vengano risolte nella prossima riunione dei Ministri dell’ O.E.C.E che avrà luogo a Parigi nel mese di febbraio2.

Non dimentichiamo che gli inglesi sostengono che la messa in azione del meccanismo di formazione del Mercato Comune e la creazione dell’Area del libero scambio debbono essere concomitanti. Ciò è possibile.

Infatti se la firma dei Trattati del Mercato Comune avviene nelle prossime settimane, la ratifica dei paesi firmatari potrà aver luogo entro la prima metà del 1957 e l’entrata in vigore il 1 gennaio 1958. Il problema dell’Area di libero scambio d’altra parte verrà affrontato il 12 febbraio in sede O.E.C.E. e, ove si decida per il sì, si disporrà di tutto il resto dell’anno per redigere il Trattato e metterlo in esecuzione.

È interessante sapere quali sono i paesi che intendono partecipare all’Area di libero scambio. Su questo punto gli inglesi potranno essere più precisi di noi e potranno dirci a che punto sono Austria, Svizzera e Paesi scandinavi. Ove soltanto la Gran Bretagna aderisse all’Area di libero scambio, rimanendo l’O.E.C.E. tale e quale è ora, sarà necessario escogitare un collegamento tra Mercato Comune, O.E.C.E. e Area di libero scambio.

Su richiesta del Ministro Martino l’Ambasciatore Cattani illustra le differenze che esistono tra Mercato Comune e Area di libero scambio. Si tratta essenzialmente di differenze formali, che piacciono agli anglo-sassoni.

1) Il Mercato Comune è totale, laddove l’Area di libero scambio è parziale.

2) Nel Mercato Comune si forma un’unica barriera doganale verso l’esterno, mentre nell’Area di Libero scambio ciascuno dei paesi mantiene le proprie organizzazioni doganali nei confronti del mondo esterno, libero di negoziare con esso i dazi.

3) Nel Mercato Comune sono previste istituzioni più complesse che non nell’Area di libero scambio.

A tale proposito, rispondendo alla domanda del Ministro Martino relativa all’Assemblea del Mercato Comune, l’Ambasciatore Cattani osserva che difficilmente, ove non vi sia coincidenza tra i Membri dell’Assemblea di Strasburgo e quella del Mercato Comune, potrà esservi identità di Assemblee. A Strasburgo è stato constatato che le Assemblee europee si sono moltiplicate, il che ha provocato una certa opposizione nei confronti di nuovi simili organi, ma è evidente che se i Membri dei vari organismi variano, necessariamente variano le Assemblee.

Da ultimo l’Ambasciatore Cattani fa un breve richiamo al settore agricolo. Gli inglesi non intendono inserire l’agricoltura nell’Area di libero scambio. Come è noto, l’agricoltura ha sue particolari esigenze e gli inglesi, volendo applicare rigidamente il sistema di libero scambio, ritengono che l’inclusione dell’agricoltura darebbe luogo a squilibri notevoli. Da parte nostra invece si sarebbe inclini ad estendere il Mercato Comune anche al settore agricolo.

Dopo una breve discussione il Ministro Martino conclude affermando che nel caso in cui l’Assemblea di Strasburgo voglia divenire anche Assemblea del Mercato Comune, i paesi che vi partecipano dovranno divenire Membri del Mercato Comune. In tal senso Bombassei potrà esprimersi in quella sede.

Altrimenti sarà più facile per noi cercare di far coincidere l’Assemblea del Mercato Comune con quella dell’U.E.O.

Circa l’Euratom, su richiesta del Ministro Martino, l’Ambasciatore Cattani illustra brevemente l’orientamento britannico. Gli inglesi non hanno accettato né probabilmente accetteranno di far parte dell’Euratom: essi hanno un loro programma che intendono perseguire e vogliono soltanto stabilire un collegamento con l’Euratom.

II. U.E.O.

Sul secondo punto dell’agenda il Ministro Martino dà la parola all’Ambasciatore Magistrati. L’AMBASCIATORE MAGISTRATI riassume brevemente gli ultimi avvenimenti. Gli inglesi nel corso dell’ultima riunione di Parigi3 hanno mostrato il loro crescente interesse per l’U.E.O. e la loro intenzione di renderla più vitale e più completa. Dalla stessa riunione sono emerse due nuove idee e cioè la nostra, relativa alla costituzione di un’Assemblea da eleggersi con voto diretto e segreto, e quella francese volta a trasformare la tavola U.E.O. in collegamento permanente tra Inghilterra e i sei paesi del Mercato Comune.

Poiché il Ministro Selwyn Lloyd fu presente e partecipò attivamente a quella riunione, sarebbe interessante conoscere oggi il suo pensiero, specie per quello che concerne l’Assemblea U.E.O.

Ricorda ancora che a Parigi il Ministro Selwyn Lloyd disse che sarebbe stato lieto di ospitare a Londra la riunione dell’U.E.O. nel prossimo febbraio ed il suo invito fu accettato in linea di massima4.

Inoltre si potrebbero avanzare delle idee di carattere procedurale circa le riunioni successive che potrebbero aver luogo a Parigi, in concomitanza con la riunione primaverile ed autunnale del Consiglio Atlantico ed a Strasburgo.

III. Medio Oriente. Progetto Eisenhower. Questione del Canale. Conflitto arabo-israeliano. Patto di Bagdad.

Sul punto tre il Ministro Martino chiede all’Ambasciatore Magistrati di fare il punto della situazione in Medio Oriente.

L’AMBASCIATORE MAGISTRATI espone succintamente lo svolgimento degli ultimi eventi in quel settore e si richiama al progetto Eisenhower sul quale il Ministro si è già espresso (a tale proposito il Ministro comunica di aver ricevuto un messaggio di apprezzamento da parte del Segretario di Stato Dulles).

Con gli interlocutori inglesi dovremo naturalmente ripetere il nostro apprezzamento per la mossa americana ma naturalmente con qualche sfumatura diversa, sopratutto per quel che riguarda la maniera del nostro apprezzamento.

Forse sarà anche il caso di rispolverare la S.C.U.A5 e di parlarne agli inglesi: se non altro è importante sapere che cosa loro ne pensino.

IV. Situazione nell’U.R.S.S. e nei satelliti con particolare riguardo all’Ungheria. Cina. Atteggiamento degli Stati occidentali verso questi paesi.

Sul punto quarto dell’agenda l’AMBASCIATORE MAGISTRATI illustra le idee che, ove richiesti, potremmo esporre agli inglesi:

1) verso l’U.R.S.S. intendiamo mantenere una linea politica di interruzione pratica in materia di rapporti culturali e sportivi, e continuare ad esprimere la nostra condanna.

2) Nei confronti dell’Ungheria intendiamo mantenere il nostro atteggiamento di condanna tramite le Nazioni Unite.

3) Nei confronti della Polonia potremo mostrare un atteggiamento più comprensivo, che potrebbe portare forse a sviluppare qualche maggiore contatto specialmente di natura economica e culturale.

4) Nei confronti degli altri satelliti intendiamo mantenere un atteggiamento elastico prendendo in esame caso per caso.

Il Ministro Martino si chiede se non sia auspicabile da parte dei paesi occidentali fornire un aiuto alla Polonia, senza dare troppo all’occhio: con ciò si otterrebbe il risultato di far sì che i polacchi stiano meglio degli altri satelliti e questo avrebbe un’importante ripercussione psicologica oltre che materiale.

Si dichiara contrario invece a fornire aiuti materiali all’Ungheria anche se ciò è contrario al nostro spirito umanitario poiché in tal modo si verrebbe a rinforzare l’attuale Governo ungherese.

IL SEGRETARIO GENERALE osserva che non gli è chiaro quale sia il reale atteggiamento del popolo polacco nei confronti del Governo: infatti si è constatato più di una volta uno stato di insoddisfazione generale e non è da escludere che in un futuro non lontano si possano anche produrre delle reazioni a carattere popolare. Legge, a questo proposito, l’ultimo telegramma da Varsavia.

L’AMBASCIATORE CATTANI illustra l’evoluzione dei rapporti Est-Ovest sotto il profilo economico, e mette il Ministro al corrente dell’ultimo atteggiamento americano.

Conclude con l’esprimere l’avviso che non bisognerebbe mettere tutti i paesi orientali sulla stessa linea. Suggerisce che questo concetto venga tenuto presente nei colloqui con gli inglesi tanto più che proprio essi hanno messo in pratica un simile principio, come stanno a mostrare i loro rapporti con la Cina6.

L’AMBASCIATORE MAGISTRATI ricorda come recentemente il Ministero degli Affari Esteri della Cina nazionalista abbia fatto conoscere che nel suo viaggio verso New York, gradirebbe fermarsi qualche giorno a Roma.

V. Jugoslavia. Albania.

Circa il punto V l’AMBASCIATORE MAGISTRATI, su invito del Ministro, ricorda l’ultimo rilevante episodio. Il Maresciallo Montgomery, nel corso di una sua conversazione col Maresciallo Tito fece cenno all’utilità di un’occupazione jugoslava dell’Albania in caso di crisi bellica. Tale conversazione venne poi riferita anche a noi. Alle nostre rimostranze, piuttosto vive, da parte inglese si cercò di minimizzare le cose.

Il problema ora è quello di vedere se siamo tuttora convinti che l’attuale situazione albanese debba essere una costante della nostra politica, costante alla quale, come è noto, gli ambienti militari italiani tengono particolarmente. Fa presente, per fornire ogni possibile elemento di giudizio, che nella sua recente visita a Roma l’Ambasciatore Pietromarchi ha accennato ad una possibile ripresa del Patto Balcanico: se ciò fosse esatto non sarebbe da escludere che si intendesse compensare la Grecia per qualche sacrificio su Cipro, con la spartizione dell’Albania, tanto più che il Governo albanese si è di recente mostrato l’elemento di punta dello stuolo dei satelliti.

Comunque ritiene che la nostra posizione debba rimanere quella di tener staccata, a qualsiasi costo, lʼAlbania, anche se comunista, dall’ambito balcanico. Suggerisce che, in occasione dei prossimi colloqui con gli inglesi, venga ad essi data la netta sensazione che da parte nostra non si intende demordere da una simile posizione. Cita da ultimo la questione dell’accordo italo-albanese e la lettera del Senatore Reale al Ministro d’Albania.

IL MINISTRO MARTINO ritiene che non si possa affrontare il problema del nostro interesse alla indipendenza albanese con una formula unica e perenne. Abbiamo senza dubbio interesse a mantenere la situazione nello stato attuale in quel settore del Mediterraneo. Ma se è vero quanto si dice circa il potenziamento delle basi sovietiche in Albania ed il concentramento di mezzi e di uomini, potrà nascere per noi il problema se sia preferibile avere un’Albania jugoslava e greca, piuttosto che un’Albania sovietica.

IL SEGRETARIO GENERALE osserva che nel permanere della situazione attuale, con la Jugoslavia terzaforzista e la Grecia nel N.A.T.O., non vi è dubbio che l’indipendenza dell’Albania costituisca un nostro interesse. Se le cose dovessero cambiare, potremmo sempre riesaminare il problema alla luce di diversi elementi. Comunque, per l’isolamento in cui l’Albania oggi si trova, la sua posizione militare non ci può disturbare molto. Ma se dovesse per caso avvenire che la Jugoslavia o la Grecia divenissero satelliti, la contiguità territoriale che si verrebbe a stabilire, potrebbe essere pericolosa.

IL MINISTRO MARTINO fa presente la necessità che qualsiasi cosa avvenga, qualsiasi decisione venga presa, ciò non possa avvenire senza la nostra partecipazione. Su questo concetto siamo ben determinati ed è opportuno che lo si sappia.

VI. Disarmo. Riunificazione tedesca. Progetti di zone neutralizzate.

Sul punto VI il MINISTRO MARTINO osserva che sganciare completamente il disarmo dalle questioni di carattere politico, come sembrano voler fare oggi gli americani, è preoccupante. Si chiede come si possa mai far fede ai sovietici, specie dopo quello che è avvenuto nelle ultime settimane in Ungheria. La sola cosa che potrebbe restaurare la fiducia dell’Occidente nei confronti dei sovietici, sarebbero concreti passi sulla via della soluzione dei maggiori problemi politici che dividono l’Occidente dall’Oriente. Prima di quel momento ritiene inutile far nulla nei confronti del disarmo.

IL SEGRETARIO GENERALE a conferma della politica pendolare americana legge l’ultimo telegramma da Washington.

VII. Altre questioni attualmente all’esame dell’O.N.U.

Circa l’ultimo punto dell’agenda «varie», il MINISTRO MARTINO espone alcune idee sul problema dell’Algeria.

Premesso che è nostra ferma intenzione di far sì che la discussione all’O.N.U. si risolva in vantaggio della Francia, ritiene che non sarebbe nell’interesse francese giungere ad una votazione sulla sostanza. Anche se noi in tal caso votassimo a favore della Francia ciò non porterebbe a nulla, in quanto tale voto ci troverebbe dalla stessa parte dei francesi e di pochi occidentali, contro moltissimi altri.

Bisogna quindi trovare un compromesso, come sembra gli Stati Uniti stiano cercando di fare e giungere possibilmente a votare sulla competenza dell’O.N.U., come sembra da ultimo sia disposto a fare Pineau. Anche gli Stati Uniti sono pronti a votare contro, in tale caso.

A proposito dei prossimi colloqui con gli inglesi, sarebbe opportuno che ci adoperassimo per concordare con essi di giungere a questa soluzione.

Fa notare quindi la differenza che potrà esserci tra il votare per la competenza ed il votare sulla incompetenza, e richiama alcune norme procedurali dell’Assemblea delle Nazioni Unite.

Circa la nuova offensiva afro-asiatica per una mozione di condanna sul ritardo nel ritiro delle truppe israeliane dal Sinai, il Ministro Martino fa il punto del nostro atteggiamento. Ci siamo già astenuti su una risoluzione che sollecitava gli anglo-francesi, ma qui la situazione è un po’ diversa. Riprendendo un’idea prospettata dal Segretario Generale, invita gli Uffici a studiare la possibilità di presentare noi una risoluzione che auspichi il prossimo ritiro delle truppe israeliane, ma al tempo stesso ribadisca che questo ritiro deve essere inquadrato nella soluzione generale che può trovarsi solo se si rimuovono le cause.

Su Cipro il Ministro Martino comunica di essere stato informato dal Presidente del Consiglio che l’Ambasciatore di Grecia si è recato in visita presso di lui e gli ha chiesto che, in occasione della prossima visita del Ministro degli Esteri inglese, il Governo italiano faccia opera conciliativa7.

L’AMBASCIATORE MAGISTRATI legge il progetto di risoluzione su Cipro che potrebbe eventualmente essere presentato alle Nazioni Unite. Cita da ultimo l’idea di Brosio di fare di Cipro l’Islanda del Mediterraneo e l’altra idea di attribuirne la sovranità al N.A.T.O.

Comunque l’inclinazione generale sembra oggi avviarsi verso la spartizione.


1 In un foglio a parte si conserva l’elenco dei partecipanti: «S.E. Martino, Ministro degli Affari Esteri, S.E. Rossi Longhi, Segretario Generale, il Ministro Migone, Capo di Gabinetto, l’Ambasciatore Magistrati, Direttore Generale degli Affari Politici, l’Ambasciatore Cattani, Direttore Generale degli Affari Economici, il Ministro Giustiniani, Capo del Servizio Stampa, il Ministro di Carrobio, Direttore Generale Aggiunto degli Affari Economici, il Ministro Straneo, Direttore Generale aggiunto degli Affari Politici, il Ministro Theodoli, Vicedirettore Generale degli Affari Politici, il Ministro Belcredi, Capo del Servizio Coordinamento, il Primo Segretario Carrara, Segreteria Generale». Sulle conversazioni Martino-Selwyn Lloyd vedi D. 256.


2 Vedi D. 287.


3 Vedi D. 239.


4 Vedi D. 299.


5 Si tratta del progetto lanciato dal Segretario di Stato americano nel settembre 1956 di «Suez Canal Users Association» progetto rapidamente accantonato.


6 A differenza degli Stati Uniti e della maggior parte dei paesi occidentali, nel gennaio del 1950 la Gran Bretagna aveva riconosciuto la Repubblica Popolare Cinese.


7 Da alcuni anni era in corso a Cipro una guerriglia nazionalista contro la presenza coloniale britannica.

252

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL PRESIDENTE DELLA FIAT, VALLETTA

L. riservata 0048. Parigi, 11 gennaio 1957.

Caro Valletta,

la ringrazio del favorevole parere da lei espressomi circa il suo intervento all’incontro da me proposto con le massime personalità che qui trattano i problemi dell’energia atomica e quelli dell’Eurafrica. Mi riservo pertanto d’informarla tempestivamente circa la data dell’incontro stesso.

È mio parere che un suo contatto diretto con dette personalità presenti notevole interesse, sia ai fini dell’esame di una più estesa e fattiva partecipazione alle iniziative euro-africane, sia per una eventuale collaborazione nel campo atomico.

Ho pregato il Col. Onofri di riferirle, a titolo personale, alcune considerazioni al riguardo, e ritengo ancora di sottolineare la mia impressione che non si debba trascurare, collateralmente alle nostre iniziative verso gli U.S.A., una contemporanea azione con la Francia e con altri paesi dell’Europa Occidentale, che più si avvicinano all’economia ed agli orientamenti italiani, a parte ogni riflessione sulla necessità della collaborazione europea.

Anche per quanto ha riguardo alla impostazione di un programma nazionale di produzione di missili, apparirebbe abbastanza logico, per analoghe numerose ragioni di indole politica, economica e militare, la effettuazione di una doppia azione: una prima, intesa ad ottenere, sempre che possibile (ed io mi permetto esprimere la mia riserva), la licenza di riproduzione di un congegno di fabbricazione americana; una seconda, rivolta ad attuare, al contempo, una unione attiva, sotto forma di partecipazione alle realizzazioni francesi od inglesi, che – se pur sicuramente meno avanzate – hanno probabilmente il vantaggio di essere più economiche, meno vincolate al «veto» del segreto militare (e quindi più facilmente accessibili) ed inoltre maggiormente rispondenti ai requisiti necessari ai problemi ed al quadro della difesa europea. La mia preoccupazione è che un giorno noi possiamo trovarci nella impossibilità tecnica di riprodurre e magari di adoperare delle armi nuove che gli americani fossero disposti a darci. Alla peggio la collaborazione con i francesi ci darebbe il mezzo di comunque mantenerci in esercizio e diminuire le distanze tecniche. Va infine aggiunto che l’attuazione di un tale programma comune potrebbe anche più favorevolmente orientare gli U.S.A. a concedere, attraverso l’organizzazione atlantica, la riproduzione – nelle industrie dell’Europa Occidentale – di missili americani, nel mentre faciliterebbe sicuramente l’arduo problema del finanziamento e del contributo U.S.A. a quest’ultimo.

La prego di credermi

Quaroni

253

L’AMBASCIATA A PARIGIAL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI DI FRANCIA

Nota 00651. Parigi, 14 gennaio 1957.

Le Gouvernement italien s’apprête à conclure un accord de coopération atomique avec le Gouvernement des États-Unis d’Amérique.

Le Gouvernement italien attache une très grande importance à cet accord qui permettra la réalisation de certaines initiatives préalables pour la création d’une infrastructure atomique italienne, et mettra l’Italie en condition de mieux résoudre le problème de l’intégration de ses sources classiques d’énergie et d’offrir une contribution plus efficace au développement des plans européens.

Toutefois, le Département d’État a exprimé récemment des réserves sur l’opportunité de stipuler, à la veille de la signature du Traité sur l’Euratom, un accord bilatéral avec l’un des six pays qui vont s’associer dans la communauté atomique européenne. Le Gouvernement italien n’a pas manqué de faire remarquer au Gouvernement américain – et à ce sujet il désire attirer l’attention du Gouvernement français – que l’accord bilatéral italo-américain contribue à combler le grave déficit italien dans les sources d’énergie, mais n’est en aucune manière un obstacle à la stipulation du Traité sur l’Euratom et n’interfère nullement dans la ferme intention du Gouvernement italien de participer à l’intégration économique européenne dans la mesure la plus large.

A cet égard, le Gouvernement italien tient à souligner que le nouvel accord italo-américain, s’inspirant du même principe adopté dans l’accord franco-américain du 19 juin 1956, renfermera une clause qui consentira la plus complète coordination entre la coopération atomique italo-américaine et celle qui va s’établir dans le cadre de l’Euratom.

Le Gouvernement italien aurait l’intention de signer l’accord avec les États-Unis dans la période entre la signature du traité sur l’Euratom et la ratification de ce dernier.

Le Gouvernement italien désirerait connaître le point de vue du Gouvernement français sur cette question2.


1 Reca la seguente annotazione dattiloscritta: «Data copia a Mollet e a Faure». Per i precedenti vedi DD. 246 e 247.


2 Per il seguito vedi D. 258.

254

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BADINI CONFALONIERI,ALLE AMBASCIATE A BRUXELLES, BONN, L’AJA, LUSSEMBURGO, PARIGI E WASHINGTON

T. segreto 544/c.-545/c. Roma, 15 gennaio 1957, ore 17.

544/c. Seguito telegramma ministeriale n. 347/c.-348/c.1.

Per opportuna informazione di V.E. comunicasi esito primi sondaggi effettuati da On. Benvenuti presso Capi Delegazione Bruxelles venerdì scorso2.

Delegato olandese (Direttore Generale Eschauzier) ha espresso parere che suo Governo, che già ha accordo atomico di potenza con Stati Uniti non (dico non) può vedere alcuna obiezione a conclusione analogo accordo italo-americano. Stessa opinione stata espressa da Delegato lussemburghese Ambasciatore Schaus.

Francese Marjolin non (dico non) aveva informazioni su passo americano; si è quindi riservato chiedere istruzioni.

Ambasciatore tedesco Ophuels era perfettamente al corrente della questione, ma non aveva ancora istruzioni sul da farsi; comunque ha concordato con nostra tesi e argomentazioni, come conferma anche nostra Ambasciata Bonn.

Spaak ha mostrato qualche esitazione. Gli sono stati spiegati motivi della nostra insistenza, che qui di seguito si riassumono per norma di linguaggio di V.E.

Posizione nostro paese è del tutto particolare in seno sei paesi membri Euratom, in quanto esso è fra tutti più vicino a inaridimento proprie fonti energetiche. Problema italiano non (dico non) è di scegliere fra varie fonti energia o tra vari metodi produrre energia nucleare, ma di chiamare a concorso tutte forme e metodi per evitare grave crisi che potrebbe verificarsi a partire dal 1960.

Industria italiana elettro-produttrice ritiene che sistema più rapido ottenere contributo da energia nucleare sia acquisto in America reattori a uranio arricchito: ciò che non può farsi senza accordo intergovernativo. Siamo disposti a ritardare conclusione accordo sin dopo firma Euratom, ma non (dico non) possiamo accettare che conclusione accordo con Stati Uniti sia subordinata ad attesa incerta delle ratifiche parlamentari e dell’entrata in vigore Trattato: ciò che potrebbe far perdere a nostra industria un anno prezioso per stabilire contratti con industrie americane.

Nella stessa posizione non (dico non) si trovano altri paesi Euratom, salvo forse Germania. Belgio ed Olanda hanno già loro accordo; Francia vi ha rinunciato perché sue centrali nucleari sono previste a uranio naturale e perché uranio arricchito da essa richiesto a Stati Uniti doveva servire per sottomarini atomici, ciò che americani non hanno ritenuto di permettere.

545/c. Richiesta italiana si pone in un quadro assai diverso da quello che sembrava essere Euratom or sono alcuni mesi.

Nel trattato quale sta per essere concluso, Commissione atomica europea non avrà più direzione approvvigionamenti e investimenti; ma servirà solo da intermediaria obbligatoria per gli acquisti di quei materiali fissili che verranno prescelti da utilizzatori. A ciò si è arrivati a causa resistenze tedesche a sistema dirigistico, largamente incoraggiate da Commissariato atomico francese, e sanzionate da incontri Mollet-Adenauer3. Comunque Delegazione italiana insiste perché nel trattato figuri esplicita clausola che impegni paesi membri ad aprire negoziati con paesi terzi per trasferire a Euratom accordi bilaterali conclusi prima dell’entrata in vigore trattato. Tale clausola, che incontra tuttora qualche difficoltà, è prova della nostra buona fede e del fatto che nostra insistenza è motivata solo da necessità cominciare ad operare d’urgenza.

Fatto che industria elettro-produttrice italiana si orienterebbe così in parte su acquisti da Stati Uniti non (dico non) è rilevante per Euratom, il quale non (dico non) ha poteri in materia scelta reattori nucleari e mercati d’origine.

Sembrerebbe inconcepibile ad industria italiana che primo effetto negoziato Euratom fosse quello di ritardare proprio sviluppo mediante accordi con americani, e ciò proprio a richiesta Dipartimento Stato.

Trattativa Euratom incontra ormai solo difficoltà minori, che vengono da parte Paesi Bassi. Ripetesi che nostre intenzioni in base auspicato accordo americano sono acquistare reattori potenza, e non di ricerca (come potrebbe essere caso tedesco). Questo secondo tipo forniture potrebbe effettivamente interferire in qualche modo con attività centro comune ricerche di Euratom.

Pregasi V.E. voler far presenti a codesto Governo considerazioni di cui sopra nel modo più opportuno, chiedendo che istruzioni siano inviate a Delegati Bruxelles ed informandone questo Ministero4.


1 Vedi D. 246.


2 L’11 gennaio.


3 Vedi D. 229.


4 Con T. segreto 1327/13 del 19 gennaio Scammacca del Murgo rispose che Spaak aveva confermato la sua piena adesione alla richiesta del Governo italiano, precisando il nulla osta a tal riguardo del suo Governo. Da Bonn, Grazzi comunicò che il Governo Federale aveva trasmesso istruzioni nel senso desiderato alla propria Delegazione a Bruxelles (T. segreto 1240/17 del 18 gennaio). Per la risposta da Parigi vedi D. 258. Da Washington, Brosio rispose chiedendo a sua volta l’esito dei passi eseguiti nelle altre sedi (T. segreto 1414/74 del 20 gennaio). Non rinvenute le altre risposte telegrafiche.

255

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 293/196. Londra, 15 gennaio 1957.

Oggetto: Mercato Comune ed Euratom. Visita di Spaak.

Il recente cambiamento nella compagine ministeriale non ha apportato varianti al programma della visita di Spaak il quale, come aveva annunciato il 10 dicembre u.s. al Consiglio ministeriale dell’U.E.O.1, ha iniziato oggi a Londra il raffronto tra gli schemi per il Mercato Comune e per l’Euratom, elaborati dal Comitato Intergovernativo di Bruxelles, con il punto di vista del Regno Unito allo scopo di esplorare le eventuali difficoltà all’auspicata collaborazione, onde lasciare ai due progetti di trattato una sufficiente «elbow-room» per i futuri negoziati.

Secondo quanto è dato di prevedere, l’Euratom farà oggetto di un esame politico generale mentre gli scambi di vedute a livello tecnico verteranno principalmente sulle possibilità di armonizzare e collegare le realizzazioni del Mercato Comune con la «zona di libero scambio» in esame presso l’O.E.C.E.

La proposta formulata nel novembre scorso da Macmillan2 – a quell’epoca Cancelliere dello Scacchiere – è tuttora in fase di studio da parte del Governo britannico in consultazione con i paesi del Commonwealth ed in collaborazione con gli ambienti economici interessati, ma il Gruppo di lavoro costituito in seno all’O.E.C.E. si sarebbe già espresso in favore delle possibilità pratiche di armonizzare le due concezioni. L’importanza che le disposizioni del trattato per l’integrazione economica dei Sei non precludano la via a futuri più ampi sviluppi di comune interesse, attribuisce particolare rilievo alle conversazioni in corso ed è sotto questo aspetto che la stampa odierna commenta la visita di Spaak. Il «Times», che dedica all’argomento l’articolo di fondo, osserva che la posizione di preminenza assunta nel nuovo Gabinetto da Macmillan e Thorneycroft che sono stati gli artefici del progetto per una zona di libero scambio, costituisce un indizio che l’orientamento europeistico in favore di una qualche forma di associazione con il Gruppo di Messina non dovrebbe subire flessioni ma anzi svilupparsi in forme più concrete.

Come previsto, le conversazioni tra Spaak e la Tesoreria britannica si svolgono all’infuori del quadro dell’U.E.O. trattandosi per ora di chiarire preliminarmente degli aspetti tecnici che non riguardano il problema politico sollevato dal Ministro Pineau a Parigi e sul quale gli altri Governi dovranno far conoscere le proprie decisioni; sintomatica invece la presenza del Segretario Generale dell’O.E.C.E. sulla cui partecipazione ai colloqui gli inglesi avrebbero particolarmente insistito.

Mi riservo di riferire sui colloqui appena possibile3.


1 Vedi D. 239.


2 Vedi D. 235.


3 Vedi D. 257. Gli esiti della visita di Spaak a Londra furono oggetto delle conversazioni di Selwyn Lloyd con Martino, vedi D. 256.

256

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,CON IL SEGRETARIO AGLI ESTERI DEL REGNO UNITO, SELWYN LLOYD

Appunto riservato1. Roma (Palazzo Chigi), 17 gennaio 1957, ore 17.

RIASSUNTO DELLE CONVERSAZIONI TRA IL SEGRETARIO DI STATO,SELWYN LLOYD, ED IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PROF. MARTINO2

MINISTRO MARTINO. Esprime la sua soddisfazione per l’arrivo del Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Gran Bretagna e lo ringrazia per avere accettato il suo invito.

Sottopone l’Agenda che è stata preparata dagli Uffici e chiede al Segretario di Stato se voglia proporre alcun cambiamento. L’Agenda viene letta e si passa al primo punto.

I. Mercato Comune. Area di Libero scambio. Euratom.

MINISTRO MARTINO. Si sono già avuti degli scambi di idee al Quirinale, nel corso della mattinata, e si è constatato che l’iniziativa dell’Area di libero scambio è vista con favore in Europa e che quindi è auspicabile che essa abbia un corso spedito ed efficace.

L’Italia, che è tra i paesi che presero l’iniziativa del Mercato Comune, ha appreso con soddisfazione che il Regno Unito è disposto ad iniziare negoziati per la creazione dell’Area di libero scambio.

Chiede notizie circa il viaggio di Spaak a Londra3.

SEGRETARIO DI STATO. Invita il Visconte Hood, che ha partecipato alle riunioni di Londra, di illustrare brevemente la visita.

VISCONTE HOOD. Riferisce che dai contatti con Spaak sono emersi alcuni punti importanti:

1) la necessità che il Trattato per il Mercato Comune sia elastico. Secondo quanto il Signor Spaak ha detto, la firma del Trattato dovrebbe aver luogo alla fine di febbraio e la ratifica possibilmente entro maggio. Il Governo britannico, pur apprezzando la necessità di una procedura sollecita che tragga profitto dall’atmosfera favorevole esistente in Francia e in Germania, ha fatto presente che sarebbe posto in una posizione difficile se non venissero incluse nel Trattato delle disposizioni che ne prevedessero l’eventuale adattamento per il caso di una adesione inglese tramite l’Area di libero scambio. Il Signor Spaak ha detto che, pur non essendo possibile ricominciare i negoziati da capo, si cercherà di includere nel Trattato delle disposizioni che ne rendano possibile l’estensione ad ogni altro paese che intenda aderirvi. Ha anche aggiunto che il Governo inglese, dopo un esame approfondito del progetto di Trattato, dovrebbe individuare quali articoli renderebbero difficile o impossibile per il Regno Unito la sua inserzione nel sistema e dovrebbe quanto prima informarne i sei Governi.

2) Il Trattato per il Mercato Comune non comporta solamente la riduzione delle tariffe doganali ma si applica a numerosi settori. Il Signor Spaak a Londra ha chiesto se analogamente l’Area di libero scambio avrebbe coperto campi diversi, al che il Signor Thorneycroft ha replicato che sicuramente, per quel che concerneva la Gran Bretagna, l’Area di libero scambio dovrebbe andare al di là della abolizione delle tariffe doganali, senza però poter coprire gli stessi settori del Mercato Comune.

Tre problemi sono stati discussi in particolare:

a) Agricoltura. Mentre è essenziale per gli Stati firmatari che il Mercato Comune includa il settore agricolo, per il Governo britannico sembra altrettanto essenziale che il settore agricolo venga escluso dall’Area di libero scambio a causa dei rapporti della Gran Bretagna con il Commonwealth. Il Signor Spaak ha fatto presente che alcuni Paesi europei quali l’Italia, l’Olanda e la Danimarca, probabilmente non sarebbero entrati a far parte di un’Area di libero scambio che escludesse l’agricoltura.

b) Particolari provvidenze per la Francia. Queste avrebbero potuto essere estese, secondo il punto di vista inglese, all’Area di libero scambio purché di breve durata.

c) Posizione dei Paesi d’oltremare. A proposito di questi ultimi il Governo britannico si era dichiarato favorevole ad una esclusione, almeno per il momento.

Da ultimo si era esaminato quale sarebbe stato il corso dei lavori in sede O.E.C.E. A questa discussione aveva anche partecipato il Segretario Generale dell’Organizzazione, Signor Sergent, il quale aveva tenuto a sottolineare la necessità che nessun paese membro dell’O.E.C.E. si sentisse tagliato fuori dai negoziati per l’Area di libero scambio. Poiché ancora non era certo l’atteggiamento di taluni paesi, interessati al problema, si era rimasti d’accordo quanto meno sul fatto che sarebbe stato opportuno raggiungere delle decisioni di massima circa l’inizio di negoziati relativi alla costituzione dell’Area di libero scambio e che tutti i paesi che avessero aderito a questo principio avrebbero potuto partecipare ai lavori. Oltre alla partecipazione dei sei paesi del Mercato Comune, sembrava sicura la partecipazione del Regno Unito, dei Paesi scandinavi, della Svizzera e di qualche altro. Comunque tutti i Paesi membri dell’O.E.C.E. che lo avessero desiderato avrebbero potuto inviare osservatori.

MINISTRO MARTINO. Rileva che è esatta la constatazione fatta che il Trattato del Mercato Comune non è ancora definitivo e che taluni cambiamenti potrebbero intervenire per rendere più agevole la inserzione del Regno Unito. Ribadisce l’importanza che viene attribuita dal Governo italiano all’adesione della Gran Bretagna al nuovo sistema economico, senza di cui la formazione dell’Europa rimarrebbe quanto meno imperfetta.

Desidera aggiungere alcune considerazioni circa il problema dell’agricoltura. Il Signor Spaak ha detto che la riduzione delle tariffe doganali non sarebbe una necessità assoluta. Ritiene che invece sia esattamente il contrario. Naturalmente si potrebbero inserire talune misure particolari per questo settore, in quanto tutti si rendono conto che l’agricoltura presenta degli speciali problemi. Tiene a chiarire che sarebbe molto difficile per il Governo italiano aderire ad un’Area di libero scambio che si limitasse al settore industriale. Essendo l’Italia ugualmente interessata alla produzione industriale e alla produzione agricola una volta che la si ponga a contatto con paesi industrialmente più forti è evidente che essa è disposta a fare in quel settore dei sacrifici a condizione che corrispondenti vantaggi possano eventualmente nascere per lei dal settore agricolo. In ogni caso questo problema potrà essere discusso in un secondo momento ed è già buon segno che il Governo britannico sia da parte sua disposto ad entrare in negoziati per cercare di risolverlo.

È stato detto a Londra che delle misure per eventuali successive modificazioni del Trattato potevano esservi incluse. È persuaso che la ratifica del Trattato non sarà un’operazione molto semplice, e pertanto apportarvi delle modifiche a procedura perfezionata sarà anche più difficile. La procedura concordata a Londra con il Signor Spaak gli sembra molto opportuna.

SEGRETARIO DI STATO. Tiene da parte sua a chiarire che mentre da un lato il Governo britannico è decisamente portato non soltanto ad escludere il settore agricolo dell’Area di libero scambio, ma anche a rifiutare un inserimento coperto da provvidenze particolari, dall’altro è altrettanto pronto a cercare di raggiungere degli accordi che in un modo o nell’altro possano compensare tale esclusione.

Chiede quindi di essere informato circa il calendario dei prossimi lavori.

VISCONTE HOOD. Aggiunge che il Governo britannico non intende dare l’impressione che nel corso dei prossimi negoziati esso possa essere indotto ad includere il settore agricolo nell’Area di libero scambio: sarebbe infatti molto difficile difendere un simile punto sia di fronte all’opinione pubblica che ai Governi del Commonwealth.

MINISTRO MARTINO. Elenca le tappe future del Trattato sul Mercato Comune.

Attualmente proseguono i lavori a Bruxelles.

Quindi è prevista una conferenza di Ministri, sempre a Bruxelles4, per raggiungere accordi finali sul progetto di Trattato ed inviarlo ai sei Governi. Alla fine di febbraio5 è prevista un’altra riunione per la firma. Quindi si passerà ai procedimenti di ratifica nei differenti paesi.

A richiesta del Segretario di Stato l’AMBASCIATORE CATTANI mette in evidenza la possibilità che i procedimenti concernenti il Trattato del Mercato Comune e quello dell’Area di libero scambio procedano in maniera concomitante. Infatti mentre il Mercato Comune seguirà le linee già indicate dal Ministro Martino, all’inizio di febbraio, nel corso della riunione ministeriale in sede O.E.C.E.,6 si cercherà di riesaminare il lavoro già svolto in tema di Area di libero scambio e nulla impedirà di buttar giù, immediatamente dopo, un progetto di Trattato. Se tale possibilità venisse realizzata i due procedimenti potrebbero procedere parallelamente.

Naturalmente ci sono ancora molte difficoltà da superare, tra le quali il problema dell’agricoltura, ma, ad essere ottimisti, si può immaginare che il parallelismo, cui ha fatto cenno, prosegua fino al compimento dei due cicli.

Passando all’Euratom, a sua volta esso presenterà dei problemi di collegamento con gli organi dell’O.E.C.E. che si occupano di energia atomica e con l’O.N.U., che si cercherà di risolvere.

Rispondendo all’Ambasciatore Magistrati il VISCONTE HOOD chiarisce che nell’incontro di Londra con il Signor Spaak non si è parlato di Assemblea del Mercato Comune, bensì della procedura dei lavori del Consiglio dei Ministri, le cui decisioni dovrebbero essere adottate a maggioranza.

II. U.E.O.

MINISTRO MARTINO. Dopo avere ricordato lo scambio di idee per una prossima riunione di Ministri dell’U.E.O., ed essersi augurato che tale riunione possa aver luogo a Londra nella seconda metà di febbraio,7 chiede al Segretario di Stato di voler spiegare la sua idea circa la unificazione delle Assemblee attualmente esistenti.

SEGRETARIO DI STATO. Premette che la sua idea non è ancora stata approvata dai suoi colleghi di Governo ed aggiunge che essa vuole proporsi di eliminare le difficoltà che provengono dalla esistenza contemporanea di tante Assemblee. Si è chiesto infatti se non fosse possibile di porre in essere qualche cosa di simile all’Assemblea delle Nazioni Unite, che si organizzasse in diverse sezioni o Comitati, competenti ciascuno per una diversa materia, quale ad esempio l’economica, la difesa, l’agricoltura, ecc., assicurando la partecipazione parlamentare europea in tutti questi settori.

A suo avviso il vantaggio maggiore sarebbe quello di ottenere i servizi di un unico Segretariato, più snello ed efficiente, il che renderebbe più agevole i lavori dei Ministri.

MINISTRO MARTINO. Ritiene che l’idea sia meritevole della maggiore considerazione poiché anche egli è convinto che gli organi esistenti sono troppo numerosi. Si vedrà in seguito in qual modo sarà possibile raggiungere le opportune modifiche alla situazione esistente, anche in considerazione della prevista costituzione di nuove Assemblee, quella dell’Euratom e quella del Mercato Comune.

III. Medio Oriente. Progetto Eisenhower. Questione del Canale. Conflitto arabo israeliano. Patto di Bagdad

MINISTRO MARTINO. Invita il Segretario di Stato a parlare della libertà di navigazione del Canale al termine delle operazioni di sgombero.

SEGRETARIO DI STATO. In relazione alla incondizionata evacuazione del territorio di Gaza da parte degli israeliani e delle minacce egiziane di discriminazione contro i franco-inglesi una volta che il Canale sia riaperto, osserva che una situazione molto seria si verrebbe a creare nel caso che per la fine di marzo il Canale fosse aperto ma l’Egitto dicesse che nessuna nave sarebbe ammessa al passaggio prima della sistemazione definitiva del settore arabo. Sarebbe non soltanto serio ma anche umiliante per l’Europa.

Riterrebbe opportuno studiare un’eventuale azione preventiva.

Da una conversazione con il Ministro degli Esteri libanese si era avuta l’impressione che Nasser fosse interessato soltanto all’esercito e che la pubblica opinione in Egitto non avesse il minimo peso.

Il signor Malik gli aveva anche detto che la proposta di internazionalizzare la striscia di Gaza era stata respinta dal Colonnello Nasser per il solo fatto di essere stata presentata dal Ministro degli Esteri inglese.

Il Segretario di Stato aggiunge che circa dieci giorni fa era stato dichiarato al Cairo che le navi francesi ed inglesi non sarebbero state ammesse al passaggio del Canale prima del completo ritiro delle truppe israeliane. D’altra parte il Segretario Generale delle Nazioni Unite aveva assicurato per iscritto il Governo inglese che il Colonnello Nasser era d’accordo nel non applicare alcuna discriminazione ai francesi ed agli inglesi. Successivamente il Colonnello Nasser aveva detto che, dato quanto precede, nessuno sarebbe passato attraverso il Canale.

Fa cenno quindi a titolo riservato all’idea del Ministro Pearson di includere in un’unica risoluzione i problemi di Gaza, Tiran, delle forze delle Nazioni Unite, ecc. Gli sembra che un simile progetto sia un po’ ambizioso, ma in ogni caso sarebbe opportuno tenerlo presente.

Chiede quindi informazioni circa la posizione di Nasser in Egitto, facendo presente di avere riscontrato differenze tra quanto gli era stato riferito dall’Ambasciatore degli Stati Uniti a Londra e da cittadini inglesi recentemente rientrati. Il primo aveva rilevato un notevole senso di critica nei confronti di Nasser mentre i secondi erano convinti che la posizione del Colonnello fosse ancora molto forte.

AMBASCIATORE ROSSI LONGHI. Fa presente che anche in base alle notizie in nostro possesso, che erano state da lui riferite all’Ambasciatore Clarke, qualche fermento poteva anche esistere; ma non bisognava contarci dato che Nasser avrebbe resistito quanto poteva. D’altra parte era convinto che Nasser non aveva interesse a riaprire il Canale.

MINISTRO MARTINO. Si dichiara d’accordo con il Segretario di Stato sull’opportunità di svolgere qualche passo presso il Dipartimento di Stato allo scopo di far comprendere agli americani quanto difficile possa divenire la situazione dell’Europa nel caso in cui il Canale rimanga chiuso. Aggiunge che Malik, nel corso delle sue conversazioni a Roma, aveva detto di aver passate sette ore con Nasser, il quale non aveva fatto altro che ritornare su cinque punti e cioè il nazionalismo arabo, la solidarietà araba, il benessere dell’Egitto, la sfiducia verso l’Occidente e il malvolere contro l’Irak.

AMBASCIATORE MAGISTRATI. Aggiunge che Malik era stato impressionato dal senso di controllo sull’opinione pubblica che esisteva in Egitto e dal senso di isolamento in cui Nasser sembrava vivere che spiegava forse il motivo delle sue idee fisse.

Passa quindi al problema del finanziamento dello sgombero del Canale e ricorda come alcuni paesi (Olanda e Germania) avevano posto come condizione al loro contribuito che venissero fornite garanzie circa il funzionamento futuro del Canale a sgombero ultimato, adducendo a motivo che nessuno desidera fornire del danaro senza avere una ragionevole certezza di non spenderlo invano.

Si discute quindi circa l’opportunità di fare pressioni sul Segretario Generale delle Nazioni Unite, ai fini di ottenere garanzie, e da parte inglese si fa presente che quanti più paesi eserciteranno questa pressione, tanto migliore potrà essere il risultato. Si aggiunge sempre da parte inglese, che la Gran Bretagna è forse nella posizione meno felice per esercitare delle pressioni ma che spera molto nei suoi alleati.

MINISTRO MARTINO. Osserva che fra le garanzie da richiedersi dovrebbe esserci anche quella del ripristino degli oleodotti.

SEGRETARIO DI STATO. Chiede poi che cosa si pensi di fare della S.C.U.A.

MINISTRO MARTINO. Ricorda la proposta da lui avanzata di utilizzare la S.C.U.A. per il finanziamento dei lavori del Canale, a condizione che a tale organismo venisse consentito di rappresentare poi gli utenti nella definizione dello Statuto del Canale.

SEGRETARIO DI STATO. Mostra alcune incertezze sull’opportunità di ripresentare la S.C.U.A. poiché ciò darebbe al Colonnello Nasser la scusa di dire che egli non può trattare se non con tutti gli utenti. Inoltre ritiene che per gli inglesi si porrà in tutti i casi un serio problema quando il Canale verrà riaperto, in quanto a differenza di altri gli inglesi non pagavano i diritti di passaggio all’Egitto. Evidentemente occorrerebbe quanto meno un accordo provvisorio.

AMBASCIATORE ZOPPI. Accenna alla nota proposta americana di servirsi della S.C.U.A. per stabilire un sistema di priorità nel transito del Canale.

SEGRETARIO DI STATO. Per suo conto osserva che a quanto gli risulta i francesi sono assolutamente decisi a mantenere le loro note posizioni nei riguardi dell’Egitto.

SEGRETARIO GENERALE. Osserva che bisogna affrontare coraggiosamente i problemi e mettersi d’accordo per non ammettere in nessun caso che i diritti e le esigenze vengano calpestati. Tale sarebbe il caso di una discriminazione contro i franco-britannici o contro Israele. Inoltre qualora una volta riaperto il Canale Nasser rifiutasse qualsiasi ingerenza esterna nella gestione che cosa si sarebbe disposti a fare da parte occidentale? Occorreva porre questo quesito a Washington e cercare di chiarirne il pensiero. Evidentemente soltanto conoscendo l’orientamento americano sarebbe stato possibile stabilire una linea di condotta.

AMBASCIATORE CLARKE. Si domanda che cosa potrebbe agire sull’Egitto perché esso assuma un atteggiamento di collaborazione. Questo è il punto che converrebbe discutere con gli americani, il cui appoggio sarebbe comunque indispensabile.

SEGRETARIO DI STATO. Osserva che gli americani stanno molto indietro con gli studi delle varie questioni: solo ora si son messi per esempio a studiare una possibile soluzione del problema del blocco del Golfo di Aqaba.


1 Il riassunto delle conversazioni tra Martino e Selwyn Lloyd, che proseguirono il giorno successivo nella stessa sede alle ore 17,30 sui seguenti argomenti:« I. Cipro, II. Algeria, III. Oro di Albania, IV. Jugoslavia e V. Rapporti commerciali » (Appunto riservato del 18 gennaio, non pubblicato), fu trasmesso con Telespr. riservato 11/881/c. del 24 gennaio dal Capo dell’Ufficio I della Direzione Generale degli Affari Politici, Marchiori, alle Ambasciate a Bonn, Londra, Parigi e Washington.


2 In un foglio a parte si conserva l’elenco dei partecipanti: «Il Ministro degli Affari Esteri, il Sottosegretario On. Badini Confalonieri, il Sottosegretario On. Folchi, il Segretario Generale Ambasciatore Rossi Longhi, l’Ambasciatore Zoppi, il Ministro Migone, l’Ambasciatore Magistrati, l’Ambasciatore Cattani, il Ministro Giustiniani, il Ministro Straneo, il Ministro Theodoli, il Ministro Belcredi, il Consigliere Colonna, il Consigliere Marchiori, il Primo Segretario, Carrara, il Segretario di Stato, Sir Ashley Clarke, Mr. P.H. Dean, Lord Hood, Mr. R. Unwin, Mr. H.A.F. Hohler, Mr. C.P. Hope, Mr. D.A. Logan».


3 Vedi DD. 255 e 257.


4 Vedi DD. 271, 272 e 273.


5 Il 25 marzo: vedi Appendice documentaria, D. 9.


6 Vedi D. 287.


7 Vedi D. 299.

257

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, PRUNAS,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. urgente 334/2221. Londra, 17 gennaio 1957.

Oggetto: Conversazioni di Spaak a Londra

Riferimento: Rapporto di quest’Ambasciata n. 293/196 del 15 corr.2.

Nel suo soggiorno a Londra dal 14 al 16 corrente, Spaak ha avuto dei colloqui col Primo Ministro, Selwyn Lloyd, Thorneycroft e Sir David Eccles (nuovo «Presidente del Board of Trade»). Coi primi due, le conversazioni non hanno toccato problemi tecnici ma hanno consentito allo statista belga di trarre conferma della sincerità dell’orientamento europeista, come indirizzo e volontà politici, del Governo britannico. Più approfonditi, ovviamente, sono stati i contatti che hanno avuto luogo alla Tesoreria, contatti che – com’era del resto previsto – hanno avuto unicamente il carattere di un aperto scambio di informazioni e di punti di vista.

Al termine delle conversazioni Spaak si è detto, parlando col mio collega belga, «relativamente ottimista» circa gli sviluppi del problema dei rapporti della Gran Bretagna col «Mercato Comune». In ogni caso, egli ha soggiunto, l’incontro è stato utile ad ambo le parti ai fini di una più chiara e precisa conoscenza delle rispettive posizioni e ha dato modo di meglio identificare le difficoltà che occorrerebbe superare per giungere all’auspicata associazione del Regno Unito, mediante l’area di libero scambio, al Gruppo dei Sei.

Sulla base delle informazioni datemi da fonte britannica e belga, riassumo i punti essenziali:

1) Thorneycroft e Eccles hanno confermato a Spaak che l’esclusione dalla zona di libero scambio dei prodotti agricoli e alimentari rappresenta per il Governo di Londra una condizione irrevocabile.

Non si tratta, quindi, di una «bargaining position».

Da parte inglese è stato soggiunto che tuttavia l’istituzione della zona di libero scambio deve comportare, oltre la soppressione dei diritti doganali e delle restrizioni quantitative, tutto ciò che è indispensabile per assicurarne l’effettivo funzionamento: così si ammette la necessità di istituzioni adeguate, specie per assicurare la gestione e l’applicazione delle clausole di salvaguardia, nonché di un’azione comune in tema di disciplina della concorrenza, di liberazione dei capitali, dei servizi e della mano d’opera. Tale azione comune, peraltro, non dovrebbe essere così estesa come quella che sarebbe richiesta dalla creazione di una Unione doganale o come quella che è prevista dal progetto di Trattato per il Mercato Comune.

2) L’associazione dei Territori di Oltremare aventi legami particolari coi Paesi del Mercato Comune, concretandosi in un sistema preferenziale, renderebbe molto difficile – è stato sottolineato dai due Ministri britannici – la partecipazione del Regno Unito alla zona di libero scambio: infatti, si è osservato, il regime che verrebbe accordato ai prodotti dei Territori di Oltremare sarebbe reclamato, a proprio favore, dai territori dipendenti dal Regno Unito al momento dell’ingresso della Gran Bretagna nella zona di libero scambio. E Londra non potrebbe accedere a una siffatta richiesta, in quanto i produttori e operai britannici verrebbero, in pratica, posti in concorrenza con i costi di produzione e i salari di paesi sottosviluppati, i quali potrebbero, ad esempio, utilizzare Hong Kong per introdurre in franchigia in Gran Bretagna i loro prodotti.

Thorneycroft ha pertanto espresso la speranza che gli sforzi siano concentrati inizialmente nello stabilimento di una zona di libero scambio, veramente libera, in Europa, e che il problema dell’eventuale associazione dei Territori di Oltremare sia considerato più tardi e in condizioni adattate alle necessità della zona di libero scambio in Europa.

3) Riprendendo, sotto un diverso profilo, l’argomento di cui al punto 1, da parte britannica si è osservato che l’organizzazione fra i Sei del Mercato Comune per l’agricoltura, rappresenterebbe per il Regno Unito – e non solo per esso – l’istituzione di un vero e proprio regime preferenziale agricolo in Europa. Ciò provocherebbe sicuramente l’opposizione di alcuni membri del G.A.T.T. (si è accennato agli S.U.A.) e anche forti pressioni del Canadà e dell’Australia al fine di indurre la Gran Bretagna a impedire la realizzazione di un siffatto regime.

I Sei, quindi, si è soggiunto, dovrebbero avere interesse a ottenere la «neutralità benevola» della Gran Bretagna su questo punto. E a tale scopo, converrebbe loro aiutare il Regno Unito a fare ammettere una formula, per la zona di libero scambio, che escludesse i prodotti agricoli e alimentari.

Spaak, oltre a illustrare i diversi aspetti del problema e il punto di vista dei Sei su di essi, ha, nell’argomentare coi suoi interlocutori, accennato alla eventualità che un ammorbidimento della fondamentale difficoltà di cui al punto 1 sia realizzato mediante accordi bilaterali da stipularsi fra il Regno Unito e alcuni fra i Sei per lo scambio dei prodotti agricoli e alimentari, accordi che dovrebbero consentire, se possibile, un aumento di tali scambi o quanto meno evitarne una diminuzione nei confronti del livello raggiunto in precedenza. L’accoglienza britannica a tale accenno non è stata, a quel che sembra, negativa.

Circa il punto 2, Spaak ha rilevato che già, secondo i più recenti sviluppi dei lavori dei Sei, il problema dell’associazione dei Territori di Oltremare non era più considerato di immediata attualità.


1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Parigi e Lussemburgo.


2 Vedi D. 255.

258

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. segreto 1243/371. Parigi, 18 gennaio 1957, ore 15,30 (perv. ore 16,10).

Maurice Faure mi ha convocato stamane per comunicarmi che in corso riunione tenutasi ieri sotto la presidenza Mollet era stato deciso:

1) Governo francese, ritenendo giustificate osservazioni fatte soprattutto dall’Italia, propone ai Governi italiano e tedesco che i tre paesi riprendano senz’altro loro negoziati con gli Stati Uniti per conclusione accordi bilaterali cooperazione atomica.

2) Propone che negoziati vengano condotti con larga misura collaborazione; francesi ritengono, pur prendendone loro parte responsabilità, che fatto che ognuno di noi abbia negoziato per conto suo ha creato Washington cattiva impressione. Ambasciatori tre paesi dovrebbero recarsi insieme Dipartimento di Stato per dar Governo americano comunicazione loro decisione comune che accordi bilaterali non (dico non) ostacolano in nessuna maniera progresso Euratom. Tre Ambasciatori dovrebbero in pari tempo ricevere istruzioni comunicarsi lealmente progressi e risultati loro negoziati con americani.

3) Nel Trattato Euratom tre paesi dovrebbero insistere per introdurre clausola che impegni paesi membri fare il necessario per trasferire Euratom accordi bilaterali conclusi prima entrata in vigore Trattato.

Da parte francese non (dico non) si chiede che estensione conclusione accordi sia rinviata a dopo firma Euratom.

Ho detto a Faure che in base mie istruzioni potevo dargli senz’altro risposta affermativa per punti 1 e 3; non avevo istruzioni per 2 ma non ritenevo ci sarebbero state difficoltà. Pregherei comunque confermarmi per opportuna comunicazione quest’oggi2.

Ambasciatore di Germania non ha (ripeto non) potuto dare risposta perché non era stato tenuto al corrente da Bonn questione.


1 Risponde al D. 254.


2 Per la risposta vedi D. 265.

259

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 1242/40. Parigi, 18 gennaio 1957, ore 20 (perv. ore 21).

Oggetto: Mercato Comune.

Maurice Faure mi ha detto che questione territori oltremare è questione su cui Mercato Comune minaccia fallire. Strana atmosfera parlamentari francesi in cui tutti o quasi sembrano d’accordo ma nessuno si impegna è motivata appunto da questa. Mi ha detto che nei contatti avuti con leaders parlamentari egli ha comunicato loro che su principio partecipazione altri membri Mercato Comune a spese infrastrutture statali nei paesi d’oltremare tutti erano d’accordo, ma che si avevano molte riluttanze a prendere impegni precisi o comunque automatici. Ho fatto a questo riguardo esplicita menzione passo Olanda e osservazioni che gli sono state fatte a Roma1.

Reazione praticamente unanime leaders parlamentari è stata che solo impegno generico di principio non può essere (dico non) considerato da parlamentari francesi come soddisfacente.

Ritiene riuscire ad evitare che Parlamento ponga pregiudiziali esplicite in questo senso, ma resta il fatto che senza accostamento sostanziale a richiesta Parlamento francese non si avrà (dico non) ratifica Mercato Comune.

Aggiungo che quanto mi ha detto Faure è esatto: resta a vedere fino a che punto questa opposizione parlamentare è onesta, oppure quanto essa è pretesto scelto da avversari Mercato Comune come migliore linea attacco. Come che sia trattasi argomento abilmente scelto e che fa ottima presa su contribuente francese che comincia rendersi conto peso impero e quindi attraverso contribuenti su deputati.

A mia richiesta quale formula egli riteneva avrebbe potuto vincere resistenza Parlamento francese, Faure mi ha detto anche che stava considerando eventualità convocare entro prima metà febbraio riunione a livello Presidenti del Consiglio per discutere questione.

Sarei grato a V.E. volermi far conoscere nostro punto di vista sia su riunione che dovrà, suppongo, rispondere idee nostro Governo ma soprattutto su questione di fondo. Conosco impostazione generale, ma mi sarebbe necessario conoscere se e fino a che punto siamo disposti accettare impegni precisi2.


1 Vedi D. 249.


2 Con T. 865/16 (Bruxelles) 25 (Parigi) del 22 gennaio, Cattani si limitò a comunicare la disponibilità del Presidente Segni a partecipare alla riunione prevista non prima del 12 febbraio.

260

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 1368/141. Bruxelles, 19 gennaio 1957, ore 20,16 (perv. ore 23,10).

Oggetto: Mercato Comune. Problema territori oltremare.

Sabato pomeriggio Capi delle Delegazioni hanno dibattuto in seduta ristretta problema territori oltremare. Pregiudiziali carattere generale sembrano essere cadute ovunque, nell’intesa che i Governi sono esenti da responsabilità politica verso colonie altrui. On. Benvenuti ha accennato a possibilità associazione Libia, e a sua domanda Faure ha chiarito che la Francia desidera fare prima approcci con Governi tunisino e marocchino, ma che invito ad associarsi verrà formulato congiuntamente da sei Governi.

Hallstein ha presentato idee tedeschi, che consistono nell’accettare in principio contributo per investimenti sociali (scuole, ospedali) chiedendo invece che investimenti economici, presentati e approvati di volta in volta per progetti singoli, siano di tipo produttivo e quindi possano in parte essere coperti da prestiti. Francesi vogliono invece che fondo operi su un piano generale di investimenti, ad esempio decennale, stabilito per ciascun territorio. Tedeschi, olandesi sono anche contrari, ma soprattutto per tattica di negoziato, a contratto preferenziale per produzione agricola.

Secondo Marjolin fra tali prodotti non sarebbero compresi grano e agrumi.

Delegazione italiana ha sottolineato che ci sarebbe impossibile accettare sistema che si va profilando in cui, ottenendo assai limitate possibilità espansione nostra esportazione agricola, saremmo per di più esposti a concorrenza territori oltremare anche su nostro mercato.

Ha poi avanzato idea nota costì, secondo la quale contributi avrebbero forma di lend lease e verrebbero ripagati qualora paesi contribuenti non avessero ottenuto sostanziali vantaggi da apertura mercato oltremare.

Il telegramma fa seguito a quello avente numero protocollo precedente2.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Vedi D. 254, nota 4.

261

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, SCAMMACCA DEL MURGO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 1358/15. Bruxelles, 19 gennaio 1957, ore 20,15 (perv. ore 21,30).

Oggetto: Mercato Comune. Proseguimento lavori.

Proposta italiana ha fatto qualche progresso, anche perché è sembrata costituire unica formula possibile per superare dilemma difronte al quale Faure ha messo suoi colleghi: o impegnarsi già nel trattato a stabilire misura del contributo al fondo; o accettare che tale misura, da fissarsi all’unanimità dei voti nei successivi negoziati, costituisca una delle condizioni di passaggio alla seconda tappa. Richiesta quest’ultima indubbiamente gravissima, sia perché nel sistema attuale passaggio a seconda tappa è almeno al termine 6° anno condizionata alla sola maggioranza qualificata; sia perché questa formula consentirebbe a ciascun Governo trovare pretesto per rifiutare indefinitamente ulteriore sviluppo Mercato Comune.

Su punto d’accordo e di disaccordo Spaak preparerà nota per Ministri, che verrà esaminata lunedì mattina1. Intanto domenica Capi delle Delegazioni tenteranno raggiungere intesa su agricoltura, trasporti e tariffe esterne. Sembra probabile che essi continueranno riunirsi fino arrivo Ministri.


1 Il 21 gennaio. Vedi D. 267.

262

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. riservatissima 75 segr. pol. Roma, 19 gennaio 1957.

Carissimo,

provvediamo ad inviarti subito un primo telegramma relativo alla visita romana di Selwyn Lloyd1 e non mancheremo di farti pervenire, non appena possibile, i verbali completi dell’incontro2.

Una prima impressione. Il Ministro britannico ha quasi lasciato da parte i drammi di Suez per lanciarsi piuttosto, specialmente nei confronti della stampa, sul tema del sistema e dei tempi di avvicinamento del Regno Unito al futuro Mercato Comune europeo, naturalmente con tutte le riserve e le limitazioni del caso britannico. Probabilmente egli non avrebbe potuto fare altrettanto a Londra, dove non sarebbe stato neanche facile trovare la sede adatta essendo ora improbabile un dibattito alla Camera dei Comuni sull’argomento.

Qui, «sede classica dell’europeismo», la cosa è stata molto più semplice ed effettivamente ha svegliato alquanto l’opinione pubblica, che comincia a sentir ripetere nelle sue orecchie le parole misteriose del «Mercato Comune» e dell’«Euratom». Il tutto in un’atmosfera molto cordiale e molto simpatica che certamente ha permesso di mettere un punto fisso positivo nei rapporti tra Roma e Londra.

Quanto, ripeto, agli sviluppi di Suez, non molte parole e nessuna iniziativa. Si direbbe che oggi gli inglesi, in parte per giustificato risentimento e in parte per incertezza, preferiscano mostrarsi, in certo modo, assenti dai nuovi avvenimenti, dichiarandosi invece piuttosto inclini a passare dalla parte di spettatori per vedere cosa sia capace di fare l’America nella nuova fase post-Porto Said.

Quanto all’Algeria, problema particolarmente scottante, abbiamo constatato una linea di condotta molto simile e diretta ad evitare, per quanto possibile, posizioni drastiche nei confronti della Francia3.

Credimi sempre

Magistrati


1 Vedi D. 263.


2 Vedi il riassunto delle conversazioni al D. 256.


3 Quaroni ripose con L. riservata 0125 del 22 gennaio, riferendo i commenti ufficiosi francesi sulla visita di Selwyn Lloyd a Londra. In particolare segnalò: «…ci è stato discretamente domandato se era vero che l’atteggiamento favorevole mostrato da Selwyn Lloyd circa il Mercato Comune fosse stato subordinato alla richiesta di precise clausole che potessero facilitare l’accostamento ulteriore della Gran Bretagna…» e inoltre che l’interpretazione data all’idea inglese d’istituire un’Assemblea europea unica, era che: «… il Foreign Office desidera che l’O.E.C.E. (dove l’influenza inglese rimane decisiva) venga messa in condizione di esercitare un’influenza predominante su tutto ciò che può essere espresso in un quadro europeo…». Per il seguito vedi D. 277.

263

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AD AMBASCIATE E RAPPRESENTANZE

T. segreto 764/c.-765/c.1. Roma, 20 gennaio 1957, ore 2.

764/c. Visita Selwyn Lloyd svoltasi in atmosfera massima cordialità e conclusasi stamane2.

Nel corso conversazioni avvenute a Palazzo Chigi sono stati toccati seguenti punti: Mercato Comune, U.E.O., Cipro, Medio Oriente, Algeria, Jugoslavia, Rapporti commerciali Est-Ovest.

Sul primo punto, dopo esposizione Lord Hood su visita Spaak Londra, Segretario di Stato espresso speranza che Trattato mantenga elasticità che consenta inserimento del Regno Unito nel sistema e, pur insistendo su impossibilità per Governo inglese di includere agricoltura in area libero scambio, ha tenuto tuttavia a rilevare possibilità successiva negoziazione accordi particolari.

Su Cipro Selwyn Lloyd rispondendo a nostre preoccupazioni per ripercussione che dibattito Nazioni Unite potrebbe avere su Alleanza atlantica, comunicato che posizione ufficiale inglese è tuttora favorevole a progettata costituzione e contraria dibattito Nazioni Unite. Ove si dovesse giungervi Governo britannico sarebbe costretto dare pubblicità ad elementi suo possesso che non tornerebbero ad onore Governo greco. Aggiungole per sua riservata informazione che da conversazioni è risultato che Governo britannico non rifiuterebbe spartizione isola in tre settori, base britannica, turco e greco, con impegno autodecisione ultimi due entro cinque anni.

A nostra volta a titolo confidenziale abbiamo fatto cenno a opportunità di una risoluzione concordata da presentare in sede Nazioni Unite, con invito a parti contendenti di esperire ogni via per giungere ad una intesa, in modo da rinviare voto su merito questione. Ministro britannico riservatosi farci conoscere quanto prima reazione suo Governo.

Su situazione Medio Oriente e Canale Suez, Selwyn Lloyd mostratosi particolarmente cauto e quasi ansioso conoscere pensiero americano. Posizione inglese nei confronti libera navigazione Canale e eventuali reazioni Nasser non sembrerebbe ancora chiaramente determinata forse in attesa conoscere intendimenti Stati Uniti prima di assumere qualsiasi atteggiamento.

765/c. Punti di vista italiano ed inglese su Algeria coincidono perfettamente. Al riguardo convenutosi che due Governi continueranno svolgere presso Dipartimento Stato opportuna azione diretta ad evitare presa posizioni che possano determinare reazioni francesi tali da turbare ulteriormente solidarietà occidentale.

Selwyn Lloyd informatoci che, secondo apprezzamento britannico, posizione Maresciallo Tito sarebbe in ribasso sia internazionalmente, specie confronti satelliti, che all’interno, cosicché Jugoslavia si verrebbe maggiormente orientando verso Occidente, specie Stati Uniti. Nonostante convinzione tale regresso interno, inglesi non sembra avere finora individuato alcun segno del sorgere di una efficace opposizione.

Circa rapporti commerciali Est-Ovest, ha dichiarato condividere nostre preoccupazioni per irrigidimento americano verso Cina in particolare, comunque verso Est. A tale riguardo concordatosi procedere scambio vedute e consultazioni prima di discutere con americani.

In conclusione è stato confermato deciso orientamento inglese in senso europeista, non disgiunto da realista coscienza difficoltà tuttora esistenti e ferma volontà mantenere vivi e operanti vincoli alleanza. Rilevatasi qualche critica relativamente talune manifestazioni politica americana, più in specifici settori che non in apprezzamento politica generale nonché intendimento procedere con massima cautela attendendone ulteriori sviluppi.


1 Diretto alle Ambasciate a Parigi, Washington, Londra e Bonn e alle Rappresentanze presso la N.A.T.O. a Parigi e presso l’O.N.U. a New York.


2 Vedi D. 256.

264

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALL’AMBASCIATA A BONN

T. segreto 766/13. Roma, 20 gennaio 1957, ore 12,30.

Trascrivesi seguente telegramma data odierna da Quaroni:

(Trascrivere testo originale telegramma da Parigi n. 37 del 18 corrente)1.

V.E. vorrà informare codesto Governo che consentiamo su opportunità passo congiunto sollecitando sua adesione e pregandolo impartire conseguenti istruzioni Ambasciatore tedesco a Washington2.

Brosio viene in pari tempo istruito prendere contatti con suoi colleghi francese e tedesco in vista passo comune di cui al punto 2 del sopra riportato telegramma3.


1 Vedi D 258.


2 Con T. segreto 1618/22 del 23 gennaio, Grazzi comunicò la risposta positiva del Governo tedesco in merito all’invio delle richieste istruzioni al proprio Ambasciatore a Washington.


3 Vedi D. 266.

265

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALL’AMBASCIATA A PARIGI

T. segreto 772/24. Roma, 20 gennaio 1957, ore 7.

Suo 371.

Proposta Faure non può non averci consenzienti. In tal senso è stato telegrafato Washington2 e Bonn pregando quest’ultimo sollecitare da Governo tedesco consenso e conseguenti istruzioni suo Ambasciatore Washington3. Prego V.E. sollecitare analoghe istruzioni4. Delegazione italiana Bruxelles informata5.


1 Vedi D. 258.


2 Vedi D. 266.


3 Vedi D. 264.


4 Non rinvenuta una risposta da Parigi. Si vedano al riguardo le dichiarazioni di Faure alla riunione dei Capi Delegazione del 21 gennaio di cui al D. 267.


5 Con T. segreto 768/13 del 20 gennaio, non pubblicato.

266

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALL’AMBASCIATA A WASHINGTON

T. segreto 775/41. Roma, 20 gennaio 1957, ore 16,30.

Trascrivesi seguente telegramma data odierna da Parigi:

(Trascrivere testo originale telegramma 37 da Parigi del 18 corr.)1.

Consideriamo proposta Governo francese assai utile e pertanto V.E. vorrà prendere contatto con suoi colleghi per concordare passo2. Ambasciate Parigi e Bonn sollecitano da rispettivi Governi diramazione conseguenti istruzioni loro Rappresentanti costà3.


1 Vedi D. 258.


2 Con T. segreto 1508/77 del 21 gennaio, l’Ambasciatore Brosio riferì che i suoi colleghi Alphand e Krekeler non avevano ancora ricevuto istruzioni.


3 Vedi DD. 264 e 265.

267

L’AMBASCIATORE A LUSSEMBURGO, VENTURINI1,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. urgente 1490-1496/18-192. Bruxelles, 21 gennaio 1957, ore …3 (perv. ore 2,20 del 22).

Oggetto: Mercato Comune. Proseguimento lavori.

18. Capi delle Delegazioni hanno finora discusso seguenti argomenti:

Agricoltura: linee di accordo si sono profilate per problemi preferenza e trasformazione organizzazione nazionale in organizzazione comune, mentre invece per prezzi minimi posizioni rispettive sono ancora lontane. Delegazione francese rifiuta tuttora accettare principio che prezzi minimi finiscano al massimo con fine periodo transazione; altre Delegazioni si tengono in posizione piuttosto neutrale. Persiste disaccordo circa prodotti cui si applicano speciali regole agricoltura.

Trasporti: compromesso quasi raggiunto su accettazione principio non discriminazione secondo nazionalità, ma senza pubblicità tariffa e tanto meno obbligo tariffazione. Esso appare soddisfacente e se accordo si conferma, questione potrebbe considerarsi chiusa.

Tariffa esterna: nostra insistenza perché base calcoli fossero, per quanto concerne Italia, dazi legali o almeno convenzionati ha incontrato netta opposizione e non è stata appoggiata nemmeno da Delegazione francese. Con riserve precise da parte nostra, è stato deciso un primo compromesso secondo cui prodotti chimici capitolo 29 oltre materie coloranti siano considerati prodotti finiti da calcolare con media aritmetica divisa per 3 plafond massimo ancora da fissare ma che dovrebbe aggirarsi su 20 per cento; invece prodotti capitolo 28 sarebbero considerati semi finiti con plafond massimo 10 per cento. Per tariffa prodotti agricoli vi è accordo a 5, con opposizione olandese, per applicare media aritmetica. Occorrerebbero urgenti istruzioni circa nostra posizione su problema generale tariffa esterna: sembrerebbe più utile avere elenco prodotti – industriali ed agricoli – che consideriamo particolarmente sensibili agli effetti tariffa esterna con indicazione minimo livello ritenuto necessario. Negoziato in corso mostra infatti che occorre porre precisa richiesta di tale genere per poi trovare formule generali che si attagliano al caso. Richieste maggiore protezione per materie prime e semi- … hanno ovviamente minori prospettive accoglimento.

19. Tre problemi hanno fatto oggetto accordo seduta ristretta Capi delle Delegazioni.

1) Ponderazione voti a Consiglio dei Ministri nonché livello maggioranza qualificata. Tutti hanno accettato, salvo olandesi che ne fanno seria questione politica, ripartizione seguente: 4 voti a grandi paesi, 2 Belgio ed Olanda, 1 Benelux; maggioranza qualificata 12.

Olandesi obiettano che questa formula permette ai 3 grandi paesi regolare anche contro volontà dei 3 piccoli le numerose ed importanti questioni in cui decisione non viene presa ad unanimità. Spaak ha proposto come compromesso che formula si applichi nei casi in cui decisione deve essere preceduta da proposta della Commissione europea; negli altri, che sono tuttavia pochi, maggioranza 12 voti dovrebbe comprendere almeno 4 paesi. Questione rinviata ai Ministri.

2) Per Banca investimento Faure ha proposto che l’Italia sottoscriva 225 milioni, contro 300 Francia e Germania, ma abbia ugualmente 3 seggi Consiglio d’Amministrazione. Proposta non è stata ancora accettata da Hallstein, che vorrebbe farci salire a 250 milioni. Olandesi non accettano ripartizione prevista, chiedendo che essa corrisponda a proporzione diversi redditi nazionali. Se ne riparlerà.

3) Questione territori oltre mare ha preso maggior parte giornata, con l’intervento anche Segretario di Stato Houphouët, deputato … È stato preso come base della discussione progetto Hallstein, che prevede distinzione da una parte fra investimenti sociali, con contributi a fondo perduto cui ammontare svincolo fissato nel trattato; e dall’altra particolari contributi investimenti in infrastrutture legate a progetto investimenti economici determinati. Discussione ha permesso chiarire soltanto in parte relativi punti di vista e verrà ripresa mercoledì mattina4. Abbiamo insistito nel senso fissato riunione nostro Consiglio dei Ministri esprimendo preferenze per soluzione che apporto altri paesi comunità prenda forma prestiti trasformabili eventualmente in doni.

Infine Faure, anche a nome Delegazioni italiana e tedesca, ha informato altre Delegazioni intenzioni concludere accordi bilaterali nucleari con Stati Uniti ed ha comunicato che rispettivi Ambasciatori a Washington avrebbero compiuto al riguardo passi presso Dipartimento di Stato.


1 Membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa di Bruxelles.


2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles. La prima parte del presente documento (T. 1490/18) pervenne alle ore 23,10, la seconda (T. 1496/19), partita alle ore 23,20, pervenne alle ore 2,20 del 22.


3 L’ora di partenza non è leggibile.


4 Il 24 gennaio.

268

IL MINISTRO DEI TRASPORTI, ANGELINI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. urgentissimo AEP.9-C.E.C.A.1. Roma, 22 gennaio 1957.

Oggetto: Mercato Comune.

Sul progetto di Trattato per il Mercato Comune, che è già stato ampiamente esaminato sul piano politico in occasione del Comitato dei Ministri del 14 gennaio u.s., desidero puntualizzare il mio pensiero.

La realizzazione di questo ordinamento, destinato ad imprimere una nuova e decisiva svolta al sistema economico europeo, non può non essere auspicata per i vantaggi che esso potrà assicurare all’economia dei paesi aderenti e quindi anche alla economia dei trasporti.

Il Mercato Comune contiene in sé tutte le premesse perché si possa giungere gradualmente al giusto dimensionamento ed equilibrio delle aziende di trasporto determinando un’offerta dei servizi globali di trasporto sempre più proporzionata ai bisogni dell’economia, in modo da eliminare situazioni anti-economiche e anti-sociali, laddove esse sussistano.

Tuttavia, non si può trascurare di tener presente che il nuovo ordinamento avrà vigore per un cinquantennio, circostanza questa che assume una particolare importanza per il settore dei trasporti, la cui politica e la cui tecnica sono in continua evoluzione. Di qui, l’opportunità di evitare, per quanto possibile, l’inserimento nel Trattato di criteri e direttive che vincolino, comunque, la futura politica dei trasporti e, ancor più, che in esso si statuiscano disposizioni che comportino oneri e soggezioni per un modo di trasporto o per l’altro.

In effetti, il testo del Trattato, nella sua ultima stesura – essendo state eliminate, nella parte che si riferisce ai trasporti, talune disposizioni contenute nelle precedenti edizioni, le quali comportavano gravissimi oneri – risponde sostanzialmente ai criteri cui ho sopra accennato.

Ritengo, però, che da parte italiana, si debba fare ogni sforzo perché sia superata ogni perplessità sul mantenimento della norma che prevede la costituzione di un Comitato di Esperti al quale sia affidata, al fine del migliore funzionamento del Mercato Comune, la trattazione degli affari di trasporto per strada, via d’acqua, e per ferrovia. Sarebbe, anzi, auspicabile che, nel quadro delle Istituzioni del Mercato Comune, a tale Comitato fossero attribuite non solo funzioni consultive, ma, soprattutto, i necessari poteri per l’assolvimento del suo mandato senza vincolare, peraltro, le iniziative che in futuro si manifestassero più utili per il conseguimento degli obiettivi di carattere generale.

Il mio giudizio, pertanto, è favorevole al progetto di articoli contenuti nel Capitolo V del Trattato, con la raccomandazione che, nell’ulteriore studio del progetto, oltre alla soppressione della norma anzidetta, sia evitata anche l’inclusione di disposizioni che possano comportare discriminazioni di oneri tra i diversi modi di trasporto, specie in materia di tariffe.


1 Diretto al Gabinetto e alla Direzione Generale degli Affari Economici e per conoscenza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

269

L’AMBASCIATA DEL REGNO UNITO A ROMAAL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Promemoria1. Roma, 24 gennaio 1957.

AIDE-MÉMOIRE

As the Ministry of Foreign Affairs already know from the message to His Excellency Signor Martino from the Chancellor of the Exchequer, which was delivered on the 30th of November2, Her Majesty’s Government are prepared to enter into negotiations for the establishment of a European Free Trade Area with other O.E.E.C. countries, including the members of the Customs and Economic Union, provided that foodstuffs (broadly, these goods within the scope of Chapters 1 to 24 of the Brussels nomenclature) are excluded.

They sincerely hope that as many other members as possible of O.E.E.C. will follow their lead now that the O.E.E.C. Working Party n. 17 has reported that a Free Trade Area is practicable.

2. The next step so far as the European Free Trade Area is concerned will be taken at the Ministerial Council meeting of O.E.E.C. in Paris on February 12 and 133, which will be attended on behalf of Her Majesty’s Government by the Chancellor of the Exchequer and the President of the Board of Trade. It is then hoped that agreement will be reached on how to proceed with negotiations between the six Messina Powers and those other members of O.E.E.C. wishing to enter the Free Trade Area.

3. There is reason to believe that certain members of O.E.E.C. (Greece, Iceland, the Irish Republic, Portugal and Turkey) may wish to be associated with the Free Trade Area from the outset, although they are not in a position, or are unwilling, to accept the obligation to remove tariffs and other restrictions over the whole field of trade in industrial goods. It may be that one of the reasons prompting their desire to join the Free Trade Area is the belief that foodstuffs may still be included. In speaking to M. Spaak in London on the 15th of January the Chancellor of the Exchequer4 made it clear that Her Majesty’s Government’s obligations, both to Commonwealth countries and to United Kingdom producers, would prevent the United Kingdom from going forward with the Free Trade Area if the exclusion of foodstuffs could not be established as a preliminary condition. Her Majesty’s Government understand in any case that the six Messina Powers are contemplating a managed market in agriculture, and not free trade. Any suspicion that the United Kingdom might be associated with arrangements of this kind in Europe, to the detriment of overseas trade, would give rise to great difficulties for the United Kingdom Government. It would arouse opposition from the Commonwealth countries, and might result in opposition to the Common Market both from Commonwealth and from other countries in G.A.T.T.

4. There is a second consideration, namely, that the case of agriculture is quite different from that of industrial products. The principal advantage of a Common Market is, in the view of Her Majesty’s Government, that it provides the wide basis that industry requires today if it is to take advantage of modern methods of production and to obtain economies arising out of the scale of its operations or of specialization. This consideration does not apply to agriculture.

5. Moreover Her Majesty’s Government are convinced that if the Free Trade Area is to be set up quickly, and is to have the blessing of major trading countries outside Europe, such as the United States and Canada, it must consist at the outset of those countries prepared to carry out the full obligations of membership on a reciprocal basis. To give particular member countries a privileged position would be inconsistent with the G.A.T.T., and would undoubtedly cause trouble in that organization, since it could not fail to appear to be the creation of a discriminatory regional bloc. There is also the practical consideration that if the possibility were once admitted of selecting the articles on which concessions are to be made, negotiation would become extremely difficult, and the governments of all potential participants would be exposed to all kinds of claims for special treatment from their domestic interests.

6. Her Majesty’s Government have no desire, however, to exclude permanently from the Free Trade Area any members of O.E.E.C, and are willing to consider how far it be possible for those members of O.E.E.C. who do not feel able yet to accept the obligations of full membership to be associated with the Free Trade Area in the meantime on some special but reciprocal basis. The negotiation to establish the Free Trade Area should, in the view of Her Majesty’s Government, take place within O.E.E.C. between those members who are prepared to accept in principle the full obligations, the other members of O.E.E.C. being able to follow the discussions as observers. Before these negotiations are completed an examination could be made of what special and reciprocal arrangements consistent with other international obligations could be devised to associate other members of O.E.E.C. with the Free Trade Area. The position of all members would thus be safeguarded. Final decisions by the Council would be taken in the light of both the Free Trade Area negotiation and the report of this examination.

7. Her Majesty’s Government attach the highest importance to the early establishment of a European Free Trade Area, both on political and economic grounds. The position of the countries mentioned in paragraph 3 may constitute a major obstacle to ready agreement in the Ministerial Council of O.E.E.C. on the 12th and 13th of February. Her Majesty’s Government hope that the Italian Government share their general views and that the Italian representatives at the meeting of the Ministerial Council will find themselves able to facilitate a decision on the lines set out in paragraph 6.


1 Trasmesso da Ducci alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Berna, Bonn, Bruxelles, Copenaghen, L’Aja, Londra, Lussemburgo, Oslo, Parigi, Stoccolma, Vienna, Washington, Karachi, New Delhi, Ottawa e Pretoria, alle Legazioni a Dublino, Lisbona, Canberra, Colombo e Wellington, alle Rappresentanze presso l’O.E.C.E. e presso la N.A.T.O. a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, presso l’O.N.U. a New York e alla Delegazione Permanente presso le istituzioni specializzate delle Nazioni Unite a Ginevra (Telespr. 44/ 01594 del 31 gennaio) con la seguente notazione: «Per opportuna conoscenza e documentazione si trasmette l’unito pro-memoria in data 24 corrente, con il quale l’Ambasciata di Gran Bretagna in Roma – nel confermare l’urgenza che il Governo inglese annette alla creazione della “zona di libero scambio” – riassume il punto di vista del Governo di Londra circa alcuni problemi relativi all’attuazione di tale progetto, specialmente per quanto riguarda l’esclusione dei prodotti agricoli».


2 Vedi D. 235.


3 Vedi D. 287.


4 Vedi D. 257.

270

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, BROSIO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 1846/90. Washington, 25 gennaio 1957, ore 18,55 (perv. ore 2 del 26).

Oggetto: Mercato Comune.

Miei telespressi 64 e 1571.

Secondo accenni raccolti confidenzialmente, Dipartimento di Stato avrebbe riscontrato con un certo disappunto mancanza di recettività dimostrata dai paesi membri futuro Mercato Comune europeo a problemi non discriminazione area dollaro e in particolare a problemi collocamento prodotti agricoli americani, quali esposti in recenti iniziative questo Governo.

Risultaci che Dipartimento starebbe riesaminando opportunità o meno puntualizzare nuovamente suo interesse verso problemi integrazione europea, purché venga tenuto conto esigenze americane, che si credeva che passi svolti a suo tempo e recente comunicato avessero sufficientemente illustrato. Prenderemo nuovamente contatto al riguardo e riferiremo2.


1 Non rinvenuti.


2 Vedi D. 274.

271

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SEGNI

T. 1912/261. Bruxelles, 26 gennaio 1957, ore 19,49 (perv. ore 22).

Ho ottenuto oggi2, a proposito della costituzione dell’Assemblea europea per Mercato Comune ed Euratom, che sia prevista nel testo stesso del Trattato una procedura grazie alla quale, a qualsiasi momento, l’Assemblea possa presentare proposta per sua elezione a suffragio universale diretto. Consiglio dei Ministri, pronunciandosi su di essa all’unanimità, ne raccomanderebbe l’adozione ai Parlamenti Nazionali.

Abbiamo poi discusso ponderazione dei voti nel Consiglio dei Ministri e criteri ripartizione spesa comune. Nostra ponderazione sarà uguale a quella Francia e Germania per tutte decisioni di carattere generale e per voto bilancio di esercizio delle istituzioni Mercato Comune e Euratom. Per bilancio ricerche e investimenti Euratom nostra percentuale spesa sarà del 23%, il che costituisce per il periodo iniziale di cinque anni un risparmio per noi di circa 170.000 dollari su contributo inizialmente previsto.

Per sottoscrizione capitale Banca Investimenti si è stabilita quota francese a 300 milioni, e nostra quota a 240 milioni. Tutti e tre i grandi paesi avranno però eguale numero membri del Consiglio Amministrazione, e cioè tre ciascuno.

È stata iniziata discussione problema territori oltremare e agricoltura, che continuerà domani mattina3.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Nel corso della riunione dei Ministri degli Esteri svoltasi a Bruxelles nei giorni 26-28 gennaio e 4 febbraio. Per il verbale della riunione vedi Appendice documentaria, D. 6.


3 Vedi D. 272.

272

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SEGNI,E AL MINISTRO DELL’AGRICOLTURA, COLOMBO

T. 1944/271. Bruxelles, 27 gennaio 1957, part. ore 2 del 28 (perv. ore 5,30).

Oggetto: Riunione ministri esteri.

Raggiunto accordo principali questioni agricoltura2. Fissata lista prodotti sottoposti regime speciale agricoltura. Esclusi da tale lista segnatamente paste alimentari, prodotti dolciari, vini aromatizzati, marmellate. A fine compromesso consentite in generale carni preparate e conserve ortaggi in scatola essendo possibile sostenere che tali prodotti non fossero di prima trasformazione.

D’altronde loro esportazione è diretta principalmente paesi terzi. Loro esclusione avrebbe costituito pericoloso precedente territori oltremare. Lista predetta comprende segnatamente lattieri, caseari, vini, olii, canapa, sughero.

Regolato meccanismo prezzi minimi che sono di regola consentiti soltanto periodo transizione previa fissazione criteri massima entro 3 anni e possibilità decisione di soppressione dopo 8 anni mediante Consiglio maggioranza qualificata. Finito periodo transizione potranno essere consentiti prezzi minimi solo in base decisione Consiglio maggioranza semplice.

Accettato principio che prezzi minimi saranno consentiti soltanto in vista progressivo allargamento scambi.

Segue altro telegramma3.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Vedi anche D. 271.


3 Vedi D. 273.

273

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SEGNI

T. 2016/281. Bruxelles, 28 gennaio 1957, ore 19,57 (perv. ore 24).

Oggetto: Riunione Ministri Esteri.

Stamane Conferenza ha ripreso esame problema associazione paesi e territori oltremare. Spaak ha formulato principi di un possibile protocollo di intenzioni anche per dare modo ai Ministri dei vari paesi di precisare posizione rispettivi paesi.

Discussione ha fatto emergere che vi è unanimità nel riconoscere necessaria tale associazione e compartecipazione paesi Comunità a investimento per sviluppo economico territori anzidetti. Peraltro larghe divergenze permangono nel determinare sino da ora metodi ed ampiezza compartecipazione Comunità: varie formule sono state esaminate senza poter giungere a conclusione. Si è rimasti intesi di incontrarsi qui lunedì 4 febbraio2 per proseguire scambi di vedute su questo problema e risolvere altri punti ancora in discussione in Sottocomitato Capi Delegazione che ha lavorato a fianco della Conferenza.

Nostra proposta estendere possibilità associazione Libia e comprendere Somalia non ha incontrato opposizione e verrà esaminata per aspetto tecnico relativo.

Faure, nel mettere in luce posizione francese su questione territori oltremare, ha precisato essere necessario che il protocollo da redigere contenga degli impegni generali, ma indichi anche un minimo di impegno finanziario preciso in ordine di grandezze.

Governo francese si rende conto difficoltà anche altri paesi ed è per questo che Presidente Mollet ha ritenuto necessaria riunione Capi di Governi3.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Martino comunicò (T. urgentissimo 2564/31 del 4 febbraio) che in tale seduta era stato raggiunto l’accordo sul problema agricolo e sulle tariffe esterne e che la Delegazione tedesca aveva presentato un nuovo progetto di protocollo per i territori oltremare che sarebbe stato discusso nella successiva riunione dei Ministri degli Affari Esteri.


3 Del 19-20 febbraio, vedi Appendice documentaria, D. 8.

274

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, BROSIO,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 2038/96. Washington, 28 gennaio 1957, ore 22,16(perv. ore 7,30 del 29).

Oggetto: U.S.A. e Mercato Comune.

Mio 901.

Dipartimento che abbiamo cautamente avvicinato per accertare fondatezza notizie di cui citato telegramma, dichiaratoci che mentre esse rispecchiano effettivamente stato animo prevalente in ambienti questi Dipartimenti Agricoltura, Commercio e Tesoro, erasi ciononostante deciso non effettuare ulteriore passo verso i sei Governi sia perché ritenevasi che punto vista americano fosse già stato sufficientemente illustrato, sia per evitare dare impressione di interferenze e pressioni americane in questione di stretta competenza europea.

Problema aveva tuttavia fatto oggetto di franca conversazione fra Ambasciatore U.S.A. Bruxelles e Delegazione francese Conferenza Mercato Comune. E ciò perché mentre questione esportazione prodotti agricoli costituisce problema politico per i sei Governi come per quello U.S.A., qui riconoscesi che aspetti e clausole Mercato Comune, che americani considerano meno favorevoli, se non discriminatorie, verso prodotti agricoli questo paese, hanno origine in rigido atteggiamento francese al riguardo.

In proposito Dipartimento riconfermando quanto già dettoci precedentemente (mio telespresso 64)2, dichiaratoci che preoccupazione principale ambienti americani interessati è che accordi Mercato Comune non solo non debbano risolversi in immediato peggioramento situazione esportazioni agricole americane Europa, ma lascino anche ragionevoli prospettive per rafforzamento economia agricola europea allo scopo renderla competitiva su mercato internazionale e di non dover perciò richiedere mantenimento indefinito barriere protezionistiche.

A titolo personale, nostri interlocutori aggiuntoci che inclusione dichiarazione di principio in questo senso in accordi Mercato Comune, analogamente a dichiarazione contenuta accordi C.E.C.A., aiuterebbe Dipartimento superare diffidenze esistenti presso altre branche Amministrazione, e sostenere opportunità che Stati Uniti appoggino attivamente accordi Mercato Comune, specialmente quando questi verranno esaminati in sede G.A.T.T. Anche questione restrizioni quantitative in relazione negoziati previsti per fissazione tariffa esterna appare preoccupare questi ambienti commerciali e finanziari.

Dipartimento concluso pertanto che atteggiamento finale americano circa Mercato Comune sarà determinato da risposte che potranno darsi seguenti quesiti:

1) se barriere mantenute saranno veramente transitorie e per quanto tempo;

2) se dal complesso disposizioni accordi stessi si potrà ragionevolmente ritenere che Mercato Comune si trasformerà in area di competizione internazionale e non di discriminazione in vista costituzione economica autarchica europea;

3) quale situazione verrà riservata, sia immediatamente, sia a lunga scadenza, a prodotti agricoli americani.


1 Vedi D. 270.


2 Non rinvenuto.

275

L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 1088/2481. Bonn, 28 gennaio 1957.

Oggetto: Germania e Italia di fronte alla Conferenza di Bruxelles.

Può essere interessante notare che, mentre tante similarità esistono tra Italia e Germania rispetto alle grandi questioni internazionali, di maniera che le posizioni dei due paesi assai sovente risultano allineate e tali da venirne vicendevolmente rafforzate, forti differenze esistono invece in fatto di integrazione europea, nella concezione e nelle aspettative che l’una o l’altra nazione possono farsi. Ciò, almeno per quanto è dato giudicare da qui, cioè non potendo questa Ambasciata essere compiutamente al corrente degli ultimi svolgimenti delle riunioni di Bruxelles, e sopratutto degli apprezzamenti che V.E. e la nostra Delegazione hanno avuto campo di fare colà.

È da premettere che la volontà del Cancelliere di raggiungere una unificazione politica europea è da ritenere forte e ferma quanto la nostra, e in un certo senso ancor più della nostra. Ciò perché, come è stato ripetutamente osservato da questa Ambasciata, il centro della politica del Cancelliere risiede nella sua volontà di ancorare solidamente la Germania attuale ad un sistema democratico occidentale prima che il corso degli avvenimenti e le incognite che essi recano seco abbiano ad influire sullo spirito della popolazione e sui governi futuri, ed a lasciare quindi la Germania libera da ogni ormeggio e in pericolo di questa o di quella deriva, in una direzione come in un’altra. Ma è appunto questa volontà del Cancelliere, la quale subì un cosi rude colpo a seguito della non approvazione della C.E.D., che giustifica il rilievo di alcune differenze di atteggiamento con quello italiano: in quanto il desiderio politico del Cancelliere, e del Governo tedesco attuale in genere, di raggiungere questo «ancoraggio all’Occidente» è così determinante, che le considerazioni economiche passano in un certo senso in seconda linea, lo scopo essendo tanto alto che i mezzi per raggiungerlo possono anche non apparire eccessivi.

È per questo – ed i francesi lo hanno ben capito – che il Cancelliere ha costantemente ceduto di fronte alle ripetute esigenze francesi, le quali, cominciate subito dopo le prime conversazioni sulla Saar e questioni connesse, hanno condotto a ripetuti e pressanti interventi in difesa di quelle riserve, di quelle cautele e alternative che, sulla base delle resistenze parlamentari francesi il Governo di Parigi non ha mancato di presentare a Bonn prima che a qualsiasi altro paese, ottenendone sempre l’assenso, se non addirittura l’appoggio. Giacché il Cancelliere, proprio per raggiungere il suo scopo politico di consolidare la democrazia in Germania prima che gli avvenimenti interni od esterni abbiano ad influire la popolazione in senso contrario, ha bisogno come condizione previa di una vasta e duratura intesa con la Francia, oltreché della presenza effettiva della Francia stessa nel futuro insieme europeo.

V. E. ricorderà come, per non rischiare di dover o silurare l’unità europea o di essere indotto a tentarla senza la Francia, il Cancelliere abbia ugualmente compiuto la sua visita a Parigi ai primi di novembre2, allorché l’opinione pubblica tedesca, l’opposizione e parte dei gruppi di maggioranza erano così montati contro l’impresa franco-inglese da far supporre che col suo gesto il Cancelliere rischiasse una pericolosa impopolarità. E ricorderà certo che le più scottanti questioni tempo fa in sospeso (adeguamento dei carichi sociali ecc.) vennero risolte su un piano essenzialmente politico fra Adenauer e Mollet, in pochi minuti, durante il citato incontro delle drammatiche giornate di novembre. Ugualmente, per il principio dell’estensione del Mercato Comune ai territori d’oltre mare, per cui due visite ha compiuto Faure presso Hallstein, visite che han dato il risultato voluto dai francesi ed han trascinato tutti gli altri, per lo meno verso un’accettazione generica della richiesta francese.

In questo atteggiamento, di accettazione o di meno che tiepida resistenza alle mai ultime e sempre rinnovate riserve ed esigenze francesi, il Cancelliere è però fortificato da due elementi. Il primo è che anche l’agricoltura tedesca soffre di complesso di inferiorità e non domanda di meglio se non di essere protetta e difesa, oggi al di fuori e domani al di dentro del Mercato Comune. Talché, una tacita intesa in materia di agricoltura è di per se stessa più facile tra francesi e tedeschi che non tra francesi e noi.

In secondo luogo, la situazione dell’industria tedesca, i suoi mezzi, l’ampiezza del suo mercato interno e sopratutto la larghezza dei suoi sbocchi all’estero sono ormai tali, che ben scarsa preoccupazione può destare, più che nei circoli industriali, nello stesso Governo, la concorrenza dell’industria francese, anche se essa non dovesse essere mitigata da altre contropartite, il che nel caso nostro sarebbe costituito dall’apertura alle esportazioni agricole. Perciò sono state senz’altro accolte, sia pure dopo le prime obiezioni del Ministro Erhard, le pretese francesi di adeguamento sociale e fiscale, quasi spingendo la futura comunità ad orientarsi fin dall’inizio verso l’alto e non verso il basso come sarebbe accaduto se l’equiparazione di tali costi fosse stata la conseguenza e non la premessa del Mercato Comune. Giacché anche a parità di costi e di carichi, l’industria tedesca sa di non temere all’interno la concorrenza francese, e di temerla ancor meno sui mercati terzi, ove, per tradizione e per rinnovata abilità postbellica, gli industriali tedeschi si sono fatti una posizione di gran lunga superiore, di poi ulteriormente rafforzata specie nel Vicino e Medio Oriente a seguito del ritiro della influenza anglo-francese.

Difficoltà è invece da prevedere sussisteranno in relazione all’estensione del Mercato Comune ai territori d’oltre mare: perché, se il principio è stato accolto da parte tedesca senza molte esitazioni, la scarsezza di capitali in Germania e più ancora il timore di giuocarsi la riaffermata posizione in Oriente pel fatto di apparire sostenitori del colonialismo francese fanno sì che in questo particolare settore la acquiescenza tedesca abbia dei limiti ben determinati.

In conclusione però, è da ritenere che nel campo della unificazione europea – parlo specialmente del contenuto e degli scopi economici di essa – la Germania sia e sarà vicina piuttosto alla Francia che non a noi, la nostra posizione, in questo speciale settore, avvicinandosi perciò maggiormente, se non vado errato, a quella dei paesi del Benelux ed in specie dei Paesi Bassi che non a quella dei tedeschi.

Per quanto infine riguarda l’Euratom, la posizione tedesca è in parte speciale. Per ragioni di prestigio, la Germania avrebbe voluto che venisse da tutti accettato l’impegno cui essa sottostà a seguito dei Trattati di Parigi ·di·non utilizzare l’energia atomica a fini bellici. Battuta su questo punto, la Germania non aveva più che un interesse: quello che venisse lasciato ai propri industriali la più larga autonomia possibile nel quadro degli impegni generali, per consentire loro di sfruttare al massimo le proprie capacità tecniche ed inventive che, appunto se maggiormente autonome, sono in grado di riguadagnare rapidamente gli anni perduti e di andare al di là.

Per conseguenza, liberista in materia atomica, la Germania non ha difficoltà a divenire più dirigista in fatto di Mercato Comune, pur di assicurarsi l’entrata della Francia prima e la ratifica degli accordi poi, per ottenere la quale essa è disposta a sacrificare, molto più di quanto non lo siamo noi, degli interessi che però sono per essa molto meno vitali.


1 Diretto per conoscenza alle Ambasciate a Londra, Mosca, Parigi e Washington e alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico, a Parigi.


2 Vedi D. 229.

276

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

R. riservato 0169. Parigi, 28 gennaio 1957.

Oggetto: Mercato Comune.

Signor Ministro,

non è facile dosare gli aspetti positivi e quelli negativi del dibattito al Parlamento francese sul Mercato Comune.

Il Governo, in base al suo ordine del giorno, ha cominciato col chiedere un mandato in bianco per negoziare e firmare.

Era veramente questa 1’intenzione del Governo? Mi sembra difficile supporre che un vecchio parlamentare esperto come Guy Mollet potesse farsi seriamente delle illusioni in proposito. La Francia ha un regime di Assemblea: i poteri dell’esecutivo sono strettamente limitati, al disotto del minimo necessario per governare, anche per fare solo dell’ordinaria amministrazione. Ma l’Assemblea è gelosissima di questa sua posizione di preminenza e si è sempre costantemente rifiutata di accordare al Governo qualsiasi cosa che rassomigli anche da lontano ai pieni poteri. Figuriamoci poi in una materia come questa che tocca da vicino gli interessi elettorali dei deputati.

L’opposizione che vorrei chiamare conciliabile, con l’ordine del giorno detto dei quattro Presidenti (mio telegramma n. 40 del 18 corr.)1 ha cercato di limitare la libertà di negoziati del Governo imponendogli delle condizioni tassative.

Il risultato è stato un compromesso. Il Parlamento non ha accettato il mandato in bianco: il Governo non ha accettate le condizioni imperative, le ha però immesse, diluite, nell’ordine del giorno su cui ha avuto luogo la votazione.

Il Governo resta libero di negoziare con i suoi partners come crede: sa però – ed i suoi partners dovrebbero saperlo egualmente – a quali condizioni il Parlamento potrebbe ratificare. Il Parlamento non si è realmente impegnato a ratificare; non ha però nemmeno preso posizione nettamente contraria: i «préalables» sono precisi e limitati: si sono evitati tutti gli imprevisti se e ma messi, a suo tempo, alla C.E.D.

In pratica il massimo che si poteva sperare di ottenere con un Parlamento come quello francese. Le manie di precisione dei francesi, la loro mentalità notarile, rendono impossibile impegnarsi realmente altro che su di un testo scritto: si vuol vedere e pesare il significato di ogni parola.

Si è anche delineato più chiaramente il campo nemico: anche qui poche novità: però anche i più ottimisti hanno potuto persuadersi che la lotta sarà aspra, il margine ristretto e quindi fino all’ultimo non scevro di incertezze.

Contro sono scesi in campo i soliti della C.E.D: oltre i comunisti Mendès-France, i poujadisti, la destra irriducibile di Pierre André. Fuori del Parlamento, Auriol, Herriot, il conte di Parigi: si aspetta da un momento all’altro l’uscita di De Gaulle che probabilmente si riserva per l’ultima battuta. La solita alleanza poco santa di due tendenze che dovrebbero in realtà essere agli antipodi: una corrente di estrema destra che si oppone a qualsiasi innovazione che possa disturbare più che i suoi interessi le sue abitudini: che si rifiuta di sostituire ai controlli – ed agli interventi – nazionali, che sa come trattare dei controlli e degli interventi internazionali che sfuggirebbero alle loro influenze esclusive. E una corrente di sinistra (Mendès-France, Auriol, Herriot) la quale, in qualsiasi processo di unificazione europea, anche se attenuato, vede una alienazione della libertà d’azione della politica estera francese, intesa questa libertà d’azione come la libertà per la Francia di trattare eventualmente, da sola, coll’Unione Sovietica e trarre da queste eventuali trattative dei vantaggi per la Francia sola: che è poi anche la tesi di De Gaulle pur non essendo uomo di sinistra.

L’opposizione che ho chiamata conciliabile è l’opposizione del Patronat, sezione Georges Villiers (che non è la sezione intransigente dei Wendel e C.°) e che sul piano parlamentare vuol dire gli indipendenti. È infatti significativo che l’ordine del giorno dei quattro Presidenti ripeta, sostanzialmente, i punti essenziali del memorandum del Patronat (mio telegramma n. 60/51 del 23 corr.)2.

Verrò poi sui punti singoli. Politicamente importante è che Patronat e indipendenti impostano il problema nei seguenti termini. L’industria francese non può accettare la concorrenza quando essa è messa in condizioni di inferiorità, di fronte a paesi come la Germania e l’Italia, dalla sua legislazione sociale più avanzata (settimana di 40 ore, parificazione assoluta dei salari maschile e femminile, etc.). Noi accettiamo per buono l’impegno di parificazione assunto sopratutto dai tedeschi dopo il colloquio Adenauer-Mollet3: ma questo accordo si riferisce alla legislazione sociale francese quale essa è oggi. Ora voi socialisti state pur studiando e prendendo una serie di misure economico-sociali le quali aggravano ancora la situazione sfavorevole dell’industria francese: a questo noi vi diciamo, no. Dovete anche voi accettare la sopranazionalità ed accontentarvi di realizzare in Francia solo quelle innovazioni sociali che anche gli altri sono disposti ad assumersi.

In altre parole gli indipendenti pongono al Governo un’alternativa. Se voi rinunciate a tutto il carrozzone sociale di Gazier, noi voteremo il Mercato Comune: se voi non vi rinunciate voteremo contro.

Questa presa di posizione degli indipendenti è indiscutibilmente grave. Non vedo bene come Mollet ne può uscire: ci vorrebbe una «journée des dupes»: non so quanto gli indipendenti, elettrizzati dal loro successo elettorale a Parigi, e sopratutto il Patronat sono disposti a lasciarsi «duper». Se non si riesce a trovare una formula di accordo, il Governo Mollet cade. Ora Mollet, Presidente del Consiglio, rappresenta il 70% delle chances che ha il Mercato Comune di passare; Pleven, che è il suo successore più probabile, non è personalmente meno europeo di lui, ma abbiamo già fatto esperienze con lui in materia di C.E.D.: a tal punto che viene fatto di chiederci fino a che punto la manovra degli indipendenti non miri a silurare il Mercato Comune facendo cadere il Governo attuale.

Alla Camera francese ci sono, grosso modo, un 250 deputati irriducibili contro il Mercato Comune, come contro qualsiasi altra forma di integrazione europea: con loro non c’è niente da fare. Ce ne sono più o meno altrettanti che sono altrettanto irriducibilmente a favore di tutto quello che è europeo e su cui si può sempre contare. La decisione è nelle mani di un centinaio di incerti, che sono quasi tutti fra gli indipendenti ed i radicali di destra: e non bisogna sottovalutare l’influenza del Patronat su questi settori.

Reynaud e Pinay sono due europeisti convinti: eppure si sono prestati ad una manovra della quale il minimo che si può dire è che essa mette in serio pericolo la riuscita del Mercato Comune. Reynaud, per essere rieletto, ha bisogno dell’aiuto di Boussac, Pinay, per la sua stampa, ha bisogno dell’aiuto di Prouvost: sono tutti e due dei tessili i quali hanno una paura maledetta della concorrenza italiana.

Comunque queste sono delle circostanze politiche interne francesi su cui noi non possiamo avere che un’influenza molto relativa. La delicatezza della situazione interna ci chiede però di evitare che intervengano nuove difficoltà, queste di origine esterna.

Sull’influenza, decisiva, che può avere un voto non favorevole dei partners europei – e della stessa America – al dibattito per l’Algeria, ho già riferito più volte ed è inutile tornarvi.

Dei tre punti menzionati dall’ordine del giorno dei quattro Presidenti che – ripeto – costituisce in realtà l’elenco dei «préalables» senza i quali non ci sarà ratifica, due, e cioè quelli che si riferiscono all’agricoltura e alla parificazione dei carichi sociali e salariali, sembrano, a quanto si dice qui, essere sulla via di soluzioni che qui sono considerate come soddisfacenti: se questo è esatto, su questi punti non ci dovrebbero essere difficoltà insuperabili.

Il punto cruciale sono i territori d’oltremare.

È un punto su cui s’intrecciano interessi reali ed interessi demagogici, nel senso buono se si vuole. È un po’ come per noi la questione della libera circolazione della mano d’opera: ne sappiamo benissimo le difficoltà e limitazioni pratiche, ma siamo sempre obbligati a chiedere che se ne proclami il principio, perché essa è in Italia una magnifica piattaforma di propaganda per l’idea europea. Anche se qui fa invece l’effetto contrario.

La Francia non vuole abbandonare il suo impero: comincia a rendersi conto, finalmente, che il conservarlo e soprattutto il metterlo in valore supera di gran lunga le sue forze sole. Allora consente a cominciare ad aprire un po’ le porte della sua riserva di caccia ai suoi colleghi europei: ma in cambio si domanda loro di assumersi la loro quota parte, proporzionale, del peso dell’impero sulle Casse statali e sulle tasche dei contribuenti.

Come ho già riferito a V.E., la «relance» europea nell’opinione pubblica francese, che è innegabile, è basata sulla speranza di poter avere il concorso della forza e delle risorse dell’Europa nella sua lotta per mantenere l’impero. La partecipazione agli investimenti statali è il simbolo di questa speciale concezione dell’Europa. Se l’Europa risponde, il Mercato Comune trova la sua giustificazione di fronte al grosso pubblico: se l’Europa continua a nicchiare, allora la risposta del francese della strada, che è poi anche quel deputato della strada incerto, che è quello che decide, sarà: e allora perché? Non per nulla Mendès-France, di cui non bisogna sottoestimare l’abilità, ha fatto del dubbio della vera solidarietà africana ed imperiale dell’Europa il centro del suo attacco contro il Mercato Comune.

La questione è capitale: ed è solo per questo che Mollet vuol riunire i Presidenti del Consiglio. Egli spera, anche questa volta, di ottenere dalla comprensione e dal senso europeo di Adenauer quello che i suoi subordinati ed esperti gli rifiutano. Se lo si ottiene prima a Bruxelles il convegno dei Presidenti non ha molta ragione di essere: se non lo si ottiene, esso diventa l’ultima chance.

Ho detto apposta la Germania, perché le nostre riserve hanno molto meno importanza. Prima di tutto il nostro pro-rata non sarebbe comunque decisivo. Si ritiene qui che si potrebbe per noi trovare una compensazione soddisfacente fra quello che dovremmo dare, quasi simbolicamente, per gli investimenti in Africa, e quello che potremmo prendere per le nostre aree sottosviluppate dalla Banca di investimento. Comunque, per la parte che ci riguarda, se abbiamo delle considerazioni speciali da far valere, mi permetterei di consigliare di farle valere direttamente qui, a Parigi, in via bilaterale, prima dell’eventuale riunione dei Presidenti. Per molte ragioni, sarebbe bene che si cercasse di arrivare a questa riunione avendo già prima salvaguardato i nostri interessi con i francesi.

La situazione del Mercato Comune – e dell’Euratom – è differente da quella della C.E.D. Non c’è mai stata la minima chance che la C.E.D. passasse al Parlamento francese: il Mercato Comune può passare, ma di misura.

Si parla spesso, in questa materia, di ricatti francesi ed in una certa misura è anche vero. Ma è pure vero che, di tutti noi, la Francia – parlo del Parlamento sovrano – è quella che meno lo vuole. E allora noi abbiamo due alternative: o siamo realmente decisi, in caso, a fare il Mercato Comune anche a cinque e allora possiamo tener duro finché si vuole. O siamo dell’opinione che la presenza della Francia è indispensabile, e allora bisogna subirne anche i ricatti.

Per ultimo, vorrei accennare che l’atteggiamento inglese non manca di destare qualche dubbio e qualche preoccupazione.

Già da tempo avevo notato, come del resto per il caso della C.E.D., che tutti gli uomini politici francesi più notoriamente legati agli inglesi fanno tutti una campagna accanita contro il Mercato Comune. Ora il rapporto di Londra del 7 corrente n. 334/2224 viene a confermare queste mie perplessità. Quando gli inglesi ci dicono che per avere la partecipazione inglese alla zona del libero scambio è opportuno che non ci sia organizzazione del Mercato Comune dell’agricoltura, e non ci sia associazione dei territori d’oltremare al mercato, delle due l’una: o gli inglesi non hanno la minima idea della situazione parlamentare francese, o vogliono deliberatamente silurare il Mercato Comune ed orientarci tutti invece verso una associazione di carattere differente: la sola zona di libero scambio. E sarebbe difficile non stabilire un collegamento fra quello che ci è stato detto a Londra e le invocazioni patetiche di Mendès-France di non far niente che possa rendere difficile l’accessione della Gran Bretagna.

È questo un punto che bisognerebbe chiarire, perché se la posizione inglese è realmente quella che è stata detta ai belgi ed a noi a Londra, allora le chances del Mercato Comune diminuiscono di molto. Resta sempre molto difficile far votare qui al Parlamento francese qualche cosa a cui l’Inghilterra sia contraria.

La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio.

Quaroni


1 T. 1242/40, non pubblicato.


2 T. 1639/51, con il quale Quaroni aveva trasmesso il testo dell’ordine del giorno sul Mercato Comune approvato dall’Assemblea Nazionale francese commentato nel presente documento.


3 Vedi D. 229.


4 Non pubblicato.

277

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. riservata 112 segr. pol. Roma, 30 gennaio 1957.

Carissimo,

di ritorno da Bruxelles prendo conoscenza della tua n. 125 al 22 gennaio1.

Devo dirti che Selwyn Lloyd non fu cosi esplicito, durante le sue conversazioni romane2, come i tuoi interlocutori pensano. Naturalmente non mancò di ripetutamente affermare il suo convincimento circa la necessità di «rivedere» le istituzioni europee nei suoi organi particolarmente parlamentari. Cosa, del resto, che egli va ripetendo ogni momento, anche di fronte alla Camera dei Comuni.

Egli ha ora diretto un invito ai suoi colleghi dell’U.E.O. per un incontro a Londra, da tenersi alla data del 26 febbraio3, e certamente in quell’occasione egli non mancherà di ritornare sull’argomento. Da parte nostra abbiamo già accettato l’invito stesso e speriamo di ricollegarlo in qualche modo con quello francese per i Presidenti del Consiglio che, quindi, dovrebbe avvenire non prima del 20 o 22 febbraio4. Non ti nego, infatti, che questo andirivieni su e giù per l’Europa comincia ad essere alquanto pesante, specialmente per chi, come noi, vive a Roma, capitale piuttosto lontana ed eccentrica dal resto dell’Europa Centrale.

Mi ha molto interessato l’impressione, da te riferita, circa il desiderio del Foreign Office di conservare alla O.E.C.E. una influenza preminente.

Circa la Conferenza di Bruxelles, penso che da parte francese avrai già avuto le prime notizie. Aggiungo che, in taluni momenti, il contrasto franco-italiano, sopratutto in tema di agricoltura, è stato abbastanza vivace e, in qualche istante, non poco agrodolce. Ma poi si è avuta la sensazione che, per tanti motivi a te ben noti, i due Governi di Roma e di Parigi siano avviati verso una soluzione positiva da raggiungere in un tempo non lontano e quindi siano sostanzialmente accettabili i tanti compromessi sempre tempestivamente avanzati dal Signor Spaak.

Devo però anche dirti che i grossi problemi dell’associazione dei paesi e territori d’oltre mare mi sembrano alquanto lontani da pratiche soluzioni e da pratiche applicazioni: gli olandesi sono estremamente freddi ed i tedeschi molto guardinghi, mentre da parte nostra si continua a pensar agli aggravi finanziari dai quali vogliamo a tutti i costi esimerci!

Comunque, lunedì prossimo5 il Ministro sarà nuovamente a Bruxelles e poi vedremo il finale costituito dall’incontro dei Presidenti del Consiglio.

Credimi sempre

Magistrati


1 Vedi D. 262, nota 3.


2 Vedi DD. 256 e 263.


3 Vedi D. 299.


4 La riunione dei Capi di Governo ebbe luogo a Parigi il 19 e 20 febbraio, vedi Appendice documentaria, D. 8.


5 Il 4 febbraio, vedi D. 273, nota 2.

278

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., COSMELLI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. 0498/3721. Parigi, 31 gennaio 1957.

Oggetto: Consiglio Ministeriale. Ordine del giorno.

Riferimento: Mio telespresso n. 862 del 21 gennaio 19572.

Se fino a qualche giorno addietro era opinione prevalente che l’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei Ministri3 avrebbe avuto tre argomenti, e cioè zona di libero scambio, petrolio e energia nucleare, in seguito varie ragioni di opportunità pratica e politica avevano finito per orientare nel senso che il Consiglio dei Ministri dovesse concentrare la sua attenzione su un solo argomento di preminente importanza, quale la zona di libero scambio.

Né per il petrolio, né per l’energia nucleare pareva necessario che il Consiglio dei Ministri fosse chiamato a prendere nessuna decisione: i problemi sono trattati nei Comitati speciali e la loro evocazione al Consiglio, oltre che distrarre l’attenzione dei Ministri in un quadro di tempo alquanto ristretto, avrebbe potuto consentire l’evocazione di insoddisfazioni che è opportuno trovino trattazione e soluzione nell’ambito più tecnico dei rispettivi Comitati. Si era quindi determinata una netta corrente, sostenuta dallo stesso Segretariato, dal Presidente Ellis-Rees e dalla prevalenza dei Sei di Bruxelles, per la limitazione alla zona di libero scambio degli argomenti all’ordine del giorno.

Senonché, mentre è rimasto l’accordo per quanto riguarda il petrolio, le ultimissime vicende in materia di energia nucleare – che ho avuto l’onore di riferire con i due telespressi urgenti n. 17 e n. 18 del 25 gennaio u.s.2, e in particolare le vicende della seduta del Comitato di direzione dell’energia di venerdì scorso4, nonché voci e indiscrezioni pervenute da Bruxelles, hanno fatto prendere a vari paesi minori al di fuori di Bruxelles, quali la Svizzera e la Svezia in particolare, un atteggiamento fermo e piuttosto intransigente perché anche la questione dell’energia nucleare venga trattata al Consiglio dei Ministri.

Alla riunione dei Capi Delegazione di avant’ieri, quando sembrava che si fosse giunti a persuadere i minori, il contrasto è viceversa emerso nuovamente in forma acuta. La lunga discussione che ne è seguita ha mostrato una notevole maggioranza a favore della inclusione a cui si sono associati Germania e Olanda, rompendo quindi l’allineamento di Bruxelles, e sulla base di una formula di compromesso adombrata dalla Delegazione svizzera nel senso che la questione verrebbe messa all’ordine del giorno quasi per memoria, ma senza provocare discussioni: sulla base di un gentleman’s agreement. Dai vari contatti seguiti, ho l’impressione che si dovrà finire per accettare questa soluzione di compromesso, a meno che il Rappresentante francese non opponga un parere negativo assoluto.

Tuttavia non sono neppure sicuro che questa apparente formula di compromesso si possa concretizzare, in quanto che, sempre come conseguenza delle impressioni tratte dalla riunione del Comitato dell’energia nucleare di venerdì scorso, i paesi minori fuori di Bruxelles intendono in un modo o nell’altro ottenere dal Consiglio un impegno perché, a scadenza da determinare ma non troppo lontana, si proceda alla costituzione dell’Agenzia europea e che il prossimo Consiglio dei Ministri dopo l’attuale si occupi di questo problema e delle questioni connesse.

So che il Ministro Spaak è stato, come prima reazione, decisamente contrario alla inclusione, ma, a parte quella che potrà essere in definitiva l’attitudine francese, ho l’impressione che si dovrà giungere ad una formula di compromesso, come già accennato.

Ad ogni modo seguo naturalmente la questione e riferirò in modo più definitivo appena possibile.

Il centro di gravitazione del prossimo Consiglio rimane però tuttavia la zona di libero scambio, la quale comporta a sua volta numerosi problemi di fondo e di procedura.

Ho già avuto occasione di inviare in argomento delle informazioni preliminari in connessione alla trasmissione del rapporto del Gruppo di lavoro n. 17 nonché in relazione alla visita di Spaak a Londra e successivamente.

Quanto riferisco qui di seguito risulta da una prima discussione avvenuta tra Capi Delegazione avant’ieri nonché da scambi di idee con il Segretariato e con numerosi colleghi.

Si era parlato di un documento che sarebbe stato preparato dal Segretariato per impostare la discussione, ma, per quanto richiesto ripetutamente da vari Delegati, (come mi diceva il Signor Cahan, Vice Segretario Generale e nel quale si accentra prevalentemente questo settore di lavoro) è allo stato attuale degli atti estremamente difficile redigere un documento del genere, dove qualsiasi presa di posizione o affermazione, che si distacchi dalle alternative fissate nel rapporto del Gruppo di lavoro n. 17, potrebbe dare ombra all’una o all’altra Delegazione e pregiudicare la discussione.

Si è pure ancora in attesa del documento della Delegazione britannica, del quale preannunciai la presentazione e che è già giunto a Parigi, ma al momento della redazione di questo rapporto non mi è ancora noto nel suo testo originale, la cui diramazione è tuttavia imminente e può avvenire oggi stesso o domani5. Non sappiamo se il documento britannico sia eguale alla nota che sembra sia stata inviata nelle capitali dei paesi membri o almeno nelle capitali dei sei paesi di Bruxelles6. Le voci che corrono tendono a confermare che la nota britannica non fa che ribadire le note posizioni intransigenti affermate a Londra nell’incontro col Presidente Spaak, e ciò tanto in materia di agricoltura quanto dei cosiddetti paesi sotto sviluppati, senza parlare dei problemi degli investimenti, riadattamento, mano d’opera, ecc. Debbo al tempo stesso dire però che autorevoli membri del Segretariato, notoriamente legati strettamente a Londra, non so se per ragioni tattiche o perché così sia, continuano ad affermare che la posizione inglese, intransigente sui principi, è viceversa aperta nella pratica e che per esempio, non ci si attende a Londra una particolare posizione irriconciliabile in materia di prodotti agricoli da parte del gruppo scandinavo ed in particolare della Danimarca. Questo paese avrebbe ricevuto o riceverebbe anzi garanzie per il largo assorbimento dei prodotti agricoli essenziali per la sua economia. Debbo subito aggiungere tuttavia che il Rappresentante danese non più tardi di ieri ripeteva la speciale delicata posizione del suo Governo proprio in materia agricola ed in relazione al prossimo Consiglio dei Ministri.

A parte la nostra posizione, va rilevata quella svizzera che si conferma nettamente favorevole alla inclusione dei prodotti agricoli, anche se è disposta a rinunciare ad una decisione immediata in sede di Consiglio prossimo e rinviare la decisione finale a dopo che la questione sia stata riesaminata dal Comitato dei Ministri dell’agricoltura o loro supplenti.

Altro grosso problema di principio è la questione dei paesi cosiddetti sottosviluppati. Anche qui, come è noto, la posizione inglese è essenzialmente negativa ed essa si manifestò già nel corso dei lavori del Gruppo di lavoro n. 17 in forma cosi brutale e scortese che, come già riferii, essa provocò reazioni vivissime. Vedi in particolare i casi della Grecia e Portogallo.

Ferma sull’idea di escludere dal tavolo dei negoziati per la zona di libero scambio i Rappresentanti dei paesi cosiddetti sottosviluppati, e non pertanto in grado di assumere tutti gli impegni (e ciò sembra anche in considerazione dell’atteggiamento petulante tenuto da questi paesi in sede del Gruppo di lavoro n. 17), non sarebbe tuttavia da escludere un compromesso sulla via così frequentemente battuta in O.E.C.E. dello Statuto speciale delle norme ad hoc, con un calendario di scadenze connesse con lo sviluppo economico progressivo di questi paesi.

Una delle grosse obiezioni britanniche alla estensione dello statuto agricolo di Bruxelles alla zona di libero scambio sarebbe inoltre che lo Statuto di Bruxelles contrasta con le disposizioni G.A.T.T., che sono da scontare considerevoli difficoltà e che lo stesso accadrebbe per la zona di libero scambio per qualsiasi sistema che si avvicinasse alle linee di Bruxelles.

Mi risulta che in questi giorni vi sono state varie prese di contatto tra la Segreteria ed esponenti del G.A.T.T. e che è anche prevista per domenica ventura una visita a Ginevra del Signor Cahan al medesimo scopo.

Come viene concepito il modo di procedere del prossimo Consiglio dei Ministri? Il primo atto dovrebbe essere di prendere nota del rapporto del Gruppo di lavoro n. 17 approvandone o non approvandone le conclusioni e, una volta affermato l’obiettivo di creare la zona di libero scambio, creare l’organo che dovrà negoziare per giungere a creare la zona di libero scambio e redigere infine la convenzione relativa. Questo organo, che dovrebbe essere un comitato o una commissione ad hoc e sarebbe in sostanza l’erede del Gruppo di lavoro n. 17, dovrebbe a sua volta ricevere dal Consiglio delle direttive generali proprio nei punti più controversi, quali agricoltura, paesi cosiddetti sottosviluppati, ecc.; sulla falsariga di quanto del resto è detto nelle conclusioni del rapporto del Gruppo di lavoro n. 17.

Naturalmente basta enunciare questo problema per dedurre quanto sia complesso il compito che incombe al prossimo Consiglio dei Ministri e come sarebbe indispensabile giungere al medesimo con qualche idea e qualche posizione più definita. Un elemento di chiarificazione potrebbe essere il memorandum britannico, ma è già stato fatto osservare da varie Delegazioni come il tempo sia già assai ristretto, limitata sia la possibilità di consultazioni con i Governi e come pertanto si rischi di giungere al Consiglio in posizioni ancora immature.

Qualche Delegato, ad esempio lo svedese, ha sollevato addirittura il problema se sia possibile che il prossimo Consiglio dei Ministri decida la istituzione o meno della zona di libero scambio e se la istituzione non dovrebbe essere conseguenza di qualche ulteriore studio.

Per quanto riguarda pertanto l’organo sopra accennato di negoziazione, vi sono stati degli scambi di idee interessanti, di cui ho dato già ieri sommarie notizie al Ministro Carrobio, e che ora sviluppo anche in base ad ulteriori elementi.

Da parte sopratutto dei belgi e dei francesi si ha intenzione di proporre che questo Comitato di negoziazione, sulla pratica instauratasi con successo a Bruxelles, venga presieduto da un Ministro ed hanno senz’altro avanzato la proposta di una presidenza Eccles o Thorneycroft. I britannici hanno fatto subito sapere, sia pure a titolo ufficioso, che la cosa non è praticamente fattibile perché i Ministri sono troppo occupati e non potrebbero in nessun modo allontanarsi da Londra.

Queste indicazioni hanno fatto anche temere a qualcuno un trasferimento permanente del negoziato a Londra, il che, per altro aspetto, non sembrerebbe né politicamente opportuno né giovevole alla organizzazione O.E.C.E.

Il concetto franco-belga della presidenza politica parte dalla fiducia che una personalità politica possa meglio superare, appunto a livello politico, le inevitabili difficoltà di negoziazione. Mi risulta che i britannici, in difetto dei due Ministri sopra citati, avrebbero in animo di ripiegare sulla candidatura di Sir Oliver Franks,ben noto per la sua capacità ed energia, ma egli è attualmente presidente della Lloyds Bank e si nutre qualche dubbio se egli sarebbe disposto a accettare. È in questa connessione che sono stato confidenzialmente avvicinato per esaminare qualche nome politico italiano e mi sono stati fatti quelli dell’On. Malagodi, dell’On. Pella, e dell’On. Benvenuti. Ho naturalmente detto che non avevo nessuna istruzione al riguardo e, se richiesto, avrei potuto chiedere istruzioni. Al tempo stesso mi è stato anche detto che, ove fallisse o non fosse accetta una presidenza politica, si era pensato come prima candidatura a quella del barone Snoy, che ha presieduto con tanta devozione e bravura il Gruppo di lavoro n. 17, ma sembra che egli sia incline a ritirarsi dopo il duro lavoro compiuto: ove questa candidatura egualmente cadesse, esaminando altri nominativi al livello di funzionario, si è fermata naturalmente l’attenzione su quello del collega Cattani che sarebbe, a mio avviso, accettabilissima da tutti. Ma anche qui ho dovuto fare l’ampia riserva di dover interpellare Cattani e riferire a Roma.

Tuttavia per aggiornare ad ora questa situazione, mi risulta che da parte di alcuni Delegati, e cito ad esempio in modo più pertinente quello germanico, vi sarebbe una assai seria perplessità a che il Comitato di negoziazione in questione venisse presieduto da un Rappresentante di una delle potenze di Bruxelles. Reazioni un poco analoghe mi risulterebbero presso Delegazioni di altri paesi, prevalendo in genere, più che una diffidenza verso Bruxelles, che tuttavia in un certo senso sussiste, il concetto che sia preferibile una presidenza inglese, impegnando così più direttamente i britannici al successo e al buon fine della operazione.

Ma nel frattempo è emerso anche un altro orientamento e precisamente nella direzione di una presidenza di un paese minore e si è parlato di qualche personalità scandinava o perfino svizzera, senza che per ora fosse fatto alcun nome.

Come V.E. rileverà si tratta di idee e elementi, oltre che prevalentemente di procedura, alquanto disorganici ma essi riflettono in modo esatto la presente situazione ancora estremamente fluida per idee e per posizioni.


1 Trasmesso dal capo dell’Ufficio VII della Direzione Generale degli Affari Economici, Profili, (Telespr. CEE/00108 del 7 febbraio) alle Ambasciate a Washington, Londra, Parigi, Bonn, Bruxelles e L’Aja.


2 Non rinvenuto.


3 La riunione del Consiglio dei Ministri ebbe luogo il 12-13 febbraio, vedi D. 287. Sull’argomento vedi anche DD. 285 e 286.


4 Il 25 gennaio.


5 Con T. 2348/57 del 1° febbraio Cosmelli riferì che il memorandum britannico era stato distribuito quella mattina. Per il testo del memorandum vedi D. 284.


6 Vedi D. 269.

279

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI

L. riservata 193. Parigi, 31 gennaio 1957.

Caro Rossi Longhi,

scrivo ancora a te, nonostante le tue osservazioni sulla corrispondenza privata, ma rispondo ad una tua telefonata; e anche per un’altra ragione.

Tu mi hai dato atto che non sono fra quelli che abusano della corrispondenza privata: anzi, in principio la disapprovo: ma vi rendete conto voi che il Ministero praticamente non risponde mai? A meno naturalmente che si tratti di questioni molto precise. Allora siccome qualche volta è pure necessario, per non parlare a vanvera con i nostri interlocutori locali, di avere qualche idea, anche approssimativa, di quale è l’orientamento a Roma, si ricorre al sistema di scrivere a te, o a Magistrati, o a chi che sia, perché generalmente, se un quesito anche di alta politica è posto per lettera privata, si ha una risposta.

Queste considerazioni a parte, ho fatte presenti a Joxe le tue considerazioni sulla data dell’incontro dei Presidenti del Consiglio1, in connessione con la necessità per il Ministro di andare all’U.E.O a Londra: e si è dichiarato, in massima, d’accordo.

Joxe aveva, come me, molti dubbi sull’opportunità di tenere questa riunione a livello Presidenti del Consiglio se non si è ragionevolmente sicuri che si possa raggiungere un accordo.

Rischiare le massime artiglierie per un nulla di fatto sarebbe assai pericoloso. Quindi pensa che sarà difficile prendere una decisione precisa se non dopo la prossima riunione dei Ministri a Bruxelles.

Mi ha accennato anche alla possibilità che per quell’epoca il Gabinetto francese possa essere in crisi, o per lo meno molto scosso.

Per ultimo ti aggiungo che ho trovato Joxe, come del resto tutti i francesi, molto nero sulle prospettive dopo la Conferenza di Bruxelles. Non per il conflitto franco-italiano che qui si dice risolto con soddisfazione dalle due parti, ma sul problema in genere e sopratutto su quello dei territori d’oltremare, e sulla proprietà del materiale fissile (non so se si dice così anche in italiano).

Ti informo di questo perché il pessimismo francese mi sembra tanto in contrasto con il nostro ottimismo. Non è pericoloso, secondo te, che la nostra stampa, i nostri uomini politici si slancino a dire che è fatto, mentre qui tutti, anche i più violenti europeisti, sono più che riservati?

Dovremmo avere l’esperienza che con i francesi, in cose di questo genere, fino all’ultimo momento non si può essere sicuri di niente2.

Cordialmente.

Quaroni


1 Sull’argomento vedi DD. 276 e 277.


2 Con L. riservata 4/80 del 1° febbraio Rossi Longhi, dopo aver chiarito il senso delle proprie osservazioni circa la corrispondenza privata e lo scambio di informazioni con il Ministero, rispose: «Ciò premesso, sono d’accordo con te circa i pericoli che corriamo a sbandierare troppo questo Mercato Comune, ma si tratta della solita boule de neige che è difficile arrestare. Comunque ho sottoposto la tua lettera al Ministro che sta per ripartire per Bruxelles». La riunione dei Presidenti del Consiglio e dei Ministri degli Affari Esteri ebbe luogo il 19-20 febbraio a Parigi, vedi Appendice documentaria, D. 8.

280

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DUCCI,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. 44/016571. Roma, 1° febbraio 1957.

Oggetto: Conferenza intergovernativa di Bruxelles per Euratom e Mercato Comune. Mercato Comune e zona di libero scambio. Atteggiamento americano.

Si fa seguito al telespresso di questo Ministero n. 44/00955 in data 19 corrente2, per trascrivere quanto l’Ambasciata d’Italia in Washington ha ulteriormente riferito – in data 15 corrente – sull’argomento in oggetto:

«Si trasmette qui unito il comunicato del Dipartimento di Stato n. 21 del 15 corrente2 che riporta una dichiarazione sull’atteggiamento americano verso la questione del Mercato Comune europeo e della zona di libero scambio.

La dichiarazione, che ci era stata annunciata dai competenti uffici del Dipartimento, si mantiene sulle linee a noi esposteci e già comunicate a codesto Ministero3.

In sostanza, il Governo americano mentre riconferma il suo costante favore per tutte le iniziative dirette a rafforzare la coesione e le forze politiche ed economiche del mondo occidentale, e in modo particolare dell’Europa Occidentale e della Comunità atlantica, attira l’attenzione sulla tradizionale devozione americana ai principi di un commercio internazionale non discriminatorio e della convertibilità delle monete, principi che trovano la loro sanzione negli accordi per il G.A.T.T. e per il Fondo Monetario.

Come già annunciatoci, la dichiarazione americana fa una speciale menzione delle conseguenze che la costituzione del Mercato Comune può avere sulle esportazioni dei prodotti agricoli americani in Europa e sulla liberalizzazione delle importazioni dall’area del dollaro. In proposito la dichiarazione dice: “the European market for agricultural exports from the United States is important and we will wish therefore to study carefully the possible impact of common market arrangements on it. The progress which Western European countries have made in recent years in liberalizing imports from the dollars area has been encouraging; it is hoped that this progress will be continued as rapidly as the circumstances permit”».

Si allega copia del comunicato cui sopra è fatto cenno.


1 Diretto alla Presidenza del Consiglio, ai Ministeri del Bilancio, Finanze, Tesoro, Difesa, Lavori Pubblici, Agricoltura e Foreste, Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, Industria e Commercio, Lavoro e Previdenza Sociale e Commercio Estero, al Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, allo Svi.Mez., alla Banca d’Italia, alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Berna, Bonn, Bruxelles, Copenaghen, L’Aja, Londra, Lussemburgo, Oslo, Parigi, Stoccolma, Vienna, Washington, Karachi, New Delhi, Ottawa e Pretoria, alle Rappresentanze presso la N.A.T.O. e presso l’O.E.C.E., a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo e presso l’O.N.U. a New York, alla Delegazione presso le Istituzioni specializzate delle Nazioni Unite a Ginevra, alle Legazioni a Dublino, Lisbona, Canberra, Colombo e Wellington e, per conoscenza, al Servizio Nazioni Unite e alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici e dell’Emigrazione.


2 Non pubblicato.


3 Vedi D. 274.

281

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, CARROBIO DI CARROBIO,ALL’AMBASCIATA A WASHINGTON

T. segreto 1303/66. Roma, 2 febbraio 1957, ore 19,40.

Domenica 3 corrente giungeranno costà i tre saggi di Euratom, tra cui Prof. Giordani1, che su invito Dulles vengono a prendere contatto con Dipartimento di Stato e Commissione atomica.

Si ricorderà che in passato Dulles ebbe più volte a dichiarare che gli Stati Uniti sarebbero disposti aiutare Euratom in misura maggiore a somma aiuti ai singoli paesi. Recentemente qualche perplessità è stata dimostrata in ambienti americani circa trattato, sia perché Francia rimane libera eseguire proprio programma militare, sia perché proprietà materiali speciali non (dico non) viene affidata a Comunità, ma a singoli paesi.

Questi punti faranno oggetto di discussione con i tre saggi, ma soprattutto con Ministro Spaak che giungerà costì intorno al 7 febbraio per sottoporre testo trattato a americani e per discutere con essi trasferimento Accordo belga-americano a beneficio Euratom, nonché modalità suo rinnovo dopo 1960.

Saggi intenderebbero richiedere assicurazioni per grosso aiuto in uranio arricchito alla Comunità; e ciò senza pregiudizio di quanto verrà ottenuto con gli accordi bilaterali. Al riguardo sarà bene che essi appurino se tale materiale potrà servire per propulsione a fini civili, ciò che ci permetterà di decidere se impianto europeo separazione isotopica possa essere considerato non più necessario.

Giordani sarà accompagnato da Quoiani e Albonetti.


1 Con R. riservato 0139/97 del 24 gennaio, Quaroni aveva riferito circa la conferenza stampa tenuta da Armand, Etzel e Giordani a Parigi sui compiti affidati al Comitato dei tre saggi atomici.

282

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI,ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. s.n.d. 1450/50. Roma, 6 febbraio 1957, ore 24.

Mio 451.

Zoppi, in colloquio con Selwyn Lloyd, ha espresso avviso considerare opportunità che iniziativa Gruppo esperti problema tedesco venga prospettata a Consiglio Ministri U.E.O., con partecipazione Rappresentante americano.

Selwyn Lloyd pur facendo riserve circa possibilità conciliare data predetta riunione con quella inizio lavori Gruppo sembrato accogliere idea con favore.

Mentre si provvede interpellare Londra circa possibilità anticipo riunione Ministri U.E.O., pregasi informare codesto Governo che da parte nostra per motivi suddetti si vedrebbe con massimo favore tale anticipo.


1 Con T. s.n.d. personale 1282/45 (Parigi) 24 (Londra) del 1° febbraio, Rossi Longhi aveva comunicato il contenuto dei colloqui di Brosio con Elbrick relativi all’imminente riunione del Gruppo di lavoro esperti a Washington, con particolare riferimento alla necessità di affrontare, in quella sede, il problema tedesco.

283

L’AMBASCIATORE A BONN, GRAZZI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. segreto 2833/32. Bonn, 7 febbraio 1957, ore 23,10 (perv. ore 23,30).

In via strettamente confidenziale e con raccomandazione che non siano rese note ad altri, mi sono state fornite cifre relative a investimenti lasciate in bianco in progetto tedesco per associazione territori oltremare a Mercato Comune in data 1° febbraio, già comunicato a Bruxelles.

Cifra annuale da dedicare a investimenti sociali a sensi articolo 3, paragrafo 6, punto 4, è di 25 milioni unità E.P.U., cifra da dedicare a investimenti economici in quattro anni, a sensi articolo 3, paragrafo 7, punto 3, è di 300 milioni unità E.P.U. Tali cifre verranno comunicate durante le trattative a livello Ministri a Parigi.

Non escludo che eventuale intervento del Cancelliere conseguenziale a sua politica tendente avvicinamento Francia e avviamento europeo, possa se necessario aumentare sensibilmente tali cifre.

Da parte tedesca è stata espressa speranza che si possano avere contatti in vista eventuale atteggiamento comune nostri paesi1.


1 Vedi D. 290.

284

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, CARROBIO DI CARROBIO,AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. 44/019771. Roma, 7 febbraio 1957.

Oggetto: Conferenza intergovernativa di Bruxelles per Euratom e Mercato Comune. Mercato Comune europeo e «zona di libero scambio».

A seguito del telespresso n. 44/01594 in data 31 gennaio u.s.2, si trasmette, per opportuna conoscenza e documentazione, copia tradotta di un successivo documentato promemoria inglese relativo alla zona di libero scambio, nonché di due Note verbali, rispettivamente dell’Ambasciata del Canada e della Legazione di Australia in Roma3, riguardanti il Mercato Comune europeo e la stessa zona di libero scambio.

Allegato I

PROMEMORIA

Il Capo della Delegazione del Regno Unito presso 1’O.E.C.E. ha indirizzato ai Capi delle altre Delegazioni ed al Segretario Generale dell’O.E.C.E. una lettera comprendente un Memorandum sulla zona europea di libero scambio. Sono qui accluse copie di questa lettera e del Memorandum.

Scopo del Memorandum è di spiegare la posizione del Regno Unito sulla questione dello stabilimento di una zona europea di libero scambio che è discussa nel rapporto del Gruppo di Lavoro n. 17 del Consiglio dell’O.E.C.E., di riaffermare l’opinione del Governo di Sua Maestà che possa essere costituita una zona di libero scambio industriale europea, e di proporre che possano essere iniziati in seno all’O.E.C.E. negoziati al fine di stabilire una tale zona di libero scambio.

La riunione del Consiglio dell’O.E.C.E. del 12 e 13 febbraio4 deve essere dedicata alla discussione della proposta di stabilimento di una zona di libero scambio europea. Gli obbiettivi del Governo di Sua Maestà britannica a tale riunione saranno i seguenti:

a) assicurare l’accordo di principio da più membri possibile dell’O.E.C.E. circa lo stabilimento di una zona di libero scambio industriale europeo.

b) Predisporre quanto occorre per i negoziati da iniziarsi in seno all’O.E.C.E. tra i membri che hanno accettato in linea di principio gli obbiettivi della zona di libero scambio, allo scopo di approntare i dettagli degli strumenti legali che possono essere richiesti.

c) Stabilire le modalità per salvaguardare gli interessi di tutti i paesi membri (come la Grecia, l’Islanda, la Repubblica di Irlanda, il Portogallo e la Turchia) che non siano in grado di accettare il principio della piena partecipazione alla zona di libero scambio.

Il Governo di Sua Maestà confida che il Governo italiano vorrà parimenti esprimere il proprio appoggio alla proposta di stabilimento di una zona europea di libero scambio prima della riunione del Consiglio o, altrimenti, almeno in apertura della riunione del Consiglio. Sarebbe utile per il Governo di Sua Maestà britannica di essere informato appena possibile delle eventuali difficoltà che possano essere riscontrate dal Governo italiano nelle proposte contenute nel Memorandum del Regno Unito.

Il Memorandum del Regno Unito si riferisce nei paragrafi 14-16 alla questione del commercio dei prodotti alimentari. Non sarà mai abbastanza affermato che questa questione è assolutamente fondamentale per il Regno Unito. L’esclusione dei prodotti alimentari dagli accordi della zona di libero scambio è condizione necessaria alla partecipazione del Regno Unito.

Allegato II

TESTO DELLA LETTERA INDIRIZZATA DAL RAPPRESENTANTE DI SUA MAESTÀ BRITANNICAPRESSO L’O.E.C.E. AGLI ALTRI CAPI DELEGAZIONEED AL SEGRETARIO GENERALE DELL’ORGANIZZAZIONE

Accludo il testo di un Memorandum preparato dal Governo del Regno Unito sulla zona di libero scambio europea, da essere esaminato dal Consiglio dei Ministri del 12-13 febbraio. Scopo di questo Memorandum è di spiegare la posizione del Governo di Sua Maestà britannica e di riaffermare la sua opinione che possa essere costituita una zona di libero scambio industriale europea ed il suo desiderio di aprire negoziati in seno all’ O.E.C.E. al fine di costituire tale zona di libero scambio. Il Governo di Sua Maestà britannica confida che anche gli altri paesi membri daranno il loro appoggio prima o durante la prossima riunione del Consiglio dell’O.E.C.E. alla creazione di una zona europea di libero scambio industriale.

Vi è un argomento al quale non si accenna nel Memorandum che può ciò nonostante essere estremamente significativo: si tratta della questione della partecipazione nella istituenda zona di libero scambio dei territori di oltre mare. Il Governo di Sua Maestà britannica in considerazione delle sue responsabilità nei confronti dei territori di oltremare ha già dato molto peso a tale questione. Si ricorderà che il Governo di Sua Maestà britannica ha proposto l’apertura di discussione tra funzionari dei Governi interessati allo scopo di considerare come la questione della partecipazione dei territori di oltremare possa essere trattata nel miglior modo sia nell’unione economica e doganale che nella zona di libero scambio. È opinione del Governo di Sua Maestà britannica che finché tali discussioni non abbiano avuto luogo e finché non si possa disporre di notizie circa gli accordi stabiliti su tale argomento per l’unione economica doganale non possa da esso essere fatta alcuna proposta concreta.

Allegato III

PROGETTO DI MEMORANDUM DEL REGNO UNITO PER L’O.E.C.E.

Parte i

Opinioni del Regno Unito su una zona europea di libero scambio

1.Il Governo di Sua Maestà britannica desidera vivamente che gli sforzi continuamente compiuti nel mondo del dopoguerra allo scopo di rafforzare la coesione e di incrementare la prosperità dell’Europa Occidentale abbiano un brillante risultato. È per questo che negli ultimi mesi esso ha attentamente esaminato la opinione largamente affermatasi che il nostro principale bisogno economico in Europa sia l’abolizione delle barriere al commercio e lo sviluppo di un unico mercato dei manufatti. Con una popolazione di 200 milioni è chiaro che l’Europa possa ottenere un grande vantaggio se la libera circolazione dei beni non venga ostacolata da tariffe e restrizioni quantitative in Europa. Il bisogno di addivenire a rimedi forti e costruttivi per abolire queste barriere al commercio è tanto più urgente in vista dello sviluppo industriale, che domanda costantemente mercati più larghi in modo da ottenere pieni benefici. Durante gli ultimi 10 anni è stato fatto molto in seno all’O.E.C.E. ed in altra sede per diminuire le barriere al commercio in Europa, ma è opinione del Governo di Sua Maestà britannica che vi è bisogno ora di un rimedio molto più efficace.

2. È tenendo presente queste considerazioni che il Governo di Sua Maestà britannica è lieto che i negoziati iniziati nel giugno del 1955 per l’istituzione di una unione economica e doganale tra la Francia, la Germania, l’Italia, il Belgio, l’Olanda ed il Lussemburgo si stiano ora avvicinandosi ad una conclusione positiva. Vi sono ciò nonostante ragioni sostanziali per le quali il Regno Unito non può diventare membro di tale unione. Tali ragioni sorgono in particolare dagli interessi e dalle responsabilità che il Regno Unito ha sul Commonwealth. Se il Regno Unito venisse a far parte dell’unione economica e doganale, la sua tariffa doganale verrebbe sostituita da un’unica tariffa comune agli altri paesi membri contro il resto del mondo. Ciò significherebbe che i beni che entrano nel Regno Unito con provenienza dal Commonwealth dovrebbero pagare lo stesso dazio dei beni provenienti da altri paesi che non siano membri dell’unione economica doganale, mentre i beni provenienti dai paesi membri dell’unione entrerebbero senza pagare alcun dazio. Il Governo di Sua Maestà britannica non potrebbe prendere in considerazione accordi che rendessero impossibile in linea di principio al Regno Unito di dare alle importazioni provenienti dal Commonwealth un trattamento almeno altrettanto favorevole di quello riservato alle importazioni provenienti dall’Europa.

3. Nello stesso tempo è opinione del Governo di Sua Maestà britannica che sia molto importante uno stabilimento di una zona di libero scambio la più larga possibile nell’ambito dell’Europa Occidentale. È per questo che il Governo di Sua Maestà britannica ha fortemente appoggiato la decisione presa nel luglio 1956 dal Consiglio dall’ O.E.C.E.5 circa la necessità di fare urgentemente uno studio al fine di scoprire se potessero essere associati all’unione economica e doganale altri paesi membri dell’Organizzazione.

4. La possibilità di una tale associazione è stata ora esaminata dal Gruppo di lavoro n. 17 del Consiglio. Il Governo di S.M. britannica condivide l’opinione dei membri di tale Gruppo di lavoro che sia pienamente attuabile l’adesione ad una zona di libero scambio, da parte del Regno Unito e di molti altri paesi membri dell’ O.E.C.E., compresi i paesi che propongono la creazione di una unione economica e doganale. I membri di questa zona di libero scambio provvederebbero ad eliminare, nei riguardi dei rispettivi prodotti, i dazi di produzione e le altre misure restrittive del commercio, comprese le restrizioni quantitative. Essi sarebbero liberi di mantenere le loro separate e diverse tariffe sulle importazioni provenienti da paesi non compresi nella zona, con l’eccezione che i paesi che siano anche membri dell’unione economica e doganale dovrebbero a tempo debito stabilire una unica tariffa esterna; essi potrebbero anche variare queste tariffe a seconda degli accordi internazionali ai quali dovessero legarsi di volta in volta.

5. L’esame del problema da parte del Governo di S.M. britannica ha portato alla conclusione che possa essere istituita in Europa una zona di libero scambio purché ne siano esclusi i prodotti alimentari. Il 26 novembre 1956 il Governo ha informato la Camera dei Comuni che era sua intenzione aprire negoziati a tale scopo in seno all’ O.E.C.E. Ora che anche il Gruppo di lavoro ha confermato la possibilità di istituire una zona europea di libero scambio, il Governo di S.M. britannica spera che anche gli altri paesi vorranno dichiarare prima o durante la prossima riunione dell’ O.E.C.E. la loro volontà di addivenire a negoziati su tale base.

6. Il Governo di Sua Maestà riconosce altamente desiderabile che siano associati allo sviluppo della zona di libero scambio il maggior numero possibile di paesi dell’Europa. In pari tempo è una questione essenziale, per la zona di libero scambio, che le obbligazioni assunte dai suoi membri per la progressiva abolizione dei dazi in tutto il campo del commercio che sarà considerato, siano reciproche. In pari tempo è opinione del Governo di Sua Maestà che la zona di libero scambio sia aperta a tutti quei paesi membri dell’O.E.C.E. che siano attualmente in grado di contrarre le obbligazioni relative. La posizione, viceversa, di quei paesi che non si ritengono in grado di sottoscrivere le obbligazioni della zona di libero scambio dovrebbe essere esaminata.

7. Il Governo di Sua Maestà ritiene che l’istituzione di una zona di libero scambio non pregiudicherebbe in alcun modo l’alto livello di occupazione che, in linea generale, l’Europa ha conseguito e che il mantenimento di un alto e costante livello di occupazione debba essere un obbiettivo fondamentale dei paesi membri. Questa è condizione essenziale per il funzionamento della zona di libero scambio.

8. Il Governo di Sua Maestà propugna l’istituzione di una zona di libero scambio nella convinzione che essa consentirà un maggior sviluppo industriale incoraggiando l’aumento della specializzazione, la produzione di massa, e lo sviluppo di nuove tecniche produttive. Pertanto la zona di libero scambio dovrebbe rafforzare l’economia dell’Europa Occidentale nel suo complesso; e, in conseguenza della sua formazione, i membri della zona dovrebbero trovarsi in più solide posizioni per la rimozione progressiva delle restrizioni alle importazioni dai paesi terzi. L’intendimento fondamentale è la rimozione totale degli ostacoli al commercio per una notevole quota del commercio mondiale. La zona di libero scambio non implica la creazione di nuove barriere al commercio con il resto del mondo. Per converso, il Governo di Sua Maestà ritiene indispensabile che la zona di libero scambio sia costituita in modo da rappresentare una entità compatibile con 1’obbiettivo fondamentale di un avvicinamento collettivo al più largo possibile sistema di pagamenti e di scambi multilaterali. Dovrebbe altresì essere pienamente assicurata la compatibilità con le obbligazioni dei paesi membri i quali siano parti contraenti del G.A.T.T.; le norme di tale istituzione dovrebbero ovviamente continuare a regolare i rapporti tra i paesi del G.A.T.T. membri della zona di libero scambio e gli altri paesi del G.A.T.T.

Parte II

Problemi di una zona di libero scambio

9. Alla luce delle considerazioni suesposte, il Governo di Sua Maestà ha consultato con il massimo interesse il rapporto del Gruppo di lavoro n. 17 dell’ O.E.C.E. Esso considera tale rapporto come un pregevole studio degli scopi contenuti nel progetto per la formazione di una zona di libero scambio.

10. Pur non essendosi ancora formata una approfondita opinione su alcune questioni analizzate nel rapporto di cui sopra, il Governo di Sua Maestà ritiene sommamente utile esprimere il proprio atteggiamento generale su alcune di tali questioni, in merito alle quali il Consiglio dei Ministri dell’ O.E.C.E. deve prendere importanti decisioni di principio per consentire la prosecuzione delle trattative.

Problemi economici generali

11. L’interpretazione che il Governo di S.M. dà all’area del libero scambio differisce per alcuni importanti aspetti da quella data dalle potenze di Messina all’unione economica e doganale. Gli accordi proposti per l’unione economica e doganale comportano previsioni a lunga scadenza per l’integrazione e l’armonizzazione economica delle politiche finanziarie e sociali, nonché per la mutua assistenza nel finanziamento degli investimenti. Tali accordi debbono essere realizzati entro una apposita cornice istituzionale. Il Governo di S.M. interpreta l’area di libero scambio, al contrario, come un concetto connesso innanzi tutto alla rimozione delle restrizioni al commercio quali le tariffe e le quote. Non di meno, il Governo di S.M. riconosce che la cooperazione nel campo della politica economica ha una grande e incessante importanza. Praticamente, un notevole movimento verso una più stretta cooperazione economica può essere previsto fra i membri di una zona di libero scambio entro un certo numero di anni, sia come risultato di una politica deliberata, sia come sviluppo spontaneo.

12. Materie specifiche di tale natura includono quistioni quali quella della conservazione di soddisfacenti accordi plurilaterali in materia di pagamenti, quella della consultazione su problemi di politica economica e finanziaria di interesse comune al fine di evitare divergenze troppo marcate tra le politiche perseguite dai paesi membri, quella della cooperazione nel proseguimento di concrete politiche sociali e della stipulazione di accordi relativi alle esportazioni ed ai servizi invisibili, nei quali non deve esistere alcuna discriminazione fra i membri della zona europea di libero scambio ed i relativi movimenti di capitale e di mano d’opera. In tutte queste quistioni la natura degli accordi commerciali e finanziari che esistono tra i membri dell’ O.E.C.E. rendono quest’ultimi già consci della necessità di mantenere ed ampliare stretti contatti e consultazioni; tale bisogno può persino essere maggiormente sentito con lo svilupparsi della zona di libero scambio. Il Governo di S.M. ritiene che gli attuali procedimenti, che hanno avuto un felice sviluppo per molti anni nell’ambito dell’ O.E.C.E. allorché le quistioni sopra accennate sono venute in discussione, hanno confermato la loro validità e dovrebbero essere mantenuti, salvo quelle modifiche e quei miglioramenti che di tempo in tempo si rendessero necessari.

13. È stato accennato all’esistenza di alcune disparità tra le legislazioni sociali nei diversi paesi le quali potrebbero alterare il libero giuoco della concorrenza, donde la necessità che tali disparità siano corrette con l’armonizzare le citate legislazioni all’inizio del periodo transitorio durante il quale dovrebbe essere istituita la zona di libero scambio. Il punto di vista del Governo di S.M. è che quanto precede non rappresenta che uno dei numerosissimi fattori di varia importanza – alcuni transitori, alcuni permanenti, alcuni di origine umana come le disposizioni fiscali e sociali, altri di origine naturale come il clima e l’ambiente – che influenzano il quadro generale del commercio internazionale. Alcune di queste disparità non possono essere eliminate con un provvedimento legislativo ed il Governo di S.M. non ritiene sia indispensabile – al fine di raggiungere il livello di concorrenza effettiva necessario per il funzionamento della zona di libero scambio – lo stipulare preventivamente, o quale condizione indispensabile per la creazione della zona predetta, accordi specifici intesi a rimuovere tali disparità.

Prodotti alimentari

14. Vi sono considerazioni speciali che sono di grande interesse per il Regno Unito in materia di agricoltura; il Regno Unito devo essere libero di osservare gli accordi preferenziali in vigore per le importazioni di prodotti alimentari dal Commonwealth; ciò è necessario sia nell’interesse dei membri indipendenti del Commonwealth che delle colonie, molti dei quali dipendono in notevole misura dal trattamento preferenziale cui è soggetta la loro esportazione dei prodotti alimentari verso il Regno Unito. È di grande importanza che il Regno Unito sia in grado di continuare ad applicare gli accordi preferenziali che sono il risultato di trattative laboriose condotte negli ultimi 25 anni.

15. A parte queste considerazioni, che tuttavia hanno particolare rilievo per il Governo di Sua Maestà, ci sono altri urgenti motivi per escludere i prodotti alimentari dalla zona di libero scambio. Il Regno Unito e molti altri paesi europei proteggono la propria agricoltura con vari mezzi per ragioni ben note, e vorranno continuare a far ciò. Il Regno Unito non sarebbe pronto in un prossimo futuro ad abolire ogni protezione e ad ammettere la libera importazione dei prodotti agricoli così come s’intende fare per gli altri prodotti; parimenti il Governo di Sua Maestà non ha ragione di aspettarsi che le altre nazioni si comportino in tal modo. In effetti è evidente l’intenzione delle sei potenze di Messina di istituire un controllo sul mercato della produzione agricola, piuttosto che un mercato completamente libero come si propone per la produzione industriale. Ogni speciale accordo per i prodotti dell’agricoltura, se assume un carattere restrittivo, ad evidenza può far sorgere notevoli difficoltà nel conseguire un accordo internazionale.

16. Per questi motivi il Governo di Sua Maestà ha chiaramente manifestato il proprio punto di vista circa l’esclusione dalle clausole della zona di libero scambio dei prodotti in questione (in genere dei prodotti di cui ai capitoli da 1 a 24 della nomenclatura da Bruxelles)6. Il Governo di Sua Maestà viceversa si associa alle proposte per una zona industriale europea di libero scambio, nel senso già definito. Ciò malgrado il Governo di Sua Maestà esprime l’intenzione di continuare ad avere piena partecipazione ai lavori del Comitato ministeriale per i prodotti alimentari e dell’agricoltura, nonché ai lavori degli altri organi dell’O.E.C.E. che trattano le questioni commerciali dei prodotti agricoli.

Metodo delle riduzioni daziarie

17. Secondo il punto di vista del Governo di Sua Maestà il metodo della riduzione dei dazi durante il periodo di transizione è problema di notevole importanza. Il Governo di Sua Maestà condivide pienamente le conclusioni del Gruppo di lavoro, che cioè in tale campo sembrerebbero altamente desiderabili identici o addirittura simili accordi, sia per la zona di libero scambio che per l’unione economica e doganale. L’obiettivo fondamentale, per il Governo di Sua Maestà, sembra essere la fissazione di regole chiare e non equivoche, in modo che l’industria di ogni paese possa elaborare i propri piani di produzione e di investimenti con l’anticipata conoscenza della propria posizione in rapporto ai dazi degli altri paesi ed in rapporto alla posizione di analoghi prodotti importati da altri paesi sul mercato nazionale. Il sistema dovrebbe anche consentire alla pubblica opinione di tutti i paesi di rendersi conto che vi è assoluta reciprocità nella progressività di riduzione dei dazi, in modo che non si creino discriminazione di sorta tra i membri della zona. Il metodo delle riduzioni tariffarie da adottare dovrebbe perciò contenere una notevole quota di sicurezza nella procedura automatica definita in anticipo.

Oneri fiscali

18. Il Governo di Sua Maestà è dell’opinione che il diritto alla imposizione fiscale non dovrebbe essere pregiudicato dalle norme della zona di libero scambio. Esso è d’accordo nel ritenere che ogni finalità protezionistica delle imposte esistenti (imposte di importazione, di esportazione, o di esercizio) dovrebbe essere bandita durante il periodo di transizione per quei prodotti ai quali si applicano i provvedimenti della zona di libero scambio.

Una precisa definizione di «protezione» a questo riguardo, dovrà essere stabilita nei negoziati.

Restrizioni quantitative alle importazioni

19. Il Governo di Sua Maestà concorda con il Gruppo di lavoro che le restrizioni quantitative nell’ambito della zona di libero scambio dovranno essere rimosse, e che è di somma importanza l’adozione delle stesse procedure sia nell’ambito della zona di libero scambio, che nell’ambito dell’unione economica e doganale, se devono essere evitate le discriminazioni e se devono essere salvaguardati i risultati dei lavori compiuti in seno all’O.E.C.E. Il Governo di Sua Maestà pensa che il principio informatore dovrebbe essere un progressivo aumento annuale delle facilitazioni degli scambi, accompagnato da un programma di abolizione completa delle restrizioni quantitative, nell’ambito della zona di libero scambio, insieme alla riduzione delle tariffe doganali, prevista nel periodo di transizione. Un tale programma sarebbe naturalmente vincolato dalla validità di clausole di salvaguardia che autorizzino l’imposizione di contingenti in caso di notevoli difficoltà delle bilance dei pagamenti, come risulta al seguente paragrafo 20.

Clausole di salvaguardia

20. Il Governo di Sua Maestà esprime la propria soddisfazione per l’indirizzo generale cui si è ispirato il Gruppo di lavoro dell’O.E.C.E. nel trattare questo importante argomento. Esso è d’accordo nel ritenere che ogni richiesta di applicare la clausola di salvaguardia comporta una infrazione così grave delle obbligazioni assunte con l’aderire alla zona di libero scambio, che ciò si verificherebbe molto raramente, e probabilmente solo in casi di serie difficoltà della bilancia dei pagamenti. In questa materia quindi, il Governo di Sua Maestà ritiene che vi debbano essere norme equivalenti, nell’ambito sia della zona di libero scambio che dell’unione economica e doganale, se deve essere assicurata la piena equiparabilità e la non discriminazione. Nel caso di gravi difficoltà della bilancia dei pagamenti è ovvio che debba essere consentita l’imposizione di contingenti senza consultazioni preliminari; tuttavia tali misure dovrebbero costituire materia di indagini frequenti e rigorose. A parte ciò, sembra poco probabile che vi possano essere circostanze nelle quali un’azione unilaterale potrebbe essere giustificata. In casi diversi da quelli di gravi difficoltà della bilancia dei pagamenti sembra che la norma da adottare dovrebbe essere quella della consultazione preliminare o delle indagini frequenti e successive.

Norme di concorrenza

21. Esiste un certo numero di altre forme di intervento governativo negli scambi commerciali, che sono capaci, più o meno, di frustrare gli obiettivi della zona di libero scambio. Fra queste sono da includere: l’uso delle sovvenzioni, gli aiuti artificiali alle esportazioni, il controllo sulle esportazioni, certe forme di commercio di Stato, e la discriminazione degli oneri. Riguardo a pratiche di questo tipo, già risultano in tutto o in parte applicati gli accordi del G.A.T.T. e le norme elaborate in seno all’O.E.C.E. La stessa regolamentazione dovrebbe essere applicata nella zona di libero scambio, e in alcuni casi essa dovrebbe essere rafforzata.

22. Secondo l’opinione del Governo di Sua Maestà sarebbe anche desiderabile prendere in considerazione la possibilità che gli obiettivi della zona di libero scambio possano essere frustrati ad opera dei monopoli privati o di pratiche restrittive del commercio privato: a tale proposito dovrebbero essere apprestati strumenti idonei ad impedire il sorgere di pratiche atte a creare maggiori difficoltà alla zona di libero scambio. Nel considerare questo problema sarebbe necessario tener presente che nella maggior parte dei paesi, se non in tutti, il potere legislativo non è ancora in grado di effettuare una azione decisiva, in proposito, sul piano legislativo. È lecito quindi concludere che la formulazione di principi generali sulla concorrenza sarebbe prematura sino a quando i paesi siano in condizioni disuguali per tradurre in azione concreta la validità di tali principi. Tuttavia la considerazione di tali questioni non è inopportuna.

Definizione di origine

23. Circa il problema della definizione di «origine» dei prodotti, analizzata in dettaglio nell’annesso n. 1 del rapporto del Gruppo di lavoro, il Governo di Sua Maestà è d’accordo con la conclusione del gruppo stesso nel ritenere che la combinazione del sistema della percentuale e del sistema basato sul tipo di procedimento attuato nella zona di libero scambio offra le migliori probabilità per una pratica sistemazione nella materia. La precisa portata di ogni elemento di uno schema così composto dovrebbe essere oggetto di trattative.

Istituzioni

24. Il Governo di Sua Maestà riconosce che, come ha sottolineato il Gruppo di lavoro, la precisa natura delle istituzioni della zona di libero scambio non può essere stabilita prima di una definizione formale o sostanziale della zona stessa. Secondo l’opinione del Governo di Sua Maestà, la zona di libero scambio dovrebbe essere costituita nell’ambito dell’ O.E.C.E. Alcune deviazioni dal principio di unanimità si renderebbero necessarie per alcune materie chiaramente definite; per esempio nel caso in cui un paese ha motivo di svincolarsi da obbligazioni originali, ovvero in quelle procedure di accertamento del fatto o del diritto tendenti a verificare se un paese adempie alle proprie obbligazioni, e a correggere eventuali inadempienze. È chiaro che vi dovrebbe essere uno stretto coordinamento fra le istituzioni della zona di libero scambio e quelle dell’unione economica e doganale, in modo tale da semplificarne le funzioni amministrative e da facilitare l’osservanza delle loro duplici obbligazioni da parte di quei paesi che sono membri di entrambe le organizzazioni.

Conclusioni

25. Il Governo di Sua Maestà, fiducioso che la costituzione di una zona industriale europea di libero scambio secondo le linee generali sopra esposte corrisponda sopratutto all’interesse generale dei paesi membri dell’ O.E.C.E., propone che, nella riunione del 12 e 13 febbraio, il Consiglio dia la sua approvazione di massima alla creazione di una zona industriale europea di libero scambio e indichi le vie e i mezzi per negoziare gli accordi particolari e preparare quanto prima lo schema di accordo che sarà ritenuto più idoneo.


1 Diretto agli stessi destinatari di cui al D. 269, nota 1, con l’esclusione della Legazione a Colombo e l’aggiunta, per conoscenza, delle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari Economici.


2 Vedi D. 269, nota 1.


3 Non pubblicati.


4 Vedi D. 287.


5 Vedi D. 195.


6 Nota del testo: «L’elenco delle voci dei capitoli da 1 a 24 della nomenclatura di Bruxelles è identico a quello della categoria 1 dell’allegato A al Codice di liberalizzazione dell’ O.E.C.E. Sembra molto più appropriato l’uso della nomenclatura tariffaria convenuta in sede internazionale piuttosto che la classificazione dell’ O.E.C.E. che fu elaborata principalmente in relazione alla liberalizzazione degli scambi ottenuta attraverso l’abolizione dei contingenti».

285

[LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI]

Verbale1.

BOZZA DI PROCESSO VERBALE DELLA RIUNIONE DELL’ 8-2-1957CIRCA ZONA DI LIBERO SCAMBIO

Presiede: S.E. il Sottosegretario ferrari aggradi

Partecipano rappresentanti delle seguenti Amministrazioni:

- comitato interministeriale ricostruzione

- ministero del bilancio

- ministero delle finanze

- ministero del tesoro

- ministero dell’agricoltura e foreste

- ministero dei trasporti

- ministero dell’industria e commercio

- ministero del lavoro e previdenza sociale

- ministero del commercio estero

- banca d’italia - ufficio studi

- s.v.i.m.e.z. 5 via paisiello

- oltre che della dir. gen. affari politici e della dir. gen. emigrazione

Prende la parola il Direttore Generale FERLESCH il quale, come Delegato italiano, ha attivamente partecipato alle riunioni del Gruppo di lavoro n. 17 dell’O.E.C.E.

Il Dott. FERLESCH espone nelle sue grandi linee lo svolgimento dei lavori al riguardo, nonché le conclusioni che sono esposte nel rapporto testé pubblicato dall’O.E.C.E.

S.E. FERRARI AGGRADI mette in rilievo che il compito della presente riunione è prevalentemente informativo per le Amministrazioni partecipanti e servirà utilmente per conoscere le prime reazioni di queste ultime. Sottolinea comunque che siamo attualmente nella fase preliminare che non comporta ancora impegni sul piano tecnico.

La conclusione del Gruppo di lavoro O.E.C.E. è che dal punto di vista tecnico nulla osta alla creazione della zona. Sono stati inoltre indicati una serie di problemi tecnici relativi a tale creazione.

È utile conoscere fin d’ora dalle Amministrazioni principalmente interessate, quali sono le eventuali preoccupazioni e quali le questioni da sollevare a Parigi.

Il Dott. PALUMBO vorrebbe conoscere, a titolo di orientamento, quale accoglienza è stata fatta dagli altri Delegati all’accenno ai problemi relativi alla circolazione dei capitali, al coordinamento fra le rispettive legislazioni nazionali ecc., per i riflessi finanziari che le soluzioni di tali problemi potrebbero avere per noi.

Il Dott. FERLESCH fa presente che, naturalmente, le divergenze iniziali si sono notevolmente ammorbidite nel corso dei lavori. I Delegati inglesi, nettamente contrari all’inizio ad una concezione comprensiva della zona di libero scambio, sono venuti – pur senza entrare nei dettagli – nell’ordine di idee che consultazioni al riguardo sono ineluttabili, anche se tali questioni costituiscono problemi a sé stanti.

Il Dott. URCIUOLI pensa che l’idea politica generale è quella che ci sorreggerà nel superare le grandissime difficoltà tecniche.

Vi sono questioni di fondo e questioni anche di presentazione alla nostra opinione pubblica e specialmente alle categorie interessate. Per quanto riguarda il Mercato Comune, abbiamo messo [in] luce nei confronti delle nostre categorie industriali un quadro in cui accanto a determinati svantaggi stavano anche innegabili vantaggi. Teme che per quanto riguarda la zona di libero scambio ci troviamo invece di fronte soltanto a svantaggi, ora come ora.

Ritiene che occorreranno lunghi negoziati per superare tutte le difficoltà esistenti nella presentazione odierna.

Il Prof. PAPI tiene a mettere in risalto la precisione e la ottima presentazione tecnica del rapporto del Gruppo di lavoro. Gli preme tuttavia soffermarsi sul problema dell’esclusione dei prodotti agricoli: tale esclusione significherebbe, a suo giudizio, mettere in difficoltà i paesi O.E.C.E. la cui struttura economica e sociale è fondamentalmente legata all’agricoltura, come nel caso dell’Italia.

Tiene a sottolineare che l’ O.E.C.E. ha sinora tenuto insieme i vari paesi, facendo opera di solidarizzazione. Teme che la zona di libero scambio crei invece una frattura fra tali paesi.

La conseguenza diretta dall’esclusione dei prodotti agricoli è illustrata dalla seguente domanda: chi acquisterà i prodotti industriali? Con che cosa verranno pagati? Evidentemente soltanto con una maggiore quantità di prodotti agricoli.

Secondo il Prof. Papi, per quanto riguarda il nostro paese, l’argomentazione fondamentale a favore dell’inclusione dei prodotti agricoli è sempre la seguente: si ha tra le componenti del nostro reddito nazionale uno squilibrio tra la componente industriale che potrà espandersi, e quella agricola, che resterà invece anchilosata. Si introduce così nella economia nazionale un fattore di equilibrio, tanto più grave nel nostro paese in cui già esiste un divario, destinato quindi ad accentuarsi, tra reddito delle regioni industriali e quello delle regioni agricole.

Tenuto conto dell’argomentazione principale fatta valere dagli inglesi per l’esclusione (preferenza imperiale), il Prof. Papi si domanda se non potrebbe essere prospettata la seguente soluzione: che l’Inghilterra non abbandoni la preferenza imperiale; accordi pure, per un periodo limitato nel tempo, maggiori preferenze ai prodotti del Commonwealth, ma si impegni a giungere, entro un determinato periodo, ad una parificazione del trattamento tra prodotti agricoli della zona di libero scambio e quelli del Commonwealth, portando gradualmente al livello delle preferenze imperiali i prodotti agricoli della zona di libero scambio.

Qualora neanche ciò sia possibile, partecipi almeno attivamente al Comitato O.E.C.E. agricoltura e alimentazione, dando assicurazioni concrete che il settore agricolo non debba essere retrocesso ai margini.

Il Prof. MOLINARI si dichiara pienamente d’accordo col Prof. Papi e chiede se è stato affrontato il problema della specificazione dei prodotti che da parte inglese si intenderebbe escludere dalla zona di libero scambio.

IL RAPPRESENTANTE DEL MINISTERO DELLE FINANZE manifesta le sue preoccupazioni circa il problema dei ristorni nonché quello dei sussidi all’esportazione.

Il Dott. LANDRISCINA ritiene che già nella dichiarazione di intenzioni, che probabilmente uscirà dall’imminente Consiglio dell’ O.E.C.E.2, dovrebbero essere sottolineati da parte italiana i punti seguenti:

1. la possibilità che si creino squilibri più gravi e più ampi di quelli del Mercato Comune. In quest’ultimo operano misure e procedure speciali, quali correttivi di eventuali squilibri;

2. coordinamento dei tempi: già la realizzazione del Mercato Comune implica la formazione di nuovi equilibri nelle economie dei paesi membri. Occorre evitare che una volta raggiunti tali equilibri, non vengano successivamente squilibrati dalla realizzazione della zona di libero scambio;

3. vastità geografica della zona: una certa omogeneità ed equivalenza esiste (fatta eccezione per il Mezzogiorno d’Italia) tra i paesi del Mercato Comune. La maggiore estensione geografica della zona di libero scambio rischia di rompere questa omogeneità.

Il Prof. PAPI ricorda il voto emesso dal Comitato O.E.C.E. dei supplenti dell’agricoltura, con il quale il Comitato stesso si mette a disposizione per il proseguimento degli studi dei problemi dell’agricoltura in relazione alla zona di libero scambio.

IL RAPPRESENTANTE DEL MINISTERO DEI TRASPORTI fa presente che, per il momento ed alla stregua dei documenti sinora disponibili, non si pongono problemi specifici per il settore trasporti.

Il Dott. MARINELLI (Min. Lavoro) fa presente che, per quanto riguarda i problemi del lavoro, il memorandum inglese3 enuncia solo affermazioni di principio che mancano tuttora di una concreta trattazione.

Per quanto riguarda il mantenimento del livello di occupazione enunciato nel memorandum inglese, il Dr. Marinelli ritiene che tale affermazione sia adeguata per l’Inghilterra, ma dovrebbe essere ben chiaro che per il nostro paese si tratta di procedere ad un elevamento del nostro livello di occupazione. Accenna quindi alle ripercussioni nel settore lavoro di eventuali conseguenze negative della zona di libero scambio sulle nostre industrie meccaniche e su quelle tessili.

Il Dott. Marinelli ritiene che la sua Amministrazione sia d’accordo sulla questione dell’armonizzazione delle politiche sociali, di cui al punto 13 del memorandum inglese.

L’Ambasciatore CATTANI espone che nell’impostazione politica che è stata data da parte nostra al problema che sarà discusso all’imminente Consiglio dell’ O.E.C.E, sono state tenute in conto le argomentazioni del Dott. Urciuoli e del Prof. Papi ed anzi sono già state inserite nei progetti di intervento dei nostri Ministri a Parigi.

Indubbiamente vi dovranno essere anche per la zona di libero scambio dei correttivi: sono indispensabili ed avremo ragioni di insistere ed abbiamo argomenti per far convergere su di esse l’attenzione degli inglesi. Del resto già in molti punti essi hanno evoluto rispetto all’iniziale proposta MacMillan.

La impostazione che abbiamo dato ai progetti di intervento dei nostri Ministri è molto legata agli argomenti fatti valere nella presente riunione. Così per quanto riguarda la necessità delle contropartite, fatta valere dal prof. Papi a favore dell’inclusione dei prodotti agricoli.

D’altra parte appare necessario, nel prossimo Consiglio O.E.C.E., di far cadere la pregiudiziale inglese di «zona industriale di libero scambio».

L’Ambasciatore CATTANI considererebbe rischio grave l’accettare il principio del parallelismo dei lavori (in sede di Comitato dei Sostituti per l’agricoltura) proposto in via subordinata dal prof. Papi. Noi vorremmo far accogliere il principio che quello dell’agricoltura è problema da situare dentro la questione zona di libero scambio e non parallelo.

La riunione del 12-13 a Parigi dovrà iniziare con una dichiarazione di principio di adesione sul piano politico ed orientativa per i futuri negoziati.

Circa i punti sollevati dal Dott. Landriscina, l’Ambasciatore Cattani pensa che i tempi di attuazione della zona dovrebbero essere gli stessi di quelli del Mercato Comune. Circa le questioni monetarie, è un problema sul quale occorrerà riflettere per tutte le possibili implicazioni.

Circa il problema «ristorni e sussidi» posto dal Rappresentante del Ministero delle Finanze, occorre sia ben chiaro che si tratta di due problemi ben distinti. Anche gli inglesi sono ben orientati per la eliminazione dei sussidi, considerati come fattori di perturbamento negli scambi. Il rimborso invece della fiscalità indiretta è ben diverso e dovrebbe esser data alla questione, nella zona di libero scambio, una soluzione analoga a quella del Mercato Comune.

Circa i problemi del lavoro, non sa se convenga battersi sino all’ultimo circa la libera circolazione dei lavoratori; ma sarà posto il problema, naturalmente. È d’accordo circa le osservazioni del Rappresentante del Ministero del Lavoro circa il livello di occupazione.

Per quanto riguarda il problema del Fondo di investimenti, è da sottolineare che il Fondo stesso è uno dei tanti correttivi previsti nel Mercato Comune. Ma si domanda se nella zona di libero scambio la soluzione vada cercata nella esistenza del Fondo, («ed è da tener presente che ci saranno paesi che avranno esigenze molto maggiori delle nostre») oppure nella liberazione dei capitali.

Oltre tutto daremmo perplessità agli altri cinque nel Mercato Comune, che hanno accettato la nostra richiesta fondamentale posta a Messina, della Banca dagli investimenti europea, nel Mercato Comune che, è da tutti riconosciuto, dovrà prevalentemente porre a disposizione i suoi fondi per lo sviluppo delle zone depresse da noi.

In conclusione se a un «Fondo» nella zona di libero scambio si arriverà, bene, ma non gli sembra che dobbiamo esser proprio noi ad insistere per la sua creazione.

Per quanto riguarda il problema dei paesi sottosviluppati (Grecia, Turchia, ecc.): tecnicamente la loro esclusione sembrerebbe logica; politicamente no e non conveniente.

Per quanto riguarda, infine, il problema istituzionale, pensa che sarà fatalmente posto dalla necessità di gestione e dalla responsabilità di funzionamento della zona.

S.E. FERRARI AGGRADI: gli sembra di poter concludere nel senso che il punto base è quello esposto dal Dott. Urciuoli.

Per quanto riguarda la procedura dei tempi, gli sembra che nella prossima riunione di Parigi si tratta soltanto di indicare delle linee direttrici; dovrà seguire quindi una trattativa molto complessa.

Per quanto riguarda i problemi di fondo, la trattativa probabilmente non sarà breve e ad un certo momento vi sarà certamente un incontro delle volontà. Occorrerà essere, a quel momento, buoni interpreti di ciò che vogliamo. È comunque da tener presente che la zona di libero scambio deve costituire un apporto positivo alla integrazione fra i vari paesi.

S.E. Ferrari Aggradi ritiene che siano da sottolineare due punti:

1) il punto di vista inglese che vorrebbe limitare la questione della zona di libero scambio ad una portata semplicemente doganale, è sbagliato; perché è evidente la necessità di risolvere gli aspetti economici sostanziali che condizionano l’effettivo raggiungimento dell’accordo doganale;

2) dobbiamo evitare di accettare un accordo limitato ad un solo settore; dobbiamo invece tendere, come punto di arrivo, ad un accordo completo su tutti i settori; altrimenti aggraveremmo gli squilibri già esistenti, anziché comporli.

Concludendo quindi, gli sembra che occorra dare alla nostra azione una impostazione costruttiva, ma al tempo stesso molto cauta nello interesse generale.


1 Il documento non è datato.


2 Vedi D. 287.


3 Vedi D. 284, Allegato III.

286

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BADINI CONFALONIERI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 2981/371. Bruxelles, 9 febbraio 1957, ore 19,38 (perv. ore 20,30).

Oggetto: Zona liberi scambi.

In seduta Capi delle Delegazioni è stato concordato progetto dichiarazione comune sei paesi a discussione zona libero scambio martedì venturo2 O.E.C.E.

Documento tiene conto necessità italiane che divengono in tal modo parte della posizione comune. Sottolinea particolarmente necessità estendere zona anche a agricoltura ed in generale che meccanismo zona di influenza inglese si articoli in armonia a quella prevista – e ormai consolidata – per Mercato Comune. Secondo il desiderio Ministro Zoli Spaak in apertura della seduta farà relazione su stato lavori Mercato Comune e illustrerà documento salvo ulteriori dichiarazioni altri Capi delle Delegazioni.

Documento verrà ridiscusso per stesura finale in seduta indetta Parigi lunedì pomeriggio alla prima favorevole occasione interverrò. Provvedo urgenza diramare costì e Parigi copia del documento in questione.


1 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.


2 Il 12 febbraio, inizio dei lavori del Consiglio dei Ministri dell’O.E.C.E., vedi D. 287.

287

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, SORO

Appunto1.

APPUNTO SUL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELL’O.E.C.E.[Parigi, 12-13 febbraio 1957]

Il Consiglio ministeriale dell’O.E.C.E. si è svolto nei giorni 12 e 13 febbraio con la partecipazione dei Ministri responsabili della politica economica dei paesi membri.

Per l’Italia hanno partecipato alle riunioni il Ministro del Bilancio, il Ministro del Commercio Estero e i Sottosegretari Badini Confalonieri e Ferrari Aggradi.

All’ordine del giorno della Sessione erano due argomenti:

I. La questione della zona di libero scambio.

II. Il rapporto al Consiglio del Comitato di direzione dell’energia nucleare.

Il secondo argomento all’ordine del giorno è stato rapidamente esaurito nella seduta pomeridiana del 13 febbraio, dopo due brevi interventi del Delegato svizzero e del Delegato svedese ed è stata accordata una proroga di tre mesi per la presentazione del rapporto del Comitato di direzione al Consiglio.

Il resto dei lavori che si sono protratti con una riunione notturna del 13 febbraio, è stato assorbito dalle discussioni relative alla prima questione all’ordine del giorno e cioè la zona di libero scambio.

I lavori del Consiglio si sono basati sulle conclusioni raggiunte dal Gruppo di lavoro n. 17 che ha svolto un esame sulla possibilità di costituzione di una zona di libero scambio, rispondendo affermativamente a tale quesito e prospettando i problemi di carattere generale e tecnico che devono essere risolti perché tale creazione non provochi sfavorevoli ripercussioni nei confronti dei paesi che vi parteciperanno.

Tra i problemi di carattere tecnico sono stati particolarmente esaminati dal Gruppo di lavoro quelli dell’origine delle merci, delle probabili distorsioni di traffico, delle clausole di salvaguardia; tra i problemi di carattere generale che rivestono sotto diversi aspetti importanza politica, quelli delle regole di concorrenza, del coordinamento delle politiche economiche e, infine, dei problemi istituzionali che sorgono dalla creazione della zona.

Le sedute del Consiglio si sono svolte sotto la presidenza del Cancelliere dello Scacchiere britannico che, nel discorso di apertura, dopo aver richiamato sia il rapporto del Gruppo di lavoro n. 17 che il Memorandum britannico, già presentato al Parlamento sotto forma di libro bianco, già diramato alle Delegazioni come documento di lavoro per il Consiglio, sottolinea che il Consiglio non è chiamato ad elaborare norme concrete ma a dichiarare la volontà politica di creare la zona. Tale volontà politica deve essere diretta sia alla soluzione soddisfacente di problemi tecnici che la zona di libero scambio solleva sia a non indebolire la cooperazione economica europea già esistente. Tale cooperazione, al contrario, deve essere rafforzata o lo potrà con la creazione della zona. Quest’ultima, a sua volta, per un equo contemperamento degli interessi degli Stati, dovrà prevedere particolari norme in materia di agricoltura sia clausole speciali e regimi particolari per i paesi economicamente deboli.

Dopo il discorso di apertura del Cancelliere dello Scacchiere, il barone Snoy, Presidente del Gruppo di lavoro n. 17, ha presentato ufficialmente al Consiglio il rapporto del Gruppo sul progetto della zona di libero scambio.

Il Ministro degli Esteri belga, a nome dei Sei, ha riferito sullo stato attuale delle negoziazioni per l’attuazione del Mercato Comune ed ha richiamato l’attenzione del Consiglio sulle difficoltà tecniche e politiche della creazione di una zona di libero scambio. Ma la considerazione di tali difficoltà peraltro superabili, sulle quali il Gruppo di lavoro n. 17 si è soffermato, non deve scoraggiare l’adozione del sistema.

Il signor Spaak ritiene che una zona di libero scambio deve comprendere tutte le categorie di merci prodotte dai paesi dell’ O.E.C.E. e tra questi scambiate, pena uno sviluppo disarmonico delle economie; ciò anche per raggiungere una reciprocità nelle prestazioni di ciascuno di essi. Il signor Spaak si rende conto che problemi particolari si porranno per l’agricoltura e per la partecipazione alla zona dei paesi insufficientemente sviluppati, ma è dell’avviso che soluzioni appropriate potranno essere trovate riferendosi ai principi ammessi in materia dal Mercato Comune. Il signor Spaak sottolinea inoltre l’opportunità di richiamarsi in generale alle norme del Mercato Comune per la elaborazione di tutte le regole della zona e richiama, in particolare, l’interesse di prospettare soluzioni tecniche comuni per le riduzioni tariffarie, l’abrogazione progressiva delle restrizioni quantitative e le clausole di salvaguardia.

Il Presidente del Board of Trade, Eccles, ha ribadito il punto di vista britannico sull’intenzione di creare una zona di libero scambio limitata ai prodotti industriali.

Il discorso del Delegato austriaco, Ministro degli Esteri Figl, ha confermato l’interessamento dell’Austria per una zona di libero scambio.

Il Delegato degli Stati Uniti ha pure confermato, l’interesse con cui il suo paese segue ogni azione diretta ad aumentare le capacità produttive dell’Europa e le sue possibilità di concorrenza internazionale eliminando le discriminazioni sia all’interno che all’esterno della zona, purché ogni iniziativa sia nella sua realizzazione compatibile con gli impegni già assunti in sede internazionale (per es. G.A.T.T.).

Analoghe dichiarazioni ha fatto il Rappresentante del Canada.

Il problema dell’inclusione o meno dei prodotti agricoli è stato affrontato in termini decisi dal Rappresentante della Danimarca che considera le soluzioni raggiunte in materia sul progetto di Mercato Comune un minimo appena soddisfacente al di sotto del quale la zona di libero scambio non dovrebbe scendere.

Il Rappresentante della Grecia ha formulato riserve sulla costituzione di una zona alla quale non fosse data la possibilità di partecipare a paesi in corso di sviluppo, giungendo quasi a far balenare la possibilità di un veto ove non fossero previste condizioni per l’adesione dei paesi in via di sviluppo, gli scambi agricoli ed un fondo di investimenti.

Il Ministro Erhard a nome del Governo germanico ha sottolineato che la creazione di una zona di libero scambio, come il Mercato Comune, deve tendere ad aumentare la capacità competitiva dei paesi che vi partecipano e porre le loro economie in grado di affrontare in pieno la concorrenza mondiale in modo che gli scambi possano raggiungere il massimo livello possibile in tutte le direzioni e contribuire così ad un aumento del tenore di vita e a quella stabilizzazione politica e sociale che rappresenta lo scopo di tutti i nostri sforzi.

Il raggiungimento di tali obiettivi, non chiede, a suo parere, la necessità di preventiva approvazione di formule tendenti ad equiparare le condizioni economiche dei vari paesi, condizioni economiche che potranno migliorare e livellarsi dopo la creazione di un mercato di notevole ampiezza.

Dopo l’intervento del Ministro Ramadier, che ha esaminato i rapporti tra zona di libero scambio e Mercato Comune, ha preso la parola il Ministro Zoli.

Egli ha sottolineato nel suo intervento il favore con cui il Governo di Roma ha accolto la proposta britannica, e la soddisfazione provata da parte italiana nel vedere il Governo inglese avvicinarsi agli obiettivi che da lungo tempo rappresentano un punto fondamentale nella politica italiana.

L’On. Zoli ha dichiarato di voler prendere come base del suo intervento il rapporto del Gruppo di lavoro dell’ O.E.C.E. che apre la via a delle possibilità di accordo. Più difficile da raggiungere invece ove si prendesse come punto di partenza un documento così nettamente definito come il Memorandum britannico.

Una zona di libero scambio trova la sua espressione nel principio della reciprocità, riconosciuto valido dal Memorandum britannico, e la reciprocità non si può intendere che prendendo in considerazione le economie dei paesi partecipanti nel loro insieme; è pertanto difficile concepire una zona di libero scambio limitata alla sola categoria dei prodotti industriali. Per l’Italia, il settore agricolo rappresenta il 30% dell’esportazione, per l’Inghilterra il 4%; il settore industriale costituisce per contro il 50% delle nostre importazioni, di fronte a un terzo per l’Inghilterra; il Ministro Zoli rammenta anche le altre fondamentali differenze esistenti negli investimenti industriali, nonché l’importanza del libero movimento della mano d’opera e del turismo.

Il Ministro Zoli conclude la rassegna dei principali punti del progetto della zona di libero scambio che destano preoccupazione per il Governo italiano, accennando al piano decennale di sviluppo economico del paese che potrebbe essere compromesso dalla eliminazione della protezione doganale delle industrie ove non venisse accordato un compenso in altri settori. Il Ministro Zoli ha sottolineato quindi la necessità che una nuova esperienza così ardita come la zona di libero scambio poggi sin dall’inizio su basi eque e solide, ed ha espresso il convincimento che un esame approfondito del problema possa condurre ad un riavvicinamento con il punto di vista britannico.

A sua volta, il Ministro Mattarella, precisa la posizione del Governo italiano sulle norme di politica commerciale e doganale della zona di libero scambio. Egli si sofferma in modo particolare sul problema dell’origine delle merci e sui criteri (lista di trasformazione, valore aggiunto) elaborati dal Gruppo di lavoro per evitare distorsione di traffico. In proposito egli si dichiara per l’adozione dei criteri più ampi possibili per realizzare la maggiore estensione possibile della zona.

Sui metodi di riduzione delle restrizioni quantitative e dei diritti doganali, il Ministro Mattarella suggerisce metodi analoghi a quelli adottati dal Mercato Comune.

Per quanto riguarda le clausole di salvaguardia, egli sottolinea l’opportunità di evitare che esse siano applicate in modo discriminatorio e con lo scopo di trasferire sugli altri paesi le proprie difficoltà economiche interne. Il Ministro Mattarella si dichiara contrario in linea di principio al ricorso unilaterale alle clausole di salvaguardia, e ritiene che le clausole stesse debbano agire rallentando piuttosto il ritmo di riduzione dei diritti doganali, anziché riducendo quello della progressiva abolizione delle restrizioni quantitative. Il Ministro Mattarella si dichiara anche favorevole all’abrogazione del principio dell’unanimità nella decisione sui ricorsi alle clausole di salvaguardia.

Il Ministro Mattarella approva infine i principi enunciati dal Gruppo di lavoro sulle regole di concorrenza e richiama l’opportunità di una disciplina organica ed armonica di tale problema.

Al termine della riunione notturna del 13 febbraio il Consiglio dell’ O.E.C.E. ha deciso di iniziare i negoziati diretti a stabilire le modalità di creazione della zona di libero scambio.

Nella elaborazione di tali modalità, il Consiglio sottolinea in modo particolare che esse devono tendere sia alla espansione degli scambi di tutti i prodotti, e quindi anche di quelli agricoli, i quali ultimi devono potersi muovere in maniera non discriminatoria tra tutti i paesi membri dell’Organizzazione, sia alla partecipazione alla zona dei paesi in via di sviluppo economico.

Il Consiglio ha incaricato il suo Presidente di sottoporgli concrete proposte per la costituzione dei gruppi di lavoro necessari per la elaborazione delle modalità della zona, particolarmente di quelle dirette alla soluzione dei problemi dell’agricoltura e dei paesi insufficientemente sviluppati, nonché di sottoporre al Comitato un rapporto unico sui risultati dei lavori dei vari gruppi prima del 31 luglio 1957. Il Consiglio ha conferito inoltre al suo Presidente l’incarico di dirigere e di coordinare i lavori dei diversi gruppi.

Il Consiglio ha infine invitato i Governi dei paesi associati all’ O.E.C.E. di farsi rappresentare nei gruppi di lavoro.

La discussione che, basata sui documenti sopracitati, si era effettivamente centrata sulle tre principali prese di posizione britanniche sulla natura industriale della zona di libero scambio, conseguente esclusione dei prodotti agricoli e la difficoltà di associare alla zona paesi «in via di sviluppo», si è conclusa senza poter giungere ad un accordo di principio.

Tuttavia il fatto che il rapporto, da presentare entro il 31 luglio, debba contemporaneamente e contestualmente tener conto dei tre problemi e prospettare le possibili soluzioni, rappresenta un risultato procedurale che permette di approfondire l’esame delle questioni e non interferisce nel frattempo sui lavori in corso per la creazione di un Mercato Comune.


1 Il documento, datato Roma 23 febbraio, fu trasmesso lo stesso giorno da Soro (Telespr. CEE/00141) agli stessi destinatari di cui al D. 280, nota 1, ad eccezione del Comitato Nazionale Ricerche Nucleari.

288

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SEGNI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

L. personale urgente. Roma, 12 febbraio 1957.

Carissimo Martino,

l’On. Benvenuti vi ha messo al corrente di talune sue preoccupazioni per l’associazione dei territori di oltremare (T.O.M.).

L’associazione avverrebbe a condizioni non precisamente definite, che secondo B.[envenuti] consisterebbero non nella unione doganale, ma semplicemente in un trattamento di «non discriminazione» rispetto alla Francia per i prodotti importati nei T.O.M. dall’area del Mercato Comune.

Questa non discriminazione è meno di quanto si dovrebbe attendere da una associazione, perché (se le notizie non molto precise fornitemi oggi dal Ministero del Commercio Estero sono esatte) in questo momento la Francia è unita doganalmente alle sue colonie e le merci francesi non pagano diritti doganali all’entrata in colonia, ma solo dei cosiddetti diritti compensativi che servono ad equilibrare i prezzi dei prodotti francesi importati con le produzioni locali: essi tendono a equilibrare le tasse pagate dalle stesse produzioni in Francia ed in colonia.

Non vi è protezione doganale, ma il regime potrebbe prestarsi ad una protezione di fatto, il che indica una importante tendenza.

Secondo Benvenuti la Francia non si impegna, colla non discriminazione, a non introdurre tariffe doganali (il che può fare conservando la sovranità nei T.O.M.), le quali proteggerebbero la produzione coloniale (anche industriale) contro la produzione delle nazioni del Mercato Comune.

È vero che così si troverebbe svantaggiata anche la produzione francese del territorio metropolitano, ma la nazione sovrana potrebbe avere un interesse a proteggere industrie coloniali, rivalendosi col maggior costo di certi servizi obbligati, che le colonie francesi ricevono dalla madre patria.

A sostegno della sua opinione pessimista Benvenuti cita la opinione di Marjolin; io ho trovato un accenno sulla «Neue Zurcher Zeitung» del 3 febbraio 1957, blatt 11, che conferma le preoccupazioni di Benvenuti.

Perciò ti prego vedere se la soluzione non si può trovare nel chiedere che non venga alterato l’attuale regime doganale tra Francia e T.O.M. estendendolo alle nazioni associate.

Date le notizie non sicure date dal Ministero Commercio Estero ha pregato Quaroni di assumerne a Parigi.

La questione mi sembra di estrema importanza1.

Con viva cordialità abbiami

Tuo aff.mo

Segni


1 Per la risposta vedi D. 292.

289

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALL’AMBASCIATA A BONN

T. 1688/21. Roma, 13 febbraio 1957, ore 17.

Delegazione italiana Conferenza Mercato Comune e Euratom telegrafa in data 11 corrente quanto segue:

(riprodurre telegramma 38 da Bruxelles da: Delegazione tedesca … a … all’unanimità)1.

V.E. è pregata voler compiere costì passi ad alto livello per pregare vivamente Governo tedesco di lasciare cadere richiesta di cui sopra. Infatti questione interessa particolarmente Governo italiano per seguenti ragioni.

1. Fondo di riadattamento rappresenta uno degli elementi essenziali per noi – sopratutto dal punto di vista politico – del sistema del Trattato comune. Chiave ripartizione adottata a Bruxelles, di comune accordo, colla quale ci si imponeva il 20% del carico totale, è ormai nota in Italia e un regresso avrebbe delicate conseguenze politiche.

2. Soluzioni adottate per funzionamento Fondo sono state frutto di una proposta comune tedesca e italiana; sarebbe altamente spiacevole che contrasto punti di vista italiano e tedesco dovesse manifestarsi proprio ora in questa fase finale.

3. Dato sistema funzionamento Fondo – che rimborsa metà spese sostenute da Stati – con chiave 20% noi verremmo ad essere rimborsati solo del 40% delle spese effettuate. Poiché tutti concordano per sostenere che Fondo giocherà quasi esclusivamente a favore lavoratori italiani, aumento nostra percentuale ridurrebbe tale vantaggio a misura che non potrebbe non avere effetto sfavorevole su nostra opinione pubblica.

4. Accettazione 20% intervenuta Bruxelles rappresenta già uno sforzo italiano superiore a nostre possibilità tenendo conto che nostro reddito nazionale rappresenta 17% del totale redditi nazionali sei paesi. Abbiamo accettato, con grave sacrificio, ripartizione a 28% per bilancio funzionamento istituzioni e partecipazione a 24% per Banca Investimenti soltanto per ovvie ragioni politiche di parità.

5. Ci sembra infine che mal si giustificherebbe agli occhi dell’opinione pubblica internazionale questo improvviso spirito di risparmio tedesco, se si considera che Governo francese ha accettato invece di aumentare sua quota per Fondo di riadattamento, a pari con Germania, per tener conto particolare situazione Italia.

6. La richiesta alternativa tedesca di votare bilancio all’unanimità, che se accolta, avrebbe per conseguenza di mettere in forse continuamente possibilità per Fondo di assolvere suoi compiti, ci giunge altrettanto sgradita.

Segnalasi a V.E. urgenza passo richiesto2, poiché questione dovrebbe eventualmente essere discussa lunedì e martedì venturo a Parigi3.


1 T. 3099/38 dell’11 febbraio a firma Ducci, il brano ritrasmesso è il seguente: «Delegazione tedesca ha distribuito, su istruzioni proprio Governo, nota nella quale chiede che chiave ripartizione e contributi per Fondo riadattamento mano d’opera, già approvato dai Ministri 4 febbraio scorso, sia sostituito con ripartizione tipo quella per spese esercizio Mercato Comune. In altre parole Italia dovrebbe contribuire 28% come Francia e Germania, anziché 20%. Qualora tale richiesta non sia accettata, Delegazione tedesca chiede che si ritorni ad approvazione bilancio all’unanimità».


2 Dopo una prima risposta interlocutoria (T. 3343/40 del 14 febbraio) nella quale Grazzi aveva segnalato che l’atteggiamento tedesco era probabilmente legato a quello italiano circa gli investimenti nei territori d’oltremare, con il T. 3474/43 del 15 febbraio comunicò:« Mio telegramma n. 40. In assenza da Bonn von Brentano e Hallstein ho riparlato questione con Segretario Generale. Questi mi ha detto che Delegazione tedesca terrà massimo conto nostre osservazioni e che questione nostra partecipazione Fondo riadattamento verrà considerata Parigi nell’insieme sistema queste percentuali, secondo quanto fatto presente telegramma citato specie in relazione investimenti territori oltremare».


3 Vedi Appendice documentaria, DD. 7 e 8.

290

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALL’AMBASCIATA A BONN

T. 1728/23. Roma, 13 febbraio 1957, ore 23,45.

Nel prendere atto utili informazioni fornite da V.E.1, pregasi far conoscere codesto Governo che Governo italiano, per quanto riguarda misura e modalità contributi a suo carico per territori oltremare, non può non tener conto sforzi finanziari per Mezzogiorno, cui deve dare per ovvi motivi priorità assoluta. Tuttavia Governo italiano non intende sottrarsi a partecipazione sforzo comune, se contenuto in limiti ragionevoli. Tenuto conto che nostro sforzo per Mezzogiorno è particolarmente gravoso in questi primi anni Governo italiano si sta pertanto orientando verso proposta che consenta effettuare suoi versamenti con un ritmo diverso da quello altri paesi, partendo da percentuale minima della sua quota, così come verrà concordata, aumentandola gradualmente in modo da raggiungere cento per cento al termine decimo anno e versando eventualmente in anni successivi quota parte rimasta scoperta per minori versamenti iniziali.

Pregasi inoltre confermare con occasione che per chiave ripartizione, Governo italiano dovrà insistere affinché sia basata sul reddito nazionale di ciascun paese2.


1 Vedi D. 283.


2 Vedi 289, nota 2.

291

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 3244-3257/96-971. Parigi, 13 febbraio 1957, ore 19,30 (perv. ore 21,10).

Oggetto: Banca investimenti.

96. Ho parlato oggi con Maurice Faure.

Non avendo ancora istruzioni precise per quello che concerne cifre, sono dovuto restare sulle linee generali secondo istruzioni di V.E. Ho comunque precisato:

1) Non possiamo (ripeto non) accettare percentuale partecipazione italiana su basi previste per Banca investimenti: percentuale dovrà essere molto inferiore;

2) partecipazione italiana in vista esigenze Piano Vanoni non potrà essere che a scadenza: partendo da partecipazione non più che simbolica nei primi anni fino a partecipazione piena al decimo anno;

3) distinzione fra spese «sociali» ed altre ha reso situazione italiana più difficile di fronte Parlamento dati2 bisogni Italia stessa in materia;

4) dovrebbe comunque essere accettato da parte nostra pagamento parte almeno nostra quota in medici, maestri eccetera.

Maurice Faure mi ha detto che in vista difficoltà sollevate da vari paesi fra cui noi, Governo francese sta preparando nuova proposta che sarà probabilmente presentata altri partners europei stasera. È comunque d’accordo che questa partecipazione italiana deve essere molto inferiore a nostra quota Banca investimenti. Egualmente d’accordo per pagamento in persone.

Governo francese in questa sua nuova proposta non accetterebbe distinzione fra investimenti sociali e quelli economici: preferirebbe stabilire somma globale prevista per un periodo di cinque anni che Stati interessati dovrebbero poi dividersi fra di loro secondo criteri prestabiliti.

97. A mia richiesta quale secondo questo piano francese sarebbe contributo annuo italiano, Faure ha indicato cifra 10 miliardi franchi all’anno. Gli ho risposto che non c’era nemmeno lontanamente da pensare: non ero in grado precisargli cifra perché ancora in attesa istruzioni, ma che comunque non poteva trattarsi che di cifra realmente simbolica.

Ad osservazione Faure che era impossibile portare Parlamento francese contribuzione italiana di solo qualche centinaio milioni franchi, gli ho risposto che era ancora più impossibile portare davanti Parlamento italiano proposta investire in Africa somme considerevoli oltre quelle che già spendevamo per Somalia e Libia. D’altra parte Parlamento francese sapeva benissimo che Italia era paese povero impegnata lotta difficile contro miseria disoccupazione all’interno paese, lotta che era anch’essa a profitto comunità europea. L’ho comunque pregato fare in tutta chiarezza presente nostra posizione Consiglio Ministri che si riunisce adesso per decidere nuovo piano francese.

Mentre continuo miei contatti Faure vorrei attirare attenzione V.E. su necessità che sue istruzioni siano precisate in quanto cifre. Come V.E. sa se questione non è chiarita, in quanto possibile, con francesi, prima riunione Ministro degli Esteri e Presidente del Consiglio3 sono praticamente inevitabili degli urti che ritengo siamo tutti d’accordo nel ritenere opportuno evitare.


1 La prima parte del presente documento (T. 96), partita alle ore 19,30 pervenne alle ore 20,30, mentre la seconda (T. 97) partita alle ore 19,55, pervenne alle ore 21,10.


2 Nota del testo: «La parte sottolineata è stata rettificata».


3 Si riferisce alla Conferenza dei Capi di Governo e dei Ministri degli Affari Esteri che si tenne a Parigi il 19-20 febbraio 1957, vedi Appendice documentaria, D. 8. Per il seguito vedi DD. 295 e 296.

292

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SEGNI

L. personale urgente 1/758. Roma, 13 febbraio 1957.

Caro Presidente,

la preoccupazione che tu mi segnali colla tua lettera di ieri 12 corrente1, circa la differenza fra unione doganale e «non discriminazione» da parte dei territori d’oltremare, aveva fatto oggetto di studi particolari ed accurati da parte del mio Ministero, in collegamento cogli altri Ministeri tecnici, in particolare il Ministero per il Commercio Estero.

Fin dal 2 novembre u.s. erano stati chiesti e ricevuti dall’Ambasciata in Parigi i dati relativi alla particolare situazione di ciascun T.O.M. francese nei riguardi della madrepatria.

In generale si può dire che non esistono tariffe doganali fra i territori d’oltremare e la Francia (il Congo, in virtù dell’Atto di Berlino, pratica la politica della porta aperta): vi sono invece in quei territori imposte fiscali, applicate a taluni prodotti, senza distinzione di origine. Esse servono ad alimentare i bilanci di quei territori.

La facoltà di applicare tali diritti rientra nella normale sovranità fiscale di ogni Stato, che non viene toccata dal trattato sul Mercato Comune, né quindi dall’associazione. Essa trova naturalmente un limite nel divieto di applicare imposte che abbiano, direttamente o indirettamente, effetto protettivo. Ora, per quanto concerne i territori d’oltremare, è indubbio che la situazione cui si giungerà dopo l’associazione dovrà essere la stessa. Le opportune cautele per raggiungere tale scopo sono contenute nella clausola del trattato che prevede che l’associazione dovrà esser concretata con ogni singolo territorio mediante accordi particolari da stipularsi ad opera della Comunità, e approvati dal Consiglio di Ministri. In quella sede saranno stabilite le cautele concrete, che potranno prendere la forma da te suggerita o altre, a seconda dei casi di specie da risolvere.

Come vedi quindi, il problema è indubbiamente stato da tempo chiarito nei suoi esatti termini. Francamente non capisco come mai l’On. Benvenuti, che non me n’ha mai parlato, lo avverta solo ora: la Delegazione tecnica lo ha esaminato a lungo ed a fondo ed è in possesso di tutta la documentazione relativa.

Lieto di poterti fornire questo chiarimento su uno degli aspetti del problema, che ancora numerosi ne presenta che non sono tuttora risolti, quale quello dell’eventuale preferenza da parte dei paesi del Mercato Comune ai prodotti dei T.O.M., ti invio con molta cordialità i miei migliori saluti.

Aff. tuo

Martino


1 Vedi D. 288.

293

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. urgente 3344/751. Parigi, 14 febbraio 1957, ore 24(perv. stessa ora).

Oggetto: Mercato Comune.

Da esame sommario progetto francese, inviato per aereo2, osservo quanto segue.

1) Protocollo generale di associazione indica obiettivi generici e salvo messa a punto di qualche clausola (facilitazioni per sbocco prodotti agricoli dei T.O.M.) troppo vaga e troppo impegnativa, potrebbe anche essere base di discussione. Segnalo in particolare secondo periodo articolo 4 industrie metallurgiche (manca)3 potremmo basarci per successive nostre controproposte su protocolli.

2) Proposte francesi contengono poi una convenzione di applicazione4 valevole per 5 anni; intenzioni francesi enunciatemi da Marjolin starebbero ad indicare che si è voluta ridurre l’ampiezza degli impegni finanziari e proporzionarvi quindi ampiezza apertura mercato colonie a produzione dei paesi membri. In sé il concetto è plausibile. Tuttavia parmi che gli articoli relativi agli impegni di carattere preliminare da prendersi sono troppo precisi e troppo ampi di fronte ad impegni finanziari e destinati a creare problemi scomodi tanto all’interno dei paesi quanto nei rapporti con paesi terzi (G.A.T.T., ecc.).

Ho pregato Ferlesch di esaminare questi articoli costì tra Commercio Estero e Esteri e preparare nostre controproposte. In linea generale mi sembra dovremmo mirare a rendere meno impegnativi in via di risoluzione definitiva a Roma standard questi articoli di politica commerciale e doganale. Mi sembra si possa con obiettività far presente ai francesi che nessuno di noi ha ancora potuto ponderare ripercussioni a lungo termine e che precisazione non potrà avvenire che in occasione stipulazione convenzioni particolari con vari territori.

Stesso documento contiene poi impegni di carattere finanziario. Anzitutto opera la riunificazione fra investimenti sociali e investimenti di infrastruttura. Questo implica svantaggio e vantaggio di presentazione a seconda delle diverse opinioni formulate anche in patria. A me sembra comunque che presenti svantaggio grave di separare gli investimenti di infrastrutture dai veri investimenti economici che ad essi potrebbero essere collegati e quindi di mettere in evidenza chiaramente che impegni finanziari di cui trattasi sono senza beneficio diretto di carattere economico. D’altro canto la limitazione a 5 anni di questa clausola rende impraticabili nostre proposte di impegni scalari e collegati con nostri programmi sviluppo ammontare poi (che non si discosta da somme già indicate a suo tempo come accettabili a Bonn) risulta però per noi, qualunque sia chiave di ripartizione, di imponente rilevanza.

Considerazioni svolte su scarsa nostra possibilità di contribuzione, da quanto anche è apparso finora contatti Quaroni5, trovano sì una certa comprensione da parte francese ma mi sembra ci si dica qui che dobbiamo a tale scopo intenderci con i tedeschi. In questa situazione mi sembra converrebbe approfondire consultazioni con Bonn su seguenti punti:

1) reazioni tedesche su parte commerciale e doganale delle proposte francesi;

2) loro posizione di fronte riunificazione investimenti sociali ed investimenti per infrastrutture nonché su ammontare proposte dai francesi.

Ove tedeschi si dichiarassero intenzionati a ritornare su questo punto a loro primitive impostazioni di separazione, sembrami che sarebbe per noi male minore da due punti di vista:

a) per l’ammontare delle cifre in questione;

b) per il vantaggio di riabbinare infrastrutture a progetti di messa in valore specifici di risorse e perciò a possibilità trovarsi finanziamenti con fondi non di bilancio. D’altro canto bisogna ora far comprendere ai tedeschi che occorre che essi accettino una scala di ripartizione particolarmente favorevole per noi per insieme di ragioni note.

Infine, poiché il protocollo di associazione n. 1 nell’articolo 4 enuncia il concetto che i contributi per investimenti economici e sociali terranno conto del potenziale economico dei paesi contributori e «dei vantaggi ottenuti per esso» dall’associazione ritengo converrebbe riprendere le nostre primitive proposte «lend lease» e cioè di prestiti da trasformare in doni in relazione a effettivi vantaggi ottenuti. Questa formula anche di fronte a evoluzione politica dei territori verso cui l’assistenza finanziaria viene diretta potrebbe meglio garantire in avvenire i sacrifici che venissero consentiti.

Allegato I

CHAPITRE N

ASSOCIATION DE CERTAINS PAYS ET TERRITOIRES NON EUROPÉENS

PRÉAMBULE

Les États membres, conscients de la solidarité profonde qui unit les Pays de la Communauté et certains pays et Territoires non européens et de l’importance pour l’avenir de leur prospérité commune comme pour l’équilibre du monde libre, d’un développement harmonieux de leurs échanges et de facilités accrues pour la mise en valeur de leurs ressources, entendent poursuivre en commun les efforts de développement économique et social déjà entrepris outre-mer, resserrant ainsi les liens existants et assurant, à l’avantage réciproque, les conditions des progrès ultérieurs.

Article 1er

1. Les dispositions du présent chapitre concernent les pays et territoires non européens entretenant des relations particulières avec un État membre et énumérés à l’annexe n°... .

2. Les États membres se déclarent prêts à conclure des conventions associant économiquement ces pays et territoires au marché commun.

Article 2

Le but de cette association est la promotion économique et sociale des pays et territoires considérés par le développement de leurs relations économiques avec le marché commun.

Article 3

L’association poursuit les objectifs ci-après:

1. Chaque Pays ou Territoire applique à ses échanges commerciaux avec les États membres le même régime qu’à ses échanges avec l’État membre visé à l’article ler, § 1 ci-dessus.

2. Les États membres appliquent à leurs échanges commerciaux avec les Pays et Territoires le régime qu’ils s’accordent entre eux en vertu du Traité.

Les États membres s’engagent en outre à accorder des facilités pour l’écoulement sur leur marché des produits agricoles et alimentaires originaires des Pays et Territoires.

3. En matière économique, les ressortissants des États membres jouissent dans les Pays et Territoires du même régime que les ressortissants de l’État membre visé à l’article ler, § 1.

Réciproquement les ressortissants des Pays et Territoires jouissent dans les États membres, en matière économique, du régime applicable aux ressortissants de l’État membre visé à l’article ler, § 1.

Article 4

Les États membres contribuent en commun dans les Pays et Territoires au financement des investissements économiques et sociaux qui, bien que dépourvus de rentabilité directe, favorisent l’accroissement de la production et du volume de l’emploi dans les Pays et Territoires, l’élévation du niveau de vie de leur population et la mise en valeur de leurs ressources naturelles. La participation de chaque État membre à cet effort tient compte de son potentiel économique et des avantages retirés par lui de l’association.

Les États membres favorisent la réalisation des projets dotés d’une rentabilité propre ou participent directement à ces projets.

Article 5

Les principes visés aux articles 3 et 4 ci-dessus sont progressivement mis en œuvre au cours de la période de transition dans les conditions fixées par des conventions d’application.

Les conventions concernant certains Pays et Territoires et couvrant une première période de cinq ans sont annexées au présent Traité.

Les conventions ultérieures et les conventions concernant les autres Pays et Territoires seront négociées par la Commission européenne et approuvées par le Conseil des Ministres statuant à l’unanimité.

Allegato II

PREMIÈRE CONVENTION D’APPLICATION

Article 1er

La présente convention concerne les pays et territoires énumérés ci-après:

Article 2

Les États membres appliquent aux importations des produits originaires des Pays et Territoires précités les dispositions du chapitre I du Traité qu’ils appliquent dans leurs relations commerciales mutuelles.

Toutefois, en ce qui concerne les produits agricoles et alimentaires figurant à la liste ci-annexée les États membres appliquent, au plus tard, au début de la troisième année d’application de la présente Convention, les dispositions dont l’article 21 du Traité prévoit l’application à la fin de la première étape d’application dudit Traité.

Article 3

Les Pays et Territoires appliquent dans leurs relations commerciales avec les États membres autres que la France les dispositions du Traité relatives à la réduction des droits de douane entre les États membres.

Article 4

Un an après l’entrée en vigueur de la présente convention, les contingents ouverts aux États membres autres que la France sont transformés en contingents globaux accessibles sans discrimination à tous les États membres dont il s’agit.

A partir de la même date, ces contingents sont augmentés annuellement, par application des dispositions de l’article 27 du Traité.

Article 5

Les productions des Pays et Territoires sont soumises aux dispositions du Chapitre 3 du Traité du Marché Commun dans la mesure où elles concernent des produits figurant sur la liste visée à l’article 36 dudit Traité.

Aux fins de faciliter l’écoulement sur le marché des États membres des produits agricoles et alimentaires des Pays et Territoires autres que ceux visés au paragraphe précédent, la Commission Européenne convoquera, dès l’entrée en vigueur de la présente Convention, une Conférence destinée à préciser les besoins et les ressources et à rechercher les mesures propres à régulariser le marché des produits considérés, dans l’intérêt commun des producteurs et des utilisateurs des États membres et des Pays et Territoires. La Conférence formulera ses propositions dans un délai maximum de deux ans.

Article 6

1. Les États membres contribuent en commun dans les Pays et Territoires au financement des investissements économiques et sociaux dépourvus de rentabilité propre.

2. A cette fin, ils fournissent des contributions financières annuelles dont la gestion est assurée par la Commission et qui sont réparties entre eux de la manière suivante:

Allemagne

50 millions d’unités de compte la première année, 75 la deuxième, 100 la troisième, 125 la quatrième et 150 la cinquième.

Italie

Belgique

Pays-Bas

Luxembourg

France

La contribution française est égale, chaque année à la contribution allemande.

La valeur de l’unité de compte est de 0,88867088 gr. d’or fin6.

Ces montants peuvent être modifiés par décision unanime du Conseil des Ministres.

3. Sur proposition de la France et en liaison avec les Pays et Territoires la Commission:

a) établit le programme général d’emploi par Pays et Territoires et par nature d’investissements des contributions visées au paragraphe précédent, et le soumet au Conseil des Ministres qui l’approuve en statuant à la majorité qualifiée;

b) détermine, dans le cadre de ce programme général, ou par provision tant que ce programme n’aura pas été approuvé, l’affectation des sommes disponibles au titre du paragraphe précédent, aux projets particulières qu’elle décide de financer. Les projets retenus sont choisis par priorité parmi ceux qui ont l’incidence la plus directe sur l’accroissement de la production et du volume de l’emploi dans les Pays et Territoires, l’élévation du niveau de vie de leur population et la mise en valeur de leurs ressources naturelles. Les montants non utilisés au cours d’une année sont reportés aux années suivantes.

4. La Commission veille à ce que l’utilisation des fonds soit conforme aux affectations ainsi déterminées.

5. Les ressortissants des États membres participent aux adjudications relatives aux projets financés conformément aux paragraphes précédents.

6. Conformément aux dispositions des articles … du Traité7, le présent article s’applique à l’Algérie et aux Départements d’Outre-Mer.

Article 7

1. Sur proposition de la France, et en liaison avec le Pays ou Territoires, la Commission étudie les projets d’investissement dotés d’une rentabilité propre et susceptibles d’être financés en tout ou en partie par les États membres ou par leurs ressortissants. Elle propose au Conseil des Ministres les modalités et les mécanismes de financement appropriés aux projets qu’elle aura retenus.

2. Le Conseil statue sur ces propositions à la majorité qualifiée. Toutefois, les États qui auront voté contre un projet ne seront pas tenus de participer à son financement.

3. Les autorités françaises compétentes accordent les autorisations de change relatives aux projets d’investissements productifs réalisés dans les Pays et Territoires par cessions de devises ou par apports de matériels, et présentés par des personnes résidant dans les États membres. Ces personnes jouissent, pour la réalisation des investissements ainsi autorisés, du droit de s’établir dans les Pays et Territoires dans les mêmes conditions que les ressortissants français.


1 Trasmesso tramite la Rappresentanza presso l’O.E.C.E.


2 Allegato I (non è stata rinvenuta la comunicazione con cui il documento era stato trasmesso).


3 Possibile errata decifrazione delle precedenti due parole: il telegramma reca in calce la seguente annotazione: «Diramazione ritardata per difficile decifrazione».


4 Allegato II (non è stata rinvenuta la comunicazione con cui il documento era stato trasmesso).


5 Vedi D. 291.


6 Nota del testo: «Valeur de l’unité de compte U.E.P.».


7 Nota del testo: «Relatifs à l’Algérie et aux Départements d’Outre-Mer».

294

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SEGNI,AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

L.1. Roma, 14 febbraio 1957.

Carissimo Martino,

mi pare opportuno che, prima della partenza, tu informi brevemente il Presidente della Repubblica dello stato delle trattative di Parigi. Che ti pare?

Vi andrei io, se non dovessi cercare di stare il più possibile in riposo e riguardo per poter venire a Parigi.

Affettuosi saluti.

Tuo

Segni


1 Il documento è autografo.

295

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. 3421/113. Parigi, 15 febbraio 1957, ore 22(perv. ore 22,10).

Oggetto: Banca investimenti.

Riferimento precedenti comunicazioni1.

A richiesta di Faure partito per la Tunisia ho parlato con Marjolin. Questi mi ha confermato che in base a nuova formula proposta dalla Francia (su cui Cattani ha riferito a V. E.) 2 contributo italiano per i 5 anni sarebbe, qualora ci venga attribuita percentuale considerevolmente minore di quella prevista per Banca investimenti, nell’ordine di 10 miliardi franchi francesi all’anno in media. Articolo 6 progetto francese convenzione prevede gradualità da 50 per il primo anno a 150 per il quinto. Ho ripetuto che era assolutamente fuori questione che da parte nostra si potesse accettare contributo questo ordine di grandezza: nostro contributo per i primi anni non poteva essere che letteralmente simbolico.

Marjolin d’altronde mi ha detto che somma complessiva 500 milioni di dollari per un periodo 5 anni era minima che Governo francese potesse […]3 presentare suo Parlamento per dimostrare che partecipazione europea messa in valore territori oltremare non era impegno senza consistenza reale. Governo francese si rendeva perfettamente conto situazione speciale dell’Italia ed era, per quel che lo riguardava, pronto ad appoggiare nostro punto di vista. Ma Governo francese non aveva fatto che precisare somma totale minima indispensabile, lasciando poi agli altri «partners» di sbrigarsi fra loro circa distribuzione carico4.


1 Vedi D. 291.


2 Vedi D. 293.


3 Gruppo mancante.


4 Vedi D. 296.

296

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. s.n.d. 3462/114. Parigi, 16 febbraio 1957, ore 17(perv. ore 17,40).

Miei telegrammi 96 e 971.

Atteggiamento Governo francese è attualmente quello di «lavarsi le mani» di ogni questione concernente distribuzione fra gli altri partners Mercato Comune somma da esso richiesta come minimo quinquennale per Fondo investimenti: qui si dice: siamo d’accordo con vostre riserve, non insisteremo, vi appoggeremo ma intendetevi con gli altri, specie con il […]2 tedesco.

Nessuno qui si nasconde difficoltà: si tende però generalmente a ritenere che G. Mollet convocando Presidenti del Consiglio li ha compromessi: […]2 possibile che essi si riuniscano qui per concludere con un nulla di fatto: sono […]2 ritengono che noi strilleremo protesteremo ma che poi all’ultimo momento Presidente del Consiglio non vorrà prendersi responsabilità fare naufragare Mercato Comune. Per mio conto ho appunto cercato invece fare presente qui a tutti livelli che si tratta illusione errata: che nostra buona volontà europea ha dei limiti, e che c’è un limite di impegno […]2 che non si può superare senza correre rischio rifiuto ratifica da parte Parlamento italiano. Questo ripeterò anche al Presidente del Consiglio che conto incontrare di nuovo domani.

Dato che Presidente Segni sarà qui comunque lunedì3 riterrei necessario che egli abbia colloqui personali diretti con Guy Mollet prima delle riunioni: anche in vista sua intenzione invitare Adenauer. Per me salvo istruzioni in contrario V.E. provvedo in conseguenza.


1 Vedi D. 291.


2 Gruppo mancante.


3 Il 18 febbraio per i lavori della Conferenza dei Capi di Governo e dei Ministri degli Esteri. Vedi Appendice documentaria, D. 8.

297

…1AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI

Appunto. Parigi, 16 febbraio 1957.

Il Ministro Carrobio ha telefonato alle ore 18 pregando di comunicare quanto segue all’Ambasciatore Cattani.

Il Ministro Carrobio che ha esaminato il documento francese2 insieme a Ferlesch e Sebregondi ha avuto la sensazione che «tutto è rimesso in discussione» e desidera fare le seguenti osservazioni:

1) Il trattamento finanziario previsto per il T.O.M. creerà delle grosse difficoltà con il G.A.T.T.

2) Mentre i nostri impegni di partecipazione per la questione dei T.O.M. sono molto precisi, le eventuali contropartite a nostro favore rimangono vaghe ed incerte.

3) Questione del nostro contributo che è troppo elevato.

Il Ministro Carrobio fa sapere che il Ministro Martino sarebbe favorevole ad arrivare ad una soluzione generica per la questione dei T.O.M., ad una specie di affermazione dei principi per facilitare la firma del trattato, mentre i problemi concreti dovrebbero essere rinviati a delle convenzioni particolari da concludere territorio per territorio in un secondo tempo.

Il Ministro del Commercio Estero On. Mattarella, si sarebbe rifiutato di leggere il documento francese che riguarda gli impegni per i primi cinque anni e si è limitato a dare uno sguardo al preambolo3.

4) Anche da Bonn sono giunte notizie poco incoraggianti. I tedeschi sarebbero rimasti turbati dal documento francese e intenderebbero riportare la discussione sul documento tedesco del 4 febbraio4.

5) Secondo Carrobio e Ferlesch, la soluzione più opportuna per evitare ulteriori ritardi nella firma del trattato sarebbe la presentazione da parte nostra di un testo contenente una formulazione generica, in modo da rinviare in un secondo tempo gli impegni finanziari.


1 Il documento reca la sigla «M».


2 Vedi D. 293, Allegati I e II.


3 Vedi DD. 293, Allegato I, e 298.


4 Vedi Appendice documentaria, D. 7, Annexe II.

298

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI,CARROBIO DI CARROBIO,AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI,CATTANI, A PARIGI

T. urgente 1894/80. Roma, 18 febbraio 1957, ore 15,45.

Suo 751.

Ministro Mattarella, cui Ferlesch ha sottoposto nuovo progetto francese, ha voluto limitare specifico esame a solo preambolo osservando in via pregiudiziale che trattato avrebbe dovuto prevedere soltanto dichiarazione intenzioni con disposizioni generali su associazione territori oltremare, rinviando modalità pratiche a convenzioni successive.

Limitandosi questioni sua stretta competenza, S.E. Mattarella insiste per eliminazione ogni allusione a sistema preferenziale, oltre che per incompatibilità con impegni G.A.T.T. e fondato pericolo che trattato possa trovare difficoltà insormontabili in tale sede, per danni evidenti che avremmo da istituzione tariffa esterna comune con dazi altamente protettivi prodotti territori oltremare.

Circa «prima convenzione applicazione» Ferlesch ha inoltre osservato quanto segue:

1) ai sensi articolo 2 prodotti agricoli e alimentari oltremare beneficerebbero disposizioni trattato dopo due anni, anziché fine prima tappa;

2) contingente globale di cui art. 4 assolutamente insoddisfacente in quanto attuali contingenti bilaterali rappresentano percentuale minima di fronte posizione predominio Francia.


1 Vedi D. 293.

299

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI

Appunto riservatissimo1.

APPUNTO SULLA RIUNIONE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

DELL’UNIONE DELL’EUROPA OCCIDENTALE (U.E.O.)

(Londra, Lancaster House – 26 febbraio 1957)

Alla data prevista del 26 febbraio 1957 – e contrariamente a talune proposte di rinvio avanzate negli ultimi giorni precedenti la seduta – il Consiglio dei sette Ministri degli Affari Esteri dei paesi dell’U.E.O. si è riunito a Londra, nella Lancaster House, sotto la presidenza del Segretario per gli Affari Esteri del Regno Unito, Selwyn Lloyd, e con la presenza, nella sua prima parte specificamente riservata alle questioni di carattere militare, del Ministro-Consigliere dell’Ambasciata degli Stati Uniti e dell’Ambasciatore canadese nella capitale britannica, in qualità di osservatori. Il Ministro degli Affari Esteri di Francia, Pineau, recatosi a Washington insieme con il Presidente Mollet, vi è stato rappresentato dal Ministro di Stato Gazier.

La riunione è stata di brevissima durata perché limitata alla sola giornata del 26, ma, ciononostante, è stata indubbiamente densa di contenuto e ha suscitato, anche nella stampa, interesse notevolissimo sopratutto perché, nel suo ordine del giorno, era stato in precedenza inscritto il delicato ed importante argomento della proposta riduzione degli effettivi militari britannici stazionanti in Germania.

Occorre però subito anche dire, su questo argomento, come la riunione fosse stata prevista ed organizzata prima ancora che le intenzioni del Governo britannico, in merito alla riduzione stessa, fossero state rese di pubblica ragione. In realtà, invece, il Governo di Londra, per evidenti motivi politici legati anche alla curiosità ed alla perplessità suscitate, in molti ambienti del Regno Unito, dall’annunzio degli imminenti accordi, tra i paesi continentali dell’Europa Occidentale, per il Mercato Comune e per l’Euratom, aveva stimato opportuno dare e ottenere una prova dell’attività dell’U.E.O. di cui esso è parte integrante per non dire essenziale.

Quello che è altrettanto vero è la circostanza, già accennata, per cui l’elemento di maggior rilevanza della riunione londinese è stato costituito proprio dalla discussione in merito alla riduzione delle forze britanniche sul continente.

Sull’argomento il Foreign Office aveva fatto pervenire, nei giorni precedenti, agli Stati associati nell’U.E.O. un documento destinato ad illustrare, nella cornice del ridimensionamento delle forze armate inglesi sparse in tutto il mondo, le ragioni che appaiono costringere il Governo di Londra ad una riduzione da 77 mila a 50 mila uomini di quelle stazionanti nel territorio della Repubblica Federale Tedesca con una contemporanea riduzione nelle forze aeree.

Tale progetto, per decisione comune dei Governi interessati, era stato subito portato, secondo anche le norme contenute negli Accordi di Parigi del 1954, a conoscenza – e allo scopo di ottenerne il necessario parere – del Comandante supremo atlantico, Generale Norstad.

Questi, con un suo documento di risposta fatto pervenire anche in sede U.E.O., oltre che in sede N.A.T.O., si era appellato all’importanza dei concetti di «strategia avanzata» approvati collettivamente dalle potenze atlantiche ed aveva così riassunto il suo pensiero:

«Tutto considerato, e per quanto la nuova organizzazione delle forze britanniche possa essere considerata soddisfacente nei limiti di un “plafond” di 50 mila uomini, stimo che si provocherebbe un deficit considerevole nei confronti di quel minimo di forze che mi sarà necessario nel 1960», per poi aggiungere: «Noto in particolare che il Regno Unito pensa di portare a termine nel 1958 le riduzioni delle sue forze terrestri in Germania, che dovrebbero avere già inizio nell’ultimo trimestre del 1957. Le date di questo programma sono per me motivo di seria preoccupazione perché le mie forze si troverebbero così ridotte ad un momento nel quale soltanto il primo contingente di divisioni tedesche a effettivi completi potrà essere disponibile. Inoltre – considerazione della più alta importanza – questa contingenza verrà a prodursi prima che le forze terrestri nel continente abbiano potuto ricevere dei mezzi atomici di importanza rilevante».

E aveva concluso: «Per quanto mi sia difficile valutare in modo preciso le ripercussioni delle riduzioni, è chiaro che esse indebolirebbero le forze poste a scudo della zona della pianura della Germania Settentrionale che è strategicamente importante ma vulnerabile. Devo quindi concludere che il ritiro di forze suggerito non potrebbe realizzarsi che al prezzo di rischi accresciuti in merito alla nostra sicurezza considerata nel suo complesso».

Dinanzi a tale chiara impostazione, era evidente come la riunione di Londra dovesse segnare, nei paesi associati, uno schieramento nella sostanza unanimemente negativo nei confronti dell’iniziativa britannica, considerata dannosa ai fini pratici della difesa comune e giuridicamente pericolosa in merito alle norme sancite negli Accordi di Parigi i quali, come è noto, trovarono una condizione si può dire essenziale, per la loro creazione, proprio nell’esplicito affidamento dato allora dal Governo di Londra di voler permanentemente mantenere sul continente quattro divisioni di forze terrestri ed una importante unità tattica di aviazione.

Così nella Lancaster House, alle spiegazioni fornite dal Rappresentante del Regno Unito basate sopratutto sulle improrogabili ed assolute esigenze di riduzione dei bilanci statali inglesi per il prossimo esercizio, i Ministri si sono successivamente espressi in termini che possono così riassumersi:

1. Da parte olandese (Ministro degli Esteri Luns) si è posto in grande rilievo come la soluzione del problema andasse trovata assolutamente in sede N.A.T.O. trattandosi di questione di grande importanza militare.

2. Da parte tedesca (Ministro degli Affari Esteri von Brentano) si è messo in risalto come la annunciata riduzione sarebbe destinata a produrre, in un momento delicato quale l’attuale, gravi ripercussioni – sfavorevoli ai paesi occidentali – in seno ai paesi satelliti i quali, proprio mentre vanno delineandosi talune loro resistenze contro l’Unione Sovietica, avrebbero invece l’impressione di un indebolimento dello schieramento militare dell’Occidente. Inoltre (e questo argomento è apparso veramente nuovo ed interessante e destinato a fare non poca breccia sui francesi) una affrettata sostituzione di forze armate tedesche a forze britanniche non costituirebbe certamente un elemento favorevole per il rinsaldamento, tanto desiderato e necessario, dei rapporti tra Bonn e Parigi inquantoché l’opinione pubblica francese potrebbe essere portata verso reazioni negative.

3. Da parte francese (Ministro di Stato Gazier), pur riconoscendosi come la Francia sia stata la prima, a causa delle gravi necessità d’oltre mare, a ritirare alcune delle sue forze stazionanti in Germania, si è nuovamente insistito sulla necessità di una decisione N.A.T.O. e non già su una decisione unilaterale britannica.

4. Da parte lussemburghese (Presidente del Consiglio Bech) si è posto in risalto la temuta grave reazione dell’opinione pubblica dinanzi al divisamento britannico.

5. Da parte belga (Ministro degli Affari Esteri Spaak) è stata sollevata la grave questione di procedura e di sostanza per la quale una decisione unilaterale, quale quella britannica, verrebbe ad arrecare una decisiva lesione ai danni degli Accordi di Parigi che invece prevedono, sull’argomento, accordi preventivi collettivi. Qualora inoltre le riduzioni britanniche si rendessero effettive, si avrebbe nei prossimi anni la curiosa situazione per cui i contingenti del Benelux in terra tedesca sarebbero stati superiori in numero a quelli inglesi, pur venendo a costare dieci volte di meno.

6. Da parte italiana (Ministro degli Affari Esteri On. Martino) sono stati posti in risalto tanto gli aspetti pratici quanto quelli giuridici della questione ed è stata rievocata la decisione presa ed annunciata dal Ministro Eden nel 1954 allorché, all’indomani del fallimento della C.E.D., l’Europa Occidentale poté ricostituirsi in gran parte grazie al chiaro ed inequivoco impegno del Governo di Londra di mantenere proprie forze, e ad un livello fissato, sul continente europeo. Un annuncio, inoltre, del genere di quello immaginato dagli inglesi, non potrebbe non produrre gravi effetti nei paesi, come l’Italia e la Francia, che hanno tuttora importanti partiti comunisti i quali intensificherebbero la loro propaganda contro gli armamenti definiti «cari ed inutili» con tutte le dannose conseguenze facilmente immaginabili. Comunque la decisione non potrebbe spettare che alla N.A.T.O.

A tutte queste estese critiche ha controbattuto il Ministro Selwyn Lloyd il quale, dopo aver dato una precisa assicurazione circa l’intenzione del Governo di Londra di non mai provvedere in avvenire ad un ritiro definitivo di tutte le proprie forze sul continente, ha insistito sulla necessità che tutto il problema della difesa sia oggi riveduto nel suo complesso inquantoché gli impegni britannici, molti e gravosi, per la protezione degli interessi comuni occidentali, sono di carattere mondiale su un immenso scacchiere che deve permettere spostamenti e revisioni a seconda delle contingenze. Così ora, alla pesante situazione di bilancio e di tesoreria del Regno Unito, si uniscono nuove acute situazioni in zone d’oltre mare, come ad esempio in Malesia, a Hong Kong, a Cipro, nel Kenia e via dicendo. Nel caso specifico, inoltre, della riduzione in Germania, occorre tener conto del fatto che alla diminuzione degli effettivi umani supplirà un aumento nell’efficacia degli armamenti mentre inoltre potranno essere escogitati mezzi e sistemi atti a rendere immediato, in caso di crisi, il rafforzamento ed il potenziamento delle unità britanniche in Germania.

Tutta questa non breve schermaglia non ha portato ad una risoluzione definitiva. Ed è stato così stabilito che i Ministri dell’U.E.O. potranno riprendere in esame l’iniziativa britannica soltanto dopo che le competenti autorità politiche e militari della N.A.T.O. avranno profondamente considerato il problema ed esposto, definitivamente, il loro pensiero. Dovrebbe quindi prevedersi, a non lontana scadenza, una nuova riunione. Frattanto il Governo britannico, a sua volta, potrà trarre utili elementi, in merito al suo finale atteggiamento, dagli argomenti e dalle tesi manifestatesi alla Lancaster House.

Dopo brevi battute in tema di disarmo, nel cui corso il Rappresentante italiano ha posto in rilievo come sia sempre molto difficile di parlare di riduzioni di armi convenzionali, almeno in una prima fase, senza il raggiungimento di una preliminare distensione politica, e come la proposta, avanzata da parte sovietica, in tema di controlli, per una limitazione dei «cieli aperti» ad una fascia di 800 chilometri sia non poco pericolosa, il Consiglio ha ascoltato un appello del Ministro von Brentano inteso a porre in risalto la necessità di una unità di vedute occidentali in merito alla situazione esistente nell’Oriente europeo.

Si è poi passati, specificamente, ad uno scambio di idee, espressamente desiderato sopratutto da parte italiana, in merito al problema della riunificazione della Germania ed alle sue connessioni con il problema della sicurezza in Europa.

In esso sono stati fatti ripetuti cenni alla nota iniziativa intesa a veder creato a Washington un «gruppo di lavoro» composto da rappresentanti, a medio livello, dei Ministeri degli Esteri degli Stati Uniti, del Regno Unito, di Francia e della Repubblica Federale Tedesca, il cui compito dovrebbe essere quello di permettere progressivamente, e sulla base, sopratutto, di quanto era stato discusso nel corso della seconda Conferenza di Ginevra del 1955, la formazione di una «communis opinio» sull’argomento.

Così alla domanda di specificazioni avanzata da parte italiana, è stato risposto, tanto da parte tedesca quanto da parte britannica e francese, e in merito alle ragioni che avevano consigliato quella formazione (paesi legati dalle antiche responsabilità di occupazione in Germania), ponendo in rilievo la «non esclusività» del gruppo di lavoro in questione. Questo gruppo, diretto ad affrettare per quanto possibile i tempi, dovrebbe portare, cioè, non già a decisioni e risoluzioni ma soltanto a proposte destinate ad essere poi trattate e decise in sede sopratutto atlantica. Naturalmente – è stato aggiunto – anche in questa prima fase, le idee «degli altri» potrebbero essere avanzate e conosciute.

A queste spiegazioni ha fatto così seguito una breve esposizione «di fondo» del Ministro Martino relativa agli intendimenti italiani sull’importante argomento che riconnette direttamente la riunificazione della Germania alla sicurezza, dato che la soluzione del primo problema non potrebbe prescindere dalla soluzione dell’altro. In Italia si pensa inoltre che, dato che i sovietici si sono sempre opposti a quelle libere elezioni in Germania che gli occidentali hanno invece costantemente sostenuto quale indispensabile presupposto della riunificazione, si potrebbe proporre all’Unione Sovietica di procedere nelle due zone ad un plebiscito per chiedere al popolo tedesco se esso voglia, o meno, la riunificazione stessa attraverso libere elezioni e cioè secondo i sistemi in uso nei paesi a democrazia occidentale. Tale plebiscito potrebbe essere garantito dalle potenze ex occupanti, cui dovrebbero eventualmente aggiungersi Stati neutrali, quali la Svezia e la Svizzera, e inoltre essere organizzato sotto l’egida delle Nazioni Unite. In tale modo l’Unione Sovietica sarebbe messa quanto meno in difficoltà, dato che anch’essa pretende di essere paladina del diritto di autodecisione.

Alle parole del Ministro Martino hanno fatto allora eco quelle del Ministro von Brentano, il quale, nel ringraziare il collega italiano, si è mostrato, in linea generale, non contrario all’idea di presentare un giorno all’Unione Sovietica una proposta basata sulla necessità di indire innanzi tutto, in tutta la Germania, un «referendum» popolare in tema di riunificazione del paese.

Ultimo argomento trattato dai Ministri è stato quello relativo al cosiddetto «avvenire dell’U.E.O.» con particolare riguardo, oltre alla necessità di una intensificazione delle consultazioni di carattere politico – e quindi all’opportunità di istituire annualmente almeno quattro riunioni del Consiglio dei Ministri, ossia una per ogni trimestre –, al problema della auspicata unificazione delle Assemblee parlamentati internazionali.

In tale scambio di idee i Ministri hanno innanzi tutto posto in rilievo come la seduta della Lancaster House fosse il primo e vero incontro e con propria fisionomia del Consiglio Direttivo dell’Unione, a livello Ministri, in quanto precedentemente le riunioni erano sempre state fisicamente collegate o con quelle del Consiglio atlantico o con quelle del Consiglio d’Europa di Strasburgo. Occorreva ora continuare su tale strada proprio per dare anche all’U.E.O. un proprio contenuto politico destinato a dare ad essa valore e significato.

In merito alla unificazione delle Assemblee il Signor Selwyn Lloyd, che da tempo, come è noto, si è mostrato fautore di una tale trasformazione, ha illustrato, in termini generali, il suo concetto secondo il quale un giorno si dovrebbe avere in Europa una «Assemblea a cassetti» ossia un organismo parlamentare unico il cui lavoro però verrebbe diviso in sezioni a seconda degli argomenti da trattare (C.E.C.A., U.E.O., Mercato Comune, Euratom, ecc.). Si potrebbe anche immaginare che un tale organismo fosse una trasformazione dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa che dovrebbe però possibilmente trasferirsi a Parigi. L’attuale sistema si sta rivelando sempre più dannoso e i paesi dell’U.E.O. dovrebbero oramai, di conseguenza, mettere allo studio questo progetto di riforma.

Il Ministro degli Affari Esteri del Belgio, Spaak, dopo avere indicato come, una volta ratificati i trattati per il Mercato Comune e per l’Euratom, si dovrebbe avere un primo esempio di unificazione di Assemblee con la trasformazione o l’assorbimento dell’attuale Assemblea Comune della C.E.C.A., si è dichiarato sostanzialmente d’accordo sull’idea generale della progettata «Assemblea a cassetti». E altrettanto hanno fatto i Rappresentanti degli altri paesi.

È stato così deciso, di comune accordo, che il Consiglio Permanente dell’U.E.O. dovrà prendere ora in esame il problema per avanzare qualche proposta concreta.

Nessuna deliberazione è stata presa, al momento della conclusione della seduta e della compilazione del comunicato riassuntivo, in merito alla data ed al luogo della nuova riunione. E ciò a causa della necessità di attendere, come si è detto, il responso degli organi della N.A.T.O. circa la progettata riduzione delle forze britanniche sul continente. Evidentemente sull’importante problema pesa la circostanza costituita dalla necessità del Governo di Londra di inscrivere nei propri bilanci – che dovrebbero essere annunciati non oltre la fine di marzo – le riduzioni finanziarie relative, appunto, alla diminuzione di quelle forze: situazione questa che suscita non piccola perplessità, dato che il Consiglio dell’U.E.O. non vorrebbe, evidentemente, e specie dopo la discussione della Lancaster House, essere messo dinanzi ad un fatto compiuto. Non è difficile, quindi, prevedere che nei prossimi giorni si cercherà, nella N.A.T.O. e fuori di essa, di raggiungere una intesa, basata sull’adozione di qualche accorgimento finanziario e militare, e atta a conciliare, per quanto possibile, le diverse tesi alle quali si è sopra accennato.

Sempre sull’argomento – e per spiegare future riduzioni militari britanniche – occorre tenere presente che il Governo conservatore di Londra appare avere oramai nei suoi programmi l’abolizione della coscrizione militare obbligatoria, a partire probabilmente dal 1959, con la conseguenza che, essendo il servizio volontario maggiormente dispendioso, non potrà non verificarsi una riduzione rilevante di effettivi anche se con il compenso di un miglioramento e di un accrescimento negli armamenti.


1 Il documento è datato Roma, 1° marzo.

300

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., COSMELLI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. urgente 4809/108. Parigi, 6 marzo 1957, ore 23,15(perv. ore 0,15 del 7).

Oggetto: Negoziati creazione zona libero scambio.

Mio telespresso urgente 1051/769 del 25 febbraio e lettera a Cattani1.

È stato distribuito ieri e discusso in riunione Capi delle Delegazioni documento oggetto di lunghe previe consultazioni contenente proposte Presidente del Consiglio O.E.C.E. per inizio negoziati creazione zona libero scambio.

Mandato tre noti gruppi costituisce parte principale detto documento. Sebbene redazione riprenda pressoché integralmente testo decisione del Consiglio 14 febbraio scorso2 ed in apposito paragrafo sia fatto esplicito rinvio Assemblea dichiarazione resa in Consiglio stesso da singoli Ministri documento ha dato luogo a lunghe discussioni che proseguiranno oggi su alcuni punti.

Particolarmente discusso è stato mandato secondo gruppo. Non risultava infatti esplicitamente idea che anche settore agricolo in un certo senso è aperto a negoziati ed a secondo periodo del punto primo di detta decisione si era aggiunta frase: «ed in vista rinforzare le loro economie agricole».

Nel contesto frase può infatti significare rafforzamento economie agricole in quadro mercato più libero oppure in senso rafforzamento medesime in quadro protezionistico per ragioni strutturali.

Circa negoziati sarà iscritto a processo verbale che nel medesimo è in sostanza incluso anche problema agricolo. Circa frase sopraindicata questione è ancora aperta. Vi è formale richiesta danese con larghi consensi di soppressione con fortissima resistenza francesi, a richiesta dei quali frase era stata inserita.

Delegato francese si è richiamato a riserve espresse da Ramadier in Consiglio e fatto rilevare che detta frase avrebbe favorevoli riflessi su ambienti agricoli francesi estremamente preoccupati, aggiungendo che Francia avendo trovato in Mercato Comune soluzione soddisfacente suoi problemi non ha in realtà alcun interesse zona libero scambio.

Queste dichiarazioni anche per il tono in cui sono state fatte, come del resto altre giorni addietro, in sede allocazione turistica, hanno creato impressione stato d’animo intransigente e preoccupato.

Mia proposta di compromesso non ha avuto per il momento esito favorevole. Delegato francese mi ha privatamente detto che inserzione detta frase gioverebbe molto presentazione, senza di che negoziato per quanto riguarda Francia si presenta in termini molto oscuri.

Si è inoltre discusso su presenza o meno osservatori altre Organizzazioni internazionali e paesi quali Spagna e Jugoslavia. Per prime decisioni è stata negativa, non senza lunghe discussioni con argomentazione non potersi ammettere ad assistere negoziato parti non partecipanti a medesimo. Tuttavia per G.A.T.T. Presidente avrà facoltà ammettere osservatori quando fase lavori lo rendesse consigliabile ed utile. Problema particolare presentava Spagna data sua qualità membro pieno diritto per agricoltura. Anche qui dopo lunghe discussioni, in cui Germania ed Irlanda hanno patrocinato ammissione, decisione è stata negativa. Pur mettendo in valore nostra simpatia per associazione Spagna e quindi esclusione qualsiasi pregiudiziale politica, ho esposto che in realtà essendo negoziato unico era difficile concepire osservatori ad un solo Comitato.

D’altra parte Spagna faceva parte Comitato Ministri Agricoltura e avrebbe avuto a suo tempo qualche cosa da dire in proposito. Nulla vietava che intanto venisse tenuta informata attraverso noto Gruppo di lavoro che si occupa associazione Spagna.

Decisione è stata quindi in senso negativo ma giustificata da ragioni puramente giuridiche e tecniche, per cui non risulta nulla di sfavorevole riguardi spagnoli.

Circa Presidente tre gruppi, resta confermato norvegese Melanater3 e Ambasciatore Fay rispettivamente per primo e terzo; permangono ancora serie difficoltà per gruppo agricolo. Si era orientati per tecnico, ma scartato svizzero Maire per opposizione certi ambienti svizzeri ed olandese per opposizione danese, e considerandosi poco opportuna scelta britannica o danese per rispettiva posizione estrema avevo avanzato candidatura italiana e di riflesso mia richiesta di lunedì sera. Ma ieri è di nuovo emersa prevalente simpatia per candidato non tecnico ma è molto in discussione persona e immediata disponibilità.

Circa composizione Comitato agricolo si è espresso desiderio che rappresentanti siano diversi da supplenti Ministri pur ammettendo che vari paesi non potranno per ragioni pratiche farsi rappresentare diversamente. Tedeschi manderanno persone diverse, e così olandesi, svedesi e suppongo noi. Papi comunque assisterà ex officio e sua persona è unanimemente fuori discussione.

Tre comitati si riuniranno plenariamente 13 o 18 corrente. Dovrebbero presentare rapporti entro 15 giugno ma già si prevede difficile a osservare data. Entro venerdì 8 si dovrebbero definire due punti in sospeso.

Gradirei conoscere nominativi Delegati italiani ai tre gruppi, per il caso che si debba farne preliminare comunicazione ufficiale all’O.E.C.E.; sarebbe inoltre opportuno preavvertirli data prima riunione per assicurare loro partecipazione4.


1 Non rinvenuti.


2 Vedi D. 287.


3 Decifrazione errata. Si intenda Melander.


4 Per il seguito vedi D. 306.

301

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV,ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, A MINISTERI ED ENTIE AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI

Telespr. 44/035961. Roma, 7 marzo 1957.

Oggetto: Conferenza Intergovernativa di Bruxelles per Euratom e Mercato Comune. Mercato Comune europeo e zona di libero scambio: reazioni olandesi.

Per opportuna informazione si trascrive quanto ha riferito l’Ambasciata d’Italia all’Aja, con rapporto 18 febbraio u.s., sull’argomento in oggetto:

«A seguito delle notizie già fornite con precedenti rapporti, ho l’onore di segnalare che il 16 corr., per iniziativa di questo Governo, si è tenuta al Ministero degli Affari Esteri una riunione avente per oggetto la convenzione per il Mercato Comune.

Alla riunione in parola hanno partecipato i Ministri degli Affari Esteri, degli Affari Economici, delle Finanze e dell’Agricoltura, nonché numerosi rappresentanti del mondo economico canadese2.

A quanto mi risulta la consultazione ha avuto carattere molto esteso e si è imperniata soprattutto sui desideri e sulle obbiezioni che gli operatori economici di questo paese hanno ritenuto opportuno far presenti al Governo in merito al progetto di trattato.

Secondo le prime notizie raccolte, nel corso della riunione si è cercato di conciliare gli orientamenti sorti a Bruxelles con gli interessi economici olandesi.

Appare evidente da quanto precede che questo Governo non è rimasto, né lo poteva, sordo ai reiterati e pressanti appelli di questi operatori economici, sostenuti vigorosamente dall’opinione pubblica e dalla stampa.

Ne deriva la conseguenza che sempre più può prevedersi, in questa fase finale dei negoziati a sei, una presa di posizione governativa olandese diretta a tutelare gli interessi dei propri ambienti economici. Non è facile dire fino a qual punto il Governo farà suoi i punti di vista delle categorie interessate, ma si può senz’altro affermare che queste continueranno ad insistere. Vi è infatti motivo di ritenere che, anche dopo la riunione cui ho fatto cenno sopra, permangano in questi ambienti economici notevoli perplessità.

Ne è prova il fatto che proprio in data 16 corrente la “Netherlands Statutory Organisation for Agriculture” ha inviato una lettera al Ministro Luns per raccomandargli di non accettare per più di quattro anni il sistema dei prezzi minimi d’importazione fissati nazionalmente, come proposto dal progetto di trattato. Viene infatti messo in rilievo quanto sarebbe dannoso accettare per un periodo più lungo un sistema di autonomia nazionale in materia di prezzi d’importazione nel settore agricolo.

Un regime di basse tariffe esterne per i prodotti agricoli (quali ad esempio i grani e i semi da olio) costituisce in effetti una “assoluta necessità” per l’agricoltura dei Paesi Bassi, e vi è invece timore che il proposto sistema dei prezzi minimi d’importazione finisca per avere come pratica conseguenza che l’Olanda potrebbe esportare verso i propri “partners” solo se i suoi prezzi di esportazione risulteranno superiori ai relativi prezzi minimi di importazione nazionalmente fissati, mentre tali esportazioni olandesi correrebbero rischio di essere bloccate non appena i suoi prezzi scendessero al di sotto di tali limiti.

La lettera al Ministro Luns conclude mettendo il Governo in guardia dai risultati “disastrosi” che potrebbero derivare da tale stato di cose».

Con successivo rapporto, in pari data, la stessa Ambasciata ha ulteriormente comunicato quanto segue:

«A questo Ministero degli Esteri non mi si è fatto mai mistero delle perplessità governative circa le condizioni di massima poste dalla Francia per l’estensione del Mercato Comune ai suoi territori d’oltre mare e, più recentemente, circa l’utilità e la convenienza stessa della imminente Conferenza dei sei Presidenti del Consiglio3 per discutere le proposte contenute nel recente memorandum francese.

Nello stesso senso si è espresso, molto esplicitamente, il capo di questo Governo, Dott. Drees, con il quale mi sono intrattenuto, in argomento, sabato 16 febbraio corr. in occasione di una colazione data in suo onore dall’Ambasciatore di Francia. Il Dott. Drees (che, come noto, non è mai stato un fervente europeista) ha messo in rilievo i danni certi e immediati, contro vantaggi incerti e remoti che il suo paese dovrebbe affrontare con il trattato del Mercato Comune, esprimendo dubbi sugli umori del Parlamento in proposito. Quanto alle proposte francesi relative ai territori d’oltre mare il Dott. Drees, pur dichiarando di comprendere il punto di vista francese, ha subito aggiunto che merita comprensione anche il punto di vista dell’Olanda. La situazione economico-finanziaria del paese, egli ha precisato, esige drastiche misure di economia nel settore pubblico e privato e di limitazione nei consumi; la messa in opera del Mercato Comune richiederà inoltre forti spese iniziali e devesi poi tener presente che gli investimenti, sia pur limitati, nei territori olandesi d’oltre mare non possono essere sacrificati a quelli richiestici per i territori africani. La contemplata estensione del Mercato Comune all’Africa francese nelle condizioni sottoposteci, ha infine detto il Dott. Drees, nel mentre ci nega ogni diretta responsabilità nella gestione degli investimenti, ci coinvolge moralmente, nei confronti di tutto un mondo potenzialmente ostile, nel complesso degli atti politici francesi diretti alla conservazione di quei territori.

Sebbene quanto sopra riferito non potrà avere, al momento in cui questo rapporto perverrà a codesto Ministero, che valore retrospettivo, ho creduto farne cenno al fine di porre in evidenza lo stato d’animo con il quale questo Presidente del Consiglio affronta la missione parigina di domani, missione che in questi circoli ufficiali è vista più come un pezzo dello scenario politico-psicologico escogitato dalla mente del Sig. Spaak che come una tappa utile nel faticoso iter del Mercato Comune.

Proseguono intanto i contatti in argomento tra i Ministeri competenti e gli esponenti più autorevoli del mondo industriale ed agrario; a quanto mi risulta tali contatti consistono nell’ascoltare più che nel controbattere gli argomenti, che da parte degli esponenti di questa economia si oppongono alla progettata coesistenza di una economia libera e di una economia protetta.

E prosegue anche la campagna di stampa ostile che trova oggi nuovo bersaglio nel memorandum francese circa i territori africani; merita rilievo la circostanza che finora nessun giornale ha levato una voce apertamente favorevole al progetto di Mercato Comune, pure ammettendo che esso implica sacrifici per questo paese».


1 Diretto agli stessi destinatari di cui al D. 212 con l’aggiunta delle Ambasciate a Karachi, New Delhi, Ottawa e Pretoria, delle Legazioni a Camberra, Colombo e Wellington e, per conoscenza, del Servizio Nazioni Unite e della Direzione Generale Emigrazione.


2 Sic. Si intenda: olandese.


3 Tenutasi a Parigi il 19-20 febbraio 1957, vedi Appendice documentaria, D. 8.

302

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO,ALL’AMBASCIATA A LONDRA

T. 2679/56. Roma, 9 marzo 1957, ore 22.

Oggetto: Segretario Generale Consiglio Europa

Suo 501.

Rappresentante presso Consiglio Europa informa che in primo scambio idee svoltosi presso Comitato Delegati circa successione posto Segretario Generale si sono delineate tre correnti: una favorevole candidatura Benvenuti (Francia, Germania, Grecia, Turchia, Irlanda e Lussemburgo), una riservata (Olanda, Belgio, Svezia ed Austria) ed una per rinvio nomina nuovo Segretario Generale in attesa ulteriori sviluppi previsto rimodellamento Organismi europei (Norvegia, Danimarca e Islanda che hanno avanzato proposta formale in tal senso nonché Gran Bretagna che l’ha appoggiata).

Atteggiamento inglese sorprende vivamente dopo affidamenti dati E.V. da Ministro Ormsby-Gore. Pregasi pertanto farlo presente aggiungendo:

1. che non riteniamo che si possa stabilire il minimo nesso tra la nomina del nuovo Segretario Generale del Consiglio d’Europa, che è una necessità concreta ed immediata ed il suddetto rimodellamento che rappresenta aspirazione ancora vaga e ben lontana dal tradursi in realtà;

2. che comunque proprio in vista in una possibilità del genere sembra giusto porre Consiglio Europa in condizioni trattare da pari a pari con altre Organizzazioni internazionali e non lasciare suo Segretario Generale ancora in situazione anormale.

Questione verrà ripresa in esame da Comitato Delegati martedì 19 corrente2: gradirebbesi pertanto immediato riscontro telegrafico3.


1 T. 3778/50 del 20 febbraio, con il quale Zoppi aveva comunicato di aver presentato al Ministro di Stato per gli Affari Esteri David Ormsby-Gore la candidatura di Benvenuti a Segretario Generale del Consiglio d’Europa, che questa era stata accolta molto favorevolmente ed erano state date assicurazioni di appoggio britannico.


2 Vedi D. 307.


3 Con T. 5260/71 del 12 marzo Zoppi comunicò che Ormsby-Gore aveva confermato il favore inglese per la candidatura di Benvenuti e che la posizione assunta a Strasburgo era stata dettata dal desiderio di assicurarsi che la nomina sarebbe stata gradita anche in caso di unificazione degli Organismi europei.

303

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI

Appunto. Roma, 14 marzo 1957.

La situazione che l’Italia si appresta ad affrontare nell’impegno per giungere all’integrazione – economica, per il momento – dell’Europa, presenta per il nostro paese luci ed ombre. Poiché queste ultime sono tali da non dover essere affatto sottovalutate, si ritiene opportuno sottolinearne il principale carattere, affinché siano serenamente valutati i rischi ed i pericoli grandi che l’impresa comporta per il nostro paese e tempestivamente apprestati i mezzi idonei a farvi fronte. Ché da tale valutazione e dalla conseguente tempestiva predisposizione di correttivi efficacemente adeguati, dipenderà non solo la costruttività o meno dell’apporto – non soltanto morale – all’impresa comune, ma anche, e ciò è più grave, la possibilità per la nostra economia di uscire vittoriosa dalla prova, e cioè potenziata nella sua dinamica espansiva, oppure di, se non soccombere, essere relegata ai margini del potente complesso economico europeo.

Dei pericoli insiti nella situazione che ci attende, ve n’è uno che potrà essere affrontato dal Governo con le sole sue forze, anche se il superamento comporterà difficoltà non lievi: è quello derivante dalla stessa struttura anche amministrativa nostra, per la quale si imporrà, in certi settori, un adeguamento alla nuova realtà ed una revisione di metodi e di procedure. È evidente che lo Stato non potrà chiedere alle categorie produttive nazionali uno sforzo nel senso della modernizzazione e della razionalizzazione per renderle più competitive nell’ambito della più vasta area economica, senza adeguarsi lui stesso – per quanto riguarda la propria struttura e funzionalità – all’impero delle nuove necessità.

Il problema dovrà essere affrontato dal Governo con ferma determinazione e intelligente coraggio, per le indispensabili soluzioni.

La creazione poi del Mercato Comune, con l’apertura delle frontiere economiche oggi esistenti tra i diversi mercati nazionali, comporta per il nostro paese – meno dotato di altri – rischi gravissimi, cui invano potremmo far fronte con le nostre sole forze. La preoccupazione maggiore in questa fase iniziale dell’integrazione economica, è quella di avere una massa di beni disponibili, da poter consacrare alla messa in attività delle unità lavorative che oggi appesantiscono e deprimono il mercato del lavoro italiano, gravando inesorabilmente sulle stesse possibilità di sviluppo della nostra economia.

È un problema di capitali e di assistenza tecnica, e questa potrà giocare un ruolo importantissimo in questa fase; ma la sua efficacia o meglio la stessa possibilità di essere applicata, restano pur sempre condizionate alla disponibilità di capitali. Naturalmente, un largo contributo potrà esser dato dal capitale privato, per tutti quegli investimenti produttivistici che presentino quelle normali possibilità di rimunerazione da invogliare gli operatori privati. Resta tuttavia un largo margine che potrà essere coperto, è da ritenersi, soltanto dal capitale statale: è questo, infatti, che potrà sostenere un programma a lungo respiro ed in profondità per attrezzare ex novo – ove necessario – o completare in maniera adeguata l’attrezzatura su cui poggia la nostra struttura economica, sia nel campo industriale che in quello agricolo. E che potrà al tempo stesso soccorrere a quella qualificazione della mano d’opera che, se appare opportuna sul piano sociale, è ormai indispensabile sul piano economico già nell’attuale fase di meccanizzazione e razionalizzazione agricolo-industriale, anche a non voler considerare le necessità di un domani ormai prossimo, caratterizzato dall’automazione e dal largo impiego dell’energia nucleare.

Un’ultima osservazione è da fare: che ogni programma finanziario e di assistenza tecnica inteso a venirci incontro nella prima fase di formazione del Mercato Comune, opererà favorevolmente sulla stabilizzazione politica interna italiana e concorrerà al tempo stesso ad evitare, sul piano economico europeo, il formarsi di zone o situazioni critiche che nuocerebbero gravemente all’intero sistema previsto dal trattato istitutivo del Mercato Comune europeo.

304

COLLOQUIO DEL VICE PRESIDENTEDEGLI STATI UNITI D’AMERICA, NIXON,CON IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

Appunto1. Roma, 16 marzo 1957.

1. La conversazione tra il Vice Presidente Nixon e S.E. il Ministro si è iniziata sull’argomento del Mercato Comune e dall’Euratom e sui riflessi politici che tale integrazione economica poteva avere in Europa.

S.E. il Ministro ha voluto rilevare come tale integrazione non potrà che incrementare i rapporti tra i sei paesi partecipanti al Mercato Comune e gli Stati Uniti e, pertanto, determinate perplessità che si manifestano in taluni settori dell’opinione pubblica americana non hanno ragione di essere.

2. D’altra parte, ha sempre continuato S.E. il Ministro, era proprio l’Italia che, caso mai, avrebbe dovuto preoccuparsi delle eventuali conseguenze dell’integrazione economica tra i sei paesi europei, in considerazione delle sue capacità economiche inferiori a quelle degli altri cinque. Ma essa guardava con fiducia all’avvenire, poiché il processo di conversione che tale integrazione avrebbe richiesto, sia industriale, sia agricolo, per adeguare le varie imprese alle nuove esigenze del Mercato Comune, non poteva non richiedere un grande spirito di collaborazione con gli altri paesi interessati e particolarmente con gli Stati Uniti. L’Italia quindi confidava molto, quando il momento sarebbe venuto, di affrontare tale nuova situazione, contando sulla amicizia e sull’aiuto americano e particolarmente sulla assistenza tecnica e su quegli investimenti di capitale che si sarebbero dimostrati particolarmente opportuni. D’altra parte, il Mercato Comune e l’Euratom, come si era già accennato, rappresentavano una tale conquista politica dal punto di vista europeo da giustificare qualsiasi sforzo sul terreno economico.

3. Era anche utile prendere in considerazione, ha aggiunto S.E. il Ministro, un altro aspetto della questione e cioè che l’associazione fra i paesi d’oltremare e il Mercato Comune avrebbe potuto anche servire come più intimo legame politico tra il Nord Africa e l’Europa. A questo punto il Vice Presidente Nixon ha chiesto a S.E. il Ministro di precisare il suo pensiero e l’On. Martino ha fornito al suo interlocutore maggiori spiegazioni su tale punto.

4. Il Vice Presidente degli Stati Uniti ha quindi chiesto a S.E. il Ministro quale era la posizione del Governo italiano circa il Medio Oriente e particolarmente circa il problema del Canale di Suez e della sua soluzione.

S.E. il Ministro ha allora sottolineato come, su tale argomento, sembrasse indispensabile una ferma azione americana per convincere Nasser di addivenire ad un accordo, anche provvisorio, sulla regione del Canale, in attesa di un regolamento definitivo. È preferibile non avanzare la pretesa di un regime internazionale di gestione da parte dei paesi europei, poiché non sembra possibile toglierlo dalle mani di Nasser. Naturalmente sono indispensabili alcune garanzie di carattere internazionale per assicurare l’effettivo godimento della libertà di navigazione in conformità degli accordi di Costantinopoli. Tra queste si potrebbe sopratutto prendere in considerazione una qualche forma di partecipazione alla gestione finanziaria del Canale.

Il Vice Presidente Nixon ha fatto allora presente a S.E. il Ministro di non rendersi ben conto della specie di pressione che gli Stati Uniti avrebbero potuto esercitare su Nasser.

S.E. il Ministro ha risposto che gli Stati Uniti potevano meglio di ogni altro paese immaginare una qualsiasi forma di efficace intervento diplomatico, tanto più che lo stesso Nasser cominciava ad accorgersi del valore che il funzionamento del Canale rappresentava per la vita stessa dell’Egitto. Ma ciò che più conta, anche i paesi vicini del mondo afro-asiatico si rendevano conto della parte importante che il Canale rappresentava per le loro economie rispettive e pertanto l’influenza degli Stati Uniti poteva esercitarsi sull’Egitto, oltre che direttamente, anche in maniera indiretta tramite questi altri paesi.

A questo punto il Vice Presidente degli Stati Uniti, riferendosi ai temi trattati in mattinata con il Presidente Gronchi, ha riconosciuto l’interesse italiano nel problema del Medio Oriente e la necessità che ne derivava di una più larga e frequente consulenza con il nostro paese su tale argomento.

A proposito dell’applicazione della dottrina di Eisenhower e a richiesta del Vice Presidente Nixon, S.E. il Ministro ha chiarito come in Italia si consideri con interesse una collaborazione per quanto riguarda particolarmente la parte economica di tale dottrina, attraverso forme di collaborazione triangolare e con utilizzazione sia delle nostre strutture produttive, sia della nostra capacità di assistenza tecnica.

5. Il Vice Presidente degli Stati Uniti è venuto quindi a parlare della riduzione delle forze militari di Gran Bretagna in Germania, chiedendo quali erano le reazioni del Governo e dell’opinione pubblica italiana.

S.E. il Ministro ha chiarito i vari motivi, d’altronde già nettamente delineati dal Generale Norstad nel suo rapporto2, per cui si era contrari a tale riduzione. Occorreva inoltre considerare con particolare attenzione gli effetti di carattere psicologico che non potevano non influenzare in senso sfavorevole le opinioni pubbliche degli altri paesi partecipanti all’Alleanza nord-atlantica.

A questo punto il Vice Presidente ha chiesto a S.E. il Ministro cosa pensava circa l’eventuale reazione dell’opinione pubblica in Europa, e particolarmente in Italia, su di un eventuale ritiro di truppe statunitensi dall’Europa.

S.E. Ministro ha allora risposto che, tranne i comunisti, nessuno desiderava soffermarsi su una ipotesi del genere. Tutte le persone non comuniste considerano la presenza delle truppe americane in Europa come la migliore forma di «deterrent» contro eventuali tentazioni aggressive dell’Unione Sovietica. Esse inoltre servono a dare coraggio ai timidi, che in numero più o meno importante esistono in tutti i paesi europei, e servono anche a dare maggiore fiducia ai partiti democratici nella loro resistenza contro il comunismo.

6. Il Vice Presidente Nixon ha allora chiesto la nostra opinione sulla posizione di Adenauer e dei partiti tedeschi, circa il problema della collaborazione militare con l’Occidente e circa la possibilità di un regime di neutralità in Germania.

S.E. il Ministro ha fatto presente che vi potevano essere alcuni individui e ambienti tedeschi più o meno favorevoli ad un certo regime di neutralità, ma che tale tendenza non era certamente condivisa dalla Cancelleria come mezzo per ottenere dall’Unione Sovietica l’assenso per libere elezioni, quale primo passo verso la riunificazione germanica. D’altra parte, sembra escluso che l’Unione Sovietica aderisca ad una proposta di libere elezioni in Germania Orientale per avere in cambio la neutralità tedesca. Tanto più che una Germania riunificata non rappresenta per l’Unione Sovietica una migliore garanzia di sicurezza rispetto allo stato attuale delle cose.

Una Germania neutrale potrebbe difficilmente essere mantenuta a lungo disarmata e una Germania armata potrebbe difficilmente essere mantenuta a lungo neutrale.

S.E. il Ministro aggiunge di ritenere che il Cancelliere Adenauer, anche se non otterrà la maggioranza assoluta alle prossime elezioni, sarà sempre in grado di condizionare in maniera essenziale la politica estera del suo paese, e appare difficile che tale politica estera possa discostarsi notevolmente da quella attuale.

7. Il Vice Presidente Nixon ha quindi accennato alla questione del Gruppo di lavoro di Washington, per l’unificazione tedesca e la sicurezza europea, costituito tra le quattro note potenze, argomento che aveva già trattato in mattinata con il Signor Presidente della Repubblica.

S.E. il Ministro ha allora fatto presente che in Italia ci si rendeva naturalmente conto della modesta portata della questione, ma che sarebbe stato preferibile di evitare di dare l’impressione che determinati problemi di carattere europeo potessero essere affrontati e discussi senza la partecipazione dell’Italia. L’opinione pubblica italiana è particolarmente sensibile a iniziative del genere che possono non solo porre problemi di prestigio, ma che potrebbero, se faziosamente interpretate da qualche settore dell’opinione pubblica e da qualche partito, costituire pretesti di opposizione ai Governi democratici. Occorreva pertanto evitare che il Gruppo di lavoro assumesse dei compiti e dei significati diversi da quelli ben delimitati per i quali era stato formato e d’altra parte occorreva non trascurare una diretta partecipazione italiana a quegli sviluppi più importanti che la soluzione dei problemi posti avrebbe potuto provocare.


1 Redatto da Aillaud e da lui trasmesso con Appunto Gab. Riservato 1/1329 del 20 marzo alla Segreteria Generale e alle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari Economici.


2 Tali argomenti erano stati discussi anche in sede di Consiglio dei Ministri dell’U.E.O.: vedi D. 299.

305

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CATTANI,ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., A PARIGI

T. 3052/134. Roma, 17 marzo 1957, ore 3.

È stato convenuto che Gruppo Euratom si riunirà costì 20 marzo ore 11 presso Delegazione Benelux per preparare riunioni Comitato collegamento e Comitato direzione energia nucleare.

Per riunione 20 marzo, cui potrà partecipare Albonetti, e per quelle successi-ve cui interverrà probabilmente anche Ippolito, pregasi tener presente quanto segue:

1. Rapporto sui reattori sperimentali. Indubbiamente interessante e ben studiato, il programma pone tuttavia problema suo coordinamento con quello di Euratom, onde evitare doppi impieghi. Vanno fatte le più ampie riserve su nostra partecipazione finanziaria, sulla quale nessuna decisione sarà possibile finché non si sappia se Euratom entrerà in vigore.

2. Controllo di sicurezza. Se Euratom entrerà in vigore sei paesi avranno loro organismo controllo. Sembra indispensabile, anche per ragioni finanziarie, che sia ben precisato che sarà quest’ultimo a esercitare controllo nei sei paesi per delega dell’Agenzia europea, così come si spera possa avvenire per Agenzia Nazioni Unite e per Stati Uniti. Circa istanza per ricorsi preferiamo naturalmente Corte di Giustizia della Comunità atomica.

3. Poteri affidati Agenzia europea ci sembrano alquanto limitati e tali da non contrastare troppo Euratom. Essi dovrebbero comunque in taluni casi, come coordinamento investimenti, essere ricondotti nei limiti Euratom. Sembra anche dubbio che Agenzia possa concludere accordi con paesi terzi per fornitura materiali senza previa ratifica parlamentare. Tengasi anche presente che materie fissili prodot-te o introdotte nel territorio Comunità divengono per trattato proprietà diEuratom.

Comunque, anche per quanto concerne Agenzia, si pone il problema finan-ziamento. Sembra dubbio che somme importanti quali quelle necessarie per costituire centri comuni di ricerca o imprese comuni, possano essere erogate all’Organizzazione senza specifici accordi inter-governativi da sottoporre caso per casoa Parlamenti. Non c’è bisogno di ricordare che se Euratom entrerà in vigore nostri contributi finanziari saranno già massimi consentiti da attuale situazione fi-nanziaria.

In tali condizioni sembrerebbe preferibile che, in attesa attuazione Euratom che solo potrà permettere stabilire quanto Stati membri potranno contribuire, con organizzazione comune o con fondi statali, ad Agenzia europea, istituzione quest’ultima sia per quanto possibile rinviata, e comunque a dopo discussione Parlamento francese su Euratom.

306

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO L’O.E.C.E., COSMELLI,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. urgente 6144/139. Parigi, 20 marzo 1957, ore 24(perv. stessa ora).

Oggetto: Negoziati zona libero scambio.

Si sono oggi conclusi lavori prima sessione negoziati zona libero scambio su linee prevalentemente procedurali previste. Per corriere riferisco in dettaglio.

Si è prevalentemente esplorato significato e portata trattato Mercato Comune, abbondantemente illustrato da Rappresentanti dei Sei, soprattutto nel settore agricolo, ove era anche più necessario. Discussione è stata contenuta in termini pratici ed aperti ed in atmosfera cordiale. Qualche affermazione francese ha dato impressione di grande intransigenza con scarso impegno per zona libero scambio e correlativamente concentrazione interessi sul Mercato Comune. Da fonti qualificate mi viene però spiegato che tale impressione non corrisponde situazione e sarebbe dovuta a circostanza che Delegati francesi sono gli stessi di Brusselle e quindi ancora troppo immedesimati quella lunga trattativa. Del resto in senso diverso anche alcuni Delegati inglesi hanno dato impressione estrema rigidità su note posizioni.

Lavori saranno ripresi fine mese e primi aprile quando in capitali si sarà potuto rendere meglio conto portata e significato stipulazione Mercato Comune e come si potrebbe articolare associazione singoli paesi tenendo conto sistema O.E.C.E. in vigore.

Supplenti del Gruppo primo che beneficia lavori già compiuti da Gruppo 17 potrebbe però già abbordare lavori redazione eventuali testi. Si pensa a creare Gruppi speciali per banca e fondi, in cui discutere problemi generali e di principio rimandando eventualmente a più tardi redazione Statuto. Questi Gruppi non sarebbero però legati ai lavori Gruppo 23 ma in quadro generale comune tutto negoziato.

In Gruppo 23 si sono dichiarati desiderosi Statuto speciale Grecia, Turchia, Irlanda; Portogallo ha riservato posizione. Grecia sembra essere in posizione abbastanza avanzata di preparazione ed ha promesso essere in grado formulare sue richieste entro prima quindicina aprile, quando conterebbe presentare anche suo preannunciato piano di sviluppo. Turchia ha confermato nuovamente impressione di notevole impreparazione ed incertezza. Comunque lavoro questo Gruppo sarà condotto in modo da non intralciare e rallentare residuo negoziato.

In complesso lavoro è apparso bene impostato e avviato in senso pratico e positivo. Ma naturalmente è ancora del tutto prematura ogni previsione data complessità problemi.

È sempre aperta questione presidenza Gruppo 22 per cui vi sarebbero ora alcuni nomi francesi, ma presidenza provvisoria Segretario Generale O.E.C.E. come da mia proposta è stata adeguata e soddisfacente per cui potrebbe anche durare, tanto più che presidenza Melander è stata invece in complesso piuttosto inferiore ad aspettazione.

307

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI,AD AMBASCIATE E LEGAZIONI

Telespr. urgente 22/3381. Roma, 21 marzo 1957.

Oggetto: Nomina nuovo Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

Riferimento: Telespr. di questo Ministero n. 22/322 del 16 corr.2.

Con riferimento al suindicato foglio, si allega copia del telespresso della Rappresentanza italiana al Consiglio d’Europa n. 323/251 del 16 corrente relativo all’argomento in oggetto3.

2. Si allega altresì un appunto della Segreteria Particolare del Sottosegretario On. Badini Confalonieri4, dal quale risulta che la tesi del rinvio ha fatto una certa strada anche tra alcuni Parlamentari stranieri.

3. Mentre questo Ministero provvede a svolgere presso i nostri Parlamentari ogni possibile utile azione del caso e mentre si è in attesa di conoscere dall’Ambasciata a Londra l’esito degli ulteriori passi svolti, si prega l’Ambasciata a Parigi di intervenire nel modo che riterrà più opportuno, presso le competenti Autorità francesi perché vogliano possibilmente tenere, in questa circostanza, un atteggiamento più chiaramente favorevole nei riguardi della nostra candidatura5.

Dal canto suo l’Ambasciata all’Aja è pregata di voler far conoscere quale sia l’appoggio che il Governo olandese intenda effettivamente dare alla candidatura Fens.

Allegato I

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO D’EUROPA,

BOMBASSEI FRASCANI DE VETTOR,AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Telespr. riservato 323/251. Strasburgo, 16 marzo 1957.

Oggetto: Nomina nuovo Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

Come codesto Ministero avrà potuto rilevare dalle mie comunicazioni telegrafiche relative all’argomento in oggetto, la discussione che ha avuto luogo recentemente al Comitato dei Delegati dei Ministri circa la presentazione della candidatura dell’On. Benvenuti è stata abbastanza complessa. Infatti, mentre nei riguardi della persona del nostro candidato non solo non sono state sollevate obiezioni di sorta ma sono stati anzi formulati da varie parti gli apprezzamenti più lusinghieri, si è delineata subito una netta opposizione tra le Delegazioni che pensavano che la prescritta consultazione con i Rappresentanti dell’Assemblea dovesse effettuarsi in occasione del Comitato misto indetto per il 25 marzo corrente (tale consultazione, come è noto, deve tenersi, di regola, almeno un mese prima dell’inizio della sessione dell’Assemblea Consultiva nel corso della quale è previsto abbia luogo la votazione) e quelle che ritenevano che la questione della nomina del Segretario Generale dovesse essere rinviata sine die.

Queste ultime (Regno Unito, Norvegia, Svezia, Danimarca e Islanda) hanno invocato, a base del loro atteggiamento, la convinzione che non sarebbe conveniente di procedere alla scelta di un nuovo Segretario Generale finché non siano più chiaramente definiti i problemi posti dal raggruppamento delle diverse Organizzazioni europee, attualmente oggetto di studio in varie sedi e sul quale, da più parti, sono state avanzate più o meno precise proposte.

A tale argomentazione è stato subito contrapposto dalla Delegazione italiana – fiancheggiata da quelle tedesca, greca e turca – che il lasciare volontariamente – cioè dopo che era già stata posta una candidatura del tipo desiderato dall’Assemblea Consultiva – il Segretariato di Strasburgo acefalo ed in regime anormale e provvisorio, proprio nell’attuale fase dinamica della vita delle istituzioni europee, avrebbe avuto un chiaro significato politico a carattere nettamente negativo nei confronti del Consiglio d’Europa, che si sarebbe venuto a trovare in situazione di patente inferiorità nei confronti degli altri Organismi europei. Inoltre non sembrava da prevedersi – è stato particolarmente sottolineato – che il rimodellamento della struttura della collaborazione continentale sarebbe stato definito entro un periodo di tempo relativamente breve: dimodoché il rinvio auspicato dagli oppositori avrebbe dovuto in pratica protrarsi assai a lungo – forse per anni – contrariamente al desiderio espresso dall’Assemblea Consultiva ed all’avviso espresso implicitamente dagli stessi Ministri degli Esteri nella loro riunione dello scorso dicembre6.

In sede di votazione la nostra tesi ha prevalso alla prescritta maggioranza dei due terzi, avendo essa raccolto i suffragi, oltreché nostro e delle altre tre Delegazioni sopra ricordate, dei francesi, dei belgi, degli irlandesi e dei lussemburghesi.

Queste ultime quattro Delegazioni peraltro – aderendo ad una iniziativa assunta da parte francese – hanno dichiarato che, pur essendo favorevoli ad una pronta consultazione sulla candidatura Benvenuti, dovevano riservare la posizione dei loro Governi quanto all’opportunità di designare a breve scadenza il nuovo Segretario Generale.

Il raggiungimento della maggioranza qualificata con soli otto voti è stato possibile grazie alla astensione dei Paesi Bassi (che si trovavano in quel momento nella difficile posizione di essere ancora incerti se una loro candidatura sarebbe stata o no presentata) e dell’Austria ed alla provvidenziale assenza, all’ultima seduta, del Delegato islandese, che era dovuto partire all’improvviso.

Il Rappresentante lussemburghese, che assicurava la presidenza, ha da parte sua cercato di facilitare al massimo il nostro compito sul terreno procedurale, sul quale pure si sono vivacemente battuti i nostri avversari.

La posizione rigida assunta dagli inglesi sembra essere stata motivata, in sostanza, dal timore di vedere immessa nel circuito degli alti posti direttivi europei una personalità di rilievo, cui certamente dovrebbe essere riservato un ruolo importante se si realizzassero le idee del «Grand Design» o altre similari ed in particolare nel caso in cui si giungesse – attraverso successive tappe di avvicinamento – ad una fusione fra l’O.E.C.E. e il Consiglio d’Europa.

Consimili considerazioni debbono aver guidato gli scandinavi, i quali nutrono forse loro segrete ambizioni, sono tradizionalmente vicini alle impostazioni britanniche e, forse, guardano non senza un certo vago sospetto alla affermazione di esponenti di idee europeiste più avanzate e più audaci delle loro.

Inoltre non bisogna dimenticare che l’attuale Segretario Generale ad interim è un inglese che gode la fiducia di Londra: quindi un prolungamento dello status quo non può certo dispiacere alle Autorità britanniche, alle quali farebbe comodo di avere – specie nelle attuali contingenze – a capo del Segretariato del Consiglio d’Europa, sia pure a titolo temporaneo, un elemento che possa facilmente essere manovrato da dietro le quinte.

La linea di condotta, alquanto equivoca, seguita dal Rappresentante permanente francese sembra – a quanto egli stesso mi ha confidato – gli sia stata dettata da precise istruzioni del Quai d’Orsay, col quale effettivamente egli si è mantenuto in continuo contatto telefonico; istruzioni intese a non antagonizzare, da una parte, la nostra candidatura ma a riservare contemporaneamente, dall’altra, piena libertà di manovra alla Delegazione francese in sede di Comitato dei Ministri. A questo infatti spetterà, nella sessione di fine aprile, di dare l’ultimo crisma di ufficialità alle designazioni – o alla designazione – dei nominativi da presentare alla Assemblea.

Taluno ha voluto considerare questo giuoco francese come la conseguenza di intese intercorse ad alto livello nel corso dei recenti incontri con gli inglesi a Parigi; ma, da fonte che dovrei ritenere oltreché attendibile bene informata, mi è stata fornita una spiegazione basata sul seguente più modesto retroscena. Il Delegato francese all’O.E.C.E., Valery, che godrebbe di una forte posizione al Quai, sarebbe riuscito a persuadere i suoi colleghi della convenienza di evitare, in questo momento, la nomina di un uomo politico a capo del Segretariato di Strasburgo, in quanto questi si verrebbe a trovare in posizione preminente nei confronti di Sergent, funzionario. Di conseguenza, al momento in cui dovessero concretarsi i nuovi rapporti fra l’O.E.C.E. e il Consiglio d’Europa, la Francia verrebbe, secondo Valery, non solo ad aver perduto il posto, che prima deteneva, di Segretario Generale del Consiglio d’Europa ma a trovarsi nella situazione di vedere minacciato anche quello del suo funzionario che dirige oggi il Segretariato dello Château de la Muette.

Comunque sia, la decisione che è stato possibile raggiungere circa la immediata consultazione sulla nostra candidatura appare di una importanza particolare, anche se rimane aperta la possibilità che la medesima divergenza di vedute rivelatasi al Comitato dei Delegati si manifesti, e dia luogo ad analoga discussione, anche a livello Ministri.

Infatti è da attendersi che i Rappresentanti parlamentari al Comitato misto, ed in particolare il Presidente Dehousse, appoggino decisamente la nostra tesi, esprimendo senza equivoci la viva aspirazione dell’Assemblea di vedere il nuovo Segretario Generale eletto ed in funzione al più presto.

È evidente che se ciò, come si può ritenere, avverrà, i Governi oggi ostili alla nomina a breve scadenza – o incerti – non potranno non tener conto di quelle che potrebbero essere, nei loro confronti, le reazioni dell’Assemblea in pubblica udienza, ove persistessero in un atteggiamento negativo od ostruzionistico.

L’ultimo sviluppo della situazione è adesso rappresentato dalla presentazione, in extremis, e cioè dopo la chiusura della riunione dei Delegati, da parte olandese della candidatura dell’On. Fens, popolare cattolico e membro della Assemblea Consultiva.

Dal punto di vista dei rapporti fra i due organi del Consiglio, appare evidente che il Comitato dei Ministri, trasmettendo alla Assemblea la designazione di due nominativi (fatto senza precedenti nel caso della scelta di un Segretario Generale), si porrebbe in una situazione di debolezza nei confronti dei Parlamentari, rendendo questi arbitri di una contesa che, soprattutto trattandosi di personalità appartenenti a partiti analoghi, finirebbe per imperniarsi [esclu]sivamente sul criterio della nazionalità, dando luogo ad una «campagna elettorale» che potrebbe lasciare lunghi strascichi di amarezza e di disagio.

Tanto più che è diffusa la convinzione che, intorno al nome dell’On. Benvenuti, sarebbe stato estremamente facile di ottenere l’accordo dell’Assemblea alla presentazione di un solo candidato, come previsto dallo stesso regolamento da poco entrato in vigore che contempla espressamente questo caso. Un siffatto accordo sarebbe stato – del resto – largamente facilitato anche dal fatto che il Comitato dei Ministri ha pienamente aderito al desiderio espresso dall’Assemblea di veder ascendere alla massima carica del Segretariato un uomo politico anziché un funzionario.

È difficile comprendere come il Governo olandese non si sia reso conto di queste implicazioni di così palmare evidenza; a quanto mi consta d’altronde esse sono da tempo assolutamente chiare ai competenti uffici del Ministero degli Esteri dell’Aja. Sembrerebbe dunque – e ciò mi è stato confidenzialmente confermato – che la decisione sia stata presa esclusivamente per motivi di politica interna.

Sia come sia, se gli olandesi non avranno resipiscenze all’ultima ora, bisogna peraltro provvedere7 – allo stato attuale delle cose – che il Comitato dei Ministri non potrà raggiungere un accordo se non sulla base delle due candidature concorrenti, a meno che non ripieghi sulla tesi del rinvio.

Da parte nostra, comunque, non dovremmo nutrire eccessive preoccupazioni in quanto è impressione tanto diffusa quanto precisa che la posizione personale dell’On. Benvenuti sia, in Assemblea, molto più forte di quella dell’On. Fens.

Una specifica conseguenza – da non sottovalutare – della candidatura Fens è che il voto democristiano in Assemblea sarà diviso e che i membri degli altri schieramenti partitari riceveranno sollecitazioni contraddittorie dai vari gruppi nazionali cattolici: la questione dovrà quindi – sembra – fare oggetto di approfondito esame in sede di gruppo democristiano dell’Assemblea Consultiva e non potrà non essere constatato come la tardiva intromissione del Fens sia contraria a quello che è sempre stato l’intento del gruppo stesso, di mantenere cioè quanto più possibile compatto il voto dei suoi membri – nelle questioni più importanti – a prescindere dalla loro appartenenza a questa o a quella Delegazione nazionale.

È evidente che una opportuna azione svolta – su tale piano – da parte dei nostri Parlamentari più influenti può sortire dei favorevoli effetti; il più auspicabile dei quali sarebbe quello che il Fens potesse essere persuaso a ritirarsi e a sacrificare le sue personali ambizioni sull’altare della solidarietà di partito.

Da parte mia, in mancanza di diverse istruzioni di codesto Ministero, mi proporrei – in occasione della riunione del Comitato dei Delegati convocata per il 25 corrente, immediatamente prima del Comitato misto, per esaminare la candidatura Fens – di non tacere le legittime preoccupazioni, cui ho sopra accennato, circa la posizione inopportuna in cui la decisione olandese viene a porre il Comitato dei Ministri e, in sede di voto circa la consultazione con i Rappresentanti dell’Assemblea, mi asterrei, analogamente a quanto è stato fatto dagli olandesi in occasione della discussione circa la presentazione del nome dell’On. Benvenuti.

Allegato II

LA SEGRETERIA DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI,BADINI CONFALONIERI,ALLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI,UFFICIO COOPERAZIONE EUROPEA

Appunto. Roma, 20 marzo 1957.

Oggetto: Nomina nuovo Segretario Generale.

Il Sottosegretario On. Badini Confalonieri ha partecipato alla riunione del 18 corrente a Parigi della Commissione Permanente del Consiglio d’Europa.

Come era previsto, in relazione alla nomina del nuovo Segretario Generale, è stata posta la questione della opportunità di un ulteriore rinvio di tale nomina per il fatto che sono in corso varie iniziative per raggruppare le varie Assemblee europee e per, eventualmente, arrivare ad una fusione tra il Consiglio d’Europa e l’O.E.C.E.

Il Sottosegretario Badini Confalonieri è intervenuto nella discussione dichiarandosi contrario ad un ulteriore rinvio; sono invece intervenuti esprimendosi in senso favorevole al rinvio sia il belga Rolin, sia il danese Federspiel, sia l’inglese Lord Layton.

Posta ai voti la questione del rinvio, essa è stata respinta con 9 voti favorevoli e 11 contrari: erano presenti i tre Rappresentanti italiani, gli On. Boggiano Pico, Badini e Montini in sostituzione dell’On. Benvenuti, e l’olandese Fens non ha partecipato alla votazione perché candidato.


1 Diretto alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Bruxelles, Copenaghen, L’Aja, Londra, Lussemburgo, Parigi, Oslo, Stoccolma e Vienna, alla Legazione a Dublino e, per conoscenza, alla Rappresentanza presso il Consiglio d’Europa, a Strasburgo.


2 Non rinvenuto.


3 Vedi Allegato I.


4 Vedi Allegato II.


5 Vedi D. 302. Benvenuti venne eletto Segretario Generale del Consiglio d’Europa il 2 maggio e ne assunse le funzioni il 18 settembre 1957.


6 Vedi D. 240.


7 Sic. Si intenda: prevedere.

308

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO

Discorso1. Roma (Campidoglio), 25 marzo 1957.

FIRMA DEI TRATTATI ISTITUTIVI DELLA COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA

Signore e Signori2,

siamo qui convenuti, in questo luogo suggestivo che simboleggia per tutte le genti una delle più fulgide tradizioni di universalità e di civile progresso, per apporre la firma ai due Trattati che, secondo i nostri comuni propositi, sono destinati a tradurre nella realtà la speranza e il programma della Comunità3 europea, da noi tutti concepita e voluta come condizione necessaria di una vita più solidale4 dei nostri popoli.

Mi sia consentito di ricordare che i due Trattati, giunti oggi felicemente alla firma dei Governi, hanno avuto la loro culla in un’altra città italiana a me particolarmente cara. Fu, infatti, nella Conferenza di Messina, circa due anni fa, nel giugno del 1955, che fu affermato il proposito di aprire una nuova strada allo sforzo per l’unificazione dell’Europa. Con l’atto di oggi si compie la prima tappa su questa5 nuova strada. È giusto che io ricordi il muro delle delusioni e dello scetticismo che fu abbattuto con quella prima decisione e che renda omaggio a tutti coloro che ad essa contribuirono, anche se non saranno chiamati oggi6 ad apporre la propria firma sui documenti finali; ed agli altri che hanno collaborato, in questi due anni, sotto la saggia e coraggiosa guida del Ministro Henry Spaak, alla redazione dei due Trattati. Essi hanno dovuto cimentarsi con numerose e gravi difficoltà, fra cui non è stata irrilevante quella costituita dalla incredulità dei pavidi e dei pigri.

Non compirei il mio dovere e certamente mancherei di interpretare l’intimo sentimento dei nostri gentili ospiti se, in quest’occasione, non ricordassi pure gli uomini illustri che, non più presenti materialmente, ci hanno incitato e guidato con l’esempio non caduco della loro fede e della loro opera. Noi italiani sentiamo il bisogno di ricordare particolarmente due nomi: Alcide De Gasperi e Carlo Sforza, i cui spiriti aleggiano oggi in questa sala a significar consenso e incoraggiamento.

Alcide De Gasperi e Carlo Sforza sono stati oltre che grandi italiani anche grandi europei. In loro e con loro è giunto alla più chiara espressione il costante anelito dell’Italia antica e moderna per un ordinamento della patria italiana nella più grande patria europea, protetta nella fedeltà a sè stessa e ai propri ideali di libertà dall’unione di tutti i suoi popoli.

Tra l’opera di ieri e quella di oggi c’è una perfetta continuità. Tutti coloro che vollero l’Italia unita nella libertà, vollero, con pari fervore, un’Europa unita e libera. Essi furono concordi nel volere il moto unificatore dell’Italia come parte integrante di un più ampio moto unificatore dell’Europa. Alcide De Gasperi e Carlo Sforza seppero ricongiungersi, nella profondità della loro fede, a questa più nobile, più vera e più vitale tradizione dell’Italia. Se il Governo italiano ha potuto compiere tutti i suoi doveri nel negoziato che oggi si conclude è perché ha ricevuto da loro impulso e ispirazione. In quest’ora, in cui gli animi nostri sono più disposti alla speranza, non mancano, ed è giusto che non manchino, gli ammonimenti. Con l’atto che compiamo, noi inauguriamo una nuova fase nei nostri reciproci rapporti e nella vita dei nostri popoli. Vorrei dire che oggi i problemi non finiscono ma cominciano. La Comunità economica europea non viene, infatti, alla luce come una macchina i cui congegni e i cui movimenti siano tutti prestabiliti. Essa sarà il frutto della nostra volontà, del nostro coraggio, della nostra chiaroveggenza e della nostra capacità di sacrificio. Potevamo non volere la Comunità economica europea per risparmiare a noi stessi lo sforzo che sempre richiede un’opera nuova e importante, ma l’alternativa non era che il fatale e rapido decadimento nelle attuali frontiere della nostra impotenza. Tra la quiete della fine e il moto della vita con le sue asperità noi abbiamo scelto il moto della vita, ben sapendo quello che ci attende ma sapendo anche che ora solo è possibile alla nostra volontà compiere lo sforzo necessario per assicurare l’avvenire dei nostri popoli.

Noi dovremo combattere duramente e tenacemente soprattutto contro le resistenze del passato, che prima di essere fuori di noi, nelle cose e negli istituti, sono dentro di noi o nella nostra pusillanimità o nei nostri pregiudizi.

Dobbiamo guardare avanti e non indietro, a ciò che è possibile e necessario fare insieme con la certezza che i sacrifici da ciascuno oggi affrontati saranno compensati dalla comune prosperità di domani.

La Comunità europea che sta per sorgere ha fini e limiti di carattere economico, ma si inserisce in un più ampio processo storico-politico.

Noi guardiamo ad essa come ad un momento e a uno strumento di una vita europea più solidale e integrata nel complesso delle sue manifestazioni. Se il nostro orizzonte è necessariamente politico, il punto dal quale muoviamo è di natura essenzialmente morale. Noi abbiamo fede nell’Europa come patria spirituale. L’Europa che noi amiamo e che vogliamo preservare e rafforzare è oltre tutto un modo di sentire e concepire la vita a cui intendiamo rimanere fedeli per noi stessi e per la continuità e l’unità del progresso civile. Se vogliamo unirci economicamente e politicamente è perché nelle attuali condizioni del mondo non è dato all’Europa salvarsi e sopravvivere come patria spirituale che per mezzo dell’unità.

La nostra unità non è minacciosa o isolante rispetto a nessun altro popolo. Noi vogliamo e dobbiamo unirci per potere, in collaborazione con gli altri, consacrare la nostra vita a quell’alto ideale, espresso da una delle più illuminate e rappresentative coscienze dell’Europa, secondo cui: «il più grande problema del genere umano, alla soluzione del quale lo obbliga la sua stessa natura, è il conseguimento di una universale società civile amministrante il diritto».

Sono questi i pensieri, i sentimenti e i voti con cui il Governo italiano si accinge a firmare i Trattati per la Comunità economica europea. Possano gli spiriti vigili e generosi che ci hanno guidato nel nostro cammino continuare ad assisterci per la felicità dei nostri popoli nella pace, nella libertà, nella giustizia e nel progresso di tutte le genti.


1 Edito in Gaetano Martino e l’Europa. Dalla Conferenza di Messina al Parlamento europeo, a cura del Servizio Storico e Documentazione del Ministero degli Affari Esteri, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1995, pp. 110-112, con alcune varianti indicate nelle successive note.


2 Non presente nel testo edito.


3 Segue la parola «economica», depennata.


4 Seguono le parole «e insieme più alacre», depennate.


5 Nel testo edito: «buona» strada.


6 Parola manoscritta, non presente nel testo edito.


APPENDICI

Uffici del Ministero degli Affari Esteri

(2 aprile 1955 – 25 marzo 1957) (1)

MINISTRO SEGRETARIO DI STATO

Martino prof. Gaetano, deputato al Parlamento.

SOTTOSEGRETARI DI STATO

Badini Confalonieri Vittorio, deputato al Parlamento.

Benvenuti Ludovico, deputato al Parlamento, fino all’8 luglio 1955.

Dominedò Francesco Maria, deputato al Parlamento, fino all’8 luglio 1955.

Del Bo Dino, deputato al Parlamento, dal 9 luglio 1955.

Folchi Alberto, deputato al Parlamento, dal 9 luglio 1955.

GABINETTO DEL MINISTRO

Capo di Gabinetto: Migone Bartolomeo, ministro plenipotenziario.

Vice capo di Gabinetto: Aillaud Enrico, secondo segretario (dal 25 dicembre 1955 primo segretario), dal 25 aprile 1955.

Segretario particolare: Milella Adriano (Ministero Commercio Estero, 1955).

Capo della Segreteria particolare: Valitutti prof. Salvatore, provveditore agli studi (1955).

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL MINISTRO

Capo della Segreteria: Milella Adriano, predetto (1956).

Segretario particolare: Vinci Enrico (1956).

SEGRETERIE PARTICOLARI DEI SOTTOSEGRETARI DI STATO

Segreteria particolare del sottosegretario Badini Confalonieri

Capo della Segreteria particolare: Mochi Marcello, secondo segretario; Guazzaroni Cesidio, primo segretario (dal 23 dicembre 1955 consigliere), dal 27 marzo 1956.

Segretario particolare: Bacino prof. Francesco, direttore negli Archivi di Stato (1955-1956).


1 Dati tratti dalle seguenti pubblicazioni periodiche del Ministero degli Affari Esteri: Uffici dell’Amministrazione Centrale; Elenchi del personale; Annuario diplomatico della Repubblica Italiana; Bollettino del Ministero degli Affari Esteri.

Segreteria particolare del sottosegretario Benvenuti

Capo della Segreteria particolare: Alverà Pierluigi, primo segretario.

Segretario particolare: Pavesi dr. Gianfranco.

Segreteria particolare del sottosegretario Dominedò

Capo della Segreteria particolare: Aillaud Enrico, secondo segretario, fino al 25 aprile 1955.

Segretario particolare: Giordano dr. Ernesto.

Segreteria particolare del sottosegretario Del Bo

Capo della Segreteria particolare: De Benedictis Vincenzo, secondo segretario, dal 9 luglio 1955.

Segretario particolare: Genova prof. Luigi.

Segreteria particolare del sottosegretario Folchi

Capo della Segreteria particolare: Trabalza Folco, consigliere, dal luglio 1955.

Segretario particolare: Alberti Mario.

SEGRETERIA GENERALE

Segretario generale: Rossi Longhi Alberto, ambasciatore.

Coordinamento

Capo Servizio: Guastone Belcredi Enrico, consigliere (dal 21 dicembre 1956 ministro plenipotenziario), dal 5 dicembre 1955.

Consulente storico: Toscano prof. Mario.

UFFICI ALLE DIRETTE DIPENDENZE DEL SEGRETARIO GENERALE

Ufficio del Contenzioso diplomatico

Capo Ufficio: Perassi prof. Tomaso (1955); Monaco prof. Riccardo, consigliere di Stato, dal 24 maggio 1956.

Servizio Stampa

Capo Ufficio: Giustiniani Raimondo, ministro plenipotenziario.

Ufficio M.I.L. (Memorandum d’Intesa Londra)

Capo Ufficio: Milesi Ferretti Gian Luigi, primo segretario (dal 1° luglio 1956 consigliere), dal 25 aprile 1955.

Servizio Cifra e Crittografico

Capo Servizio: Capece Galeota Giuseppe, consigliere (dal 9 novembre 1955 ministro plenipotenziario), dal 30 giugno 1955.

Servizio O.N.U.

(istituito l’8 settembre 1956)

Capo Servizio: Cavalletti di Oliveto Sabino Francesco, ministro plenipotenziario, dall’8 settembre 1956.

Servizio Studi

(istituito il 28 luglio 1956)

Capo Servizio: Toscano prof. Mario.

Ufficio Studi e documentazione

Capo Ufficio: Toscano prof. Mario, predetto.

Archivio Storico

Capo Ufficio: Mori prof. Renato.

Biblioteca

Capo Ufficio: Tamborra prof. Angelo.

Ufficio Trattati

(1956)

Capo Ufficio: Setti Giuseppe, consigliere, dall’8 agosto 1956.

Ufficio del consulente giuridico per le questioni relativealla proprietà industriale, letteraria e artistica nel campo internazionale

(1956)

Capo Ufficio: Pennetta Antonio, primo presidente della Corte suprema di Cassazione a riposo.

CERIMONIALE

Cerimoniale diplomatico della Repubblica

Capo del Cerimoniale: Baldoni Corrado, ministro plenipotenziario con titolo di ambasciatore.

Vice capo del Cerimoniale: Roberti Guerino, ministro plenipotenziario, dal 10 giugno 1955.

Servizio del Cerimoniale

Capo del Servizio: Roberti Guerino, predetto.

Vice capo Servizio: Lo Savio Pio, consigliere, dal 15 ottobre 1955 al 21 luglio 1956; Aloisi de Larderel Folco, consigliere, dal 21 settembre 1956.

Ufficio I

Capo Ufficio: Rienzi Franco, commissario tecnico per l’Oriente (1955); De Ferrari Giovanni Paolo, primo segretario (dal 23 dicembre 1955 consigliere), dal 17 novembre 1956.

Ufficio II

Capo Ufficio: Cimino Carlo, primo segretario (dal 13 ottobre 1955 consigliere); Maresca Adolfo, consigliere, dal 20 agosto 1956.

Ufficio III

Capo Ufficio: De Giovanni di S. Severina Luigi, secondo segretario; Maccaferri Franco, consigliere, dal 1° ottobre 1956.

Ufficio IV

Capo Ufficio: N.N.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE E DELL’AMMINISTRAZIONE INTERNA

Direttore generale: Ghigi Pellegrino, ambasciatore.

Direttore generale aggiunto: Ferrero Andrea, consigliere (dal 6 giugno 1956 ministro plenipotenziario), dal 6 ottobre 1955.

Vice direttore generale: Montuori Pietro.

Ispettore generale del Ministero e delle rappresentanze diplomatiche e consolari all’estero: Vanni d’Archirafi Francesco Paolo, ministro plenipotenziario.

Ufficio I

Capo Ufficio: Basso Amolat Maurizio, primo segretario, reggente dal 12 novembre 1955; Gaja Roberto, consigliere, dal 7 novembre 1956.

Ufficio II

Capo Ufficio: De Michelis di Slonghello Paolo, secondo segretario (dal 10 settembre 1955 primo segretario).

Ufficio III

Capo Ufficio: Fossati Mario, ispettore superiore per i servizi tecnici, poi consigliere per l’emigrazione.

Ufficio IV

Capo Ufficio: Montuori Pietro, ministro plenipotenziario.

Ufficio V

Capo Ufficio: Martina Gian Luigi, primo segretario (dal 13 ottobre 1955 consigliere), fino a febbraio 1957).

Ufficio pubblicazioni e raccolte amministrative

(ripristinato il 15 novembre 1955)

Capo Ufficio: Toscani Angelo, ministro plenipotenziario a riposo, alle dirette dipendenze del direttore generale).

Ufficio problemi amministrativi personale indigeno ex amministrazione libia e eritrea (1956-1957)

Capo Ufficio: Felsani Armando, ministro plenipotenziario, alle dirette dipendenze del direttore generale.

Commissione tecnico-amministrativa per l’acquisto, la costruzione,la sistemazione e l’arredamento delle sedi delle rappresentanzediplomatiche-consolari all’estero, delle scuole e degli edifici di pertinenzadel Ministero degli affari esteri in Italia

(1956-1957)

Presidente: Scola Camerini Giovanni, ministro plenipotenziario; Vanni d’Archirafi Francesco Paolo, ministro plenipotenziario.

Vice presidente: Nonis Alberto, ministro plenipotenziario; Fecia di Cossato Carlo, ministro plenipotenziario.

Tipografia riservata

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: Magistrati Massimo, ministro plenipotenziario.

Direttore generale aggiunto: Straneo Carlo Alberto, ministro plenipotenziario.

Vice direttori generali: Grillo Remigio Danilo, ministro plenipotenziario; Theodoli Livio, consigliere, dal 21 novembre 1955; Bombassei Frascani de Vettor Giorgio, consigliere, dal 24 maggio 1956; Colonna di Paliano Guido, consigliere, dal 30 luglio 1956.

Ufficio Cooperazione internazionale

(soppresso il 31 maggio1956)

Capo Ufficio: Grillo Remigio Danilo, predetto.

Reparto N.A.T.O.

Capo Reparto: Pansa Cedronio Paolo, secondo segretario.

Reparto U.E.O.

Capo Reparto: Falchi Silvio, secondo segretario.

Reparto Consiglio d’Europa – O.N.U.

Capo Reparto: Cornaggia Medici Castiglioni Gherardo, secondo segretario

Ufficio N.A.T.O.

(istituito il 31 maggio 1956)

Capo Ufficio: Pansa Cedronio Paolo, primo segretario, dal 31 maggio 1956.

Ufficio Cooperazione Europea

(istituito il 31 maggio 1956)

Capo Ufficio: Falchi Silvio, primo segretario.

Ufficio I

Capo Ufficio: Staderini Ettore, primo segretario; Marchiori Carlo, consigliere, dal 27 ottobre 1956.

Ufficio II

Capo Ufficio: Figarolo di Gropello Adalberto, primo segretario, fino al 10 ottobre 1955; Orlandi Contucci Corrado, primo segretario, dal 10 ottobre 1955.

Ufficio III

Capo Ufficio: Gasparini Carlo, primo segretario; Vinci Piero, primo segretario (dal 1° luglio 1956 consigliere), dal 20 ottobre 1955.

Ufficio IV

Capo Ufficio: Figarolo di Gropello Adalberto, primo segretario, dal 10 ottobre 1955; Mondello Mario, consigliere, dal 26 ottobre 1956.

Ufficio V

Capo Ufficio: Della Chiesa d’Isasca Renato, consigliere, dal 19 dicembre 1955.

Ufficio VI

Capo Ufficio: Ciraolo Giorgio, consigliere.

Ufficio VII

(alle dirette dipendenze del direttore generale)

Capo Ufficio: Bosio Giovanni Jack, consigliere (dal 7 dicembre 1955 ministro plenipotenziario); Lo Savio Pio, consigliere, dal 21 luglio 1956; Pletti Mario, consigliere, dall’8 novembre 1956.

Servizio Stranieri

Capo Servizio: Nonis Alberto, ministro plenipotenziario; Scola Camerini Giovanni, ministro plenipotenziario, dal 10 ottobre 1956.

Vice capo Servizio: Castellani Germano, secondo segretario; Scaduto Mendola Antonio, consigliere, dal 13 ottobre 1956.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI

Direttore generale: Cattani Attilio, ministro plenipotenziario.

Direttore generale aggiunto: Paveri Fontana Alberto, consigliere; Carrobio di Carrobio Renzo, ministro plenipotenziario, dal 20 aprile 1955.

Vice direttori generali: Ducci Roberto, primo segretario (dal 1° settembre 1956 consigliere), dal 15 ottobre 1955; Soro Giovanni Vincenzo, consigliere, dal 27 maggio 1955.

Ufficio I

Capo Ufficio: Profili Giacomo, secondo segretario (dal 10 settembre 1955 primo segretario); Mosca Ugo, consigliere, dal 6 novembre 1956.

Ufficio II

Capo Ufficio: Matacotta Dante, primo segretario, poi consigliere.

Ufficio III

Capo Ufficio: Pierantoni Aldo, primo segretario; Benazzo Agostino, primo segretario (dal 10 settembre 1955 consigliere), dal 1° maggio 1955.

Ufficio IV

Capo Ufficio: Bobba Franco, primo segretario (dal 23 dicembre 1955 consigliere), dall’11 luglio 1955.

Ufficio V

Capo Ufficio: Pascucci Righi Giulio, secondo segretario (dal 10 settembre 1955 primo segretario, dal 1° luglio 1956 consigliere).

Ufficio VI

Capo Ufficio: Mosca Ugo, secondo segretario, dal 1° maggio 1955; Caccialupi Emilio, consigliere commerciale, dal 6 novembre 1956.

Ufficio VII

Capo Ufficio: Manfredi Vittoriano, primo segretario (1955); Profili Giacomo, consigliere, dal 6 novembre 1956.

Delegazione italiana per la cooperazione economica europea

Delegato aggiunto: Cattani Attilio, predetto.

Servizio Economico Trattato (S.E.T.)

(1955-1956, alle dirette dipendenze del direttore generale)

Capo Servizio: Carrobio di Carrobio Renzo, predetto.

Ufficio dell’agente generale per le commissioni di conciliazione

Agente generale del Governo italiano: Cancellario d’Alena Francesco, ambasciatore a riposo.

Segretario generale: Bollati Attilio, ministro plenipotenziario a riposo.

DIREZIONE GENERALE DELL’EMIGRAZIONE

Direttore generale: Mascia Luciano, ministro plenipotenziario (dal 12 luglio 1956 ambasciatore).

Direttore generale aggiunto: Spinelli Pier Pasquale, consigliere (dal 1° agosto 1956 ministro plenipotenziario), dal 23 aprile 1955.

Vice direttori generali: Bounous Franco, consigliere, fino a ottobre 1956; Pazzaglia Gino, ispettore generale per i servizi tecnici, poi consigliere per l’emigrazione.

Ufficio I

Capo Ufficio: Sanfelice di Monteforte Ignazio, consigliere.

Ufficio II

Capo Ufficio: Campanella Francesco Paolo, secondo segretario, dal 26 settembre 1955; Carnevali Giulio, consigliere per l’emigrazione, dal 27 febbraio 1956.

Ufficio III

Capo Ufficio: Bifulco Vittorio, ispettore superiore per i servizi tecnici; Ceci Ginistrelli Stefano, addetto per l’emigrazione, dal 12 dicembre 1956.

Ufficio IV

Capo Ufficio: Bevilacqua Michele, ispettore superiore per i servizi tecnici (poi consigliere per l’emigrazione).

Ufficio V

Capo Ufficio: Bettini Emilio, terzo segretario, reggente; Falchi Giovanni, addetto per l’emigrazione, reggente, dal 16 novembre 1956.

Ufficio VI

Capo Ufficio: Tasco Vincenzo, ministro plenipotenziario a riposo.

Ufficio VII

Capo Ufficio: Piroddi Mario, ispettore superiore per i servizi tecnici; Campanella Francesco Paolo, primo segretario (dal 23 dicembre 1955 consigliere), dal 26 settembre 1955.

Ufficio VIII

Capo Ufficio: Tedesco Pietro Paolo, ispettore superiore per i servizi tecnici; Carnevali Giulio, consigliere per l’emigrazione, dal 27 febbraio 1956.

Ufficio IX

(istituito il 31 dicembre 1955)

Capo Ufficio: d’Aquino di Caramanico Alfonso, consigliere, dal 29 ottobre 1956.

Ufficio X

(istituito il 31 dicembre 1955 - soppresso il 31 maggio 1956)

Capo Ufficio: Piroddi Mario, ispettore superiore per i servizi tecnici, predetto.

Commissione per l’espatrio negli Stati Uniti d’America

(1955)

Presidente: Pittaluga Arturo, ispettore per i servizi tecnici.

Ufficio Quota Stati Uniti

(1955)

Capo Ufficio: Pediconi Fabrizio, ispettore superiore per i servizi tecnici.

SERVIZIO AFFARI PRIVATI

(ricostituito il 31 maggio 1956)

Capo Servizio: Fecia di Cossato Carlo, ministro plenipotenziario, dal 1° giugno 1956.

Vice capo Servizio: Guadagnini Piero, consigliere, dal 1° giugno 1956.

Ufficio I

Capo Ufficio: Guadagnini Piero, predetto, dal 1° giugno 1956.

Ufficio II

Capo Ufficio: Piroddi Mario, ispettore superiore per i servizi tecnici, dal 1° giugno 1956.

Ufficio III

Capo Ufficio: Russo Goffredo, consigliere di Corte d’Appello, dal 1° giugno 1956; De Luigi Pier Giuliano, consigliere, dall’8 febbraio 1957.

DIREZIONE GENERALE DELLE RELAZIONI CULTURALI CON L’ESTERO

Direttore generale: Conti Mario, ministro plenipotenziario.

Vice direttore generale: De Novellis Gennaro, consigliere, dal 4 agosto 1955.

Ufficio I

Capo Ufficio: Mussa Paolo Emilio, secondo segretario (1955); Massimo Lancellotti Paolo Enrico, consigliere, dal 7 marzo 1956.

Ufficio II

Capo Ufficio: Montanari Franco, primo segretario (dal 1° luglio 1956 consigliere); Masotti Pier Marcello, primo segretario, dal 27 febbraio 1957.

Ufficio III

Capo Ufficio: Venturini Roberto, primo segretario (dal 10 settembre 1955 consigliere), dal 25 agosto 1955.

Ufficio IV

Capo Ufficio: Manzini Raimondo, secondo segretario; Dainelli Luca, consigliere, dal 12 settembre 1955.

Ufficio V

Capo Ufficio: Contarini Giuseppe, secondo segretario, fino al 23 agosto 1956; Masotti Pier Marcello, primo segretario, dal 1° dicembre 1956; Fumarola di Portoselvaggio Angelo Antonio, primo segretario, dal 27 febbraio 1957.

Ufficio VI

Capo Ufficio: Simone Nicola, consigliere; Clementi di S. Michele Raffaele, consigliere, dal 5 luglio 1956.

Ufficio VII

(istituito il 5 maggio 1956)

Capo Ufficio: Tedesco Pietro Paolo, ispettore superiore per i servizi tecnici (dal 1° luglio 1956 consigliere per l’emigrazione), dal 7 maggio 1956.

Servizi amministrativi

(1955-1956)

Capo Reparto: N.N.

SERVIZIO AFFARI GENERALI

(1955-1956)

Capo Servizio: N.N.

Ufficio I

Trattati, legislazione e questioni giuridiche

Capo Ufficio: Monaco prof. Riccardo, consigliere di Stato.

Ufficio II

Studi e documentazioni

Capo Ufficio: Toscano prof. Mario.

Ufficio III

Archivio storico

Capo Ufficio: Mori prof. Renato.

Ufficio IV

Biblioteca

Capo Ufficio: Tamborra prof. Angelo.

UFFICIO ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

(soppresso il 31 maggio 1956)

Capo Ufficio: N.N.

UFFICIO TRADUZIONI

(1955)

Reggente l’Ufficio: De Carolis Renato, traduttore capo.

COMMISSIONE PER IL RIORDINAMENTO E LA PUBBLICAZIONE

DEI DOCUMENTI DIPLOMATICI

Consulente archivistico e segretario: Moscati prof. Ruggero.

DIREZIONE GENERALE PER GLI AFFARI DELLA AMMINISTRAZIONE ITALIANA DEL TERRITORIO SOTTO TUTELA DELLA SOMALIA

Direttore generale: Franca Pietro, consigliere del ruolo aggiunto, reggente; Fracassi Ratti Mentone Cristoforo, ministro plenipotenziario, dal 1° agosto 1955; Borga Guido, ministro plenipotenziario, dal 12 dicembre 1956.

Vice direttore generale: Jannuzzi Pio Riccardo, consigliere per l’Oriente, dal 28 marzo 1955.

Ufficio I

Capo Ufficio: Jannuzzi Pio Riccardo, predetto, dal 28 marzo 1955.

Ufficio II

Capo Ufficio: Vitali Vitale, consigliere per l’Oriente.

Ufficio III

Capo Ufficio: Negrotto Cambiaso Agostino, consigliere per l’Oriente.

Ufficio elaborazione e pubblicazione del materiale di osservazioni meteorologiche relative al territorio delle ex colonie italiane

(1956-1957, alle dipendenze del direttore generale)

RAGIONERIA CENTRALE

Appendice:

Ispettorati di frontiera per gli italiani all’estero

Istituto agronomico per l’Oltremare

(dal 1956 inquadrati nella Direzione Generale dell’Emigrazione)

Indice dei nomi

Adenauer, Konrad, Cancelliere della Repubblica Federale di Germania, 3, 10, 18, 19, 22, 34, 35, 63, 85, 88, 97, 98, 100, 104, 108, 113, 123, 126, 130, 135, 181, 186, 199, 216, 219, 222, 224, 225, 226, 228, 229, 230, 234, 236, 239, 254, 275, 276, 283, 296, 304.

Aillaud, Enrico, Vice Capo di Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri dal 25 aprile 1955, 58n, 304n.

Albonetti, Achille, Addetto alla Rappresentanza italiana all’O.E.C.E., membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 281, 305.

Alphand, Hervé, Rappresentante permanente francese all’O.N.U., poi Ambasciatore a Washington, 14, 266n.

André, Pierre, uomo politico francese (C.N.I.P.), 276.

Angelini, Armando, Ministro dei Trasporti nel Governo Segni I, Presidente della C.E.M.T., 268.

Armand, Louis, Presidente della S.N.C.F., componente del Comitato dei tre saggi atomici, 10, 16, 29, 32, 35, 71, 95, 132, 140, 151, 182, 200, 223, 230, 281n.

Arnold, Karl, uomo politico tedesco (C.D.U.), 23.

Attlee, Clement, uomo politico laburista, ex-Primo Ministro britannico, 56.

Auriol, Vincent, ex-Presidente della Repubblica francese (S.F.I.O.), 276.

Azara, Antonio, Senatore della Repubblica, Rappresentante all’U.E.O., 61.

Babbit, John D., Rappresentante del National Canadian Research Council, membro del Comitato Speciale Energia Nucleare all’O.E.C.E., 187.

Badini Confalonieri, Vittorio, Deputato, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri nel Governo Segni I, 105, 190, 201, 221, 223, 224, 254, 256n, 286, 287, 307.

Bainville, Jacques, storico francese, 147.

Battista, Emilio, Deputato, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Industria e Commercio nel Governo Scelba, 35.

Bauer, Gérard, Ministro, Capo della Delegazione svizzera all’O.E.C.E., 16.

Bech, Joseph, Primo Ministro del Lussemburgo, 6, 14n, 19n, 25, 31, 36, 37, 43, 46, 53, 85, 88, 97, 105n, 132, 151, 163, 177, 178, 223, 224, 240, 299.

Becker, Hermann, uomo politico tedesco (L.D.P.D.), Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 56, 61.

Belcredi, vedi Guastone Belcredi, Enrico.

Bennett, Wilfrid, Presidente dell’Atomic Energy of Canada Ltd., membro del Comitato Speciale Energia Nucleare all’O.E.C.E., 187.

Benvenuti, Lodovico, Capo della Delegazione al Comitato Intergovernativo, 3, 35, 47, 49, 53, 55, 56, 71, 85, 88, 94, 102, 106, 144, 167, 184, 198, 211, 213, 215, 221, 230, 246, 254, 260, 278, 288, 292, 302, 307.

Bertrand, Alfred, uomo politico belga (C.D.), membro del Segretariato dell’O.E.C.E., 69, 76.

Bettiol, Giuseppe, Presidente della II Commissione rapporti con l’estero della Camera dei Deputati dal 1o luglio 1955 al 9 luglio 1956, 53, 56.

Beuve-Méry, Hubert, giornalista francese fondatore di «Le Monde», 100.

Bevan, Aneurin, uomo politico britannico, membro del Partito Laburista, 236.

Beyen, Jan Willem, Ministro degli Affari Esteri olandese sino al 1956, 7, 14, 16, 22, 35, 47, 50, 52, 53, 76, 82, 85, 88, 112, 116, 132, 163, 175, 177, 178, 195.

Bichet, Robert, uomo politico francese (M.R.P.), membro dell’Assemblea del Consiglio d’Europa, Vice Presidente dell’Assemblea U.E.O., 61.

Bidault, Georges, uomo politico francese (M.R.P.), ex -Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri, 156.

Bobba, Franco, Segretario a Lussemburgo, Capo dell’Ufficio IV della Direzione Generale agli Affari Economici, membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 38, 71n, 74, 89, 101, 102, 132n 145n, 162, 185, 189, 194, 196, 198, 202, 211, 224n.

Boex, Heinrich, uomo politico tedesco (C.D.U.), Segretario Generale Aggiunto dell’U.E.O., 239.

Boggiano Pico, Antonio, Senatore della Repubblica, Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa, Vice Presidente dell’Assemblea U.E.O., 53, 61, 307.

Bohy, Georges, uomo politico belga (P.S.B.), Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa, Vice Presidente dell’Assemblea U.E.O., 61.

Bolasco, Ernesto Mario, Incaricato d’affari a Lussemburgo, 244.

Bombassei Frascani de Vettor, Giorgio, Vice Direttore Generale degli Affari Politici, Capo della Rappresentanza italiana al Consiglio d’Europa, 181, 251, 307.

Bonnefous, Édouard, uomo politico francese (U.D.S.R.), Ministro delle Poste nel Governo Faure II, membro dell’Assemblea del Consiglio d’Europa, 56, 73, 83.

Boothby, Robert, uomo politico britannico conservatore, Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 56, 61.

Bourgès-Maunoury, Maurice, Deputato radical-socialista francese, Ministro della Difesa nazionale nel Governo Mollet, 160.

Boussac, Pierre, uomo politico francese (S.F.I.O.), 276.

Boyesen, Jens Mogens, Ambasciatore, Delegato norvegese al Comitato Intergovernativo, 124.

Boyle of Handsworth, Sir Edward, uomo politico conservatore britannico, Segretario economico al Tesoro, 133, 137, 231.

Bowen, Evan Rodëric, uomo politico britannico, Deputato alla Camera dei Comuni, 202.

Brentano, Heinrich von, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Federale di Germania, 3, 53, 56, 57, 80, 85, 88, 96, 106, 112, 126, 132, 135, 139, 169, 172, 186, 220, 223, 224, 225, 239, 289n, 299.

Bretherton, Russell Frederick, Sottosegretario del Board of Trade, Delegato britannico presso il Comitato Intergovernativo, 55, 69, 89.

Brosio, Manlio, Ambasciatore a Washington, 63, 96, 109, 219n, 236, 246n, 251, 254n, 264, 266n, 270, 274, 282n.

Buizza, Angelo, Senatore, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio nel Governo Segni I, 190.

Bulganin, Nikolaj Aleksandrovic, Presidente del Consiglio dei Ministri dell’U.R.S.S., 22, 87, 88, 96, 126, 127, 135, 181, 186.

Butler, Robert A. B., Lord del Sigillo Privato, Cancelliere dello Scacchiere sino al dicembre 1955, 76, 116.

Caccia, Sir Harold, diplomatico britannico, Vice Sottosegretario permanente al Foreign Office, 87, 88, 116.

Cahan, John Flint, Vice Segretario Generale del Segretariato dell’O.E.C.E., 278.

Calmes, Christian, uomo politico lussemburghese, Segretario Generale del Consiglio della C.E.C.A., 31, 76.

Canali, Paolo, Segretario particolare del Capo della Delegazione italiana al Comitato Intergovernativo, 126, 181.

Caracciolo di San Vito, Roberto, Vice Segretario Generale aggiunto del Consiglio d’Europa, 53.

Carbone, Francesco, Segretario del Piano decennale, Dirigente del Ministero delle Finanze, membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 33.

Carrara, Enrico, Primo Segretario alla Segreteria Generale, 88, 251n, 256n.

Carrobio di Carrobio, Renzo, Direttore Generale aggiunto degli Affari Economici, 33, 55n, 88, 181, 201, 204, 205n, 208n, 210, 241n, 243n, 251n, 278, 281, 284, 297, 298.

Carstens, Karl, diplomatico, uomo politico tedesco (C.D.U.), Rappresentante tedesco al Consiglio d’Europa, 179.

Castellani, Presidente dell’Associazione produttori e consumatori di energia elettrica, 33.

Cattani, Attilio, Direttore Generale degli Affari Economici, membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 21, 33, 35, 43, 49n, 62, 70n, 71, 73, 91, 99n, 110, 111, 116, 124, 127n, 128, 144, 150, 157, 159, 166, 168, 169, 171, 181, 197, 199, 208n, 228, 241n, 251, 256, 259n, 278, 285, 293, 295, 297, 298, 300, 303, 305.

Cavalletti di Oliveto Sabino, Francesco, Ministro a Lussemburgo, dall’ottobre 1955 Ambasciatore, consulente della Delegazione al Comitato Intergovernativo, 5, 14n, 24n, 25, 28, 31n, 35, 46n, 49n, 54, 59, 67, 71, 97, 101, 105n, 248.

Cerulli Irelli, Giuseppe, Senatore, 190.

Chaban-Delmas Jacques, Ministro di Stato nel Governo Mollet, 160, 182.

Charpentier, René, uomo politico francese (M.R.P.), Rappresentante all’U.E.O., 61.

Christofini, Charles, Vice Segretario Generale al Comitato permanente degli armamenti dell’U.E.O., 22.

Ciang, Kai-Shek, Presidente della Repubblica di Formosa, 22.

Cisler, Walker, Presidente della Detroit Edison Co. e della Conferenza Internazionale per l’Utilizzazione Pacifica dell’Energia Nucleare, 187.

Cittadini Cesi, Gian Gaspare, Capo della Rappresentanza al Consiglio d’Europa, 56.

Clappier, Bernard, Direttore delle relazioni esterne al Ministero dell’Economia francese, 65.

Clarke, Sir Ashley, Ambasciatore del Regno Unito a Roma, 58, 110, 116n, 256.

Cockrost, Sir John, fisico nucleare britannico, 95.

Colombo, Emilio, Ministro dell’Agricoltura e Foreste nel Governo Segni I, 272.

Colonna di Paliano, Guido, membro della Rappresentanza all’O.E.C.E. e Segretario Generale aggiunto dell’O.E.C.E., 76, 183, 256n.

Commin, Pierre, uomo politico francese (S.F.I.O.), 148.

Conti, Mario, Direttore Generale delle Relazioni Culturali con l’Estero, 181.

Corrias, Angelino, Direttore Generale degli Affari Economici fino al marzo 1955, 98.

Cortese, Guido, Ministro dell’Industria e del Commercio nel Governo Segni I, 237, 242.

Cosmelli, Giuseppe, Capo della Rappresentanza all’O.E.C.E. dal maggio 1956, 183, 187n, 188, 195, 203, 204n, 205n, 214, 278, 300, 306.

Coty, René, Presidente della Repubblica francese, 164, 172, 174, 193.

Coudenhove-Kalergi, Richard Nikolaus von, fondatore dell’Unione Parlamentare Europea, 23.

Cramarossa, Saladino, Direttore Generale dell’Alto Commissariato di Igiene e Sanità Pubblica, 33.

Croüy Chanel, Etienne de, diplomatico, Direttore degli Affari politici del Ministero degli Affari Esteri francese, 53.

Cuttica, Ingegnere, Rappresentante del Ministero dei Lavori pubblici, 33.

Dahlgrum, Rolf, uomo politico tedesco (F.D.P.), 103.

Dean, Patrick H., diplomatico britannico, 256n.

De Cunchy vedi Zimmer De Cunchy, Alphonse.

De Gasperi, Alcide, ex Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, 113, 123, 174, 308.

Dehème, Paul, giornalista francese, 200.

Dehousse, Fernand Louis Jean, uomo politico belga (P.S.), Rappresentante, poi Presidente dal 1956 dell’Assemblea del Consiglio d’Europa, Presidente della Commissione internazionale sulla Saar, rappresentante nell’Assemblea comune della C.E.C.A., 53, 162, 307.

Dejean, Maurice, diplomatico francese, 50.

Del Bo, Dino, Deputato, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri nel Governo Segni I, 190.

Del Bo, Rinaldo, vedi Del Bo, Dino.

Delouvrier, Paul, uomo politico francese, Direttore finanziario dell’Alta Autorità della C.E.C.A., 69.

De Micheli, Alighiero, Presidente della Confederazione Generale dell’Industria Italiana, 237.

De Novellis, Gennaro, Vice Direttore Generale delle Relazioni Culturali con l’Estero, 88.

De Paolis, Pietro, Capo del Servizio Affari Generali, 53.

De Strobel di Fratta e Campocigno, Maurizio, Consigliere dell’Ambasciata a Bruxelles, 118n, 155.

Di Falco, Rappresentante alla Commissione per il Mercato Comune del Comitato Intergovernativo, 74, 101.

Di Nardi, Giuseppe, economista, Presidente della Sottocommissione per gli investimenti del Comitato Intergovernativo, 71, 83, 92.

Di Stefano, Mario, Ambasciatore a Mosca, 87, 88.

Doublet, Jacques, Presidente della Sottocommissione per le questioni sociali, 71.

Drees, Willem, Primo Ministro olandese, 301.

Ducci, Roberto, Consigliere della Rappresentanza all’O.E.C.E., Vice Direttore Generale degli Affari Economici, membro della Delegazione al Comitato Intergovernativo, 64, 65, 66, 71, 78, 81, 83, 92, 106n, 125, 134n, 151n, 166n, 169, 176, 178, 179, 181, 184, 187, 189, 194n, 212, 214, 222n, 230n, 260, 269n, 280, 289n.

Dulles, John Foster, Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, 22, 87, 96, 112, 113 127, 150, 172, 186, 219, 251, 281.

Dyke, Stuart Hope van, funzionario americano dell’I.C.A. (International Cooperation Administration), 183.

Eccles, Sir David, uomo politico conservatore britannico, Ministro dell’Educazione nel Governo Macmillan, Presidente del Board of Trade, 257, 278, 287.

Eckardt, Felix von, uomo politico tedesco (C.D.U.), diplomatico, 186.

Eden, Anthony, Primo Ministro britannico, 63, 88, 127, 128, 131n, 212, 217, 219, 299.

Edwards, John, uomo politico britannico liberale, 202.

Eisenberg, vedi Heisenberg, Werner.

Eisenhower, Dwight D., Presidente degli Stati Uniti, 88, 126, 127, 131n, 135, 179, 183, 186, 200, 239, 251, 256, 304.

Eiswaldt, Erich, diplomatico tedesco, 194.

Elbrick, Charles Burke, diplomatico statunitense, Vice Assistente Segretario di Stato per gli Affari europei, 282n.

Ellis-Rees, Sir Hugh, Rappresentante permanente britannico all’O.E.C.E., 12, 16, 32, 52, 76, 107, 110, 114, 116, 122, 128, 129, 137, 141, 203, 214, 278.

Ely, Paul, Generale, Capo di Stato Maggiore della Difesa francese, 160.

Erhard, Ludwig, Ministro dell’Economia della Repubblica Federale di Germania, 6, 29, 35, 85, 88, 113, 123, 132, 135, 146, 151, 199, 223, 225, 226, 275, 287.

Eschauzier, Henri F., diplomatico, Direttore degli Affari Politici al Ministero degli Esteri olandese, 187, 254.

Etzel, Franz, uomo politico tedesco (C.D.U.), Vice Presidente dell’Alta Autorità della C.E.C.A., componente del Comitato dei tre saggi atomici, 42, 223, 230, 281n.

Falchi, Silvio, Capo dell’Ufficio Cooperazione Europea della Direzione Generale degli Affari Politici, 33, 190.

Fanfani, Amintore, Deputato, Rappresentante della Camera all’Assemblea comune della C.E.C.A., 119.

Faure, Edgar, Primo Ministro francese fino al 24 gennaio 1956, 1n, 4, 9, 10, 11, 14, 15, 21, 30, 48, 50, 72, 75, 82, 88, 97, 127.

Faure, Maurice, uomo politico francese (radical socialista), Segretario di Stato agli Affari Esteri nel Governo Mollet, Capo della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa dal giugno 1956, 130, 132, 169, 170, 179, 182, 189, 198, 210, 211, 215, 245, 248, 253n, 258, 259, 260, 261, 265, 267, 273, 275, 276, 291, 295.

Fay, William, Ambasciatore d’Irlanda a Parigi, Presidente del Terzo Gruppo di lavoro per la Zona di libero scambio dell’O.E.C.E., 300.

Fens, Johannes Josephus, uomo politico olandese (K.V.P.), Rappresentante nell’Assemblea del Consiglio d’Europa, Vice Presidente dell’Assemblea U.E.O., 61, 307.

Ferlesch, Giuseppe, Direttore Generale al Ministero del Commercio Estero, membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, Delegato presso il Gruppo di lavoro n. 17 dell’ O.E.C.E., 204, 285, 293, 297, 298.

Fermi, Enrico, fisico nucleare, 50.

Ferrari Aggradi, Mario, Deputato, Sottosegretario di Stato al Bilancio nel Governo Segni I, 112, 123, 222, 285, 287.

Ferreri, Emilio, Ammiraglio, Direttore dell’Agenzia di Controllo degli effettivi e degli armamenti dell’U.E.O., 22, 53, 112.

Figl, Leopold, Ministro degli Affari Esteri austriaco (O.V.P.), 287.

Fitzgerald, Dennis, funzionario statunitense dell’I.C.A., 183.

Flore, Vito Dante, Direttore Generale del Ministero della Marina Mercantile, 33.

Folchi, Alberto, Deputato, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri nel Governo Segni I, 172, 256n.

Fornari, Giovanni, Ambasciatore al Cairo, 236.

Fouques-Duparc, Jacques, Ambasciatore di Francia a Roma, 165, 170, 172.

Fracassi Ratti Mentone di Torre Rossano, Cristoforo, Direttore Generale per gli Affari della Amministrazione italiana del territorio sotto tutela della Somalia, 88, 181, 204.

François-Poncet, André, diplomatico francese, 18, 19, 220.

Franks, Sir Oliver, diplomatico britannico, Presidente della Lloyds Bank, 278.

Franzì, Mario, Primo Segretario di Legazione al Servizio O.N.U., 181.

Fraser, Sir Bruce Austin, Ammiraglio britannico, Vicesegretario Generale del Comitato permanente degli armamenti dell’U.E.O., 22.

Frazer, vedi Fraser, Sir Bruce Austin.

Gaillard, Felix, uomo politico francese (R.R.R.S.), Capo della Delegazione al Comitato Intergovernativo, Consigliere Politico della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, Rappresentante nell’Assemblea del Consiglio d’Europa, 50, 55, 59, 60, 72, 75, 94, 101, 106, 108, 134, 145, 151, 153, 160, 179, 182, 200.

Gaulle, Charles de, Generale, uomo politico francese, 30, 135n, 245, 276.

Gazier, Albert Pierre, uomo politico francese (S.F.I.O.), Ministro degli Affari Sociali nel Governo Mollet, 299.

Ghigi, Pellegrino, Direttore Generale del Personale e dell’Amministrazione Interna, 88, 181.

Giacchero, Enzo, membro dell’Alta Autorità della C.E.C.A., 67.

Giordani, Francesco, scienziato, membro del Comitato tecnico per lo sviluppo dell’energia atomica, componente del Comitato dei tre saggi atomici, 50, 78, 223, 230, 281.

Giovannini, Alberto, politico ed economista, 47.

Giretti, Luciano, Secondo Segretario di Legazione alla C.E.C.A., 38.

Giuliana d’Olanda, Regina dei Paesi Bassi, 175.

Giustiniani, Raimondo, Capo del Servizio Stampa, 88, 181, 251n, 256n.

Goes van Naters, Marinus van der, uomo politico olandese (S.D.A.P.), Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 61, 162.

Goffin, Louis, diplomatico belga, Segretario Generale dell’U.E.O., 22, 190.

Goldschmit, Bertrand, scienziato francese, Direttore del Commissariato per l’Energia Atomica, 187, 198.

Gonella, Guido, Deputato, politico, ex Ministro di Grazia e Giustizia, 88.

Grazzi, Umberto, Ambasciatore a Bonn, 18, 19, 34, 42, 63, 77, 93n, 98, 113, 117, 121, 123, 135, 161, 193n, 199, 205n, 209, 216, 222, 224n, 233n, 246n, 254n, 264n, 275, 283, 289n.

Grillo, Remigio Danilo, Vicedirettore Generale degli Affari Politici, 33.

Groeben, Hans von der, membro della Delegazione tedesca al Comitato Intergovernativo, Presidente del Comitato per il Mercato Comune, 106, 108, 151, 184.

Gronchi, Giovanni, Presidente della Repubblica, 17, 152, 155, 171, 172, 174, 193n, 239, 304.

Gruenther, Alfred M., Generale statunitense, Comandante in Capo delle forze della N.A.T.O. in Europa, 22, 112.

Gualtieri, Rappresentante del Ministero dell’Industria e Commercio, 33.

Guastone Belcredi, Enrico, Capo del Servizio Coordinamento della Segreteria Generale, 251n, 256n.

Guazzugli Marini, Giulio, Direttore del Segretariato del Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. e del Segretariato del Comitato Intergovernativo, 106, 108, 151.

Gudmundsson, Kristinn, Ministro degli Affari Esteri di Islanda, 53, 112.

Guillaumat, Pierre, Amministratore Generale, Delegato al Commissariato francese per l’Energia Atomica, Presidente del gruppo Euratom della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 71, 182, 184, 187, 197.

Guille, Georges, Segretario di Stato alla Presidenza della Consiglio nel Governo Mollet, Incaricato dei rapporti con il Parlamento, della ricerca scientifica e dell’energia atomica, 160.

Hallstein, Walter, uomo politico tedesco (C.D.U.), Sottosegretario agli Esteri, 34n, 42, 55, 57, 85, 86, 87, 88, 112, 126, 135, 177, 220, 260, 267, 275, 276, 289n.

Harriman, W. Averell, diplomatico e uomo politico statunitense, Governatore dello Stato di New York, 186.

Harrison, Geoffrey W., diplomatico britannico, Assistente Sottosegretario agli Affari Esteri, 137.

Healey, Denis Winston, Deputato laburista britannico, 202.

Heesemann, Presidente della Commissione per l’energia classica dell’O.E.C.E., 71.

Heisenberg, Werner, fisico tedesco, 183.

Herriot, Édouard, uomo politico francese (Partito radicale), 14, 276.

Hetzdorf von, uomo politico tedesco, Vicesegretario Generale al Comitato permanente degli armamenti dell’U.E.O., 22.

Heuss, Theodor, Presidente della Repubblica Federale di Germania, 135.

Hohler, Henry Arthur Frederick, Ministro dell’Ambasciata del Regno Unito a Roma, 256n.

Hollister, John, uomo politico statunitense, Direttore dell’I.C.A. (International Cooperation Administration), 109, 183.

Hood, Samuel, visconte di, diplomatico britannico, Assistente Sottosegretario di Stato al Foreign Office, 256, 263.

Hope, C.P., Direttore del Servizio Stampa al Foreign Office, 256n.

Houphouët-Boigny, Félix, Deputato francese, Segretario di Stato alla Presidenza del Consiglio nel Governo Mollet, 267.

How, Friston C., Segretario del Dipartimento dell’Energia Atomica britannico, Rappresentante al Comitato Speciale Energia Nucleare dell’O.E.C.E., 187.

Huet, Pierre, uomo politico francese, Capo della Segreteria del Comitato speciale per l’energia nucleare dell’O.E.C.E., 124, 183.

Hupperts, Albert, Diplomatico, Delegato belga al Comitato Intergovernativo, 151, 207, 212.

Hutchison, James, uomo politico conservatore britannico, Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 61.

Ippolito, Felice, Presidente del Comitato Nazionale Ricerche Nucleari, membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 78n, 197, 305.

Ismay, Lord Lionel Hastings, uomo politico britannico, Segretario Generale della N.A.T.O., 22, 112.

Jacquet, Marc, uomo politico francese (R.P.F.), Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 56, 61.

Jebb, Gladwyn, diplomatico britannico, Ambasciatore a Parigi, 132, 137.

Jernegan, John D., Incaricato d’Affari degli Stati Uniti d’America a Roma, 247.

Joxe, Louis, Segretario Generale del Ministero degli Esteri francese, 226, 279.

Juin, Alphonse, Generale francese, Comandante del C.E.N.T.A.G. (Forze alleate del Centro Europa), 245.

July, Pierre, Ministro degli Affari marocchini e tunisini nel Governo Faure II, 100.

Kappler, Herbert, ufficiale delle S.S., Comandante della Gestapo a Roma, 113.

Kapteijn, Paul G., uomo politico olandese (P.vd.A.), membro dell’Assemblea Comune della C.E.C.A., 69, 71, 83.

Karnebeek, Mauritz van, diplomatico olandese, 240.

Kauvenberg, Adrien van, uomo politico lussemburghese (P.O.S.L.), Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 61.

Kirkpatrick, Sir Ivone, diplomatico britannico, Sottosegretario permanente al Foreign Office, 133, 137, 146.

Klompé, Margaretha Albertina Maria, parlamentare olandese, Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa, 56.

Koenig, Marie-Pierre, Generale, Ministro della Difesa e delle Forze Armate nel Governo Faure II, 14.

Kopf, Hermann, uomo politico tedesco (C.D.U.), Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 61.

Kramer, uomo politico olandese, 198.

Krekeler, Heinrich Ludwig Hermann, Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania a Washington, 266n.

Kruisheer, J.C., Capo della Sezione O.E.C.E. della Delegazione olandese all’O.E.C.E. e la N.A.TO., 52, 114.

Krushev, Nikita, Seergevic, Segretario del P.C.U.S., 87, 96, 186.

Laloni, Nicola, Vicedirettore Generale del Ministero dei Trasporti, Presidente della Commissione trasporti e lavori pubblici del Comitato Intergovernativo, 55n, 71, 83.

Landriscina, Giovanni, Direttore Generale per l’attuazione della programmazione economica del Ministero del Bilancio, rappresentante presso l’O.E.C.E., 65, 285.

Lange, Halvard, Ministro degli Affari Esteri norvegese, 53, 56, 186n.

Larock, Victor, Ministro del Commercio Estero belga nel Governo van Acker, 56, 155, 163.

La Rosa, Carmelo, Direttore Generale del Ministero dell’Industria e Commercio, 33.

Layton, Lord Robert, uomo politico britannico, 53, 56, 307.

Lecourt, Robert, uomo politico francese (M.R.P.), 72, 160.

Leibniz, Gottfried Wilhelm von, filosofo, matematico, giurista tedesco, 147.

Lemaire, Maurice, uomo politico francese, Segretario di Stato al Commercio e all’Industria, 33, 69, 71, 81, 83.

Le Troquer, André, uomo politico francese (S.F.I.O.), 23.

Libbe, Willard, fisico americano, membro dell’A.E.C. (Atomic Energy Commission), 183.

Lincoln, Sir Anthony, diplomatico britannico, ex Segretario Generale del Consiglio d’Europa, 53.

Linthorst-Homan, Johannes (Hans), uomo politico olandese, Direttore al Ministero dell’Economia, membro della Commissione del Mercato Comune del Comitato Intergovernativo, Capo della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 71.

Lloyd, John Selwyn Brooke, Segretario di Stato al Foreign Office, 133, 212, 239, 250, 251, 255n, 256, 257, 262, 263, 277, 282, 299.

Logan, Donald A., diplomatico britannico, 256n.

Louvel, Jean-Marie, uomo politico francese (M.R.P.), 19, 35, 36.

Luciolli, Mario, Ministro plenipotenziario, Capo dell’Ufficio Relazioni Internazionali della Presidenza della Repubblica, 165.

Luns, Joseph, Ministro degli Affari Esteri olandese, 175, 223, 299, 301.

Lütkens, Gerhard, uomo politico tedesco (S.P.D.), Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa, Vice Presidente dell’Assemblea U.E.O., 61.

Maccotta, Giuseppe Walter, Consigliere della Rappresentanza all’O.E.C.E., 99, 203.

Maclay, John, uomo politico britannico, Presidente dell’Assemblea dell’U.E.O., 61.

Macmillan, Maurice Harold, Segretario di Stato al Foreign Office, Cancelliere dello Scacchiere dal dicembre 1955, 20, 22, 23, 53, 56, 87, 88, 90, 112, 116, 137, 202, 212, 235, 243, 244, 255, 285.

Magistrati, Massimo, Direttore Generale degli Affari Politici, membro della Delegazione al Comitato Intergovernativo, 21, 35, 43, 45, 53, 61, 85, 87, 88, 112, 121, 123, 126, 135, 155, 165, 170, 181, 186, 239, 240, 245, 248, 251, 256, 262, 277, 279, 299, 307.

Makarios III (Michail Kristodulu Muskos), arcivescovo metropolita, Capo della Chiesa ortodossa di Cipro, 152.

Malagodi, Giovanni Francesco, Deputato, esponente del P.L.I., 119, 278.

Malenkov, Georgij Maksimilianovic, membro del Politburo del P.C.U.S., 186.

Malfatti di Montetretto, Francesco, Segretario dell’Ufficio Coordinamento della Segreteria Generale, 35.

Malik, Jakov Aleksandrovic, diplomatico, Ambasciatore dell’U.R.S.S. a Londra, 22, 256.

Maltzan, Vollrath von, diplomatico tedesco, Ambasciatore a Parigi, 98.

Manfredi, Vittoriano, Consigliere della Rappresentanza all’O.E.C.E., 187.

Mansholt, Sicco Leendert, uomo politico olandese (P.vd.A.), Ministro dell’Agricoltura nel Governo Drees, 106.

Marchiori, Carlo, Capo dell’Ufficio I della Direzione Generale degli Affari Politici, 256n.

Margerie, Roland de, diplomatico, Direttore degli Affari Politici del Ministero degli Affari Esteri francese, 14.

Margue, Nicolas, uomo politico lussemburghese (C.S.V.), membro dell’Assemblea Comune della C.E.C.A., 162.

Marinelli, Rappresentante del Ministero del Lavoro e Previdenza sociale, 285.

Marjolin, Robert, economista, ex Segretario Generale dell’O.E.C.E., Vice Presidente della Delegazione francese alla Conferenza Intergovernativa, 53, 182, 215, 225, 228, 230, 254, 260, 288, 293, 295.

Martinelli, Mario, Ministro del Commercio Estero nel Governo Scelba, 35.

Martino, Gaetano, Ministro degli Affari Esteri nei Governi Scelba e Segni I, 2n, 3, 4, 6, 12, 13, 14, 16, 17, 22, 24, 26, 27, 31, 34n, 35, 36, 43, 49, 50, 53, 56, 58, 67, 77, 79, 80, 82, 85, 86, 87, 88, 93, 98, 112, 117, 118n, 126, 127, 128, 130, 131, 132, 135, 140, 142, 144, 151, 152, 154, 155, 156, 157, 163, 164, 166, 168n, 169, 170, 172, 173, 174, 175, 178, 186, 192, 193, 211n, 215, 218, 219, 221, 223, 226n, 227, 230, 232, 233, 235, 236, 237, 238, 239, 240, 241n, 242, 243, 246, 250, 251, 255n, 256, 263, 264, 265, 266, 269, 271, 272, 273, 276, 288, 289, 290, 292, 294, 297, 299, 302, 304, 308.

Mascia, Luciano, Direttore Generale dell’Emigrazione, 88, 181, 240.

Massigli, René, diplomatico, Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri francese, 9, 11, 53, 156, 164.

Massip, Roger, giornalista francese, 100.

Mattarella, Bernardo, Ministro del Commercio Estero nel Governo Segni I, 287, 297, 298.

Mattei, Franco, Vicesegretario Generale della Confederazione Generale dell’Industria Italiana 65, 237.

Mayer, Daniel, uomo politico francese (S.F.I.O.), Presidente della Commissione Affari Esteri dell’Assemblea Nazionale, 148.

Mayer, René, uomo politico francese (Partito radicale), successore di Monnet alla Presidenza dell’Alta Autorità della C.E.C.A., 1n, 4, 9, 11, 15, 19, 35, 36, 42, 43, 46n, 59, 67, 68, 79, 100.

Mazzini, Giuseppe, patriota, politico e filosofo, 147.

McAdden, Stephen James, uomo politico britannico, Deputato alla Camera dei Comuni, 202.

McKay, John, uomo politico laburista britannico, Deputato alla Camera dei Comuni, 158.

Melander, Johan, uomo politico norvegese, Presidente del Primo Gruppo di lavoro per la Zona di libero scambio dell’O.E.C.E., 300, 306.

Mendès France, Pierre, uomo politico francese (partito radical-socialista), ex Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, 9, 11n, 14, 123, 126, 127, 130, 147, 156, 160, 236, 276.

Menthon, François de, uomo politico francese (M.R.P.), Rappresentante nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, 53, 56.

Migone, Bartolomeo, Capo di Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri, membro della Delegazione al Comitato Intergovernativo, 35, 87, 88, 126, 170, 181, 251n, 256n.

Mitterrand, François, uomo politico francese (U.D.S.R.), Ministro di Stato e della Giustizia nel Governo Mollet, 160.

Moch, Jules, uomo politico francese (S.F.I.O.), Rappresentante alla Commissione Disarmo delle Nazioni Unite, 127, 170.

Molinari, Alessandro, Direttore Generale dell’Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno (Svi.Mez.), 285.

Mollet, Guy, Primo Ministro francese, 53, 56, 61, 100, 117n, 126, 127, 132, 144, 147, 148, 152, 153, 159, 160, 164, 170, 172, 174, 182, 186, 193, 200, 215, 216, 217, 219, 223, 224, 225, 228, 229, 230, 234, 236, 246n, 253n, 254, 258, 273, 275, 276, 296, 299.

Mommer, Karl, uomo politico tedesco (S.P.D.), Vice Presidente della Sottocommissione della Saar al Bundestag, 56.

Monnet, Jean, Presidente dell’Alta Autorità della C.E.C.A., poi Presidente del Comitato d’Azione per gli Stati Uniti d’Europa, 2, 4, 5, 6, 8, 9, 11, 12, 14, 15, 19, 21, 28, 31, 35, 36, 42, 43, 59, 100, 108, 119, 122, 123, 125, 127, 130, 132, 138, 143, 147, 148, 153, 157, 160, 162, 164, 168, 172, 193, 223, 230.

Montgomery, Sir Bernard Law, visconte di Alamein, Maresciallo britannico, Vicecomandante supremo delle forze della N.A.T.O., 251.

Montini, Lodovico, Deputato, Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 53, 56, 61, 190, 307.

Morrison, Herbert, uomo politico laburista britannico, Deputato alla Camera dei Comuni, ex Ministro degli Affari Esteri nel Governo Attlee, 53, 56, 61.

Murphy, Robert Dani, Sottosegretario al Dipartimento di Stato statunitense, 183.

Mutter, André, uomo politico francese (indipendente), Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 61.

Nasser, Gamal Abdel, Colonnello, Presidente della Repubblica egiziana, 172, 219, 234, 236, 256, 263, 304.

Nehru, Jawaharlal, Primo Ministro indiano, 58, 172, 186.

Nenni, Pietro, Deputato, 127.

Nicolaides, Leandro, Capo della Delegazione greca all’O.E.C.E., Capo del Consiglio per l’energia nucleare dell’O.E.C.E., 99, 105, 113, 114, 122, 124, 129, 187.

Nixon, Richard Milhouse, Vice Presidente degli Stati Uniti, 186, 304.

Noël, Emile, Capo di Gabinetto di Guy Mollet, Delegato francese del gruppo Euratom alla Conferenza Intergovernativa, 197.

Norstad, Lauris, Generale, Comandante in capo delle forze della N.A.T.O., 299, 304.

Ockrent, Roger, Capo della Delegazione belga all’O.E.C.E., 16, 122.

Ollenhauer, Erich, uomo politico tedesco (S.P.D.), Deputato al Bundestag, 14, 100.

Onofri, Colonnello, 252.

Ophuels, Carl Friederich, Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania a Bruxelles, Capo della Delegazione tedesca al Comitato Intergovernativo, 103, 106, 132, 151, 166, 179, 210, 221, 254.

Ormsby-Gore, David, diplomatico, uomo politico conservatore britannico, Ministro di Stato agli Affari Esteri nel Governo Macmillan, 302.

Palewski, Gaston, uomo politico francese (U.R.A.S.), Ministro delegato alla Presidenza del Consiglio nel Governo Faure II, 4, 14, 30, 48, 72, 75, 100.

Palumbo, Silvano, Ispettore Generale e Capo Ufficio II della Direzione Generale del Ministero del Tesoro, 285.

Papi, Giuseppe Ugo, economista, Rappresentante del Ministero dell’Agricoltura e Foreste, membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 106, 285, 300.

Pearson, Lester Bowles, Ministro degli Affari Esteri canadese nel Governo Saint-Laurent, 22, 112, 186n, 256.

Pflimlin, Pierre, uomo politico francese (M.R.P.), Ministro degli Affari Economici e delle Finanze nel Governo Faure II, 85, 89, 91, 101, 236.

Pella, Giuseppe, Deputato, Presidente dell’Assemblea Comune della C.E.C.A., 1, 2n, 3, 5, 8, 9, 14, 21, 36, 61, 88, 135n, 162, 278.

Perrin, Francis, fisico francese, Alto Commissario per l’energia atomica, 78, 160, 200.

Piccioni, Attilio, Deputato, Rappresentante della Camera all’Assemblea della C.E.C.A., 248.

Piccoli, ingegnere, Rappresentante del Ministero dei Lavori Pubblici, 33.

Pietromarchi, Luca, Ambasciatore ad Ankara, 251.

Pinay, Antoine, uomo politico francese (C.N.I.P.), Ministro degli Affari Esteri francese nel Governo Faure II, 3, 4, 6, 9, 11, 14, 15, 18, 19, 21, 30, 48, 53, 56, 60, 72, 78, 82, 85, 87, 88, 100, 101, 112, 147, 193, 276.

Pineau, Christian, uomo politico francese (S.F.I.O.), Ministro degli Affari Esteri nel Governo Mollet, 100, 127, 129, 132, 135, 137, 138, 139, 144, 145, 148, 152, 153, 156, 159, 160, 162, 164, 169, 170, 172, 174, 177, 178, 180, 182, 219, 220, 223, 224, 225, 227, 234, 236, 239, 245, 248, 250, 251, 255, 299.

Pink, Sir Ivor T.M., Diplomatico britannico, Sottosegretario supplente al Foreign Office, 87, 88.

Pleven, René, uomo politico francese (U.D.S.R.), Deputato, 3, 147, 219, 236, 276.

Poujade, Pierre, uomo politico francese, fondatore dell’U.F.F. (Union et Fraternité Française), fondatore e presidente dell’U.D.C.A. (Union de Défense des commerçants et artisans), 147.

Pretsch, Joachem, scienziato tedesco, Vice Presidente del Comitato per la separazione isotopica dell’uranio del gruppo Euratom alla Conferenza Intergovernativa, 198.

Prouvost, Jean, uomo politico francese, 276.

Prunas, Pasquale, Incaricato d’Affari a Londra, 257.

Purpura, Rosario, Rappresentante del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 196.

Quaroni, Pietro, Ambasciatore a Parigi, 2, 4, 9, 11, 14, 15, 21, 23, 48, 50, 56n, 75, 77, 85n, 93, 95, 100, 104, 119, 121, 123, 127, 130, 138, 139, 147, 148, 153, 156, 158, 160, 164, 165, 170, 171, 172, 174, 182, 191, 192n, 193, 199, 200, 208n, 217n, 219, 225, 226, 227n, 229, 234, 236, 245, 246n, 248, 249n, 252, 258, 259, 262, 264, 276, 277, 279, 281n, 282, 288, 291, 293, 295, 296.

Ramadier, Paul, uomo politico francese (S.F.I.O.), Ministro degli Affari Economici e Finanziari nel Governo Mollet, 2, 4, 9, 11, 15, 287, 300.

Reale, Eugenio, uomo politico, 251.

Renou, Jean, Vicedirettore del Commissariato francese per l’energia atomica, 104, 153, 197, 200.

Rey, Jean, Ministro dell’Economia belga nel Governo van Acker, 163.

Reynaud, Paul, uomo politico francese (P.R.), Deputato, 276.

Riccardi, Roberto, Segretario dell’Ufficio I della Direzione Generale degli Affari Politici, 181.

Roberti, Guerino, Capo del Servizio del Cerimoniale, 88, 181.

Rossi Longhi, Alberto, Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, 1n, 2n, 19n, 21, 35, 40, 46, 47, 118, 133n, 136, 143n, 156, 247, 249, 251n, 256, 279, 282.

Rothschild, Robert, Capo di Gabinetto del Ministro Spaak, capo della Delegazione belga all’O.E.C.E., 78, 155, 187, 207.

Rueff, Jacques Léon, economista francese, membro della Corte di Giustizia della C.E.C.A., 4.

Santoni Rugiu, Giuseppe, ingegnere, Vicedirettore delle Ferrovie dello Stato, Delegato nella Commissione trasporti e lavori pubblici del Comitato Intergovernativo, 64, 69, 71.

Saragat, Giuseppe, Vice Presidente del Consiglio nei Governi Scelba e Segni I, 175, 186.

Scammacca Del Murgo e di Agnone, Michele, Ambasciatore a Bruxelles, 7, 46n, 82, 118n, 131n, 140, 143, 152, 154, 155, 156, 163, 177, 207, 216n, 241, 254n, 261.

Scapaccino, Mario, Rappresentante del Ministero dell’Agricoltura e Foreste, 33.

Scelba, Mario, Presidente del Consiglio fino al 5 luglio 1955, 3.

Schaeffer, Fritz, Ministro delle Finanze nel Governo Adenauer, 96.

Schaus, Eugène, uomo politico e diplomatico lussemburghese (D.P.), membro dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa, Vice Presidente dell’Assemblea U.E.O., 61.

Schaus, lambert, ambasciatore del Lussemburgo a Bruxelles, Capo della Delegazione lussemburghese al Comitato Intergovernativo, 106, 254.

Schmal, Jan Johannes, uomo politico olandese (C.H.U.), Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 61.

Schmid, Carlo, uomo politico tedesco (S.P.D.), Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 61, 135.

Schneiter, François Charles Pierre, Deputato (M.R.P.), Presidente dell’Assemblea Nazionale francese fino al dicembre 1955, 53, 240.

Schuman, Robert, uomo politico francese (M.R.P.), 3, 9, 14, 50, 75, 77, 108, 123, 126, 147, 174, 177.

Sébilleau, Pierre, diplomatico, Capo del Servizio Accordi Bilaterali del Ministero degli Esteri francese, 164.

Sebregondi Ceriani, Giorgio, Rappresentante dello Svi.Mez., membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 297.

Segni, Antonio, Presidente del Consiglio dal 6 luglio 1955, 34n, 80, 86, 88, 126, 135, 173, 175, 181, 186, 238, 259n, 272, 273, 288, 292, 294, 296.

Sergent, René, Segretario Generale dell’O.E.C.E., 10, 52, 76, 195, 256, 307.

Sforza, Carlo, uomo politico e diplomatico, ex Ministro degli Affari Esteri, 308.

Sforza, Galeazzo Sforzino, Capo di Gabinetto del Segretario Generale del Consiglio d’Europa, 61.

Silvestri Amari, Aldo, Direttore Generale, Rappresentante del Ministero dell’Industria e Commercio, membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 33.

Smith, Gerard, Assistente del Segretario di Stato statunitense per le questioni atomiche, 183.

Snoy et d’Oppuers, Jean Charles, uomo politico belga (P.S.C.), Segretario Generale al Ministero degli Affari Economici, Capo della Delegazione belga al Comitato Intergovernativo, Presidente del Gruppo di Lavoro n. 17 dell’O.E.C.E., 106, 108, 204, 212, 230, 235, 278, 287.

Solari Bozzi, Onofrio, volontario della carriera diplomatica alla Direzione Generale degli Affari Economici, 33.

Soro, Giovanni Vincenzo, Vicedirettore Generale degli Affari Economici, 21n, 26, 57, 69, 287.

Spaak, Paul-Henri, Ministro degli Affari Esteri nel Governo van Acker, Presidente del Comitato Intergovernativo e Capo della Delegazione belga presso lo stesso, 1, 2n, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 21, 22, 25, 26, 35, 46, 49n, 50, 52, 53, 55, 57, 61, 62, 71, 73, 76, 78, 81, 82, 85, 86, 87, 88, 92, 94, 102, 104, 106, 108, 112, 113, 116, 118, 120, 126, 131n, 132, 134, 137, 138, 140, 142, 143, 144, 145, 148, 150, 151, 152, 154, 155, 157, 159, 160, 161, 162, 163, 166, 170, 171, 172, 173, 177, 178, 179, 180, 187, 189, 197, 198, 201, 207, 210, 211, 212, 213, 215, 218, 220, 221, 223, 225, 229, 230, 235, 237, 239, 240, 241, 244, 254, 255, 256, 257, 261, 263, 267, 269, 273, 277, 278, 281, 286, 299, 301, 308.

Speidel, Hans, Generale tedesco, 22.

Spinelli, Filippo, Consigliere commerciale all’Ufficio IV della Direzione Generale Affari Economici, 33, 35.

Stalin, Iosef Vissarionovič Džugašvili, Presidente dell’U.R.S.S., Segretario del P.C.U.S., 87, 88, 135n.

Steel, Sir Christopher Eden, diplomatico britannico, Rappresentante permanente al Consiglio della N.A.T.O., 203.

Stephanopoulos, Stephanos, Ministro degli Affari Esteri greco nel Governo Papagos, Rappresentante alla N.A.T.O., all’U.EO. e al Consiglio d’Europa, 22, 53.

Stikker, Dirk U., diplomatico, Ambasciatore dei Paesi Bassi a Londra, 88, 116.

Strachwitz, Rudolf Graf, Incaricato d’Affari della Repubblica Federale di Germania a Roma, 80.

Straneo, Carlo Alberto, Direttore Generale aggiunto degli Affari Politici, 251n, 256n.

Strauss, Franz Josef, uomo politico tedesco (C.S.U.), Ministro degli affari atomici nel Governo Adenauer, 104, 108, 113, 200, 223, 225.

Stresemann, Gustav, uomo politico tedesco, ex Cancelliere e Ministro degli Affari Esteri, 234.

Struye, Paul, uomo politico belga (P.S.C.), Rappresentante nell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 56, 61.

Sulzberger, Arthur Ochs, giornalista americano del «New York Times», 186.

Tagliarini, Rappresentante del Ministero delle Finanze, Direzione Generale Dogane, al Comitato Intergovernativo, 33.

Tassoni Estense di Castelvecchio, Alessandro, Ministro Consigliere dell’Ambasciata a Parigi, 30, 53n, 60, 68, 72.

Taviani, Paolo Emilio, Deputato, Ministro della Difesa dei Governi Scelba e Segni I, 112.

Teitgen, Pierre Henri, uomo politico francese (M.R.P.), 14, 72, 75.

Theodoli, Livio, Ministro Consigliere dell’Ambasciata a Londra, 90, 251n, 256n.

Thomson, George Morgan, uomo politico laburista britannico, Rappresentante all’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa e all’U.E.O., 61.

Thorneycroft, Peter, uomo politico conservatore britannico, Presidente del Board of Trade, 231, 255, 256, 257, 278.

Tichelen, Joseph van, funzionario del Ministero degli Affari Economici belga nel Governo van Acker, 74.

Tito (Josip Broz), Presidente della Repubblica Popolare Federale di Iugoslavia, 181, 186, 251, 263.

Toscano, Mario, docente universitario, Capo dell’Ufficio Studi e Documentazione, poi Capo del Servizio Studi della Segreteria Generale, 88.

Treves, Paolo, Deputato, Rappresentante all’Assemblea dell’U.E.O., 61.

Trigona, Rappresentante del Comitato Nazionale Ricerche Nucleari al Comitato Speciale energia nucleare dell’O.E.C.E., 187.

Ulrich, José Frederico do Casal Ribeiro, uomo politico, Presidente della Commissione dell’energia nucleare portoghese, 187.

Unden, Osten, Ministro degli Affari Esteri svedese nel Governo Erlander, 53.

Ungaro, Mario, Primo Segretario della Rappresentanza all’O.E.C.E., 114.

Unwin, R., diplomatico britannico, 256n.

Urciuoli, Carlo, Rappresentante del Ministero dell’Industria e Commercio, membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 285.

Uri, Pierre, economista francese, Direttore dell’Alta Autorità della C.E.C.A., 102, 106, 108, 151.

Valery, François, Capo del Servizio Cooperazione Economica del Ministero degli Affari Esteri francese, Delegato francese all’O.E.C.E., 16, 52, 114, 129, 188, 307.

Valletta, Vittorio, Presidente della FIAT, 252.

Vanoni, Ezio, Ministro del Bilancio nei Governi Scelba e Segni I, Ministro delegato per la Cooperazione Economica Europea e del Tesoro ad interim nel Governo Segni I, 35, 56, 102, 128, 149, 163, 291.

Vanrullen, Émile, uomo politico francese (S.F.I.O.), membro dell’Assemblea Comune della C.E.C.A., 162.

Vedel, Georges, giurista francese, Consigliere del Vice Presidente della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 182.

Vendroux, Jacques Philippe, uomo politico francese (R.P.F.), 30.

Venturini, Antonio, Ambasciatore a Lussemburgo, membro della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa, 205n, 224n, 267.

Verrijn Stuart, Gerard Marius, docente universitario, Presidente della Commissione per il Mercato Comune, Capo della Delegazione olandese al Comitato Intergovernativo, 55, 71, 106.

Villiers, Georges, uomo politico, sindacalista, Presidente del Consiglio Nazionale del Patronato francese, 276.

Vitetti, Leonardo, Capo della Rappresentanza all’O.E.C.E. fino al maggio 1956, 10, 12, 14, 16, 29, 32, 39, 41, 50, 51, 52n, 103, 107, 110, 120, 122, 124, 128, 129, 141, 149.

Vogel, Richard C., scienziato statunitense, membro dell’A.E.C. (Atomic Energy Commission), 183.

Ward, John G., diplomatico britannico, Vice Sottosegretario permanente al Foreign Office, 87, 88.

Wegerdt, Alfred, Delegato tedesco al Comitato Intergovernativo, Presidente della Sottocommissione dei trasporti aerei, 71.

Werkmeister, Karl, Delegazione tedesco all’O.E.C.E., 16.

Weygand, Maxime, Generale francese, 245.

Wigny, Pierre, uomo politico belga (P.S.C.), delegato all’Assemblea comune della C.E.C.A.,162.

Wormser, Olivier, Direttore Generale aggiunto degli Affari Economici e Finanziari del Ministero degli Affari Esteri francese, Presidente del gruppo Mercato Comune della Delegazione alla Conferenza Intergovernativa 182.

Zeeland, Paul van, uomo politico belga (P.S.C.), ex Primo Ministro, 23, 43.

Zijlstra, Jelle, uomo politico olandese (C.D.A.), 151.

Zimmer De Cunchy, Alphonse, uomo politico belga (P.S.C.), 163.

Zoli, Adone, Senatore, Ministro di Grazia e Giustizia nel Governo Segni I, 286, 287.

Zoppi, Vittorio, Ambasciatore a Londra, 8, 14, 20, 45, 53, 63, 77, 87, 88, 115, 116, 131, 133, 137, 146, 158, 217, 231, 255, 256, 282, 302n.

Zorlu, Fatin Rustu, uomo politico (D.P.) e diplomatico turco, 22.